Filosofia del Diritto (M-Z) Lezione 3 PDF 2024/2025

Summary

This document is a lecture on philosophy of law, focusing on environmental ethics, examining the contrasting viewpoints of anthropocentrism and biocentrism. It discusses the significance of these perspectives in understanding environmental problems and the moral consideration of non-human entities.

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FILOSOFIA DEL DIRITTO (M-Z) Prof. Mangini a.a 2024/2025 Lezione n.3 Data 07/10/2024 SISTEMA BIOCENTRICO E ANTROPOCENTRICO...

FILOSOFIA DEL DIRITTO (M-Z) Prof. Mangini a.a 2024/2025 Lezione n.3 Data 07/10/2024 SISTEMA BIOCENTRICO E ANTROPOCENTRICO Sul problema ambientale i due punti di vista, i due approcci che si contendono il campo sono quello ANTROPOCENTRICO e quello BIOCENTRICO. C’è da dire che il primo è di gran lunga predominante nell’accezione e nella adesione più o meno delle persone semplicemente perché è più immediato, si riesce a capire immediatamente che il problema ambientale è un problema per gli esseri umani. Dal punto di vista motivazionale è più facile convincere le persone che qualcosa deve essere corretto perché altrimenti il danno ricadrà su se stessi, quindi il tipo di ragioni che stanno dietro gli approcci biocentrici è un tipo di ragioni PRUDENZIALI cioè dal punto di vista motivazionale le persone sono mosse dalla propria prudenza, da ciò che conviene per se stessi non tanto da un fatto di moralità, di fare del bene agli altri. Poi in quell’approccio si inseriscono anche motivazioni morali nel momento in cui accediamo alla giustizia intergenerazionale. Però questo è un fatto ulteriore, motivazionalmente il primo elemento dovrebbe essere che il problema ambientale è un problema che non tutti oggi, anche se diventerà più grande nel futuro quindi per le generazioni che vengono il problema sarà ulteriormente pesante, dovremmo cercare di cominciare a risolverlo. L’altro approccio invece, che abbiamo già accennato la volta scorsa o meglio le volte scorse, è quello biocentrico. L’approccio BIOCENTRICO è meno immediatamente appetibile dal punto di vista motivazionale perché richiede uno sforzo ulteriore, diciamo, se volete, uno sforzo di immaginazione, la capacità di vedere il valore all’interno di oggetti che non sono esseri umani. Quindi spostare, allargare la categoria del valore, per ciò che ha valore, innanzitutto sugli animali e questo è naturalmente più facile per tutti coloro che tra noi hanno un animale in casa o hanno buoni rapporti con cani e gatti che sono ovviamente quelli con i quali abbiamo più immediatamente a che fare. Quindi si tratta di riconoscere che questi animali hanno valore, ma la cosa fondamentale è capire che hanno valore per se stessi, non hanno valore strumentalmente ai nostri obiettivi: un gatto mi può piacere solo perché mi piace accarezzarlo e provo un piacere quotidiano o cose del genere. E quindi, il modo in cui mi rapporto è strumentale, lo stesso può valere per il cane, a maggior ragione con altre categorie di animali che entrano nella nostra catena alimentare: tutti i volatili a cominciare dai polli, le vacche, i maiali, tutti coloro, tutti quegli animali che finiscono per trovare posto sulle nostre tavole. In tutti questi casi il valore sembra essere solo strumentale quindi nel momento in cui riconosciamo il valore in se stesso negli animali, molto ne consegue rispetto ad azioni che dovremmo intraprendere sia a livello pubblico sia anche a livello individuale come già stavamo provando a dire la volta scorsa. Quindi “biocentrismo” significa riconoscere il valore intrinseco agli animali ma anche al resto degli esseri viventi, chiamiamolo, in termini generali, ecosistema o i vari ecosistemi che comprendono tutte le piante che vivono in una foresta o in una zona costiera o in tanti altri ambienti perché gli ecosistemi sono tanti e diversificati. E, come vi avevo già accennato, Aldo Leopold con la cosiddetta “Land Ethic” (Etica della terra) già, allora, già a metà del secolo scorso cercò di introdurre questo punto di vista con l’idea di preservare l’integrità e la stabilità e la bellezza della cosiddetta comunità bionica. Questo significa un tipo di visione filosofica che non è più individualista, centrata sul singolo essere umano ma del benessere comunitario. Ora, il “comunitarismo” è una posizione teorica all’interno della filosofia politica, cioè venuta fuori intorno agli anni ’80 soprattutto in reazione al liberalismo di quel filosofo americano famoso che io ho nominato precedentemente cioè Rawls. C’è stato un lungo dibattito fra i liberali diciamo individualisti e i comunitari.ù I comunitari sono quelli che, per farla molto breve, molto succinta, danno importanza anche alla comunità, al bene comune come qualcosa che è indispensabile al vivere insieme e che quindi la filosofia politica non può trascurare. Si tratta di un dibattito che ha radici abbastanza risalenti. Se Rawls si può ricollegare a quegli autori che la maggior parte di voi dovrebbe aver studiato a scuola, si può legare al modello kantiano che quindi è, Kant è uno dei precursori del liberalismo, sicuramente i comunitaristi hanno come punto di riferimento Hegel. Quindi la visione di morale e di etica, diciamo di etica per semplificare, legata a una comunità contro i principi universalisti Kantiani che Rawls riprende. E, con la visione di Leopold, abbiamo un’idea comunitaria però espansa, non più soltanto gli esseri umani ma una comunità biologica cioè una comunità che include anche altri esseri viventi. E in questa comunità gli esseri umani sono membri così come lo sono gli altri e tutta la terra, in senso molto ampio, si può dire. In questa prospettiva si pone un altro approccio che è stato molto famoso, molto usato nei tempi più recenti rispetto a Leopold, cioè quello del filosofo norvegese Arne Naess, il cosiddetto “deep ecology movement” o “dem” che era forse un po’ più radicale anche rispetto a Leopold. Basava la propria visione del rapporto con l’ambiente su una sorta di olismo ontologico, cioè una visione totalizzante dell’essere, però anche egalitario rispetto a tutte le creature viventi, non ha assegnato posizioni di superiorità agli esseri umani rispetto alle altre creature. Quindi veniva fuori un’idea di un “io ecologico” al di fuori adesso della filosofia pratica dell’etica, andando più verso la metafisica, un “io ecologico” che è comune ad alcune tradizioni che già esistevano, era una cosa già fatta nella nostra civiltà cioè il buddhismo ed alcuni tradizioni induiste. Naturalmente la posizione metafisica che in qualche misura è opposta rispetto alle ideologie dominanti, abbiamo detto l’antropocentrismo, quindi particolarmente difficile sul piano motivazionale per attrarre le persone. E qui diciamo che rappresenta una posizione del dibattito ma una posizione, direi, di nicchia. L’ETICA DELLE VIRTU’: vizi e sprechi Un altro approccio che cerca di tracciare, in qualche misura, una via di mezzo, è L’ETICA DELLE VIRTU’. L’etica delle virtù, potete immaginate bene, non è niente di nuovo all’orizzonte perché chi di voi si ricorda qualcosa dell’etica antica studiata a scuola con Platone e Aristotele, l’etica delle virtù discende direttamente da quella visuale filosofica ed è stata a lungo viva nella nostra cultura. Tanti nel periodo della Romanità, ci sono tanti autori che si richiamano alle virtù concepiti in modo parzialmente diverso. Nel medioevo il più grande autore, che rivedremo un po’ più nel dettaglio, che l’ha rielaborata è stato Tommaso d’Aquino e ancora fino a non moltissimo tempo fa era l’approccio morale dominante, diciamo fino all’introduzione alle grandi teorie morali moderne cioè l’utilitarismo da un lato (che vedremo con Bentham) e la teoria morale kantiana. Con le virtù quindi vediamo l’attenzione per il carattere del singolo; quindi, da questo punto di vista sembra essere una teoria puramente antropocentrica, ci interessiamo del singolo agente umano e soprattutto l’etica delle virtù si focalizza sul carattere della gente e sull’eccellenza nello svolgimento delle attività che sono caratteristiche della vita umana. “Eccellenza” che viene direttamente dal termine greco che traduciamo come “aretè”, in greco era, l’abbiamo poi tradotto come “virtù”, ma era l’idea di eccellenza nel senso più ampio che riguardava non solo le virtù morali. E tutto questo va pure nella direzione dell’idea di questa idea a cui vi ho già introdotto di “Human flourishing” , cioè il benessere inteso come, diciamo, la vita buona, il ben vivere degli esseri umani al di là della visione limitata di benessere che è dominante nella nostra società che viene invece dall’approccio economico e utilitarista per dall’idea di semplice soddisfazione delle preferenze. L’idea del ben vivere ha in sé qualcosa di più, ha qualche parametro oggettivo che per esempio è dato proprio dall’esercizio delle virtù. E l’etica delle virtù ha tanti aspetti in parte, vedremo, sarà parte di Aristotele, ma dal punto di vista ambientale ci sono degli aspetti cruciali che dovrebbero essere più coltivati di quello che sono e cioè la possibilità di affrontare i vizi della sostenibilità, vizi umani che rendono difficile la sostenibilità ambientale, quali sono: innanzitutto il materialismo, il dare tanta importanza per il nostro benessere, alle cose materiali quindi a procurarci sempre nuovi oggetti il che significa sempre nuove produzioni che naturalmente vanno a trarre delle nuove risorse dall’ambiente. L’avidità. L’avidità è un tipico vizio nella etica aristotelica e lo è stato fino ad oggi: se voi pensate non vi sto parlando di nozioni che rimangono in polverosi libri di filosofia che nessuno usa più, l’avidità è per noi un vizio oggi come lo era per i greci di 2500 anni fa. Quando diciamo che qualcuno è avido non gli stiamo facendo un complimento, l’avidità è il vizio rispetto alla virtù della giustizia, è il vizio di eccesso, il voler prendere più, come diceva Aristotele, più di quello che ci spetta in un quadro con le sue complicazioni di divisione delle risorse, e avidità rispetto all’ambiente perché come potete immaginare significa voler avere sempre di più, per farvi un esempio banale, il problema dei danni dei consumo uno dei quali è dato dall’abbigliamento. Voi direte, l’abbigliamento è un problema ambientale? L’abbigliamento crea un problema ambientale quando ci sono infinite quantità di tessuti e di abiti che vengono prodotti nel mondo quasi sempre molto superiore la quantità rispetto alla domanda per cui si arriva poi ad averne un eccesso che bisogna smaltire. La dissipatezza, l’intemperanza sono virtù che hanno a che fare con il corretto uso delle risorse, col modo in cui noi ci rapportiamo a risorse che sono necessarie per il nostro ben vivere. Bere e mangiare sono due attività che non possiamo evitare però già gli antichi sapevano che questo può essere realizzato in eccesso o in giusta misura o anche per difetto anche se questo è più difficile. Cioè, coloro che rinunciano a tutto nella nostra società, se pensate, all’anoressia, quello è un caso di intemperanza per difetto mentre la bulimia è esattamente il contrario. E, per finire, ma stiamo dando una disamina a sprazzi, la miopia della scelta ha a che fare con le virtù fondamentali dell’etica delle virtù o con il carattere che affronteremo con Aristotele più nel dettaglio, cioè la “ fronèsis” o “ saggezza pratica”. I saggi sono sempre stati dall’antichità a oggi coloro che sapevano scegliere in modo opportuno, nelle società del passato ci si rivolgeva di più a queste persone per avere un consiglio o un parere in casi complicati di scelta. La miopia della scelta significa non scegliere in modo, per esempio, tale da economizzare sulle risorse sprecandole o in tante altre occasioni in cui possiamo finire per avere un impatto sull’ambiente che è superiore rispetto a quello che potremmo avere con più attenzione. E questo è soltanto l’ambito ambientale in cui si può esercitare questa virtù che, a differenza delle altre che ho appena accennato in parte, non è che nel carattere della virtù intellettuale. La saggezza pratica è una virtù intellettuale che si può accomunare ad altre cose, la competenza professionale, che Aristotele chiamava “tecnè” e ha vari significati ma la “tecnè” originaria dà un’idea di competenza professionale ma anche artigianale in un certo ambito. Quindi abbiamo in generale un’idea di benessere materialistico che trascura la dimensione spirituale. A proposito di vestiti prodotti in eccesso, non so quanti di voi hanno familiarità col fatto che miglia glia di tonnellate di vestiti sono usati e provenienti dai paesi più ricchi come Stati Uniti, Europa e parte dell’Asia, vengono gettati in un’immensa discarica illegale in un deserti cileno, il deserto di Atacama. Qui avete una foto. Il deserto di Atacama è un luogo estremamente arido del pianeta con le precipitazioni inferiori a 3mm all’anno, la temperatura oscilla tra i 5° di notte e 30 ° di giorno, pochissimi abitanti, ecosistemi molto delicati e minacciati da questa enorme discarica di rifiuti che se vedete anche la foto satellitare riesce a mostrare per quanto è enorme e alta. Quindi al momento ci sono 40.000 tonnellate e tende ad aumentare sempre di più e tra l’altro molti di questi tessuti sono sintetici, creati dalla plastica e rilasciano sostanze inquinanti. Si tratta non di materie inerte che stanno per eliminare ma si tratta di qualcosa che alla lunga porta a peggiorare la sopravvivenza tra gli ecosistemi e probabilmente a terminarla. Ma la cosa più grave non è quello che succede dopo, ma quello che è successo prima perché per creare tutti questi tessuti ci vuole energia, ci vuole spesso acqua. La produzione di ciascun jeans, per esempio, richiede un enorme numero di litri d’acqua, una quantità d’acqua che non ci verrebbe istintivamente di pensare. E se questo viene moltiplicato per l’enorme quantità di produzione che c’è annualmente per vestire le persone, potrete capire che spreco di acqua si fa e in questa situazione abbiamo la quantità di risorsa completamente perduta perché i rifiuti sono persi. Altri problemi vengono dall’uso di olio di palma anzi dall’abuso di olio di palma, forse qualcuno di voi ha sentito perché l’olio di palma non si produce…vedrete un breve filmato che ha a che fare con la condizione delle foreste indonesiane dove si trova questo tipo di scimmie e per piantare gli alberi di palma per la produzione di quest’olio che, per altro, non è assolutamente necessario. (video)… E questo era per mostrare uno dei tanti problemi derivanti dal fatto delle produzioni umane. Le virtù che si possono richiamare per fare fronte alle situazioni di degrado ambientale e che quindi devono essere virtù che riguardano un comportamento umano sono quelle della temperanza, della saggezza ma anche l’umiltà. L’umiltà può sembrare più difficile, più stana da accettare ma umiltà significa non dare di se stessi un’immagine inferiore a quella che è ma al contrario sapersi presentare per il proprio valore e non pretendere di essere di più e di raggiungere obiettivi più elevati a discapito di altri e quindi accettare con consapevolezza il proprio valore all’interno della società e, in questo caso, all’interno di un mondo molto più ampio che comprende tutta la natura. L’ordine naturale è da guardare con rispetto così come le altre persone, insegnamento che ci viene da Kant, filosofo del rispetto umano. Dell’intemperanza vi ho già parlato, bisogna consumare soltanto le risorse necessarie; di ragionevolezza trovate un accenno, ne parleremo molte altre volte, ragionevolezza sarebbe un modo più contemporaneo, più ampio di vedere la cosiddetta saggezza pratica per raggiungere delle scelte che possono confliggere con i valori ambientali e quindi si tratta di accettare per esempio le generazioni future come un altro degli elementi sulla base dei quali dobbiamo prendere le nostre scelte. La ragionevolezza entra i valori, tra cui dobbiamo scegliere, una scelta può essere ragionevole o irragionevole. Una scelta, per fare un esempio, che pregiudica completamente le possibilità di sostentamento almeno in una certa area di generazioni future di persone è una scelta irragionevole, così come è una scelta irragionevole quella di distruggere parti della terra, degli ecosistemi, le foreste indonesiane ne sono un esempio, in amazzonia, ce ne sono altre, che sono le cosiddette foreste primarie in buona parte difficili da riprodurre e ripiantare. È impossibile perché ci sono frutti che ci son voluti miglia glia di anni per portarli a quelli che sono oggi, e quindi ragionevole vuol dire saper accettare i limiti a quello che si può fare e si deve fare ecologicamente ed economicamente. Una virtù insolita è la meraviglia. La meraviglia è la capacità di sapersi meravigliare davanti alla bellezza del reale, della natura, a una balena che si incontra in mare aperto, alla grandezza delle montagne, alla maestosità. Si tratta ancora una volta di una virtù che tende a ridimensionare una prospettiva umana fortemente antropocentrica che ignora o trascura ciò che ci circonda. Detto questo, con questa prima lezione abbiamo finito. LE MIGRAZIONI GESTIONE DELLE RISORSE Passiamo ad un altro tema importante ovvero il problema della giustizia sociale in rapporto alle migrazioni che è un problema molto contemporaneo, lo vedete in tutte le cronache quotidiane nella discussione continua che se ne fa anche in politica ed è un problema che necessariamente va considerato e dobbiamo fare una riflessione. È un problema che come già vi dicevo incrocia varie aree della filosofia pratica, diciamo che il suo cuore è della filosofia politica ma inevitabilmente è collegato a temi della filosofia del diritto e dell’etica e quindi ha una interdisciplinarità. Ad affrontare questo problema si arriva partendo dalle teorie della giustizia sociale, teorie della giustizia sociale che nascono essenzialmente come teorie della giustizia distributiva che si pongono l’obiettivo di distribuire le risorse comuni di una società e quindi di distribuire quanto va a chi, che cosa deve essere distribuito a chi e secondo quali criteri, questo sarà essenzialmente il problema fin dai tempi di Aristotele che fu il primo a tracciare i connotati della giustizia distributiva. Però questa prospettiva è stata in parte modificata dalle teorie più recenti nell’ambito della filosofia politica che si sono rivolte a un altro problema cruciale, che viene ancora oggi molto trattato da vari filosofi politici, cioè il problema della cittadinanza. E qui il problema astrattissimo per chi deve avere cosa e in che misura viene modificato attraverso l’idea dell’appartenenza a una comunità politica. Quindi è il cittadino che nel momento in cui si accetta che un presupposto del funzionamento di una qualsiasi teoria della giustizia sociale ossia la cittadinanza allora è ai cittadini che si rivolge, innanzitutto, la giustizia sociale. Pensate, per essere più concreti, al Welfare. Voi sapete che vivete in uno stato di Welfare, in uno stato sociale, uno stato in cui ci sono non perfettamente funzionanti, qualcuno può obiettare ma comunque ci sono (a differenza di altri stati), dei benefici che vengono ai cittadini sulla base dei cosiddetti diritti sociali della Costituzione Italiana. Per esempio l’educazione gratuita per tutti fino a un certo livello di istruzione, la sanità pubblica, il sistema di sanità pubblica che consente a tutti sebbene con tutti i problemi e le difficoltà di una macchina statale che non è esattamente funzionante, che in certe regioni che va peggio rispetto ad altre, ma comunque c’è a fondo il principio di garantire a tutti la tutela della salute e questa non è certamente una cosa scontata: ci sono dei paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, in cui la sanità è soprattutto basata sull’assicurazione privata. Chi non ha l’assicurazione privata perché non se la può permettere entra in seria difficoltà nel momento in cui si ammala. E quindi tutto ciò per dire cosa, l’importanza della cittadinanza. E allora, se dall’essere cittadino dipende l’entrare nei meccanismi della giustizia distributiva, vedete quanto importante sia decidere sui criteri per assegnare la cittadinanza. Va detto tra parentesi che questo problema Rawls che ha scritto “una teoria della giustizia” nel 1971, ovvero oltre 50 anni fa, il problema neanche se lo poneva perché non c’era questo problema delle migrazioni così come si è sviluppato e cresciuto nei decenni seguenti, In Europa così come negli Stati Uniti, voi sapete che uno degli argomenti più forti che è in mano a uno dei due candidati alla presidenza americana, Donald Trump, è proprio quello di fermare l’immigrazione illegale, clandestina essenzialmente perché il problema discusso è quello. Nel momento in cui uno stato decide che ci sono certe soglie annuali per l’entrata di migranti per ragioni economiche, come ci sono anche in Italia, quelli vanno bene. Il problema sono quelli che cercano di entrare clandestinamente e adesso vedremo perché questo è un problema. E quindi dal passaggio dalle teorie della giustizia distributiva alle teorie della cittadinanza, passaggio che avvenne soprattutto negli anni 90 del secolo scorso, avvenne già uno spostamento di focus importante. Questo spostamento ha avuto poi un ulteriore slittamento nel momento in cui il problema essenziale di fronte a delle società sviluppate, è stato quello delle migrazioni. E’ un problema che dipende da un fattore fondamentale cioè i numeri, non è un problema astratto di filosofia, sono i numeri dei migranti che richiedono l’accesso nei paesi dell’unione Europea, degli Stati Uniti per l’ONU che genera la reazione che spesso è una reazione negativa come abbiamo già notato, come sapete, dal crescere (per chi segue un po’ di politica) della visione tra i partiti soprattutto populisti di destra. Le misure sono eccessive e spesso però in questa visione si dimentica che ci sono anche dei benefici portati dagli immigrati e cioè il fatto di svolgere dei lavori che sono di solito rifiutati dai nativi, per esempio, di coloro che arrivano soprattutto nei nostri territori del meridione (in Puglia in particolare) per le raccolte stagionali a cominciare dalla raccolta dei pomodori o anche di altri ortaggi o comunque di frutta. E le migrazioni per comprendere il fenomeno vanno anche intese chiaramente come parte di un ampio processo di globalizzazione. Naturalmente, globalizzazione significa dire che tra i tanti temi, tanti problemi, le cose non possono più essere affrontate nel senso di singola società o singolo stato. Nel senso che ogni Stato è così interconnesso a tutti gli altri globalmente, pensate alla quantità di merci che si sposta quotidianamente da una parte all’altra del globo, tante volte anche merci che si potrebbero produrre in loco, si potrebbe ridurre il trasporto perché i trasporti hanno dei costi e, in termini di inquinamento, piuttosto gravi. E allora che si mangi un arancio prodotto a Turi anziché in Marocco fa qualche differenza. Che cosa causa questo problema dei numeri, cioè il fatto di vedere tanti immigrati che vengono caratterizzati da fattori che li fanno immediatamente riconoscere? Innanzi tutto, il colore della pelle, la religione, la differenza di religione, quindi, usi che spesso sono diversi, ovviamente una cucina diversa ma questo è secondario. Il fatto di percepire socialmente una differenza può provocare reazioni diverse perché fra di noi ci sono abitudini naturali molto diverse: ci può essere quello che ha più piacere a interfacciarsi con persone molto diverse da sé stesso e ci possono essere quelli che, credo sia in fondo la maggioranza, che tendono a preferire le relazioni e rapporti con persone più simili a sé. D’altra parte, tutti finiamo per crescere in certi contesti, finiamo per avere famiglia, amicizia che ci instaurano in un certo modo anziché in un altro. Questo complesso sociale può accettare un certo grado di differenza al suo interno ma non può essere tale da minacciare la disgregazione di questo complesso sociale in cui viviamo altrimenti subentra una sensazione di insicurezza. E quella percezione sociale che abbiamo appena accennato sembra provocare in effetti una minaccia alla sicurezza, alla giustizia, alla stabilità della propria società. Nonostante le percentuali degli immigrati rispetto alla popolazione nativa, c’è un tasso di reati compiuto che è sproporzionato e nelle carceri c’è un numero di immigrati sproporzionato solitamente rispetto al numero complessivo alla loro percentuale. Questo porta ad a rafforzare la convinzione che ci sia un problema nell’accogliere tanti immigrati senza dire poi dell’altro grande problema che ha a che fare con il tema della giustizia sociale col quale siamo partiti e cioè molti di questi immigrati, o quasi tutti una volta che arrivano, se sono ammessi alle condizioni di fruire dei benefici dello stato sociale, sono ammessi naturalmente alle scuole, anzi devono essere integrati a scuola soprattutto i figli degli immigrati. Ma questo ha un costo e a maggior ragione quando si tratta del servizio sanitario nazionale. Ora, tutti questi costi sono normalmente pagati dalle tasse che i cittadini pagano. Se questi benefici sono infusi anche a persone che quelle tasse non le hanno pagate e che magari, non avendo trovato ancora un lavoro, non sono in grado di pagarlo neanche nel presente, chiaramente vedete che il malcontento può aumentare perché, si dice, “io pago le tasse e le tasse servono per curare uno che viene da paesi lontanissimi, con cui non ho nulla in comune, con i quali né conosco e con la cui religione neanche abbiamo un rapporto” come spesso succede. INCLUSIONE E INTEGRAZIONE Quindi, la domanda generale da porsi, come vedete nelle cronache, nelle nostre notizie, a livello dell’unione europea, è “quanti immigrati l’unione europea può reggere?” “Qual è il peso delle migrazioni che possiamo reggere come unione europea?” Ci sono Stati che hanno deciso dall’inizio di stringere i freni e ridurre questo afflusso a cominciare dall’Ungheria. Altri nei quali l’afflusso è meno problematico sono Stati nei quali la spinta a destra si sta manifestando più pienamente a cominciare dalla Francia, dalla Germania, l’Olanda. L’Olanda è un piccolo Stato rispetto agli altri dell’UE ma è anche uno di quelli più ricchi e più efficienti, ha una storia che ne ha determinato un’apertura, una flessibilità agli immigrati fin dall’inizio perché in Olanda, non so se sapete, da molto tempo prima rispetto ai problemi attuali, c’è stato un grande afflusso di immigrati nel momento in cui gli olandesi hanno rassegnato le dimissioni rispetto al proprio impero. Gli olandesi possedevano grandi colonie in Indonesia e gli indonesiani a lungo sono stati a stretto contatto con gli olandesi che vivevano lì, avevano un grande rapporto con la madre patria più continuo, molti parlavano l’olandese e, nel momento in cui si è verificato il distacco e l’Indonesia è diventato un Paese indipendente, a molti Indonesiani è stato consentito di scegliere se andare a vivere in Olanda anziché rimanere nel proprio Paese. Questo tipo di immigrati, che tra l’altro viene qualificato in modo diverso rispetto agli altri, rappresenta un elemento costante del paesaggio in Olanda. E quindi, questo è sicuramente entrato a determinare il tipo di approccio che è poi stato trasferito anche nell’UE. Ora però, se guardiamo concretamente all’immigrazioni attuali e a quelle potenziali, c’è stato qualche anno fa un importante agenzia che si occupa di queste cose che sostiene, sulla base delle interviste fatte, che il 38% di coloro che vivono nell’Africa sub sahariana, al di sotto del Sahara, e il 21% degli abitanti del nord Africa e del Medio Oriente vorrebbe emigrare permanentemente soprattutto in Europa per condizioni disagiate perché ci sono tanti problemi nei diversi ordini che affliggono queste popolazioni. Il che però significa centinaia di miglia glia di persone e naturalmente nessun sistema economico e sociale è in grado di sopportare un afflusso del genere. Vedete che la necessità di limitare gli afflussi dei migranti è indispensabile per le nostre società. Uno dei problemi che sorge dalle migrazioni è quello di assimilare gli immigrati. E’ un problema abbastanza recente per noi ma che i Paesi nati dall’immigrazione come sono stati innanzitutto gli Stati Uniti, il Canada e altri, sono Paesi che si sono posti il problema dell’assimilazione e dell’integrazione degli immigrati già da secoli e si sa che gli USA sono l’esempio più o meno riuscito di integrazione degli immigrati, ma ci sono stati tempi nei quali, forse molti di voi sanno, anche gli italiani che arrivarono nella fine dell’800 e inizio del 900 avevano problemi intanto a essere ammessi, poi a essere integrati perché venivano discriminati dalla maggioranza più o meno anglosassone degli americani già residenti. Questo però avveniva tra persone che avevano sviluppato rapidamente una comunanza sul piano religioso, si parlava di cattolici e protestanti, però comunque i cattolici italiani già trovavano altri cattolici in USA, gli olandesi, per cui questo rendeva più facile la loro assimilazione. E il problema è quello di affrontare la crescente intolleranza dei Paesi di destinazione e di rispondere alla domanda di questa intolleranza in parte potrebbe trovare delle risposte anche nella domanda se gli immigrati portano maggiori benefici o maggiori oneri sul piano economico. Ovvero, se il loro lavoro contribuisce in positivo al benessere della società o al contrario le loro richiese, per esempio sul piano sanitario, finiscono per appesantire il nostro bilancio. Nel secolo XIX di cui parlavamo prima, nel 1800, soprattutto in relazione a quegli Stati che ho appena citato, si riteneva che gli Stati avessero diritto illimitato di accettare o rifiutare gli immigrati, non c’era nessun principio morale o di giustizia, non si riteneva che questi principi potessero essere vincolanti per gli Stati e soprattutto non c’erano norme di diritto internazionale; invece, adesso ci sono soprattutto rispetto ad alcune categorie di immigrati. E gli immigrati diventano un problema con i numeri che crescono di molto oppure quando i luoghi abitati sono considerati desiderabili per ragioni economiche, morali o razziali. Si diceva ad esempio in passato in USA che si doveva limitare, quasi a bloccare, gli immigrati di origine cinese per ragioni di moralità o anche semplicemente perché si trattava di una razza diversa da quella della maggioranza e quindi non in grado di integrarsi bene. In ogni caso il principio che presiedeva a trattamento di questi immigrati è che non erano gli Stati a doversene occupare. Il singolo stato non doveva mettere a disposizione per gli immigrati risorse o strumenti, ciascun immigrato arrivato per esempio sul suolo americano o canadese doveva poi guadagnarsi da vivere di per sé, doveva farcela da solo e questo ha portato a catene di relazioni e aiuti che dipendevano dai legami di clan, di provenienza, le “little Italy” che sono sparse ancora oggi in tante città americane o le “China Town” dipendevano dal fatto che gli immigrati, avendo una provenienza in comune, religione ecc, si volevano aiutare tra loro. Oggi però abbiamo qualcos’altro, abbiamo delle convenzioni dei diritti umani che limitano molto il diritto degli Stati di rifiutare i migranti e in particolare i rifugiati, i cosiddetti rifugiati politici, per i quali gli Sati, soprattutto quelli europei, sembrano avere un vincolo all’accettazione. E una volta entrati in uno stato liberale come quelli dell’UE, i migranti beneficiano dei trattamenti concessi alle minoranze culturali perché poi, quel dibattito di cui ho accennato prima sulla cittadinanza, ha avuto un esito favorevole soprattutto alle minoranze culturali, ha portato a quella visione del rapporto tra maggioranza e minoranza chiamata multiculturalismo: l’idea che più gruppi culturali possano convivere all’interno di una stessa società cercando ciascuno di conservare il proprio stile di vita, i propri valori, le proprie credenze religiose. Questo ha portato nel tempo a molto conflitto tant’è vero che la maggior parte degli studiosi che si occupano di queste cose ci portano a pensare che il multiculturalismo ha fallito nel proprio intento, multiculturalismo che si poneva come un’alternativa all’idea di integrazione e assimilazione allo Stato di accoglienza che era stata la modalità prevalente nel secolo precedente, quello per esempio degli USA. E a questo punto, nel momento in cui si accolgono tanti immigrati, in un modo o nell’altro arrivano, anche se alcuni con lo status di illegali ma finiscono per rimanere per la difficoltà dei meccanismi di espulsione, una delle domande è se una liberal-democrazia che si regge sulla base dell’eguaglianza dei cittadini, se una liberal- democrazia possa accettare la presenza di persone con uno status inferiore a quello di cittadino, cioè residenti non cittadini. Il problema del conferimento della cittadinanza sulla base di quale principio? Sapete che quelli principali sono lo “ius soli” (il diritto di acquisire la cittadinanza del paese in cui si giunge o almeno per un certo periodo di tempo) e lo “ius sanguinis” (più restrittivo perché dice che la cittadinanza si può trasmettere solo ereditariamente, se ce l’hanno i tuoi genitori tu come figlio la acquisisci, altrimenti no). E’ chiaro che il dibattito continua ad andare avanti perché i partiti di destra tendono a essere più restrittivi rispetto a quelli di sinistra e centro-sinistra. Ora, l’argomento che viene sempre portato avanti per enfatizzare gli immigrati sta nella necessità di estendere i diritti a tutti coloro che risiedono in un certo Stato, di avere benefici di diritti indipendentemente dal fatto che uno sia cittadino o no. L’argomento meno consueto, che non tanto si discute, è l’argomento delle responsabilità, dei doveri che ciascun cittadino deve accettare per essere parte di una comunità politica. I diritti da lungo tempo c’è una sorta di inflazione, si parla di tante categorie di diritti, diritti che spetterebbero a chiunque entro certi limiti però si tende solitamente in queste visioni a non ricordare che se ci sono diritti ci sono anche doveri. Il diritto come concetto necessariamente richiede un dovere in una o più persone. Se noi diciamo, per usare una categoria assai controversa, che tutti hanno diritto alla salute, cioè al trattamento terapeutico quando è necessario da parte dello stato, ci deve essere qualcuno o qualcosa che ha un dovere verso queste persone e naturalmente in questo caso si tratta dello Stato, ma lo Stato può avere il dovere entro i limiti di budget perché i servizi sanitari sono costosi ed ecco che questo genera il conflitto perché bisogna cercare di assicurare che i diritti alla sanità siano garantiti per coloro che possono stare come cittadini nello Stato non per qualsiasi essere vivente sulla terra perché nessuno Stato sarebbe un problema di rendere effettivo quel diritto. La necessità di accettare le responsabilità e doveri, i test che alcuni Paesi effettuano per cercare di integrarli, per renderli partecipi dei doveri di una certa comunità politica, lo fanno un po’ tutti i Paesi per esempio test relativi alla conoscenza della lingua, alla conoscenza della storia di un certo Paese, e alcuni Paesi possono essere più stringenti di altri, tutto questo però porta anche a capire un’altra cosa e cioè l’importanza della legislazione per le nuove generazioni che arrivano in un certo Paese l’importante è educarli sotto tanti profili di educazione base ma di educarli anche politicamente i nuovi arrivati che spesso arrivano da Paesi in cui non c’è la liberal-democrazia, non c’è rispetto reciprocamente e qui di c’è una difficoltà di base soprattutto per le persone adulte per le quali è più difficile una riconversione. E questo è uno dei problemi chiave sul tappeto rispetto all’accettazione degli immigrati nelle liberaldemocrazie. Quali sono allora per riassumere i problemi principali posti dalle migrazioni: 1. L’integrazione sociale dei migranti nei Paesi riceventi, punto primo, devono essere supportati, non è possibile accogliere tanti immigrati e lasciarli in una situazione di abbandono, di tali differenze culturali che non si riesce ad avere un dialogo comune. 2. In secondo luogo, la sostenibilità economica dei nuovi arrivati, e questo è un problema soprattutto dal punto di vista del Welfare sociale ovvero dobbiamo garantire le prestazioni dello stato sociale perché quelle prestazioni costano e quindi nel momento in cui si accolgono nuovi immigrati ci deve essere un semplice conto economico posti i benefici. 3. Infine, il problema della identità culturale: il multiculturalismo sosteneva che in uno stato liberaldemocratico ci può essere una grande disparità di identità culturali tutte diverse tra di loro possano convivere nel momento in cui si accettano nei minimi presupposti. Ma l’esperienza degli ultimi decenni ha portato a conclusioni diverse cioè all’idea che il multiculturalismo solo in minima parte può essere accettato, è necessario poi che vi sia un’identità culturale che il Paese ricevente deve trasmettere ai nuovi arrivati perché ci deve essere comunanza, quanta più comunanza c’è all’interno di uno stato (comunanza nel senso di valori, opinioni, credenze religiose e non) tanto più ci sarà condivisione e disponibilità da parte della popolazione a condividere anche certi costi che si devono affrontare in convivenza. Quindi l’identità culturale è qualcosa che dovrebbe essere preservato e questo, per farvi una valutazione a piè di pagina, è un elemento che Orbán, presidente ungherese, può spendere quotidianamente a favore della sua visione fortemente restrittiva per poter conservare l’identità culturale del popolo ungherese che dal punto di vista numerico è non una popolazione molto grande ma, poi vedremo. TESI FILOSOFICO-POLITICHE ALLA BASE Quali sono, a livello filosofico-politico le tesi principali in gioco? 1. La prima è quella più direttamente liberale che discende direttamente, o almeno alcuni sostenitori dicono discenda, dalla filosofia morale kantiana, la filosofia universalista. E’ l’idea del COSMOPOLITANISMO, ovvero il libero movimento delle persone tra un stato e la tesi dei confini aperti, cioè uno Stato non dovrebbe porre barriere al passaggio delle persone da uno Stato all’altro. È quello che per un certo periodo si è cercato di realizzare nell’UE con la cosiddetta “Area Schengen” e che ancora adesso in realtà consente di passare dall’Italia alla Francia senza un controllo alla frontiera del passaporto o tutto il resto come in passato. O meglio, questo avviene con qualche limite perché poi alla frontiera qualcuno che vi guarda passare, le guardie frontiere ci sono. Se la macchina è carica di persone di diverso colore che non appaiono essere molto italiane, anche se questo può essere discriminatorio perché adesso ci sono ovviamente anche italiani di colore, però comunque vieni fermato e ti chiedono i documenti. Quindi nell’area Schengen in qualche misura questo si realizza, però i cosmopolitanisti dicono “no, questa frontiera aperta dovrebbe sussistere ovunque. Gli Stati non hanno un diritto di chiudere i confini”. Ovviamente è una tesi estrema, radicale che non trova molti sostenitori. 2. L’altra tesi che tende nella direzione opposta è quella del NAZIONALISMO LIBERALE o COMUNITARISMO, due tesi che sono per alcuni aspetti vicine e per altri no ma comunque vanno nella direzione di invece riconoscere le frontiere degli Stati e ritenere che ciascun Stato abbia diritti e doveri che riguardano i propri cittadini e quindi le frontiere devono essere controllate, devono essere chiuse o aperte a seconda di quello che si vuole decide. E se ora parliamo di queste problematiche nel quadro della norma europea e ci mettiamo nelle vesti di quello che siamo, cioè cittadini europei oltre che cittadini italiani, dobbiamo organizzare la discussione sul cosiddetto “pilastro europeo dei diritti sociali” dal quale deriva un certo corredo etico e politico. Non so se qualcuno di voi ha avuto mai a che fare con questi grandi principi europei. Il pilastro europeo dei diritti sociali è molto apprezzato nella dimensione della tutela soprattutto delle categorie più deboli e qui vedete una serie di principi che ne fanno parte: l’alloggio e assistenza per i senzatetto, accesso ai servizi essenziali, l’inclusione delle persone con disabilità, l’assistenza sanitaria, il reddito e pensione di vecchiaia, il reddito minimo di cui si discute continuamente in Italia, le prestazioni di disoccupazione, inclusione sociale, assistenza all’infanzia, ma anche un ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato se pensate a tutti i problemi che abbiamo, tanto per fare un esempio, con l’ILVA di Taranto, l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare che spesso non è così garantito, il dialogo sociale, il coinvolgimento dei lavoratori, parità di genere insomma, si tratta di una serie di importanti principi che non hanno trovato una piena attuazione ma che rappresentano una direttiva di marcia dell’UE e diciamo un quadro di pensiero che mostra comunque rispetto ad altre aree nel mondo un avanzamento di filosofia sociale del WELFARE dell’UE. Direi che è un quadro che, aldilà dell’UE, quindi aldilà del singolo Stato rappresenta una concretizzazione in dettaglio dei principi di giustizia di cui parlava Rawls già all’inizio degli anni 70 che erano diretti soprattutto a garantire e a tutelare i più deboli, i più bisognosi, “quelli che stanno peggio” diceva lui. LA PERCEZIONE DEL PROBLEMA OGGI Che percezione abbiamo del problema? Di qui poi finiamo e continueremo domani. Da un lato abbia i mass media che trasmettono continuamente immagini, adesso forse in misura un po’ minore, ma per tanti anni ci sono arrivate immagini di grandi situazioni di necessità, di sofferenza da parte dei cosiddetti “boat people” cioè coloro che arrivano in Italia e soprattutto in Italia meridionale con barchini che spesso affondano lungo il percorso, trasportati da trafficanti senza scrupoli naturalmente questo genera quanto più queste immagini. Questo è il potere su cui vale la pena soffermarsi un secondo, il potere di persuasione dei mass media, soprattutto il potere dell’immagine perché l’immagine ha la capacità retorica che anche mille parole contro un‘immagine non hanno. E vedere quelle immagini ovviamente faceva nascere in tutti noi qualche sentimento di pietà, di compassione, la necessità di aiutare queste persone. E questo tipo di percezione del problema, quindi, nasce anche da ciò che vediamo, da ciò che sappiamo perché le nostre informazioni, ciò che riceviamo in parte determinano la nostra comprensione di certi problemi. Naturalmente coloro che remano nella direzione opposta cercano di mettere in evidenza gli aspetti negativi, aumento nel numero dei reati, quindi, non voglio dire ingiustizie, ma dalle visioni più o meno legate al centro-destra si sono sempre viste più immagini, più fatti relativi ai problemi legati agli immigrati. Problemi relativi, ad esempio, all’assegnazione delle case in cui si creavano competizioni. Il famoso slogan di Salvini “prima gli italiani”, ma c’è anche la considerazione di questo genere. Naturalmente le destre hanno più facilità nel diffondere il proprio messaggio laddove c’è più distanza religiosa, culturale, colore della pelle diverso, un senso di estraneità rispetto ai nuovi arrivati. Ora, non so se siete consapevoli di quello che è successo in Polonia a partire dall’inizio della guerra ucraina- russa. Molti immigrati dall’Ucraina in Polonia si sono recati per avere una vita più tranquilla, per timore di essere bombardati, soprattutto a Kiev dove nella prima fase arrivavano i missili, o comunque ci sono i carri armati russi. Quindi tantissimi sono emigrati in Polonia. L’accoglienza dei polacchi rispetto ai vicini di casa più o meno simili per religione, anche se i polacchi sono più cattolici e gli ucraini sono più ortodossi, il colore della pelle è lo stesso, la lingua almeno in certe parti della Polonia e in Ucraina occidentale c’era scambio, voglio dire, c’erano alcuni dettagli da rendere più facile l’integrazione. E questa in buona misura si è verificata, si sta verificando laddove (avete visto con me l’altro giorno cosa succedeva ai confini tra la Bielorussia e la Polonia laddove si è cercato di far entrare illegalmente ovvero forzando i confini mettendo in difficoltà le strutture polacche, tutto quel grande numero di migranti che arrivavano dai Paesi lontani del Medio Oriente se non ancora più lontani. Questo aspetto della integrazione di un paese a seconda di un tipo di emigrati è qualcosa che dovremmo sempre prendere in considerazione. E questo, per concludere, lo dico anche se pensate all’associazione delle minoranze culturali negli USA dove i neri non erano immigrati come lo sono quelli di cui parliamo oggi, erano schiavi portati con la forza che se ne sarebbero stati tranquillamente nei loro Paesi. Ma l’integrazione, in oltre 200 anni di storia, è ancora lontana dall’essersi realizzata, moltissimi problemi continuano a sorgere per conflitti frequenti che ci sono tra la maggioranza bianca e alcune minoranze di colore, alcune soprattutto in alcune parti degli USA.

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