Filosofia del Diritto - Lezione 2 (Slide) PDF

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These are lecture slides on the fundamental concepts of legal philosophy, focusing on the nature, characteristics, and application of legal rules and norms. It discusses different types of rules (e.g., moral, religious).

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Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# 1° Nucleo tematico IL DIRITTO: NATURA, FINALITÀ E F...

Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# 1° Nucleo tematico IL DIRITTO: NATURA, FINALITÀ E FUNZIONI Lezione n. 2 DIRITTO REGOLE E NORME Sessione 1 LE REGOLE Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# LA NORMA GIURIDICA La norma giuridica è una regola che impone o vieta un certo comportamento. PRECETTO SANZIONE Comportamento Conseguenza prevista descritto dalla norma per chi non rispetta la norma Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# REGOLARITÀ E NORMATIVITÀ LA REGOLA COME GUIDA DELL’AZIONE UMANA LA REGOLA COME CRITERIO DI GIUDIZIO DELL’AZIONE UMANA LA REGOLA COME DISPOSIZIONE AD AGIRE Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# Vari modi di intendere la regola Come comando Come schema di qualificazione Come ragione dell’azione Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# Rapporto tra regole giuridiche e regole sociali Caratteristiche della regola giuridica 1) DESTINATARI: il diritto come relazione tra estranei Cittadini e stranieri? 2) FORMA: generalità e astrattezza La legge non è l’unico tipo di regola giuridica! 3) ORIGINE: principio di legalità Hans Kelsen e il problema della validità del diritto Corso di Laurea: #corso# Insegnamento: #insegnamento# Lezione n°: #lezione# Titolo: #titolo# Attività n°: #attività# A quante e quali istanze deve rispondere la regola giuridica? Il principio di autorità Il rispetto delle pratiche giuridiche e sociali preesistenti La tipicità delle forme della regola L’esigenza di garantire uguale trattamento Le esigenze di giustizia Etc. Lezione 2 Sessione 1 NORME SOCIALI E NORME GIURIDICHE 1 NORME SOCIALI E NORME GIURIDICHE Le norme sociali (morali, religiose, di galateo, di moda, sportive, di buona educazione, etc.) non sempre sono obbligatorie, non si rivolgono a tutti, non sempre sono accompagnate da sanzioni e variano in base al luogo e al tempo, ma anche al contesto sociale a culturale. Le norme giuridiche di cui si compone l’ordinamento giuridico, invece, sono imposte dal Legislatore, sono obbligatorie e, in caso di inosservanza, prevedono generalmente una sanzione (civile, penale, amministrativo, disciplinare). La norma morale obbliga solo l’individuo che, riconoscendone il valore, decide di adeguarvisi. Ad esempio, è indubbio che uccidere sia immorale, così come rubare, ma se il contenuto di tali norme morali non fosse stato trasfuso in una legge, l’eventuale trasgressione non avrebbe mai trovato una punizione. E ancora, la norma religiosa che prescrive di andare a messa la domenica e di fare il battesimo, vale per i cattolici, ma non per i musulmani. Se un cattolico non la rispetta, non incorrerà in una sanzione giuridica, ma al più risponderà dinnanzi al tribunale dell’intima coscienza. 2 CARATTERISTICHE DELLA NORMA GIURIDICA Nozione La norma giuridica è una regola che impone o vieta un certo comportamento. Più nello specifico, la norma giuridica contiene la descrizione di una fattispecie astratta, un comando o un divieto e l’indicazione della sanzione applicabile nel caso in cui, verificandosi in concreto l’ipotesi di fatto descritta, chi era tenuto ad osservare il comando o il divieto previsti dalla norma l’abbia invece violato. Di regola è formata da due parti: il precetto, cioè il comando e la sanzione, cioè la punizione applicata a chi non osserva la norma. Più nello specifico, il precetto è il comando di tenere una certa condotta, ossia di compiere o non compiere una data azione, e il più delle volte è implicito; ad esempio la legge penale in materia di omicidio non contiene esplicitamente il precetto “Non uccidere”, ma all’art. 575 c.p. prevede che “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione…”. Nella teoria generale del diritto nello schema condizionale della norma giuridica: “Se A allora B” A: è la descrizione di un fatto o di un insieme di fatti (fattispecie astratta); B: è la descrizione degli effetti giuridici prodotti dalla norma allorché si verifica. Caratteri Generalità: la norma giuridica è generale perché si rivolge ad un insieme indeterminato di destinatari. 3 Astrattezza: la norma giuridica è astratta perché prevede un’ipotesi (detta fattispecie) astratta, applicabile ad una serie indeterminata di situazioni (fattispecie concreta). È, poi, compito dei giudici applicare la legge ai casi concreti. Imperatività: la norma giuridica è coercibile perché prevede una sanzione per chi non la rispetti. Le norme giuridiche si definiscono, infatti, “coercibili” e si differenziano da altre norme per il fatto cha la loro osservanza è garantita dalla forza dello Stato. Certezza: le norme giuridiche devono essere certe, ovvero formulate con espressioni chiare e determinate, nonché raccolte in documenti ufficiali che ne fissino i contenuti e ne consentano la conoscibilità. Positività: le norme giuridiche sono emanate in un determinato momento storico e in riferimento ad un determinato gruppo sociale, da organi a ciò legittimati e nelle forme previste dalla Costituzione e dalle leggi. Classificazione Norme precettive: impongono un certo comportamento (esempio: pagare le tasse). Norme permissive: consentono di tenere un certo comportamento (esempi: libertà personale, diritto di precedenza). Norme proibitive: vietano un certo comportamento (esempi: divieto di sosta, non uccidere). 4 CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE NORME Di fronte ad una qualsiasi norma giuridica noi possiamo infatti porci un triplice ordine di problemi:  Se essa sia giusta o ingiusta; La giustizia di una norma è data dalla capacità di quella norma di soddisfare i requisiti sostanziali prescritti da qualche punto di vista morale. L’aspetto della giustizia delle norme giuridiche è stato talvolta estremizzato al punto da farla coincidere con la stessa validità delle norme giuridiche, in due modi: facendo dipendere la validità della norma dalla sua giustizia, come in alcune versione estreme del giusnaturalismo; o, all’opposto, facendo discendere la giustizia della norma dalla sua validità – vale a dire considerando automaticamente come giusta qualunque norma giuridica valida, come sostiene il c.d. giuspositivismo ideologico. Possiamo già anticipare che le norme giuridiche non sono giuste o ingiuste in sé, ma solo con riferimento ad una qualche morale determinata.  Se essa sia valida o invalida; La validità è solitamente considerata come il marchio della giuridicità di una norma, ed è identificata con l’appartenenza di una norma ad un ordinamento giuridico: una norma è giuridica se è valida, ed è valida se, in qualche senso, appartiene ad un ordinamento giuridico. Un po’ più precisamente, la validità non è una proprietà della norma in sé, ma piuttosto una proprietà della norma in rapporto ad altre norme dell’ordinamento  Se essa sia efficace o inefficace. 5 In un primo senso, l’efficacia o effettività di una norma consiste nel dato empirico che la norma sia effettivamente osservata dai suoi destinatari: l’efficacia è, in questo senso, conformità del comportamento alla norma. In un secondo senso, una norma è efficace se essa ha l’attitudine a produrre i suoi effetti tipici, ovvero se è applicabile. Questo uso di efficacia è presente in espressioni come «questo contratto è valido ed efficace». In un terzo senso, per efficacia di una norma si intende la capacità di quella norma di realizzare lo scopo per cui quella norma è stata prodotta: questo senso di efficacia è stato anche definito, da Luigi Ferrajoli, come felicità della norma. 6 IL PROBLEMA DEONTOLOGICO DEL DIRITTO Il problema della giustizia è il problema della corrispondenza o meno della norma ai valori ultimi o finali che ispirano un determinato ordinamento giuridico. Il problema della validità è il problema dell’esistenza della regola in quanto tale, indipendentemente dal giudizio di valore se essa sia giusta o no. Validità giuridica di una norma equivale ad esistenza di quella norma in quanto regola giuridica. Mentre per giudicare della giustizia di una norma bisogna commisurarla ad un valore ideale, per giudicare della sua validità bisogna compiere ricerche di tipo empirico – razionale, quelle ricerche che si compiono quando si tratta di stabilire l’entità e la portata di un evento. In particolare, per decidere se una norma sia valida (cioè esista come regola giuridica appartenente ad un determinato sistema), bisogna, di solito, compiere tre operazioni: 1. Accertare se l’autorità che l’ha emanata aveva il potere legittimo di emanare norme giuridiche, cioè norme vincolanti in quel determinato ordinamento giuridico. 2. Accertare se non sia stata abrogata, giacché una norma può essere stata valida, nel senso che fu emanata da un potere a ciò autorizzato, ma non detto che lo sia ancora, il che accade quando un’altra norma successiva nel tempo l’abbia espressamente abrogata o abbia regolato la stessa materia. 3. Accertare se essa non sia incompatibile con altre norme del sistema (ciò che si dice anche abrogazione implicita), in particolare con una norma gerarchicamente superiore (una legge costituzionale è superiore ad una legge ordinaria in una costituzione rigida) o con una norma successiva, dal momento 7 che vige, in ogni ordinamento giuridico, il principio che due norme incompatibili non possono essere entrambe valide. 8 Lezione 2 Sessione 2 KELSEN E SCHMITT 1 HANS KELSEN (1881 - 1973) Kelsen è considerato il padre del formalismo giuridico, sebbene il formalismo fosse nato in origine per opera dei pandettisti come elaborazione di concetti ricavati per astrazione da dati storici. Kelsen pone le fondamenta per una dottrina pura del diritto. Fin dalle prime sue opere avverte l’esigenza di liberare la giurisprudenza da qualunque riduzionismo epistemologico. Per Kelsen la giurisprudenza è una scienza e, come tale, deve essere elaborata. Secondo il giurista-scienziato la dottrina giuridica può essere scientifica solo a condizione di essere “pura”, cioè solo a condizione di non avere nessuna subordinazione o vincolo extra-giuridico, né di carattere empirico, etico, religioso, naturalistico. Ricondurre il diritto alla natura, alla volontà divina, a supremi principi etici, significa precludersi la comprensione della sua identità, che è quella di un comando. La radice del diritto è, dunque, la norma stessa. Definisce “pura” la sua dottrina giuridica perché questa “vorrebbe assicurare una conoscenza rivolta soltanto al diritto e perché vorrebbe eliminare da tale conoscenza tutto ciò che non appartiene all’oggetto esattamente determinato come diritto”, ossia “una dottrina depurata da ogni ideologia politica e da ogni elemento scientifico-naturalistico”. "La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico. È teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche particolari, statali o internazionali. Essa, come teoria, vuole conoscere esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla domanda: che cosa e 2 come è il diritto, non però alla domanda: come esso deve essere o deve essere costituito. Essa è scienza del diritto, non già politica del diritto". Kelsen muove dalla distinzione kantiana tra essere (Sein) e dover essere (Sollein), ritenendo che mentre la natura è essere, il diritto, in quanto oggetto di conoscenza scientifica e in quanto costituito da norme, è dover essere. Il dover essere della norma giuridica non solo non consiste nel dovere dei soggetti di comportarsi in una determinata maniera, ma neppure in quello del giudice di infliggere la sanzione che deve essere nel caso che se ne sia verificata la condizione (cioè che si sia verificato l’illecito). Perché il giudice sia obbligato a far ciò occorre che esista una norma ulteriore che imputi una sanzione ulteriore alla mancata esecuzione della prima sanzione. “Devono esistere due norme distinte: una la quale disponga che un organo deve eseguire una sanzione contro un soggetto, ed un’altra la quale disponga che un altro organo deve eseguire una sanzione contro il primo organo nel caso che la prima sanzione non sia eseguita”. A quale struttura logica della norma si riconnette la concezione della gerarchia delle norme, ovvero la “costruzione a gradini” dell’ordinamento giuridico. Secondo il giurista, il diritto è l’insieme sistematico di norme di diverso ordine e grado che vengono a comporre l’ordinamento giuridico. Si ha ordinamento giuridico quando le singole norme abbiano un comune fondamento di validità in un’unica norma: la Grundnorm («norma fondamentale»), punto di partenza di un procedimento formale di produzione delle norme particolari, che vengono a disporsi su differenti piani gerarchici. In altri termini, ogni norma è giustificata dalla conformità alla norma ad essa 3 superiore gerarchicamente, sino ad una norma cardine (tipicamente uno statuto o una costituzione). L'intero ordinamento, al suo apice, è giustificato da un carattere esterno: l'imposizione coattiva. La struttura kelseniana è: se A allora B, dove A è il presupposto e B è la coazione (obbligo) della sanzione. La giustificazione delle norme non ha per Kelsen un carattere assiologico, ma rigorosamente formale. In altre parole, la norma non è valida in quanto giusta, ma in quanto inserita in un sistema. Punto critico della teoria kelseniana e del processo a gradini per il quale ogni norma trova il suo fondamento di validità in una norma superiore, è sintetizzabili in una domanda: qual è questa norma fondamentale? La risposta a questa domanda risiede nel fatto che la Grundnorm non sarebbe una norma posta, ma presupposta (fattispecie produttrice di diritto). Kelsen è noto come il capostipite novecentesco della dottrina liberal- democratica del diritto su base giuspositivista. Per Kelsen la legge è norma positiva, cioè "posta" dagli uomini. Uno dei principali "avversari" di Kelsen fu Carl Schmitt. 4 Approfondimento: le diverse traiettorie del formalismo giuridico Sotto il nome generico di "formalismo giuridico" oggi si intendono almeno tre teorie diverse. a. Un primo tipo è quello che potrebbe essere definito formalismo etico, ossia quella dottrina secondo cui è giusto ciò che è conforme alla legge e che respinge ogni criterio di giustizia che stia al di sopra delle leggi positive e in base al quale le stesse leggi positive possano essere valutate. Questa dottrina è formale nel senso che fa consistere la giustizia nella legge per il solo fatto che è legge, cioè comando posto dal potere sovrano a prescindere dal suo contenuto. b. Un secondo tipo di formalismo è il formalismo giuridico in senso stretto e comprende quella dottrina secondo cui la caratteristica del diritto non è quella di prescrivere ciò che ciascuno deve fare, bensì di prescrivere il modo con cui ciascuno deve agire se vuol raggiungere i propri scopi. Pertanto è compito del diritto non già stabilire il contenuto del rapporto intersoggettivo ma la forma che esso deve assumere per avere certe conseguenze. Questo tipo di formalismo risale alla vecchia definizione kantiana del diritto, secondo cui una delle caratteristiche del rapporto giuridico è che in esso non viene in considerazione la materia dell'arbitrio, cioè lo scopo che uno si propone coll'oggetto che egli vuole, ma soltanto la forma, in quanto i due arbitrii sono considerati come assolutamente liberi. c. Vi è poi un terzo tipo di formalismo, che si potrebbe chiamare formalismo scientifico perché ha riguardo non già al modo di definire la giustizia (formalismo etico), né al modo di definire il diritto (formalismo giuridico), ma 5 al modo di concepire la scienza giuridica e il lavoro del giurista, al quale viene attribuito il compito di costruire il sistema dei concetti giuridici quali si ricavano dalle leggi positive, che è compito puramente ricognitivo e non creativo e di ricavare deduttivamente dal sistema così costruito la soluzione di tutti i possibili casi controversi. 6 CARL SCHMITT (1888-1985) Carl Schmitt ha inferto un colpo mortale al kelsenismo, mostrando come l’esito del formalismo giuridico costituisca una delle modalità più sottili di affermazione della supremazia del potere politico nei confronti del diritto. La pretesa di Kelsen di stabilire su basi di rigorosa scientificità la giurisprudenza appare a Schmitt mistificatoria. In opposizione a Kelsen, col quale fu in aperta polemica, Schmitt è convinto che il diritto non si fondi sulla norma, ma su di un puro atto di decisione da parte di chi detiene il potere. Schmitt è riconosciuto come il più sottili giurista del Reich; il suo decisionismo fu costruito proprio con l’intenzione di fornire una legittimazione teorica al potere del Fuhrer. Se la radici del diritto risiede nella volontà di chi detiene il potere, se i diritti sono riducibili ad una logica unicamente decisionista, allora cade l’idea di Stato come Stato di diritto. Secondo questa visione, la politica manifesta il suo assoluto primato su ogni altra forma di esperienza umana. Per Schmitt, il punto di forza del decisionismo risiede nell’essere il momento di congiuntura tra l’elemento giuridico e quello politico, tra la volontà che pone ordine al caos e la ragione giuridica che conferisce una forma a tale ordine. La nozione di sovranità è cardinale per il decisionismo, poiché mette in luce il carattere originario del decisionismo, ossia che l’idea che la legge scaturisca dalla decisione. Nel suo scritto intitolato Teologia politica, Schmitt dà una definizione di sovranità: “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. 7 Secondo Schmitt il diritto si risolve nella politica ed è espressione di pura volontà, riconnessa alla categoria “nemico-amico”, ossia al fatto che ad un gruppo di uomini che combatte per la propria esistenza si contrapponga sempre un altro gruppo di uomini che fa altrettanto. Nel 1934 passò ad una concezione del diritto ancora più permeata dello spirito del nazionalsocialismo. Egli distinse tre modi di intendere il pensiero giuridico: 1. il normativismo che vede il diritto come regola astratta; 2. il decisionismo, che lo intende come atto di volontà del legislatore; 3. la concezione concreta dell’ordinamento, che nel diritto vede la vita effettiva e reale, l’ordine. È questa concezione concreta dell’ordinamento che il giurista ritiene adeguata alla realtà nazionalsocialista. 8 Lezione 2 Sessione 3 bis INTENZIONALITÀ E VOLONTÀ E MODELLI DI APPLICAZIONE DELLE REGOLE 1 Intenzionalità e volontà Una delle maggiori difficoltà nello spiegare le azioni comuni e collettivi consiste nel riconoscere in esse la dimensione della intenzionalità. Essa può essere intesa come somma delle intenzioni individuali oppure come espressione di un soggetto collettivo. Nella prima ipotesi l’azione collettiva non avrebbe una intenzionalità propria, mentre nella seconda ipotesi sarebbe il prodotto di un’entità fittizia. Pur tuttavia non sarebbe possibile rinunciare all’ intenzionalità senza rinunciare alla stessa azione umana poiché senza intenzione non vi sarebbero autori di azioni. L’azione infatti prende avvio dall’intenzionare uno stato di cose come desiderabile. Esso diviene fine dell’azione che, a sua volta, detta le norme come guida dell’azione verso il suo compimento. Se manca l’intenzione manca la ragione per cui una volontà si mette in movimento verso qualcosa. E allora, come sostiene Kelsen, la norma e l’osservanza di essa diverrebbero l’unico parametro oggettivo dell’azione. La norma diverrebbe il nucleo fondamentale dell’azione tuttavia essa è incapace di muovere un’azione o di spiegare l’azione umana nel suo esercizio. Il recupero del punto di vista interno rimette in gioco il problema dell’intenzione e della volontà. Senza soggetto agente non vi sarebbe quell’iniziativa per cui l’azione esiste. Bubner: “azione” vuol dire effetti esterni e cause interne. La diffidenza nei confronti dell’intenzionalità ha alimentato due concezioni della volontà. 2 Un orientamento empiristico secondo cui la volontà è passiva cioè attratta dal fine con una necessità di natura: così come non si può volere e la sofferenza o lo svantaggio, allora non si può non volere il proprio vantaggio. Su questa teoria psicologica della volontà Si basa il meccanismo della paura proprio della concezione sanzionatoria del diritto di cui abbiamo parlato nella lezione sulla sanzione. L’altro orientamento è quello idealistico secondo cui la volontà è attiva produttiva del suo stesso oggetto, ossia del voluto. Una volontà che si dirige verso le sue stesse produzioni e ripiegata in se stessa e non vuole altro che se stessa. In conclusione, solo tenendo presente il ruolo della intenzionalità e intendendo la relazione tra la volontà e il suo oggetto nei termini della ragionevolezza, è possibile una concezione unitaria delle azioni umane che non separi le azioni individuali da quelle comuni e collettive. Per il diritto il problema essenziale è il modo corretto di agire giuridicamente quali azioni debbano essere compiute per tutelare determinate aspettative ritenute legittime oppure per risolvere le controversie. 3 Modelli di applicazione delle regole A seconda della rilevanza che si attribuisce al caso concreto possono delinearsi due modelli differenti riguardo all’applicazione delle regole giuridiche:  Il modello della sussunzione va dal caso concreto alla regola. Sussumere significa riconoscere la fattispecie concreta come un caso che appartiene alla classe dei casi indicati dalla fattispecie astratta. Se tizio ha rubato la borsa di Caia e se appropriarsi delle cose altrui è vietato, allora tizio ha compiuto un atto vietato. Il caso particolare viene elevato all’astrazione della regola per essere qualificato sul piano giuridico.  Il modello della concretizzazione adotta un procedimento opposto, cioè non va alla ricerca della regola in cui sussumere il caso concreto, ma sulla base della questione giuridica posta da caso concreto, formula la regola. La regola-risultato dell’attività interpretativa è pertanto la regola del caso concreto che dovrà valere come regola base per successivi casi simili. È la regola, dunque, che va verso il caso concreto. 4

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