Appunti Lezione Diritti Umani UE PDF

Summary

Appunti di una lezione su diritti umani nell'ambito dell'Unione europea, e in particolare sulla Carta dei diritti fondamentali e il trattato di Lisbona. L'approccio è giuridico, con riferimento al diritto internazionale e all'esperienza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Il documento evidenzia l'evoluzione della tutela dei diritti umani a livello europeo, tra i vari trattati e sentenze.

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Lezione 16/09 Lezioni lunedì 12-13.30 e venerdì 8:30-10 Prima parte: Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e il trattato di Lisbona Seconda Parte: fattispecie con intervento della corte di giustizia dell'Unione Europea, che interpreta e applica la carta. Terza parte: è opzionale. A pa...

Lezione 16/09 Lezioni lunedì 12-13.30 e venerdì 8:30-10 Prima parte: Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e il trattato di Lisbona Seconda Parte: fattispecie con intervento della corte di giustizia dell'Unione Europea, che interpreta e applica la carta. Terza parte: è opzionale. A partire da un elenco di sentenze messe a disposizione, si può studiare una di queste e realizzare una tesina (15 pagine circa) nella quale si analizza il caso, si individuano i temi giuridici fondamentali e si prova a trovare problemi, soluzioni e il ragionamento della corte, giungendo poi a conclusioni e sentenze, dando infine un parere “personale”. Si accede alla terza parte se frequentanti. La tesina verrà corretta dal prof e poi esposta davanti alla classe. La tesina comporta l'ottenimento di un badge (riconoscimento di competenze unige) inseribile nel curriculum. In aggiunta, la tesina e l'esposizione permettono di sostenere l’esame in preappello in modalità scritta. La prova è un breve test a risposta multipla. La prova orale è di quattro domande, due sulla parte generale, due sulle fattispecie. Se si è frequentanti riguardano quelle fatte a lezione, altrimenti quelle indicate sul manuale. Manuale: la tutela dei diritti fondamentali dell'Unione europea, scritto da Celle e pubblicato nel 2016, quindi non è troppo aggiornato (c'è digitale). La tutela dei diritti umani è un tema vasto, soprattutto perché tocca una pluralità di discipline, come il diritto, la sociologia e la filosofia. L'approccio sarà ovviamente giuridico. Anche nell'ambito del diritto ci sono vari approcci al tema, il primo e più importante, è quello del diritto costituzionale. Uno dei temi fondamentali del costituzionalismo è proprio la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino. Il nostro approccio sarà quello del diritto internazionale. A partire dalla fine della WWII e dalla nascita dell’ONU, il DI si è concentrato proprio sul rispetto, la tutela e la promozione dei diritti fondamentali della persona. Focus del corso sarà il tema nell’ambito dell’Unione Europea, quindi di un ordinamento “specialissimo” che si differenzia dalle altre OIG e si distingue sia dal SI sia dall'ordinamento degli stati membri. L'approccio del DI alla tutela dei diritti umani: l'esperienza della WWII ha reso evidente come l'individuo non trovi sufficiente tutela di quelli che sono i suoi diritti fondamentali se questa è affidata interamente allo stato (considerazione metagiuridica), poiché l'evoluzione dei singoli ordinamenti ha portato a rendere lecito, in base alle regole nazionali, violare i diritti fondamentali della persona. Il DI normalmente si occupa della relazione tra stati, però è allo stesso tempo vero che il DI storicamente ha sempre riconosciuto l'esistenza di alcune eccezioni a questa regola del DI stesso, che rendevano rilevate il modo in cui uno stato tratta le persone anche all'interno della sua sovranità. Le ragioni di queste eccezioni sono per esempio il trattamento di un cittadino straniero, ovviamente soggetto alla sovranità territoriale, limitata dalla cittadinanza di un altro stato. Altre eccezioni riguardavano la presenza di cittadini in aree non soggette alla sovranità nazionale di nessuno stato, come in mare. Esistono anche eccezioni, specialmente in ambito europeo, legate alla presenza di minoranze etniche, persone etnicamente di un altro stato che vivono nello stato, quindi per quanto privi di cittadinanza, vengono tutelati dal DI (minoranze tedesche in Italia, o le varie comunità ebraiche). Lo stato territoriale deve quindi rispettare i diritti fondamentali di quelle persone, in nome del rapporto con lo stato di origine, pur in assenza di una cittadinanza. Questo era uno degli obiettivi della Società delle Nazioni, per esempio, così come della Carta costitutiva delle nazioni unite. Secondo l'approccio classico del DI vigente, il DI consuetudinario impone agli stati della Comunità Internazionale di riconoscere, tutelare e promuovere i diritti umani. Questi diritti sono riconosciuti all'individuo, persona fisica, a prescindere da qualsiasi qualificazione (senza discriminazioni dovute ad età, sesso, nazionalità, etnia, ecc). Sono diritti riconosciuti non conferiti magnanimamente dall'ordinamento internazionale o da un singolo stato, sono qualcosa che esiste a priori. Il grande risultato di questo approccio è stato quello di rendere il modo in cui uno stato tratta le persone (qualsiasi persona) rilevante per il DI. Nel DI troviamo norme giuridiche che impongono obblighi agli stati, così come regole che prevedono come gli stati che violano queste regole dovrebbero essere trattati. In questo senso abbiamo osservato l’evoluzione di alcuni fenomeni. Il progredire del contenuto e della portata dei diritti umani, come nel primo atto dell'assemblea ONU del 48 durante la quale si adottò Dichiarazione universale dei diritti umani, che pur non essendo un atto giuridicamente vincolante, serve per renderli tali diritti percepibili. In contemporanea abbiamo visto una progressiva evoluzione della corte internazionale di giustizia, proprio in relazione all'espansione del riconoscimento dei diritti dell'uomo, diventando di fatto vincolanti per tutti gli stati che riconoscono la corte. Inoltre, la Corte ha riconosciuto ad alcuni valori fondamentali e inderogabili lo status di ius cogens, parte del diritto internazionale consuetudinario, che ha il carattere di essere interrogabile. Per esempio, il divieto di tortura è stato riconosciuto dalla corte come un divieto riconosciuto erga omnes e assoluto, non esistono giustificazioni valide per rendere la tortura una pratica accettabile. A partire della WWII abbiamo osservato la progressiva codificazione ed elaborazione di trattati internazionali volti a definire in maniera precisa (più del DI consuetudinario) il contenuto e la portata dei diritti fondamentali della persona. Tutti gli stati che ratificano tali trattati sono obbligati a rispettarli, per cui se non lo fanno commettono un illecito internazionale. Tra le caratteristiche di questi trattati troviamo l'esistenza di meccanismi volti a favorire e incentivare gli stati a rispettarli e a dissuadere dal violarli, meccanismi di vario tipo, come la stesura di rapporti per evidenziare come si sia seguito i vincoli imposti dal trattato, o la nascita di meccanismi di vigilanza che osservano e correggono il comportamento degli stati. Due strumenti importanti in questo senso sono la risoluzione dell'ONU che permette ad essa di intervenire in casi di gravi violazioni dei diritti fondamentali e, inoltre, il consiglio di sicurezza della Nazioni Unite ha riconosciuto che tali violazioni faccia parte di una minaccia alla pace e quindi permette un intervento, Inoltre esiste ora lo human rights council che si occupa di queste tematiche. Il secondo fenomeno è quello della regionalizzazione. Per quanto i diritti umani siano universali, non dobbiamo dimenticare gli aspetti pre-giuridici che permettono una comunanza di intenti e che quindi influiscono sulla buona riuscita di un trattato internazionale. Normalmente, infatti, i trattati internazionali hanno norme di carattere mollo generale. Invece, se al tavolo si siedono stati culturalmente e storicamente vicini, si riesce a produrre testi più specifici e approfonditi. Per questo esiste una pluralità di accordi regionali che si affiancano al testo dell'ONU per realizzare norme più precise e strumenti di correzione più adatti. Per esempio, il Consiglio d'Europa (non UE) nasce con l'intento di salvaguardare la democrazia in Europa e realizzare trattati in merito, come la carta dei diritti fondamentali europea. Allo stesso tempo è vero che è più semplice realizzare meccanismi di vigilanza e correzione per paesi vicini (per esempio per un individuo far appello ad una corte internazionale riconosciuta). In Europa esiste un importante tradizione, che si concretizza nella corte europea dei diritti dell'uomo, proprio nel giudicare liberamente gli stati colpevoli di violazioni di tali diritti. Cosa succede con l'UE? L'UE è frutto di un processo di integrazione che iniziadopo la WWII. Il primo passo è la CECA, e allora sull'onda del successo si elaborano due trattati: la Comunità Politica europea e la Comunità Europea di Difesa. Il processo di integrazione europea si basa su tre pilastri: pace, sviluppo economico e sovrannazionalissimo. Coerentemente uno dei primi temi fu appunto quello della difesa (bocciato dal parlamento francese e quindi abbandonato). Nel trattato sulla comunità politica europea si parlava ovviamente anche di diritti fondamentali. Per uscire da questa difficoltà si tornò ad una cooperazione puramente economica, che portò alla nascita dell'EURATOM e alla realizzazione del trattato di Roma, che vede la mancanza del tema diritti fondamentali. Non se ne parla perché così si è scelto, perché si temeva un secondo fallimento. Questo mutismo trova giustificazione formale nell'esistenza del Consiglio di Europa, che già si occupava di quei temi. Uno degli aspetti fondamentali della Comunità economica europea è che gli individui sono soggetti del diritto della comunità, sono quindi direttamente destinatari di norme giuridiche che ne fissano diritti e doveri. Elemento sottolineato dalla corte di giustizia sin dall'inizio, che ha quindi sempre riconosciuto e tutelato i diritti degli individui sanciti dai trattati. Ma se i diritti fondamentali della persona sono un attributo della persona in quanto persona che ci si limita a riconoscere e il cui rispetto è un obbligo previsto dal DI, nel momento in cui la corte afferma che gli individui sono soggetti dell'ordinamento della comunità europea, è ovvio chiedersi come la comunità li tuteli. La Corte nel silenzio dei trattati, ha dovuto elaborare una propria dottrina giuridica per rispondere a questa contraddizione, cioè alla domanda “come la comunità tutela tali diritti”. A partire dal 2009 è nata la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che si aggiunge alla dottrina giuridica realizzata dalla corte. 20/09 Ingresso diritti umani nel diritto comunitario: i trattati fondativi si occupano principalmente di elementi fondamentali a livello economico, come la libera circolazione di merci e servizi, quindi non dei diritti fondamentali. In questo contesto emerge in modo preponderante la funzione della Corte di giustizia, che piano piano prende in mano la tematica dei diritti fondamentali. Il primo caso fondamentale in quest’ottica è la sentenza 26/69: La sentenza è particolarmente nota per aver distinto tra la protezione diplomatica di una società e quella degli azionisti individuali. La Corte introdusse anche il concetto di obblighi "erga omnes", ossia obblighi che uno Stato ha nei confronti della comunità internazionale nel suo complesso, come quelli relativi ai diritti umani fondamentali. È la prima volta in cui la corte, in modo quasi trasversale, sancisce i diritti fondamentali come aspetti inerenti all'ordinamento europeo, e che la sua stabilità viene garantita laddove tali diritti vengono tutelati. Per quanto astratta, abbiamo quindi una prima menzione dei diritti fondamentali come obiettivo e interesse della corte. L'evoluzione, da questo punto di vista, è repentina. Il caso Handelsgesellschaft, 11/70, dà la possibilità alla corte di tornare sul tema. Pur riconoscendo la sovranità dei singol istati, la corte riconosce l'osservanza dei diritti fondamentali nel proprio ordinamento e per fare questo si ispira alle tradizioni costituzionali degli stati membri. In modo autonomo, la Corte può elaborare i contenuti in materia di diritti fondamentali previsti all'interno delle costituzioni dei singoli stati. l'obiettivo è creare una certa uniformità all'interno della comunità europea in materia di diritti umani. La corte si auto attribuisce la facoltà di elaborare in modo indipendente tali norme e di applicarle come principio generale della comunità. L'applicazione era dunque funzionale al perseguimento dell'obiettivo principale, il sostenere il processo d'integrazione europea. L’evoluzione prosegue con il caso Nold, ossia la sentenza 4/73. Si ribadisce il ruolo delle tradizioni costituzionali nella giurisprudenza della corte. Inoltre, si affiancano ad esse i trattati internazionali in merito ai diritti dell'uomo firmati dagli stati membri, tra cui spicca ovviamente la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tali trattati, citati in modo generico, vengono equiparati alle tradizioni costituzionali come fonte da cui la corte può trarre i principi in materia di diritti fondamentali, all'epoca firmata da tutti i membri ma in attesa della ratifica francese, motivo per il quale la corte non cita direttamente tale trattato. Questa soluzione limita in modo significativo i problemi legati alla conformità del diritto, poiché nel momento in cui viene firmato e ratificato un trattato, è ovvio che la giurisprudenza dei singoli stati trova punti di contatto molto più concreti. La CEDU verrà finalmente citata l'anno successivo, nel caso Hauer, 44/79, posteriore alla ratifica della CEDU da parte della Francia, confermando il motivo per il quale la citazione precedente fu generica. In questa sentenza la corte fa rifermento ad alcune norme della CEDU, specificatamente riguardanti il diritto alla proprietà, inserito nel primo protocollo del trattato. Oltre alla citazione, la Corte dà ovviamente una propria interpretazione del testo in questione. Questa è la conclusione del primo percorso evolutivo della corte avvenuto negli anni 70. Il silenzio dei trattati in merito ai diritti fondamentali diventa una mancanza sempre più grave. Dalla fine degli anni 70 si propongono due soluzioni. La prima era far aderire la Comunità alla CEDU, al pari degli altri stati membri. La seconda, invece, non necessariamente alternativa, era quella di elaborare un catalogo da inserire come allegato o trattato autonomo in successiva analisi. Vengono esplorate entrambe le opzioni. La seconda opzione rimarrà un punto fisso per il diritto comunitario, almeno fino al trattato di Lisbona del 2009. Il primo passaggio è una dichiarazione formale del 1976 della Commissione, il memorandum numero 5 del 76. In questo momento si ritiene opportuno elaborare un catalogo dei diritti, anche non vincolante, poiché risulterebbe uno strumento che semplifica notevolmente i trattati. Inoltre, si riconosce che uno strumento del genere possa dar vita ad un’opposizione politica (e pubblica) molto più flebile, rispetto a un quadro normativo giuridicamente vincolante. Non possiamo poi dimenticare la quantità di lavoro aggiuntivo che richiederebbe se il documento fosse appunto vincolante. L’intenzione si concretizzò nella Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione - Riguardante il rispetto dei diritti fondamentali e della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, pubblicata l’anno successivo. Negli anni 80, abbiamo un'importante riforma dei trattati originali con l'Atto unico europeo del 1986. Si tratta della prima modifica sostanziale dei trattati fondanti, in particolare quello sulla comunità economica europea. Il trattato, nel suo preambolo, riporta l'importanza dei diritti fondamentali nel diritto comunitario: [I governi degli Stati membri] risoluti a promuovere insieme la democrazia basata sui diritti fondamentali sanciti nelle costituzioni e nelle leggi degli Stati membri, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nella Carta sociale europea, in particolare la libertà, l'uguaglianza e la giustizia sociale. Nel frattempo, nella comunità entrarono UK, Irlanda e Danimarca, adesioni piuttosto semplici (almeno dal punto di vista dei diritti fondamentali). In seguito, aderiscono Grecia nell’81, e Spagna e Portogallo nel 86, paesi che uscivano da regimi autoritari, con costituzioni giovani e quindi una tradizione di tutela dei diritti fondamentali piuttosto scarna. Questo rende il preambolo dell'Atto unico europeo particolarmente importante, specialmente nella difesa della democrazia. Nonostante ciò, l'Atto non approfondisce il tema nello specifico. Gli esecutivi di molti stati membri erano particolarmente restii ad attribuire una competenza specifica in termini diritti fondamentali alla giurisprudenza europea, in particolare nel regno unito, che ha sempre guardato al processo di integrazione europea come un processo puramente economico. Anche motivati dai successi economici della comunità, molti stati membri desideravano estendere il modello europeo in altri ambiti importanti non puramente economici. L'integrazione europea stava funzionando. Un fattore esogeno spinge ancora in questa direzione. Nel 89, con il crollo del muro, c'è un nuovo interessamento verso i paesi dell'est. Cresce dunque il dibattito legato all’espansione degli ambiti trattati dalla comunità: nasce così il Trattato di Maastricht nel ‘91. Da Comunità economica europea si passa Comunità europea. Inoltre, nasce così l'Unione europea, ossia un'espansione delle competenze comunitarie, a partire dal secondo pilastro, cioè la politica estera, e dal terzo pilastro, che consiste nella cooperazione in materia giudiziaria e di polizia. Questo nuovo quadro istituzionale fa emergere ancora d più la tematica dei diritti fondamentali. Il secondo e il terzo pilastro si sviluppano con il metodo intergovernativo: non tramite trattati, ma grazie all'operato congiunto dei governi degli stati membri e il consiglio. La corte di giustizia viene completamente estromessa dal terzo pilastro, tagliando la corte dal giudizio sulle procedure intergovernative. Il trattato prevede per la prima volta la tutela i diritti fondamentali: Articolo F 1. L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri, i cui sistemi di governo si fondano sui principi democratici. 2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali, quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario. Questo articolo afferma l'impegno dell'Unione Europea a rispettare i diritti fondamentali, come garantito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Questi diritti sono considerati principi generali del diritto comunitario. Viene così cristallizzata l’evoluzione della giurisprudenza della corte di giustizia. Non vengono realizzati ancora contenuti specifici, ma si tratta di un grande passo in avanti. Un'altra innovazione importante è l'istituzione della cittadinanza europea, che viene garantita in automatico a chiunque disponga di una cittadinanza di uno stato membro. Questo, oltre ad un chiaro valore simbolico, ha una serie di implicazioni sostanziali, come diritti legati alla libera circolazione (non più solo dei lavoratori) dei cittadini europei. In aggiunta, viene introdotto un altro diritto importante, ossia quello all'elettorato attivo e passivo, sia a livello locale, sia livello europeo [Significa che un cittadino di uno stato membro che si sposta per un periodo superiore ai 3 mesi in un altro paese, può decidere di iscriversi e votare direttamente per le elezioni europee del paese in cui si è spostato, rinunciando al voto nel proprio paese]. Non si fa però riferimento ad una possibile adesione della comunità alla CEDU. Il parlamento europeo nel 94 si esprime in favore dell'adesione alla CEDU, mentre il consgilio, nel medesimo anno, per quanto non fosse esattamente contrario (la maggioranza degli stati era favorevole…) richiede il parere alla corte di giustizia. La domanda posta alla corte era duplice: la prima questione è legata alla compatibilità del trattato, la seconda riguarda la competenza della Comunità europea nel firmare accordi di questo tipo, senza invadere il principio di sovranità dei singoli membri. Con il parere 2/94, pubblicato nel 96, la corte afferma di non potersi pronunciare sul primo punto, perché l'accordo non era stato ancora materialmente realizzato e quindi la corte non aveva mezzi per giudicarlo, mentre sulla seconda questione, la Corte conclude negando che la protezione dei diritti fondamentali possa concretizzarsi come un obiettivo principale delle Comunità. Tale parere costituisce un freno pesantissimo per quanto riguarda il filone dei diritti fondamentali attuabili tramite l'adesione alla CEDU della comunità. Tuttavia, la Corte, rendendosi conto di aver adottato una posizione molto rigida, inizia a richiamare esplicitamente la giurisprudenza della Corte EDU, dal 96 in poi. L’intenzione sembra quello di costruire un rapporto costruttivo tra le due corti, appratenti a ordinamenti diversi. Il passo successivo fu il Trattato di Amsterdam del 1997. Abbiamo di nuove significative menzioni del tema dei diritti umani: Articolo 6 del Trattato sull'Unione Europea (come modificato dal Trattato di Amsterdam): 1. L'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. 2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali, quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario. [...] Si tratta di una presa di posizione più pragmatica. Inoltre, cristallizza così i Criteri di Copenaghen, proposti nel 1993: sono criteri di condizionalità che devono essere rispettati dai paesi che desiderano entrare a far parte dell’Unione, in modo particolare rivolti ai paesi dell’ex blocco sovietico, opra interessati al processo di integrazione europea, nei quali esistevano criticità legate alla stabilità politica e alla tutela dei diritti. L’UE viene criticata in questo frangente, perché sembra richiedere ai paesi esterni condizioni più stringenti di quelle che vigono nei paesi membri. Inoltre, viene introdotta, all'epoca in fase embrionale, una procedura volta ad accertare e, nel caso, a sanzionare le violazioni di questi valori commesse dai paesi membri. Si tratta di un rispetto che deve essere concreto non solo in caso di adesione, ma anche per la permanenza all’interno dell'Unione. Crebbe la discussione relativa all'adozione di un catalogo specifico di diritti fondamentali, ormai ritenuta la strada migliore da seguire, specialmente dopo il parere negativo della Corte. Nel 1999, il Consiglio europeo constata formalmente la necessità di elaborare una carta dei diritti fondamentali. Venne fondato un comitato ad hoc (convention) composto da rappresentanti di governi, parlamentari nazional ed europei, al quale venne richiesta la stesura di un documento definitivo entro un anno. Nel 2000 arriverà dunque la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Non essendo adottato come atto delle istituzioni, la carta prodotta non godeva di efficacia giuridica vociante, le sue norme non potevano essere invocate davanti ad una corte. Era dunque una dichiarazione politica che sottolineava l'attenzione per la tematica da parte di istituzioni nazionali e no. Parlamento e Commisione desidervano integrare tale documento nel diritto primario comunitario, trovano l’opposizione di un gruppo di stati, capitanti dal Regno Unito. La carta dei diritti fondamentali veniva da loro ritenuta superflua, anzi credeva sufficiente il riferimento a tale documento a livello declaratorio e informale. La carta non era un documento interamente originale, anzi prendeva in prestito alcuni elementi fondanti del diritto comunitario, come quelli discendenti dalla tradizione costituzionale dei paesi membri. Dal 2003, la Corte iniziò a richiamare frequentemente articoli della Carta, affiancandola a quella giurisprudenza che si era negli anni evoluta. La Corte sfrutta la semplicità della carta, chiara e facilmente interpretabile, con un contenuto recepito da tutti gli stati membri. Inoltre, si stava avviando una profonda revisione della struttura dell’Unione, in occasione dell’ormai prossimo ingresso di 10 paesi, che avvenne poi nel 2004. Inoltre, sono gli anni della stesura del trattato “costituzione”, che avrebbe avvicinato sempre più l'unione ad un ordinamento sovranazionale. In pochissimo tempo venne effettivamente firmato il trattato costituzione, che però naufragò in seguito alla mancata ratifica di Francia e Olanda, dovuta all’esito negativo dei referendum organizzati nei due paesi. L’idea era quella di integrare il catalogo dei diritti nel trattato costituzione. Tornò in auge anche la possibile adesione alla CEDU. Questo perché il trattato costituzione avrebbe dato competenza specifica in materia all'Unione, permettendo ad essa di superare l'empisse descritto dalla Corte. L’adesione era in realtà un vincolo per l’Unione imposto dal trattato costituzione. L’adesione alla CEDU sarà nuovamente tema di dibattito con il Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009. Di fatto, si tratta di una revisione del fallimentare trattato costituzione, con piccole modifiche come la rimozione del riferimento alla costituzione, una terminologia che politicamente si era dimostrata poco digeribile. Questi accorgimenti porteranno finalmente alla ratifica, da cui dipende l'evoluzione della carta come fonte avente natura giuridicamente vincolante. A differenza del trattato costituzione, con Lisbona la carta non viene inserita nel trattato, ma resta invece un documento autonomo, inserito finalmente nel diritto primario dell’UE. 23/09 La corte non ha mai cambiato la sua interpretazione. I diritti fondamentali hanno rilevanza come principi derivanti dalle tradizioni costituzionali dei singoli paesi. Questo vuol dire che comunque rimangono sempre subordinati al diritto dei trattati, poiché proprio da essi dipendono. I due principi fondamentali dell’ordinamento speciale dell’Unione sono: 1. il riconoscimento agli individui la qualità di soggetti dell'ordinamento e, considerando che i diritti fondamentali derivano dall’essere individui, l'ordinamento non può non riconoscere loro tali diritti. 2. Siccome l’ordinamento che riconosce agli individui tali diritti è stato fondato dagli stati membri, è naturale credere che nel creare tale ordinamento gli stati non abbiano trasferito all'ordinamento il compito di tutelare quei diritti esattamente, così come gli stati membri fanno al loro interno. Quindi, la corte, che fa parte dell'ordinamento giuridico dell'unione, ha caratteristiche che da essa dipendono, rimane quindi un requisito fondamentale per agire in qualsiasi campo il principio di attribuzione, ossia l'attribuzione di competenze da parte degli stati membri tramite i trattati: come sottolineato dalla corte nel parere 2/94, gli stati membri non hanno attribuito all'unione una competenza generale in materia dei diritti umani. La conseguenza del coordinamento del principio di attribuzione e della tutela dei diritti fondamentali, è che l'UE può tutelare i diritti fondamentali solo negli ambiti in cui essa è competente, come per la libera circolazione delle persone. Per ogni sua azione, l’UE deve prima chiedersi se è comptente in materia, a livello giuridico. Il secondo aspetto speciale dell'ordinamento è legato al principio del primato del diritto dell'unione. Nel momento in cui l'UE è munita di competenza, può metterla in atto attraverso l’esercizio di atti, qualora gli atti o le norme dell'ordinamento siano direttamente immediatamente applicabili, tali norme prevalgono sulle norme dell'ordinamento degli stati membri. La Corte ha sottolineato che il principio del primato è valido anche nel settore dei diritti fondamentali. Cosa succede quando si ha un'interferenza tra la tutela garantita da uno stato membro e quella dell'Ue? Il primato spetta sempre all’Unione, se competente in materia. Da quando l’UE ha iniziato a occuparsi di diritti fondamentali, ossia a partire dagli anni 70, è solitamente fare appello direttamente alle corti europee. Sappiamo che la Corte si è ispirata a principi extra europei, come la CEDU, i principi costituzionali e le convenzioni in materia di diritti fondamentali. Questi sono principi che ispirano il suo operato, non sono elementi vincolanti (ad esclusione delle convenzioni che vengono sottoscritte anche direttamente dall'UE). Questo insieme dei principi va coordinato con le norme derivanti dai trattati. Nell'ordinamento dell'UE, le norme sono i trattati. Questa dualità è stata approfondita dai legislatori che hanno lavorato al fallimentare trattato costituzione, al quale andava annessa la Carta di Nizza. Non era una vera e propria costituzione, ma piuttosto un trattato europeo tradizionale. A renderlo diverso era più che altro in linguaggio (come l’utilizzo del termine costituzione). La risposta a tale fallimento arrivò con il Trattato di Lisbona, ancora quasi completamente in vigore. Questa è in realtà una sua peculiarità, ma possiamo riflettere sul fallimento del trattato costituzione come il motivo di un raffrenamento dell’entusiasmo e della spinta riformista che aveva caratterizzato l’UE nei decenni precedenti. È particolarmente noto per essere il trattato con cui si superò la distinzione in pilastri. L'articolo 2 indica i valori fondanti dell'UE: L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. La prima riflessione va fatta sull'utilizzo del termine “valori”, che sostituisce “principi” il termine principi: se i principi sono un concetto che esiste solo nel momento in cui viene attuato, il valore è qualcosa che già esiste nel sistema. I valori non guidano il processo legislativo in nome di una loro attuazione, sono giuridicamente rilevanti a prescindere da norme di attuazione. L’articolo 2 prosegue identificando alcune categorie generalissime come valori dell’Unione: particolarmente interessante notare come alcune di esse siano le stesse che titolano i vari capitoli della Carta di Nizza, a rimarcare l’importanza di quel documento nel nuovo ordinamento europeo. Si può quindi, per esempio, stabilire cosa si intende per “dignità” umana partendo dal titolo I della carta, e così via (anche giustizia e solidarietà sono titoli dei capitoli della carta. Inoltre, si afferma che tali valori sono comuni agli stati membri: riconosciuti e rispettati da tutti i paesi che aderiscono all'unione. La Corte, sull'adesione a valori comuni, ha reinterpretato e rinforzato un aspetto che ha sempre trovato attuazione nella sua giurisprudenza. Questo articolo 2 è oggi anche il luogo fondante del principio di fiducia reciproca, poiché i valori fondanti sono comuni. Sulla base dell'articolo 2, oggi è pendente una procedura davanti alla corte: per la prima volta la commissione ha portato davanti alla corte un paese membro per violazioni dell'articolo 2. L'articolo 3 sviluppa il contenuto dell'articolo 2: L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli [...]. I valori espressi dai vari commi di questo articolo, sono spesso legati proprio alla tutela dei diritti fondamentali e questo è vero se consideriamo le azioni interne all’UE, ma anche quelle esterne. Il comma 6 l'importanza del principio di attribuzione delle competenze: L'Unione persegue i suoi obiettivi con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati. Mentre gli articoli 4 e 5 approfondiscono il tema dell’attribuzione, l'articolo 6 si concentra sui tre capisaldi fondanti per l’Ue e in modo particolare per la tutela dei diritti al suo interno: CEDU, principi generali e la Carta di Nizza. Il comma 2 afferma: L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. Si tratta di un’evidente risposta al parere della corte 2/94 e, non si tratta di una scelta, l'adesione è vincolante. In realtà, nonostante i 15 anni, l'UE non ha ancora aderito alla CEDU. Nel 2015, la corte ha rifiutato un trattato di adesione nato nel 2013 per la “scoperta” di una serie di problematiche strutturali. Quindi, uno dei tre capisaldi viene meno. Il secondo caposaldo è quello sancito dal comma 3: I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali. Particolarmente interessante è la locuzione “principi generali”, poiché comprende tutti i concetti sui quali la corte ha basato la sua giurisprudenza prima di Lisbona, che quindi vale ancora oggi, il trattato di Lisbona non cancella quelle tradizioni, anzi conserva l'applicabilità di quella giurisprudenza. Per quanto non siano indicati esplicitamente i diritti provenienti dalle convenzioni internazionali, essi sono in realtà implicitamente considerati. Facendo appello a tutta questa serie di principi generali e alla giurisprudenza della Corte, che si evolve di caso in caso, si crea una certa flessibilità nell’interpretare ed applicare le norme in materia di diritti fondamentali, seguendone evoluzioni e adattamenti. Questa flessibilità è una grande ricchezza, che manca per esempio alla carta, un documento molto completo e valido, ma scritto e ormai definito. Per esempio, l'articolo 41 che sancisce il diritto ad una buona amministrazione: Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale, equo e entro un termine ragionevole dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell'Unione [...]. Questo articolo non inventa nulla, la tutela della posizione soggettiva dell'individuo era già stata riconosciuta dalla Corte, come sempre ispirata dai principi generali. Questo articolo si applica alle istituzioni e gli organi europei, però non comprende le istituzioni dei singoli stati. La corte afferma in effetti che questo articolo non si applica agli stati, però è anche vero che le è possibile intervenire perché la buona amministrazione è un principio generale sancito dal comma 3, quindi la “ristrettezza” con cui l'articolo 41 tutela questo diritto del cittadino viene aggirata. La corte, specialmente nei primi anni, affermava nelle sue sentenze la tradizione giuridica che sanciva i diritti e “in ultimo” l’articolo della carta, come strumento aggiuntivo. Se approfondiamo l’analisi dei commi 2 e 3 dell’articolo 6 osserviamo che, nonostante essi riconoscano la tutela dei diritti come elemento fondante dell’Unione, si continua a confermare l’assenza di competenza generale attribuita dagli stati membri. Questo rimane vero nonostante l'adesione alla CEDU. Il comma 1, invece, descrive quello che è il terzo caposaldo: L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. [...]. Il testo della carta che conosciamo oggi è quello adattato dalla modifica realizza a Strasburgo nel 2007 La Carta ottiene così lo stesso valore dei trattati ed è quindi vincolante. È però vero che in realtà non è sullo stesso piano, perché non ha la capacità di espandere le competenze dell’Unione, elemento che rimane possibile solo per i trattati. Quindi, gli stati membri, pur facendo un passo in avanti, rendendo la carta vincolante, hanno deciso di mettere un ulteriore freno alla possibilità di espandere le competenze Ue. Nei trattati, in realtà si sottolinea che l'interpretazione della giurisprudenza dell'unione spetta unicamente alla corte, che lo afferma in modo vincolante per tutti. Il trattato, sempre all’interno del comma 1 dell’articolo 6, dice che diversamente da tutte le norme dei trattati: I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. In maniera del tutto eccezionale la carta ha delle regole che dicono espressamente come vada interpretata e applicata. L'idea del legislatore è quella di vincolare, limitare, condizionare l'interpretazione della Corte, un tentativo inefficace ma comunque significativo. Con la modifica del 2007, venne creato un documento esterno alla Carta, ossia le spiegazioni, che definisce gli intenti durante la stesura dei singoli articoli, per indicare in modo ancora più esplicito l'idea di fondo che ha portato alla nascita del testo. Oltre a ciò, tale documento serve per spiegare come il legislatore immaginava di applicare gli articoli della carta. E appunto, il trattato stesso, como sottolineato dalla Corte, sancisce il vincolo di tenere conto delle spiegazioni (succede anche la corte, in base alle esigenze, ignora le spiegazioni). 26/09 Ricordiamo i 3 caposaldi, ossia CEDU, Carta e principi generali (tradizioni costituzionali e diritto internazionale). Abbiamo visto che nonostante la sua rilevanza, troviamo importanti differenze tra la Carta e i trattati. Innanzitutto, non può comportare un'espansione delle competenze dell'Unione. In secondo luogo, il legislatore ha indicato come tale carta deve essere interpretata e applicata, con l'aggiunta di un documento esterno, le spiegazioni, con cui viene in parte limitata la libertà della Corte nell'interpretare le sue norme. Il terzo aspetto, forse più importante, risulta per effetto che l'articolo 6 ha nel richiamare il titolo 7 della Carta, da cui appunto derivano i criteri interpretativi più stringenti. Uno di questi, la rende espressamente diversa dai trattati. L'articolo 52 comma 2, prevede che: I diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull’Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi. Con l'aiuto della spiegazione relativa a tale passaggio, scopriamo che si fa riferimento a diritti che erano già espressamente garantiti dal trattato che istituisce la Comunità europea e sono stati riconosciuti nella Carta, e che ora figurano nei trattati (segnatamente, i diritti derivanti dalla cittadinanza europea). Esso chiarisce che tali diritti restano soggetti alle condizioni e ai limiti applicabili al diritto dell'Unione su cui si fondano e che sono fissati nei trattati. La Carta non modifica il sistema dei diritti accordati dal trattato e ripresi nei trattati. Quindi, in una fattispecie che coinvolge tali diritti, riconosciuti dalla Carta e dai trattati prima di essa, la Corte applicherà le disposizioni dei trattati, riconosciuta come fonte più importante, nonostante essa sia in teoria giuridicamente pari livello: è per questo che nelle sentenze della Corte troviamo infatti menzione solo dei trattati, rendendo di fatto la carta inferiore a livello gerarchico. Nel preambolo, la Carta riconosce il riconosce la sua redazione da parte di Parlamento, Consiglio e Commissione, ossia quella soluzione studiata per rendere l'importanza della Carta in un momento in cui essa non era vincolante. Questo crea un primo problema, perché il testo che segue non è quello approvato all'epoca, ma quello redatto nel 2007 in occasione del trattato di Lisbona. Per quanto la Convention fosse comunque incaricata dalle istituzioni europee, rimane una complicazione teorica: ci si è chiesto infatti come è possibile oggi modificare il testo della carta (nessuno ha probabilmente voglia e interesse di modificarla). I trattati, per esempio, hanno delle disposizioni specifiche che indicano come essi stesso possono essere modificati, solitamente con procedimenti speciali. Quindi, considerato lo stesso valore giuridico della Carta, il procedimento è lo stesso? Dobbiamo tenere a mente che la Carta è nata in modo completamente diverso, coinvolgendo in modo forte molti attori diversi dagli stati membri, proprio perché il tema erano i diritti fondamentali. Molti hanno ipotizzato che fosse necessario un procedimento analogo a quello usato per la sua creazione, con il rinnovato coinvolgimento della società civile. Il professore crede che a livello teorico sia sufficiente un processo di natura ordinaria. Il preambolo dei testi internazionali non ha valore giuridico vincolante: normalmente serve per dare alcune linee su quelli che sono gli obiettivi generali che il testo andrà a ricercare. Leggerlo normalmente ci restituisce un'idea di quelli che erano gli intenti dei redattori. Per esempio, la frase “I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni”, da un chiaro messaggio (ben diverso, per esempio, da quello del TUE, che fa riferimento direttamente agli stati), cioè la volontà di mettere al centro gli individui e non gli stati. In seguito, vengono menzionati i valori fondanti, consacrati nell'articolo 2 del TUE. Nonostante il testo non sia vincolante, troviamo già una tensione tra l'azione dell'Ue e l'autonomia delle istituzioni nazionali e locali, in cui esistono differenze sull'interpretazione dei valori comuni che l'Unione vigila e diffonde: L’Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell’identità nazionale degli Stati membri e dell’ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento. Uno dei punti più critici è proprio il tentato bilanciamento tra l'operato legislativo dell'Unione e gli stati membri che talora percepiscono in modo diverso questi intenti, temendo che l'azione Ue possa valicare i limiti imposti nella salvaguardia della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa. Gli obiettivi dei trattati sono pririotari rispetto ai diritti fondamentali: i diritti fondamentali non sono competenza Ue, sono tutelati in funzione del raggiungimento degli obiettivi dei trattati. La Carta serve per rendere visibili tali diritti, per diffonderli: Pertanto, l’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi enunciati qui di seguito. I diritti sono divisi in 6 titoli: Dignità, Libertà, Uguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza e Giustizia. Il titolo VII è invece incentrato sull’Ambito di Applicazione, un ragionamento che prosegue in una certa misura la giurisprudenza della Corte, che più volte ha indagato la possibile applicazione dei diritti fondamentali ne diritto comunitario. La Corte, anche in assenza di una norma, ha in effetti riconosciuto la loro applicabilità. Articolo 51: “Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” il principio di sussidiarietà citato in questo articolo è uno di quelli che regola l'attribuzione delle competenze dell'Unione (se abbiamo una competenza concorrente e l'Ue vuole intervenire, deve dimostrare che lo stato membro non è in grado di agire correttamente, come le azioni legate alla dimensione transfrontaliera e che quindi l'Ue abbia maggiori possibilità di lavorare alla fattispecie. Quindi, anche nei diritti fondamentali l'Ue deve rispettare tale principio, ovviamente legato al principio di attribuzione di competenze. “Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze “: inoltre, si può osservare che, a differenza di quanto indicato per l'Unione e i suoi organi, le direttive riguardanti gli stati membri sono vincolate dall'applicazione del diritto comunitario. Il secondo comma ripete l’impossibilità per la Carta di espandere le competenze, rendendo evidente quella tensione tra istituzioni e stati membri, dovuta al fatto che gli stati temono che la Commissione o la Corte li obblighi a comportarsi in un certo modo in virtù degli articoli prodotti nella Carta: La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati. Le spiegazioni possono integrare l'interpretazione di tale articolo, conformando gli intenti del legislatore: L'articolo 51 è inteso a determinare il campo di applicazione della Carta. Esso mira a stabilire chiaramente che la Carta si applica innanzitutto alle istituzioni e agli organi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà. Questa disposizione è stata formulata fedelmente all'articolo 6, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea, che impone all'Unione di rispettare i diritti fondamentali, nonché al mandato impartito dal Consiglio europeo di Colonia. Il termine «istituzioni» è consacrato nei trattati. L'espressione «organi e agenzie» è abitualmente utilizzata nei trattati per designare tutte le istanze istituite dai trattati o da atti di diritto derivato. Significa che tutte le istituzioni della struttura dell'Unione deve rispettare la Carta, poiché essa si applica loro senza eccezioni, al netto del principio di attribuzione. Tutti gli attori in questione devono rispettare i diritti fondamentali. Ma anche questo rientra nella tradizione giuridica della Corte. Quindi in realtà non è un concetto originale, ma piuttosto si ribadisce un aspetto già esistente. Allo stesso tempo è vero che la specificità dell'articolo 51 ha portato la Commissione a formalizzare, nel processo di formazione e adozione degli atti (che esercita il potere di proposta legislativa in modo quasi esclusivo), deve essere presente una valutazione dell'impatto sui diritti fondamentali, anche e soprattutto quando sembrano essere lontanamente coinvolti. Il diritto europeo è fortemente legato alla giurisprudenza della Corte, alla interpretazione che essa dà delle norme: come, per esempio, la sentenza Ledra Advertising. All'epoca della crisi finanziaria (Leman brothers), l'Ue non aveva competenze in merito. Venne così creato il Meccanismo Europeo di Stabilità (dava molte risorse finanziarie agli stati in difficoltà, in cambio questi stati dovevano fare programmi di riforme economiche che miravano alla creazione di un regime economico in grado di ripagare il debito, con tassi di interesse molto agevoli). Questo spingeva gli investitori privati a investire su quegli stati che prima dell’intervento UE erano ben poco attraenti, per via della loro instabilità. In questa fattispecie, una delle “vittime” della politica economica restrittiva nata in sede della partecipazione allo strumento di Stabilità, egli ha contestato la legittimità di tale scelte poiché il soggetto dichiarava la lesione del diritto di proprietà. La sentenza Lena Advertising nega la richiesta della “vittima”, poiché il meccanismo era uno strumento derivante dai trattati non europei, per quanto firmato da tutti gli stati membri. Gli atti del MES sono quindi di competenza extraeuropea, motivo per il quale la Corte non ha nessuna giurisprudenza in merito. La contestazione viene fatta poiché per quanto i trattati siano extra europei, a partecipare nella procedura c'erano due istituzioni europee, cioè commissione e BCE. Il tribunale riconosce la non responsabilità dell'UE, poiché non sono atti dell'Unione. Viene nuovamente respinta la contestazione, decisione che viene poi contestata in appello. Come sottolineato dalla Corte al punto 161 della sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, le funzioni affidate alla Commissione e alla BCE nell’ambito del Trattato MES, per quanto importanti, non implicano alcun potere decisionale proprio. Peraltro, le attività svolte da queste due istituzioni nell’ambito dello stesso Trattato impegnano il solo MES [...] il fatto che una o più istituzioni dell’Unione possano avere un determinato ruolo nel quadro del MES non cambia la natura degli atti del MES, i quali sono estranei all’ordinamento giuridico dell’Unione. Tuttavia, se siffatta conclusione è atta a incidere sulle condizioni di ricevibilità di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, essa non vieta che si possano contestare alla Commissione e alla BCE comportamenti illegittimi connessi, eventualmente, all’adozione di un protocollo d’intesa in nome del MES, nel contesto di un ricorso per risarcimento danni ai sensi dell’articolo 268 e dell’articolo 340, secondo e terzo comma, TFUE [...] la Commissione, risulta dall’articolo 17, paragrafo 1, TUE che essa «promuove l’interesse generale dell’Unione» e «vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione» [...] l’obbligo di monitorare la compatibilità con il diritto dell’Unione dei protocolli d’intesa conclusi dal MES [...] il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, presuppone che ricorrano congiuntamente varie condizioni, ossia l’illiceità del comportamento contestato all’istituzione dell’Unione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità [...] la Corte ha già più volte precisato che occorre che sia dimostrata una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica intesa a conferire diritti ai singoli [...] la norma giuridica di cui, a detta dei ricorrenti, la Commissione non ha monitorato il rispetto, nell’ambito dell’adozione del protocollo d’intesa del 26 aprile 2013, è l’articolo 17, paragrafo 1, della Carta. Tale disposizione, che statuisce che ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, configura una norma giuridica preordinata a conferire diritti a singoli [...] per quanto gli Stati membri non attuino il diritto dell’Unione nell’ambito del Trattato MES, cosicché la Carta non gli si applica in tale quadro, la Carta si applica nondimeno alle istituzioni dell’Unione, compreso quando queste ultime agiscono al di fuori del quadro giuridico dell’Unione,[...] la Commissione è tenuta, ai sensi tanto dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, che le affida il compito generale di vigilare sull’applicazione del diritto dell’Unione, quanto dell’articolo 13, paragrafi 3 e 4, del Trattato MES, che le impone di monitorare la compatibilità con il diritto dell’Unione dei protocolli d’intesa conclusi dal MES, a garantire che siffatto protocollo sia compatibile con i diritti fondamentali sanciti dalla Carta. 30/09 La carta si applica agli stati quando questi danno attuazione al diritto dell'unione. Gli stati hanno solitamente l'obbligo di attuazione tempestiva e completa delle norme europee, che li obbligano appunto ad implementare il diritto europeo. La spiegazione dell’articolo 51, nel suo secondo paragrafo, precisa: Per quanto riguarda gli Stati membri, la giurisprudenza della Corte sancisce senza ambiguità che l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per gli Stati membri soltanto quando agiscono nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione[...]La Corte di giustizia ha confermato questa giurisprudenza nei termini seguenti: «Per giunta, occorre ricordare che le esigenze inerenti alla tutela dei diritti fondamentali nell'ordinamento giuridico comunitario vincolano parimenti gli Stati membri quando essi danno esecuzione alle discipline comunitarie…». Quindi come elementi fondamentali abbiamo l'attuazione, l'ambito e dare esecuzione al diritto dell'unione. L'applicazione della carta agli stati è in continuità a come la Corte di giustizia aveva identificato l'applicazione dei diritti fondamentali da parte dell'unione. Vengono inoltre citate tre sentenze pertinenti, cioè la sentenza Wachauf, la sentenza ERT e la sentenza Annibaldi: servono a identificare quali fossero per il legislatore le casistiche di applicazione del diritto dell'unione. Ma la cosa più importante è la continuità dell'applicazione della giurisprudenza della corte, che rimane intatta nonostante l'inserimento della carta. Si tratta di un approccio molto logico, poiché salvaguarda la giurisprudenza della corte: di fatto è la fonte principale che ha portato alla realizzazione della carta, e, al contempo, è basata sui principi generali ancora oggi vigenti. L'articolo 51 vuole sottolineare che l'applicazione della carta è analoga all'applicazione dei principi generali, non dimenticando la mancata espansione delle competenze di Unione e Corte, quindi l'assenza di competenza generale in materia di diritti fondamentali. Questa conclusione, corretta e logica, non è propriamente completa. Le spiegazioni non hanno preso in considerazione altre sentenze della Corte, nelle quali è possibile trovare un’applicazione del diritto dell'unione più ampia rispetto a quelle citate, poiché l'intento era quello di limitare gli ambiti di applicazione e quindi la libertà della Corte. Siccome l'articolo 51 riprende la giurisprudenza della corte, sarebbe corretto considerarla interamente, non solo le sentenze che sono favorevoli a questa specifica interpretazione. Quindi, gli stati che applicano il diritto dell'unione (che sia sotto forma di regolamenti o direttive da attuare), devono rispettare i diritti fondamentali. Bisogna quindi sempre chiedersi se l'azione dello stato rientra o meno nell'applicazione del diritto europeo e, di conseguenza, se lo stato deve o non deve salvaguardare i diritti fondamentali. La giurisprudenza della corte ha ulteriormente spiegato che questo vale sia per le attuazione imposte dall'Ue, sia quando lo stato esercita quelle competenze ottenute dal diritto dell'unione, come l'esercizio delle libertà fondamentali derivanti dai trattati (libera circolazione ecc).In materia di libertà, esiste, in via residuale, competenza per gli stati, che possono, per perseguire finalità specificatamente contemplate dal diritto dell'unione, esercitare delle restrizioni all'esercizio di tali libertà, motivate per esempio dalla sicurezza pubblica. Un esempio è l'articolo 36 del TFUE, che introduce delle possibili limitazioni, concesse agli stati come competenza, alla libera circolazione di beni e servizi, sanciti dagli articoli 34 e 35. La corte ha addirittura ampliato questo concetto, affermando che fra gli obiettivi con cui gli stati possono esercitare queste libertà troviamo anche il rispetto dei diritti fondamentali. Il caso del Brennero è simbolico: l'Italia ha portato in giudizio l'Austria per delle ipotizzate limitazioni del traffico, che secondo l'Italia, rappresentavano una limitazione immotivata della libera circolazione dei mezzi. I verdi austriaci, in nome della salute pubblica e della tutela ambientale, chiesero l'autorizzazione per un blocco stradale sull'autostrada del Brennero. Questa proposta rientra in effetti nel diritto di libertà di espressione del proprio pensiero, quindi, con le dovute attenzioni, tutelata dal diritto europeo. L'Austria ha autorizzato la manifestazione, motivo per il quale l'Italia ha esercitato il ricorso, sostenendo che questa manifestazione abbia violato la libera circolazione delle merci: la Corte ha risposto che è vero, ma che è una restrizione legittima, poiché la restrizione alla libera circolazione è avvenuta per garantire l'esercizio di un diritto fondamentale, di fatto un obiettivo lecito. La Corte afferma che eventuali limitazioni ai diritti garantiti devono essere giustificate solo quando: perseguono un obiettivo legittimo, sono necessarie, rispettano il principio di proporzionalità, e non siano discriminatorie. Un dettaglio da sottolineare è che, in virtù della giurisprudenza della corte e della sua tradizione, il termine “attuazione” inserito nell’articolo 51, diventa “nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione” all’interno delle spiegazioni. Non si afferma in modo specifico quando la carta vada applicata, ma che gli stati devono rispettarla quando applicano il diritto dell'Unione. Tuttavia, la Corte ha inteso il concetto di “ambito di applicazione del diritto dell'Unione” in modo più ampio rispetto a quanto inteso dalle spiegazioni. Esiste infatti un caso precedente, omesso, in modo più o meno volontario, dalla carta. La differenza si basa sul principio di leale cooperazione: uno stato che aderisce ai trattati deve agire in buona fede, adottando tutte le misure e le iniziative necessarie per consentire il pieno raggiungimento degli obiettivi previsti dai trattati, così come il rispetto dei poteri e degli obblighi previsti dai trattati. Da questo principio la Corte fa derivare conseguenze molte importanti, come il principio degli effetti diretti: se uno stato non dà attuazione tempestiva ad una direttiva, viola sia la norma generale che lo obbliga ad attuarla rapidamente, sia il principio di leale cooperazione. Il principio di leale cooperazione è quindi produttivo di norme e obiettivi specifici. La corte ha determinato che anche quando gli stati agiscono in settori che sono di loro competenza, nei quali quindi non sono chiamati dare attuazione al diritto dell'unione, devono tenere conto degli effetti che la loro azione può avere in un settore che invece è regolato dal diritto dell'unione, cioè nel quale gli stati hanno degli obblighi. Quindi, in questo caso, lo stato, per il principio di leale cooperazione, ha l'obbligo di limitare eventuali ostacoli all'applicazione del diritto europeo, anche se l'azione iniziale era in un ambito diverso e di competenza statale. Un caso emblematico è la sentenza Fransson del 2013: chiarisce in modo inequivocabile il modo in cui la Corte intendeva l'applicazione dell'articolo 51. I diritti fondamentali spettano a tutti in quanto individui (anche criminali ecc). Fransson è un evasore fiscale e viene quindi sanzionato amministrativamente. In seguito, la procura svedese ha iniziato un procedimento penale nei confronti di Fransson, come vuole il diritto nazionale. Fransson cita in giudizio la Svezia, ritenendo che la duplicità del procedimento violi il principio del ne bis in idem: nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato (questo esempio è quello della CEDU). Si tratta in effetti di un principio complesso, almeno dal punto di vista dell'applicazione, poiché in ogni stato funziona in modo completamente diverso. In Italia, per esempio, valeva solo per le sanzioni penali (si poteva ricevere sanzione amministrativa e poi penale). La Corte EDU ha adottato una norma che tutela lo stesso principio, parlando di sanzioni penali. In effetti, anche sul concetto di sanzione penale abbiamo più interpretazioni. In Italia la differenza è chiara. Questo per la Corte EDU è un problema spinoso: sicuramente non è funzionale alla tutela di questo principio lasciare che ogni stato descriva la differenza tra amministrativa e penale autonomamente. La Corte EDU ha affermato la necessità di realizzare una distinzione chiara a prescindere dal nome che il singolo stato dà alla sanzione. La Corte EDU afferma dunque che la differenza si ricava dalla natura dell’infrazione e dalla gravità della sanzione (come, ad esempio, multe elevate o pene restrittive della libertà), quindi a prescindere dal nome, che diventa un mero punto di partenza. Tornando alla sentenza Fransson, l'imputato afferma che vada applicato il principio ne bis in idem (articolo 50 della Carta) europeo e non quello svedese, che invece permetterebbe questo duplice procedimento. La Corte gli dà ragione, ma la cosa importante è capire come è possibile che questo sia rilevante per la giurisprudenza europea, quando le norme legate ai reati di evasione fiscale sono (quasi sempre) di competenza esclusiva degli stati membri. In che modo questo caso rientra quindi nell'attuazione del Diritto dell'Unione? [...] L’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51 [...] Tale articolo della Carta conferma pertanto la giurisprudenza della Corte relativa alla misura in cui l’operato degli Stati membri deve conformarsi alle prescrizioni derivanti dai diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Tra le sentenze citate, ne troviamo diverse non citate dalle spiegazioni. [...] i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse. A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione. Per contro, una volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto. [...] Secondo tali spiegazioni, «l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per gli Stati membri soltanto quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione». [...] dato che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, non possono quindi esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione. L’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Quindi, tutta la giurisprudenza in cui la Corte ha confermato l'ambito del diritto dell'unione, comporta che si applica anche la Carta. [...] e le sovrattasse e i procedimenti penali di cui il sig. Åkerberg Fransson è o è stato oggetto sono in parte collegati a violazioni dei suoi obblighi dichiarativi in materia di IVA. [...] Inoltre l’articolo 325 TFUE obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, li obbliga ad adottare le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi. Il fatto che le normative nazionali che fungono da base a tali sovrattasse e procedimenti penali non siano state adottate per trasporre la direttiva 2006/112 non può essere tale da rimettere in discussione detta conclusione, dal momento che la loro applicazione mira a sanzionare una violazione delle disposizioni della direttiva summenzionata e pertanto ad attuare l’obbligo, imposto dal Trattato agli Stati membri, di sanzionare in modo effettivo i comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione. [...] quando un giudice di uno Stato membro sia chiamato a verificare la conformità ai diritti fondamentali di una disposizione o di un provvedimento nazionale che, in una situazione in cui l’operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto dell’Unione, attua tale diritto ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione [...] quando i giudici nazionali sono chiamati ad interpretare le disposizioni della Carta, essi hanno la possibilità e, se del caso, il dovere di adire la Corte in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE. La Corte, dalla Fransson in poi, ha stabilito un perfetto parallelismo tra l'applicazione del diritto dell'unione e l'applicazione della carta. La Corte ci dice che la carta si applica se siamo nell'ambito di applicazione del diritto dell'unione. Se questo è il primo step, il secondo è l’applicazione automatica della carta. La Corte tende ad espandere la competenza con l'obiettivo di tutela delle libertà fondamentali e del mercato unico e quindi questo amplia l'applicabilità della carta. Si tratta di una grande semplificazione. La differenza tra il testo dell'articolo 51 e il modo in cui la Corte la interpreta ci insegna che non solo dobbiamo analizzare approfonditamente i termini con cui vengono scritti gli articoli, ma anche cosa manca, i cosiddetti silenzi. Per esempio, nell'articolo 51 si parla di Stati, Istituzioni (europee), ma mancano le persone, che sono i beneficiari dei diritti in questione. La Carta (o meglio l'articolo 51) non dice quali sono i criteri con i quali gli individui possono affermarsi come titolari di diritti. Il silenzio non è casuale, si è di fatto lasciato alla Corte il compito di risolvere il problema. La sentenza che più chiaramente risponde a questo quesito è del 2018 (il manuale è del 2016, ma il ragionamento è lo stesso che venne appunto dato nella sentenza del 2018). Quindi, come si applica la Carta agli individui? Non è una domanda nuova, anzi da sempre ci si è chiesto se le norme comunitarie si applicassero anche agli individui, se potessero quindi essi trarre diritti soggettivi direttamente dalle norme. Sì, come definito dalla sentenza Van der Loos, quindi tali diritti sono tutelabili davanti ai giudici nazionali. La Corte ha definito il concetto di norme direttamente applicabili, come i regolamenti, che non hanno bisogno di strumenti di ricezione nazionale e che si applicano direttamente e immediatamente nell'ordinamento degli stati membri. La loro caratteristica fondamentale è che possono essere fatte valere contro tutti, quindi istituzioni europee, gli stati e gli altri individui (cioè orizzontalmente). Questo, non è invece vero per gli effetti diretti, che possono essere utilizzati solo contro lo stato, come nel caso di una direttiva non attuata, che non può quindi essere essere applicata in una controversia tra individui. La Corte è andata avanti: in base ai trattati i regolamenti sono direttamente applicabili, ma non è indicato che vale solo per questo tipo di normative, possono esistere altre fonti direttamente applicabili (non le direttive per esempio). Come si capisce se le fonti sono direttamente applicabili? Per i regolamenti, l'applicabilità immediata deriva da certe caratteristiche. Se una fonte condivide tali caratteristiche con i regolamenti, allora anch'essa è direttamente applicabile, come le norme dei trattati che prevedono le libertà fondamentali, quelle che hanno permesso la nascita del mercato unico (tranne la norma di libera circolazione del capitale). 04/10 La carta si applica nelle controversie tra due privati? La sentenza decisiva in merito è del 2018. La Corte Giustizia si era già interrogata riguardo l’applicabilità delle disposizioni del diritto dell'unione ai privati. Ha riconosciuto l’esistenza di norme, come quello contenutene regolamenti, che godono di applicabilità diretta. La corte ha completato il ragionamento riflettendo sul carattere della diretta applicabilità, che non appartiene solo ai regolamenti, ma esiste in base al carattere della norma: godono di applicabilità diretta le norme che hanno regole precise e incondizionate, non richiedono quindi strumenti attuativi e pongono doveri e diritti autodefiniti dalla norma stessa. Queste caratteristiche sono state riconosciute dalla corte anche in alcune norme dei trattati. Ovviamente molte altre norme non sono direttamente applicabili, come quelle inserite nelle direttive, che necessitano di uno strumento di attuazione. Questa distinzione fra norme direttamente applicabili e non direttamente applicabili non viene messa in discussione dalla teoria degli effetti diretti: le norme di alcune direttive (e di altri strumenti del diritto comunitario) pur non essendo direttamente applicabili, possono avere effetti diretti. Si tratta di quegli effetti che vincolano l'agire di uno stato in virtù del principio di leale cooperazione, che comprende l'obbligo di dare attuazione completa nei tempi previsti alla direttiva. Sottrarsi a tale obbligo significa sottrarsi agli obblighi imposti dalla direttiva, per cui, se la direttiva è sufficientemente precisa nell'indicare gli obblighi e nel limitare la discrezionalità dei singoli stati nell'attuare tale obbligo, allora un individuo può invocare il contenuto della direttiva contro lo stato inadempiente. Questo vale solo contro lo stato, per disapplicare eventuali normative nazionali contrarie alla normativa, oppure a far valere i diritti contenuti nella direttiva. La corte ha esteso la portata degli effetti diretti e non ha mai derogato a questa rigorosissima distinzione: gli effetti diretti possono essere fatti valere solo contro lo stato. Esiste un altro aspetto fondamentale, ossia l'obbligo di interpretazione conforme: prevede che il giudice, quando deve interpretare il diritto nazionale che ha dato attuazione ad una direttiva, deve interpretare le norme nazionali in modo da renderle il più possibile conformi a quello che dice la direttiva. La corte ha sottolineato che l’attuazione delle direttive può avvenire anche tramite norme preesistenti, a patto che queste siano già capaci di far rispettare gli obblighi che la normativa introduce. Però, unendo questa riflessione all'obbligo di interpretazione conforme, se lo stato non ha dato attuazione alla direttiva, il giudice è tenuto ad interpretarlo in modo conforme agli obblighi della direttiva, per quanto possibile. L'obbligo di interpretazione conforme è un obbligo del giudice nel momento in cui interpreta una norma nazionale, per cui una volta che la norma nazionale è stata interpretata, si applica a tutti. Significa che in una controversia tra privati, se il giudice deve imporre l’interpretazione maggiormente in grado di applicare al meglio il contenuto della direttiva, anche se si sta applicando in realtà il diritto nazionale (ossia le norme di attuazione). Questi elementi non sono inerenti ai diritti fondamentali, ma anzi rientrano nei criteri generali della corte di giustizia. Ovviamente, la Corte li ha applicati (forse a maggior regione) in materia di diritti umani, come nella sentenza Defrenne 2: Defrenne lamenta la disparità salariale dovuta ad una discriminazione basata sul genere nella compagnia aerea dove lavorava. Nella Carta, c'è espressamente scritto che sono vietate le discriminazioni (tutte) in modo chiaro, motivo per il quale è stata dalla corte riconosciuta come direttamente applicabile. Anche per direttive e regolamenti, quando si interpretano vanno considerati e ricordati i principi generali dei diritti fondamentali. Quindi significa che se un privato sta invocando gli effetti diretti di una normativa rimasta inattuata contro lo stato, i contenuti e la portata possono essere interpretati alla luce dei principi generali in materia di diritti fondamentali. La sentenza Concur de Leci (?) è rimasta per diverso tempo un unicum complicato da comprendere. Si tratta di una sentenza riguardante le discriminazioni in ambito lavorativo per alcuni fattori come il genere, le opinioni politiche, la religione e l'età. Il signore sosteneva di essere discriminato in ragione della sua età, nell'ambito di un rapporto privatistico. Voleva quindi disapplicare norme nazionali riguardanti l'aspetto pensionistico che secondo lui erano fonte di discriminazione. La corte afferma che se la norma di attuazione della direttiva si trova in contrasto con un principio generale (divieto di discriminazione) il giudice nazionale può disapplicare la norma nazionale, anche nelle controversie tra privati: perché non stai applicando la carta, ma un principio generale. Questa sentenza è un unicum, è l'unica che afferma la diretta applicabilità dei principi generali. L'articolo 6 del TUE afferma che: L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Si tratta di tre elementi definiti in modo diverso. L'articolo 52 della Carta spiega la portata e interpretazione dei diritti e dei principi. Il paragrafo 5 è particolarmente funzionale nell'interpretare quanto detto prima: Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell’Unione, nell’esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legalità di detti atti. Quindi, non posso invocare un principio in nessun'altra situazione. Le spiegazioni in merito: Il paragrafo 5 chiarisce la distinzione fra «diritti» e «principi» sancita nella Carta. In base a tale distinzione, i diritti soggettivi sono rispettati, mentre i principi sono osservati. Anche l'articolo 51 della carta, al primo paragrafo, riprende queste stesse distinzioni: Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri. Tornando alla spiegazione dell’articolo 52, l'idea è quella di depotenziare i principi, se privi di attuazione, e renderli quindi non direttamente applicabili. Si aggiunge inoltre una serie di articoli di cui il contenuto è indicato come principio: A titolo illustrativo si citano come esempi di principi riconosciuti nella Carta gli articoli 25, 26 e 37. Anche se gli articoli 25 e 26 utilizzano specificatamente il termine “diritti”, specificatamente riguardanti anziani e persone con disabilità, il modo generale in cui la materia è trattata li rende principi, quindi privi di applicabilità diretta. Si riconoscono e distinguono norme di principio dai diritti proprio nel contenuto: l'articolo 25 non spiega concretezza come e perché gli anziani vadano tutelati, ma esprime un principio generale. Le spiegazioni spesso definiscono articolo per articolo se gli articoli contengono un principio o un diritto. I principi possono essere utilizzati per interpretare e applicare le disposizioni che ad essi danno attuazione, come direttive, regolamenti e norme di attuazioni degli stati. Cosa non dice l'articolo 52 paragrafo 5? Non parla esplicitamente dei diritti: spiega quando si possono invocare i principi, ma non dice quando i diritti possono essere applicati. L'ipotesi è che, in assenza di specificazione, considerando che sono invece specificati i limiti di invocazione dei principi, l'invocabilità de i diritti esiste a priori, poiché il loro carattere preciso e incontestato li rende direttamente applicabili (quindi possono essere invocati per disapplicare norme nazionali in contrasto con essi). La Corte, dopo l'entrata in vigore della carta, ha progressivamente replicato per la carta tutta la giurisprudenza in materia di applicazione del diritto derivato, come il contenuto di regolamenti e direttive. è importante non dimenticare che il se è un regolamento ad attuare la disposizione della carta, esso vale per tutti (erga omnes), mentre se a farlo è una direttiva, questa può avere effetti diretti e avere obbligo di interpretazione conforme, ma non può essere applicata orizzontalmente, tra privati. Questo perché le disposizioni della carta fino a quel momento erano espressione di principi. N.B. Grande sezione si occupa dei casi più importanti, è composta da un grande numero di giudici. Sentenza Egenberger - 2018: La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ). Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Vera Egenberger e l’Evangelisches Werk für Diakonie und Entwicklung eV (Opera della Chiesa evangelica per la Diaconia e lo Sviluppo; in prosieguo: l’«Evangelisches Werk»), relativa a una domanda di risarcimento proposta dalla sig.ra Egenberger a motivo di una discriminazione fondata sulla religione di cui sostiene di essere stata vittima nell’ambito di una procedura di assunzione. È chiaro che si tratta di una controversia tra due enti privati. La fondazione richiede come requisito di ammissione la fede evangelica, motivo per il quale lei sostiene una discriminazione. L’articolo 1 della direttiva 2000/78 così dispone: «La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento». L’articolo 2, paragrafi 1, 2 e 5, di tale direttiva è così formulato: «1. Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1 [...] sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga. Si tratta di una controversia tra privati in cui il principio di non discriminazione è stato attuato con una direttiva: Un giudice nazionale investito di una controversia tra due privati è tenuto, qualora non gli sia possibile interpretare il diritto nazionale vigente in modo conforme all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica spettante ai singoli in forza degli articoli 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e a garantire la piena efficacia di tali articoli, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria. Si fa riferimento agli articoli direttamente applicabili degli articoli 21 e 47: articolo 21 - È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale; articolo 47- Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo [...]. Come ci arriva a questa interpretazione? Nel caso in cui gli fosse impossibile procedere a una siffatta interpretazione conforme della disposizione nazionale di cui al procedimento principale, occorre precisare, da un lato, che la direttiva 2000/78 non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il quale trova la sua fonte in diversi strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma ha il solo obiettivo di stabilire, in queste stesse materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali la religione o le convinzioni personali. Il divieto di ogni discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni personali riveste carattere imperativo in quanto principio generale del diritto dell’Unione. (Viene citata un'altra sentenza, l'Assosican de mediation sociale). Riguardo all’effetto imperativo che esso esplica, l’articolo 21 della Carta non si distingue, in linea di principio, dalle diverse disposizioni dei Trattati istitutivi che vietano le discriminazioni fondate su vari motivi, anche quando tali discriminazioni derivino da contratti conclusi tra privati. Questa volta viene citata la sentenza Defrenne. Dall’altro lato, occorre sottolineare che, al pari dell’articolo 21 della Carta, l’articolo 47 di quest’ultima, relativo al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale. Siamo nel campo del diritto dell'unione perché siamo in una controversia tra la norma nazionale e la direttiva. Pertanto, nell’ipotesi di cui al punto 75 della presente sentenza, il giudice nazionale sarebbe tenuto ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica spettante ai singoli in forza degli articoli 21 e 47 della Carta e a garantire la piena efficacia di tali articoli, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria. Tale conclusione non è rimessa in discussione dalla circostanza che un giudice possa essere chiamato, in una controversia tra privati, a contemperare diritti fondamentali concorrenti che le parti in causa traggono dalle disposizioni del Trattato FUE e della Carta e che sia addirittura tenuto, nell’ambito del controllo che deve effettuare, ad assicurarsi che il principio di proporzionalità sia rispettato. Infatti, un simile obbligo di stabilire un equilibrio tra i diversi interessi in gioco non incide in alcun modo sull’invocabilità, in una simile controversia, dei diritti in questione. [contrasto tra libertà di associazione religiosa e non discriminazione - le chiese giustamente affermano che non è possibile obbligarle ad assumere un prete buddista]. In pratica, la corte afferma l'esistenza di disposizioni della carta che sono direttamente applicabili, senza che ciò violi l'articolo 51: la presente carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'unione. Come fa la corte ad affermare che una norma è direttamente applicabile (quindi un diritto e non un principio)? Con i ragionamenti di prima, riguardanti la precisione, come per i trattati. Per la Carta, la corte è stata pacifica, ha fatto poche sentenze in cui ha reso alcuni articoli direttamente applicabili (discriminazione, diritto alle ferie ecc). 07/10 Abbiamo visto quando si applica la carta, dobbiamo quindi vedere come si applica. Le linee guida sono inserite nel titolo VII, che spiega come, chi è preposto alla sua interpretazione può applicarla. Dobbiamo però ricordare che i diritti fondamentali sono inalienabili, imprescrittibili e tutti posti sullo stesso piano. Un tempo, si distingueva tra una concezione che vedeva i diritti soprattutto nell'obbligo di non interferenza da parte degli stati, con quelli che invece richiedono un'azione positiva dello stato. In realtà per tutti i diritti sono previste le caratteristiche prima citate e la non interferenza da parte dello stato. Inoltre, non è vero che i diritti classici sono puramente descrivibili in quel modo. Quindi, anche se i diritti sono inalienabili, imprescrittibili e tutti sullo stesso livello, essi non sono gli unici interessi di carattere pubblicistico generale che sono meritevoli di essere tutelati. Infatti, in una singola ricerca ci possono essere più diritti vantati da soggetti diversi, quindi in parziale contrapposizione tra di loro. In concreto, l'esatta portata di un diritto in una situazione specifica, può essere oggetto di regolazione e di bilanciamento. Questo spiega perché le norme che affermano i diritti, spesso precisano anche i criteri e le modalità alla luce delle quali si deve procedere nel limitare e tutelare la portata dei singoli diritti. Ed ecco perché gli strumenti che disciplinano i diritti fondamentali contengono apposite norme volte a ricordare come si applicano, con che portata e con quali limiti. Sono norme rivolte al legislatore che deve normare in funzione di questi diritti e al giudice che deve verificare che la traduzione di tali diritti sia stata corretta e coerente. L'articolo 52 della carta afferma che: Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Sono evidenti elementi che orientano come i diritti possono essere applicati e con quali limiti. Quando si parla di eventuali limitazioni sembra che si dia spazio alla possibilità che tutti i diritti della carta sono soggetti a forme di limitazione motivata: in realtà, anche se tutti sono sullo stesso livello, esiste una differenza tra diritti inderogabili e altri che sono invece soggetti a limitazioni. Questa differenza non è indicata nell'articolo 52, ma viene precisato nelle spiegazioni: la carta lascia impregiudicata la possibilità degli Stati membri di ricorrere all'articolo 15 della CEDU, che permette di derogare ai diritti sanciti dalla convezione in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione. Se andiamo a leggere l'articolo 15 della CEDU, troviamo la categoria dei diritti inalienabili: in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Altra Parte contraente può adottare delle misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente convenzione. Questa diposizione non autorizza alcuna deroga all'articolo 2, salvo il caso di decesso causato d legittimi atti di guerra, agli articoli 3, 4 § 1e 7. Gli articoli citati e quindi inderogabili sono il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù e il principio di irretroattività della legge penale (legge che nasce dopo il fatto). Questo non vuol dire che gli stati non aggirino tali diritti, come le uccisioni preventive dei terroristi in suolo straniero. L'articolo 52 non esplicita quindi l'esistenza di diritti inderogabili, ma tramite alle spiegazioni capiamo che la Carta riconosce questa classe di diritti analogamente a quanto fatto dalla CEDU. Secondo aspetto interessante è l'esistenza di limitazioni solo laddove la legge lo prevede, una possibilità che esiste in presenza di due esigenze fondamentali. Innanzitutto, per legge non si intende di norma giuridica, ma si intende la norma dotata di carattere generale ed astratto, chiarezza nel loro contenuto e portata, che le rende idonee a far conoscere a tutti quelli che sono identificati dalla legge stessa che sono identificati come destinatari dalla legge stessa e contiene con chiarezza i diritti e i doveri a loro rivolti. La seconda esigenza è più complessa. I criteri prima indicati sono interpretabili in più modi, quando parliamo di generalità e chiarezza. Anche perché quando si parla di legge si parla di una norma nata da un procedimento che prevede la partecipazione degli organi che rappresentano i principi democratici. I problemi riguardano proprio l'intervento dell'organo dotato di legittimazione democratica e quale livello questo avviene. [manifestazione- questore decide se si può fare in base all'ordine pubblico perché la legge riconosce lui questo potere – va bene? No, la legge deve chiarire anche i criteri generali che orientano le decisioni della persona preposta. Inoltre, non si può vietare una manifestazione, diritto fondamentale, ma si può limitare nei luoghi e nei modi]. La legge deve essere chiara e nota, ma le leggi si interpretano, sempre. A volte è ovvia l'interpretazione, altre è più complesse anche a causa delle situazioni concrete che non sono chiaramente indicate nelle norme. Questa difficoltà deriva dal fatto che le situazioni concrete sono multiple e difficilmente anticipabili in modo totale. Esistono anche delle differenze diacroniche, dovute all'evoluzione della società, che porta a una pluralità di nuove situazioni anch'esse da interpretare. Quindi l’interpretazione deve tenere conto dell'evoluzione e dei cambiamenti sociali. [basta pensare al riconoscimento dell'istituto del matrimonio oppure dell'unione civile tra persone dello stesso stato]. Però, questa necessaria creatività interpretativa che serve per mantenere significativi testi normativi che rimangono invariati di fronte a evoluzioni sociali come va a interagire con l’obbligo che impone il requisito legislativo per le limitazioni dei diritti? c'è una sentenza che afferma che mutamenti dell’interpretazione delle norme che non sono prevedibili equivalgono a nuove norme. Tecnicamente, l'UE non ha norme qualificate come legge. Rispetto alle limitazioni dei diritti della carta da parre di norme derivanti dai trattati dell'UE, si pone lo stesso obbligo, riguardante la l'obbligo di previsione di legge. A che livello deve essere contenuta, per esempio, una limitazione prevista dalla direttiva? Nella direttiva stessa o nella norma di attuazione? Un regolamento è legge? E se sì, i regolamenti possono introdurre tali limitazioni? Non tutti vedono una partecipazione del parlamento europeo veramente significativa. Sono temi complessi proprio perché l'UE è un ordinamento speciale e complesso (non li trattiamo). Il rispetto del contenuto essenziale di detti diritti e libertà è un criterio importante ma allo stesso tempo un parametro estremamente complesso. È difficile capire cosa è questo contenuto essenziale [per esempio il limite temporale dell'incarcerazione come misura cautelare prima di un processo]. Ovviamente, il contenuto essenziale è costruito in modo più rigido per alcuni diritti, come quello della libertà personale, rispetto ad altri, come il diritto di proprietà, della quale posso essere privato in presenza di un indennizzo, che non deve essere pari al valore della proprietà che mi viene sottratta, ma che comunque deve essere appropriato (motivo per il quale l'Italia venne condannata dalla Corte). Le limitazioni devono essere necessarie, cioè la limitazione è l’unico modo per intervenire nell'occasione concreta. Questo è un criterio importante e ben distinto da quello della proporzionalità, cioè la limitazione, una volta riconosciuta come necessaria, deve essere la minima possibile per raggiungere l'obiettivo. La proporzionalità è un parametro che spesso risulta centrale nelle fattispecie giudicate dalla Corte. Un altro requisito è la finalità di interesse generale, cioè elementi che permettono di limitare i diritti poiché obiettivi generali che valgono per tutti. Questi sono però accettabili solo se è la stessa unione che ne riconosce la legittimità, questo non significa che l'interesse generale è dell'UE, ma può essere un interesse generale dello stato che l'UE riconosce come legittimo. Apparentemente, qualsiasi obiettivo può essere limitato in funzione di un interesse generale. Le spiegazioni chiariscono: il legislatore, nel fissare le suddette limitazioni, deve rispettare gli standard stabiliti dal regime particolareggiato delle limitazioni previsto nella CEDU, che è quindi applicabile anche ai diritti contemplati in questo paragrafo. Prendendo per esempio l'articolo 9 della CEDU: 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. 2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui. Questo secondo comma differenzia il testo della CEDU e quello della Carta, cioè del suo articolo 10, perché precisa con grande chiarezza quali interessi generali giustificano le limitazioni di questo diritto. L'ultimo criterio è l'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Questo forse è il criterio più importante, o comunque quello che più spesso giustifica limitazioni dei diritti fondamentali, insieme al criterio di proporzionalità. 11/10 Dobbiamo affrontare ancora il tema del rapporto fra CEDU e UE e il tema della tutela dei diritti fondamentali EU per come sono trattati negli stati membri. La CEDU è una delle principali fonti usate dalla Corte come fonte di ispirazione riconoscendola tra i principi generali, ben prima della nascita della Carta. La Corte in merito aveva affermato proprio l'interesse dell'Unione di trattare la materia seguendo tra le altre cose la CEDU, pur non essendone membro. L'Unione e di conseguenza la Corte non sono quindi vincolate, ma anzi rimane uno spazio di autonomia dentro la quale la Corte può stabilire e gestire come e quando i diritti siano da tutelare. Anche se spesso le sentenze della Corte, almeno all'inizio, spiegavano l’ispirazione della CEDU, mentre oggi sono rimasti richiami più specifici, anche delle sentenze, sembra quasi che la Corte sia effettivamente entrata dalla CEDU. In merito, il Trattato di Lisbona cita il rapporto con la CEDU in 2 momenti: il primo è legato appunto alla tradizione della giurisprudenza della Corte, appunto influenzata dalla CEDU, mentre il secondo è relativo all'adesione diretta alla CEDU, cosa che ancora non è successa. La convenzione prende quindi una terza forma, una terza citazione, direttamente all'interno della carta. nell'articolo 52 infatti troviamo al paragrafo 3: Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. Quindi, sapendo che la CEDU è stata in larga parte utilizzata come fonte della carta, tanto che molte norme ripetono quasi pedissequamente il testo della Convenzione, ma è anche un elemento importante per l'interpretazione della Carta. La Convenzione rappresenta quindi il minimo contenuto e portata dei diritti, perché l'UE costruendo sulla CEDU può ampliare i diritti, mai restringerli. Le spiegazioni descrivono con precisione l'intento e l'origine del paragrafo citato: Il paragrafo 3 intende assicurare la necessaria coerenza tra la Carta e la CEDU affermando la regola secondo cui, qualora i diritti della presente Carta corrispondano ai diritti garantiti anche dalla CEDU, il loro significato e la loro portata, comprese le limitazioni ammesse, sono identici a quelli della CEDU. Ne consegue in particolare che il legislatore, nel fissare le suddette limitazioni, deve rispettare gli standard stabiliti dal regime particolareggiato delle limitazioni previsto nella CEDU, che è quindi applicabile anche ai diritti contemplati in questo paragrafo, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell'Unione e della Corte di giustizia dell'Unione europea. Si sottolinea un concetto, non nuovo, ma assente nel testo dell'articolo, ossia il principio di autonomia della Corte rispetto alla Convenzione. Incollare testo dopo. C'è poi una lista dei diritti che corrispondono e anche la circostanza che uno stesso diritto sia previsto da più ordinamenti fa sì che ciascun ordinamento nell'ambito di applicazione applichi il suo livello di tutela, senza che questo infici sulla tutela degli altri ordinamenti. Questa, quindi, è una norma disgiuntiva (e non congiuntiva come molti hanno proposta) dei livelli di tutela. La carta, infine, prevede il divieto dell’abuso di diritto, all'articolo 54: Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri a distruggere diritti o libertà riconosciuti nella presente Carta o a imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta. La riflessione, unendo questo e l'articolo precedente, è quella di rendere come regola il bilanciamento dei diritti, che vanno quindi applicati senza che essi vengano applicati in modo assoluto rendendo non applicati altri diritti. Un esempio frequente è l'assolutismo della libertà di parola, elemento tipico USA molto diverso da quello europeo, in cui la libertà di parola può essere vincolata in funzione di altri diritti. Tenendo conto di queste disposizioni, dobbiamo riflettere sul parere 2/13 con il quale la Carta bocciò l'adesione dell'Unione alla CEDU, nel quale si richiamano gli articoli 52 comma 3 e 53 come parte del modello di cooperazione tra i due istituti. Il parere si fonda sull'esigenza di non pregiudicare l'autonomia del diritto dell'Unione, viene infatti sottolineato la diversità del rapporto tra i due istituti. Questo perché l'Unione è un ordinamento speciale, quindi non uno stato, così come stabilito dai trattati fondativi. Questa particolarità determina conseguenze alla adesione alla CEDU. Tagliare e incollare parti evidenziate. Rispetto all'adesione, la Corte afferma che questa scelta non debba pregiudicare l’autonomia, la struttura e i fini specifici dei trattati. Ma nonostante questa adesione è trattata da un trattato vincolante e da un testo che doveva diveltarlo, la Corte e le sue sentenze hanno mantenuto una posizione di rilievo in merito, difendendo così le caratteristiche dell'UE. La Corte mantiene la sua autonomia nel fermare questa adesione, ritenendo che i principi fondativi sono strumento di interpretazione anche dei trattati e della corte. È successo in passato che le due Corti abbiano giudicato casi in modo diverso, ma queste difformità non sono risolvibili sulla base di p

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