Economia E Gestione Delle Imprese Dispensa 2024 PDF

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Università degli Studi di Napoli Parthenope

2024

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business management economics company classification production processes

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This document is a 2024 handout/notes on business management and economics. It discusses the classification of businesses based on various criteria, including what they produce, who owns them, and their goals. It also details different production methods and factors of production. Useful for undergraduate students taking courses on business management or economics.

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ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE DISPENSA 2024/25 PREMESSA: Ho messo in ordine le cose da studiare, per le formule e tabelle vi consiglio di guardarle dalla dispensa del professore poiché non sono riuscito a scriverle bene o altro. Grazie mille! CAPITOL...

ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE DISPENSA 2024/25 PREMESSA: Ho messo in ordine le cose da studiare, per le formule e tabelle vi consiglio di guardarle dalla dispensa del professore poiché non sono riuscito a scriverle bene o altro. Grazie mille! CAPITOLO 1 1.1. CLASSIFICAZIONE DELLE IMPRESE Le imprese possono essere divise in base a diversi criteri: I) COSA PRODUCONO: Beni o Servizi. II) CHI LE POSSIEDE: “Imprese” Pubbliche o Private. III) SCOPO: Profitto, Sociali o Profit-Oriented. IV) DIMENSIONI: Grandi, Medie o Piccole. V) COME PRODUCONO: Produzione Continua (Senza sosta) o A Lotti (Su richiesta). 1.1.1 CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA TIPOLOGIA PRODUTTIVA Di seguito la differenza tra produzione di beni e produzione di servizi: I beni (es. auto, vestiti) possono essere immagazzinati e trasportati, quindi la produzione può avvenire in fabbriche lontane dal luogo di vendita. I servizi (es. una visita medica, un taglio di capelli) non possono essere conservati e vengono consumati nel momento stesso in cui vengono erogati. Esistono altri criteri che spiegano altre differenze tra i Beni e i Servizi: Gestione della quantità prodotta: Le aziende che producono beni possono accumulare scorte. Le aziende di servizi non possono immagazzinare il loro prodotto. Controllo della qualità: Nei beni, si possono fare controlli prima della vendita per evitare prodotti difettosi. Nei servizi, non c’è un controllo preventivo. Misurazione della qualità: Nei beni si possono usare misure oggettive (es. test di qualità). Nei servizi è più difficile misurare la qualità, perché dipende molto dalla percezione del cliente e dalla personalizzazione del servizio. 1.1.2. CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA FINALITA’ Esistono due tipi di Imprese: Pubbliche e Private. Questa distinzione influisce sui loro obiettivi, poiché: L’ Impresa privata vuole fare profitto, cioè guadagnare in modo stabile nel tempo per crescere e sopravvivere. L’Impresa pubblica non punta al guadagno, ma a migliorare il benessere della collettività (ad esempio, scuole, ospedali, trasporti pubblici). Le Principali differenze si basano su diversi criteri ad esempio: - SCOPO: Le imprese private vendono prodotti o servizi per guadagnare e rimanere sul mercato. Le imprese pubbliche forniscono servizi essenziali anche senza guadagno diretto (es. sanità, trasporti a prezzi accessibili). - PREZZI: Le imprese private fissano i prezzi in base ai costi e al mercato per ottenere profitti. Le imprese pubbliche possono offrire servizi a prezzi più bassi (tariffe sociali) grazie alle tasse pagate dai cittadini, per aiutare chi ha meno risorse. - SOSTENIBILITA’: Un’impresa privata deve coprire i costi con i ricavi per sopravvivere. Un’impresa pubblica cerca di coprire i costi con le vendite, ma se non ci riesce, può ricevere finanziamenti dallo Stato. 1.1.3. CLASSIFICAZIONE IN BASE AI PROCESSI PRODUTTIVI I processi produttivi si possono classificare in base a due fattori: - Produttività: Quanti prodotti si realizzano in un certo periodo di tempo. - Varietà: Quanti tipi diversi di prodotti si possono fare nello stesso periodo. Tramite questi due criteri, si distinguono tre tipi di processi produttivi: - PRODUZIONE CONTINUA: Le macchine lavorano senza interruzioni. Si producono grandi quantità dello stesso prodotto. - PRODUZIONE DISCRETA (O A LOTTI): Si producono pezzi in serie, cioè gruppi di prodotti uguali (grandi, medi o piccoli lotti). C’è più flessibilità rispetto alla produzione continua. - PRODUZIONE PER UNITA’: Ogni prodotto è unico o personalizzato. Adatta a produzioni su misura. PROCESSI CONTINUI La produzione continua è un tipo di produzione che funziona senza interruzioni ed è utilizzata per realizzare grandi quantità dello stesso prodotto. Ci sono diverse caratteristiche: - IMPIANTI GRANDI E COMPLESSI: Sono progettati per lavorare senza fermarsi. Se si interrompono, si perde efficienza e produttività. - STANDARDIZZAZIONE: Si usano sempre gli stessi materiali e procedure. Anche piccoli cambiamenti (ad esempio, una materia prima leggermente diversa) possono causare problemi in tutto il processo. - PRODUZIONE PER IL MAGAZZINO: I prodotti vengono realizzati e immagazzinati per essere venduti in seguito. A volte, se l’azienda ha clienti fissi con una domanda costante, può evitare l’immagazzinamento e consegnare direttamente. - PRODOTTI SECONDARI E CONTROLLO DELLA QUALITA’: Oltre al prodotto principale, si ottengono anche sottoprodotti (ad esempio, nella raffinazione del petrolio si ottengono benzina, gasolio e altri derivati). È essenziale controllare sempre il processo per evitare difetti. - MACCHINE IN SEQUENZA OBBLIGATA: Gli impianti sono progettati per lavorare in un ordine fisso, senza possibilità di modificare la sequenza delle operazioni. - TEMPI DI PRODUZIONE RIDOTTI: Il lead-time (tempo tra inizio e fine produzione) è molto breve. Non ci sono tempi morti per riattrezzare le macchine (set-up time), perché il processo è sempre lo stesso. PROCESSI DISCONTINUI I processi discontinui (o discreti) sono utilizzati nell'industria manifatturiera e si differenziano dai processi continui perché non devono seguire sempre lo stesso ordine di produzione. Ci sono diverse caratteristiche: - FLESSIBILITA’ NEL PROCESSO: Le operazioni possono essere fatte in sequenza o in parallelo, a seconda delle necessità. Questo significa che la produzione può essere adattata più facilmente rispetto ai processi continui. - TEMPI DI PRODUZIONE PIU’ LUNGHI: Il lead-time (tempo di produzione) è maggiore rispetto ai processi continui. C’è bisogno di tempo per riattrezzare le macchine (set-up time) quando si cambia prodotto. Inoltre, ci sono diversi tipi di processi produttivi discontinui: - PRODUZIONE IN SERIE: Si producono molte unità dello stesso prodotto. Si divide in tre categorie principali: - Grande serie (produzione di massa): Alti volumi di pochi prodotti standardizzati. Esempio: pneumatici. - Media serie: Quantità più limitate ma con più varietà. Esempio: auto Fiat. - Piccola serie: Produzione più esclusiva, con personalizzazione. Esempio: auto Ferrari. - PRODUZIONE PER UNITA’ DISTINTE: Ogni prodotto è realizzato su misura o su ordinazione. Può essere: I) ARTIGIANALE: Pezzi unici, lavorati a mano. II) SU COMMESSA: Costruzione personalizzata per un cliente. PRODUZIONI SU COMMESSA Le produzioni su commessa o artigianali riguardano la realizzazione di prodotti unici o molto personalizzati, fatti su richiesta del cliente. Anche questo tipo di produzione ha determinate caratteristiche: - PRODOTTI UNICI E COMPLESSI: Ogni prodotto è diverso e creato su misura per il cliente. Può trattarsi di un capo d’abbigliamento su misura (es. un abito da un sarto) o di un progetto ingegneristico personalizzato (es. la costruzione di un ponte). - BASSA PRODUTTIVITA’: Non ci sono operazioni ripetitive, quindi il numero di prodotti realizzati è basso. Ogni prodotto richiede tempo e attenzione ai dettagli. - ALTA VARIETA’: I prodotti cambiano continuamente perché sono realizzati su richiesta. Ogni progetto può essere unico e potrebbe non essere mai ripetuto in futuro. - COMPITI DIVERSI PER I LAVORATORI: Gli operai o artigiani svolgono più mansioni diverse, non sempre uguali tra loro. - PROGETTAZIONE ESSENZIALE: Prima di iniziare la produzione, è necessaria una fase di progettazione dettagliata, basata sulle richieste del cliente. 1.2. LA FUNZIONE DI PRODUZIONE Tutte le imprese, sia quelle che producono beni (es. automobili, lavatrici) sia quelle che offrono servizi (es. banche, trasporti), hanno un obiettivo comune: trasformare risorse (input) in prodotti o servizi finali (output). Quando pensiamo alla produzione, ci immaginiamo un processo in cui materiali vengono trasformati in oggetti fisici, come accade in una fabbrica di automobili. Tuttavia, la trasformazione può avvenire anche senza cambiamenti fisici: ✔ Produzione di beni: Trasformazione chimico-fisica (es. acciaio che diventa una macchina). ✔ Servizi e commercio: Trasformazione immateriale (es. una banca che trasforma il denaro in investimenti, o un’azienda di trasporto che sposta merci e persone). La Funzione di Produzione è una formula che spiega come un’azienda produce i suoi beni o servizi utilizzando due risorse principali: - Capitale (C)= Investimenti in macchinari, impianti, soldi propri (capitale proprio) o prestiti (capitale di terzi). - Lavoro (L)= Persone che lavorano (operai, manager, imprenditori). Q=f(C,L) Dove: Q = Quantità di beni prodotti (output). C = Quantità di capitale usato. L = Quantità di lavoro utilizzato. f() = Il modo in cui questi elementi interagiscono per generare il prodotto. Nelle aziende si considera un periodo di un anno, così da poter collegare i dati tecnici (quanti beni sono stati prodotti) con quelli economici e contabili (quanto è costato produrli). 1.3. I FATTORI DELLA PRODUZIONE I fattori produttivi sono tutte le risorse che le imprese usano per produrre beni o servizi. Questi si dividono in due gruppi principali: - FATTORI DI FLUSSO: Questi sono le risorse che vengono usate e consumate durante il processo produttivo quotidiano. - Lavoro: Le persone che lavorano nell’impresa. - Capitale per le spese correnti: Denaro usato per mantenere l’attività (ad esempio, pagare le bollette, le materie prime, ecc.). - FATTORI DI FONDO: Questi sono investimenti che l’impresa fa per creare le immobilizzazioni, cioè risorse che durano nel tempo. - Capitale per immobilizzazioni: Questo include i soldi usati per comprare terreni, edifici, macchinari, software e altre risorse che l’impresa utilizza per anni. - Capitale proprio: Il denaro che l’imprenditore investe di suo. - Capitale di terzi: Se l’impresa prende soldi in prestito (ad esempio da una banca) per acquistare queste risorse. 1.3.1. IL LAVORO Il lavoro si divide in due categorie principali: - LAVORO SALATARIO: è il lavoro svolto da chi riceve un pagamento fisso per il suo lavoro. Ad esempio, le persone che lavorano in un’impresa (come operai, impiegati, ecc.) vengono pagate con uno stipendio. Questi lavoratori sono coinvolti nel processo produttivo per raggiungere gli obiettivi dell’impresa. - LAVORO IMPRENDITORIALE: L’imprenditore è colui che avvia e gestisce l’impresa. A differenza dei lavoratori salariati, l’imprenditore non riceve un pagamento fisso. Viene compensato solo se l’impresa ha un utile, cioè guadagna soldi. Se l’impresa va in perdita, l’imprenditore perde soldi e, se le perdite sono continue, l’impresa potrebbe dover chiudere. L’imprenditore offre tre risorse principali: I) Un’idea per l’impresa. II) Il suo lavoro nell’impresa, che comprende tutte le attività per far funzionare l’impresa. III) Il capitale di rischio, cioè i soldi che investe nell’impresa. Inoltre, il lavoro salariato può essere diviso in altre categorie, come lavoro d'ufficio (impiegatizio), lavoro tecnico o lavoro nelle vendite, a seconda del tipo di attività. Infine, il lavoro è considerato un fattore di flusso, cioè non è qualcosa che può essere conservato o riutilizzato: si "consuma" mentre viene svolto durante il processo produttivo. 1.3.2. IL CAPITALE Il capitale si divide in due categorie principali: I) CAPITALE PER I FATTORI DI FLUSSO: E’ il denaro necessario per acquistare materie prime, semilavorati e componenti che vengono "consumati" durante il processo produttivo. Ad esempio, le materie prime come il metallo per costruire un'auto vengono utilizzate nel processo, e una volta trasformate in prodotto finito (come l'auto), non possono essere riutilizzate. Questo capitale è un "fattore di flusso" perché viene utilizzato e consumato in un solo ciclo produttivo, ovvero durante l'esercizio dell'impresa. II) CAPITALE PER IMMOBILIZZAZIONI: Questa parte del capitale è utilizzata per acquistare beni che non si consumano durante il processo produttivo, ma che hanno una durata pluriennale, come macchinari, edifici e infrastrutture. Questi beni, invece di essere consumati, vengono utilizzati più volte e servono per molti cicli produttivi. 1.4. CRITERI DI EFFICACIA L'efficacia misura quanto bene un'organizzazione riesce a raggiungere i suoi obiettivi. Si può suddividere in due tipi: - Efficacia esterna: riguarda la soddisfazione dei clienti e il successo sul mercato. Ad esempio, Barilla è più riconosciuta di La Molisana perché ha un marchio forte e più persone comprano i suoi prodotti. - Efficacia interna: indica quanto un’azienda riesce a raggiungere i suoi obiettivi interni. Se un'azienda vuole produrre 100 unità di un prodotto, ma ne realizza solo 80, la sua efficacia interna è dell’80% (80/100). Per calcolare l’efficacia interna si deve fare: Risultato Ottenuto/ Risultato Prefissato. 1.5. CRITERI DI EFFICIENZA Di seguito le spiegazioni di alcuni termini e come si collegano tra loro: - Funzione di produzione (f): Indica come la quantità di prodotto (output) dipenda dai fattori produttivi (input), come il capitale e il lavoro, utilizzati in un dato periodo di tempo. La quantità di prodotto è quindi una funzione dei fattori impiegati. - Efficienza tecnica globale (ETG): Rappresenta il rapporto tra il prodotto ottenuto (output) e i fattori produttivi utilizzati (input), come lavoro (L) e capitale (C). L'ETG è un indicatore del grado di sfruttamento dei fattori produttivi, ma non è una misura economica, ma solo tecnica. La formula dell’ETG è: ETG=Input (L o C)/Output (Q) La produttività, invece, si riferisce solo alla quantità di prodotto ottenuto in un dato periodo di tempo, mentre l’efficienza tecnica si concentra sul rendimento dei fattori produttivi impiegati. - Efficienza tecnica specifica (ETS): Misura il rendimento di singoli fattori produttivi come il lavoro salariato (LS) o l'energia (QE) separatamente. Non è possibile sommare queste efficienze specifiche, quindi ogni fattore va valutato individualmente. - Efficienza economica globale (EE): È una misura più completa che tiene conto non solo dell'efficienza tecnica, ma anche dei costi economici totali, come i costi di capitale e lavoro. L'EE fornisce una visione complessiva del rendimento economico di un'azienda. La formula dell’EE è: Ricavi delle Vendite (RV)/ Costi totali di capitale e lavoro ( CLS,CLI,CF o CFI). Dove: CLS è il costo del lavoro salariato. CLI è il costo del lavoro imprenditoriale. CFo è il capitale per acquisire i fattori di fondo (come gli impianti). CFl è il capitale per acquisire i fattori di flusso (come materie prime e risorse). 1.6. PRINCIPIO DI REDDITIVITA’ Il principio di redditività riguarda la capacità di un'impresa di generare utili (cioè reddito) attraverso la sua attività. Questo principio si misura attraverso un rapporto che indica quanto l'impresa è in grado di produrre reddito rispetto ai suoi costi. Il rapporto che esprime questa redditività è simile a quello dell'efficienza economica (EE), e viene calcolato come: EE=Costi totali/Ricavi delle vendite (RV) n questo caso, i costi totali includono vari elementi, come: CMP (costi delle materie prime), CLS (costo del lavoro salariato), QA (altri costi di produzione), iD (altri oneri o spese). La condizione per un'impresa redditizia è che il valore di questo rapporto deve essere maggiore di 1. Se il rapporto è maggiore di 1, significa che l’impresa sta generando più ricavi rispetto ai suoi costi, ottenendo quindi un utile. Per arricchire l'analisi di questo rapporto e capire meglio come i costi influenzano i ricavi, si possono fare delle detrazioni successive dai ricavi (RV) per sottrarre le voci di costo specifiche (come il costo del lavoro, delle materie prime, ecc.). Questo processo è simile alla costruzione di un conto economico, che è il documento che sintetizza i ricavi e i costi di un'impresa. Il Margine Lordo Commerciale (MLC), che è un valore che rappresenta la differenza tra i ricavi delle vendite e i costi diretti legati alla produzione, ossia il costo del lavoro salariato (CLS) e il costo delle materie prime (CMP). In altre parole, il MLC misura quanto l’impresa guadagna dalle vendite dopo aver coperto i costi diretti della produzione, come le spese per i salari e le materie prime. Se a questo MLC si sottraggono altri costi, come il costo per gli altri acquisti (QA) e i debiti (iD), si ottiene l’utile lordo, che rappresenta il guadagno dell’impresa prima di considerare altre spese e imposte. L'equazione che riassume questo è: Ricavi delle vendite (RV)=Costo materie prime (CMP)+Costo lavoro salariato (CLS)+Altri acquisti(QA )+Debiti (iD)+Utile lordo (UL). Dopo aver calcolato l’utile lordo, l’impresa deve anche considerare i costi aggiuntivi, come: 1. Ammortamenti: il costo di beni che si usano per più anni, distribuito nel tempo. 2. Interessi sui debiti (massa debitoria D): se l’impresa ha preso soldi in prestito (capitale di terzi), deve pagare degli interessi. Questo è il costo del capitale preso in prestito. 3. Imposte (TAX): le tasse che l’impresa deve pagare sugli utili. Infine, dopo aver sottratto tutte queste spese, si ottiene l’utile netto (UN), che è l’effettivo guadagno dell’impresa dopo aver coperto tutti i costi, inclusi gli ammortamenti, gli interessi e le tasse. 1.7. ROI E ROE La redditività, indica quanto guadagna un’impresa in relazione al capitale investito. Ci sono due modi principali per misurare la redditività di un’impresa: I) Redditività del capitale proprio (ROE): riguarda solo il capitale proprio che l’impresa ha investito. Il ROE (Return-on-Equity) è il rapporto tra l'utile lordo (guadagno dell’impresa prima delle imposte e altri costi) e il capitale proprio (CP). In altre parole, il ROE misura quanto guadagna l’impresa per ogni euro di capitale che i proprietari hanno investito. Formula del ROE: ROE=Utile Lordo (UL)/Capitale Proprio (CP). Un ROE più alto significa che l’impresa è più efficiente nel guadagnare sui soldi che i suoi proprietari hanno investito. II) Redditività del capitale complessivo (ROI): invece, misura la redditività rispetto al capitale totale che l’impresa ha a disposizione, cioè sia il capitale proprio (CP) che il capitale di terzi (D), ossia il denaro preso in prestito (debiti). Il ROI (Return-on- Investment) è il rapporto tra l'utile lordo più gli interessi sui debiti e il capitale complessivo investito. In questo caso, si tiene conto anche degli interessi sui debiti che l’impresa deve pagare. In sostanza, il ROI misura quanto guadagna l’impresa per ogni euro che ha a disposizione, inclusi i soldi presi in prestito. Formula del ROI: ROI=Utile Lordo (UL)+Interessi sui Debiti (iD)/Capitale Complessivo Investito (K). Il capitale complessivo (K) è la somma del capitale proprio (CP) e del capitale preso in prestito (D). Il ROE misura la redditività solo rispetto ai soldi investiti dai proprietari, il ROI tiene conto anche dei soldi presi in prestito, dando una visione complessiva di quanto l’impresa guadagna rispetto a tutto il capitale a sua disposizione. Il ROE (Return on Equity) e il ROI (Return on Investment) sono legati, ma non sono necessariamente uguali. La differenza tra i due dipende dall'indebitamento dell’impresa e dal tasso d’interesse che paga sui suoi debiti. ROE e ROI sono legati quando: - L'impresa non ha debiti (D = 0), cioè usa solo il suo capitale proprio (CP). In questo caso, non c’è bisogno di pagare interessi sui debiti, quindi il rendimento del capitale proprio (ROE) coincide con quello del capitale complessivo (ROI). - Il rendimento dell’impresa (ROI) è uguale al tasso di interesse sui debiti (i). In questo caso, l’impresa guadagna esattamente quanto paga in interessi sui suoi debiti, quindi non c’è vantaggio o svantaggio nell’indebitarsi. ROE e ROI sono diversi quando l’impresa ha dei debiti, entra in gioco il concetto di leva finanziaria. La leva finanziaria è un meccanismo che permette all’impresa di aumentare il ROE (rendimento del capitale proprio) utilizzando i debiti. La leva finanziaria funziona quando il rendimento dell’impresa (ROI) è superiore al tasso d'interesse sui debiti (i): - Leva positiva (ROI > i): Quando il rendimento dell’impresa (ROI) è maggiore del tasso d’interesse sui debiti (i), il ROE sarà maggiore del ROI. Questo perché l’impresa guadagna più di quanto paga in interessi, e quindi i debiti aiutano a incrementare il guadagno per i proprietari (capitale proprio). - Leva negativa (ROI < i): Quando il rendimento dell’impresa (ROI) è inferiore al tasso d’interesse sui debiti (i), il ROE sarà minore del ROI. In questo caso, l’impresa sta guadagnando meno di quanto paga in interessi, e i debiti danneggiano il ritorno per i proprietari. 1.7.1 DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI RENDIMENTO ATTESI Di seguito le alternative di investimento a disposizione dell'imprenditore e come ciascuna opzione influisca sui rendimenti attesi. - IMPIEGO DEL CAPITALE IN TITOLI SENZA RISCHIO: L’imprenditore può decidere di investire i suoi soldi in titoli di stato o in investimenti sicuri (senza rischio). Questi investimenti non richiedono lavoro e non comportano rischio imprenditoriale. Il rendimento di questa scelta è più basso perché l’investimento è sicuro, ma l’imprenditore non guadagna molto (non è necessario lavorare o correre rischi). - IMPIEGO DEL CAPITALE PROPRIO PER AVVIARE UN’IMPRESA: L’imprenditore può usare il suo capitale proprio per avviare un’attività. In questo caso, deve coprire non solo i costi aziendali, ma anche rischi e sforzi personali (come il lavoro quotidiano per far funzionare l’impresa). Il rendimento che l’imprenditore si aspetta deve essere abbastanza alto per coprire tutti questi costi e compensare il rischio che sta correndo. - INTEGRAZIONE DEL CAPITALE PROPRIO CON CAPITALI DI TERZI: L’imprenditore può decidere di prendere in prestito del denaro (capitale di terzi, cioè i debiti) per avviare l’impresa, creando un capitale complessivo investito. In questo caso, deve non solo coprire i costi e il rischio dell’impresa, ma anche remunerare il capitale preso in prestito (pagando gli interessi sui debiti). Grazie alla leva finanziaria, il rendimento atteso dall’impresa deve essere superiore al tasso d’interesse sui debiti per ottenere un guadagno extra per l’imprenditore. Se il rendimento dell’impresa è maggiore del costo dei debiti, l’indebitamento diventa vantaggioso. 1.7.2. COSTO MEDIO PONDERATO DEL CAPITALE il costo medio ponderato del capitale (CMP), rappresenta il costo complessivo per un’impresa per ottenere il capitale necessario a finanziare la sua attività, tenendo conto sia dei debiti che del capitale proprio. Il CMP è il costo medio che l’impresa sostiene per ottenere il denaro necessario. Si tratta di una media ponderata tra: - Il costo del capitale di terzi: cioè gli interessi che l’impresa paga per i debiti che ha contratto (ad esempio, il tasso di interesse sui prestiti bancari). - Il costo opportunità del capitale proprio: cioè il rendimento che l’imprenditore avrebbe ottenuto se avesse investito il suo capitale (proprio) altrove, ad esempio in un’altra attività con un rendimento più alto. La formula è: CMP=iD+co*CP/D+CP. dove: iii è il tasso di interesse sui debiti, DDD è la massa debitoria (quanto denaro è stato preso in prestito), cococo è il costo opportunità del capitale proprio, CPCPCP è il capitale proprio (soldi dell’imprenditore investiti nell’impresa). - Il costo opportunità è un concetto teorico che rappresenta il rendimento che l’imprenditore potrebbe ottenere investendo i suoi soldi altrove, in una buona opportunità di investimento. Se l’imprenditore ha diverse scelte su come usare il suo capitale, il costo opportunità è il rendimento che avrebbe ottenuto scegliendo l’alternativa migliore. Confronto tra ROI, ROE e Costo Opportunità: - Se il ROE (rendita sul capitale proprio) è maggiore del costo opportunità del capitale, significa che l’impresa sta rendendo più che investire il capitale altrove. In questo caso, l’imprenditore continuerà a investire nell’impresa. - Se invece il ROE è inferiore al costo opportunità, l’imprenditore potrebbe decidere di non investire più nell’impresa e scegliere un’altra alternativa più vantaggiosa. 1.8. ALTRE GRANDEZZE DERIVABILI DAL FLUSSO DEI FONDI O DALL’EQUAZIONE DI BILANCIO Il Valore Aggiunto (VA) è una misura che indica quanto valore l’impresa ha creato partendo dalle materie prime, semilavorati e componenti che acquista, utilizzando il proprio lavoro, i macchinari e l’impegno dell’imprenditore. l VA si ottiene sottraendo il costo delle materie prime (CMP) dai ricavi delle vendite (RV). Il Valore Aggiunto misura quanto l’impresa ha aumentato il valore delle materie prime e dei componenti che ha acquistato, trasformandoli in prodotti finiti che vengono venduti. La formula è: VA=RV−CMP dove: RV è il ricavo dalle vendite (quanto l’impresa guadagna dalla vendita dei prodotti finiti), CMP è il costo delle materie prime (quanto l’impresa ha speso per acquistare le materie prime). Il VA non dipende solo dalle materie prime acquistate. Esso dipende anche dal lavoro (CLS, costo del lavoro salariato), dagli ammortamenti (QA), dagli interessi sui debiti (iD) e dall’utile lordo (UL), che riflettono tutti gli altri costi e investimenti che l’impresa ha fatto per produrre i suoi beni. Una seconda formula del VA è: VA=CLS+UL+QA+iD. Dove questi sono i costi e gli investimenti necessari per aggiungere valore al prodotto finale. Quindi si possono avere due casi: - Se l’impresa ha un valore aggiunto alto, può significare che ha bassi costi di materie prime, semilavorati e componenti, oppure che è ben integrata verticalmente (cioè produce più cose internamente invece di acquistare da fornitori). - Un basso valore aggiunto, invece, può indicare che l’impresa usa una tecnologia più costosa o che ha alti costi di produzione, come nelle imprese ad alta tecnologia. Il Valore Aggiunto non è tanto una misura di quanto l’impresa è efficace ed efficiente nel suo lavoro, ma piuttosto una misura della complessità del ciclo produttivo. Le imprese che hanno cicli produttivi complessi o utilizzano più risorse per trasformare i loro input (materie prime, lavoro, impianti) tendono ad avere un valore aggiunto maggiore. 1.8.2. CASH FLOW INTERNO Il Cash-Flow Interno (CFINT) è una misura che rappresenta l’autofinanziamento dell’impresa, ovvero il denaro che l’impresa genera senza bisogno di ricorrere a finanziamenti esterni. Esso è formato da due componenti: - Quota di Ammortamento (QA): Questo è il costo annuale associato alla perdita di valore dei beni e impianti dell'impresa (come macchinari, edifici, ecc.). Anche se non è un’uscita di cassa diretta, l'ammortamento riduce il reddito tassabile, ma non comporta un effettivo pagamento di denaro. - Utile Non Distribuito (UNND): Questo è l’utile dell’impresa che non viene distribuito come dividendo agli azionisti, ma rimane all'interno dell'azienda. È una parte del guadagno che viene reinvestita nell'impresa anziché distribuita. La formula è: Cash-Flow Interno=QA+UNND. CAPITOLO 2 2.1. CAPACITA’ PRODUTTIVA E PRODUTTIVITA’: QUESTIONI DEFINITORIE La struttura di un'impresa si riferisce agli impianti e alle attrezzature che usa per produrre beni o servizi. Nel breve periodo, questa struttura è stabile e non può essere modificata facilmente senza affrontare costi elevati. Ad esempio, se la domanda aumenta, l'impresa non può semplicemente aggiungere nuove macchine, ma deve fare investimenti costosi per espandere gli impianti. La capacità produttiva è la quantità massima di beni o servizi che un impianto può produrre in un determinato periodo di tempo (ad esempio, un'ora o un giorno). Questa capacità viene valutata in vari modi: - CAPACITA’ PRODUTTIVA TEORICO-NOMINALE: è il massimo che l’impianto potrebbe produrre in condizioni ideali, senza fermarsi mai e senza interruzioni. È il dato che il produttore dell’attrezzatura fornisce, ma nella realtà non sempre si riesce a raggiungerlo. - CAPACITA’ TEORICO-EFFETTIVA: è il massimo che si può produrre davvero, tenendo conto di eventuali fermate e interruzioni nel processo. È un valore realistico che potrebbe essere inferiore alla capacità nominale, poiché considera le inefficienze reali del processo produttivo. - CAPACITA’ PRODUTTIVA OTTIMALE: è il flusso massimo che l’impianto può produrre al costo più basso possibile. Si cerca di ottimizzare l’efficienza, riducendo i costi di produzione. Analizziamo le differenze tra Breve e Lungo periodo: - Breve periodo: L’impresa può solo aumentare la produzione modificando la quantità di input variabili (come il lavoro o le materie prime). Non può cambiare la dimensione degli impianti (che è fissa). - Lungo periodo: L’impresa può cambiare la capacità produttiva attraverso nuovi investimenti (aggiungendo impianti, macchinari, etc.). In questo caso, tutti i fattori di produzione diventano variabili, quindi l’impresa può espandersi. 2.2. CAPACITA’ PRODUTTIVA ECONOMICA E COSTI DELLA PRODUZIONE Differenza tra Costi fissi e Costi Variabili: - Costi fissi: Sono i costi che non cambiano con la quantità prodotta, come l'ammortamento degli impianti e gli interessi sui debiti. Questi costi sono legati alla capacità produttiva dell'impresa e rimangono costanti anche se non produci nulla, fino a che non si raggiunge una certa produzione. - Costi variabili: Sono legati direttamente alla produzione, come il costo delle materie prime o del lavoro. Questi costi aumentano con l’aumento della produzione e diventano zero se non si produce nulla. Differenza tra Costo Totale e Costo Unitario: - Il costo totale è la somma dei costi fissi e variabili. - Il costo unitario è quanto costa produrre una singola unità di prodotto. Se consideriamo l’aumento della produzione, il costo unitario cambia in base al grado di utilizzo dell’impianto. All'inizio, quando si producono pochi beni, il costo unitario è alto perché i costi fissi sono distribuiti su una produzione bassa. 2.2.1. ELASTICITA’ E FLESSIBILITA’ Elasticità e Flessibilità sono due concetti legati alla parte precedente (2.2.), infatti: - L'elasticità si riferisce alla capacità di un'impresa di modificare il volume di produzione senza che i suoi costi aumentino troppo, perdendo così la sua competitività sul mercato. - La flessibilità riguarda invece la capacità dell’impresa o dell’impianto di cambiare il tipo di prodotto che produce, mantenendo comunque costi relativamente bassi e senza danneggiare la propria competitività. 2.3. BREAK EVEN-POINT Il Break-Even Point è il volume di produzione e vendita in cui l'impresa copre esattamente i suoi costi fissi e costi variabili. In quel punto, l’impresa non fa né profitti né perdite. Ogni unità venduta oltre il BEP contribuirà a generare un guadagno. Prima del BEP (a sinistra di Q*): I costi sono superiori ai ricavi, quindi l'impresa è in perdita. In questa zona, la produzione non è sufficiente per coprire i costi fissi e variabili. Dopo il BEP (a destra di Q*): I ricavi sono maggiori dei costi, quindi l'impresa entra in area di profitto. Ogni unità aggiuntiva venduta dopo il BEP contribuisce al guadagno dell’impresa. Il prezzo di vendita di un prodotto (indicato con p) deve essere superiore al costo variabile unitario (cv) per garantire che l’impresa non sia in perdita. Se il prezzo è inferiore al costo variabile, l’impresa non sarà mai in grado di coprire nemmeno i costi di produzione. (OSSERVA IL GRAFICO A PAGINA 37: DISPENSA PROF). Grafico: La curva dei ricavi (RV) e quella dei costi totali (CT) si incontrano al punto di pareggio. Questo punto si trova idealmente a sinistra della capacità produttiva nominale, per garantire che l’impresa stia vendendo a un prezzo superiore al costo variabile. Calcolo analitico: Il Break-Even Point può essere calcolato anche utilizzando l'equazione di bilancio o il flusso di fondi, prendendo in considerazione i costi fissi e i costi variabili. 2.3.2 DETERMINAZIONE ATTRAVERSO IL FLUSSO DEI FONDI O L’EQUAZIONE DI BILANCIO Il Break-Even Point (punto di pareggio) si calcola con la formula: Qe= CF/ (p-cv). Dove: Qe è la quantità di equilibrio, ovvero la quantità di prodotto che bisogna vendere per non fare né guadagno né perdita. CF sono i costi fissi (che non dipendono dal numero di unità prodotte, come l'affitto dell'impianto). p è il prezzo di vendita di ogni unità di prodotto. cv è il costo variabile unitario (quanto costa produrre una singola unità di prodotto). La quantità di equilibrio (Qe) è il numero di unità che bisogna vendere per coprire tutti i costi (sia fissi che variabili), senza fare né profitti né perdite. Se invece dell’equilibrio si vuole ottenere un determinato utile lordo (UL), la formula diventa: Q*= CF+UL/ (p-cv) In questa formula: UL è l'utile lordo che si vuole ottenere (quanto l’impresa vuole guadagnare). Q* è la quantità necessaria per raggiungere quel livello di utile Analizziamo cosa influenza le variabili: - CF: (costi fissi): Questi sono dati e non possono essere cambiati nel breve periodo. Sono spese fisse che l’impresa deve sostenere indipendentemente dalla produzione (come affitti, salari fissi, ecc.). - UL (utile lordo): Se l’impresa ha un obiettivo di ROE (Return on Equity, rendimento del capitale proprio), l'utile lordo è un valore dato. Quindi, l’impresa decide quanto guadagnare in base ai suoi obiettivi. - cv (costo variabile unitario): Il costo per produrre una singola unità di prodotto. L’impresa può cercare di ridurre questo costo, migliorando l’efficienza produttiva (ad esempio, migliorando le macchine o il processo produttivo), ma la riduzione del costo non è infinita e può essere limitata. - p (prezzo di vendita): L’impresa può stabilire il prezzo dei suoi prodotti, ma ovviamente è limitata dalla domanda di mercato. In pratica, il prezzo è determinato dalle condizioni di mercato, ma l’impresa può cercare di venderlo al prezzo migliore possibile per coprire i costi e fare profitti. Il Break Even-Point nelle diverse imprese funziona: - Impresa rigida: Se l’impresa è "rigida", significa che è vincolata a produrre grandi quantità per ridurre i costi unitari di produzione. In questo caso, il BEP viene spesso utilizzato per determinare il prezzo di vendita che deve coprire i costi fissi e variabili. - mpresa elastica: Se l’impresa è "elastica", significa che può modificare facilmente la quantità prodotta senza incorrere in forti aumenti dei costi unitari. In questo caso, l’impresa può aggiustare i volumi di produzione per trovare il punto di equilibrio (o per ottenere un certo livello di utile), anche cambiando il grado di utilizzo degli impianti. 2.4. LE ECONOMIE DI SCALA E LA DIMENSIONE OTTIMA DELL’IMPIANTO Le economie di scala si verificano quando un'impresa riesce a ridurre il costo unitario di produzione man mano che aumenta la dimensione dell'impianto o la produzione. In altre parole, producendo di più, il costo per ogni singola unità di prodotto diminuisce. Nel breve periodo, le economie di scala non sono sempre possibili, perché l’impresa ha impianti e capacità produttiva già stabiliti. Tuttavia, può comunque ridurre i costi unitari attraverso apprendimento e miglioramento dell’efficienza dell’impianto. Ad esempio, più tempo si usa un macchinario, più si diventa bravi a utilizzarlo e quindi si riducono i costi di gestione. Nel lungo periodo, l’impresa può espandere le sue dimensioni e costruire nuovi impianti, aumentando la capacità produttiva. Quando l’impresa aumenta la dimensione dei suoi impianti (per esempio passando da un impianto A a un impianto B più grande), non significa che i costi aumenteranno in modo proporzionale. I costi fissi (come le spese per la costruzione dell'impianto) aumentano, ma non raddoppiano o triplicano. Questo succede perché ci sono economie di scala che riducono l'aumento dei costi. Quindi, per esempio, se si raddoppia la dimensione dell'impianto, i costi non saranno esattamente il doppio. Le economie di scala si verificano per due motivi principali: - Economie geometriche: Man mano che un impianto diventa più grande, la capacità di ciascuna sua parte (come una pompa o un tubo) cresce in modo cubo (cioè aumenta molto più velocemente rispetto alle dimensioni fisiche). Ma la superficie necessaria per costruire quell’impianto cresce meno velocemente, quindi i costi di costruzione non aumentano tanto quanto la capacità produttiva. - Economie tecnologiche: Man mano che l'impianto cresce, alcuni costi fissi non aumentano, perché ci sono tecnologie condivise che non dipendono dalla quantità prodotta. Per esempio, un unico sistema di controllo per più macchine o un solo computer per monitorare tutte le operazioni. Oltre a ridurre i costi fissi, aumentare la dimensione dell’impianto può anche portare a una riduzione dei costi variabili unitari (ad esempio il costo per acquistare materie prime). Questo può succedere perché: - L’impresa può ottenere sconti acquistando grandi quantità di materiali. - La produzione in larghe quantità permette una divisione del lavoro più efficiente. - La gestione diventa più razionale e i manager possono supervisionare più facilmente operazioni su larga scala. Quando un'impresa aumenta la sua capacità produttiva e sfrutta le economie di scala, i costi unitari (cioè il costo medio per ogni prodotto) si riducono. La curva che mostra questi costi si sposta verso il basso e a destra, indicando che il costo per ogni unità diminuisce mentre la produzione aumenta. (OSSERVARE LA CURVA PAGINA 42 DISPENSA PROF). 2.5. LE CONDIZIONI AMBIENTALI E TECNOLOGICHE COME DETERMINANTI DELLA DIMENSIONE DEGLI IMPIANTI Le imprese cercano sempre di trovare una dimensione ottimale per produrre al minor costo possibile. Questo succede soprattutto nei settori dove la domanda è stabile e prevedibile, come nelle fabbriche che producono beni in grandi quantità (es. automobili, elettrodomestici, prodotti alimentari industriali). Se un'azienda produce tanto e vende tutto, riesce a ridurre i costi unitari grazie alle economie di scala. Questo avviene perché più produci, più puoi distribuire i costi fissi su un gran numero di prodotti. Ma questo è possibile solo se il mercato può assorbire tutta la produzione (cioè se ci sono abbastanza acquirenti). Tuttavia, crescere troppo ha anche dei limiti tecnici ed economici. Ad esempio: - Una compagnia marittima non può ingrandire le sue navi all’infinito, perché ci sono limiti fisici nei porti e nei canali di navigazione. - Alcuni impianti industriali, come gli altoforni, diventano instabili se superano certe dimensioni. Quindi, un'impresa deve sempre valutare due fattori prima di crescere: - La domanda di mercato: Se la domanda non cresce abbastanza, produrre di più non ha senso. - I limiti tecnici ed economici: Superare certe dimensioni può diventare inefficiente. Negli ultimi anni, però, molte imprese non cercano più solo di ingrandirsi, ma piuttosto di collaborare con altre aziende tramite accordi e subforniture. In questo modo, possono essere più flessibili e adattarsi meglio alle esigenze del mercato senza dover necessariamente espandersi troppo. Questo discorso vale soprattutto per l'industria manifatturiera (fabbriche, produzione di massa). Nel settore dei servizi, il ragionamento è diverso. Ad esempio, un'azienda di trasporto pubblico deve garantire abbastanza autobus per le ore di punta, ma nelle altre ore molti mezzi rimangono inutilizzati. Questo significa che non può ottimizzare i costi nello stesso modo in cui lo farebbe una fabbrica. CAPITOLO 3 3.1. “GLI AMBIENTI” DELL’IMPRESA L’impresa non è un’entità isolata, ma è in costante relazione con l’ambiente esterno, che ne influenza le scelte strategiche e i risultati. Allo stesso tempo, anche l’impresa può influenzare l’ambiente con le sue decisioni e azioni. Possiamo dividere l’ambiente in due livelli: - MACRO-AMBIENTE (o ambiente generale): comprende tutti quei fattori esterni che influenzano le imprese in un determinato settore, ma che non possono essere controllati direttamente. Per esempio: A) Cambiamenti Economici (Crisi, Inflazione, ecc) B) Evoluzioni Tecnologiche C) Normative e Leggi D) Tendenze Sociali e Demografiche - MICRO-AMBIENTE (o ambiente competitivo): riguarda gli attori con cui l’azienda interagisce direttamente e che influenzano in modo più immediato la sua attività. Per esempio: A) Clienti B) Fornitori C) Concorrenti D) Partner Commerciali L’analisi dell’ambiente aiuta l’azienda a capire le opportunità e le minacce che deve affrontare, permettendole di definire strategie efficaci per il successo. 3.1.1 I SOGGETTI ED I CARATTERI DEL MACRO-AMBIENTE Il macro-ambiente è l'insieme dei fattori esterni che influenzano tutte le imprese in un’area geografica o in un settore. Questi fattori non dipendono direttamente dall’azienda, ma possono creare opportunità o minacce che influenzano il suo successo. Le principali forze del macro- ambiente si dividono in cinque gruppi: - Ambiente economico: comprende fattori come il PIL, l’inflazione, la disoccupazione e la crescita economica di un paese o di un settore. Se l’economia è in crisi, le aziende possono avere meno clienti e più difficoltà a vendere i loro prodotti. - Ambiente politico-istituzionale e normativo: riguarda le leggi, le politiche del governo e la stabilità politica. Ad esempio, nuove tasse o regolamenti possono influenzare il modo in cui un'azienda opera. - Ambiente socio-culturale: include i cambiamenti nei gusti, nelle abitudini e nei valori della società. Ad esempio, se le persone diventano più attente alla sostenibilità, le aziende dovranno adattare i loro prodotti per rispondere a questa richiesta. - Ambiente demografico: riguarda la popolazione, la sua età, la distribuzione geografica e altri fattori. Se ci sono più anziani che giovani, le aziende dovranno adattare la loro offerta per rispondere a questa nuova realtà. - Ambiente tecnologico: si riferisce alle innovazioni e ai progressi tecnologici che possono cambiare il mercato. Ad esempio, l’avvento degli smartphone ha cambiato completamente il modo in cui le persone comunicano e fanno acquisti. Poiché questi fattori sono molti e complessi, le aziende devono monitorare costantemente il macro-ambiente per capire quali cambiamenti potrebbero influenzarle e prendere decisioni strategiche in anticipo. Per farlo, possono usare dati statistici, ricerche di mercato, analisi economiche e previsioni tecnologiche. L’AMBIENTE ECONOMICO L'analisi dell’ambiente economico serve a capire come sta andando l’economia di un paese o del mondo e come questo influisce sulle imprese. Studiare l’economia aiuta le aziende a prevedere possibili cambiamenti e a prendere decisioni strategiche in anticipo. Si osservano diversi indicatori economici, come: - Produzione: andamento dei settori agricolo, industriale e dei servizi. - Reddito delle famiglie: quanto guadagnano le persone e quanto possono spendere. - Investimenti: quanto le aziende e i governi stanno spendendo per crescere. - Costo del lavoro: stipendi e costo per assumere lavoratori. - Prezzi e inflazione: quanto aumentano i prezzi nel tempo. - Tassi di cambio: valore della moneta rispetto ad altre valute. - Tassi di interesse: costo dei prestiti per imprese e consumatori. Questi fattori sono importanti perché influenzano le aziende in vari modi: - Se l’economia cresce, le persone spendono di più e le imprese vendono meglio. - Se c’è crisi, le famiglie risparmiano e le aziende devono adattarsi riducendo i costi. - Se i tassi di interesse sono alti, prendere prestiti costa di più e le aziende investono meno - Se l’inflazione è alta, i prezzi aumentano e i consumatori possono comprare meno. L’analisi Economica aiuta a rispondere a diverse domande: - L’economia sta crescendo o siamo in crisi? - Le famiglie stanno guadagnando e spendendo di più o risparmiando? - La produzione industriale sta aumentando o diminuendo? L’AMBIENTE POLITICO-ISTITUZIONALE L'analisi dell’ambiente politico-istituzionale aiuta le imprese a capire come le decisioni dei governi possono influenzare il loro settore e le loro attività. Si studiano le regole, le leggi e le politiche che possono avere un impatto sulle imprese, ad esempio: - Regolamentazioni: nuove leggi che impongono regole alle aziende (ad esempio, limiti sulle emissioni inquinanti). - Tasse e politica fiscale: cambiamenti nelle tasse che le imprese devono pagare. - Diritto del lavoro: leggi su contratti, stipendi e assunzioni. - Norme sulla concorrenza: regole per evitare monopoli e garantire una competizione leale - Politiche economiche: strategie dei governi per incentivare o frenare alcuni settori. Le imprese devono adattarsi ai cambiamenti politici e normativi per evitare problemi legali e sfruttare eventuali vantaggi: - Se un governo introduce incentivi fiscali per un settore, le aziende possono investire di più. - Se vengono imposte nuove tasse o regolamenti più rigidi, alcune imprese potrebbero avere più difficoltà a operare. - Se un Paese abbassa le tasse per le aziende straniere, può diventare una meta interessante per espandersi. L’analisi dell’ambiente Politico-Istituzionale aiuta a rispondere a diverse domande: - Come cambieranno le politiche economiche nazionali e internazionali? - Quali Paesi offrono incentivi per le imprese straniere? - Come influiranno le nuove tasse e le normative sul comportamento delle aziende? L’AMBIENTE SOCIO-CULTURALE L’ambiente socio-culturale riguarda i valori, le tradizioni, gli stili di vita e le abitudini delle persone in una società. Questo contesto influenza il modo in cui le persone prendono decisioni, compreso ciò che acquistano e come vivono. Si studiano diversi aspetti della società, tra cui: - Valori e credenze: ciò che le persone ritengono importante (es. sostenibilità, tecnologia, benessere). - Tradizioni e cultura: abitudini e festività che influenzano i consumi. - Stili di vita: come le persone vivono e spendono il loro tempo e denaro - Gruppi sociali: classi economiche, etnie e movimenti culturali che influenzano i mercati. - Organizzazioni sociali: sindacati, partiti politici e associazioni che possono avere impatto sulle aziende. Le aziende devono capire come si comportano i consumatori per offrire prodotti e servizi adatti ai loro bisogni e preferenze. Ad esempio: - Se cresce l’interesse per la salute e il benessere, aumenterà la domanda di cibi sani e palestre. - Se la digitalizzazione avanza, le persone compreranno più online e le aziende dovranno investire in e-commerce. - Se la società diventa più sensibile all’ambiente, i consumatori sceglieranno prodotti ecosostenibili. L’analisi dell’ambiente Socio-Culturale aiuta a rispondere a diverse domande: - Quali sono le tendenze attuali ed emergenti nello stile di vita e nella cultura? - Perché stanno cambiando? - Come questi cambiamenti influenzeranno il modo in cui le aziende operano in futuro? L’AMBIENTE DEMOGRAFICO L’ambiente demografico riguarda la popolazione di un Paese o di una regione e le sue caratteristiche, come età, genere, numero di abitanti e distribuzione geografica. Si studiano diversi aspetti della popolazione, tra cui: - Crescita della popolazione: quanti abitanti ci sono e come sta cambiando il loro numero. - Età media: se la popolazione è giovane o invecchia. - Dimensione delle famiglie: se le persone vivono da sole o in nuclei familiari grandi. - Tasso di natalità e mortalità: quante persone nascono e muoiono ogni anno. - Urbanizzazione: quanti vivono in città rispetto alle campagne. - Flussi migratori: quante persone si trasferiscono dentro e fuori il Paese. Questi dati aiutano le aziende a capire chi sono i loro clienti e come cambiano nel tempo: - Se la popolazione invecchia, cresce la domanda di servizi sanitari e prodotti per anziani. - Se aumentano le nascite, c’è più bisogno di prodotti per bambini. - Se più persone si trasferiscono nelle città, le imprese dovranno adattarsi a uno stile di vita più urbano. - Se la popolazione diminuisce, alcune aziende potrebbero avere meno clienti e dover cambiare strategia. L’analisi dell’ambiente Demografico aiuta a rispondere a diverse domande: - Come sta cambiando la popolazione? - Quali opportunità offre questo cambiamento alle imprese? - Quali rischi potrebbe creare per il mercato? L’AMBIENTE TECNOLOGICO L’ambiente tecnologico riguarda tutte le innovazioni che influenzano il modo in cui le imprese producono beni e servizi, migliorano la loro efficienza e competono tra loro. La tecnologia può portare vantaggi competitivi, migliorando la produttività e permettendo alle imprese di offrire prodotti migliori a prezzi più bassi. Tuttavia, le aziende devono stare al passo con i cambiamenti, altrimenti rischiano di rimanere indietro rispetto alla concorrenza. Analizza: - Fase del ciclo di vita delle tecnologie attuali: Le tecnologie esistenti sono ancora innovative o stanno diventando obsolete? Se una tecnologia è vecchia, l’azienda deve adattarsi e innovare. - Nuove tecnologie emergenti: Quali innovazioni stanno cambiando il mercato? Per esempio, l’intelligenza artificiale, la robotica e le biotecnologie stanno trasformando molti settori. - Impatto sulle strategie aziendali: Le aziende devono capire se investire in nuove tecnologie o migliorare quelle esistenti per rimanere competitive. - Utilizzo delle tecnologie dell’informazione: Internet, big data, cloud computing e intelligenza artificiale possono rendere più efficienti i processi aziendali, migliorare la comunicazione con i clienti e aprire nuovi mercati. L’analisi Tecnologica aiuta a rispondere a diverse domande: - Le tecnologie che usiamo sono ancora valide o stanno diventando obsolete? - Quali nuove tecnologie potrebbero cambiare il nostro settore? - Come possiamo sfruttare internet e l’innovazione per migliorare la nostra azienda? 3.1.2. I SOGGETTI ED I CARATTERI DEL MICRO-AMBIENTE Il micro-ambiente riguarda tutte le forze e gli attori che influenzano direttamente un’azienda all’interno del settore in cui opera. Questi fattori determinano il livello di concorrenza e le opportunità di guadagno. Ogni impresa deve conoscere bene il proprio mercato e i concorrenti per prendere decisioni strategiche e ottenere un vantaggio competitivo. Ci sono diversi elementi chiavi riguardo l’analisi di questo tipo di ambiente: - Definizione del settore: L’azienda deve capire bene in quale mercato opera e quali sono le sue aree strategiche di affari (ASA). Ad esempio, un’azienda di smartphone può operare sia nel settore della tecnologia mobile sia in quello degli accessori. - Analisi della concorrenza: Bisogna studiare le caratteristiche del settore e capire quali forze influenzano la competizione. Questo include il numero di concorrenti, le barriere all’entrata e il potere dei clienti. - Raggruppamenti strategici: Le aziende che offrono prodotti simili o adottano strategie simili si raggruppano in “gruppi strategici”. Ad esempio, nel settore degli smartphone ci sono marchi premium (Apple, Samsung) e marchi economici (Xiaomi, Realme). - Individuazione dei concorrenti principali: Dopo aver identificato i gruppi strategici, bisogna concentrarsi sui concorrenti diretti e monitorarli costantemente. Si analizzano i loro punti di forza, debolezze e strategie per anticipare le loro mosse. Per analizzare l’ambiente competitivo, l’economista Michael Porter ha creato un modello basato su 5 forze competitive: I) Minaccia di nuovi concorrenti: Quanto è facile per nuove aziende entrare nel mercato? Se ci sono molte barriere all’ingresso (come alti costi iniziali o brevetti), la concorrenza sarà più stabile. II) Potere contrattuale dei fornitori: I fornitori hanno il controllo sui prezzi e sulla qualità dei materiali? Se ci sono pochi fornitori, le aziende possono subire forti pressioni. III) Potere contrattuale dei clienti: I clienti hanno molte alternative? Se sì, possono chiedere prezzi più bassi e prodotti migliori. IV) Minaccia di prodotti sostitutivi: Esistono alternative che possono sostituire il prodotto dell’azienda? Ad esempio, le app di messaggistica hanno ridotto l’uso degli SMS. V) Rivalità tra concorrenti: Se il mercato è saturo e le aziende competono ferocemente, i margini di guadagno si riducono. 3.1.2.1. LE FORZE DEL MICRO-AMBIENTE: IL MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA DI PORTER Il modello della concorrenza allargata di Porter (1980) aiuta a capire come diversi fattori influenzano la competitività e i profitti di un'impresa. Secondo questo modello, la redditività (cioè quanto profitto può guadagnare un'azienda) dipende dall'interazione di cinque forze competitive principali. Queste forze sono: I) Concorrenti diretti: Le aziende che offrono prodotti simili agli stessi clienti, e con cui competi direttamente per il mercato. II) Concorrenti indiretti: Aziende che offrono alternative al tuo prodotto, anche se non identiche. Ad esempio, se vendi automobili, i concorrenti indiretti potrebbero essere i mezzi di trasporto pubblici. III) Concorrenti potenziali: Aziende che potrebbero entrare nel tuo settore in futuro, portando più concorrenza. IV) Fornitori: I fornitori di materie prime o componenti per la produzione del tuo prodotto. Se ci sono pochi fornitori o se hanno un grande potere contrattuale, possono influenzare i costi e la disponibilità dei materiali. V) Clienti: Le persone che comprano il tuo prodotto. Se i clienti hanno molte alternative o possono facilmente cambiare fornitore, la tua azienda avrà meno potere sui prezzi e sulle condizioni di vendita. Tutte queste forze lavorano insieme per determinare quanto profitto un'impresa può fare. Se la concorrenza è alta, i margini di guadagno saranno più bassi. Se invece ci sono poche alternative per i clienti, i fornitori non hanno molto potere e i concorrenti potenziali non sono una minaccia, allora l'impresa può ottenere un profitto maggiore. L’importanza di ciascuna di queste forze può cambiare a seconda del settore. Ad esempio: - In un settore con pochi concorrenti diretti, i concorrenti indiretti o fornitori possono avere un impatto maggiore. - In un mercato con molti clienti e poche aziende che forniscono il prodotto, i clienti avranno più potere negoziale. LA CONCORRENZA EFFETTIVA: RIVALITA’ TRA I CONCORRENTI ESISTENTI Il termine concorrenza effettiva indica il gruppo di concorrenti diretti di un'impresa, cioè quelle aziende che offrono lo stesso tipo di prodotto o servizio e competono per ottenere la stessa fetta di mercato. La competizione tra queste imprese è uno dei fattori più importanti che influisce sulla redditività e sull'attrattività del settore in cui operano. La rivalità tra questi concorrenti può essere più o meno forte e influisce sulle possibilità di guadagno delle imprese. Se c'è molta rivalità, le aziende troveranno più difficile guadagnare profitti elevati e attraenti nel lungo periodo. Ci sono diversi fattori che influenzano l’intensità della concorrenza diretta: - Grado di concentrazione del business: Si riferisce al numero di concorrenti e alla loro dimensione. Se ci sono molte piccole aziende che competono, la rivalità è maggiore. Se invece poche aziende dominano, la concorrenza può essere meno intensa. - Differenziazione del prodotto o servizio: Se i prodotti sono simili tra loro (per esempio, tante aziende vendono lo stesso tipo di penna), la competizione si basa molto sul prezzo, quindi la concorrenza è alta. Se invece il prodotto è diverso (come un prodotto di lusso o tecnologico), la competizione si sposterà su aspetti come qualità, marca e immagine, riducendo la pressione sui prezzi. - Tasso di crescita della domanda: Se la domanda per il prodotto cresce rapidamente, le aziende possono espandersi senza dover togliere quote di mercato agli altri. Se la domanda cresce poco o è stagnante, le imprese devono lottare di più per rubarsi clienti gli uni con gli altri, portando a una competizione più feroce. - Struttura dei costi: Se le aziende hanno costi fissi alti (per esempio, impianti produttivi costosi), cercano di produrne di più per ridurre il costo per unità. Questo spesso porta a una competizione basata su prezzi bassi, aumentando la rivalità tra le imprese. LA CONCORRENZA VERTICALE: I CLIENTI ED I FORNITORI Le imprese devono comprare risorse (come materie prime, personale e servizi) per produrre i loro beni e vendere questi prodotti a un mercato. In questo processo, si relazionano con clienti e fornitori, che sono forze importanti nel mercato: - I clienti cercano sempre un buon rapporto qualità-prezzo, il che porta le imprese a competere di più tra loro. I clienti hanno potere perché possono chiedere prezzi più bassi, migliori servizi, o prodotti di qualità superiore. Questo fa aumentare i costi per le imprese, riducendo i loro guadagni. - I fornitori forniscono le risorse di cui le imprese hanno bisogno per produrre i loro beni. Se i fornitori sono pochi e potenti, possono alzare i prezzi delle risorse, aumentando i costi per le imprese e riducendo la loro redditività. Il potere di clienti e fornitori dipende dalla loro forza economica, cioè se sono grandi o piccoli, e dalle informazioni che le imprese hanno su di loro. Se un cliente o un fornitore ha troppo potere, l’impresa rischia di avere minori profitti. LA CONCORRENZA POTENZIALE: MINACCIA DI NUOVE ENTRATE E DI PRODOTTI SOSTITUTIVI La concorrenza potenziale riguarda il rischio che nuovi concorrenti entrino nel mercato e mettano in difficoltà le imprese già presenti. Per proteggersi da questa minaccia, le imprese cercano di rendere il settore meno attraente per i nuovi arrivati, creando delle barriere all’ingresso. Questi sono ostacoli che rendono più difficile o costoso per i nuovi concorrenti entrare nel mercato. Un’altra minaccia è la concorrenza indiretta, che arriva dai prodotti sostitutivi. Questi prodotti o servizi sono diversi, ma svolgono la stessa funzione di quelli offerti dalle imprese che già operano nel mercato. Ad esempio, se una persona compra sempre una marca di scarpe, un altro tipo di scarpa potrebbe essere un sostituto. Per contrastare la concorrenza dei sostituti, le imprese possono: - Differenziare i loro prodotti, rendendoli unici e meno facilmente sostituibili. - Rafforzare i legami con i clienti, migliorando la comunicazione, il marchio e il servizio. - Offrire un buon rapporto qualità-prezzo, così che i clienti non siano tentati di passare a un prodotto sostitutivo. 3.1.2.2. I LIVELLI DI COMPLESSITA’ DEGLI AMBIENTI COMPETITIVI L'ambiente in cui un'impresa opera può essere analizzato usando due concetti: varietà e variabilità: - Variabilità si riferisce a quanto velocemente cambiano le cose nel tempo, come i gusti dei consumatori, i comportamenti dei concorrenti o le condizioni di mercato. Se queste cose cambiano rapidamente, l'ambiente è molto variabile e le imprese devono adattarsi velocemente. - Varietà riguarda quante situazioni diverse un’impresa affronta in un dato momento, e quanto queste situazioni sono diverse tra loro. Ad esempio, un’impresa che opera in diversi paesi dovrà affrontare ambienti culturali e normativi diversi, aumentando la varietà. Per classificare l'ambiente in cui un'impresa si trova, si può usare una matrice a quattro quadranti che distingue i vari ambienti in base a alta o bassa varietà e alta o bassa variabilità: - Ambiente semplice (bassa varietà e bassa variabilità): Le condizioni sono stabili e simili nel tempo. - Ambiente complesso (alta varietà e alta variabilità): Le situazioni sono molto diverse e cambiano frequentemente, creando un ambiente turbolento. - Ambiente omogeneo instabile (bassa varietà e alta variabilità): Ci sono poche situazioni, ma queste cambiano rapidamente. - Ambiente disomogeneo stabile (alta varietà e bassa variabilità): Ci sono molte situazioni diverse, ma non cambiano velocemente, come quando un’impresa opera in vari paesi con culture diverse. A seconda del tipo di ambiente, le imprese dovranno adottare strategie e organizzazioni diverse per affrontare le sfide che si presentano. 3.2. I SETTORI DI ATTIVITA’ ECONOMICA Quando si analizza un settore economico, uno degli aspetti più importanti è capire chi sono gli attori principali, cioè le imprese che operano in quel settore. Tuttavia, per definire quale sia il "settore" in questione, bisogna considerare il motivo per cui si sta facendo l'analisi. A seconda dell'obiettivo, le imprese che fanno parte del settore possono cambiare. Le analisi di settore vengono fatte per diversi scopi: - Politica economica nazionale: Ad esempio, il governo può analizzare un settore per capire se è utile dare incentivi o agevolazioni fiscali a quel settore, ritenuto strategico per l'economia del paese. - Enti finanziatori: Le banche e altri enti che concedono prestiti fanno analisi settoriali per capire la salute finanziaria del settore e la solvibilità delle imprese che operano in quel settore. Se il settore sta attraversando un periodo difficile, una banca potrebbe essere più cauta nel concedere prestiti. - Obiettivi delle imprese: Le imprese fanno analisi settoriali per capire come stanno lavorando i concorrenti, quali sono i loro punti di forza e di debolezza, come si muovono i prezzi, quali tecnologie usano, ecc. Questo le aiuta a prendere decisioni strategiche, come espandersi, acquisire altre imprese o migliorare il proprio prodotto. Quando si cerca di definire un settore, ci sono tre principali difficoltà: I) Scegliere un denominatore comune: Per raggruppare le imprese in un settore, si deve decidere su cosa basarsi. Di solito, si usa il prodotto (ad esempio, tutte le imprese che producono automobili fanno parte del settore automobilistico) oppure il mercato (ad esempio, tutte le imprese che vendono prodotti nel mercato della tecnologia). II) Individuare le informazioni giuste: Le informazioni da analizzare dipendono dall'obiettivo dell'analisi. Ad esempio, una banca che deve finanziare un’impresa guarderà la sua solidità finanziaria, come il ritorno sugli investimenti o il livello di indebitamento. III) Scegliere la variabile economica giusta: Anche la variabile economica da analizzare cambia in base all'obiettivo. Per esempio, se si sta cercando di capire la redditività di un'impresa, si potrebbe guardare il ritorno sugli investimenti (ROI), mentre per capire quanto è indebitata si guarderebbe il rapporto di indebitamento. 3.2.1 LA DELIMITAZIONE DEL SETTORE E DELLE AREE STRATEGICHE DI AFFARI Quando si cerca di definire un "settore" economico, è necessario stabilire quali imprese farne parte e quali no. Per fare questo, si analizzano tre aspetti principali: - Il bisogno soddisfatto o la funzione d'uso: Ad esempio, se un'impresa produce prodotti che soddisfano lo stesso tipo di bisogno (come le auto per il trasporto), farà parte dello stesso settore. - La tecnologia e i materiali: Se le imprese usano la stessa tecnologia o i medesimi materiali per produrre i loro beni, possono essere considerate concorrenti. Ad esempio, imprese che producono veicoli utilizzando tecnologie simili potrebbero far parte dello stesso settore. - I mercati (intermedi o finali): Se le imprese vendono i loro prodotti nello stesso mercato (ad esempio, al pubblico o ad altre imprese), rientrano nello stesso settore. Questi tre aspetti, quando si sovrappongono, aiutano a capire chi sono i veri concorrenti di un'impresa. Se un'impresa condivide con altre aziende questi tre aspetti (bisogno, tecnologia, mercato), è una concorrente diretta. Se condivide solo uno o due di questi aspetti, potrebbe essere un concorrente potenziale, ma non diretto. Un altro modo per definire un settore è tramite l'elasticità incrociata della domanda, che misura quanto cambia la domanda di un prodotto (A) se cambia il prezzo di un altro prodotto (B). Se il cambiamento del prezzo di B influenza la domanda di A, allora le due imprese sono concorrenti. Questo è utile quando i prodotti non sono identici, ma sono comunque simili e sostituibili. Quando si parla di concorrenza monopolistica (cioè molte imprese che vendono prodotti simili ma differenziati), le cose si complicano un po'. Anche se i prodotti sono differenti, se le imprese si rivolgono a mercati simili, si trovano ancora a competere tra loro. In questo caso, il criterio dell'elasticità incrociata della domanda diventa utile per capire quanto un prodotto sia davvero sostituibile con un altro. A volte, un settore non è sufficiente per comprendere davvero come funzionano le dinamiche concorrenziali, poiché le imprese non competono sempre nello stesso segmento di mercato o con le stesse caratteristiche di prodotto. Perciò, si deve fare un'analisi più dettagliata, considerando: - I gruppi di clienti: Chi compra i prodotti? Possono esserci differenze tra chi acquista il prodotto in base a fattori come età, geografia o comportamento d'acquisto - Le funzioni che il prodotto soddisfa: Che tipo di bisogno o funzione soddisfa il prodotto per i clienti? - Le tecnologie usate: Come vengono prodotti i beni? Le tecnologie possono influenzare la competizione tra le imprese. L'analisi di questi aspetti aiuta a identificare le Aree Strategiche di Affari (ASA), ovvero i diversi segmenti di business in cui un'impresa può operare. Un'impresa può avere più ASA se opera in diversi settori con diversi prodotti o tecnologie, e in questo caso avrà più contesti competitivi da analizzare. 3.2.2. I DIVERSI PUNTI DI VISTA SULL’IDENTIFICAZIONE DEI SETTORI DI ATTIVITA’ ECONOMICA Il settore economico è un gruppo di imprese che competono tra di loro perché producono lo stesso tipo di prodotto, vendono nel medesimo mercato o usano tecnologie simili. Ci sono tre aspetti principali da tenere d’occhio: - Omogeneità manifatturiera-merceologica: Le imprese producono lo stesso tipo di prodotto o merce. Ad esempio, tutte le aziende che producono automobili fanno parte dello stesso settore automobilistico, perché il loro prodotto finale (l'auto) è lo stesso. - Omogeneità nel processo produttivo: Le imprese utilizzano lo stesso tipo di processo produttivo. Per esempio, se diverse aziende producono cellulari usando lo stesso tipo di tecnologia o processo (come la produzione in catena di montaggio), allora fanno parte dello stesso settore. - Omogeneità nella filiera produttiva: Le imprese appartengono alla stessa filiera produttiva, cioè fanno parte di una rete in cui ogni impresa svolge una parte specifica del processo di produzione. Per esempio, un settore può includere sia le imprese che producono componenti elettronici (come i chip) che quelle che assemblano il prodotto finale (come i telefoni cellulari). SETTORE MANUFATTURIERO - MERCEOLOGICO Quando si parla di un settore manifatturiero-merceologico, si intende un gruppo di imprese che sono simili tra loro per il tipo di prodotto, i processi produttivi e le materie prime che utilizzano. Questo tipo di settore si concentra sull'omogeneità del prodotto piuttosto che sulla concorrenza diretta tra le imprese. Ad esempio, nel settore conciario, che riguarda la lavorazione della pelle, si possono includere tutte le imprese che lavorano con la pelle, anche se non sono in diretta competizione. Una impresa potrebbe produrre borse in pelle, mentre un'altra potrebbe produrre scarpe. Sebbene questi prodotti siano diversi, entrambe appartengono allo stesso settore perché usano lo stesso materiale (la pelle) e processi produttivi simili. PROCESSO TERMINALE DI SETTORE Il processo terminale di settore si riferisce all'insieme delle fasi finali di produzione che devono essere eseguite per ottenere un determinato prodotto. Queste fasi sono considerate come parte di un unico processo produttivo, ma non tutte le imprese le svolgono interamente. Alcune imprese possono essere responsabili solo di alcune fasi, mentre altre si occupano di altre fasi. In tal caso, le imprese collaborano tra loro, scambiandosi i prodotti parziali. Ad esempio, nella produzione delle piastrelle di ceramica, alcune imprese si occupano di produrre piastrelle con un processo che include solo una parte della lavorazione (come la tecnica del monocotto), mentre altre utilizzano un processo più complesso, come il bicotto, che comprende fasi aggiuntive. Quindi, un settore può essere definito anche in base a quante e quali fasi del processo produttivo vengono svolte dalle imprese al suo interno. Un settore con un processo terminale più ampio include imprese che svolgono più fasi della lavorazione, mentre un settore con un processo terminale ridotto si concentra solo su alcune fasi specifiche. Quando un processo produttivo è suddiviso tra più imprese, si parla di integrazione verticale, dove le imprese collaborano per completare l'intero ciclo produttivo, mentre il decentramento produttivo si verifica quando la produzione di diverse fasi è distribuita tra diverse imprese o località. FILIERA PRODUTTIVA Il concetto di filiera produttiva si riferisce a tutte le fasi e i passaggi che un prodotto attraversa, dalla materia prima fino al prodotto finito. Immagina una catena, dove ogni impresa o azienda è un "anello" che svolge una parte specifica della lavorazione. Ogni fase del processo produttivo si aggiunge alla precedente, fino a ottenere il prodotto finale. Ad esempio, nella produzione di una scarpa, la filiera potrebbe includere: - La raccolta delle materie prime, come la pelle. - La lavorazione della pelle da parte di un'azienda specializzata. - La fabbricazione della scarpa da parte di un altro produttore. - La distribuzione e vendita nei negozi. Ogni impresa nella filiera ha un ruolo specifico e contribuisce alla creazione del prodotto finale. Il concetto di filiera permette di vedere un settore come un insieme di imprese che lavorano insieme, ognuna nella sua fase di trasformazione, per ottenere un prodotto finito. 3.2.3 LINEE GUIDA PER UN’ANALISI SETTORIALE L'analisi settoriale studia come funzionano i settori economici, cioè gruppi di imprese che producono o vendono simili beni o servizi. Si concentra sullo studio di come queste imprese interagiscono tra loro, sia come produttori che come acquirenti o venditori nel mercato. Per comprendere il funzionamento di un settore ci sono diverse domande chiave a cui rispondere: - Com'è strutturato il settore? I) Quante imprese ci sono e quanto sono grandi? Un settore può essere concentrato, cioè dominato da poche imprese grandi, oppure frammentato, con molte piccole imprese. II) I prodotti sono simili o diversi? Ad esempio, le imprese possono vendere lo stesso prodotto o prodotti differenti che competono tra loro. III) Esistono barriere all'ingresso? Se è difficile per nuove imprese entrare nel mercato, questo influisce sulla concorrenza. IV) Ci sono economie di scala? Alcune imprese possono ottenere vantaggi producendo grandi quantità di prodotti a costi più bassi. - Come si comportano le imprese nel settore? I) Come fissano i prezzi e promuovono i loro prodotti? II) Collaborano tra loro in modo aperto o nascosto? III) C'è differenziazione dei prodotti o diversificazione nelle attività? - Quali sono i risultati del comportamento delle imprese? I) Quanto sono efficienti e redditizie le imprese? II) Quanto vendono e la qualità dei loro prodotti? 3.2.4 LE BARRIERE ALL’ENTRATA E LE BARRIERE ALL’USCITA Le barriere all'entrata sono ostacoli che rendono difficile per nuove imprese entrare in un determinato settore. Questi ostacoli possono essere di vari tipi: economici, finanziari, tecnologici e giuridici. Esistono due tipi principali di settori in base a queste barriere: - Settori bloccati: Settori in cui è difficile entrare a causa di barriere molto alte (come nel caso dei trasporti ferroviari o marittimi). - Settori aperti: Settori in cui è facile entrare, perché le barriere sono basse (come nel settore dei servizi informatici). Le barriere all'entrata possono essere di vari tipi: - Barriere regolamentari: Sono legate a leggi e regolamenti che un'impresa deve seguire per operare. Ad esempio, per diventare commercialista bisogna avere una laurea, fare un praticantato e superare un esame. - Barriere finanziarie: Sono legate ai soldi necessari per entrare in un settore. Se un settore richiede grandi investimenti, può essere difficile per una nuova impresa iniziare a operare. - Barriere tecnologiche: Sono legate alla tecnologia necessaria per entrare in un settore. Se un settore richiede tecnologie avanzate e costose, le nuove imprese potrebbero non avere le risorse per competere. Le barriere all'entrata possono anche essere classificate in tre tipi: - Barriere di costo assoluto: Sono i costi che una nuova impresa deve affrontare per entrare nel settore, come gli investimenti iniziali. - Barriere di scala: Si riferiscono ai vantaggi di costo che le imprese già esistenti ottengono producendo su larga scala. Le nuove imprese, che producono meno, non possono competere con i costi più bassi delle imprese grandi. - Barriere di differenziazione: Si riferiscono alla capacità delle imprese di rendere unico il loro prodotto rispetto a quello delle altre imprese, grazie all'uso delle loro tecnologie o competenze. BARRIERE DI COSTO ASSOLUTO Le barriere di costo assoluto sono ostacoli economici che impediscono o rendono difficile per le nuove imprese entrare in un settore. La prima barriera di questo tipo è rappresentata dal primo investimento necessario, ovvero i soldi che bisogna spendere all'inizio per entrare in un settore. Questi costi iniziali possono essere molto alti e scoraggiare i nuovi arrivati. Ci sono altre barriere di costo assoluto che sorgono quando: - Alcune imprese hanno accesso privilegiato a risorse scarse, come materie prime particolari o tecnologie avanzate, che sono difficili da ottenere per i nuovi entranti. Questo potrebbe includere brevetti, licenze o vantaggi derivanti da investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S). - Se nel settore ci sono imprese storiche con marchi già affermati e relazioni consolidate con i fornitori, le nuove imprese si trovano a dover competere con chi ha già una posizione forte nel mercato. Ad esempio, un nuovo entrante potrebbe avere difficoltà a ottenere materie prime a buoni prezzi perché i fornitori preferiscono lavorare con le imprese più grandi e consolidate. BARRIERE DI SCALA Le economie di scala si verificano quando, aumentando la quantità di prodotti che un'azienda produce, i costi per unità di prodotto diminuiscono. Questo accade perché le grandi produzioni permettono di risparmiare sui costi fissi (come le attrezzature) e ottimizzare i processi produttivi. In un settore con economie di scala elevate, le imprese più grandi possono produrre a costi più bassi rispetto alle nuove imprese che entrano nel mercato. Quando ci sono grandi imprese che già producono a costi medi unitari bassi (per esempio, grazie alle economie di scala), possono abbassare i prezzi per rendere difficile per le nuove imprese competere. Questo viene chiamato "prezzo di deterrenza", ed è una strategia per bloccare l'ingresso di nuovi concorrenti, in quanto questi ultimi non riuscirebbero a produrre allo stesso livello di costo e quindi non riuscirebbero a vendere a un prezzo competitivo. Le nuove imprese che entrano in un settore con alte economie di scala spesso devono partire con dimensioni più piccole e quindi produrre meno, con costi unitari più alti. In questo modo, difficilmente riusciranno a competere sul prezzo, visto che le grandi imprese già operano con costi più bassi. BARRIERE DI DIFFERENZIAZIONE Quando un'impresa riesce a differenziare il proprio prodotto, lo rende unico o migliore rispetto a quello dei concorrenti, in modo che i consumatori lo preferiscano. Questo può essere fatto con caratteristiche speciali, qualità superiore, design unico, o anche grazie a una buona reputazione del marchio. Questa differenziazione diventa una barriera all'entrata perché le nuove imprese, per riuscire a competere, devono investire molto in pubblicità per cercare di farsi conoscere dai consumatori e costruire una propria reputazione. Se i concorrenti hanno già un marchio forte e riconosciuto, i nuovi entranti devono spendere molto per "rompere" il legame tra il consumatore e il marchio già affermato. CAPITOLO 5 5.1. GENERALITA’ SUI PRODOTTI E SERVIZI Un prodotto è un bene fisico che ha delle caratteristiche specifiche, come la qualità, il design, la forma e l’imballaggio. È qualcosa che viene creato tramite un processo di trasformazione, ad esempio prendendo delle materie prime e trasformandole in un prodotto finito, come nel caso del cibo, dei vestiti o dei dispositivi elettronici. I servizi, invece, non sono oggetti fisici ma prestazioni, come una consulenza, un’assicurazione o un viaggio. La politica del prodotto riguarda tutte le decisioni che un’impresa deve prendere riguardo ai beni o servizi che offre, come quale tipo di prodotto produrre e in quali mercati vendere. Le decisioni sono gestite attraverso il marketing mix, che include quattro elementi fondamentali: prezzo, prodotto (come la qualità), pubblicità e distribuzione. Ogni prodotto serve a diverse funzioni. Ad esempio, un frigorifero ha come funzione primaria quella di conservare il cibo, ma può anche avere una funzione secondaria come produrre cubetti di ghiaccio. La funzione primaria è quella che soddisfa un bisogno del consumatore, come il bisogno di conservare gli alimenti. Il valore di un prodotto dipende da tre fattori principali: - Valore costo: è legato ai costi che l’impresa ha per produrre il bene - Valore di scambio: è il valore che il prodotto acquisisce quando viene venduto, cioè il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare. - Valore d’uso: è il valore che il consumatore attribuisce al prodotto, che dipende dalle sue necessità o desideri. Esistono anche diversi tipi di domanda per un prodotto: - Domanda effettiva: quella che si traduce in un acquisto reale. - Domanda potenziale: quella che potrebbe diventare effettiva se certe condizioni cambiano, come una promozione o una possibilità di pagamento a rate. - Domanda latente: quella che non trova ancora un prodotto adeguato sul mercato. Le imprese cercano di interpretare le esigenze dei consumatori e rispondere ad esse con i prodotti e servizi offerti. Le associazioni di consumatori e i consorzi di imprese aiutano a garantire che i prodotti rispettino determinati standard e proteggano gli interessi di entrambi, consumatori e produttori. 5.2. CLASSIFICAZIONE DEI PRODOTTI Esistono due modi principali per classificare i prodotti: - Destinazione d'uso: Questo si riferisce a come il prodotto viene utilizzato - Grado di novità: Questa classificazione si basa su quanto il prodotto sia nuovo o innovativo. CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA DESTINAZIONE D’USO Si distinguono in: - Beni di consumo: Sono destinati all'uso quotidiano, come cibo, abbigliamento o articoli per la casa. - Beni di produzione: Sono usati dalle imprese per produrre altri beni o per attività produttive, come macchinari, attrezzature o materie prime. I beni di consumo possono essere suddivisi in due gruppi principali: - Beni di consumo immediato: Sono quelli che consumiamo subito, come i gelati. - Beni di consumo durevole: Sono quelli che durano più a lungo e che usiamo per un periodo di tempo, come il martello. Entrambi questi gruppi possono essere di largo consumo (acquistati frequentemente da molte persone) o di consumo ristretto (acquistati da un numero limitato di persone o meno frequentemente). Dentro queste categorie, ci sono tre tipi di beni: - Convenience goods: Sono beni acquistati rapidamente e senza riflettere troppo, come snack o bevande, che compriamo spontaneamente. - Shopping goods: Sono beni che costano di più e che richiedono più tempo e riflessione prima dell'acquisto, come abbigliamento, elettrodomestici o elettronica. - Speciality goods: Sono beni di lusso o esclusivi, che rappresentano uno status symbol, come auto di lusso o orologi costosi. I beni industriali sono quelli acquistati dalle imprese per produrre altri beni. Si suddividono in due categorie: - Beni a fecondità semplice: Sono materiali di base o semilavorati come derrate alimentari, petrolio, componenti, ecc. - Beni a fecondità ripetuta: Sono strumenti che vengono utilizzati più volte nel processo produttivo, come impianti, macchinari e software. La domanda di beni industriali dipende dalla domanda di beni di consumo. In altre parole, le imprese comprano questi beni per produrre ciò che sarà venduto ai consumatori. Riguardo al grado di novità, i prodotti possono essere: - Innovativi: Sono completamente nuovi, mai visti prima. - Migliorati: Sono versioni aggiornate o migliorate di prodotti già esistenti, come una nuova versione di un'auto con trazione integrale. Per valutare un prodotto nuovo o migliorato, i consumatori guardano a cinque caratteristiche principali: I) Superiorità del prodotto: Se il prodotto è oggettivamente migliore rispetto agli altri. II) Compatibilità: Se il prodotto funziona bene per l'uso per cui è destinato. III) Semplicità d'uso: Se il prodotto è facile da usare (come i dispositivi Apple, che sono noti per la loro facilità). IV) Osservabilità: Se è facile vedere le caratteristiche e i benefici del prodotto. V) Provabilità: Se il consumatore può testare il prodotto per verificare la sua qualità prima dell'acquisto. 5.3. IL PORTAFOGLIO PRODOTTI Un'impresa può offrire diversi tipi di prodotti, e insieme questi prodotti formano ciò che si chiama il portafoglio prodotti dell'impresa. In pratica, quando parliamo di catalogo o assortimento, ci riferiamo a tutte le opzioni che un'impresa ha in vendita. I) Ampiezza dell'assortimento: si riferisce al numero di linee di prodotto che l'impresa ha. Una "linea di prodotto" è un gruppo di prodotti che sono simili tra loro perché soddisfano lo stesso tipo di bisogno. Per esempio, una linea di prodotti per la cura della pelle potrebbe includere creme, lozioni, e sieri. II) Profondità dell'assortimento: riguarda il numero di articoli o modelli all'interno di ogni linea di prodotto. Se una linea di prodotto ha molti modelli o varianti, si dice che è "profonda". Ad esempio, se una linea di scarpe ha diverse taglie, colori e stili, è una linea profonda. 5.4. TIPOLOGIE DI MERCATO Per capire come funziona un mercato, bisogna considerare il rapporto che esiste tra l'impresa (che offre i prodotti) e il consumatore (che compra i prodotti). Questo rapporto è essenzialmente il legame tra domanda (quello che i consumatori vogliono comprare) e offerta (quello che le imprese sono disposte a vendere). Quando si parla di mercato, si fa anche una distinzione tra due tipi di mercato: - Mercato del venditore: è il mercato dove l'impresa offre i suoi prodotti. In questo caso, l'impresa cerca di vendere ciò che produce, cercando di influenzare il consumatore, ad esempio con il prezzo, la qualità o la pubblicità. - Mercato del consumatore: è il lato opposto, dove i consumatori esprimono la domanda di prodotti. I consumatori decidono cosa comprare in base a fattori come il prezzo, la qualità, e le loro necessità. 5.5. IL MARKETING MIX Le imprese cercano di influenzare la domanda dei loro prodotti usando strategie di marketing per conquistare nuovi clienti e mantenere quelli esistenti. Lo fanno lavorando su quattro elementi principali che costituiscono il marketing mix: I) Prezzo: decidono quanto far pagare il prodotto. Un prezzo giusto può attrarre più clienti, ma deve essere anche sufficiente per coprire i costi e fare profitto. II) Prodotto: riguarda la qualità e le caratteristiche del prodotto. Un prodotto ben fatto, che soddisfa le esigenze dei consumatori, aiuta a creare una base di clienti fedeli. III) Pubblicità: è l'uso della comunicazione per far conoscere il prodotto e convincere i consumatori a comprarlo. Questo può avvenire attraverso diversi canali, come TV, internet, social media, etc. IV) Posto: riguarda la distribuzione del prodotto, ovvero dove e come il prodotto viene messo a disposizione dei consumatori. L'impresa deve scegliere i punti vendita giusti (negozi, online, ecc.) per raggiungere il proprio pubblico. 5.6. IL PRODOTTO ED IL MERCATO: STANDARD, DIFFERENZIAZIONE, SEGMENTAZIONE. Un prodotto è composto da vari attributi che definiscono le sue caratteristiche, come il design, i materiali, la funzionalità, e così via. La qualità di un prodotto è un concetto complesso perché dipende da molteplici fattori, come la sua durata, l’affidabilità, l'estetica e come soddisfa le necessità del consumatore. La qualità cambia anche in base al tipo di prodotto e alle preferenze di chi lo acquista: per esempio, per alcune persone la qualità di una giacca può dipendere dalla sua resistenza, mentre per altre dalla moda o dal comfort. 5.6.1. STANDARD Per determinare la qualità di un prodotto, vengono utilizzati degli standard, cioè delle linee guida o regole che stabiliscono come deve essere il prodotto per essere considerato di qualità. Questi standard sono spesso stabiliti da autorità governative o organizzazioni internazionali per garantire che i prodotti rispettino certe norme di sicurezza, funzionalità e prestazioni. Ad esempio, per un’auto, gli standard di qualità possono riguardare la sicurezza (come la resistenza agli urti), la velocità massima e la stabilità. Questi standard possono essere regolati a livello nazionale (come in Italia) o internazionale (come in Europa). In altri settori, come quello vinicolo, esistono certificazioni come DOC e DOCG che garantiscono la provenienza di un prodotto, per esempio un vino, per proteggerlo da contraffazioni e per assicurare che il prodotto rispetti determinati standard. Questi standard non solo aiutano a garantire che i prodotti siano di buona qualità, ma sono anche fondamentali quando i componenti di un prodotto sono creati da altre imprese (come nei beni industriali). Ogni parte deve rispettare degli standard precisi, altrimenti l’intero processo di produzione potrebbe non funzionare correttamente. Esistono anche enti certificatori come l’ISO che stabiliscono queste norme a cui le imprese devono attenersi per garantire la qualità dei loro prodotti. Gli standard possono riguardare il design del prodotto (come deve essere progettato) o le prestazioni che deve raggiungere durante l’utilizzo. 5.6.2. DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO In passato, i prodotti erano tutti molto simili tra loro, e l'unica cosa che differenziava i vari prodotti era il prezzo. Oggi, le imprese cercano di differenziare i loro prodotti, cioè di renderli unici in qualche modo, così da attrarre diversi gruppi di consumatori. La differenziazione permette alle imprese di trovare una nicchia nel mercato, ossia uno spazio in cui operano quasi come se fossero monopolisti, senza troppa concorrenza. Esistono due tipi principali di differenziazione: - Differenziazione reale (verticale): riguarda modifiche vere e proprie al prodotto, come migliorarne la qualità. Ad esempio, una marca può migliorare la durata di una scarpa o le prestazioni di un'automobile. - Differenziazione fittizia (orizzontale): riguarda la creazione di una percezione di differenza, senza necessariamente cambiare il prodotto in modo significativo. Ad esempio, si può far credere che un prodotto sia migliore grazie a una campagna pubblicitaria o a un design accattivante. I vantaggi della differenziazione sono: - Riduzione della concorrenza: Ogni impresa si concentra su una nicchia di mercato, quindi non deve competere direttamente con altri produttori. - Controllo maggiore sui prezzi: Poiché l'impresa opera in una nicchia, può stabilire i prezzi senza che la concorrenza abbia troppo impatto. - Migliore utilizzo delle risorse: Poiché non ci sono eccessi di produzione, l'impresa riesce a gestire meglio la sua capacità produttiva. È importante notare che la differenziazione riguarda il prodotto, mentre la diversificazione riguarda invece l'intero portafoglio di prodotti offerti dall'impresa. 5.6.3. LA SEGMENTAZIONE DEL MERCATO La segmentazione è il processo che permette alle imprese di suddividere il mercato in gruppi di consumatori che hanno bisogni, gusti o comportamenti simili. Ad esempio, nel caso del caffè decaffeinato, l'impresa ha notato che esiste un gruppo di consumatori (un "segmento") che cerca caffè senza caffeina. Di conseguenza, ha creato un prodotto diverso per soddisfare quel bisogno specifico. Per segmentare correttamente un mercato, l'impresa segue tre fasi principali: I) Scegliere i parametri di segmentazione: L'impresa decide su quali caratteristiche del consumatore basarsi, ad esempio: A) Demografici: Età, sesso, numero di membri in famiglia. B) Socio-Economici: Reddito, professione, livello di istruzione. C) Ubicazionali: Dove vive il consumatore (in città grandi o piccole, in aree ricche o povere). D) Psicografici: Tratti della personalità, preferenze, innovazione. E) Riferiti al prodotto: Che tipo di caratteristiche o benefici cerca il consumatore nel prodotto. II) Individuazione e descrizione dei segmenti: Dopo aver scelto i parametri, l'impresa divide il mercato in vari segmenti e li descrive, identificando i tratti distintivi di ogni gruppo di consumatori. III) Scelta dei segmenti su cui operare: L'impresa seleziona i segmenti più promettenti per le sue strategie di marketing, in base a determinati requisiti, come: A) Identificabilità: È facile riconoscere i comportamenti di consumo nel segmento. B) Misurabilità: Si può calcolare quanti consumatori fanno parte del segmento. C) Significatività economica: Il segmento è abbastanza grande e rilevante economicamente per l'impresa. D) Accessibilità: L'impresa può entrare facilmente nel segmento senza troppe difficoltà. n questo modo, l'impresa può creare offerte personalizzate per ogni gruppo di consumatori e adottare politiche di marketing mirate, come strategie di prezzo, prodotto, pubblicità e distribuzione specifiche per ciascun segmento. 5.6.4 POSIZIONAMENTO DELL’IMPRESA Il concetto di posizionamento riguarda come un'impresa decide di "posizionare" i suoi prodotti nel mercato in modo che si distinguano rispetto alla concorrenza e soddisfino specifici bisogni di un target di consumatori. Quando un mercato è suddiviso in segmenti, questi segmenti possono essere ulteriormente divisi in sub-segmenti a seconda di caratteristiche o preferenze più specifiche. Ad esempio, nel mercato delle automobili, un segmento potrebbe essere costituito da chi compra auto di piccola cilindrata. Ma all'interno di questo segmento, i consumatori possono avere preferenze diverse: qualcuno potrebbe cercare un'auto a prezzo basso, qualcun altro potrebbe volerla economica nei consumi, qualcun altro ancora potrebbe dare più valore alla qualità o al design. Ogni casa automobilistica può scegliere di concentrarsi su uno di questi sub-segmenti e quindi posizionare il suo prodotto in un modo specifico, puntando su determinate caratteristiche, come: - Prezzo basso e qualità bassa: Auto economiche, magari senza molti optional. - Prezzo basso e qualità alta: Auto economiche ma con un buon livello di qualità e caratteristiche aggiuntive. - Prezzo alto e qualità bassa: Auto di fascia alta ma con prestazioni limitate (ad esempio, per un design particolare). - Prezzo alto e qualità alta: Auto di lusso con alte prestazioni e ottima qualità. 5.7. CICLO DI VITA DEL PRODOTTO Il ciclo di vita del prodotto descrive come le vendite di un prodotto cambiano nel tempo. Ogni prodotto, una volta immesso sul mercato, segue un percorso che può essere rappresentato in un grafico. Questo ciclo è diviso in diverse fasi, e ogni fase richiede un comportamento diverso da parte dell'impresa. Le fasi principali del ciclo di vita sono: I) Introduzione: Quando il prodotto è nuovo e le vendite crescono lentamente. I consumatori non conoscono ancora bene il prodotto e l’impresa deve fare molta pubblicità. II) Primo sviluppo: Le vendite aumentano più velocemente. Il prodotto inizia a soddisfare un bisogno di mercato che prima non era pienamente soddisfatto. III) Pieno sviluppo: Le vendite continuano a crescere velocemente, ma a un ritmo più lento. Il prodotto diventa più popolare e si diffonde. IV) Maturità: Le vendite si stabilizzano su alti livelli, ma non crescono più molto. A questo punto, l’impresa deve concentrarsi sulla riduzione dei costi e sull’efficienza per mantenere i profitti. Dopo la fase di maturità, ci possono essere altre fasi: I) Declino: Le vendite diminuiscono progressivamente, finché il prodotto può uscire dal mercato (come i giradischi). II) Pietrificazione: Le vendite si stabilizzano su un livello costante, senza crescere né diminuire. III) Rivitalizzazione: Le vendite riprendono grazie a modifiche al prodotto o al cambiamento delle sue funzioni d'uso. Ogni fase del ciclo di vita richiede una diversa attenzione da parte dell’impresa. Ad esempio: I) Introduzione: L’impresa si concentra su

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