Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani PDF

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University of Florence

2019

Pietro Pustorino

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diritti umani diritto internazionale tutela internazionale legislazione

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Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani, un'analisi dei diritti umani a livello internazionale, il ruolo delle Nazioni Unite e la protezione di individui e gruppi, con un'attenzione particolare alle fonti normative e alla loro attuazione negli ordinamenti nazionali. Il documento è rivolto a studenti universitari o post-universitari e presuppone la conoscenza di base del diritto internazionale.

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Pietro Pustorino Pp 1-86 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani cacucci editore bari proprietà letteraria riservata © 2019 Cacucci Editore – Bari Via Nicolai, 39 – 70122 Bari – Tel. 080...

Pietro Pustorino Pp 1-86 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani cacucci editore bari proprietà letteraria riservata © 2019 Cacucci Editore – Bari Via Nicolai, 39 – 70122 Bari – Tel. 080/5214220 http://www.cacuccieditore.it e-mail: [email protected] Ai sensi della legge sui diritti d’Autore e del codice civile è vie- tata la riproduzione di questo libro o di parte di esso con qual- siasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro, senza il consenso dell’autore e dell’editore. Premessa La pubblicazione del presente lavoro ha origine dall’esperienza matu- rata nello studio dei diritti umani e nell’insegnamento dei corsi di tutela internazionale dei diritti umani presso le università Luiss Guido Carli e Siena. Il lavoro è essenzialmente pensato per gli studenti e a sostegno delle le- zioni di un corso specialistico di tutela dei diritti umani, a livello universita- rio o post universitario, e pertanto presuppone la conoscenza degli elementi fondamentali del diritto internazionale. L’impostazione è volutamente pratica. Di conseguenza, le pur impor- tanti questioni teoriche sono talora sacrificate per far posto, da un lato, a un approccio pragmatico fondato sull’esame della prassi e della giurisprudenza degli organi di controllo sul rispetto dei trattati sui diritti umani. D’altro lato, si sono privilegiate alcune problematiche di particolare attualità che pongono delicate questioni giuridiche che sono affrontate alla luce di un quadro normativo, a livello internazionale e nazionale, piuttosto incerto. La struttura del lavoro è quindi molto “snella”, priva di riferimenti bi- bliografici e con poche note a piè di pagina, limitate a quelle necessarie per coordinare le varie parti del lavoro e per individuare gli elementi della prassi richiamati nel lavoro. Il sottoscritto è consapevole del fatto che il contenuto del volume ri- sulta “sbilanciato”, posto che alcuni argomenti sono piuttosto approfonditi, mentre altri costituiscono poco più di una ricostruzione della prassi e delle questioni più rilevanti. Coerentemente con queste premesse, si è deciso di non dedicare uno studio specifico a pur importanti tematiche che riguardano il diritto inter- nazionale in genere, quali l’adattamento alle norme internazionali sui diritti umani, che viene trattato parzialmente nel capitolo III (prima e seconda parte), o concernono settori che hanno da tempo acquisito una sostanziale autonomia rispetto ai diritti umani, quale il diritto internazionale penale e quindi la materia dei crimini internazionali, in relazione ai quali sussistono VI Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani però alcuni riferimenti, ad esempio in materia di immunità dello Stato stra- niero e dell’individuo-organo (cap. V, par. 10). Mi sia consentito rivolgere un affettuoso ringraziamento a Benedetto Conforti e Angela Del Vecchio, i quali hanno costantemente stimolato e saggiamente indirizzato la mia passione per il diritto internazionale e in particolare per i diritti umani. Ringrazio infine gli amici e colleghi Andrea Saccucci e Fulvio Maria Palombino, per i numerosi consigli su varie parti del lavoro, Roberto Vir- zo, per i suggerimenti sull’impostazione generale, nonché Antonio Gullo e Giuseppe Pascale per le indicazioni su parti specifiche del lavoro stesso. Roma, 14 gennaio 2019 Pietro Pustorino Indice Capitolo I Evoluzione storica dei diritti umani: dalla tutela negli ordinamenti nazionali alla protezione internazionale 1. Il superamento del dominio riservato degli Stati 1 2. Le origini della protezione internazionale dei diritti umani. La protezione dello straniero 2 3. La titolarità “antica” e “moderna” dei diritti degli stranieri 3 4. La protezione diplomatica e i suoi sviluppi 5 Capitolo II Fondamento giuridico e teorie sui diritti umani 1. Diritto naturale 7 2. Consenso 10 3. Teorie positivistiche 10 4. Le caratteristiche generali del diritto internazionale dei diritti umani: universalità, indivisibilità e irrinunciabilità dei diritti umani11 5. Universalismo e forme differenziate di relativismo in materia di diritti umani 16 6. Diritti umani individuali e collettivi 19 VIII Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani Capitolo III Fonti normative e loro attuazione negli ordinamenti nazionali Parte prima: norme cogenti, norme consuetudinarie e profili generali delle fonti pattizie 1. Jus cogens e diritto internazionale generale: collegamento e sovrapposizione fra le due fonti normative 23 2. Caratteri specifici delle norme cogenti in materia di diritti umani 24 3. I principi generali di diritto 27 4. Le fonti di diritto pattizio: le convenzioni universali e regionali 29 5. Natura particolare degli obblighi stabiliti dai trattati sui diritti umani. Limiti all’applicazione del regime giuridico generale sul diritto dei trattati 29 6. La nozione di giurisdizione nei trattati sui diritti umani e la questione dell’applicazione extraterritoriale di tali trattati 32 7. Trattati sui diritti umani e loro applicazione interindividuale 36 8. Trattati sui diritti umani e diritto internazionale umanitario 37 9. Deroghe e clausole di restrizione nei trattati sui diritti umani 39 10.  Trattati sui diritti umani e diritto interno: rango, diretta applicabilità ed efficacia diretta delle norme convenzionali negli ordinamenti nazionali 40 11. Il soft law43 Parte seconda: le fonti pattizie regionali: sistemi di controllo e applicazione interna 12. Il sistema della CEDU: caratteri generali e organizzazione della Corte europea dei diritti dell’uomo 45 13. I ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e le condizioni di ricevibilità 47 Indice IX 14. Il controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo. Natura e contenuto delle sentenze della Corte di Strasburgo e il ruolo del Comitato dei Ministri 49 15. Il rango e gli effetti della CEDU nell’ordinamento italiano 54 16. Gli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nel sistema giuridico italiano 60 17. Cenni ad altri organi di controllo sul rispetto di alcuni trattati sui diritti umani: la Corte interamericana dei diritti dell’uomo e la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli 65 Capitolo IV Nazioni Unite e diritti umani 1. Il contributo generale dell’ONU allo sviluppo della tutela internazionale dei diritti umani 69 2. Gli organi di controllo sul rispetto delle convenzioni ONU in tema di diritti umani 70 3. Il ruolo dell’Assemblea generale, del Consiglio economico e sociale e dello Human Rights Council75 4. Consiglio di sicurezza e diritti umani: azioni a seguito di gravi violazioni dei diritti umani. Le sanzioni verso Stati membri 78 5. Consiglio di sicurezza e sanzioni individuali. Il controllo sulla legittimità delle cd. smart sanctions alla luce del regime sui diritti umani80 6. Consiglio di sicurezza e Corte penale internazionale 84 Capitolo V I principali diritti umani protetti 1. Classificazione dei diritti umani 87 2. Diritto alla vita: contenuto generale e obblighi statali 88 3. Diritto alla vita, procreazione medicalmente assistita, maternità surrogata e questioni di fine vita 98 4. I diritti collegati al diritto alla vita 108 X Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani 5. Divieto di genocidio 110 6. Divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti: delimitazione delle rispettive fattispecie 114 7. Interpretazione estensiva del divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti: la questione della formazione di nuovi diritti119 8. Applicazione extraterritoriale del divieto di tortura e principio di non-refoulement121 9. Divieto di tortura e giurisdizione penale universale. L’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano 122 10. Divieto di tortura, immunità dello Stato straniero e dell’individuo-organo125 11. Divieto di schiavitù, di servitù e di lavoro forzato od obbligatorio 130 12. Divieto di discriminazione razziale, di apartheid e di discriminazione in genere 135 13. Diritto alla libertà e sicurezza personali, extraordinary renditions e sparizioni forzate 138 14. Diritto all’equo processo 143 15. Principio di legalità e di irretroattività della legge penale 149 16. Diritto alla vita privata e familiare 154 17. Libertà di pensiero, coscienza e religione 163 18. Libertà di opinione e di espressione 167 19. Libertà d’informazione, tutela dei giornalisti e del pluralismo informativo170 20. Diritto di accesso a Internet e suo carattere funzionale all’esercizio di altri diritti 173 21. I diritti dei rifugiati 175 22. Diritto alla cittadinanza e altri diritti politici 180 23. I diritti economici: il diritto di proprietà 184 24. I diritti sociali: il diritto al lavoro 188 25. I diritti culturali: il diritto all’istruzione 192 26. Diritto di autodeterminazione dei popoli 194 27. Diritto allo sviluppo e nozione di sviluppo sostenibile 198 Indice XI Capitolo VI Diritti umani, Stati e attori non statali 1. Stati e organizzazioni internazionali 201 2. Movimenti di liberazione nazionale, movimenti insurrezionali, gruppi armati minori e organizzazioni terroristiche 202 3. Individui 206 4. Minoranze e popolazioni indigene 207 5. Imprese multinazionali 214 6. Organizzazioni non governative 219 Capitolo VII Responsabilità per violazione dei diritti umani 1. Natura particolare delle questioni in materia di responsabilità per violazione dei diritti umani. Carattere erga omnes di alcuni obblighi internazionali sui diritti umani 221 2. Efficacia erga omnes di alcuni obblighi sui diritti umani ed effetti sul piano della responsabilità internazionale. La responsabilità aggravata in caso di violazione grave di norme cogenti 222 3. Sviluppi in tema di affermazione di un diritto individuale alla riparazione in caso di violazione grave dei diritti umani. La questione della formazione di altre conseguenze dell’illecito in materia di diritti umani 224 4. Il problema delle contromisure individuali o collettive a seguito di violazioni gravi dei diritti umani 226 5. Intervento umanitario e responsabilità di proteggere 228 diritto positivo=è il diritto vigente in un determinato ambito politico-territoriale e spazio di tempo, creato ed imposto da uno Stato sovrano mediante norme giuridiche e volto a regolamentare il comportamento dei propri cittadini Capitolo I Evoluzione storica dei diritti umani: dalla tutela negli ordinamenti nazionali alla protezione internazionale 1. Il superamento del dominio riservato degli Stati Fino all’istituzione delle Nazioni Unite il sistema di prote- zione dei diritti umani era debole e fondato pressoché esclusiva- mente sul diritto interno, in alcuni casi con riferimenti al diritto naturale. I diritti umani venivano talora considerati quali diritti innati dell’essere umano, ma trovavano un limitato fondamento a livello di diritto positivo. Assai carente risultava, inoltre, il control- lo giudiziario sull’effettivo rispetto dei diritti umani. Fra i più noti atti nazionali particolarmente risalenti nel tem- po, nei quali si sottolineava il fondamento dei diritti umani nel diritto naturale, possono citarsi la dettagliata Dichiarazione dei di- ritti adottata dalla Virginia il 12 giugno 1776, la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 4 luglio 1776 e la Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789. In materia di tutela internazionale dei diritti umani, il li- mite generale era costituito dal principio del dominio riservato degli Stati sul proprio territorio e quindi sulla comunità di per- sone in esso stanziata, come ribadito dall’art. 2, par. 7, della Car- ta dell’ONU, che esclude l’applicazione del principio soltanto in relazione alle misure coercitive assunte dal Consiglio di sicurezza sulla base del capitolo VII della Carta. Ne derivava l’esistenza di un potere pressoché assoluto dello Stato circa la disciplina dei rap- porti con i propri cittadini e con gli apolidi. Non esistevano quindi limiti imposti dal diritto internazionale al potere dello Stato di regolamentare nel modo che desiderava le attività e i diritti dei propri cittadini, ivi compresa la questione dell’attribuzione della cittadinanza1, come affermato dalla Corte permanente di giustizia 1 Sul diritto alla cittadinanza e sugli altri diritti politici, cfr. cap. V, par. 22. 2 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani internazionale nel parere consultivo del 7 febbraio 1923 relativo ai decreti di nazionalità francesi in Tunisia e Marocco, Paesi nei quali la Francia eser- citava all’epoca un protettorato. Il cittadino era in particolare considerato quale suddito dello Stato nazionale, il quale esercitava su di esso un “diritto reale di sovranità”, nel quadro di una concezione sostanzialmente privati- stica dei rapporti fra Stato e propri cittadini. Lo Stato era quindi libero di svolgere nei confronti dei propri cittadini ogni potere, senza che la comuni- tà internazionale potesse intervenire in alcun modo. Non bisogna tuttavia sottovalutare il contributo della protezione na- zionale dei diritti umani allo sviluppo progressivo del processo di tutela internazionale dei diritti umani. L’elemento di raccordo fra tutela interna e internazionale in materia di diritti umani è piuttosto generosamente evi- denziato nella Déclaration des droits internationaux de l’homme adottata nel 1929 dall’Institut de droit international, nel cui preambolo si richiamano le costituzioni nazionali che prevedono norme in materia di diritti umani, non limitate quindi ai diritti dei rispettivi cittadini, citando espressamente le Costituzioni americana e francese del XVIII secolo. 2. L  e origini della protezione internazionale dei diritti umani. La protezione dello straniero Il diritto internazionale esigeva tuttavia la protezione dei diritti ap- partenenti agli stranieri. Gli obblighi internazionali in materia di tutela degli stranieri, pur modificatisi nel corso del tempo e in parte resi ormai “obsoleti” dalla disciplina generale sui diritti umani che li ha in buona par- te assorbiti, sono tuttora esistenti. È da notare che gli obblighi in esame potevano riguardare singoli individui, o gruppi di essi, come confermato dalla conclusione, a partire dalla metà del XVII secolo – ma alcuni accordi risalgono a periodi precedenti – di trattati internazionali aventi ad oggetto la tutela delle minoranze religiose, sia fra Paesi europei di religione diversa, sia con riguardo a Paesi extraeuropei, ad esempio l’Impero ottomano. In questi trattati, si stabiliva il rispetto della fede e delle opinioni religiose dei rispettivi cittadini residenti all’estero. Ciò aveva anche lo scopo di prevenire conflitti fra Stati causati dalla necessità (o dal pretesto) di tutelare i propri cittadini all’estero, gravemente discriminati e talora perseguitati per motivi religiosi. Da queste esigenze e in relazione ai rapporti con Paesi extraeuro- pei ha origine il cd. regime delle capitolazioni secondo cui i cittadini stra- nieri venivano giudicati all’estero, sia in sede civile sia talora in sede penale, da tribunali speciali che applicavano la loro legislazione nazionale. Con riguardo al contenuto delle norme internazionali “classiche” sulla protezione dei diritti degli stranieri, va richiamato anzitutto il divieto posto a carico dello Stato territoriale di adottare comportamenti non legittimati da Evoluzione storica dei diritti umani 3 un sufficiente “attacco territoriale” dello straniero. In questo senso, è così da escludere, come è ben noto, la possibilità per lo Stato territoriale di richiede- re allo straniero lo svolgimento del servizio militare – non giustificato in as- senza del vincolo di cittadinanza –, mentre è legittima l’imposizione di oneri fiscali e amministrativi giustificati da attività lavorative svolte dallo straniero sul territorio dello Stato di imposizione del tributo o della condotta. Un ulteriore obbligo dello Stato territoriale consiste nell’adottare mi- sure preventive e repressive di condotte lesive nei confronti dello straniero. Queste misure vanno modulate in ragione dell’importanza e delle funzioni svolte dallo straniero all’estero, cosicché esse devono risultare particolar- mente significative nel caso in cui lo straniero svolga funzioni pubbliche di grande rilevanza per conto dello Stato nazionale. Un altro fattore im- portante in materia di determinazione soprattutto delle specifiche misure preventive a protezione dello straniero è costituito dal rischio effettivo di violazioni nei suoi confronti. In questi casi, peraltro, il diritto internazionale ha da tempo previsto regole autonome e aggiuntive a tutela di certe partico- lari categorie di stranieri, quali le norme sulle immunità personali e funzio- nali dell’individuo-organo, le quali tutelano alcuni individui-organi di Stati stranieri operanti all’estero e che svolgono funzioni di particolare rilevanza. Un obbligo sostanziale più recente deriva dal rispetto del principio di non discriminazione, il cui contenuto previsto dal diritto internazionale generale è tuttavia limitato, circoscrivendosi al divieto di gravi atti discriminatori nei confronti di stranieri in base alla loro nazionalità, o ad altre ragioni (linguisti- che, razziali, religiose etc.)2. Questi atti discriminatori possono essere adottati sia nei confronti di persone fisiche, sia contro persone giuridiche, ad esempio in relazione ai beni di proprietà di società straniere operanti all’estero. A questi obblighi di carattere sostanziale vanno poi aggiunti alcuni ob- blighi di natura procedurale, ad esempio l’obbligo di consentire l’accesso alla giustizia nazionale da parte degli stranieri lesi nei loro diritti contemplati dal diritto internazionale. Questo diritto assicura garanzie più specifiche rispetto a quelle pittosto generiche derivanti dal principio che vieta il di- niego di giustizia nei confronti degli stranieri. Va rilevato che il diritto di accesso alla giustizia interna va distinto dal diritto di accesso alla giustizia internazionale, che è tutelato in forma più limitata da norme internazionali. 3. La titolarità “antica” e “moderna” dei diritti degli stranieri La titolarità dei diritti degli stranieri apparteneva in passato esclusivamente allo Stato nazionale dello straniero e non agli individui vittime delle lesioni. Di conseguenza, la responsabilità internazionale dello Stato autore della violazio- 2 Cfr. cap. V, par. 12. diritto procedurale=comprende le regole in base alle quali un tribunale ascolta e determina ciò che accade nei procedimenti civili, legali, penali o amministrativi. diritto sostanziale=rappresenta la realizzazione dell'uguaglianza formale dei cittadini 4 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani ne poteva essere fatta valere unicamente dallo Stato nazionale dello straniero, unico titolare del diritto sostanziale leso. Lo Stato nazionale aveva la facoltà di adottare contromisure – all’epoca denominate rappresaglie e considerate lecite ai fini della risoluzione delle relative controversie interstatali – o agire in protezio- ne diplomatica del proprio cittadino o della persona giuridica nazionale, come affermato dalla Corte permanente di giustizia internazionale nella sentenza del 30 agosto 1924 resa nel caso delle Concessioni Mavrommatis in Palestina3. Quindi, sia a livello di titolarità dei diritti sostanziali contenuti in nor- me primarie, sia nel quadro della responsabilità internazionale, regolamen- tata da norme secondarie, sussistevano unicamente diritti e rapporti giuri- dici di natura interstatale. Questa concezione è oggi da ritenersi superata. È infatti opinione piut- tosto consolidata, in dottrina e nella prassi, che l’individuo possa essere di- rettamente titolare, sulla base di norme internazionali, di diritti sostanziali e procedurali – questi ultimi aventi ad oggetto la possibilità di ricorrere a corti internazionali operanti in diversi settori del diritto internazionale – come pure di obblighi internazionali, in particolare quelli che vietano i crimini internazionali. Questa tendenza evolutiva del diritto internazionale, che implica un evidente rafforzamento dello status giuridico dell’individuo in ambito internazionale, fino a ipotizzarne la personalità giuridica inter- nazionale4, sembrerebbe ravvisabile, pur in forma minore, nel quadro della responsabilità internazionale. Non è infatti da escludere, come affermato da parte della dottrina, che l’individuo sia oggi legittimato, sulla base del diritto internazionale generale, a pretendere direttamente la riparazione del danno da esso subìto da parte dello Stato, almeno nell’ipotesi di gravi viola- zioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario5. L’esistenza di norme internazionali che prevedono diritti sostanziali a favore di individui è stata confermata nella giurisprudenza internazionale. In particolare, la Corte internazionale di giustizia, nelle sentenze del 27 giugno 2001 e del 31 marzo 2004, rispettivamente nei casi LaGrand6 e Avena7, ha affermato che l’art. 36 della Convenzione di Vienna sulle rela- zioni consolari del 24 aprile 1963 contempla sia un diritto statale, sia un diritto individuale, a informare lo Stato nazionale dell’arresto, detenzione e sottoposizione a processo del proprio cittadino. Nel caso LaGrand, la Corte ha statuito che l’art. 36 della Convenzione “creates individual rights, which, by virtue of Article I of the Optional Protocol, may be invoked in this 3 Si veda la controversia Grecia c. Gran Bretagna. 4 Sulla questione, cfr. cap. VI, par. 3. 5 La questione sarà ripresa nell’ultima parte del lavoro, dedicata alla responsa- bilità internazionale per violazione dei diritti umani. Cfr. cap. VII, par. 3. 6 Si veda la controversia Germania c. Stati Uniti. 7 Si veda la controversia Messico c. Stati Uniti. Evoluzione storica dei diritti umani 5 well the citizens matter too, in other words Court by the national State of the detained person”8. La titolarità del diritto in questione spetta quindi anche all’individuo e può essere fatta valere, di fronte alla Corte internazionale di giustizia e sulla base del citato protocollo opzionale contenente una clausola compromissoria che consente il ricorso alla stessa Corte, dallo Stato nazionale che opera, in questi casi, in protezio- ne diplomatica del proprio cittadino. = lo Stato d'origine si impegna a proteggere i propri cittadini quando, in seguito ad una 4. La protezione diplomatica e i suoi sviluppi violazione del diritto internazionale, hanno subito un danno da parte del Paese ospitante. Gli sviluppi in materia di diritti umani hanno influenzato anche l’isti- tuto della protezione diplomatica. Occorre tuttavia ammettere che questa incidenza è limitata sotto un duplice profilo. Per un verso, essa è circoscritta dal punto di vista “contenutistico”, concernendo soprattutto la riduzione della discrezionalità dello Stato nazionale circa la decisione di agire in pro- tezione diplomatica e, in misura ancora minore, il contenuto di questa azio- ne statale. Per altro verso, l’incidenza è limitata ratione materiae ad alcune gravi violazioni dei diritti umani. Ciò significa che non è stato quindi completato il “collegamento” fra titolarità dei diritti sostanziali da parte degli individui, che, come si è detto nel paragrafo precedente, appare progressivamente affermarsi nella prassi, e obbligo dello Stato nazionale di agire in protezione diplomatica nel caso di violazione dei suddetti diritti sostanziali degli individui. Esiste tuttavia una tendenza piuttosto consolidata nella giurisprudenza nazionale a prevedere l’obbligo dello Stato, fondato su un’interpretazione estensiva e coordinata del diritto interno e di norme internazionali sui di- ritti umani, di agire in protezione diplomatica nei casi di gravi violazioni dei diritti umani commesse all’estero nei confronti di un proprio cittadino. In questo senso, depone la decisione adottata il 6 novembre 2002, nel caso Abbasi e altri c. Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs e altri, dalla Corte di Appello del Regno Unito (Supreme Court of Judicature), nella quale si è stabilito l’obbligo del Regno Unito di adottare in tema di protezione diplomatica una decisione ragionevole e non arbitraria, che può essere sottoposta a controllo giudiziario, nell’ipotesi in cui il proprio citta- dino abbia subito gravi violazioni dei diritti umani in un Paese straniero9. these Ancora più significativa al riguardo è la decisione della Corte suprema countries have been applying del Sud Africa del 4 agosto 2004 nel caso Kaunda e altri c. Presidente della it in modo Repubblica del Sud Africa e altri, in cui si è proceduto all’interpretazione di avanzato alcune norme costituzionali sudafricane10 alla luce del regime normativo 8 In I.C.J. Reports, 2001, p. 494, par. 77. 9 Cfr. par. 106 della decisione. 10 Le norme costituzionali rilevanti in materia e relative alla protezione dei diritti umani sono contenute negli articoli 10-12 e 35. Una particolare rilevanza, 6 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani in tema di diritti umani, accertando di conseguenza l’obbligo del governo “consistent with its obligations under international law” di agire al fine di proteggere i propri cittadini che hanno subìto una grave violazione dei di- ritti umani. In questo caso, secondo la Corte, è improbabile che la richiesta di protezione da parte del cittadino venga rifiutata, ma, qualora ciò avvenis- se, la decisione di rifiuto può essere sottoposta a un riesame giudiziario e la corte può obbligare il governo “to take appropriate action”11. Meno avanzata appare in materia la giurisprudenza italiana. Con sen- tenza del 19 ottobre 2011, n. 21581, la Cassazione, a sezioni unite, aveva accolto il ricorso di una società privata, che svolgeva attività di collegamen- to marittimo fra l’Italia e il Marocco in base ad un accordo internazionale concluso fra i due Paesi il 15 aprile 1982, ritenendo sussistente l’interesse legittimo di tale società a contestare in sede giurisdizionale la legittimità del mancato intervento del governo italiano a seguito del rifiuto dell’ammini- strazione marocchina di continuare a far svolgere l’attività commerciale in oggetto. Per tale motivo, la Cassazione ha annullato la decisione del Con- siglio di Stato impugnata dalla ricorrente e rinviato nuovamente gli atti al giudice amministrativo per un nuovo giudizio. Quest’ultimo, con decisione del 29 maggio 2014, ha tuttavia affermato che spetta “ai titolari del potere politico decidere, nell’ambito di un elevato margine di apprezzamento, se porre in essere l’attività proposta”, e cioè la protezione diplomatica. Più di recente, il TAR Lazio, con sentenza del 4 dicembre 2017, ha confermato l’approccio restrittivo in materia di protezione diplomatica, re- spingendo il ricorso di un cittadino italiano che invocava la protezione da parte del nostro governo per la presunta persecuzione subìta in Albania e consistente nei numerosi procedimenti giudiziari, di natura penale e tribu- taria, attivati nei suoi confronti. Secondo Il TAR, “lo Stato che agisce in protezione diplomatica esercita un diritto di cui è titolare sul piano interna- zionale lo Stato stesso e non il cittadino. E, infatti, lo Stato non agisce come rappresentante dell’individuo perché la protezione diplomatica non riguar- da la ipotesi in cui l’individuo agisce o risponde direttamente sul piano in- ternazionale. L’eventuale provvedimento di protezione diplomatica adottato dallo Stato nazionale ha, quindi, natura di atto politico come tale sottratto al sindacato del giudice amministrativo”. Sulla base di questo presupposto, il TAR ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. nel quadro delle argomentazioni della Corte in tema di protezione diplomatica, è stata inoltre attribuita alle previsioni di cui all’art. 3, par. 2, rispettivamente lettere a e b, della Costituzione, secondo cui ogni cittadino è “equally entitled to the rights, privileges and benefits of citizenship” e “equally subject to the duties and respon- sibilities of citizenship”. 11 Cfr. par. 69 della sentenza. Capitolo II Fondamento giuridico e teorie sui diritti umani 1. Diritto naturale In dottrina si dibatte da tempo sul fondamento giuridico del- la tutela internazionale dei diritti umani. Alcune di queste teorie sono utilizzate anche ai fini della determinazione del fondamen- to del diritto internazionale in genere. Le teorie più accreditate sono quelle che fanno leva sul diritto naturale dell’individuo alla protezione dei propri diritti, sul consenso degli aventi diritto e su concezioni positivistiche del diritto. Queste teorie, a loro volta, sono talora suddivise in ulteriori orientamenti dottrinali, i quali, pur presentando alcuni elementi peculiari, possono essere ricon- dotti nel quadro delle teorie appena indicate. Per ragioni sistema- tiche, un accenno a parte è infine effettuato, nel paragrafo succes- sivo relativo al carattere universale dei diritti umani, alle teorie di ispirazione marxista, posto che queste teorie hanno, in definitiva, l’obiettivo principale di contestare la caratteristica generale dell’u- niversalità dei diritti umani così come si è affermata nella prassi. Partendo dall’analisi della tesi che richiama il diritto naturale dell’individuo alla tutela dei propri diritti, va premesso che essa viene richiamata in modo assai diverso rispettivamente dai giu- snaturalisti, per i quali il diritto naturale trova il suo fondamento originario nell’essere umano, e dai teologi, i quali ne sostengono invece l’origine divina, radicata in particolare nelle dottrine cri- stiane. Alla tesi del diritto naturale si ispira quella della cd. auto-evi- denza, secondo cui i diritti umani, in quanto connaturati all’essere umano, sono immediati e, appunto, evidenti così da non dover richiedere una loro giustificazione teorica e soprattutto normativa. Le fonti giuridiche sui diritti umani, di natura interna o interna- zionale, sarebbero quindi soltanto riproduttive di ciò che è insi- to nell’uomo. Esse non farebbero altro che far emergere, a livello 8 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani normativo, le caratteristiche e le peculiarità dell’essere umano e dei diritti ad esso collegati. Quale che sia la “variante” delle diverse teorie che individuano il fon- damento giuridico dei diritti umani nel diritto naturale, resta fermo il fatto che queste teorie sono accomunate dall’idea che la materia in questione è sottratta alla discrezionalità dello Stato, che può soltanto confermare l’esi- stenza dei diritti umani e facilitarne l’affermazione sul piano normativo. Di conseguenza, la disciplina giuridica sui diritti umani apprestata dallo Stato ha natura dichiarativa, non costitutiva dei diritti stessi. Un celebre riferimento ai diritti umani quali diritti naturali, che gli Sta- ti possono soltanto confermare nella loro esistenza, si ritrova nell’opinione dissenziente del giudice Tanaka alla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 18 luglio 1966 nel caso del Sud Ovest africano1, secondo cui il principio della protezione dei diritti umani “is derived from the concept of man as a person”. Gli Stati, secondo questa impostazione, non possono creare i diritti umani, ma soltanto confermarne l’esistenza e assicurare una protezione giuridica. Ne consegue che il ruolo dello Stato è “no more than declaratory”, in quanto i diritti umani esistono “with the human being” e sono “independently of, and before, the State”2. Nella giurisprudenza internazionale, sono riscontrabili altri e più recen- ti riferimenti al diritto naturale, sebbene, in alcuni casi, questi riferimenti siano spesso aggiuntivi ad argomentazioni di natura prettamente giuridica. Così, nella sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 20 gennaio 1989, relativa al caso Godínez Cruz c. Honduras, in tema di spari- zioni forzate e omicidi commessi da organi statali, la Corte ha affermato che lo Stato ha il diritto di utilizzare la forza per ragioni di sicurezza, ma che, a prescindere dalla rilevanza dell’azione repressiva svolta dallo Stato per contrastare la commissione di reati di particolare gravità, il potere sta- tale “is not unlimited”, ciò in quanto lo Stato stesso “is subject to law and morality”3. Le teorie che fanno leva sul diritto naturale hanno il merito di collegare i profili giuridici della materia a quelli morali nonché a chiarire che i diritti umani sono parte integrante e imprescindibile dell’essere umano. Tuttavia, queste teorie presentano diversi limiti. Sotto il profilo teorico, le teorie qui richiamate hanno un fondamento debole, che incide negativa- mente in sede di accertamento e applicazione dei relativi diritti, soprattutto a livello giudiziario. Si fa così spesso riferimento a nozioni e concetti vaghi, quali il senso di umanità, che dovrebbe comportare il rispetto per i propri diritti e per quelli degli altri individui, o la dignità della persona umana, 1 Seconda fase, Etiopia c. Sud Africa e Liberia c. Sud Africa. 2 In I.C.J. Reports, 1966, p. 297. 3 Cfr. par. 162 della sentenza. il fatto che i diritti vengono richiamati in modo generico rende facile la loro Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani violazione nel mondo reale 9 che, laddove venga richiamata in modo generico e non sulla base di norme giuridiche specifiche che vi fanno riferimento4, difficilmente può costituire un argine alla violazione dei diritti umani. Ancora sotto il profilo teorico, appare contraddittoria la tesi secondo cui i diritti umani sono da ritenere immanenti e connaturati all’essere uma- no, ma di fatto possono essere limitati, talora in modo significativo, e persi- no ignorati del tutto, laddove ad esempio operino, in relazione a certi diritti individuali o collettivi, clausole di deroga ai trattati sui diritti umani per gravi situazioni di emergenza5. Le teorie che individuano il fondamento dei diritti umani nel diritto naturale, o in fondamenti analoghi, appaiono inoltre piuttosto generiche e imprecise quanto al contenuto dei diritti protetti, il quale, invece, varia in modo notevole a seconda della natura dei diritti considerati, delle fonti nor- mative che li contemplano e dei relativi obblighi a carico degli Stati. Inoltre, proprio in ragione della genericità della tutela apprestata dalle suddette teorie sui diritti umani, esse, a nostro avviso, rischiano di avere l’effetto di uniformare verso il basso la protezione dei diritti umani, con la conseguenza, pur indesiderata, di depotenziare il livello complessivo di tutela dei diritti individuali o collettivi. È poi un dato di fatto che i diritti umani, per essere effettivi sul piano dell’ordinamento internazionale e degli ordinamenti interni, hanno sempre bisogno di un “soggetto forte” – lo Stato – che ne assicuri l’attuazione con- creta. Infine, come si vedrà anche più avanti in sede di valutazione delle forme di universalismo e relativismo in materia di diritti umani6, va rilevato che sempre più spesso, a livello nazionale e internazionale, può sussistere sia un conflitto fra diritti dell’individuo o di una pluralità di individui e diritti o interessi statali, ad esempio con riferimento alla tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza interna, sia un conflitto fra diritti individuali o collettivi inter se, laddove, ad esempio, il diritto di un individuo a professare la propria religione si scontri con l’analogo diritto di un altro individuo a professare una religione diversa o a salvaguardare la propria posizione di laicità, oppure ancora nel caso di contrasto fra il preteso diritto a ricorrere a certe pratiche religiose estreme e brutali – ad esempio la mutilazione genitale femminile – e il rispetto della vita e della dignità umana. Queste situazioni denotano che, maggiormente rispetto al passato, il diritto di ogni individuo è limita- to dalla titolarità del medesimo diritto o di altri diritti da parte di diversi soggetti – Stati, individui, minoranze, popolazioni indigene etc. –, con la 4 Sulla dignità umana, cfr. cap. V, par. 4. 5 Sulle clausole di deroga ai trattati sui diritti umani, cfr. cap. III, parte prima, par. 9. 6 Cfr. infra, par. 5. 10 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani conseguenza di rendere necessaria una complessa opera di bilanciamento preventivo di queste opposte esigenze al momento della formulazione delle regole giuridiche nonché di interpretazione successiva e coordinata dei vari diritti e interessi che vengono in rilievo nei casi concreti. 2. Consenso Un ulteriore orientamento dottrinale, che occorre brevemente richia- mare, si basa sull’idea che il fondamento giuridico dei diritti umani risieda sul consenso dei consociati. Secondo questa tesi, vanno quindi considerati come diritti umani quei diritti che vengono riconosciuti come tali da una determinata collettività di soggetti che dà vita, in un certo momento storico, a un nucleo sociale. La comunità di soggetti, che non necessariamente si li- mita alle persone fisiche agenti a livello individuale o collettivo, ben poten- do comprendere alcune persone giuridiche, può essere individuata in una comunità statale, o, più ampiamente, nella comunità internazionale intesa quale “comunità universale”. Le questioni problematiche concernenti la teoria in esame attengono, da un lato, all’identificazione dei consociati e quindi delle comunità di individui rilevanti ai fini della formulazione del consenso e, dall’altro lato, alla natura e alle modalità di manifestazione del consenso da tenere in considerazione. In linea teorica, infatti, il consenso può essere manifestato in forma espressa – ma in questo caso tende a identificarsi con la disciplina normativa adotta- ta dai rappresentanti dei consociati attraverso gli organi legislativi e quindi viene assorbito nel quadro delle teorie positivistiche – oppure in modo im- plicito. In quest’ultimo caso, la teoria rischia di fondarsi su interpretazioni soggettive, se non del tutto discrezionali, che tendono ad accertare in modo approssimativo e poco rigoroso l’esistenza del consenso in merito a determi- nate regole o condotte che si ritengono accolte dai consociati. 3. Teorie positivistiche Altre tesi dottrinali rilevanti in materia di diritti umani sono quelle di natura positivistica, che si fondano quindi sulla trasformazione in termini di diritto positivo – scritto o non scritto, di natura nazionale o internaziona- le – dei diritti umani. Queste teorie implicano pertanto che i diritti umani discendano dalla loro originaria dimensione naturale e/o morale e siano espressamente regolamentati a livello giuridico. Le teorie postivistiche fanno necessariamente leva sul ruolo essenzia- le svolto soprattutto dallo Stato, ma anche da altri attori che operano nel quadro dei diritti umani, ad esempio le organizzazioni internazionali, con mentre il diritto naturale trae origine da Dio il diritto positivo vene prodotto dall'uomo ed e l'insieme di leggi, norme, regolamenti, etc. prodotti dall'uomo che disciplinano le condotte dei consociati. Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani 11 riferimento in particolare alle funzioni di produzione e di attuazione delle norme contenenti i diritti individuali o collettivi. Analogamente, i soste- nitori di queste teorie tendono a distinguere i vari diritti umani a seconda della loro importanza e quindi del loro differente grado di tutela normativa. In qualche misura, le teorie positivistiche, come riferito nel paragrafo precedente, sono contigue alla tesi che individua nel consenso dei consociati il fondamento giuridico dei diritti umani. Infatti, è agevole notare come il consenso sociale si traduca spesso, nelle varie forme previste dall’ordinamen- to internazionale e dai sistemi giuridici nazionali, in regole di diritto positivo. Quanto appena affermato mette in evidenza come le varie tesi dottri- nali sul fondamento giuridico dei diritti umani non debbano necessaria- mente analizzarsi in funzione alternativa, ma possono conciliarsi fra loro. Da questo punto di vista, se si ritiene, come è nostra opinione, che le regole giuridiche siano indispensabili per una tutela adeguata ed effettiva dei di- ritti umani, ciò non toglie che i destinatari di tali regole possano rispettarle non soltanto perché contengono obblighi giuridici, ma anche per il fatto che è “giusto” farlo in quanto le suddette regole normative corrispondono a obblighi di natura morale, comunemente condivisi dalle società nazionali e dalla comunità internazionale. Così inteso, il richiamo al diritto naturale o ai valori morali può a nostro parere contribuire sia a interpretare in modo estensivo i diritti umani protetti a livello di diritto positivo, sia a stimolare il legislatore nazionale e internazionale ad ampliare e migliorare il catalogo dei diritti esistenti sotto il profilo normativo. 4. L  e caratteristiche generali del diritto internazionale dei diritti umani: universalità, indivisibilità e irrinunciabilità dei diritti umani È da ritenersi valida l’affermazione, comunemente utilizzata tanto in dottrina quanto nella prassi, secondo cui i diritti umani hanno natura “uni- versale, indivisibile e irrinunciabile”. Questo risultato, in termini di definizione della natura dei diritti uma- ni, che oggi appare del tutto consolidato, non è stato realizzato in modo agevole. A parte quanto si dirà nel paragrafo successivo circa i limiti posti al carattere universale dei diritti umani a fronte dell’esistenza di forme di rela- tivismo in materia di diritti umani, va anzitutto detto che in passato si sono affermate correnti di pensiero, ad esempio quelle di ispirazione marxista, che hanno contestato in modo radicale il regime dei diritti umani all’epoca in via di formazione, ritenendolo espressione di valori e principi di carattere occidentale e finalizzato altresì a proteggere soltanto alcune categorie di individui – appartenenti alla “borghesia” – ignorando al contempo le esi- genze e i bisogni della maggior parte della popolazione, soprattutto quella più debole sotto il profilo economico e culturale. Ne conseguiva, secondo 12 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani queste ideologie, la necessità di abbandonare ogni forma di isolamento e di individualismo dell’essere umano, considerata espressione della visione capitalistica avversata da Marx, e l’esigenza di un approccio che valorizzas- se l’aspetto “comunitario”, che avrebbe dovuto realizzarsi compiutamente attraverso la rivoluzione comunista, limitando le espressioni egoistiche ed utilitaristiche degli individui ed esaltandone invece gli aspetti di tutela e di realizzazione dell’intera collettività esistente a livello nazionale. Ciò impli- cava, secondo queste teorie, la titolarità non soltanto di diritti del singolo individuo nei confronti dello Stato, ma anche di doveri nei confronti della collettività nel suo insieme. Inoltre, non sono mancate obiezioni di fondo provenienti da gruppi significativi di Stati, ad esempio gli stessi Paesi socialisti e, in seguito all’am- pio processo di decolonizzazione avvenuto negli anni ‘60 e ‘70 dello scorso secolo, gli Stati di nuova indipendenza. Questi ultimi, nel quadro del feno- meno più ampio di contestazione delle norme internazionali create prima della loro formazione, hanno avanzato critiche anche nei confronti di alcuni diritti umani, soprattutto quelli di natura economica e più specificamente il diritto di proprietà, con particolare riferimento ai limiti posti al potere dello Stato territoriale di nazionalizzare o espropriare beni appartenenti a stranieri nonché in tema di corresponsione di un indennizzo commisurato al valore economico dei beni stessi. Queste forme di contestazione della natura dei diritti umani non sono peraltro confinate alla “storia”, prova ne sia il fatto che una più limitata contestazione soprattutto del carattere universale dei diritti umani proviene oggi da alcuni Stati islamici, le cui posizioni estreme in termini di compres- sione di certi diritti individuali – soprattutto in relazione al soggetto titolare di questi diritti, la donna – vanno ben oltre la valorizzazione del relativismo in materia di diritti umani, di cui si dirà di seguito. È nostra opinione che, qualora le suddette teorie finalizzate a contesta- re attraverso le modalità sopra riferite il concetto di universalità dei diritti umani – senza quindi fare riferimento a specifiche e, in linea di principio, accettabili istanze di relativismo o regionalismo culturali – venissero ac- colte, il carattere stesso dell’universalità dei diritti umani verrebbe meno, con effetti disastrosi in termini di protezione generalizzata ed effettiva dei diritti individuali e collettivi. Ciò premesso, passiamo ad analizzare nel dettaglio cosa si intenda per diritti umani universali, indivisibili e irrinunciabili. Universalità Con il termine universalità si intende affermare che i diritti umani spet- tano a ogni essere umano, senza alcuna distinzione. L’universalità dei diritti umani implica altresì che essi non siano sottoposti al meccanismo della Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani 13 reciprocità in termini di applicazione delle norme internazionali in tema di diritti umani. Da questo punto di vista, i trattati sui diritti umani e quelli in materia di diritto internazionale umanitario costituiscono un’eccezione nel quadro del diritto dei trattati, come già affermato dalla Corte internazio- nale di giustizia nel parere consultivo del 21 giugno 1971 sulle Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sud Africa in Namibia (Sud Ovest africano) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza7 e confermato dall’art. 60, par. 5, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969. La norma in esame esclude infatti i suddetti trattati dall’applicazione della regola inadimplenti non est adimplendum e quindi in materia di estinzione o sospensione dei trattati per inadempi- mento di una parte contraente. In questo senso, l’applicazione di questi trattati deve essere assicurata in modo assoluto e oggettivo, non essendo il loro rispetto subordinato all’osservanza da parte degli altri Stati contraenti. Occorre tuttavia svolgere alcune precisazioni in tema di universalità dei diritti umani. Va anzitutto precisato che essa non implica che tutti gli in- not all states will wanna take care dividui siano destinatari dei medesimi diritti e che questi diritti abbiano lo of the ppl the stesso contenuto nelle varie aree geografiche della comunità internazionale. same way Ciò è del resto evidente con riguardo all’analisi dei trattati in materia di diritti umani, considerando, da un lato, che in alcune aree geografiche sono numerose le convenzioni regionali sui diritti umani, mentre in altre vi è una maggiore ritrosia degli Stati a concludere questa tipologia di convenzioni. D’altro lato, va considerata la libertà dello Stato non soltanto di ratificare siffatti trattati, ma anche di apporvi riserve nei limiti previsti dal regime giuridico applicabile al riguardo nonché di derogarvi in conformità alle clausole di deroga talora previste da tali trattati. Inoltre, l’universalismo, come le altre caratteristiche dei diritti umani, non può essere inteso in termini assoluti. In particolare, esso non signifi- ca condivisione uniforme e globale dei valori sottostanti a ogni specifico diritto umano. Questo limite naturale dei diritti umani emerge con forza dall’esame di alcuni strumenti giuridici di carattere regionale. Ad esempio, nella Dichiarazione di Bangkok del 2 aprile 1993, adottata da alcuni Paesi asiatici, si legge che, sebbene i diritti umani “are universal in nature, they must be considered in the context of a dynamic and evolving process of in- 7 Nel parere in questione, la Corte ha escluso che i trattati “of a humanitarian character” potessero essere sottoposti alla regola generale da essa affermata, se- condo cui gli Stati membri dell’ONU non potevano invocarli o applicarli nei loro rapporti con il Sud Africa laddove quest’ultimo agisse per conto della Namibia, in quanto la mancata applicazione di questi trattati “may adversely affect the people of Namibia”: in I.C.J. Reports, 1971, p. 55, par. 122. 14 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani ternational norm-setting”, tenendo conto delle peculiarità nazionali e locali nonché dei diversi backgrounds di carattere storico, culturale e religioso8. Questa situazione di possibile conflitto fra interpretazioni diverse del medesimo diritto applicato in contesti geografici e culturali differenti non sussiste soltanto, come potrebbe ritenersi a prima vista, per i diritti umani che ricevono, a livello internazionale, una protezione minore, ma anche per i diritti “forti”. Ad esempio, se vi è uniformità di vedute circa la necessità di tutelare il diritto alla vita, non sussiste accordo fra i vari Stati sul momen- to a partire dal quale inizi la vita – discutendosi se la vita abbia origine al momento del concepimento o della nascita dell’individuo –, se siano lecite politiche di limitazione delle nascite praticate da alcuni Stati e quale sia il corretto bilanciamento fra il diritto del nascituro e i diritti dei genitori, in particolare della madre. Occorre ulteriormente osservare che l’anzidetto potenziale conflitto fra interpretazioni divergenti dello stesso diritto può configurarsi sia, ovvia- mente, in relazione a Stati diversi sotto il profilo culturale e giuridico, sia in relazione a Paesi culturalmente e giuridicamente assimilabili, ma aventi al loro interno sensibilità differenti, ad esempio sotto il profilo delle contrap- poste convinzioni religiose dei propri cittadini o in ragione della presenza di consistenti minoranze etniche, linguistiche o religiose. Sempre in merito all’aspetto dell’universalità dei diritti umani, va in- fine tenuto in considerazione che un altro rilevante limite all’applicazione tendenzialmente uniforme dei diritti umani è costituito dal fatto che, so- prattutto in relazione a Paesi situati in alcune aree geografiche e culturali più “arretrate” in termini di tutela dei diritti umani, il livello di protezione di certi diritti individuali o collettivi può risultare “in partenza” partico- larmente ridotto in ragione di fattori storici e culturali. Si pensi alle gravi discriminazioni subìte in passato, e in parte anche oggi, da ampie categorie di individui su base razziale, etnica, religiosa o sessuale. In questi casi, si rendono necessarie misure correttive di una situazione originaria assai de- ficitaria, che impone pertanto a questi Stati di adottare condotte ulteriori e più incisive di quelle universalmente seguite. Indivisibilità Con il termine indivisibilità si intende la stretta dipendenza fra i vari diritti umani, i quali si completano e rafforzano l’un l’altro. Questa carat- teristica dei diritti umani, oltre ad avere una giustificazione teorica, con- cernente il collegamento fra diritti di natura analoga, seppure aventi un contenuto assai diverso, e appartenenti al medesimo titolare – l’individuo, in forma isolata o collettiva –, trova conferma nella prassi in quanto alcuni 8 Cfr. par. 8 della Dichiarazione. Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani 15 diritti di più recente formazione sono ricavati da altri diritti umani, soprat- tutto quelli di natura fondamentale. Così, dal diritto alla vita discendono, ad esempio, il diritto all’alimentazione e il diritto a condizioni di vita dignitose, il diritto all’abitazione e il diritto di accesso ai servizi pubblici essenziali9. Appare quindi condivisibile l’affermazione svolta dalla Corte interameri- cana dei diritti dell’uomo nella sentenza del 19 novembre 1999, relativa al caso dei “Niños de la Calle”, secondo cui il diritto alla vita è un diritto fon- damentale e il suo esercizio “is essential for the exercise of all other human rights”. Pertanto, laddove il diritto alla vita non fosse rispettato, “all rights lack meaning”10. La stessa Corte interamericana ha utilizzato in modo più specifico il carattere dell’interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani, in partico- lare al fine di estendere la propria competenza sulle violazioni di diritti che non trovano adeguato fondamento nella Convenzione americana, con spe- cifico riferimento ai diritti economici e sociali. Nella sentenza del 31 agosto 2017, resa nel caso Lagos del campo c. Perù, la Corte ha così evidenziato “la interdependencia e indivisibilidad existente entre los derechos civiles y políticos, y los económicos, sociales y culturales”, i quali vanno considerati “como derechos humanos, sin jerarquía entre sí y exigibles en todos los ca- sos ante aquellas autoridades que resulten competentes para ello”11. Collegata all’aspetto dell’invisibilità dei diritti umani appare la tesi in base alla quale la tutela dei diritti umani ha carattere “pervasivo”, tutelando l’essere umano nella sua interezza, come corpo ed entità spirituale e cultu- rale, estendendosi quindi alla protezione delle opinioni, convinzioni e ma- nifestazioni di carattere artistico, letterario, religioso etc. Va peraltro osservato che, alla luce degli sviluppi formidabili intervenu- ti in materia di tutela internazionale dei diritti umani, il profilo dell’indivi- sibilità non appare più, a nostro avviso, sufficiente a descrivere la comples- sità del fenomeno dei diritti umani nonché il collegamento stretto esistente fra numerosi diritti individuali o collettivi. Più adeguato sembra invece il profilo del costante e necessario coordinamento che deve essere assicurato fra questi diritti nonché dell’integrazione fra i vari regimi giuridici, riscontrabili a livello universale e regionale, che operano e talora si sovrappongono in relazione alla disciplina di casi concreti. Irrinunciabilità Infine, i diritti umani non possono essere oggetto di rinuncia da parte dei loro titolari. Il carattere della irrinunciabilità dei diritti umani implica, 9 Su tali diritti derivanti dal diritto alla vita, cfr. cap.V, par. 4. 10 Si veda il caso Villagrán Morales e altri c. Guatemala, par. 144. 11 Cfr. par. 141 della sentenza. 16 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani ad esempio, l’illegittimità di pratiche lesive dei diritti della donna o dei minori, che vengono talvolta pretestuosamente giustificate sulla base del presunto consenso da essi prestato, o dai loro rappresentanti legali, come av- viene per i matrimoni forzati di minori, ritenuti validi o comunque tollerati in alcuni Paesi africani o arabi, oppure per le mutilazioni genitali femminili. Il carattere dell’irrinunciabilità dei diritti umani è posto in discussione dalle pratiche volontarie di cessione a fini economici di taluni diritti, quali il diritto all’immagine e alla riservatezza, di cui si dirà nell’ambito dell’analisi del diritto alla vita privata e familiare12. La verità è che, anche per il profilo dell’irrinunciabilità dei diritti umani, si tratta di una caratteristica genera- le, che non può essere intesa in termini assoluti. Di conseguenza, soltanto alcuni diritti umani, in prevalenza di natura fondamentale, sono veramen- te irrinunciabili, mentre altri possono essere oggetto di rinuncia, totale o parziale, anche per fini economici. La rinuncia, tuttavia, deve non soltanto provenire dal titolare del diritto, ma anche essere “libera”, quindi non im- nel caso, la posta da terzi o da condizioni di particolare bisogno economico. Quanto rinuncia deve affermato appare del resto in linea con la possibilità, da parte dello Stato, di essere libera derogare o di apporre restrizioni ad alcuni diritti umani rispettivamente per ragioni di emergenza nazionale o per effettuare un bilanciamento fra questi diritti e altri diritti o interessi statali o indivuali13. 5. U  niversalismo e forme differenziate di relativismo in materia di diritti umani Si è già accennato nel paragrafo precedente alla questione del possibile contrasto fra esigenze di universalismo e relativismo in materia di diritti umani. Il problema si è posto in termini particolarmente delicati in relazio- ne al conflitto fra alcuni diritti umani, anche di natura fondamentale, e il diritto alla diversità culturale, oggetto di regolamentazione, a livello regio- nale, nell’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che protegge la diversità culturale, religiosa e linguistica, e nel preambolo del medesi- mo strumento giuridico. A livello universale, va richiamata la Convenzione UNESCO del 20 ottobre 2005 sulla protezione e promozione della diver- sità delle espressioni culturali. La Convenzione appena citata stabilisce un limite generale all’invo- cazione del diritto alla diversità culturale, prevedendo, all’art. 2 sui princi- pi-guida, che non è possibile invocare le disposizioni della Convenzione al fine di violare i diritti umani contemplati “in the Universal Declaration of Human Rights or guaranteed by international law”, o per limitarne la loro 12 Cfr. cap. V, par. 16. 13 Su tali problematiche, cfr. cap. III, parte prima, par. 9. Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani 17 portata. La norma, a nostro avviso, deve essere però interpretata in senso restrittivo, così da escludere la legittimità di condotte giustificate dalla di- versità culturale che implichino la violazione dei diritti protetti da principi o norme di particolare importanza, come quelli stabiliti da norme di jus cogens nonché alcuni dei diritti contemplati dal diritto internazionale gene- rale, con particolare riferimento, ad esempio, alle gravi violazioni dei diritti delle donne o dei minori. Appare quindi da accogliere con favore la tendenza riscontrabile nella prassi a vietare le condotte lesive dei diritti umani fondamentali pretestuo- samente giustificate in base alla diversità culturale. In questo senso, l’art. 5 della Convenzione del 18 dicembre 1979 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne impone agli Stati parte l’obbli- go positivo di adottare tutte le misure appropriate per modificare i modelli di comportamento socio-culturale nonché eliminare i pregiudizi e le prati- che consuetudinarie fondati sul presupposto della superiorità o inferiorità dell’uomo o della donna. In senso analogo, l’art. 24, par. 3, della Conven- zione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 prevede, a carico degli Stati contraenti, l’obbligo di prendere tutte le misure necessarie per abolire le pratiche tradizionali nefaste per la salute del fanciullo. Fra gli usi consuetudinari da considerare vietati, ma tuttora seguiti sia in alcuni Paesi africani – appartenenti soprattutto al cd. Corno d’Africa –, sia, in forma più limitata, in alcuni Stati occidentali nei quali risiedono comunità di individui provenienti dai medesimi Paesi africani, vi è quella delle mutilazioni genitali femminili. Il divieto di siffatte pratiche è stato formalmente previsto nell’art. 5, lett. b, del Protocollo dell’11 luglio 2003, addizionale alla Carta africana dei diritti umani e dei popoli del 1981, e re- lativo alla tutela dei diritti della donna in Africa, in base al quale si richiede agli Stati di proibire, con misure legislative e relative sanzioni, ogni forma di mutilazione genitale femminile. Alcuni organi internazionali, pur sprovvisti di poteri vincolanti, si sono pronunciati sulla medesima problematica. Il Comitato ONU dei diritti economici, sociali e culturali14, nel General Comment n. 21, adottato il 21 dicembre 2009 e relativo al diritto di ogni individuo di prendere parte alla vita culturale, ex art. 15 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 16 dicembre 1966, ha affermato che costituiscono violazioni del diritto in questione pratiche quali le mutilazioni genitali e quelle basate sulla strego- neria15. Anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione del 20 dicembre 201216, ha affrontato la questione delle mutilazioni genitali 14 Sull’istituzione e le competenze del suddetto Comitato, cfr. cap. IV, par. 2. 15 Cfr. par. 64 del General Comment. 16 A/RES/67/146. 18 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani femminili. Sotto il profilo della prevenzione di tali condotte, l’Assemblea ha raccomandato agli Stati membri di intensificare le attività di sensibilizza- zione e di formazione circa l’esistenza e il divieto di queste pratiche grave- mente lesive di vari diritti umani – ad esempio, il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti –, mentre, sotto il profilo della loro repressione, ha esortato gli Stati a promulgare leggi che vietino le mutilazioni genitali femminili. Infine, nella risoluzione si richie- de la protezione e l’assistenza delle donne che hanno subìto, o rischino di subire, siffatti trattamenti in modo da sottoporle a misure di riabilitazione fisica e psicologica. Passiamo a considerare la possibilità, per gli Stati, di prevedere limi- tazioni ai diritti di rango meno elevato in base al principio della diversità culturale. Le limitazioni appaiono, a nostro parere, legittime a condizione che le istanze motivate alla luce della diversità culturale siano oggettiva- mente fondate e non pregiudichino la dignità dell’essere umano, che venga inoltre assicurato un adeguato bilanciamento fra i vari diritti e interessi che possono confliggere nel caso concreto e infine che le misure concretamente adottate siano conformi al principio di proporzionalità. Quale esempio evidente di assenza della volontà di pervenire a solu- zioni equilibrate in materia di universalità e diversità culturale nel quadro dei diritti umani, può citarsi la Carta araba dei diritti umani del 22 maggio 2004, che modifica la versione del 1994, entrambe concluse nel quadro della Lega araba. In tale strumento giuridico, all’art. 3, par. 1, si afferma il prin- cipio di non discriminazione in base al sesso, lingua, razza, religione etc., precisando anzi che uomini e donne “are equal in human dignity, in rights and in duties”, ma stabilendo successivamente, in modo del tutto contrad- ditorio, che l’eguaglianza formale fra uomini e donne opera soltanto “within the framework of the positive discrimination established in favor of women by Islamic Shari’a and other divine laws, legislation and international in- struments”17. Occorre infine tenere conto che, in una circostanza concreta, possono confliggere due diverse concezioni del relativismo culturale. Ciò avviene soprattutto nelle ipotesi di integrazione socio-culturale di singoli individui stranieri – ma anche di minoranze o popolazioni indigene – provenienti da contesti giuridici e culturali profondamente diversi. Un tentativo di bilan- ciamento delle suddette e opposte forme di relativismo è stato recentemen- te compiuto dalla Cassazione italiana con la sentenza del 15 maggio 2017, n. 2484. La fattispecie riguardava un cittadino indiano di religione sikh, che era stato condannato dalle corti di merito a pagare un’ammenda in quanto si 17 Cfr. art. 3, par. 3, della Carta araba. Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani 19 era rifiutato di consegnare alle autorità italiane un coltello (il “Kirpan”), argomentando che esso fosse “uno dei simboli della religione monoteista Sikh”18. Respingendo il ricorso dell’individuo, la Cassazione ha affermato che, sebbene una società multietnica debba favorire l’integrazione e il man- tenimento della cultura di origine degli stranieri, garantendo in tal modo il pluralismo sociale e culturale, il suddetto obiettivo non può superare il limite “costituito dal rispetto dei diritti umani e della società giuridica della società ospitante”. In particolare – osserva la Corte – sussiste un obbligo “per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occiden- tale in cui ha liberamente scelto di inserirsi” tanto più che in una società multietnica non si possono formare “arcipelaghi culturali confliggenti a se- conda delle etnie che la compongono… ostandovi l’unicità del tessuto cul- turale e giuridico del nostro Paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare”19. La sentenza qui richiamata sembra proporre un criterio che ci sembra condivisibile in caso di conflitto fra opposte forme di relativismo cultura- le, fermo restando che il relativismo culturale “sacrificato” non concerneva diritti di natura fondamentale dell’individuo in questione. In particolare, la scelta della Cassazione appare fondarsi sulla prevalenza di un determinato relativismo – quello espresso dallo Stato territoriale dove risiede lo straniero – a fronte della scelta volontaria operata dallo straniero di vivere presso un Paese estero. In altre parole, una volta che lo straniero ha deciso di risiedere in un Paese che ha caratteristiche giuridiche, sociali e culturali assai diverse da quelle del suo Stato di origine, queste ultime sono da considerare ce- devoli in caso di conflitto radicale fra i due relativismi, che non può essere composto a livello interpretativo. Va peraltro osservato che, nel caso di spe- cie, le istanze di relativismo culturale invocate dallo straniero si ponevano in conflitto non soltanto con altre e opposte istanze di relativismo culturale – quelle dello Stato territoriale – ma anche con interessi generali di parti- colare importanza, quali la sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini. Inoltre, non sembra che le autorità italiane abbiano oltrepassato i limiti posti dal rispetto del principio di proporzionalità, posto che il sequestro del coltello in possesso dell’individuo era l’unica misura possibile, alla luce delle circo- stanze concrete, per realizzare gli obiettivi legittimi perseguiti dallo Stato. 6. Diritti umani individuali e collettivi È opinione piuttosto comune che i diritti umani assumano tuttora una dimensione prevalentemente individuale, salvo particolari eccezioni, ad 18 Cfr. par. 2.2 delle considerazioni in diritto della sentenza. 19 Ivi, par. 2.3. 20 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani esempio il principio di autodeterminazione dei popoli e, più di recente, il diritto allo sviluppo20. L’affermazione in questione, a nostro avviso, è da considerarsi ormai superata. Se è vero che in passato il regime internazio- nale sui diritti umani era prevalentemente improntato a una visione indivi- duale della tutela della persona umana, ciò anche in ragione delle obiezioni avanzate dai Paesi occidentali in merito all’accoglimento della dimensione collettiva propugnata dai Paesi socialisti e di cui si è detto in precedenza21, la disciplina normativa attuale, e soprattutto la prassi applicativa di tale disci- plina, appaiono invece fondate su un approccio “dualistico”, in base al quale diversi diritti umani possono assumere, anche in relazione alla medesima fattispecie, una dimensione individuale e collettiva. Questa particolare connotazione dei diritti umani appare evidente in relazione al diritto alla libertà religiosa o al diritto alla libertà di opinione e di espressione, i quali possono essere esercitati, da un lato, da singoli in- dividui o da una pluralità di essi, e, d’altro lato, possono avvalersi di forme istituzionali, di varia natura, attraverso le quali esprimere le proprie convin- zioni, opinioni o espressioni. Si pensi ai gruppi religiosi, ai partiti politici, ai vari soggetti operanti nel sistema dell’informazione su carta stampata, sul web o nel settore audiovisivo. Va peraltro aggiunto che considerazioni analoghe possono svolgersi in merito ad altri diritti che sono prevalentemente invocati a livello indivi- duale, ad esempio il diritto alla vita privata e familiare, che può ben essere esercitato sia in forma individuale, sia in forma collettiva, laddove vengano ad esempio in rilievo violazioni di diritti appartenenti anche al nucleo pri- vato o familiare in sé. Può infine rilevarsi, come si dirà nel capitolo VI del nostro lavoro, che è del tutto pacifica la titolarità di alcuni diritti umani, come pure di deter- minati obblighi previsti da norme internazionali, da parte di enti collettivi, quali le minoranze, i popoli indigeni, i movimenti insurrezionali e le impre- se multinazionali. Ciò dimostra ulteriormente il superamento dell’approc- cio esclusivamente individuale ai diritti umani, sia in relazione alle modalità di esercizio concreto del diritto, sia in merito alla natura stessa del titolare del diritto, che può essere un individuo, un gruppo di individui, o un ente collettivo. Altra questione è la difficoltà “pratica” di invocare taluni diritti col- lettivi, ad esempio alcuni diritti di cui sono titolari le minoranze, davanti a tribunali od organi competenti in materia di rispetto di convenzioni sui diritti umani22. In questo caso, tuttavia, non viene in rilievo il problema della titolarità dei diritti in esame da parte dell’ente collettivo, che non può essere 20 Cfr. cap. V, rispettivamente paragrafi 26 e 27. 21 Cfr. supra, par. 4. 22 Sul problema, cfr. cap. VI, par. 4. Fondamento giuridico e teorie sui diiritti umani 21 contestata, ma soltanto la questione dell’esercizio di tali diritti. Da questo punto di vista, riteniamo che, nel momento dell’esercizio “individuale” di determinati diritti umani, i quali assumono in realtà, nella fattispecie con- creta, una duplice dimensione, individuale e collettiva, gli individui agiscano sia nel proprio specifico interesse, sia nell’interesse della collettività i cui diritti sono egualmente violati, esercitando di fatto una funzione di “sup- plenza” a livello di invocazione giudiziaria dei diritti di natura collettiva. Capitolo III Fonti normative e loro attuazione negli ordinamenti nazionali Parte prima: norme cogenti, norme consuetudinarie e profili generali delle fonti pattizie 1. Jus cogens e diritto internazionale generale: collegamento e sovrapposizione fra le due fonti normative Le fonti normative dei diritti umani coincidono ovviamente con quelle esistenti per gli altri settori del diritto internazionale. Le differenze non riguardano quindi l’individuazione delle fonti, ma la loro applicazione al settore specifico dei diritti umani, che pone in evidenza alcune caratteristiche particolari di queste fonti nel momento in cui vengono utilizzate in tema di protezione dei diritti individuali o collettivi. Cominciando ad analizzare lo jus cogens, va osservato, da un punto di vista generale, che esso ha subìto, in tempi relativamente recenti, una rilevante evoluzione, almeno sotto un duplice profilo contenutistico. Anzitutto, è ormai acquisito che le norme impe- rative del diritto internazionale vietino non soltanto le violazioni di particolare gravità dei diritti umani commesse nei confronti di una pluralità di individui, come nel caso del genocidio, ma si estendano alle violazioni effettuate nei confronti di singoli indivi- dui, come nel caso della tortura o della schiavitù. Inoltre, grazie al formidabile contributo assicurato dalle Na- zioni Unite allo sviluppo dei diritti umani si assiste a una pro- gressiva espansione dello jus cogens verso la protezione di diritti umani in precedenza disciplinati dal diritto internazionale gene- rale o pattizio. Questa espansione dell’ambito applicativo dello jus cogens ha dato vita a una simmetrica estensione applicativa del diritto internazionale consuetudinario in materia di diritti uma- ni. Di conseguenza, il diritto generale tende progressivamente a 24 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani proteggere diritti in precedenza esclusi dall’ambito di tutela predisposto da questa fonte normativa, quali il diritto a non essere discriminati, il diritto di proprietà, il diritto di accesso alla giustizia, l’equo processo etc. È però necessaria una “avvertenza” in materia di determinazione delle norme sui diritti umani che hanno acquisito il rango di norme cogenti o consuetudinarie. In modo analogo a quanto riscontrabile con riferimento al diritto internazionale umanitario, è infatti ravvisabile una tendenza – talora seguita da giudici internazionali e da organi non giudiziari operanti a li- vello internazionale – finalizzata ad accertare in modo piuttosto “generoso” la corrispondenza di certe regole giuridiche a norme cogenti o a norme di diritto internazionale generale. Ciò è dovuto ad almeno due ragioni: il fatto che la protezione dei diritti umani, come si è messo in evidenza nel capi- tolo I, è informata non soltanto a principi e regole giuridiche, ma anche a so they're interconnected esigenze e istanze morali, che talora possono prevalere e “forzare la mano” dell’interprete in sede di accertamento delle norme internazionali. Inoltre, non è infrequente che gli organi internazionali competenti in materia di diritti umani, a maggior ragione se poco noti a livello internazio- nale, vogliano “farsi pubblicità”, accogliendo quindi interpretazioni azzar- date di determinate norme sui diritti umani. Questa tendenza può essere tollerata a patto che venga circoscritta a situazioni e casi isolati, contribuen- do alla normale “dialettica” fra le corti internazionali. Se invece dovesse ol- trepassare i limiti di tale rapporto dialettico, rischierebbe di creare posizioni di conflitto fra tribunali nazionali o internazionali e di compromettere il principio della certezza del diritto, con ricadute negative anche in termini di credibilità del regime giuridico complessivo in tema di diritti umani. Infine, pur non essendo questa la sede più appropriata per discutere del processo di formazione del diritto internazionale generale, è utile accennare al fatto che gli innegabili sviluppi in materia di tutela dei diritti umani han- no persino inciso sulle modalità di ricostruzione del diritto consuetudinario, sia nel senso di una maggiore valorizzazione dell’elemento dell’opinio juris ac necessitatis rispetto all’elemento della diuturnitas, sia, seppure in forma minore, in merito all’accertamento della stessa prassi rilevante per la for- mazione delle norme consuetudinarie, che non sembra più doversi limitare all’esame della prassi statale, ma comprendere quella delle organizzazioni internazionali e di alcuni attori non statali, che sempre più spesso contribu- iscono alla formazione di regole internazionali e sono altresì autori di gravi violazioni dei diritti umani. 2. Caratteri specifici delle norme cogenti in materia di diritti umani Passiamo adesso a esaminare alcuni aspetti specifici dello jus cogens che vengono in rilievo al momento dell’impatto delle norme imperative con il settore dei diritti umani. rango normativo attribuito nell’ordinamento internazionale a trattati e consuetudine Fonti normative e loro attuazione negli ordinamenti nazionali 25 È ben noto che, nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, la contrarietà alle norme imperative del diritto internazionale è sanzionata con la nullità dei trattati confliggenti1, o con la loro estinzione, qualora, in questo secondo caso, la norma cogente si formi successivamente alla conclusione del trattato preso in esame2. Il regime in questione è altresì rafforzato dalla previsione di una clausola compromissoria che consente alle parti della controversia in materia di contrarietà al diritto cogente di sottoporre la questione alla Corte internazionale di giustizia3. Ciò premesso, parte della dottrina e della giurisprudenza internazio- nale è favorevole all’applicazione del principio della nullità dei trattati in- 4 compatibili con le norme cogenti alle norme consuetudinarie confliggenti con lo jus cogens, affermando quindi la nullità delle norme di diritto interna- zionale generale. La tesi in questione, per quanto ammissibile sotto il pro- filo teorico – in considerazione del medesimo rango normativo attribuito nell’ordinamento internazionale a trattati e consuetudine – affida all’inter- prete un’eccessiva discrezionalità in quanto, a differenza di quanto avviene per le norme pattizie, in relazione alle quali esiste sempre un testo scritto, per le norme consuetudinarie ciò non sussiste, a parte la complessa questio- ne degli accordi di codificazione del diritto generale, che non sempre cor- rispondono al diritto consuetudinario, posto che alcune norme possono es- sere espressione dello sviluppo progressivo del diritto internazionale, come indicato nell’art. 13 della Carta dell’ONU con riferimento alle competenze svolte in materia dall’Assemblea generale. Non è quindi sempre agevole per l’interprete sia individuare il contenuto della norma consuetudinaria rile- vante nel caso specifico, sia soprattutto i profili specifici di incompatibilità con il diritto cogente. Oltretutto, in assenza di un meccanismo analogo a quello sopra richiamato, che consente il ricorso alla Corte internazionale di giustizia in caso di contrarietà fra norme imperative e norme pattizie, le corti internazionali e, ancora di più, quelle nazionali potrebbero muoversi “in ordine sparso”, adottando decisioni discutibili in materia di contrasto fra norme consuetudinarie e cogenti, con relativo pregiudizio per il principio della certezza del diritto. Un’altra caratteristica peculiare delle norme cogenti in materia di diritti umani attiene ai loro effetti in termini di obblighi statali di adeguamento a tali norme imperative. Ad esempio, secondo la condivisibile impostazione della giurisprudenza internazionale, la norma cogente sul divieto di tortura – ma ciò vale anche per altri divieti stabiliti dallo jus cogens, come il divieto 1 Cfr. art. 53 della Convenzione. 2 Ivi, art. 64. 3 Ivi, art. 66, par. 1, lett. a. 4 Si veda in particolare la sentenza del 10 dicembre 1998 adottata dalla Trial Chamber del Tribunale ad hoc per l’ex Iugoslavia nel caso Prosecutor v. Anto Furun- džija, par. 153. 26 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani di schiavitù – prevederebbe altresì l’obbligo per gli Stati di regolamentare a livello legislativo le fattispecie oggetto della norma internazionale. In altre parole, la norma cogente in esame conterrebbe l’obbligo positivo dello Stato di legiferare, stabilendo apposite figure di reato corrispondenti a quanto stabilito a livello internazionale e commisurate alla gravità delle violazioni in esame5. Altrettanto condivisibile appare la tesi, egualmente fondata sull’esame della giurisprudenza internazionale, secondo cui la contrarietà alle norme imperative produce l’effetto dell’invalidità degli atti legislativi interni, ad esempio i provvedimenti di amnistia o di natura equivalente adottati a fa- vore dei responsabili di atti di tortura6, sebbene, in questi casi, sia comunque necessaria una pronuncia delle corti supreme o costituzionali interne al fine di dichiarare invalidi gli atti legislativi contrari al diritto cogente. Questo profilo specifico delle norme di diritto cogente in tema di diritti umani è stato approfondito dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo. Essa ha considerato incompatibili con la Convenzione americana i provve- dimenti di amnistia adottati da alcuni Paesi sudamericani, ad esempio Perù e Cile, applicabili anche ai crimini internazionali commessi da funzionari civili e militari dei passati regimi dittatoriali, facendo salva esclusivamente l’ipotesi della sussistenza, a favore dell’individuo responsabile, di gravi ed effettive ragioni umanitarie. Il principio in esame è stato affermato nelle sentenze del 14 marzo 2001, nel caso Barrios Altos c. Perù, e del 26 set- tembre 2006, nel caso Almonacid-Arellano e altri c. Cile. Nella sentenza del 2001, la Corte interamericana ha in particolare affermato che “all amnesty provisions, provisions on prescription and the establishment of measures designed to eliminate responsibility are inadmissible”, ciò in quanto tali di- sposizioni hanno la finalità di prevenire “the investigation and punishment of those responsible for serious human rights violations such as torture, extrajudicial, summary or arbitrary execution and forced disappearance”, le quali costituiscono violazioni di “non-derogable rights recognized by inter- national human rights law”7. Pertanto, secondo la Corte, la contrarietà alle norme imperative non può che implicare l’effetto dell’invalidità dei suddetti atti interni in quanto essi “may not continue to obstruct the investigation of the grounds on which this case is based or the identification and punish- ment of those responsible”8. Nel successivo caso Almonacid-Arellano, la Corte interamericana ha ulteriormente motivato la sua posizione, osservando che le legislazioni na- zionali che garantiscono l’amnistia ai responsabili di crimini internazionali Si veda ancora la sentenza del Tribunale ad hoc per l’ex Iugoslavia nel caso 5 Furundžija, cit., par. 149. 6 Tribunale ad hoc per l’ex Iugoslavia, Furundžija, cit., par. 155. 7 Cfr. par. 41 della sentenza. 8 Ivi, par. 44. Fonti normative e loro attuazione negli ordinamenti nazionali 27 “leave victims defenseless and perpetuate impunity for crimes against hu- manity”. Per tale ragione, queste misure si pongono in evidente contrasto con l’oggetto e lo scopo della Convenzione americana e non possono avere “any legal effects”, costituendo un ostacolo per l’individuazione dei respon- sabili dei crimini internazionali e per la loro punizione9. In entrambi i casi sopra indicati, i provvedimenti di amnistia sono stati successivamente dichiarati invalidi a livello nazionale anche per contrarietà a norme costituzionali. Il suddetto orientamento della Corte interamericana trova riscontro nell’analoga posizione assunta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, nella sentenza resa dalla Grande Camera il 17 settembre 2014 nel caso Mocanu e altri c. Romania, ha affermato, richiamando peraltro la sua precedente giurisprudenza, che, con riferimento a condotte di organi statali che possono configurare atti di tortura o trattamenti inumani o degradanti, i procedimenti giudiziari di natura penale non possono essere interrotti in ragione dell’operatività delle norme in materia di prescrizione “and also that amnesties and pardons should not be tolerated in such cases”10. Infine, va rilevato che la violazione di norme di jus cogens in materia di diritti umani ha effetti anche sul piano della responsabilità internazionale dello Stato, con la previsione di una responsabilità statale aggravata in caso di violazione grave di norme cogenti, le quali, come si vedrà meglio in se- guito11, prevedono obblighi erga omnes, da rispettare quindi nei confronti dell’intera comunità internazionale, che è di conseguenza coinvolta nella fase di “reazione” alle violazioni di tali obblighi. 3. I principi generali di diritto Un’ulteriore fonte normativa rilevante in materia di diritti umani è rappresentata dai principi generali di diritto interno. Già contemplati qua- li fonti normative nell’art. 38 dello statuto della Corte internazionale di giustizia, essi hanno svolto in passato una funzione di rilievo proprio allo scopo di colmare le numerose lacune in tema di tutela dei diritti umani, sia nell’ordinamento internazionale, sia nel quadro di sistemi normativi specia- li, come l’UE, che per diverso tempo ha fatto pressoché esclusivo riferimen- to alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, oltre che alla CEDU, per garantire la protezione dei diritti umani in ambito comunitario. Attualmente, i principi generali di diritto interno sembrerebbero possedere un’importanza minore nel sistema delle fonti internazionali in 9 Cfr. par. 119 della sentenza. 10 Cfr. par. 326 della sentenza. 11 Cfr. cap. VII, par. 2. 28 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani considerazione del vasto numero di norme consuetudinarie e soprattutto convenzionali formatesi a protezione dei diritti umani. Non deve tuttavia sottovalutarsi la rilevanza dei principi generali di diritto interno, per un verso, con riferimento a specifici diritti individuali o collettivi di più recente formazione, ad esempio i diritti sociali per i quali esiste un’ampia e avanzata disciplina a livello nazionale o i diritti applicabili nel settore della bioetica, in relazione ai quali alcuni ordinamenti nazionali prevedono una dettaglia- ta regolamentazione che appare invece assente a livello internazionale. Per altro verso, i principi generali di diritto interno continuano a svolgere un ruolo incisivo nel quadro di settori normativi contigui a quello dei diritti umani. Ci si intende riferire, in particolare, al diritto internazionale penale, laddove il riferimento ai principi generali, di natura sostanziale e procedu- rale, operanti all’interno degli ordinamenti nazionali risulta tuttora assai utile per colmare le lacune del regime giuridico internazionale applicabile ai processi da svolgere di fronte a tribunali penali internazionali per l’accerta- mento di crimini internazionali. In proposito, possono ad esempio rilevare il principio di legalità, specificato a sua volta nel principio nullum crimen e nulla poena sine lege e nel principio di irretroattività della norma penale, il principio del rispetto del contraddittorio, il principio dell’eguaglianza delle armi fra accusa e difesa etc.12 Bisogna peraltro precisare che il reiterato ricorso nella prassi ai suddetti principi di diritto interno ha fatto sì che la gran parte di questi principi sia stata ormai assorbita in norme consuetudinarie e pattizie in tema di diritti umani. Ciò evidenzia l’esistenza, ancora oggi, di un processo virtuoso di costante coordinamento fra ordinamenti nazionali e diritto internazionale in materia di diritti umani, le cui radici, come si è detto13, risalgono alla for- mazione originaria della disciplina normativa a tutela dei diritti individuali. Infine, vale appena il caso di precisare che, anche in materia di prote- zione dei diritti umani, possono operare principi generali di diritto ricavati non dai sistemi giuridici nazionali, ma dall’ordinamento internazionale, in particolare dall’esame di alcune norme di diritto internazionale generale e di diritto pattizio, nonché della loro prassi applicativa, e operanti “trasver- salmente” in relazione a diverse problematiche in tema di diritti umani. Ad esempio, uno dei principi generali di diritto internazionale che assume par- ticolare importanza nel campo dei diritti umani è il principio di proporzio- nalità, che viene ampiamente utilizzato nella giurisprudenza internazionale per valutare la liceità sia delle misure nazionali di deroga ad alcuni trattati internazionali, sia di limitazione di numerosi diritti umani protetti a livello convenzionale. 12 Su tali diritti, cfr. cap. V, paragrafi 14 e 15. 13 Cfr. cap. I, par. 1. Fonti normative e loro attuazione negli ordinamenti nazionali 29 4. Le fonti di diritto pattizio: le convenzioni universali e regionali Fra le fonti normative di maggiore importanza del diritto internazio- nale dei diritti umani vanno annoverati i trattati internazionali esistenti in materia, che sono ormai numerosissimi e possono essere suddivisi a secon- da sia del loro carattere universale o regionale, sia dei diritti individuali o collettivi da essi protetti, sia, ancora, del livello di protezione assicurato sul piano pattizio, valorizzando in particolare la maggiore o minore efficacia del contenuto delle norme e del sistema di controllo sul rispetto delle regole convenzionali. Occorre inoltre aggiungere che alcuni trattati elaborati nel quadro del- le Nazioni Unite sono generalmente ritenuti di particolare importanza in quanto hanno svolto – e in parte svolgono tuttora – una funzione-guida, anche al di fuori del sistema dell’ONU, per la conclusione di ulteriori tratta- ti internazionali, di carattere generale o specifico (riguardanti cioè la tutela di specifici diritti umani), nonché per indirizzare le attività di varia natura svolte da numerosi organi principali e sussidiari dell’ONU come di altre organizzazioni internazionali. Si tratta dei cd. core treaties, generalmente individuati, non senza una certa dose di discrezionalità, nei due Patti del 16 dicembre 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti econo- mici, sociali e culturali, nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, nella Convenzione sull’e- liminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 18 dicembre 1979, nella Convenzione contro la tortura e gli altri tratta- menti inumani o degradanti del 10 dicembre 1984 e nella Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989. A questi trattati, occorre almeno aggiungere la Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio e la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. A riprova della rilevanza generale ormai acquisita da tali strumenti convenzionali, va precisato che diverse norme contenute in questi trattati sono riproduttive di norme consuetudinarie e, in numero più ridotto, di regole di jus cogens. 5. N  atura particolare degli obblighi stabiliti dai trattati sui diritti umani. Limiti all’applicazione del regime giuridico generale sul diritto dei trattati Fra gli aspetti generali ricavabili dall’esame dei trattati sui diritti umani emergono alcune caratteristiche peculiari sulle quali occorre soffermarsi. focus sull' individuo come La prima nota caratteristica generale dei trattati sui diritti umani at- tale tiene al fatto che essi non si prefiggono la protezione di diritti e interessi statali, ma diritti e libertà spettanti agli individui o a gruppi di essi, a pre- 30 Lezioni di tutela internazionale dei diritti umani quindi scindere dalla loro appartenenza a un determinato Stato, con la conseguen- individui> stati za pertanto di estendere la tutela sia agli apolidi, sia ai cittadini dello Stato le cui condotte vengono prese in esame. I beneficiari effettivi delle conven- zioni sui diritti umani sono infatti gli individui in quanto tali. Da questo elemento incontestabile alla luce dell’esame dei trattati sui diritti umani, parte della dottrina ricava la tesi della soggettività internazionale, piena o limitata, degli individui14. I trattati sui diritti umani hanno inoltre un carattere oggettivo e assolu- to, contrapposto al carattere sinallagmatico dei trattati in genere, che invece è fondato sul principio di reciprocità nel rispetto delle norme pattizie. Da questa caratteristica, ne deriva che la violazione, da parte di uno Stato, di un trattato sui diritti umani non consente agli altri Stati parte di invocare l’estinzione o la sospensione del trattato stesso, in applicazione della regola inadimplenti non est adimplendum, prevista nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 196915. obblighi Inoltre, le regole pattizie sui diritti umani prevedono spesso obblighi erga omnes erga omnes partes. Pertanto, gli obblighi

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