Etica della Professione Docente PDF

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Questo documento esplora l'etica della professione docente, analizzando la pedagogia sociale e il contesto scolastico. Vengono discussi i compiti degli insegnanti, le normative educative e le teorie pedagogiche sottostanti. Il documento si rivolge a docenti o futuri docenti.

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ETICA DELLA PROFESSIONE DOCENTE 02.10.2024 Bibliografia - Moscato, Maria Teresa, Diventare insegnanti. Verso una teoria pedagogica dell'insegnamento. Brescia: Scholé,...

ETICA DELLA PROFESSIONE DOCENTE 02.10.2024 Bibliografia - Moscato, Maria Teresa, Diventare insegnanti. Verso una teoria pedagogica dell'insegnamento. Brescia: Scholé, 2020. - Damiano, Elio, L'insegnante etico. Saggio sull'insegnamento come professione morale. Assisi: Cittadella editrice, 2007. Quali sono le questioni pedagogiche più importanti che riguardano il mondo della scuola? Il rapporto con i genitori, la relazione educativo maestro-allievo, inclusione, centralità del bambino nell’apprendimento, divergenze. Il contesto di riferimento è la pedagogia generale e la pedagogia sociale poiché è un corso in cui si intrecciano l’identità professionale e il rapporto con le famiglie. Il percorso è articolato in tre fasi: 1. Identità epistemologica della pedagogia della scuola 2. Una pedagogia dell’insegnamento 3. La dimensione etica della professione docente In che senso studiare pedagogia? Studiare la pedagogia come disciplina, e studiarla come scienza presenta delle somiglianze e delle differenze. Con scienza s’intende un insieme ordinato e coordinato di leggi e teorie, atto ad interpretare e conoscere un aspetto della realtà umana e naturale, particolari fenomeni e avvenimenti, rilevarne l’origine e seguirne lo sviluppo. Con disciplina s’intende una scienza (o parte di essa, o un insieme di scienze), in quanto oggetto di insegnamento sistematico, con valore “formativo” per la mente professionale e la costruzione dell’identità culturale di una persona. La pedagogia, per gli educatori, formatori e insegnanti, si configura come una disciplina, che entra nel percorso formativo in vista della costruzione di una “cultura professionale” capace di abbracciare anche la dimensione educativa, ma anche come scienza, in quanto richiama i costrutti fondamentali del vostro sapere professionale specifico (mente professionale, criticamente consapevole). Per decidere come usare una disciplina, si deve avere più di un’idea di come funzionano le scienze sottostanti ma devo aver ben chiaro anche il quadro scientifico di come funziona la pedagogia. Lombardo Radice afferma: “si può definire una disciplina come un interiore conformarsi dell’alunno alla legge che sente viva ed operosa nel maestro, o meglio: la formazione di una legge di vita, che si genera nella coscienza del maestro e dell’alunno, nell’atto della loro comunione che è l’educazione”. C’è una disciplina interiore, è una forma mentis. La pedagogia sociale La pedagogia sociale si caratterizza per tre punti focali: a. Analisi delle condizioni socio-culturali che caratterizzano l’educazione à che cambiano nei diversi tempi e luoghi, in quanto l’educazione dipende da un milieu socio-culturale in cui prende forma la Paideia di riferimento (oltre alle condizioni concrete con cui si può svolgere). b. Lo studio delle responsabilità educative dei diversi attori sociali à tenendo conto che esse possono essere codificate in modo esplicito attribuite per consuetudine, o i soggetti stessi possono assumerle in modo autonomo. c. L’educazione alla socialità à a scuola si incrocia con l’educazione civica (dal 1958). In una molteplicità di sensi, che possono andare dalla cornice in cui prendono forma le azioni educative, ai modi con cui ci si pone il problema dell’educazione dei cittadini in quanto tali. 1 La pedagogia sociale fa riferimento a: - soggetti e contesti educativi o formali à pedagogia della scuola e le sue tre macroaree: § il mandato istituzionale e la sua missione è quella di educare o di istruire? § i grandi bivi pedagogici: individualizzazione/personalizzazione; etica della professione docente (identità del docente) § come leggere pedagogicamente le scelte educative e didattiche: la sfida delle competenze (ne esistono tre modelli: costruttivista, cognitivista e comportamentista), della valutazione, dell’orientamento. Si deve lavorare affinché le sfide burocratiche non annullino le sfide educative o non formali o informali - a delle raccomandazioni e orientamenti (UNESCO, OCSE, UE, raccomandazioni competenze) o Ocse ogni anno pubblica un rapporto con degli indicatori in cui si dice qual è lo stato di salute delle politiche economiche dei paesi che aderiscono all’ocse. Mediamente in Italia solo il 3% è investito in riceda, educazione e sviluppo. Tra i vari indicatori si vanno ad indagare le competenze di base dei ragazzi di 15-16 anni attraverso l’indagine ocse-pisa. Qui si entra nella pedagogia della scuola - temi emergenti 03.10.2024 Struttura epistemica della pedagogia Si configura come una scienza pratica (nel senso aristotelico*) che affonda le proprie radici in una dimensione teoretica e si apre al contributo delle tecniche. Si tratta di un sapere per agire, o meglio per decidere come è meglio agire (in senso educativo) in un contesto educativo. È una scienza pratica che si basa su una teoria di tipo antropologico (che comprende una rappresentazione dell’umano e dell’educativo). Ogni prospettiva pedagogica ha una teoria di riferimento che offrono delle chiavi per usare le tecniche *Aristotele distingueva le scienze in: a. scienze teoretiche: rispondono alla domanda come stanno le cose? Attraverso criteri rigorosi (filosofia, astronomia, ecc.) b. scienze pratiche: aiutano a decidere cosa fare in una determinata situazione e il perché. A questo punto si decide come comportarsi. Per Aristotele, erano pratiche l’etica e la politica c. scienze tecniche: rappresentano il come si fanno le cose, ovvero sapere come governare l’azione per ricavare un prodotto (fabbri, idraulici che hanno competenze di tipo tecnico) Ciò che caratterizza proprio la pedagogia sociale, è l’identificazione dei compiti di tutti i soggetti (individui e enti) che abbiano o possano assumere delle responsabilità educative, il che – nello specifico nel contesto odierno – aggiunge notevole complessità. L’etica professionale del docente è una parte della pedagogia dell’insegnamento. Per una pedagogia della scuola come contesto formale La scuola ha à una forma istituzionalizzata: vi è una società (storicamente determinata e politicamente rappresentata) che ne determina la missione, il funzionamento, chi può frequentarla, il reclutamento dei docenti, ecc. à Si caratterizza per la “secondarietà”, rispetto alla vita quotidiana: un luogo fisicamente e simbolicamente distinto da essa, con un sapere “riflesso” e sistematizzato. à Ha tempi lunghi e distesi, sia per consentire itinerari formativi complessi, sia perché si configura come una condizione esistenziale 2 à Ha una cultura di riferimento che comprende (anche implicitamente) una visione del modo e della cultura, come si coglie molto facilmente se ci poniamo in prospettiva storica. Elementi per una pedagogia della scuola Nel suo libro, Moscato propone dei brani di Bruner in cui definisce la scuola: “la scuola è l’ingresso alla vita della ragione. È certamente vita essa stessa, e non mera preparazione alla vita; tuttavia è uno speciale tipo di vita, accuratamente programmato al fine di sfruttare al massimo quegli anni ricchi di possibilità formative che caratterizzano lo sviluppo dell'homo sapiens e che distinguono la specie umana dalle altre. La scuola non dovrebbe quindi limitarsi ad assicurare una semplice continuità con la società che l'attornia o con l'esperienza quotidiana. Essa è quella particolare comunità in cui si fa l'esperienza di scoprire le cose usando l'intelligenza, ed in cui ci si introduce in nuovi e mai immaginati campi di esperienze” La missione (bivio) della scuola è: a. educare attraverso l’istruzione: l’educazione della persona che cresce è il fine, l’istruzione offre l’insieme degli strumenti culturali che permettono di raggiungere tale fine b. garantire l’istruzione: il compito della scuola è garantire l’istruzione (a tutti e di qualità), l’educazione è compito di altri soggetti, alla scuola compete far apprendere modelli e strumenti per l’interpretazione della realtà à su questi temi gli insegnanti potrebbero avere idee e sensibilità diverse Una linea chiara e costante della normativa -DPR 503/1955 (scuola elementare): il fine dell’istruzione primaria è di «assicurare alla totalità dei cittadini quella formazione basilare della intelligenza e del carattere, che è condizione per un’effettiva e consapevole partecipazione alla vita della società e dello Stato» (…) «questa formazione, anteriore a qualunque finalità professionale, fa sì che la Scuola primaria sia elementare in n solo in quanto fornisce gli elementi della cultura, ma soprattutto in quanto educa le capacità fondamentali dell’uomo» -L. 1859/1962 (scuola media): la scuola Media Unica, obbligatoria e gratuita «concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva» -DM 9/1979 (scuola media): «la scuola media risponde al principio democratico di elevare il livello di educazione e di istruzione personale di ciascun cittadino e generale di tutto il popolo italiano, potenzia la capacità di partecipare ai valori della cultura, della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo» -DPR 275/1999 (autonomia scolastica): «l’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana» -L. 53/2003 (norme generali): «al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia (…) sistema educativo di istruzione e di formazione» -DM 254/2012 decreto delle Indicazioni Nazionali. Si educa per mezzo dell’istruzione, mettendo al centro la persona nella sua articolata identità (approccio personalista, non materialista). «Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali. La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi». 04.10.2024 Da “Diventare insegnanti – Moscato” Il ruolo delle teorie implicite nella professionalità degli insegnanti – Bruner Quando si entra in classe, secondo Bruner si hanno: àuna teoria della mente, ovvero sapere ciò che potrebbe o dovrebbe accadere nella mente dei bambini, anche a fronte delle sollecitazioni didattiche dell’insegnante (anche la teoria delle intelligenze multiple di Gardner). 3 àInoltre, ciascuno di noi possiede una teoria dell’educazione poiché si deve educare secondo una mission; tale teoria è una rappresentazione delle modalità con cui si struttura il camino di crescita di una persona (nelle diverse stagioni della vita) e quindi di come determinati temi culturali ed esperienze formative potrebbero risultare significative per i vari allievi (sul piano esistenziale) àinfine, si ha una teoria dell’insegnamento, ovvero una rappresentazione di alcune strategie comunicative o metodologiche di insegnamento che si ritengono efficaci. In generale, si cerca di riprendere insegnamenti che ci sono stati impartiti in passato, oppure insegnanti che hanno lasciato un segno à aiuta a prestrutturare la personale teoria dell’insegnamento. Tutti possiedono queste tre teorie, anche a livello implicito, ma vie anche un livello delle rappresentazioni dell’insegnante e dell’insegnamento à essere si sono strutturate a livello culturale, alcune sono più potente a cui le persone possono fare riferimento. «Vorrei adesso affrontare l’analisi delle rappresentazioni della professione docente, nella convinzione che tali rappresentazioni (ad onta della loro immaterialità) intervengono concretamente nel percorso di formazione alla professione, perché agiscono sulle aspettative, sugli orientamenti e sulle motivazioni, e per conseguenza sulla riorganizzazione progressiva dell’immagine di sé in rapporto al ruolo professionale» La rappresentazione culturalmente più radicata nella nostra cultura fa riferimento ad alcune figure mitiche (archetipi): a. il maestro esprime la pienezza di una funzione sapienzale, rivelatrice, depositaria di conoscenza e promotrice di verità (es.: Gesù, il grillo parlante) b. l’archetipo della Guida, lungo il cammino della vita e della conoscenza (es.: Virgilio, Bernardo di Chiaravalle e Beatrice di Dante) à metafora di un cammino spirituale, salvifico. Il cammino terreno ha tre fasi: consapevolezza del peccato e la capacità di detestarne le conseguenze, sensibilità ad alcuni vizi e tentativo di liberarsi di essi. c. la nutrice esprime il prendersi cura affettuoso, la conoscenza profonda (es.: Euriclea nell’Odissea) e il “potere umanizzante” di tutto questo [mi importa di te perché so chi sei e perché ci tengo] d. la figura del giardiniere sottolinea il senso della cura, l’autonomia dell’autonomia delle persone affidate, la varietà e la diversità Esistono anche figure storiche, ovvero immagini culturali che rappresentano l’insegnante: a. l’intellettuale colto che affonda le proprie radici nella cultura classica, rinascimentale e illuminista b. il custode delle tradizioni che può fare in modo che l’eredità del passato giunga anche ai bambini e ai ragazzi d’oggi c. il Vestale della classe media esprime la critica post-sessantottina al ruolo sociale delle insegnanti (femminilizzazione della professione) in funzione conservatrice (custodi della classe sociale media) d. il custode dell’utopia che aiuta le giovani generazioni a rinnovare sé stessa e, grazie al potere liberante della cultura, la società e. l’educatore del popolo che promuove un riscatto sociale, pone un argine alla marginalizzazione (Pestalozzi, Lombardo Radice, Don Milani) à tutti coloro che hanno pensato che, attraverso l’educazione, si potessero recuperare i bambini ai margini della società f. il promotore di opportunità che apre nuovi orizzonti, aiuta a valorizzare i talenti Genesi della “mente professione” di un insegnante Come prende forma la mente di un insegnante? Attraverso le esperienze compiute in qualità di allievi, ovvero tutto quello che abbiamo sperimentato con i rispettivi sentimenti negli anni di scuola e che sono divenuti i nostri modelli. La persona che apprende e che cresce è costantemente “esposta” ai modelli utilizzati dai propri educatori e insegnanti, ne colie indirettamente pregi e limiti rispetto alle proprie aspettative implicite. La seconda fonte sono le letture e i percorsi culturali (a livello formare, informale e non formale), che comportano il contatto con costrutti e categorizzazioni concettuali che vanno a costruire progressivamente la trama consapevole della mente professionale dell’insegnante. 4 La terza fonte sono le prime esperienze sul campo à l’aspirante insegnante opera un’ulteriore sistemazione della sia mente professionale attraverso il confronto con una “competenza in situazione” che prende forma progressivamente, si confronta con i colleghi e viene verificata in termini di successo/insuccesso. 09.10.2024 PER UNA TEORIA PEDAGOGICA DELL’INSEGNAMENTO Differenza tra due concetti essenziali, proposta da Moscato: - Educazione: un processo di interazione protratta per il tempo dell’età evolutiva, fra un soggetto giovane immaturo ed un certo numero di adulti significativi che si affiancano nella relazione con lui, al fine di promuoverne l’autonomia personale per cui possa considerarsi matura e adulta àconquista dell’autonomia della persona in quanto persona: è una qualità speciale? - Formazione: un processo più ampio, che si innesta sull’educazione già avvenuta per cui l’adulto nell’arco di tutta la vita esercita l’autonomia per continuare a prendere forma indirizzando la propria umanità in direzioni che considera desiderabili rispetto al proprio sistema di motivazioni e valori. àpersona è pienamente responsabile di quello che fa anche con l’aiuto altrui L’educazione dura tutta la vita? In realtà è la formazione, in cui chi se ne occupa ha una certa responsabilità. (Distinzione che ha senso nella lingua italiana, ma non c’è corrispondenza in inglese.) Nella nostra cultura e società non abbiamo riti di passaggio all’età adulta, come avviene in altre culture. La linea di demarcazione in cui si cessa di essere ragazzini e si entra nel mondo degli adulti è culturalmente e socialmente incerta. Si tratta di considerazioni consolidate nella tradizione pedagogica, che - negli ultimi decenni - si sono dovute confrontare con il mito dell'educazione permanente, che si è trasformato «da utopia pedagogica propositiva a categoria di lettura generalizzata ed infine a diffuso luogo comune», sottintendendo una rappresentazione sociale in cui tutti educano tutti per tutta la vita... o più semplicemente una confusione ricorrente tra educazione e formazione (o, più specificamente, istruzione, tanto è vero che si parla - giustamente - di lifelong learning). «Ma se tutto è educazione, la specificità dell'educazione in senso stretto viene negata, e la sua percezione si eclissa nell'immaginario sociale, o viene censurata (nella sua specificità) come indebita». La prima cosa che si fa nei contesti formativi è il patto formativo. Con i bambini invece non si può, bisogna lavorare sulla motivazione per fargli fare anche quello che inizialmente non vorrebbe. L’insegnamento intenzionale: qualsiasi atto umano che intervenga per modificare l’esperienza di un altro essere umano, sia anticipandola, sia controllandola, sia mediandola, sia rendendola consapevole. Non bisogna trasmettere niente, i bambini non sono vasi da riempire, il maestro deve avere una funzione ministeriale perché l’intelletto passa dalla potenza all’atto nell’apprendere. La conoscenza non si trasmette, ma si rigenera (Bruner). Attività esperienziali e laboratoriali devono essere fatte dai bambini, l’insegnante facilita e controlla, ma soprattutto aiuta gli allievi a renderli consapevoli e a riflettere sull’esperienza. Nella didattica trasmissiva si pensa di anticipare un’esperienza sulla quale poi si spera che si rifletta. Per Plutarco gli allievi sono fuochi da accendere, non vasi da riempire. L’insegnamento intenzionale presuppone l’esperienza diretta e c’è una minima forma di controllo. Ma l’insegnamento non si limita a controllare e addomesticare, ma anticipa e canalizza l’esperienza. 5 Competenze pedagogiche di un buon insegnante: competenza comunicativa - Capacità di mediazione culturale: temi culturali non solo “riverbalizzati” ma anche ripensati in termini tali da individuarne il valore formativo, trovando le trame di senso non solo per noi, ma che siano significative anche per i bambini - Intenzionalità comunicativa: radice più profonda della competenza comunicativa, è una costellazione di abilità e conoscenze interconnesse. Ciò che emerge in primis si coglie dal tono della voce, dalla postura, dallo sguardo e dagli atteggiamenti. L’insegnante non è lì per sé, ma ciò che ha da dire ha senso solo se ha senso per i bambini. - Trovare le parole per dirlo: modo di parlare che rafforza il messaggio dell’intenzionalità comunicativa. Ogni insegnante ha in mente un concetto appoggiato alle parole che userebbe per dire quella cosa a sé (parola interna), ma nel momento in cui lo comunica ad altri, cerca di tradurre l’idea dalle parole che direbbe a se stesso nelle parole più sensate per gli allievi che ha davanti in quel momento. È la capacità di smontare e rimontare il percorso cognitivo per adattarlo ai mondi narrativi di altre persone. - Reggere il rischio del fallimento della comunicazione: l’insegnante cerca di monitorare sempre le dinamiche comunicative, è normale che a volte si inceppino. Prova a comunicare in modo autonomo quando ha l’impressione che la comunicazione sia fallita, chiede se riesce a farsi capire ma non colpevolizza mai gli studenti se non capiscono. - Tenere la scena: competenza complessa, comprende la capacità di tenere un pubblico ed essere sempre esposti (non solo al giudizio dei bambini ma anche di genitori e colleghi), ma anche la capacità attirare e mantenere l’attenzione. - Ascolto attivo: si trova sempre nell’ambito di una più ampia competenza comunicativa, ma ne costituisce la pre- condizione interattiva delle abilità diagnostiche e prognostiche dell’insegnante. Nasce da un atteggiamento di interesse verso l’argomento e la persona con cui si comunica. Quest’attività suppone la concentrazione di un’attenzione diligente verso i segnali verbali e non verbali dell’altro e comporta la creazione di uno spazio di silenzio interno in cui collocare senza pregiudizio ciò che viene ascoltato, nel contesto di una relazione empatica à le tecniche di supporto (riverbalizzazione, parafrasi, ecc.) hanno senso e si collocano in una postura di ascolto autentico e autenticamente radicata nel saper essere un insegnante. La postura non giudicante serve a capire come stanno le cose, nel rapporto 1:1 l’ascolto attivo funziona bene. - Saper “contenere”: l’insegnante ha il ruolo di “contenitori esterni” (regole, punizioni, premi, aspettative), e poi anche di “contenitore interno” (simbolico, che aiuta gli allievi a delineare i confini dell’io e ciò che si sentono autorizzati o meno a fare. Quando vi è una situazione di disagio, il primo atteggiamento è quello di contenere la situazione e la persona, a volte fisicamente, anche attraverso l’abbraccio. Valore certificativo delle valutazioni; nell’ambito professionale si è creato terrore non motivato per il contrario del premio, ovvero la punizione. Quando si comunica, si possono dare carezze positive e negative (in modo diretto ed indiretto), è necessario che alala persona giungano sempre carezze positive, le carezze negative devono essere sul compito, atteggiamento o comportamento, non sulla persona. Una carezza negativa al compito e due positive verso la persona Altre competenze sono: - Avere un approccio riflessivo, ponendosi delle domande - Capacità di stare in gruppo e fare gruppo sia con i colleghi sia con i bambini - Capacità di osservazione - Empatia ed ascolto - Capacità di comunicare - Flessibilità e capacità di adattamento alle situazioni 10.10.24 Le abilità nascoste degli insegnanti Le competenze pedagogiche dell’insegnante si traducono e si incarnano in alcune skills più specifiche, che sono essenziali per una buona gestione della relazione educativa: 1. Valutazione di tipo diagnostico à vi è la valutazione diagnostica, proattiva e formativa. Si può affinare questa competenza se si abita bene la dimensione. Si innesta nella competenza comunicativa, anche nella capacità di scomporre e ricomporre i dinamismi si apprendimento propri delle diverse discipline per riuscire a “diagnosticare”: 6 - Le ragioni di eventuali difficoltà di apprendimento - Punti di forza, talenti specifici, altre intelligenze - La postura mentale con cui ogni studente abita l’esperienza scolastica in genere e le diverse discipline in particolare 11.10.2024 2. il colloquio orale (interrogazione)à si innesta nella competenza comunicativa, soprattutto in rapporto alla capacità di creare un clima proattivo e positivo, ma anche di saper “leggere” gli stati emotivi e le strategie comunicative degli studenti. È importante riuscire a stimolare gli allievi in modoc che possano dare il meglio di sé in tutte le situazioni. È importante anche valorizzare i percorsi compiuti nei contesti educativi non formali e informali, offrire stimoli per approfondire e individuare le proprie passioni personali. Vi sono tre variabili rilevanti: - essere in grado di gestire il contesto emotivo che si genera durante la prova perché vi è sempre più difficoltà, da parte dei ragazzi à la soluzione non è l’eliminazione della fonte di stress altrimenti non si preparano gli alunni. - Essere autentici nella propensione migliorativa 3. Il lavoro di gruppo e lo studio di caso à si tratta di due tecniche di lavoro (didattico) che però suppongono una “postura mentale” e una competenza relazionale molto profonda Scuola e relazionalità didattica La scuola è ingresso nella vita della ragione ma anche il luogo in cui l’insegnamento intenzionale massimizza i suoi sforzi e interpreta la propria missione sociale, che si traduce in un patto di cittadinanza. Vi sono due grandi famiglie metodologiche: a. Metodi trasmissivi: che mirano a pilotare le strutture cognitive attraverso la proposta di oggetti simbolici pre- selezionati. La lezione rende l’interlocutore più passivo se non si fanno intervenire dei correttivi (dare feedback, porre domande), oppure non si interrompe per dare gli strumenti per interpretare. Se ha degli intermezzi narrativi che permettono di visualizzare i concetti in un ambiente concreto consente una maggior durata nel tempo dell’apprendimento. Bisogna cercare di fare in modo che la mente sia attiva e preparata a ciò che si andrà a dire b. Metodi attivi: che mirano ad indurre processi cognitivi, scoprire leggi, porre domande nuove, cercare soluzioni (possibilmente generalizzare e trasferire gli esiti del percorso). Si possono usare solo facendo appello a ciò che i bambini hanno già dentro di loro, non si possono attivare su quello che ancora non sanno à sono metodi costosi L’opinione generale pensa che si debbano potenziare solo i metodi attivi, poiché mettono al centro la persona, mentre quelli trasmissivi no. Invece, si possono usare entrambi in base agli obiettivi da raggiungere e al contesto in cui ci si trova à il sapere non si trasmette ma si rigenera perciò passa attraverso l’azione didattica. Tra programmazione per obiettivi e progettazione per competenze Il nodo problematico riguarda i modelli psicopedagogici impliciti al odo con cui ciascuno lavora per competenze (modello comportamentista, cognitivista e costruttivista) per le ragioni per cui ci si accosta all’uno o all’altro. Negli ani ’60 vi era il programma da seguire La programmazione nasce negli anni ’70, Il modello psicopedagogico dominante era la programmazione curricolare per obiettivi à esigenza di tipo normativo (trasparenza) Nel 2007 e 2012 si passa dalla programmazione personalizzata alla nascita nelle indicazioni nazionali à competenze attese dedotte dalle indicazioni (si ritorna alla programmazione per competenze). In veneto, il modello più diffuso è quello di Franca da Re, piuttosto ingessato con molte competenze attese definite a priori con descrittori uguali per tutti à è possibile per le scuole dell’autonomia scegliere liberamente il metodo da utilizzare ma deve essere motivato da ragioni metodologiche e didattiche. 16.10.24 7 Perché non si può avere il concetto di educazione permanente? Vi sono variabili diverse in gioco: - Idea dell’educazione che ognuno ha: a seconda della nostra idea dura tutta la vita o meno. Una prima distinzione è quella fra educazione e qualsiasi forma di addestra, entro che si traduce in un tipo di apprendimento a scopo formativo e per educazione intendiamo in generale il farsi carico della crescita integrale della persona in quanto persona e in tutte le sue dimensioni. Addestramento: miro solo ad alcune caratteristiche. Attenzione, si possono avere delle necessità di tipo addestrativo per tutta la vita (es. usare uno strumento). Educazione: la persona intera Però si potrebbe dire che io per tutta la vita devo prendermi cura di me come persona per tutta la vita e non c’è motivo che l’educazione così definita abbia un termine. - la responsabilità in capo a chi è: è l’elemento discriminante. Io ho un prima e un dopo rispetto alla conquista della prerogativa fondamentale della persona in quanto tale che è la piena capacità di intendere e di volere, cioè considero una persona libera e pensa che appartiene alla comunità che sono tali per natura (si potrebbe essere privi momentaneamente di alcune capacità). Prima che sia raggiunta il cammino educativo ha una responsabilità forte in capo all’educatore. Dopo averla acquisita, il contributo che si può portare può essere ragionevolmente vagliato dalla persona stessa (se si fa qualcosa di quello che dice o meno). Si introduce così una differenza di tipo qualitativo e di denominazione: formazione - educazione - addestramento (anche se quest’ultimo per gli animali). Per distinguere questa differenza di qualità, userò: ® educazione come tipo di supporto che cerco di dare alla conquista della piena maturità di una persona che non ne possiede; ® formazione è il contributo che posso dare anche alla crescita globale di una persona che è pienamente capace di intendere e di volere. In questo caso non vuol dire che ci si occupa solo degli aspetti professionali. ® Addestramento: sia con persone in età evolutiva sia con adulti Avendo fatto tale distinzione, l’educazione che dura tutta la vita sembra dire “non ci sarà mai una maturità completa della persona nei termini di intendere e di volere” La Moscato individua tre tipi di viaggio educativo: 1. Viaggio iniziatico, di trasformazione: metafora del cammino con cui la persona entra nell’età adulta a partire da una situazione di debolezza (es.: principessa che diventa regina, attraversamento del bosco, matrimonio, viaggio di Pinocchio) 2. Viaggio come odissea o pellegrinaggio: Ulisse che rappresenta le trasformazioni di età adulta in cui uno si mette alla ricerca di sé stesso (lutti, amore, cambiamento). Viaggio formativo dell’adulto che cerca sé stesso 3. Viaggio dell’Eroe fondatore (Abramo, Enea, Mosè): viaggio di età adulta che rappresenta il percorso formativo o auto-formativo della persona adulta che compie una trasformazione per fare qualcosa che lascerà il segno nella vita per la vita gli altri Mentre svolgo il mio lavoro di insegnante, quando scelgo gli strumenti da utilizzare, quanto sono coerente con la mia prospettiva pedagogica? Si dovrebbe compiere delle scelte in relazione alla propria pedagogia. Non avviene sempre tra il dichiarato sul piano delle intenzionalità e sull’agito delle azioni didattiche à dis-sincronia. Ad esempio: 1. l’educazione civica: normativa del 2020 che afferma che in ogni scuola è doveroso avere almeno 33 ore all’anno relative al tema con una valutazione adeguata. Esistono anche tre macroaree in cui si organizzano gli obiettivi: costituzione e istituzioni dello stato, sviluppo sostenibile e la cittadinanza digitale. 8 Si dovrebbe individuare l’anima educativa dell’insegnamento, un tema, un’idea guida che lega, poi si costruisce un progetto educativo che si sviluppa negli anni che sviluppano le tre aree e, quando si valuta, si considera la disciplina a cui hanno partecipato diversi insegnanti à la neutralizzazione di questo progetto è suddividere le informazioni per insegnanti, valutare i singoli insegnamenti e fare la media tra i voti. Questi due modi sono pedagogicamente opposti: nel primo caso si ritrova l’anima del 2. la progettazione per competenza si utilizzano griglie rigide, definite in modo analitico all’inizio dell’anno con descrittori e criteri che si utilizzano per la valutazione, ma se ci si fonda sull’approccio puerocentrico e sulla personalizzazione, questo modo di agire è sbagliato. C’è una schizofrenia pedagogica: quando si progetta a priori, si creano ostacoli, quando invece si presentano piani di lavoro si riesce ad essere flessibili durante l’anno. Dietro c’è un’istanza esigente: quando si fa propria una pedagogia dell’insegnamento, si deve cercare di utilizzare metodologie e strumenti coerenti con ciò che ritengono corretto. Analisi di tipo riflessivo sul percorso compiuto Gli archetipi del maestro e la rappresentazione di sé stessi in classe. L’aspetto più concreto non sono le competenze ma gli archetipi, perché quando si entra in classe si deve decidere chi si vuole essere, nel senso di quale fonte di ispirazione ci guida nel lavoro in aula. Prima di tutto, si deve lasciare fuori ciò che non è necessario, e si deve avere in mente chi si vuole impersonare, ad esempio una guida. I metodi attivi sono i jolly che si utilizzano quando vi è la possibilità e la condizione adeguata à si usa quello che serve per fare bene la lezione, non sono da demonizzare uno o l’altro. 17.10.24 L’INSEGNANTE ETICO Libro di Damiano che viene pubblicato nel 2007, anni durante i quali si era acceso un dibattito sul codice deontologico degli insegnanti (2000-2004). Il ministero dell’istruzione aveva istituito una commissione nazionale che aveva elaborato una bozza del codice deontologico. Lui pone delle questioni sulla pedagogia dell’insegnamento. Il testo si divide in tre parti: 1. insegnare nella società degli individui (NON LA CHIEDE) delinea il senso dell’insegnare nel quadro complesso della società globalizzata e multiculturale 2. l’insegnamento come azione morale: delinea in che senso l’insegnamento è una professione “morale”, in rapporto al sapere scolastico, alla relazione con l’allievo e all’immagine del buon insegnante 3. una professione etica (SIGNIFICATIVA) applica la questione etica alla costruzione dell’identità professionale degli insegnanti in ordine all’insegnamento, alla professionalizzazione, alla formazione etica 2024 legge per istituire gli albi professionali per educatori e pedagogisti che richiede un codice deontologico (non è un ordine professionale ma richiede un codice deontologico) à gli insegnanti non hanno ancora una strada certa. Insegnare nella società degli individui Il primo capitolo del volume di Damiano si colloca sulla linea di confine tra discipline pedagogiche e sociologiche (prima area focale della Pedagogia sociale), si basa su un’analisi della cultura e della società che rispecchia la situazione di inizio millennio (prima della crisi economica del 2008, del COVID, ecc.). La “gioia” del sapere È un tema presente nella letteratura pedagogico-didattica del secolo scorso, ma volendo si potrebbe risalire a San Tommaso D’Aquino à “La gioia è spinozianamente il passaggio da una perfezione minore ad una perfezione più grande, l'altra faccia del lavoro di studiare: una conquista morale” Spesso di fa riferimento ai contenti come saperi, quasi fossero oggetti che si possono trasmettere; invece, la conoscenza non si trasmette ma si rigenera! 9 Tutto ciò che uno impara dovrebbe collocarsi in una condizione di splendore: l’apprendimento è un evento che lascia un segno e dà soddisfazione, non è un’attività sterile. Ciò che uno apprende serve pe orientare e dare senso alla vita delle altre persone, si trovano delle risposte per orientare sé stessi e non si fa solo contento qualcun altro restituendo i saperi. L’insegnante in cerca d’identità In un primo tempo di crisi riemerge il bivio pedagogico tra la funzione di educare e quella di istruire, ma soprattutto tra le principali funzioni che sono connesse al suo ruolo professionale: a. il funzionario che deve assicurare a tutti pari opportunità (nessuno deve restare indietro) b. l’esperto disciplinare che valuta in modo meritocratico, riconosce il merito degli allievi attraverso il riconoscimento del loro profitto c. la persona (educante) che si prende cura dello sviluppo dell’alunno e riconosce il soggetto-alunno e la sua educazione In questo modello c’è lo spazio dell’agire professione, in cui simultaneamente deve esercitare almeno tre funzioni che, spesso non vanno d’accordo tra loro. L’equilibrio non è semplice, a volte prevale una funzione rispetto ad un’altra. Gli insegnanti, perciò, sono chiamati a prendersi cura del benessere degli allievi generando empowerment e resilienza, sono spesso oppressi da una struttura burocratica con dirigenti che si sono sempre più immersi nel ruolo di burocrati. Questo triangolo rievoca lo scenario dei primi anni ’90 in cui si rifletteva sull’identità dell’insegnante. Questa figura, a livello sociale, ha perso prestigio, denaro, prima veniva considerato come intellettuale. L’etica del banco di prova Come si esce da questo immaginario? Burocrati o professionisti? È il grande dilemma professionale in cui è compresa la figura dei docenti. Chi preme nella direzione del professionista (es.: liberi professionisti) punta molto anche sulla deontologia professionale à se si dimostra incompetenza o comportamenti non corretti, non si deve aspettare che qualcuno denunci, perché si può essere deferiti dall’ordine professionale e non si può più esercitare la professione. Dal 2024 è stata aperta una procedura per decidere per scrivere il codice deontologico per educatori ed educatrici (tentativi iniziati nel 2000). Per gli insegnanti non c’è un ordine professionale e nemmeno un codice deontologico à il riferimento era il sindacato ma il comparto scuola non è suddiviso per categorie, ma erano i meno motivati. Tutto ciò che andava a sottolineare un certo grado di autonomia professionale, andava a togliere potere ai sindacati. Il modello dell’insegnante fa paura per la comunità scolastica, perché si è membri co-responsabili, concittadini à la dimensione collegiale della scuola è divenuta importante. Questo approccio del libero professionista viene definito come “imprudente”, perché l’educazione è in bene troppo importante per essere affidato in esclusiva a chiunque, quale sia il suo expertise in materia. A scuola la dimensione etica è anche un oggetto di insegnamento (nell’educazione civica per esempio)à questa dimensione è intrinseca. Nella società degli individui il soggetto si deve autodirezionare, attraverso un’etica riflessiva. L’insegnamento come azione morale L’insegnamento è un’azione morale, a due livelli: 1. nel senso ordinario e scontato perché tutto quello che una persona umana compie liberamente, ha valore morale 2. nel realizzarsi dell’azione didattica ci sono delle esigenze morali intrinseche, per coi non si può concepire un rapporta tra insegnante-alunno-sapere senza considerare la dimensione di cui ciascuno è portatore Per organizzare quello che i pensatori medievali avrebbero identificato come lo “status quaestionis” della definizione dell’insegnamento come azione morale, Damiano riprende il cosiddetto “triangolo pedagogico”, nella versione da lui esposta parlando dell’azione didattica: insegnante, alunni, sapere. Tre grandi idee: 10 1. Ci sono delle proprietà morali nel sapere scolastico à cosa insegnare, la valenza educativa. L’insegnante, mentre si relazione con l’alunno, ha dei doveri etici 2. il tema del “buon insegnante” nel senso che interpretata correttamente l’archetipo dell’insegnante in quanto tale. 3. La relazione con l’alunno Cos’è e come si usa il profilo dello studente? Indicazioni nazionali per il curricolo vs programmi ministeriali à nelle prime mancano le premesse che esplicitano il senso e la chiave di lettura, il valore formativo. Nelle indicazioni, invece, si inserisce il profilo dello studente. Nei piani di studio personalizzati, sono state inserite solo conoscenze e abilità in base al profilo della persona/studente che è tarato in base alle competenze in uscita al primo ciclo. Il profilo in uscita alla scuola primaria o infanzia no è presente, c’è solo quello al termine del primo ciclo che rappresenta una sorta di Paideia dell’istruzioneà c’è scritto quello che deve essere e conoscere al termine del percorso scolastico. Se si ragione in una prospettiva educativa, se si osserva il profilo si individuano le competenze da sviluppare e progettare dei percorsi adeguati. Ciascun traguardo dovrebbe essere calato nelle diverse classi e in base ai diversi profili dello studente. Leggendo il profilo dello studente si capisce che è da leggere continuamente perché emerge una versione olistica del ragazzo di 14 anni, non ha senso prendere pezzetti per il documento della certificazione delle competenze. Una relazione educativa situata Il contesto scolastico p la sua missione determinano le caratteristiche della relazione educativa tra docenti e studenti. Il docente esercita una legittima autorità (in quanto pubblico ufficiale) ed è chiamato a portare gli studenti ad assumersi le proprie responsabilità da tutti i punti di vista. La prima variabile potente dal pdv educativo è la comunità scolastica con una sua struttura, impianto e delle regole e, in quanto vita comunitaria risulta educativa. Si educa anche attraverso la cultura e un insegnamento orientativo. Dall’altra parte, anche gli studenti devono prendersi le loro responsabilità. Il buon insegnante Molti studi su questo tema hanno un profilo di tipo tecnico che fa riferimento a competenze disciplinari valutative e didattiche. L’insegnante è un agente morale non solo perché opera con piena avvertenza e deliberato consenso in un contesto professionale di alta densità di relazioni, ma perché si tratta di relazioni che comportano una serie di responsabilità specifiche: - asimmetria adulto-minore à persona ancora in formazione della quale si è responsabili - necessità di ridurre il più possibile la distanza à L’insegnante non deve perdere l’identità del proprio ruolo, in quanto si perde la leva principale per svolgere il proprio lavoro à si deve riuscire a trovare un equilibro delicato nelle relazioni educative: a un lato c’è un senso di prossimità, dall’altro lato c’è il senso di vicinanza come insegnante mantenendo il ruolo. - la necessità di coinvolgere e motivare le persone libere: si deve essere appassionati per ciò che si trasmette, si deve far propria la cultura che dia l’idea che rende migliore una persona (determinati studi renderanno migliore e arricchiranno lo studente) Vi è un ethos dell’insegnante, che mette in campo atteggiamenti morali come le virtù à la questione della virtù è oggetto di attenzione educativa e elemento di testimonianza vissuta. Una suggestione che viene da lontano: E lo stesso vale per l'autorità esercitata sui fanciulli e per le restrizioni della libertà imposte finché essi non abbiano sviluppato in loro un principio direttivo analogo a quello dello Stato e finché, nell'intimo dei giovani, non siano state, per così dire, passate le consegne di guardiano e di capo alla parte migliore che abbiamo allevato mediante la parte corrispondente che si trova in noi. Solo allora li lasceremo liberi [Platone, La repubblica, 590 e - 591 a). 11 Il paradosso della collegialità (questione che arriva alla fine degli anni ’70) à in prospettiva morale pone diverse questioni che possiamo schematizzare: 1. se la scuola è una comunità educante, dovrebbe avere una paideia condivisa (che ha una dimensione etica e condivisa) 2. spesso i momenti collegiali sono concentrati più su questioni di tipo “burocratico” che di tipo educativo 3. vi è la diffusa convinzione che le questioni etiche sono problemi individuali e personali, su cui non è necessario convergere 4. la stessa relazione tra colleghi ha una dimensione etica e deontologica L’insegnamento si configura come azione morale in senso stretto à i vari elementi che abbiamo ricomposto sinteticamente (le “credenze” con il “potere” che mira ad incarnarle, attraverso cooperazione e negoziato) sono le componenti di un’impresa a carattere morale: quale è l’insegnamento. È nonostante la posto in gioco riguardi dimensioni così coinvolgenti come i valori, ed i principi ai quali ancorarli, l'insegnamento resta in buona misura un'azione morale 'latente', in cui le virtù che pur vengono promosse dagli insegnanti - il rispetto, la gentilezza, la lealtà, la sincerità, il coraggio... - si presentano come “ethos”, frutto prevalente di spontanee scelte personali, piuttosto che di consapevoli orientamenti professionali. Ogni insegnante ha un suo ethos personale che poi gli studenti respirano; esiste anche un ethos professionale che si è sviluppato anche attraverso il percorso formativo fatto. Vi può essere una formazione di tipo emergenziale (es.: nuove normative, educazione civica), di tipo tecnico (es.: media educazione, intelligenza artificiale à riguarda novità, innovazioni, tecniche), di tipo metodologico à È vero che ogni insegnante ha il suo ethos personale che ispira l’etica professionale, però sarebbe bene che questa dimensione sia più universale e condivisa, non basata sull’ethos personale del singolo Sarebbe importante immaginare una formazione etica degli insegnanti in quanto tali. Una professione etica Terza parte del volume in cui si trova la proposta culturale, pedagogica e professionale che caratterizza tutto il volume à si tenta di delineare una vera e propria etica della professione docente. Le proprietà di un’etica dell’insegnamento à le condizioni di possibilità dell’insegnamento sono 4: si tratta di un’azione compiuta con piena avvertenza e deliberato consenso che comporta una mediazione sul piano culturale e su quello relazionale, tramite un negoziato che coinvolge gli allievi e gli altri colleghi nel contesto che è una struttura sociale che a sua volta riceve un mandato sociale dalle leggi della repubblica e può avere una sua identità culturale e valoriale 1. La pedagogia è una scienza pratica in senso aristotelico. 2. L’insegnamento è frutto di libertà di cui sono moralmente responsabile; è frutto di scelte professionali orientate ad un certo contenuto. Ognuno è moralmente responsabile elle proprie azioni, a quali istanze faccio riferimento? 3. L’insegnamento comporta una negoziazione (con la collegialità) che ha valenza etica, questo vale anche per le famiglie. Bisogna andare al di là della questione tecnica, al fine di decidere cosa si può negoziare e cosa no. 4. Inoltre, in classe rappresentiamo la Repubblica, motivo per cui essa attraverso le sue leggi ci attribuisce responsabilità ben precise. Per questo motivo, come insegnanti incarniamo un ethos costituzionale. All’epoca del duce, gli insegnanti dovevano prestare giuramento fascista; alcuni con le leggi raziali sono stati allontanati Il tutto fa riferimento a diversi modelli etici: etica consequenzialista, deontologica, normativa, della responsabilità (pagine da saltare). Il modello etico più funzionale per parlare dell’insegnante etico è quello di responsabilità di Hans Jonas. Etica e libertà L’etica della responsabilità mira ad autenticare l’intrinseca moralità dell’azione di insegnare, nel contesto di una sollecitudine specifica (responsabilità precipua) nei confronti di un “soggetto vulnerabile” in cui l’educazione attraverso l’insegnamento si configura come azione asimmetrica insieme ordinata all’autonomizzazione di un soggetto originariamente 12 incompiuto e, per questo, bisognoso di maturare la propria perfezione umana. Quest’asimmetria genera molte responsabilità con valenza etica. Quest’assunzione di responsabilità si colloca in un contesto in cui vi è libertà d’insegnamento (costituzionalmente garantita), perché la scienza è libera e per la natura stessa di insegnare. Sono doveri di fedeltà al mandato della repubblica e trova un limite nel diritto all’apprendimento da parte degli studenti. Perciò la libertà d’insegnamento deve realizzarsi nel diritto all’apprendimento à il bilanciamento delle diverse istanze è abbastanza complesso che richiede un’accordatura fine anche da parte della capacità riflessiva dell’insegnante. 23.10.24 Triangolo della professione di Damiano: Damiano considera le professioni ordinate, cioè che si organizzano intorno a un ordine professionale e in cui la deontologia è presentata con chiarezza. Un professionista riconosciuto come tale dalla società gioca la propria identità professionale nello spazio delineato da questo triangolo, formato da tre vertici: - sapere tecnico: si intende quello specifico della professione che altri non hanno, che genera una competenza particolare e può essere giudicata solo da chi fa la stessa professione - autonomia: la società riconosce alla professione un’autonomia che permette di realizzare una qualche forma di autogoverno, giudizio solo da chi lo fa di mestiere - etica: la deontologia è lo spazio dentro cui prende forma l’insieme dei rapporti con il “cliente”, in modo che si chieda una cosa specifica. Etica per la professionalizzazione: in una società complessa vi è un numero crescente di professionisti, la cui definizione sociologicamente funzionalista è quella di soggetto che dispongono di un sapere tecnico procedurale (competenze) che li rende autonomi nell’esercizio della propria attività. “è questo nesso diretto tra sapere e autonomia che fa da base alla edificazione di una professione. In questo processo l’etica sopraggiunge come aspetto “derivato”: a titolo di giustificazione dell’autogoverno riconosciuto al professionista e a garanzia del cliente, per proteggerlo dal potere che il professionista, in quanto “esperto” è legittimato ad esercitare su di lui.” Codice deontologico degli educatoriàattualmente ce ne sono almeno 4 o 5 e sono quelli autogestiti dalle associazioni professionali per provare a mettersi avanti. Codice deontologico: Insieme di norma stabilite tra pari, cioè da persone che svolgono quella professione. Damiano sottolinea l’autonomia e l’autogoverno dei professionisti in cui le questioni cruciali sull’identità e l’etica della professione vengano stabilite “fra pari” cioè tra coloro che sono specificamente competenti. Questo sarebbe il modello degli ordini professionali. «la professionalizzazione richiede sicuramente l'autonomia e questa non può essere ottenuta se non attraverso la liberazione dai vincoli impiegatizi che ne denotano da sempre lo status. Ma la stessa definizione del nuovo status professionale non dovrà avvenire per decreto ministeriale, bensì attraverso una opzione decisa all'interno della categoria, in seno alle associazioni professionali degli insegnanti.” Per gli insegnanti non c’è un codice deontologico ma c’è un albo a cui automaticamente si è iscritti dopo un tot di anni. In Italia ci sono associazioni professionali nazionali di insegnanti libere e auto costituite per la cura della vita professionale sulla base di un’ispirazione ideale e una angolatura specifica da cui viene vista la professione. (esempi: Associazione dei maestri cattolici, Associazione CIVI (centro iniziativa democratica italiana) laica, legata al partito comunista, prima associazione è FNISM nata alla fine dell’Ottocento di area laico liberale, LUCIM…). àSvolgono un servizio presindacale, cioè se si hanno bisogno di info ci sono insegnanti esperti che si mettono a disposizione Codice deontologico per gli insegnanti? La questione è complessa ed è stata oggetto di un intenso dibattito nei primi anni del XXI secolo sul modello di quanto richiesto per le professioni “ordinate”, ma anche più recentemente per educatori e pedagogisti. è Servirebbe per il riconoscimento dell’insegnante come professionista. Nei primi anni 2000 vi sono stati dei tentativi in tal senso. Nel 2001 è uscito un libro su codice deontologico, per vedere se si considera la professione docente più simile a quelle delle libere professioni o di tipo impiegatizio. 13 Addirittura, era stato istituito un Gruppo di lavoro sul codice deontologico coordinato da Carla Xodo di Unipd. Malessere tra gli insegnanti di oggi a causa di: - Riconoscimento sociale: una volta era considerato un intellettuale, oggi è un personaggio svalutato. In realtà l’insegnante ha delle responsabilità importanti tanto quanto altre professioni che socialmente hanno più prestigio. - Remunerazione economica: stipendi bassi - Riconoscimento della competenza: tutti si sentono in grado di fare gli insegnanti anche se non ne hanno competenza. Il progetto di un codice deontologico nazionale unico e condiviso per ora è naufragato, ma nulla vieta alle istituzioni scolastiche autonome di dotarsi di tale strumento che avrebbe alcuni indubbi vantaggi: - Favorire una “collegialità effettiva”, non solo in ordine agli obiettivi didattici, ma anche in ordine ai comportamenti concreti di tutti individuando pratiche professionali comuni. (così gli allievi non si atteggiano in un modo con un insegnante e in un altro con un altro docente) - Mettere al riparo da pretese incontrollate dei nostri interlocutori (genitori, dirigenti, studenti) in analogia con lo statuto delle studentesse e degli studenti ® Come in campo medico si parla già di “medicina difensiva” non si può escludere il rischio di una crescente conflittualità* rispetto a cui è bene tutelarsi… anche se è essenziale mantenere il setting comunicativo di quella - che pedagogicamente parlando - chiamiamo “alleanza educativa”. *Sta crescendo il tasso di conflittualità tra docenti e dirigenti ® può essere uno strumento prezioso nell’ambito della qualità che si collega all’autonomia scolastica di RAV, monitoraggio, piani di miglioramento… i punti di riferimento per gli insegnanti sono: ® legge: esige che su alcune questioni, in particolare dove c’è notizia di reato, qualsiasi diritto alla riservatezza viene meno all’interno della relazione educativa (es. se un bimbo mi confida qualche segreto ove c’è un reato) ® consapevolezza pedagogica: mentre il bimbo si propone, l’insegnante ascolta e garantisce la riservatezza, ma se c’è qualcosa di doveroso riferire ad altri, lo farà. ® Team di insegnanti con cui confrontarsi 30.10.24 Ruolo del codice deontologico come ipotesi elaborata dalle scuole Di solito ci si pongono domande di tipo deontologico quando emergono situazioni particolari con genitori e docenti Un “codice deontologico” per gli insegnanti? La questione è complessa ed è oggetto di un intenso dibattito nei primi anni del XXI secolo sul modello di quanto richiesto per le professioni ordinate ma anche per educatori e pedagogisti. Il progetto di un codice deontologico nazionale unico e condiviso è, per adesso, naufragato, ma nulla vieta alle istituzioni didattiche autonome di dotarsi di tale strumento che avrebbe alcuni indubbi vantaggi ® Favorire una collegialità effettiva non solo in ordine agli obiettivi didattici, ma anche in ordine ai comportamenti concreti di tutti individuando pratiche professionali comuni ® Mettere al riparo da pretese incontrollate dei nostri in analogia con lo statuto delle studentesse e degli studenti ® Come in capo medico si parla già di medicina difensiva non si può escludere il rischio di una crescente conflittualità rispetto a cui è bene tutelarsi anche se è essenziale mantenere il setting comunicativo di quella che si chiama alleanza educativa ® Può essere uno strumento prezioso nell’ambito della qualità che si collega all’autonomia scolastica e alle connesse attività di RAV, monitoraggio, piani di miglioramento (documentazioni che servono a monitorare la qualità dei processi) 14 Vi è chi vi vede anche dei punti di criticità nel codice deontologico (obiezioni): ® I principali ostacoli al processo sono stati posti dai sindacati, a partire dalla constatazione che diritti e doveri degli insegnanti sono già ampiamente regolamentati nel contratto, di cui gli stessi sindacati sono parte sociale coinvolta. ® L’idea di insegnante come pubblico funzionario sembra ad alcuni in contraddizione con lo status di professionista autonomo (vi è chi dice “libero professionista”) con un codice deontologico. La carta etica o deontologica Damiano propone una nuova idea, quella di una “carta etica” visto che il codice richiama gli ordini professionali, in questo caso la carta etica appare più neutrale. Per uscire dall’impasse che si è venuto a creare intorno all’idea del Codice deontologico, vi è chi propone una Carta Etica o deontologica. “E se è certamente opportuno che le famiglie degli alunni siano consultati per offrire il loro parere, è essenziale che una carta deontologica sia accettata da tutti i membri della categoria e, per quanto sia accettata da tutti i membri della categoria, essa deve essere concepita come espressione del desiderio di autogoverno degli insegnanti. I curricoli stile Da Re sono di circa 150 pagine (più attenti all’adempimento democratico) à viene scritto stabilmente, non diventa operativamente la fonte del lavoro quotidiano. Altri, più leggeri, invece si aggirano attorno alle 20 pagine (attenti alla progettazione didattica) à spesso è usato come fonte di ispirazione per il lavoro quotidiano. Possono esserci entrambe le modalità, in base all’interpretazione del mandato. Alcune questioni che stanno sullo sfondo 1. Il tentativo di uscire da una condizione impiegatizia che trova riscontro anche nella crescita delle incombenze burocratiche. Il tentativo è quello di spostare il focus dal diritto alla responsabilità professionale (etica/deontologica) 2. Indeterminatezza dei profili del buon insegnante su cui ciascuno ha delle idee. Risulterebbe utile esplicitare i valori attorno ai quali si costruisce l’insegnamento come azione morale à modo in cui l’insegnante si rapporta con i bambini. = variabili di tipo professionale ma anche morali (più o meno corretto, capace di ascoltare) 3. L’insegnamento è una professione pubblica che comporta responsabilità sociali e pubbliche che è bene che siano condivise e quanto più possibile esplicite, anche in vista di una corretta valutazione della sua qualità 4. Rimane aperto il problema della governance di questa autonomia professionale, che attualmente non esiste, in quanto parzialmente frutto di contrattazione tra le parti sociali (ARAN e sindacati). Un ruolo interessante è svolto dalle associazioni professionali degli insegnanti che però si colloca più sul piano culturale. Al governo è presente il consiglio superiore della pubblica istruzione può esprimere un parare consultivo e non vincolante sulla normativa scolastica. Damiano, invece, propone la costituzione di un Consiglio nazionale degli insegnanti con funzioni di autogoverno (non esiste). Dovrebbe determinare le condizioni di accesso alla professione, di rendicontazione pubblica della qualità del servizio prestato e di disciplina dell’esercizio professionale sulla base di una carta etica. Ne emerge un dispositivo concettuale articolato in tre punti in cui la carta etica sarebbe una fonte dell’etica professionale su cui poggiano le indicazioni dell’Amministrazione e l’organo di autogoverno professionale. Valori intrinseci all’azione di insegnare Questi valori sono individuati a partire dalle responsabilità specifiche connesse all’attività dell’insegnante in quanto tale. Se come insegnante ho delle responsabilità, allora ho anche dei doveri morali: a. Sollecitudine per gli alunni e salvaguardia della loro dignità: non solo rispetto ai diritti ma cura etica per la libertà e l’unicità di ciascuno 15 b. La promozione del sapere come occasione di sviluppo personale e sociale con i connessi valori della curiosità intellettuale, gusto della ricerca, costanza nello sforzo, senso critico, rispetto per la verità, onestà intellettuale, rispetto della proprietà intellettuale. Sono persone che hanno diritto di esprimersi e le loro libertà di espressione. Ciò che si fa a scuola deve essere significativo per tutti e per ciascuno. c. La responsabilità nell’uso del potere necessario per insegnare: imparzialità, discrezione ed empatia. Come insegnanti si esercita un potere legittimo secondo giustizia, onestà. Es.: quali sono le valenze etiche della valutazione, quali sono i doveri morali: attribuire una valutazione giusta e coerente (parere oggettivo), considerare gli effetti sull’autostima del bambino, trasparenza, differenza fra la valutazione sommativa e formativa I. In alcuni contesti la valutazione formativa e sommativa non spetta alla stessa persona (conflitto di interessi) II. In certi momenti (fine anno e ciclo) la valutazione sommativa ha effetto formativo perché genera senso di competenza (offre un’auto-percezione/rappresentazione di eccellenza o meno) à la certificazione di competenza genera una responsabilità nei confronti dell’istituzione ma anche di chi viene certificato. La rappresentazione di sé che viene offerta tramite la valutazione, spesso non si prepara i bambini a ciò che accadrà in futuro. Si insegna che un fallimento non è un dramma, ma se non succede come faranno questi bambini ad affrontarlo? Spesso i genitori sono il problema, perché la valutazione degli insegnanti viene messa in discussione d. Fedeltà al progetto sociale (mandato sociale) ovvero istruire, educare, socializzare Qualunque scelta io faccia come insegnante, si devono bilanciare e accogliere le responsabilità che ne conseguono. 31.10.24 Le competenze etico-professionali Sono la deduzione delle competenze corrispondenti ai valori indicati; esse sono: ® Capacità di discernere i valori in gioco nei propri atteggiamenti e comportamenti. ® Capacità di offrire attenzione e cura adeguati agli allievi. ® Capacità di creare un clima adeguato in classe e negli altri ambienti formativi. ® Capacità di giustificare le proprie decisioni professionali in rapporto ai valori di riferimento ® Capacità di rispettare gli aspetti confidenziali del proprio lavoro (dovere di riservatezza. ® Capacità di evitare le discriminazioni, di ogni forma e tipo. ® Capacità di utilizzare saggiamente i regolamenti à sono strumenti per imparare a vivere assieme ® Capacità di discernere e collegare le questioni morali che sorgono sul campo con i grandi temi della riflessione etica ® Capacità di inserire i colleghi, soprattutto debuttanti nel contesto lavorativo à la scuola è una comunità che funziona quando le persone si sentono una squadra ® Capacità di collaborare con i colleghi (collegialità effettiva). ® Capacità di coordinarsi con i servizi educativi e gli altri attori del territorio, elaborando forme di partenariato. ® Capacità di elaborare e valutare il progetto educativo scolastico, in collaborazione con gli altri attori. ® Capacità di collaborare con i colleghi e le associazioni di categoria, per contribuire allo sviluppo professionale degli insegnanti. Nel momento in cui si interpreta il ruolo di insegnante, in realtà, si porta avanti l’immagine di tutta la categoria à col passare degli anni, si noterà qualcosa di cui avranno bisogno le nuove generazioni di insegnanti. L’ipotesi di un consiglio nazionale degli insegnanti Damiano elabora questa ipotesi in coerenza con la proposta culturale presentata. Da non confondere con il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (istituito con Decr. L.vo 297/1994), i cui componenti rappresentano le diverse categorie del personale scolastico (insegnanti, dirigenti, ATA) eletti in liste di fatto governate dai sindacati. Esprime pareri (consultivi) su norme e politiche scolastiche. 16 La competenza etica Per la formazione etica degli insegnanti è essenziale la competenza etica che è una sintesi delle competenze già descritte “e corrisponde a quella del giudizio professionale che si esercita come riflessione sui valori e gli a-priori”. Essa si configura di fatto come un appello ad impegnarsi a vivere un ideale di pratica professionale che comporti l'esercizio continuo di un'attività di giudizio: la riflessività professionale (professionista riflessivo, parte da un testo che introduce delle categorie per analizzare il senso dell’agire pratico) si applica anche alle dimensioni etiche dell'agire docente. La riflessione personale si innesta nella capacità di confrontarsi con la comunità professionale: valori comuni, ethos professionale condiviso. Professionista riflessivo si pone delle domande di tipo tecnico, ad esempio cosa ha funzionato o meno à funziona bene nelle professioni con alto tasso di variabili. Inoltre, il professionista considera gli elementi di tipo pedagogico e pratico ovvero andare ad indagare le tecniche utilizzate. l professionista si interroga anche sul piano etico, ovvero pensare che nella professione ci sia una parte etica che ci spinge a porci delle domande. Se questo spazio è condiviso, si possono confrontare le idee e le risposte a queste domande. «La competenza etica non è una competenza professionale fra le altre, bensì va concepita come il principio integratore della professione d'insegnante». Con quest’espressione di intende che la professione del docente ha la missione di educare attraverso l’istruzione. Sulla base di ciò si hanno in mente degli orizzonti verso cui mirare, orizzonti di umanità desiderabile come punti di riferimento à tutto ciò può funzionare solo se la competenza etica è il principio integratore fondamentale. La riflessione morale è intesa come una capacità di elaborare una riflessione etica «in situazione», tenendo presente che - come già Aristotele suggeriva - il sillogismo pratico non consiste in una semplice «applicazione» della norma al caso singolo, ma in una sorta di «ricerca sul campo» che comporta un insieme ricorsivo di domande eticamente significative, come (ad esempio) quelle indicate da McDonald (cit. in INET, p. 337): 1) identificazione del problema morale, 2) specificazione delle alternative praticabili per risolvere il problema, 3) previsione delle buone e cattive conseguenze di ciascuna di esse, 4) l'uso delle risorse etiche (principi morali, massimizzazione dell'autonomia,...), 5) considerazione delle alternative in vista della presa di decisione. Seguono altri modelli di ragionamento pratico e alcune considerazioni sull'insegnamento dell'etica a scuola (vedi pagine seguenti). L’insegnante etico Come deve essere l’insegnante etico? ® Non deve essere perfetto, ma piuttosto aperto e ricettivo nello sviluppo della sua sensibilità etica, insieme agli altri colleghi ® Non risponde ad un modello uniforme, ciascuno è tenuto ad interpretarlo a modo suo, nella propria unicità delle situazioni ® Si comporta con imparzialità, anche con gli studenti che sbagliano, sempre empatico, sa bene che conto non solo ciò che dice, ma anche il tono con cui lo dice, la gestualità, lo sguardo, ecc. ® Si sforza di proteggere i suoi studenti dall’imbarazzo che possono provare davanti ai compagni, rispetta la loro privacy e la dignità loro e delle loro famiglie ® Restituisce prontamente le prove di valutazione, in segno di rispetto, accurate e con adeguati commenti: il lavoro degli studenti va riconosciuto come il proprio ® Prende in carico i bisogni dei singoli studenti e il benessere generale del gruppo-classe, applicando criteri di uguaglianza e imparzialità, escludendo qualsiasi forma di privilegio ® Evita qualsiasi forma di falsità e inganno tanto nelle relazioni interpersonali, come nella valutazione degli studenti e nell’insegnamento delle discipline di studio. La scelta dei mediatori didattici è accurata e onesta. Inoltre evita ogni forma di attivismo politico e ideologico, con il rischio di imporre agli studenti le proprie opinioni ® Evita di coinvolgere gli studenti in qualsiasi contenzioso per esempio con l’amministrazione scolastica ® Tiene fede ai su stessi principi ed è un testimone credibile nei rapporti con i colleghi, con la scuola, con lo stato. Vive la scuola come una comunità di cui è membro attivo. 17 Un appello ai ricercatori “Non c’è modo da aggiungere, ma è altrettanto essenziale: il compito di esplicitare, e rendere socialmente visibile, il capitale morale prodotto dalla esperienza degli insegnanti va preso in carico anche dai ricercatori e restituito alla categoria degli insegnanti attraverso la formazione iniziale e ricorrente alla professione” 18 L’INSEGNANTE ETICO Introduzione Codice deontologico per gli insegnanti → da una parte la deontologia è parte essenziale della professionalità e, attraverso questa, della riforma autonomista delle scuole; dall'altra la regolamentazione per gli insegnanti rappresenta un elemento di novità. Le reazioni di fronte alla possibilità di ottenere una deontologia per gli insegnanti sono svariate: positività, utopia, demagogia… non compare invece alcun tipo di paura di fronte all’idea di “controllo” (valutazione e sanzione) del proprio operato. Gli insegnanti si distinguono da molte altre professioni: mentre altri mestieri tentano di sottrarsi all’amministrazione pubblica, gli insegnanti sembrano essere scarsamente interessati a sottrarsi all’autorità dello Stato e alla sua amministrazione. Una concezione analoga all’orientamento deontologico espresso dagli insegnanti è rintracciabile nel pedagogista Brezinka, uno dei pochi ad occuparsi della questione. A suo giudizio l’insegnante gode di molta libertà di scelta e questo gli pare un rischio per la delicata attività che svolge; ne consegue la necessità di direttive per agire nelle situazioni problematiche, ovvero una dottrina dei doveri professionali. Tuttavia, proprio in virtù della delicatezza, tale mestiere richiede ben altro che una serie di regole. Non bastano le norme, occorre attingere alle ispirazioni: quella che serve non è una deontologia, bensì un’etica! (la quale implica libertà). L’insegnante non è un “funzionario dello Stato” come suggerisce Brezinka, ma un “professionista”, che opera in relazione diretta con l’alunno e la famiglia. Gli studi e le ricerche nell’ambito dell’etica degli insegnanti non solo molti e, un grande limite, è rappresentato dal fatto che quasi sempre gli insegnanti non vengono coinvolti in queste ricerche, risultando essere unicamente i destinatari di tali studi → si parla di etica per gli insegnanti. Capitolo 1 – Insegnare nella società degli individui Il senso comune della crisi Gli insegnanti percepiscono una “crisi” della scuola ed è intorno a quest’idea che si costruisce la socializzazione professionale. Uno dei temi ricorrenti riguarda gli alunni che sono “diversi, non più quelli di una volta” e appaiono scarsamente motivati ad apprendere. Oggi la sfida quotidiana dell’insegnante è la “conquista della classe”. La scuola deve considerare le diversità degli alunni (capacità, condizioni familiari, culture…) che in passato venivano lasciate all’esterno della realtà scolastica. Uno dei problemi odierni corrisponde al fatto che la cultura prodotta dalla scuola ha perso la sua attrattività lasciando spazio ad altri interessi come, ad esempio, il mondo dei social media e delle nuove tecnologie. La scuola deve rispondere a molti principi: l’uguaglianza e il merito, l’identità nazionale dei futuri cittadini, l’iniziazione ad una tradizione culturale, la formazione in materia economica, lo sviluppo personale… → si chiede troppo e di tutto. Per questo il mondo scolastico ha iniziato a collaborare con esperti esterni (psicologi, mediatori culturali, orientatori, animatori…). La crisi della scuola secondo Maccarini ruota attorno a tre fuochi: 1) Il Soggetto dell’Educazione (Il Sé), 2) la Giustizia, 3) il Sapere. Il Soggetto resistente Ogni figlio che nasce viene cresciuto nella consapevolezza di essere unico ed insostituibile. In questa prospettiva, esaudire i desideri dei figli è segno di fedeltà e di desiderio nei suoi confronti. L’unico dovere da trasmettergli è quello di essere se stesso. Yonnet parla di “religione della formazione”, che comporta la negazione dell’infanzia come periodo di prova e di 1 ricerca di individuazione, e l’età evolutiva come ciclo di vita si soggetti già adulti. Questa condizione spiega la costruzione di un “iper-io” sempre teso alla soddisfazione dei suoi bisogni ed interessi, e che non può privarsi della possibilità di affermarsi; per questo è fragile di fronte alle avversità, inquieto ed infelice perché l’esistenza è vissuta come una serie di vincoli e limiti ingiustificati. È l’individuo della specie contemporanea. Ci sono molte verità in questa rappresentazione indicative dei cambiamenti in corso. Intorno al bambino oggi gravitano molte figure, a partire dai genitori che mirano a condizionarlo a proprio vantaggio. Si aggiungono le nuove tecnologie e i soggetti che le manipolano, che promuovono nuove pratiche sensoriali e stili di vita, atteggiamenti e modi di pensare. La realtà presentata dagli schermi è iper-realistica, preferibile alla vita reale perché raddoppia la possibilità di vedere oltre il limite dello sguardo diretto. Questa realtà seconda ha degli effetti sulla realtà prima: può generare altre realtà. La realtà quotidiana non è l’unica e, questo vale anche per la possibilità di socializzazione che per i ragazzi non proviene più solo dal gruppo dei pari, ma anche dalle comunità virtuali di gaming. La società moderna è caratterizzata dall’affermazione del “sentimento dell’infanzia”: il Novecento è il secolo che ha scoperto l’importanza di questa fase di sviluppo, tant’è che si è stipulata la Convenzione ONU sui diritti dei bambini. Tuttavia, si aprono molte questioni → es: Il bambino è soggetto o oggetto di diritti? Le opinioni sono state differenti. Da un lato vi è l’idea di infanzia tutelata da leggi condivise da più Stati, dall’altra permane l’idea di infanzia abbandonata, dimenticata, lasciata alla violenza. Da qui deriva anche la volontà di avere codici deontologici degli insegnanti. La condizione di figlio oggi è complessa: vivono in relazione a dei genitori che organizzano la sua vita, riempiendo tutti gli spazi possibili → il bambino viene pianificato nei suoi tempi familiari e non appagato nel suo bisogno di comunicazione e di libero movimento. Ciò si riflette sulla scuola dove aumentano i casi di “indisciplina”. Rispetto a questa, alcuni studiosi hanno osservato come a scuola vi siano obblighi per i bambini e pochi diritti e, viceversa, per gli insegnanti. Perciò l’idea di scuola come palestra di virtù democratiche appare illusoria. Ad oggi, abbiamo visto come il bambino sia circondato di impegni e di offerte formative differenti che vanno a riempire ogni secondo del suo tempo → ne risulta una drastica riduzione del tempo disponibile per la relazione diretta con il bambino. Il tempo fuori-agenda, cioè spontaneamente agito dai bambini è residuale cronologicamente e culturalmente. Parallelamente nasce il dilemma del tempo scolastico, divaricato tra i bisogni dei bambini e quello richiesto dalle discipline che sono sempre più numerose. Gli studenti, nel corso della storia, hanno protestato per rivendicare il diritto alla propria vita privata, alle proprie passioni nel tempo pomeridiano. Serres ci parla dell’uomo sur-moderno come soggetto futuro dell’educazione: uomo puro, sgombro di dogmi, distante dalla massa, un uomo educato, ma la sua educazione non è l’esito di un insegnamento, bensì l’esito di esperienze di apprendimento coraggioso e continuo. Si inserisce in una relazione educativa di apertura reciproca e, l’insegnamento con lui può avere solo un carattere informativo e procedurale. Un altro autore che ha contribuito a comprendere l’uomo dopo-moderno è Bauman, colui che ha parlato della liquidità. Egli vede la sicurezza e la libertà come due valori della modernità in opposizione. Oggi le istituzioni hanno perso la loro presa sulla società e ne deriva una situazione di incertezza e di rischio con sentimenti di insicurezza. Per Bauman la società degli individui è una società liquida, senza altri riferimenti che non sia la capacità di muoversi in qualsiasi direzione, da parte dei soggetti rimasti orfani delle istituzioni. La libertà al costo della sicurezza → alcuni rapporti vanno in pericolo, come quelli tra adulti e bambini, compresi quelli educativi. Bauman individua 4 ideal-tipi della nuova modernità: 1. Flaneur, il bighellone che va in giro nella folla e che passeggia nei centri commerciali, spazi degli incontri mancati, ovvero episodici 2. Vagabondo, è il soggetto post-moderno che non ha luoghi in cui collocarsi e identificarsi 3. Turista, colui il cui scopo è quello di collezionare luoghi diversi da visitare e che evita relazioni durature 2 4. Giocatore, amante del rischio e della casualità Bauman, al tempo stesso, parla di una crescente “voglia di comunità” → il lavoro educativo appare necessario. Quella che occorre è una pedagogia “compassionevole”, dedicata a contenere le ansie di un mondo liquefatto ed a proteggere il soggetto dalla società dell’incertezza; una pedagogia “autorevole”, tesa a supportare l’edificazione di un sé a prova di assenza di riferimenti esterni; una pedagogia “clinica”, orientata allo sviluppo di ciascuno, al meglio delle sue possibilità e secondo processi di individualizzazione; infine, una pedagogia “inclusiva” che crei un clima disponibile e ricettivo. In sintesi, una pedagogia della cura, capace di ricongiungere le categorie della libertà e della sicurezza. La giustizia multipla Don Milani parlò di uno dei problemi della scuola e, cioè, i ragazzi che questa perde. Il grido d’allarme veniva lanciato negli anni ’80 con degli studi in merito all’uguaglianza e alla mobilità sociale rapportate alla scuola. Tutte le ricerche condividevano il postulato della riproduzione, che consisteva nel guardare alla scuola dal punto di vista della società, e quindi delle proprietà che riflettevano l’influenza dei fattori ad essa esterni. La scuola, in quanto parte della società, riproduce la società stessa e le sue stratificazioni. La scuola in quegli anni praticava la selezione dei ceti popolari mediante i saperi del curricolo e, appariva come una scuola selettiva. Il passo successivo fu quello per cui le scuole si specializzarono a seconda di chi le frequentava: c’erano quelle dedicate all’eccellenza, quelle dedite alla cultura estetica e alle belle arti e, infine, quelle che miravano alla prevenzione dell’abbandono scolastico e all’attuazione di strategie di recupero. Ancora a seguire, vi fu un tentativo di adozione dei valori della giustizia educativa da parte della scuola e degli insegnanti. La questione della giustizia educativa e, cioè della pari opportunità, era entrata in crisi già per altri motivi. In particolare, non poteva non fare i conti con la diversità dei soggetti da scolarizzare. A mano a mano che la società di è fatta anche multiculturale, si è affermato principio di individualizzazione. Non erano più sufficienti interventi a favore dei gruppi più deboli, perché ciascun soggetto ha diritto a traiettorie su misura. A fronte dei fallimenti delle pedagogie compensative si è iniziato a pensare di garantire a tutti un minimo, il necessario per affermarsi come cittadino à principio dell’uguaglianza dei risultati, per cui la scuola garantisce a tutti il raggiungimento di conoscenze e competenze comuni alla conclusione della scuola obbligatoria. Nel corso del tempo si è anche affermata la necessità di definire obiettivi misurabili per favorire le comparazioni internazionali. Di qui, il ricordo ad un sistema di valutazione condiviso, con l’elaborazione di strumenti docimologici comuni. Si inizia a parlare di competenze. In merito all’uguaglianza, oggi possiamo riferirci al binomio inclusione-esclusione, i quali sono fondamenti della giustizia educativa. L’uguaglianza corrisponde all’inclusione. Si deve parlare di inclusione al plurale perché occorre tener conto della specificità di ciascuna delle differenze. Tuttavia, è importante fare attenzione al fatto che il principio di inclusione non si trasformi nel suo opposto e, quindi, nell’isolamento di percorsi specifici e totalmente diversi. La questione in realtà è più ampia: nella società soggetta a disgregazione e atomizzazione è importante ricostruire il senso dello stare insieme, di “fare società”. Quello che serve è un nuovo ethos. In tal senso la scuola ricopre un ruolo fondamentale ai fini della socializzazione e viene interpretata secondo le seguenti modalità: Concretezza: non deve limitarsi a ideologie e pensieri di inclusione, ma attuare pratiche inclusive Giustificazione multipla: individuare le modalità di inclusione più adatte alle diversità di tutti Sostanzialità: rifiuto di un’inclusione solo di presenza Massimalità: non prevede una giustizia distributiva, che proporziona le attese in base alle possibilità, ma che punta a dare a ciascuno il meglio possibile in relazione ai suoi limiti 3 Implicazione: rinuncia all’idea di expertise, in quanto deve essere riconosciuta la capacità di “farsi aiutare a farsi da sé”; si tratta di pratiche di empowerment Contestualità: ovvero il radicamento territoriale di scuole responsabili delle pratiche di inclusione in riferimento a specifici e individuati ambienti e in alleanza di “rete con le agenzie educative circostanti Per realizzare l’inclusività nelle scuole risulta fondamentale la loro autonomia. Essa però non può consistere semplicemente in un trasferimento delle decisioni presso le singole scuole, senza predisporre criteri di confronto, scambio e comunicazione che valgano per tutti. Per questo sorgono spontanee le domande “Chi saranno gli attori dell’autonomia scolastica?”; “Se l'autonomia è nozione chiave per indicare l’obiettivo dell’innovazione scolastica che tipo di insegnante pensiamo di “mettere al timone”?”. Il sapere relativo Un problema che il sapere incontra oggi è la rarefazione delle conoscenze. La pedagogia compensativa aveva sostenuto un progetto scuolacentrico → tentativo di estensione del tempo-scuola non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. La strategia attuata si proponeva di scolarizzare tutta la produzione culturale, comprendendo saperi teorici, estetici, corporei, ludici → si richiedeva una didattica attiva, centrata sulla priorità dell’esperienza diretta e sul coinvolgimento emozionale dell’alunno. il “tempo pieno” non ha dato i risultati sperati, anzi è sfociato in un “più scuola meno apprendimento”, che ha portato alla revisione dell’iperscolarizzazione. La questione del sapere scolastico non è riducibile al problema dei “contenuti” perché coinvolge altre dimensioni che toccano le finalità dell’istruzione. Il sapere scolastico non è “neutro” → negli anni si è passati attraverso anche un approccio di relativismo nei confronti dei saperi scolastici à si è giunti alla necessità di un sapere “oggettivo”. Il relativismo a scuola non è arrivato solo attraverso il sapere, ma anche attraverso la multiculturalità che ha iniziato nel tempo ad essere presente anche nell’ambito scolastico, tanto da aver portato alla nascita di una pedagogia interculturale (una morfologia pedagogica capace di rispondere alle sfide dell’immigrazione). Dagli anni ‘70 del secolo scorso si è cominciato a parlare della nostra società come società della conoscenza (Knowledge Society). il sapere è utilizzato come indice di sviluppo di un paese. la Learning Society si presenta come un modello alternativo all’asse spazio-temporale dell’educazione moderna → l’educazione viene a declinarsi non più in base all’offerta, ma sulla domanda dei soggetti interessati → si giunge così all’educazione negoziata. Il tutto si compie nell’orizzonte della globalizzazione e dell’internazionalizzazione → si moltiplicano gli organismi governativi e non governativi che si occupano di educazione. nel tempo è implementata anche la ricerca tanto che si è giunti a parlare di un vero e proprio “mercato mondiale dell’educazione” che mette in luce il ruolo delle scienze dell’educazione, che premono per avere una cultura pedagogica condivisa. Alcuni studiosi hanno parlato anche del mondo come un laboratorio educativo. La funzione educativa assume un rilievo assoluto, in quanto: è attraverso l’educazione che la conoscenza si rigenera in tutti gli ambiti della vita sociale perché la conoscenza travalica i limiti dell’invecchiamento biologico e chiede di essere acquisita anche quando si è finito di crescere Nella società dell’apprendimento l’educazione diventa permanente o ricorrente → la Learning Society è riconosciuta come società educante. Si inizia a parlare di lifelong education e lifelong evaluation. Nell’ambito dell’educazione si aggiungono sempre nuovi saperi, legati alla formazione della propria identità, ad esempio si parla di educazione sessuale, educazione alla pace, educazione all’antirazzismo, ecc. rispetto ai quali la scuola si interroga sulle possibilità in termini di tempi, di spazi, di formazione degli insegnanti… La società della conoscenza presenta un’ulteriore variante, cioè la Società dell’Apprendimento → la conoscenza non si attua più in termini di patrimonio posseduto e trasmesso, bensì come capacità di generare nuove conoscenze. dal punto di 4 vista pedagogico si traduce anche in metacognizione. Ne risulta un nuovo profilo di apprendente: self-directed learner. Insegnare nella Società degli Individui A quali condizioni è possibile insegnare nella società che si viene delineando? L’insegnante innanzitutto deve possedere un certo carisma, inteso come capacità psicologica di attrarre gli allievi. L’insegnante possiede un doppio ruolo, quello di controllo sociale e di diffusione di norme conformi ai progetti della classe dirigente (“educazione”) e quella di erogazione di un servizio culturale (“istruzione”). il lavoro d’aula viene visto come un’esperienza da costruire insieme (insegnante-alunno), su misura dell’occasione e delle opportunità, lasciando sullo sfondo il programma istituzionale che una volta sovrastava e vincolava entrambi. Ad oggi l'insegnante soffre l’inconciliabilità tra l’essere un “funzionario”, tenuto ad assicurare a tutti le stesse opportunità (principio di uguaglianza) e l’essere un “esperto” di saperi disciplinari impegnato a giudicare in base al rendimento (principio meritocratico) e l’essere una “persona” sollecitata a curare lo sviluppo personale dell’alunno (principio del riconoscimento). Al giorno d’oggi è fondamentale che l’insegnante rispetti la natura del bambino, mettendolo al centro della sua azione. Bisogna cambiare la prospettiva, cominciando col rinunciare a descrivere la situazione odierna solamente in termini di crisi di adattamento alle pressioni esterne e parlare, al positivo, di ridefinizione di un nuovo modo di lavorare a scuola. Il “nuovo modo di lavorare” esige molto di più dagli insegnanti perché comporta diversificare le risposte in base alle domande sempre più individualizzate. La relazione con il “nuovo” alunno Quando si parla di un nuovo modo di lavorare, si fa riferimento alla cura della relazione che mette al centro l’alunno. Ciò indica, anche, il privilegio accordato alla soggettività dell’alunno. L’Attivismo è la corrente pedagogica che ha abbracciato questa visione; si è alimentata con la ricerca scientifica, la psicologia, la psicoanalisi e altri movimenti (libertarismo, antiautoritarismo). Nonostante la sua importanza, questo movimento presenta un paradosso: se ciascun soggetto rivendica il diritto a parlare per sé, come può farlo l’infante che per definizione è “colui che non parla”? Per questo motivo, l’Attivismo ha realizzato le città dei ragazzi e i diritti dell’infanzia, per permettere ai bambini di farsi sentire. Il paradosso di base è: - Il bambino è educatore del proprio educatore - Nonostante la centralità del bambino, è comunque l’adulto che parla per lui ❖ Si può ipotizzare che prima o poi parleranno per sé? ❖ Cosa succederebbe in una situazione di auto-rappresentanza? Sorge anche un altro problema: la perdita di legittimità delle istituzioni e la morte del professore di fronte all’alunno come “self-directing-learner”. Viene messa in discussione la funzione docente e l’insegnamento = caduta dell’adulto come mito. Sembra che la norma si disponga all’interno del soggetto stesso. Il contesto ed il limite Non si tollera più che la norma possa essere esterna al soggetto, perciò limitare la sua autonomia (eteronomia). È importante fare di sé un oggetto di cura, nel senso di sviluppare criteri di auto-sorveglianza e di autocostruzione 5 attivando la memoria e le pratiche discorsive fine a che punto si potrà continuare con questo percorso prima di incappare nei limiti esterni dovuti dall’interazione col mondo? Ciò rimanda alla relazione con un soggetto-educatore e al concetto di “apprendere ad apprendere”, ovvero imparare a servirsi di un sapere procedurale in assenza di un sapere dichiarativo. Secondo Seligman, per costruire il sé ha bisogno di un limite esterno solido e dotato di autorità perciò la sua realizzazione avviene solo in un contesto di legami originari. Questo potrebbe non bastare perché i legami sono ritornare primordiali e regressivi alla scommessa dell’educazione: offrire una prospettiva di riferimenti etici a carattere universalistico. Secondo il paradigma moderno, esiste un soggetto a fronte di un oggetto, già costruiti OCCORRE cambiare paradigma perché, all’inizio, non c’è un soggetto definito di fronte ad un oggetto a lui esterno, essi sono il frutto dell’interazione che si attiva nel contatto dei conflitti e delle resistenze = solidarietà, rappresentazione del pluralismo e riconoscimento dell’identità. Per un’educazione “moderno-riflessiva” I tempi correnti sono stati nominati moderno-riflessivi (Beck) e si propone uno sguardo nuovo, non più guidato ma in una condizione di libera messa a fuoco della riflessività. Oggi si può esercitare la libertà assoluta per costruire l’identità con le proprie mani, in termini di flessibilità per imparare a darsi regole, tracciare traiettorie tra le possibilità. È un’operazione di “sense-making”. Attraverso l’uso intensivo dell’astrazione, si è sviluppata la competenza simbolica e si sono identificati valori universali e nazionali. Verso la professionalizzazione Il nuovo modo di operare ponendo al centro l’alunno comporta una novità nella prospettiva dell’insegnante: 1. L’insegnante è esposto in prima persona nella didattica quotidiana, poiché non si basa più sui programmi istituzionali ma risponde di quello che fa direttamente 2. L’insegnamento deve muoversi sul fronte della riflessività perché deve inserire gli alunni in una società senza parametri di riferimento e perché viene richiesta come competenza generale da promuovere lungo tutto l’arco della vita dell’alunno l’insegnante deve prendersi cura e mettere nelle condizioni di diventare soggetto. L’insegnante deve misurarsi con una varietà di alunni-individui e riconoscerli come soggetti singolari entra in tensione con la tendenza alla standardizzazione e alla mercificazione della formazione. I sistemi di valutazione (OCSE-Pisa, TIMSS) sono intrusivi ed esercitano un controllo sociale totale in quanto entrano nelle aule e condizionano le pratiche didattiche influenzano la scelta dei contenuti e delle discipline = riduzione della diversificazione. Tuttavia, l’insegnante non può escludere le proprie classi da questi sistemi ma deve essere consapevole delle conseguenze. Il corrispettivo pedagogico per sviluppare solidarietà verso questi sistemi è l’autonomia scolastica. Gli insegnanti sono coinvolti direttamente ad avere fedeltà verso gli istituti per cui lavorano. Questo sistema impone di avere un’amministrazione centrale che definisca i criteri per i confronti, le comunicazioni e gli scambi tra le diverse esperienze scolastiche locali sono necessari bilanciamenti e condizione di comunicazioni ad ampio respiro. Tutto questo e la revisione della competenza educa

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