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Questi appunti trattano l'etica della professione docente e la pedagogia sociale. Coprono argomenti come il rapporto con le famiglie, la relazione educativa tra insegnanti e studenti, inclusione e la centralità della persona nell'apprendimento.
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ETICA DELLA PROFESSIONE DOCENTE 02.10.2024 Secondo noi, quali sono le questioni pedagogiche più significative riguardanti la scuola: - Rapporto con i genitori - Relazione educ...
ETICA DELLA PROFESSIONE DOCENTE 02.10.2024 Secondo noi, quali sono le questioni pedagogiche più significative riguardanti la scuola: - Rapporto con i genitori - Relazione educativa maestro-allievo - Inclusione a livello generale - Centralità della persona nell’apprendimento - Divergenze - ….. Il contesto di riferimento è la pedagogia generale e sociale → corso integrato che collega identità pedagogica dell’insegnante e dimensioni etiche che include per aprirsi al rapporto con le famiglie. LABORATORIO Porcarelli: pedagogia della scuola con le famiglie e la comunità: “saper essere” insegnanti (16h a novembre) LABORATORIO Milani: pratiche di relazione tra scuola e famiglia: la gestione del colloquio e delle riunioni (16h a dicembre) Libri: Damiano, E. L'insegnante etico. Saggio sull'insegnamento come professione morale. Assisi: Cittadella editrice, 2007. Moscato, Maria Teresa, Diventare insegnanti. Verso una teoria pedagogica dell'insegnamento. Brescia: Scholé, 2020. Percorso in tre fasi: 1. identità epistemologica della pedagogia della scuola (libro facoltativo Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona, Porcarelli) 2. una pedagogia dell’insegnamento 3. la dimensione etica della professione docente in che senso studiare la pedagogia? Scienza o disciplina? Scienza: insieme ordinato e coordinato di leggi e teorie atto a interpretare e conoscere un aspetto della realtà umana e naturale, particolari fenomeni e avvenimenti, rilevarne l’origine e seguirne lo sviluppo. Disciplina: scienza o parte di essa in quanto oggetto di insegnamento sistematico con valore “formativo” per la mente professionale e la costruzione dell’identità culturale di una persona. La pedagogia per educatori, formatori, insegnanti, si configura come una disciplina, che entra nel percorso formativo in vista della costruzione di una “cultura professionale”, capace di abbracciare anche la dimensione educativa, ma anche come scienza in quanto richiama i costrutti fondamentali del vostro sapere professionale specifico. Bisogna saper declinare il nostro sapere in modo adeguato peri bambini. Disciplina come interiore conformarsi dell’alunno alla legge che sente viva e operosa nel maestro o meglio: la formazione di una legge di vita che si genera nella coscienza del maestro e dell’alunno nell’atto della loro comunione che è l’educazione (Lombardo Radice) Pedagogia generale e sociale (a livello accademico) Include due ambiti di ricerca: ricerche pedagogiche di carattere teoretico-fondativo ed epistemologico-metodologico. In particolare raccoglie le competenze che hanno una tradizione trattatistica e speculativa e che pongono le basi teoriche e procedurali per le competenze pedagogiche. attenzione per i bisogni educativi e formativi nella società e nelle organizzazioni e dalle ricerche sulle attività educative connesse ai cambiamenti culturali e degli stili di vita e sulle implicazioni educative dei nuovi fenomeni sociali e interculturali. Comprende altresì l’educazione permanente e degli adulti 1 PSICOLOGIA SOCIALE Disciplina che ha 3 punti focali: 1. analisi delle condizioni socio-culturali che caratterizzano l’educazione cambiano nei diversi tempi e luoghi→azione educativa dipende da un milieu socio-culturale in cui prende forma la padeia di riferimento→ capacità di leggere il contesto (si insegna in modo diverso se si è in un contesto montano, in periferia, in un piccolo paese…) 2. studio delle responsabilità educative dei diversi attori sociali possono essere codificate in modo esplicito, attribuite per consuetudine o i soggetti le assumono autonomamente (contesto formale vs informale) 3. educazione alla socialità (incrociata con l’educazione civica) in una molteplicità di sensi, che vanno dalla cornice in cui prendono forma le azioni educative, ai modi con cui ci si pone il problema dell’educazione dei cittadini in quanto tali 03.10.2024 Pedagogia sociale studia: - Soggetti e contesti educativi o formali ▪ studio del mandato istituzionale e missione della scuola: il mandato della scuola è educare o istruire? ▪ grandi “bivi pedagogici”: individualizzazione= e personalizzazione=, etica della professione docente ▪ saper leggere pedagogicamente le scelte educative e didattiche →la sfida delle competenze, della valutazione, dell’orientamento →esistono 3 modelli di competenze (comportamentista, cognitivista e costruttivista) o non-formali o informali - Temi emergenti informali - Raccomandazioni e orientamenti UNESCO, OCSE, UE (vedi Competenze Chiave per l’apprendimento permanente) Ogni anno OCSE pubblica rapporto in cui ci sono i risultati degli studi sullo stato di salute delle politiche e dell’economia di ogni paese aderente (es. quanto spende un paese per l’istruzione + quale percentuale è spesa corrente o spesa in ricerca, in Italia il 3% è investito in ricerca innovazione e sviluppo, il resto è spesa corrente + un altro indicatore è sulle competenze di base dei 15/16enni vari stati aderenti) Struttura epistemica della pedagogia sociale Aristotele distingue le scienze in 3: a. Teoretiche: come stanno le cose attraverso criteri rigorosi (filosofia, astronomia) b. Tecniche: come si fanno le cose, saper governare l‘azione per ricavarne un prodotto, il know-how (artigianato) 2 c. Pratiche: cosa fare in una determinata situazione e perché (etica, politica) La pedagogia si configura come scienza pratica nel senso aristotelico, affonda le proprie radici in una dimensione teoretica e si apre al contribuito delle tecniche. Sapere per agire e per decidere come meglio agire in senso educativo→ criteri con cui prendere decisioni e perché nell’azione educativa Si basa su conoscenze teoretiche, cioè si fonda su teorie di riferimento di tipo antropologiche che rappresentano l’umano e l’educazione Ciò che caratterizza il “proprium” della pedagogia sociale, a differenza di quella generale, è l’identificazione dei compiti di tutti i soggetti che hanno responsabilità educative. Se la pedagogia è scienza pratica, l’etica professionale del docente è una parte della pedagogia e dell’insegnamento. Pedagogia della scuola non solo come contesto formale →scuola ha forma istituzionalizzata: vi è una società che ne determina la missione, il funzionamento, chi può frequentarla, il reclutamento dei docenti, ecc… Es. obbligo scolastico si è innalzato nel tempo, la scuola ha preso sempre più importanza. →si caratterizza per la “secondarietà” rispetto alla vita quotidiana: luogo simbolicamente e fisicamente distinto da essa, con un sapere “riflesso” e sistematizzato (vedi arti del trivio e del quadrivio) →ha tempi lunghi e distesi: per consentire itinerari formativi complessi e perché si configura come una condizione esistenziali →ha una cultura di riferimento: che comprende una visione del mondo e della cultura Elementi per una pedagogia della scuola →Moscato propone grandi temi: “la scuola è l’ingresso nella vita della ragione, è certamente vita essa stessa, e non mera preparazione alla vita; tuttavia, è uno speciale tipo di vita, programmato per sfruttare al massimo quegli anni ricchi di possibilità formative che caratterizzano lo sviluppo dell’homo sapiens. […] Essa è quella particolare comunità in cui si fa l’esperienza di scoprire le cose usando l’intelligenza e in cui ci si introduce in nuovi e mai immaginati campi d’esperienze.” [Bruner] La missione della scuola tra istruzione e educazione Educare attraverso l’istruzione: l’educazione della persona che cresce è il fine, l’istruzione offre l’insieme degli strumenti culturali che permettono di raggiungere tale fine. Garantire l’istruzione: compito della scuola è garantire l’istruzione, l’educazione è compito di altri soggetti: alla scuola compete far apprendere modelli e strumenti per l’interpretazione della realtà. Normativa scolastica che parla dei fini dell’istruzione: - DPR 503/1955 - L. 1859/1962 - DM 9/1979 - DPR 275/1999 - L. 53/2003 - DM 254/2012 [Indicazioni Nazionali]: le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende […] si deve sempre tenere conto della sua identità, aspirazioni, capacità…→APPROCCIO PERSONALISTA E NON MATERIALISTA 04.10.2024 Teorie implicite nella professionalità degli insegnanti (Bruner): ogni persona ha queste teorie: - teoria della mente: ogni insegnante ha una rappresentazione di come funziona la mente degli allievi e si comporta di conseguenza→non tutte le menti delle persone sono uguali (vd. Intelligenze multiple di Gardner). 3 - teoria dell’educazione: una rappresentazione delle modalità con cui si struttura il cammino di crescita di una persona e quindi di come determinati temi culturali e determinate esperienze formative potrebbero risultare significative→ come insegnante, mi modello in base alle persone che ho davanti e non do per scontato nessuno. - teoria dell’insegnamento: una rappresentazione di alcune strategie comunicative o metodologie di insegnamento che si ritengono efficaci (lavori di gruppo, lezioni frontali…)→spesso si fa riferimento ai migliori insegnanti che si hanno avuto, si sa a chi si vuole somigliare e chi no. Ognuno ha delle rappresentazioni dell’insegnante, cioè come dovrebbe essere un insegnante, che si sono strutturate culturalmente, a cui fare riferimento. Quella più radicata nella nostra cultura fa riferimento ad alcune figure mitiche/archetipi culturali: - il maestro (nella cultura occidentale quello per eccellenza è Gesù, nella cultura orientale il maestro zen) esprime la pienezza di una funzione sapienziale, rivelatrice, depositaria di conoscenza e promotrice di verità. - La guida (tre guide di Dante nella Divina Commedia) lungo il cammino della vita (in Dante è metafora di un cammino spirituale, è salvifico, si suddivide in tappe, tra cui la consapevolezza del peccato e la capacità di detestarne le conseguenze). - La nutrice esprime il prendersi cura affettuoso e la conoscenza profonda di qualcuno, il potere umanizzante (vedi Odissea) - Il giardiniere sottolinea il senso della cura, l’autonomia, la varietà e la diversità Figure storiche che hanno usato per descrivere l’insegnante: - Intellettuale colto: affonda le radici nella cultura classica, rinascimentale e illuminista - Custode della tradizione: eredità del passato giunga al presente - Vestale della classe media: critica post-sessantottina di ordine sociologico al ruolo sociale delle insegnanti (femminilizzazione della professione) in funzione conservatrice - Custode dell’utopia: aiuta le giovani generazioni a rinnovarsi e la società, grazie al potere liberante della cultura - Educatore del popolo: promuove il riscatto sociale, pone un argine alla marginalizzazione (Pestalozzi, Lombardo Radice, Don Milani) - Promotore di opportunità: apre nuovi orizzonti, aiuta a valorizzare talenti (Don Milani) Genesi della mente professionale di un’insegnante: - Esperienze compiute in qualità di allievi: la persona che apprende e che cresce è costantemente esposta ai modelli utilizzati dai propri educatori e insegnanti, ne coglie indirettamente pregi e limiti rispetto alle proprie aspettative implicite - Letture e percorsi culturali a livello formale, non formale e informale: comportano il contatto con costrutti e categorizzazioni concettuali che progressivamente vanno a costruire la trama consapevole della mente professionale dell’insegnante - Esperienze sul campo: opera di ulteriore sistemazione della mente professionale attraverso il confronto con una “competenza in situazione” che prende forma progressivamente, confronto con colleghi e viene verificata in termini di successo/insuccesso 09.10.2024 PER UNA TEORIA PEDAGOGICA DELL’INSEGNAMENTO Differenza tra due concetti essenziali, proposta da Moscato: - Educazione: un processo di interazione protratta per il tempo dell’età evolutiva, fra un soggetto giovane immaturo ed un certo numero di adulti significativi che si affiancano nella relazione con lui, al fine di promuoverne l’autonomia personale per cui possa considerarsi matura e adulta →conquista dell’autonomia della persona in quanto persona: è una qualità speciale? 4 - Formazione: un processo più ampio, che si innesta sull’educazione già avvenuta per cui l’adulto nell’arco di tutta la vita esercita l’autonomia per continuare a prendere forma indirizzando la propria umanità in direzioni che considera desiderabili rispetto al proprio sistema di motivazioni e valori. →persona è pienamente responsabile di quello che fa anche con l’aiuto altrui L’educazione dura tutta la vita? In realtà è la formazione, in cui chi se ne occupa ha una certa responsabilità. (Distinzione che ha senso nella lingua italiana, ma non c’è corrispondenza in inglese.) Nella nostra cultura e società non abbiamo riti di passaggio all’età adulta, come avviene in altre culture. La linea di demarcazione in cui si cessa di essere ragazzini e si entra nel mondo degli adulti è culturalmente e socialmente incerta. Si tratta di considerazioni consolidate nella tradizione pedagogica, che - negli ultimi decenni - si sono dovute confrontare con il mito dell'educazione permanente, che si è trasformato «da utopia pedagogica propositiva a categoria di lettura generalizzata ed infine a diffuso luogo comune», sottintendendo una rappresentazione sociale in cui tutti educano tutti per tutta la vita... o più semplicemente una confusione ricorrente tra educazione e formazione (o, più specificamente, istruzione, tanto è vero che si parla - giustamente - di lifelong learning). «Ma se tutto è educazione, la specificità dell'educazione in senso stretto viene negata, e la sua percezione si eclissa nell'immaginario sociale, o viene censurata (nella sua specificità) come indebita». La prima cosa che si fa nei contesti formativi è il patto formativo. Con i bambini invece non si può, bisogna lavorare sulla motivazione per fargli fare anche quello che inizialmente non vorrebbe. L’insegnamento intenzionale: è qualsiasi atto umano che intervenga per modificare l’esperienza di un altro essere umano, sia anticipandola, sia controllandola, sia mediandola, sia rendendola consapevole. Non bisogna trasmettere niente, i bambini non sono vasi da riempire, il maestro deve avere una funzione ministeriale perché l’intelletto passa dalla potenza all’atto nell’apprendere. La conoscenza non si trasmette, ma si rigenera (Bruner). Attività esperienziali e laboratoriali devono essere fatte dai bambini, l’insegnante facilita e controlla, ma soprattutto aiuta gli allievi a renderli consapevoli e a riflettere sull’esperienza. Nella didattica trasmissiva si pensa di anticipare un’esperienza sulla quale poi si spera che si rifletta. Per Plutarco gli allievi sono fuochi da accendere, non vasi da riempire. L’insegnamento intenzionale presuppone l’esperienza diretta e c’è una minima forma di controllo. Ma l’insegnamento non si limita a controllare e addomesticare, ma anticipa e canalizza l’esperienza. Competenze pedagogiche di un buon insegnante: - Capacità di mediazione culturale: temi culturali non solo “riverbalizzati” ma anche ripensati in termini tali da individuarne il valore formativo, trovando le trame di senso non solo per noi, ma che siano significative anche per i bambini - Intenzionalità comunicativa: radice più profonda della competenza comunicativa, è una costellazione di abilità e conoscenze interconnesse. Ciò che emerge in primis si coglie dal tono della voce, dalla postura, dallo sguardo e dagli atteggiamenti. L’insegnante non è lì per sé, ma ciò che ha da dire ha senso solo se ha senso per i bambini. - Trovare le parole per dirlo: modo di parlare che rafforza il messaggio dell’intenzionalità comunicativa. Ogni insegnante ha in mente un concetto appoggiato alle parole che userebbe per dire quella cosa a sé (parola interna), ma nel momento in cui lo comunica ad altri, cerca di tradurre l’idea dalle parole che direbbe a se stesso nelle parole più sensate per gli allievi che ha davanti in quel momento. È la capacità di smontare e rimontare il percorso cognitivo per adattarlo ai mondi narrativi di altre persone. - Reggere il rischio del fallimento della comunicazione: l’insegnante cerca di monitorare sempre le dinamiche comunicative, è normale che a volte si inceppino. Prova a comunicare in modo autonomo quando ha l’impressione che la comunicazione sia fallita, chiede se riesce a farsi capire ma non colpevolizza mai gli studenti se non capiscono. 5 - Tenere la scena: competenza complessa, comprende la capacità di tenere un pubblico ed essere sempre esposti (non solo al giudizio dei bambini ma anche di genitori e colleghi), ma anche la capacità attirare e mantenere l’attenzione. - Ascolto attivo: è nella competenza comunicativa, ma è precondizione interattiva delle abilità diagnostiche e prognostiche dell’insegnante. Suppone la concentrazione di un’attenzione intelligente verso i segnali verbali e non verbali dell’altro e comporta la creazione di uno spazio di silenzio interno in cui mettere ciò che si ascolta in una relazione empatica. L’ascolto attivo nasce da un atteggiamento di cura nei confronti dell’altro, di interesse per ciò che ha da dire e per non fraintendere o travisare. Tecniche di supporto hanno senso solo se si collocano in una postura di ascolto autentico e autenticamente radicata nel saper essere di un insegnante. Condizione essenziale dell’ascolto attivo è una postura non giudicante. Meglio nel rapporto uno a uno e non in pubblico, perché si ha paura del giudizio di qualcuno. - Saper “contenere”: l’insegnante ha il ruolo di contenitore e dal punto di vista educativo si passa da contenitori esterni (punizioni, regole, premi, aspettative) a quelli interni (simbolici, che aiutano gli allievi a delineare i confini dell’io e si sentono autorizzati a fare o meno). Nelle situazioni di disagio la prima necessità è quella di “contenere” la persona con il suo disagio, a volte fisicamente attraverso il gesto dell’abbraccio. Essenziale per una buona ecologia educativa è necessario che arrivino alla persona sempre carezze positive, mentre quelle negative non devono essere sulla persona ma sull’atteggiamento. Le carezze negative si possono dare in modo diretto e indiretto (com’è che fai sempre confusione come sempre?) altre competenze sono: - Avere un approccio riflessivo, ponendosi delle domande - Capacità di stare in gruppo e fare gruppo sia con i colleghi sia con i bambini - Capacità di osservazione - Empatia ed ascolto - Capacità di comunicare - Flessibilità e capacità di adattamento alle situazioni Abilità nascoste degli insegnanti: le competenze pedagogiche dell’insegnante si traducono e si incarnano in alcune skill più specifiche che sono essenziali nella relazione educativa e didattica - Valutazione diagnostica: è all’interno della competenza comunicativa, di scomporre e ricomporre dinamismi per riuscire a diagnosticare le ragioni di eventuali difficoltà di apprendimento, i punti di forza/talenti specifici/ altre intelligenze, la postura mentale con cui ogni studente abita l’esperienza scolastica in generale e le diverse discipline in particolare. La valutazione diagnostica si scompone in 4 dimensioni: sommativa, formativa, diagnostica, proattiva. 11.10.2024 - colloquio orale = interrogazione: è nella competenza comunicativa, collegato alla capacità di saper creare un clima proattivo e positivo, di saper leggere gli stati emotivi e le strategie comunicative degli studenti. Ci sono variabili sempre più rilevanti oggigiorno: a. essere capaci di organizzare e gestire il contesto emotivo all’interno della prova, gli studenti risultano sempre più stressati b. essere autentici nella propensione migliorativa - lavoro di gruppo e studio di caso: due tecniche di lavoro didattico che suppongono una postura mentale e una competenza relazionale profonde. I lavori di gruppo hanno senso se sono fatti con pochi membri per gruppo. SCUOLA E RAZIONALITÀ DIDATTICA La scuola ha la funzione generale di “ingresso nella vita della ragione” ed è luogo in cui l’insegnamento intenzionale massimizza i suoi sforzi e interpreta la propria missione sociale. 6 Ci sono due grandi famiglie metodologiche: a. metodi trasmissivi: pilotano le strutture cognitive attraverso la proposta di oggetti simbolici pre-selezionati. Rendono l’interlocutore più passivo se non si fanno intervenire dei correttivi, in particolare nella lezione frontale. Potrebbero generare la tentazione di essere passivi, ma bisogna renderla attiva e preparata a quanto si sta per dire. b. metodi attivi: mirano a indurre processi cognitivi, scoprire leggi, porre domande nuove, cercare soluzioni… li si può usare solo se faccio appello a ciò che gli studenti hanno già dentro di loro, non su cose nuove. La vulgata dominante pensa che si debbano potenziare solo i metodi attivi, poiché mettono al centro la persona, mentre quelli trasmissivi no. Invece posso usare i metodi che preferisco in base agli obiettivi da raggiungere. Il sapere non si tramette ma si rigenera, quindi non sarebbe corretto parlare di metodi “trasmissivi”, lo si usa come metafora per indicare alcune variabili, come il setting… Un approccio trasmissivo inframezzato da intermezzi narrativi aiutano a visualizzare un concetto in un contesto concreto è più efficace e duraturo nel tempo. TRA PROGRAMMAZIONE PER OBIETTIVI E PROGETTAZIONE PER COMPETENZE Il nodo problematico riguarda i modelli psicopedagogici impliciti al modo con cui ciascuno lavora per competenze: scelta tra modello comportamentista, cognitivista, costruttivista e le ragioni per cui si accosta l’uno all’altro. In Veneto il modello più diffuso di programmazione è quello di Franca Da Re→ modello “ingessato” di molte competenze attese definite a priori con indicatori e descrittori uguali per tutti. Storia in Italia… - Anni ‘60 c’è solo il programma da seguire - Anni ’70 emerge la programmazione didattica, modello psicopedagogico dominante è la programmazione curricolare per obiettivi dagli anni ‘70/’80/’90 - 2007 e 2012 si passa da programmi personalizzati a Indicazioni Nazionali, rimane la progettazione per competenze e le Uda, ma le competenze sono quelle dedotte dalle Indicazioni. 16.10.2024 Perché non si può avere il concetto di educazione permanente? Vi sono variabili diverse in gioco: - Idea dell’educazione che ognuno ha: a seconda della nostra idea dura tutta la vita o meno. Una prima distinzione è quella fra educazione e qualsiasi forma di addestra, entro che si traduce in un tipo di apprendimento a scopo formativo e per educazione intendiamo in generale il farsi carico della crescita integrale della persona in quanto persona e in tutte le sue dimensioni. Addestramento: miro solo ad alcune caratteristiche. Attenzione, si possono avere delle necessità di tipo addestrativo per tutta la vita (es. usare uno strumento). Educazione: la persona intera Però si potrebbe dire che io per tutta la vita devo prendermi cura di me come persona per tutta la vita e non c’è motivo che l’educazione così definita abbia un termine. - la responsabilità in capo a chi è: è l’elemento discriminante. Io ho un prima e un dopo rispetto alla conquista della prerogativa fondamentale della persona in quanto tale che è la piena capacità di intendere e di volere, cioè considero una persona libera e pensa che appartiene alla comunità che sono tali per natura (si potrebbe essere privi momentaneamente di alcune capacità). Prima che sia raggiunta il cammino educativo ha una responsabilità forte in capo all’educatore. Dopo averla acquisita, il contributo che si può portare può essere ragionevolmente vagliato dalla persona stessa (se si fa qualcosa di quello che dice o meno). Si introduce così una differenza di tipo qualitativo e di denominazione: formazione - educazione - addestramento (anche se quest’ultimo per gli animali). Per distinguere questa differenza di qualità, userò: - educazione come tipo di supporto che cerco di dare alla conquista della piena maturità di una persona che non ne possiede; 7 - formazione è il contributo che posso dare anche alla crescita globale di una persona che è pienamente capace di intendere e di volere. In questo caso non vuol dire che ci si occupa solo degli aspetti professionali. - Addestramento: sia con persone in età evolutiva sia con adulti →Avendo fatto tale distinzione, l’educazione che dura tutta la vita sembra dire “non ci sarà mai una maturità completa della persona nei termini di intendere e di volere” La Moscato individua tre tipi di viaggio educativo: 1. Viaggio iniziatico, di trasformazione: metafora del cammino con cui la persona entra nell’età adulta a partire da una situazione di debolezza (es.: principessa che diventa regina, attraversamento del bosco, matrimonio, viaggio di Pinocchio) 2. Viaggio come odissea o pellegrinaggio: Ulisse che rappresenta le trasformazioni di età adulta in cui uno si mette alla ricerca di sé stesso (lutti, amore, cambiamento). Viaggio formativo dell’adulto che cerca sé stesso 3. Viaggio dell’Eroe fondatore (Abramo, Enea, Mosè): viaggio di età adulta che rappresenta il percorso formativo o auto-formativo della persona adulta che compie una trasformazione per fare qualcosa che lascerà il segno nella vita per la vita gli altri. Il passaggio all’età adulta è sempre stato contrassegnato da un rituale, per diventare autonomi. Oltre a istruire, educo il bambino, il cucciolo d’uomo, affinché diventi un uomo non più cucciolo. Mentre svolgo il lavoro di insegnante, quando scelgo gli strumenti da utilizzare (metodologie, modalità...) quanto sono coerente con la mia prospettiva pedagogica d’insegnamento? Non sempre c’è piena coerenza tra il dichiarato nelle intenzionalità pedagogiche e l’agito nelle scelte professionali concrete… Es. disciplina di educazione civica: ➔ L. 2019 indica che ci devono essere almeno 33h/anno di educazione civica, con una valutazione specifica, con all’interno 3 macroaree (Costituzione e istituzioni dello stato, Sviluppo sostenibile, Cittadinanza digitale). La scelta corretta dal punto di vista pedagogico sarebbe individuare l’anima educativa dell’insegnamento, ovvero un principio unificante che tenga insieme le tre aree. Poi si dovrebbe sviluppare un percorso che tratti le tre aree e valuta la disciplina con una ratio unificante forte, anche se è stata insegnata da diversi docenti. Nella realtà, invece, si neutralizza la disciplina per via burocratica. Es. progettazione per competenze: ➔ È preoccupante l’uso di griglie rigide, di competenze attese stabilite a priori uguali per tutti con indicatori e descrittori preconfezionati per la valutazione. Sarebbe coerente se un’insegnante usasse tali griglie e seguisse un approccio comportamentista. Invece, se si sostengono la centralità della persona e la personalizzazione bisogna usare un altro dispositivo! Bisogna essere capaci di usare costrutti coerenti con la pedagogia che seguo! L’aspetto più concreto presentato nel corso è la questione degli archetipi→ognuno deve decidere chi vuole essere, non in senso di interpretare un ruolo, ma nel senso di fonte di ispirazione che in quel momento ci guida in aula. È importante non pensare a ciò che non c’entra, mettere da parte i problemi e le questioni personali. Come? Avendo in mente la persona che voglio essere come maestra. Metodi trasmissivi e attivi→ non serve demonizzare una lezione frontale, basta che sia fatta bene! I metodi attivi dovrebbero essere i jolly in certi momenti particolari, quando c’è tempo e quando il gruppo è pronto per sostenerli. L’INSEGNANTE ETICO di DAMIANO Libro che esce nel 2007, in un contesto particolare in Italia, quando è acceso il dibattito sul codice deontologico degli insegnanti. Il testo però è profondo e analizza la letteratura internazionale, pone interrogativi che si interfacciano con la pedagogia dell’insegnamento ed è utile per ragionare sull’etica professionale dell’insegnante. ➔ Testo diviso in 3 parti: 1. Insegnare nella società degli individui (sguardo veloce, non lo chiede all’esame) 8 2. L’insegnamento come azione morale 3. Una professione etica Codice deontologico serve per essere tenuti dentro o fuori da un certo ordine professionale. A livello nazionale ora è venuto meno il dibattito sul codice deontologico degli insegnanti come c’era negli anni 2000, ma nulla vieta di immaginare una carta etica che gli insegnanti si diano nelle singole scuole autonome. Ciò è possibile grazie alla legge sull’autonomia scolastica. 17.10.2024 La gioia del sapere Tema presente nella letteratura pedagogico-didattica del secolo scorso, ma si può risalire già a Tommaso d’Aquino →”la gioia è spinozianamente il passaggio da una perfezione minore ad una più grande, l’altra faccia del lavoro di studiare: una conquista morale”. Spesso si fa riferimento ai contenuti come saperi, quasi fossero oggetti che si possono trasmettere; invece, la conoscenza non si trasmette ma si rigenera! Tutto ciò che uno impara dovrebbe collocarsi in una condizione di splendore: l’apprendimento è un evento che lascia un segno e dà soddisfazione, non è un’attività sterile e routinaria, ma ha una dimensione orientativa, ovvero dare senso alla vita delle persone. Imparando qualcosa mi faccio delle domande che riguardano me stesso e non solo faccio contento qualcuno restituendo dei saperi. L’insegnante in cerca di identità Damiano fissa un triangolo interpretativo: l’insegnante, all’interno dello spazio dell’esperienza e del lavoro formativo, deve esercitare 3 funzioni in modo equilibrato. In tempo di crisi riemerge il bivio pedagogico tra la funzione di educare e di istruire, ma soprattutto le principali funzioni sono connesse al ruolo professionale: - Il funzionario: assicura a tutti pari opportunità, rappresenta la repubblica di tutti gli allievi (portavoce del “non uno di meno”) - L’esperto: custode di una disciplina che valuta in modo meritocratico gli allievi attraverso il riconoscimento del loro profitto - La persona educante: che si prende cura dello sviluppo dell’alunno Insegnante sarebbe chiamato a prendersi cura del benessere degli allievi, ma spesso è oppresso da una struttura burocratica e si immerge nel ruolo di “burocrate”. Fino alla prima metà del XX secolo la figura dell’insegnante era considerata colta ed intellettuale, poi ha perso prestigio sociale e riconoscimento economico → si apre così una serie di dibattiti, compreso il bivio di cui sopra. Purtroppo nella società odierna si considera meno chi guadagna meno… la cosa di cui non si tiene conto sono le competenze personali e relazionali di cui c’è bisogno per poter svolgere tale professione… Dunque, burocrati o professionisti? È il grande dilemma professionale dei docenti. Chi preme nella direzione del professionista punta molto sulla deontologia professionale→ Il professionista socialmente riconosciuto e accettato è colui che sta dentro un ordine professionale (avvocato, medico, ingegnere, notaio…), dal quale può essere anche espulso se si dimostra palese incompetenza o comportamenti deolontogicamente non corretti. Fino al 2013 si poteva essere assunti come educatori anche senza nessun titolo. Poi è stata per fortuna istituita la laurea triennale per educatori. Non essendoci un albo professionale, nel 2024 è stata aperta una procedura per decidere chi scrive il codice deontologico degli educatori e dei pedagogisti (tentativi iniziati negli anni 2000). Perché non è stato scritto prima? 9 - La rappresentanza per un ordine dipendente è il sindacato di riferimento (es. CGIL scuola): nei sindacati della scuola il comparto è sindacalizzato non per singole categorie. Tutto ciò che andava a sottolineare un certo grado di autonomia professionale andava a togliere potere ai sindacati. - Inoltre, l’insegnante fa parte di una comunità, nella quale è membro corresponsabile, per cui la dimensione collegiale della scuola è molto importante. Damiano presenta l’approccio come “imprudente” perché “l’educazione è un bene troppo importante per essere affidato in esclusiva e in autonomia a chiunque quale che sia il suo expertise in materia”. A scuola la dimensione etica è anche oggetto di insegnamento. L’insegnamento come azione morale - In senso ordinario del termine: tutto ciò che una persona compie intenzionalmente ha valore morale e ne è responsabile. - Nel realizzarsi dell’azione didattica esistono esigenze morali intrinseche, per cui non si può concepire un rapporto tra insegnante e alunno e sapere senza considerare la dimensione di cui ciascuno è portatore 3 grandi idee: 1. Proprietà morali del “sapere scolastico”: il sapere deve essere adeguato all’età dei bambini e deve avere una valenza educativa o non abbia valenza diseducativa 2. In relazione con l’alunno 3. Il “buon insegnante”: colui che lascia il segno. 1. Programmi e Indicazioni Curricolari Esercitano funzioni sociali e culturali, di legittimazione di valori che ispirano il lavoro dei docenti, ma anche di orientamento e selezione degli alunni per la loro carriera scolastica, la pianificazione dell’integrazione dell’offerta formativa. Il profilo dello studente delinea una sorta di Padeia scolastica (=ragazzo ben formato al termine di ogni ciclo). Programma ministeriale: Ministero sceglie un’organizzazione della disciplina basata sulla sequenza ordinata dei contenuti da trattare e una premessa per interpretare la disciplina e come affrontarli Programmazione curricolare per obiettivi: l’organizzatore dei contenuti era sempre il programma ministeriale, ma i dispositivi della progettazione scolastica prevedevano che il programma fosse scomposto in unità didattiche con obiettivi di apprendimento precisi e puntuali. Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati (2004-2007): avevano la funzione di sostituire i programmi ministeriali. La programmazione non è per decidere come erogare il programma ministeriale, ma costruire percorsi di apprendimento personalizzati per ogni alunno. Indicazioni nazionali per il curricolo (2007): il ministero non fa più i programmi, ma entrano queste, strutturate come quelle del 2012 (revisione del 2007)→obiettivi di apprendimento e traguardi per lo sviluppo delle competenze. I primi sono mezzi per raggiungere i secondi, che rappresentano i fini. Come usare e leggere il Profilo dello Studente? Nelle Indicazioni Nazionali si tratta in modo diverso dai programmi ministeriali. Nei piani di studio personalizzati sono stati inserite solo conoscenze e abilità in base al profilo della persona/studente che è tarato in base alle competenze in uscita al primo ciclo. Indicazioni nazionali per il curricolo vs programmi ministeriali nelle prime mancano le premesse che esplicitano il senso e la chiave di lettura, il valore formativo. Nelle indicazioni, invece, si inserisce il profilo dello studente. Nei piani di studio personalizzati, sono state inserite solo conoscenze e abilità in base al profilo della persona/studente che è tarato in base alle competenze in uscita al primo ciclo. Il profilo in uscita alla scuola primaria o infanzia no è presente, c’è solo quello al termine del primo ciclo che rappresenta una sorta di Paideia dell’istruzione c’è scritto quello che deve essere e conoscere al termine del percorso scolastico. Se si ragione in una prospettiva educativa, se si osserva il profilo si individuano le competenze da sviluppare e progettare dei percorsi adeguati. Ciascun traguardo dovrebbe essere calato nelle diverse classi e in base ai diversi profili dello studente. Il profilo dello studente→se uno è centrato molto sui binari il profilo non lo conosce e non lo usa. 10 2. Una relazione educativa situata Capire le esigenze proprie della relazione educativa nel contesto scolastico. In esso si determinano le caratteristiche della relazione educativa tra studenti e docenti. Questi ultimi esercitano una legittima autorità e sono chiamati a portare gli studenti ad assumersi le proprie responsabilità da tutti i punti di vista. Il ruolo dell’insegnante è accompagnare in alleanza i genitori nella relazione educativa, ma presidio alcune variabili, ovvero: - La comunità scolastica: ha una sua struttura, le sue regole, e risulta educativa in quanto comunità. Si educa attraverso la cultura in un insegnamento orientativo - Chiedo agli studenti di assumersi le proprie responsabilità 3. Il “buon insegnante” Molti studi su questo tema hanno un profilo di tipo tecnico che fa riferimento a competenze disciplinari valutative e didattiche. L’insegnante è un agente morale non solo perché opera con piena avvertenza e deliberato consenso in un contesto professionale di alta densità di relazioni, ma perché si tratta di relazioni che comportano una serie di responsabilità specifiche: - asimmetria adulto-minore→persona ancora in formazione della quale si è responsabili, l’insegnante è modello - necessità di ridurre il più possibile la distanza→è essenziale non perderla del tutto perché verrebbe meno il proprio ruolo d’insegnante. Serve trovare equilibrio tra prossimità e distanza. - la necessità di coinvolgere e motivare le persone libere→la motivazione dell’insegnante si rigenera nei bambini, se sono appassionato diventerò anche appassionante. L’insegnante deve incarnare e testimoniare una cultura che rende migliore una persona e genera buone qualità. Vi è un ethos dell’insegnante che mette in campo atteggiamenti morali come le virtù. “E lo stesso vale per l'autorità esercitata sui fanciulli e per le restrizioni della libertà imposte finché essi non abbiano sviluppato in loro un principio direttivo analogo a quello dello Stato e finché, nell'intimo dei giovani, non siano state, per così dire, passate le consegne di guardiano e di capo alla parte migliore che abbiamo allevato mediante la parte corrispondente che si trova in noi. Solo allora li lasceremo liberi” [Platone, La repubblica, 590 e - 591 a) Il paradosso della collegialità In prospettiva morale, pone diverse questioni: - se la scuola è comunità educante dovrebbe avere una paideia condivisa (con una dimensione etica) - spesso i momenti collegiali sono centrati più su questioni di tipo burocratico che di tipo educativo - vi è la diffusa convinzione che le questioni etiche sono problemi individuali e personali, su cui non è necessario convergere - la relazione tra colleghi ha una dimensione etica 18.10.2024 l’insegnamento come azione morale in senso stretto «I vari elementi che abbiamo ricomposto sinteticamente - le 'credenze con il 'potere' che mira ad incarnarle, attraverso la 'cooperazione' e il 'negoziato' – sono le componenti di un'impresa a carattere morale: quale è, a questo punto inconfondibilmente, l'insegnamento. E tuttavia, nonostante la posta in gioco riguardi dimensioni così coinvolgenti come i valori, ed i principi ai quali ancorarli, l'insegnamento resta in buona misura un'azione morale 'latente', in cui le virtù che pur vengono promosse dagli insegnanti - il rispetto, la gentilezza, la lealtà, la sincerità, il coraggio... - si presentano come 'ethos', frutto prevalente di spontanee scelte personali, piuttosto che di consapevoli orientamenti professionali» (p. 254). Sarebbe importante immaginare una formazione etica degli insegnanti in quanto tali. L’ethos è sia personale che professionale (formato anche grazie alla formazione in corso). Per gli insegnanti c’è una formazione emergenziale, che ha motivazioni estrinseche, e di tipo tecnico, riguardante conoscenze e abilità anche innovative. 11 Una professione etica… In questa sezione del libro, è raccolta la proposta culturale, pedagogica e professionale che caratterizza il volume e tira le fila delle due parti: tutti gli elementi della fenomenologia delle istanze etiche della professione docente trovano una sintesi sistematica nel tentativo di delineare una vera e propria etica condivisa. Proprietà di un’etica dell’insegnamento Le “condizioni di possibilità” di un’etica dell’insegnamento sono almeno 4: è un’azione che comporta una mediazione sul piano relazionale e culturale, tramite un negoziato continuo e latente che coinvolge allievi e colleghi, nel contesto di una struttura sociale che a sua volta riceve un mandato sociale dalle leggi della Repubblica e può avere una sua identità culturale e valoriale. 1. pedagogia è una scienza pratica in senso aristotelico 2. ogni azione educativa è frutto di una libertà di cui sono moralmente responsabile, è frutto di scelte professionali orientate ad un certo contenuto 3. insegnamento comporta una negoziazione/collegialità che ha una valenza etica; bisogna decidere cosa concordare insieme; ciò vale anche per le famiglie. Bisogna andare al di là della questione tecnica, con un criterio per decidere cosa negoziare e cosa no 4. la scuola è una struttura sociale e ciò genera delle responsabilità date dalla Repubblica che vanno oltre le personali opinioni. L’insegnante deve incarnare l’ethos costituzionale e deve essere un funzionario dello stadio. All’epoca del Duce gli insegnanti dovevano prestare un giuramento fascista: di fronte a questa questione qualcuno si è licenziato, qualcuno ha giurato anche se non era convinto, altri erano convinti. Tutto in riferimento a diversi modelli etici (non sono da studiare): - etica consequenzialista - etica deontologica - etica normativa - etica della responsabilità il modello etico che ritiene più funzionale nell’ambito dell’insegnamento è quello del principio responsabilità di Hans Jonas, filosofo tedesco. Etica e libertà: l’etica della responsabilità di Jonas mira ad autenticare l’intrinseca moralità dell’azione dell’insegnare, nel contesto di una sollecitudine specifica responsabilità precipua nei confronti di un soggetto vulnerabile, in cui l’educazione attraverso l’insegnamento si configura come azione asimmetrica insieme ordinata all’autonomizzazione di un soggetto originariamente incompiuto, e per questo bisognoso di maturare la propria perfezione umana. Tale assunzione di responsabilità è possibile solo nel contesto di una profonda libertà di insegnamento, costituzionalmente garantita, non solo perché libera è la scienza e il suo insegnamento, ma per la natura stessa dell’azione di insegnare. In ogni caso la mia libertà d’insegnamento non è assoluta, ma trova limite nelle condizioni date dalla Costituzione e nel diritto all’apprendimento da parte degli studenti→bilanciamento complesso delle diverse stanze di tipo etico all’interno dell’insegnamento. 23.10.2024 Triangolo della professione di Damiano: Damiano considera le professioni ordinate, cioè che si organizzano intorno a un ordine professionale e in cui la deontologia è presentata con chiarezza. Un professionista riconosciuto come tale dalla società gioca la propria identità professionale nello spazio delineato da questo triangolo, formato da tre vertici: - sapere tecnico: si intende quello specifico della professione che altri non hanno, che genera una competenza particolare e può essere giudicata solo da chi fa la stessa professione - autonomia: la società riconosce alla professione un’autonomia che permette di realizzare una qualche forma di autogoverno, giudizio solo da chi lo fa di mestiere 12 - etica: la deontologia è lo spazio dentro cui prende forma l’insieme dei rapporti con il “cliente”, in modo che si chieda una cosa specifica. →Etica per la professionalizzazione: in una società complessa vi è un numero crescente di professionisti, la cui definizione sociologicamente funzionalista è quella di soggetto che dispongono di un sapere tecnico procedurale (competenze) che li rende autonomi nell’esercizio della propria attività. “è questo nesso diretto tra sapere e autonomia che fa da base alla edificazione di una professione. In questo processo l’etica sopraggiunge come aspetto “derivato”: a titolo di giustificazione dell’autogoverno riconosciuto al professionista e a garanzia del cliente, per proteggerlo dal potere che il professionista, in quanto “esperto” è legittimato ad esercitare su di lui.” Codice deontologico degli educatori→attualmente ce ne sono almeno 4 o 5 e sono quelli autogestiti dalle associazioni professionali per provare a mettersi avanti. Codice deontologico: Insieme di norma stabilite tra pari, cioè da persone che svolgono quella professione. Damiano sottolinea l’autonomia e l’autogoverno dei professionisti in cui le questioni cruciali sull’identità e l’etica della professione vengano stabilite “fra pari” cioè tra coloro che sono specificamente competenti. Questo sarebbe il modello degli ordini professionali. «la professionalizzazione richiede sicuramente l'autonomia e questa non può essere ottenuta se non attraverso la liberazione dai vincoli impiegatizi che ne denotano da sempre lo status. Ma la stessa definizione del nuovo status professionale non dovrà avvenire per decreto ministeriale, bensì attraverso una opzione decisa all'interno della categoria, in seno alle associazioni professionali degli insegnanti.” Per gli insegnanti non c’è un codice deontologico ma c’è un albo a cui automaticamente si è iscritti dopo un tot di anni. In Italia ci sono associazioni professionali nazionali di insegnanti libere e auto costituite per la cura della vita professionale sulla base di un’ispirazione ideale e una angolatura specifica da cui viene vista la professione. (esempi: Associazione dei maestri cattolici, Associazione CIVI (centro iniziativa democratica italiana) laica, legata al partito comunista, prima associazione è FNISM nata alla fine dell’Ottocento di area laico liberale, LUCIM…). →Svolgono un servizio presindacale, cioè se si hanno bisogno di info ci sono insegnanti esperti che si mettono a disposizione Codice deontologico (CD) per gli insegnanti? La questione è complessa ed è stata oggetto di un intenso dibattito nei primi anni del XXI secolo sul modello di quanto richiesto per le professioni “ordinate”, ma anche più recentemente per educatori e pedagogisti. ➔ Servirebbe per il riconoscimento dell’insegnante come professionista. Nei primi anni 2000 vi sono stati dei tentativi in tal senso. Nel 2001 è uscito un libro su codice deontologico, per vedere se si considera la professione docente più simile a quelle delle libere professioni o di tipo impiegatizio. Addirittura, era stato istituito un Gruppo di lavoro sul codice deontologico coordinato da Carla Xodo di Unipd. Malessere tra gli insegnanti di oggi a causa di: - Riconoscimento sociale: una volta era considerato un intellettuale, oggi è un personaggio svalutato. In realtà l’insegnante ha delle responsabilità importanti tanto quanto altre professioni che socialmente hanno più prestigio. - Remunerazione economica: stipendi bassi - Riconoscimento della competenza: tutti si sentono in grado di fare gli insegnanti anche se non ne hanno competenza. Il progetto di un codice deontologico nazionale unico e condiviso per ora è naufragato, ma nulla vieta alle istituzioni scolastiche autonome di dotarsi di tale strumento che avrebbe alcuni vantaggi: - Favorire una “collegialità effettiva”, non solo in ordine agli obiettivi didattici, ma anche in ordine ai comportamenti concreti di tutti individuando pratiche professionali comuni. (così gli allievi non si atteggiano in un modo con un insegnante e in un altro con un altro docente) - Mettere al riparo da pretese incontrollate dei nostri interlocutori (genitori, dirigenti, studenti) in analogia con lo statuto delle studentesse e degli studenti 13 - Come in campo medico si parla già di “medicina difensiva” non si può escludere il rischio di una crescente conflittualità* rispetto a cui è bene tutelarsi… anche se è essenziale mantenere il setting comunicativo di quella - che pedagogicamente parlando - chiamiamo “alleanza educativa”. *Sta crescendo il tasso di conflittualità tra docenti e dirigenti - può essere uno strumento prezioso nell’ambito della qualità che si collega all’autonomia scolastica di RAV, monitoraggio, piani di miglioramento… i punti di riferimento per gli insegnanti sono: - legge: esige che su alcune questioni, in particolare dove c’è notizia di reato, qualsiasi diritto alla riservatezza viene meno all’interno della relazione educativa (es. se un bimbo mi confida qualche segreto ove c’è un reato) - consapevolezza pedagogica: mentre il bimbo si propone, l’insegnante ascolta e garantisce la riservatezza, ma se c’è qualcosa di doveroso riferire ad altri, lo farà. - Team di insegnanti con cui confrontarsi 30.10.24 Vi è chi vi vede anche dei punti di criticità nel codice deontologico (obiezioni): → I principali ostacoli al processo sono stati posti dai sindacati, a partire dalla constatazione che diritti e doveri degli insegnanti sono già ampiamente regolamentati nel contratto, di cui gli stessi sindacati sono parte sociale coinvolta. → L’idea di insegnante come pubblico funzionario sembra ad alcuni in contraddizione con lo status di professionista autonomo (vi è chi dice “libero professionista”) con un codice deontologico. La carta etica o deontologica Damiano propone una nuova idea, quella di una “carta etica” visto che il termine codice richiama gli ordini professionali, in questo caso la carta etica appare più neutrale. Per uscire dall’impasse che si è venuto a creare intorno all’idea del Codice deontologico, vi è chi propone una Carta Etica o deontologica. “E se è certamente opportuno che le famiglie degli alunni siano consultati per offrire il loro parere, è essenziale che una carta deontologica sia accettata da tutti i membri della categoria e, per quanto sia accettata da tutti i membri della categoria, essa deve essere concepita come espressione del desiderio di autogoverno degli insegnanti. I curricoli stile Da Re sono di circa 150 pagine (più attenti all’adempimento democratico) → viene scritto stabilmente, non diventa operativamente la fonte del lavoro quotidiano. Altri, più leggeri, invece si aggirano attorno alle 20 pagine (attenti alla progettazione didattica) → spesso è usato come fonte di ispirazione per il lavoro quotidiano. Possono esserci entrambe le modalità, in base all’interpretazione del mandato. Alcune questioni che stanno sullo sfondo 1. Il tentativo di uscire da una condizione impiegatizia che trova riscontro anche nella crescita delle incombenze burocratiche. Il tentativo è quello di spostare il focus dal diritto alla responsabilità professionale (etica/deontologica) 2. Indeterminatezza dei profili del buon insegnante su cui ciascuno ha delle idee. Risulterebbe utile esplicitare i valori attorno ai quali si costruisce l’insegnamento come azione morale → modo in cui l’insegnante si rapporta con i bambini. = variabili di tipo professionale ma anche morali (più o meno corretto, capace di ascoltare) 3. L’insegnamento è una professione pubblica che comporta responsabilità sociali e pubbliche che è bene che siano condivise e quanto più possibile esplicite, anche in vista di una corretta valutazione della sua qualità 4. Rimane aperto il problema della governance di questa autonomia professionale, che attualmente non esiste, in quanto parzialmente frutto di contrattazione tra le parti sociali (ARAN e sindacati). Un ruolo interessante è svolto dalle associazioni professionali degli insegnanti che però si colloca più sul piano culturale. 14 Al governo è presente il consiglio superiore della pubblica istruzione può esprimere un parare consultivo e non vincolante sulla normativa scolastica. Damiano, invece, propone la costituzione di un Consiglio nazionale degli insegnanti con funzioni di autogoverno (che ancora non esiste). Dovrebbe determinare le condizioni di accesso alla professione, di rendicontazione pubblica della qualità del servizio prestato e di disciplina dell’esercizio professionale sulla base di una carta etica Ne emerge un dispositivo concettuale articolato in tre punti in cui la carta etica sarebbe una fonte dell’etica professionale su cui poggiano le indicazioni dell’Amministrazione e l’organo di autogoverno professionale. Valori intrinseci all’azione di insegnare Questi valori sono individuati a partire dalle responsabilità specifiche connesse all’attività dell’insegnante in quanto tale. Se come insegnante ho delle responsabilità, allora ho anche dei doveri morali: a. Sollecitudine per gli alunni e salvaguardia della loro dignità: non solo rispetto ai diritti ma cura etica per la libertà e l’unicità di ciascuno b. La promozione del sapere come occasione di sviluppo personale e sociale con i connessi valori della curiosità intellettuale, gusto della ricerca, costanza nello sforzo, senso critico, rispetto per la verità, onestà intellettuale, rispetto della proprietà intellettuale. Sono persone che hanno diritto di esprimersi e le loro libertà di espressione. Ciò che si fa a scuola deve essere significativo per tutti e per ciascuno. c. La responsabilità nell’uso del potere necessario per insegnare: imparzialità, discrezione ed empatia. Come insegnanti si esercita un potere legittimo secondo giustizia, onestà. Es.: quali sono le valenze etiche della valutazione, quali sono i doveri morali: attribuire una valutazione giusta e coerente (parere oggettivo), considerare gli effetti sull’autostima del bambino, trasparenza, differenza fra la valutazione sommativa e formativa I. In alcuni contesti la valutazione formativa e sommativa non spetta alla stessa persona (conflitto di interessi) II. In certi momenti (fine anno e ciclo) la valutazione sommativa ha effetto formativo perché genera senso di competenza (offre un’auto-percezione/rappresentazione di eccellenza o meno) → la certificazione di competenza genera una responsabilità nei confronti dell’istituzione ma anche di chi viene certificato. La rappresentazione di sé che viene offerta tramite la valutazione, spesso non si prepara i bambini a ciò che accadrà in futuro. Si insegna che un fallimento non è un dramma, ma se non succede come faranno questi bambini ad affrontarlo? Spesso i genitori sono il problema, perché la valutazione degli insegnanti viene messa in discussione d. Fedeltà al progetto sociale (mandato sociale) ovvero istruire, educare, socializzare Qualunque scelta io faccia come insegnante, si devono bilanciare e accogliere le responsabilità che ne conseguono. 31.10.24 Le competenze etico-professionali Sono la deduzione delle competenze corrispondenti ai valori indicati; esse sono: - Capacità di discernere i valori in gioco nei propri atteggiamenti e comportamenti. - Capacità di offrire attenzione e cura adeguati agli allievi. - Capacità di creare un clima adeguato in classe e negli altri ambienti formativi. - Capacità di giustificare le proprie decisioni professionali in rapporto ai valori di riferimento - Capacità di rispettare gli aspetti confidenziali del proprio lavoro (dovere di riservatezza. - Capacità di evitare le discriminazioni, di ogni forma e tipo. - Capacità di utilizzare saggiamente i regolamenti → sono strumenti per imparare a vivere assieme - Capacità di discernere e collegare le questioni morali che sorgono sul campo con i grandi temi della riflessione etica - Capacità di inserire i colleghi, soprattutto debuttanti nel contesto lavorativo → la scuola è una comunità che funziona quando le persone si sentono una squadra 15 - Capacità di collaborare con i colleghi (collegialità effettiva). - Capacità di coordinarsi con i servizi educativi e gli altri attori del territorio, elaborando forme di partenariato. - Capacità di elaborare e valutare il progetto educativo scolastico, in collaborazione con gli altri attori. - Capacità di collaborare con i colleghi e le associazioni di categoria, per contribuire allo sviluppo professionale degli insegnanti. Nel momento in cui si interpreta il ruolo di insegnante, in realtà, si porta avanti l’immagine di tutta la categoria → col passare degli anni, si noterà qualcosa di cui avranno bisogno le nuove generazioni di insegnanti. L’ipotesi di un consiglio nazionale degli insegnanti Damiano elabora questa ipotesi in coerenza con la proposta culturale presentata. Da non confondere con il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (istituito con Decr. L.vo 297/1994), i cui componenti rappresentano le diverse categorie del personale scolastico (insegnanti, dirigenti, ATA) eletti in liste di fatto governate dai sindacati. Esprime pareri (consultivi) su norme e politiche scolastiche. La competenza etica Per la formazione etica degli insegnanti è essenziale la competenza etica che è una sintesi delle competenze già descritte “e corrisponde a quella del giudizio professionale che si esercita come riflessione sui valori e gli a-priori”. Essa si configura di fatto come un appello ad impegnarsi a vivere un ideale di pratica professionale che comporti l'esercizio continuo di un'attività di giudizio: la riflessività professionale (professionista riflessivo, parte da un testo che introduce delle categorie per analizzare il senso dell’agire pratico) si applica anche alle dimensioni etiche dell'agire docente. La riflessione personale si innesta nella capacità di confrontarsi con la comunità professionale: valori comuni, ethos professionale condiviso. Professionista riflessivo si pone delle domande di tipo tecnico, ad esempio cosa ha funzionato o meno → funziona bene nelle professioni con alto tasso di variabili. Inoltre, il professionista considera gli elementi di tipo pedagogico e pratico ovvero andare ad indagare le tecniche utilizzate. l professionista si interroga anche sul piano etico, ovvero pensare che nella professione ci sia una parte etica che ci spinge a porci delle domande. Se questo spazio è condiviso, si possono confrontare le idee e le risposte a queste domande. «La competenza etica non è una competenza professionale fra le altre, bensì va concepita come il principio integratore della professione d'insegnante». Con quest’espressione di intende che la professione del docente ha la missione di educare attraverso l’istruzione. Sulla base di ciò si hanno in mente degli orizzonti verso cui mirare, orizzonti di umanità desiderabile come punti di riferimento → tutto ciò può funzionare solo se la competenza etica è il principio integratore fondamentale. La riflessione morale è intesa come una capacità di elaborare una riflessione etica «in situazione», tenendo presente che - come già Aristotele suggeriva - il sillogismo pratico non consiste in una semplice «applicazione» della norma al caso singolo, ma in una sorta di «ricerca sul campo» che comporta un insieme ricorsivo di domande eticamente significative, come (ad esempio) quelle indicate da McDonald (cit. in INET, p. 337): 1) identificazione del problema morale, 2) specificazione delle alternative praticabili per risolvere il problema, 3) previsione delle buone e cattive conseguenze di ciascuna di esse, 4) l'uso delle risorse etiche (principi morali, massimizzazione dell'autonomia,...), 5) considerazione delle alternative in vista della presa di decisione. Seguono altri modelli di ragionamento pratico e alcune considerazioni sull'insegnamento dell'etica a scuola (vedi pagine seguenti). L’insegnante etico Come deve essere l’insegnante etico? - Non deve essere perfetto, ma piuttosto aperto e ricettivo nello sviluppo della sua sensibilità etica, insieme agli altri colleghi - Non risponde ad un modello uniforme, ciascuno è tenuto ad interpretarlo a modo suo, nella propria unicità delle situazioni - Si comporta con imparzialità, anche con gli studenti che sbagliano, sempre empatico, sa bene che conto non solo ciò che dice, ma anche il tono con cui lo dice, la gestualità, lo sguardo, ecc. 16 - Si sforza di proteggere i suoi studenti dall’imbarazzo che possono provare davanti ai compagni, rispetta la loro privacy e la dignità loro e delle loro famiglie - Restituisce prontamente le prove di valutazione, in segno di rispetto, accurate e con adeguati commenti: il lavoro degli studenti va riconosciuto come il proprio - Prende in carico i bisogni dei singoli studenti e il benessere generale del gruppo-classe, applicando criteri di uguaglianza e imparzialità, escludendo qualsiasi forma di privilegio - Evita qualsiasi forma di falsità e inganno tanto nelle relazioni interpersonali, come nella valutazione degli studenti e nell’insegnamento delle discipline di studio. La scelta dei mediatori didattici è accurata e onesta. Inoltre, evita ogni forma di attivismo politico e ideologico, con il rischio di imporre agli studenti le proprie opinioni - Evita di coinvolgere gli studenti in qualsiasi contenzioso per esempio con l’amministrazione scolastica - Tiene fede ai su stessi principi ed è un testimone credibile nei rapporti con i colleghi, con la scuola, con lo stato. Vive la scuola come una comunità di cui è membro attivo. Un appello ai ricercatori “Non c’è modo da aggiungere, ma è altrettanto essenziale: il compito di esplicitare, e rendere socialmente visibile, il capitale morale prodotto dalla esperienza degli insegnanti va preso in carico anche dai ricercatori e restituito alla categoria degli insegnanti attraverso la formazione iniziale e ricorrente alla professione” 17