Dispensa PEC - Contabilità per il Management PDF
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Le dispense affrontano la contabilità per il management, analizzando la classificazione delle informazioni, sia quantitative che qualitative, utili per il processo decisionale aziendale. Vengono evidenziate le differenze tra la contabilità generale e la contabilità per il management, sottolineando il ruolo del controllo di gestione.
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Lezione 01 – La natura della contabilità per il management Una possibile classificazione delle informazioni Tutto il discorso parte dal momento in cui andiamo a parlare delle informazioni e della contabilità. Si parte dal sistema delle informazioni, quindi dalle diverse tipologie di informazioni che...
Lezione 01 – La natura della contabilità per il management Una possibile classificazione delle informazioni Tutto il discorso parte dal momento in cui andiamo a parlare delle informazioni e della contabilità. Si parte dal sistema delle informazioni, quindi dalle diverse tipologie di informazioni che caratterizzano un’azienda. Le informazioni possono essere di tipo “non quantitativo”, così come possiamo avere info di taglio “quantitativo”. Le info NON quantitative possono riguardare diversi aspetti della vita aziendale, ad esempio la capacità di un report di essere immediatamente comprensibile (serve per comprendere se le modalità di redazione di un documento sono funzionali ed efficaci rispetto al fine di redazione del documento stesso). Le info quantitative sono tutte quelle info che hanno q.tà che possono essere monetarie o non monetarie nella loro espressione. Dunque, le info monetarie esprimono il valore in termini monetari di una risorsa. Quelle NON monetarie possono essere rappresentate, ad esempio, dalle c.d. informazioni fisico-tecniche. Le info monetarie (si trovano più spesso nel sistema contabile) possono essere: Info monetarie operative → quelle quotidiane, si pensi ad esempio alla redazione della situazione con gli istituti di credito, quindi saldi nei conti correnti, saldi della cassa, ecc. Info di bilancio → sono tutte quelle info che partono dalla contabilità generale per poi andare a realizzare il bilancio di esercizio. Info per il management (sono chiamate anche info di controllo della gestione o info della contabilità analitica). Info fiscali. Queste informazioni hanno la caratteristica di alimentarsi a vicenda (si osservino le frecce nello schema). La contabilità per il management o controllo di gestione Che cos’è la CPIM? → è quel processo che fornisce gran parte delle info economiche e quantitative utilizzate dal management per decidere, programmare (ossia redigere un documento che serve per cercare di razionalizzare le azioni da prendere in futuro e le risorse ad esse collegate per poter poi comprendere se ciò che sto realizzando è coerente con quanto programmato – è una linea di indirizzo), porre in atto e controllare le attività di un’organizzazione. Ovviamente la CPIM NON rappresenta la totalità delle info che vengono gestite da un’azienda, e soprattutto NON esaurisce al suo interno tutte le info che possono essere rilevanti per un’azienda. Tutte le info di carattere più qualitativo che riguardano anche elementi di carattere strategico, di opportunità, di visione futura che possono dare ulteriori info possono portare a sviluppare le scelte future dell’azienda. È ovvio che le info del controllo di gestione vengono unite congiuntamente a tutte le altre info che l’azienda ha a disposizione. Mentre la COGE abbraccia l’azienda nel suo complesso, la CPIM vede spesso le info aggregate per “oggetti di interesse”, cioè va ad individuare quelli che sono gli elementi ritenuti rilevanti per un’azienda (prodotti/servizi, mercati di riferimento, canali distributivi, unità organizzative, clienti, ecc.) e raggruppa le info per oggetti di interesse specifico (NON si considerano le info nella globalità). Un altro elemento da tenere in considerazione è come la CPIM si avvalga di quelli che sono i dati che sono prodotti da sistemi di contabilità dei costi, i quali danno a loro volta una fonte di dati e info aggiuntive a quelle del controllo di gestione. Le contabilità dei dati e delle info che derivano dal controllo di gestione fungono poi da ulteriore fonte informativa per il management. Noi abbiamo quindi diversi livelli di info, ma questi NON corrispondono a livelli gerarchici diversi in azienda. Quindi, questo significa che, nel momento in cui io vado a prendere una decisione, posso utilizzare info qualitative, quantitative, monetarie, ecc. – la mia attività NON vede l’utilizzo di questi livelli di info in ragione di un livello gerarchico nel quale io mi trovo all’interno dell’azienda, ma dipende esclusivamente dal tipo di decisione che deve essere assunta (va da sé che uno dei fini di questo percorso è quello di renderci sensibili verso i tipi di info che possono essere utili al fine della necessità di assumere una decisione). Questo avviene anche perché l’utilizzo delle info che io vado a desumere dal controllo di gestione e da altri elementi aziendali mi permette di realizzare in azienda un “apprendimento”, cioè un processo di adattamento reciproco tra i 3 sistemi. Questo significa che il fatto di dover utilizzare fonti di info diverse fa sì che automaticamente i soggetti che operano in quella direzione imparino a gestire e comprendere sempre meglio quando e quali tipi di info utilizzare per le proprie decisioni. Una classificazione dei sistemi delle informazioni e di controllo Cerchiamo di capire come si possono classificare i nostri sistemi di info e controllo. Innanzitutto, abbiamo la parte di “cost accounting” che è legata al concetto di “sistema di contabilità dei costi”, quindi tutta la parte che va a monitorare e rilevare i costi delle mie attività. Questa parte si prefigge il fine di produrre info di costo analitiche non solo in relazione ai prodotti e ai servizi, ma a qualsiasi oggetto di analisi potenzialmente interessante. Questo significa che NON si analizzano costi dell’azienda nella loro globalità, ma si vanno a rilevare i costi analitici (quanto mi è costato in termini di utilizzo di risorse la realizzazione di un prodotto o di un servizio). Questo livello di analiticità che viene utilizzato all’interno della contabilità dei costi non vale solo per il singolo prodotto/servizio o gruppi di essi, ma vale anche per altri elementi che l’azienda può ritenere interessanti o di possibile interesse. Pag. 1 a 134 Successivamente abbiamo la c.d. “contabilità per il management” (controllo di gestione). Il controllo di gestione, a differenza del sistema di contabilità dei costi (rileva le info), ha il fine di rilevare, elaborare e distribuire al management info economiche e quantitative strutturate (già organizzate, già leggibili per il management) per riuscire a programmare le attività, valutare le performance (i risultati raggiunti), controllare i risultati ed eventualmente motivare laddove i risultati siano stati raggiunti attraverso premi. Se io non vado a misurare la mia capacità di raggiungere determinati obiettivi programmati, ecco che non riesco a comprendere se il responsabile dell’unità x sia stato in grado di raggiungere gli obiettivi dati. Se io gli obiettivi li definisco e li programmo in azioni e risorse (non definisco solo il risultato, ma definisco anche come arrivare e con quali risorse), ecco che posso andare in maniera più facile a definire la capacità di quel responsabile di raggiungere gli obiettivi che gli sono stati dati. Infine, abbiamo il “controllo manageriale” (management control) che cerca di allineare il comportamento dei membri dell’organizzazione affinchè questi siano in linea con ciò che è necessario svolgere per il perseguimento degli obiettivi strategici. È ovvio che il sistema di contabilità dei costi è il sistema che consente di andare a rilevare, attraverso l’elaborazione dei dati, tutte quelle info che poi va a distribuire al controllo di gestione e al management control proprio perché nei vari momenti dell’azienda si abbiano tutte quelle info utili per riuscire poi a gestire e organizzare quelle che sono le attività di un’azienda. Queste info NON si avvalgono esclusivamente di quelle che sono le info interne che gli arrivano dalla contabilità dei costi, ma vanno a unire al sistema informativo interno anche tutti i dati e le info che derivano dall’ambiente esterno. Quindi, questo è il sistema che caratterizza il c.d. “sistema delle info e del controllo”. 12 differenze tra contabilità generale/bilancio e contabilità per il management Qui iniziamo a ragionare sugli aspetti che differiscono tra la c.d. “contabilità generale”, cioè la contabilità del bilancio, e la CPIM. Questo aspetto è particolarmente importante perché è necessario capire che noi andiamo ad utilizzare dati, all’interno della CPIM, con finalità e modalità completamente diverse. Questa differenza è così importante che sovente si rende necessario distinguere il ruolo del responsabile amministrativo, che utilizza e lavora con la COGE, e il controller, che è la figura che ricopre il ruolo della gestione della CPIM. Contabilità generale e bilancio (COGE) Contabilità per il management (CPIM) Il bilancio è obbligatorio, previsto dal codice La CPIM è assolutamente facoltativa, NON ha alcun tipo di Necessità d’uso civile. Deve essere svolto nei tempi previsti obbligo nella sua realizzazione. dalla normativa. Scopo del bilancio → produrre informazioni Le informazioni della CPIM sono un mezzo per raggiungere per tutti gli stakeholder, non solo per il uno scopo. Mentre lo scopo della COGE è quello di garantire una Scopo management. Il bilancio viene redatto e trasparenza informativa per i terzi, per la CPIM, la contabilità è utilizzato anche da soggetti esterni all’azienda. solo uno strumento che mi serve per raggiungere uno scopo. Gli utilizzatori del bilancio sono gruppi Gli utilizzatori della CPIM sono gruppi relativamente ristretti Gli utilizzatori numerosi di persone in maggior parte di persone interne, chiaramente individuate e dall’identità nota. dall’identità personale ignota al management. La CPIM ha 3 finalità principali, ciascuna delle quali si caratterizza per un proprio specifico insieme di concetti. Struttura Il bilancio è costruito attorno all’equazione: 1. Misurare sottostante Attività = Passività + Capitale netto 2. Controllare 3. Scegliere tra eventuali alternative I principi della CPIM variano in funzione della finalità dell’informazione e NON sono vincolati da alcuna autorità esterna (NON hanno nessun tipo di vincolo). Rispetto al fine per il quale vengono rilevati i costi, posso scegliere una modalità di rilevazione piuttosto che un’altra perché quello che mi serve è avere l’info utile per quella determinata Il bilancio deve essere redatto in conformità al decisione. Si possono avere queste situazioni: Fonte dei codice civile, alla prassi contabile e, per le Valorizzare gli ordini come “ricavi”. principi società quotate, ai principi contabili Valorizzare immobilizzazioni e amm.ti in base ai valori internazionali. di mercato. Valorizzare il costo pieno inserendo anche costi di periodo. Questo serve per capire che posso costruire le mie info in funzione della decisione che devo prendere, quindi rispetto a ciò che mi è effettivamente utile per decidere La prospettiva del bilancio è una prospettiva La CPIM utilizza anche valori che rappresentano previsioni, Prospettiva “storica”, che è relativa a ciò che è accaduto (il programmi e stime per il futuro, non considera solamente temporale bilancio è un documento di report, di sintesi). eventi trascorsi. Il bilancio sintetizza principalmente il La CPIM produce molti tipi diversi di info (monetarie e non) Contenuto delle risultato di fenomeni che hanno avuto utili per svolgere analisi, controllare ed assumere decisioni. informazioni un’implicazione monetaria per l’azienda e Es.: q.tà materiali, n° dipendenti, h utilizzate, q.tà vendute, entità raccoglie: data, importo e conto. degli scarti, ritardo di consegne, tempo di evasione degli ordini. Precisione delle Le approssimazioni del bilancio e della COGE Le approssimazioni della CPIM sono peggiori di quelle tipiche informazioni sono migliori di quelle tipiche della CPIM. del bilancio e della COGE. Pag. 2 a 134 Le informazioni della CPIM sono generate con frequenza più alta e stabilita dal management. Esse sono contenute in molti Il bilancio è obbligatoriamente prodotto con Frequenza del rendiconti diversi. Ogni azienda è libera di darsi una propria frequenza annuale. Il bilancio deve reporting struttura e, a volte, esistono anche rendiconti diversi all’interno rappresentare l’annualità dell’azienda. della CPIM rispetto a chi è il soggetto destinatario o a seconda del tipo di info da riportare. I reports della CPIM sono distribuiti tempestivamente, Il bilancio è pubblicato e distribuito agli Tempestività del normalmente qualche giorno dopo la chiusura del periodo di azionisti dopo alcuni mesi dalla chiusura del reporting riferimento. Alcuni reports sono sviluppati e distribuiti in tempo periodo amministrativo (circa 5 mesi dopo). reale. Oggetto del Il bilancio descrive la performance economica La CPIM focalizza principalmente “porzioni” reporting e finanziaria dell’intera organizzazione. dell’organizzazione, ossia “oggetti di interesse”. Per il bilancio teoricamente sono sempre Tendenzialmente, per la CPIM, NON vi è alcuna responsabilità. presenti, nel senso che vi è il responsabile Responsabilità Non avendo vincoli su come redigere la CPIM, non avendo linee dell’impresa che risponde anche penalmente potenziali guida, normative di riferimento, nessun tipo di obbligo, posso della modalità di realizzazione del bilancio e di essere libero di redigere la contabilità come voglio. redazione dello stesso. Uno stesso evento genera fabbisogni informativi diversi Ciò che bisogna tenere presente è che nella nostra vita aziendale non è che ogni attività che si verifica genera solamente un’info o solo un bisogno informativo. Ogni evento che si verifica genera diverse e molteplici esigenze informative. Vediamo l’esempio seguente. L’amm.ne si chiede a quale periodo di competenza ricondurre questo evento. La CPIM si chiede quali siano gli effetti sulla profittabilità dell’azienda, sulla prestazione dei manager, sui centri di responsabilità. La produzione si chiede se il prodotto sia stato conforme, sia stato consegnato nei tempi previsti, se il cliente fosse soddisfatto, ecc. L’area commerciale si chiede il perché il cliente abbia acquistato il prodotto e perché abbia aggiunto determinate funzionalità. Infine, la tesoreria si chiede quando sarà incassato il credito. Ogni area dell’azienda ha esigenze informative diverse pur essendo l’evento uguale per tutte le diverse aree. Scopi e utilizzo delle informazioni della contabilità per il management Abbiamo detto prima che gli scopi dell’utilizzo dell’info per la CPIM sono diversi (misurazione, controllo e scelta tra alternative). Cerchiamo di comprendere, per il momento, cosa ciò voglia significare. Scopo Configurazione di costo Configurazione di costo pieno → cerco di capire quanto costa e quante risorse ha consumato un prodotto, un servizio, un centro di responsabilità, ecc. Costo pieno → somma dei costi diretti + una quota equa dei costi indiretti Costi diretti → costi che sono oggettivamente riconducibili a quell’oggetto di costo. Misurazione Quota equa di costi indiretti → si fa a fare quel livello di approssimazione a cui si faceva riferimento prima, perché vi sono risorse che non vengono usate solamente per un unico prodotto, ma vengono utilizzate per più prodotti, servizi, cdr, ecc. – di conseguenza NON si ha un’attribuzione diretta, ma si riesce a fare solo un’approssimazione. Si cerca, quindi, di comprendere quello che è l’elemento per andare a definire come andare ad attribuire quella quota di costi indiretti. Configurazione per centri di responsabilità (cdr) → quando vado a realizzare il controllo (ossia analizzare la performance dei manager e motivarli), i miei costi servono per andare a comprendere quale sia Controllo il risultato di un’unità organizzativa. Quindi, vado a rilevare quelli che sono i costi sostenuti dalle diverse unità organizzative che ho individuato in azienda. Configurazione di costo differenziale → si sceglie questa configurazione quando ho a disposizione più opzioni e devo decidere quale sia quella più conveniente per l’azienda. Qui accade che ogni alternativa da valutare avrà al suo interno dei costi che caratterizzano solo quell’alternativa. Quindi, si comprende quanto Scelta tra alternative consumano le diverse alternative per capire quale sia effettivamente la più conveniente. Questi costi differenziali NON sono normalmente presenti all’interno del sistema contabile, perché sono costi che vado a rilevare o a considerare solo nel momento in cui mi trovo a dover scegliere tra alternative. Scopo 1: la misurazione (costi pieni) I costi pieni sono rilevati soprattutto per i seguenti scopi: Valorizzare le rimanenze, quindi quando devo andare a dare un valore alle rimanenze che ho all’interno della mia azienda – devo poter dare un valore utile alla redazione del bilancio. Determinare i prezzi regolamentati da contratto – definiti da un accordo preventivo – (anche di servizi pubblici). Pag. 3 a 134 Determinare i prezzi “normali” (quei prezzi che vado a definire partendo dal costo pieno + una % o un fisso di guadagno extra per l’azienda che permette di andare a definire il prezzo che vado a posizionare sul mercato). Misurare la profittabilità di prodotti/mercati/clienti. Misurare la redditività dei centri di responsabilità quando questi sono divisioni, ossia realtà in buona parte autonome. Scopo 2: il controllo I costi per centro di responsabilità sono rilevati soprattutto per: Valutare la performance dei responsabili dei centri di responsabilità. Valutare la performance economica dei centri di responsabilità. Calcolare premi e bonus collegati alla performance (quindi motivare). Attuare il processo di budget – ossia si vanno a rilevare le risorse utili che vanno ad utilizzare i diversi soggetti per raggiungere gli obiettivi prefissati. Il reporting formale è strutturato per cdr per rendere la struttura delle info coerente con quella delle responsabilità presenti nell’azienda. Scopo 3: il supporto alle decisioni I costi differenziali o rilevanti presentano le seguenti caratteristiche: NON sono normalmente presenti all’interno del sistema contabile, ma vengono individuati solo nel momento in cui si hanno alternative da porre a confronto. Cambiano a seconda dell’alternativa – se devo porre a confronto la possibilità di realizzare un prodotto internamente o acquistarlo all’esterno, è ovvio che queste due realtà le pongo a confronto nel momento in cui mi si presenta il problema. Dipendono dal tipo di decisione che devo andare a realizzare o dal tipo di situazione che l’azienda in quel momento sta vivendo. I costi differenziali sono calcolati nei processi di scelta tra alternative mutualmente escludentesi. Scopi e utilizzo delle informazioni della contabilità per il management Scopo Modalità di utilizzo In base a valori consuntivi (ciò che è già realizzato) In base a stima di valori futuri (preventivi) Valorizzare le rimanenze. Definire i “prezzi normali” di vendita, ossia definisco Calcolare i prezzi regolamentati. quali saranno i costi pieni dei prodotti e so che, rispetto Misurazione Svolgere analisi di profittabilità. a quel valore, dovrò assumere un margine ulteriore di Analizzare la performance economica dei cdr. guadagno per l’azienda. Analizzare le performance dei responsabili dei Pianificazione strategica. Controllo cdr. Budgeting. Motivare e premiare i manager. Decisioni di breve periodo (decisioni raggruppate all’interno dell’anno, che NON richiedono grandi Scelta tra investimenti e facilmente riconvertibili). NON utilizzati direttamente. alternative Decisioni di medio-lungo periodo (implicano un rischio finanziario per l’azienda, la quale si espone con l’investimento – scelte NON facilmente reversibili) Alcune osservazioni generali Le definizioni di costo che noi abbiamo visto sono diverse e numerose, circostanza che può creare confusione. A seconda del tipo di decisioni o di analisi che devo realizzare, ho una giusta configurazione di costo. NON esiste una configurazione di costo corretta per principio, ma è funzionale al tipo di scelta o decisione che devo andare a realizzare. I numeri che fanno riferimento alla CPIM hanno un loro significato se io li vado ad interpretare in ragione dello specifico problema o della specifica esigenza informativa per il quale sono stati realizzati e utilizzati. Quindi, NON posso usare lo stesso dato per esigenze informative diverse. I numeri che derivano dalla CPIM sono per necessità approssimati, quindi NON è mai il valore reale e definitivo. Nel momento in cui ho gradi di approssimazione, io utilizzatore devo essere consapevole del livello e del grado di approssimazione (devo capire quanto sia effettivamente approssimato quel dato, in modo tale da poter risultare coerente con le info a disposizione). Devo sapere che ho info che NON sono complete, e quindi devo anche comprendere quale sia il momento opportuno per utilizzare un determinato dato o una determinata info. La significatività dei soli dati contabili (monetari), nella CPIM, è limitata – mi serve sempre raffrontare o comparare con dati non monetari (quantitativi, fisico-tecnici, ecc.). È necessario comprendere, per chi usa queste info, che i numeri sono fondamentali per poter permettere di rilevare quella che è la situazione di un’azienda, ma ad agire sono effettivamente le persone. Bisogna cercare di strutturare tutte quelle azioni che portano ad un determinato comportamento in linea con gli obiettivi dell’azienda. Pag. 4 a 134 Lezione 02 - La classificazione dei costi per prevedere il comportamento I costi variabili Come variano i costi variabili con i volumi di attività? Dobbiamo quindi cercare di comprendere come variano i cv al variare dei volumi di attività. Sulle ascisse abbiamo i valori di tipo economico- monetario, sulle ordinate ci troviamo il volume dell’attività contrassegnato con X. Supponiamo di avere un costo variabile unitario pari a 4. Cosa significa ciò? Pensiamo, ad esempio, alla realizzazione di un prodotto (cellulare). Ipotizziamo che per realizzare questo cellulare, per ogni unità di prodotto, si abbia un valore pari a 4. Ciò significa che io produco un cellulare e ho un cvu pari a 4. Se ne produco 2, avrò un cvu pari a 8. Costo variabile unitario → è il costo che vado a sostenere solo e solo perché ho realizzato quel prodotto. Si tratta di costi che non andrei a sostenere nel momento in cui non avessi nessuna unità di produzione. I costi variabili non sono solamente legati all’output, ma sono anche legati ad attività diverse dalla produzione (ma che sono necessarie per l’attività aziendale). Che comportamento hanno i costi variabili? → All’incrementare dei volumi di attività, le voci di costo aumentano. Nel grafico osserviamo che per una produzione di volume di attività pari a 100, ho cvt pari a 400€, così come per un volume di attività pari a 200 avrò un cvt pari ad 800€ (200*4€). La formula del costo totale variabile è pari a cvu*X. Quello che vediamo rappresentato nel grafico non è altro che un “diagramma costo-volume” → questo serve per andare a leggere ed interpretare il comportamento dei costi al variare dei volumi dell’attività. Possiamo affermare, quindi, che i costi variabili crescono in modo proporzionale (lineare) rispetto ai volumi di output (di attività prodotta) o di altre attività diverse dalla produzione. Le determinanti dei costi variabili e le unità di misura Quando noi parliamo di cv, non andiamo a determinare i cv solo ed esclusivamente rispetto ad un output. Noi ragioniamo in termini di cv in relazione a quale attività, a quale determinante determina la variabilità di quel costo. Cerchiamo di capire per ciascuno di questi costi quali siano le attività che fanno “muovere il costo”. Ciò che si deve rendere chiaro da subito è che l’aspetto principale che va chiarito è rispetto a che cosa noi stiamo analizzando la variabilità di un costo. Deve essere chiaro rispetto a che cosa il costo è variabile (qual è il “cost driver”). Dobbiamo fare sempre molta attenzione a ragionare su quale sia l’elemento (cost driver) che fa variare quella voce di costo rispetto a quale sia l’elemento che noi stiamo analizzando. Solitamente, nei casi tradizionali più classici, il costo variabile complessivo (totale) varia in modo lineare perché il costo unitario (cioè l’elemento che viene moltiplicato per le q,tà delle attività realizzate) è costante. Essendo il costo unitario costante ed essendo moltiplicato per i volumi di attività, è ovvio che mi aspetto una crescita/decrescita di tipo lineare. Quindi, è da ricordare che non è solo il volume di output (q.tà prodotte) la determinante dei costi variabili. Per esempio, con il crescere dei controlli di qualità possono crescere in proporzione alcune attività e alcuni costi, ma NON l’output. Quindi, i nostri costi variabili sono variabili non sempre rispetto ad un volume di produzione, ma rispetto a qualche volume di attività. I costi variabili sono proporzionali ad un qualche volume di attività, non necessariamente l’output. I costi fissi Come variano i costi fissi con i volumi di attività? Nelle ascisse abbiamo il costo totale espresso in €, nelle ordinate abbiamo i volumi di attività espressi in q.tà (X). Io so che la mia azienda sostiene cf pari a 300€. Al variare del volume di attività, i miei cf NON cambiano (sono sempre pari a 300€). Questo significa che i cf di un’azienda NON sono influenzati dal variare dei volumi di attività – significa che se l’azienda produce 10 sostiene cf pari a 300€, se produce 250 sostiene sempre 300€ di cf. Il costo fisso è un elemento di estrema rilevanza proprio perché è un costo che l’azienda deve continuare a sostenere a prescindere dai propri volumi di attività. I cf possono modificarsi in un arco temporale più o meno ampio, ma NON cambiano in seguito a cambiamenti di volumi di attività. Pag. 5 a 134 È ovvio che minori sono i volumi di attività, maggiore è l’incidenza che questo cf ha sulla singola attività. Se io produco 10 volumi di attività con un cf pari a 300€, su ogni attività grava un cfu pari a 30 – invece, se io produco 100 con un cf pari a 300, il cf è “spalmato” tra 100 unità di volumi (su ogni attività grava un cfu pari a 3). I costi fissi possono essere di due tipologie diverse: 1. Cf impegnati → costi che mi determinano la capacità produttiva della mia azienda, quindi mi consentono di arrivare a determinati livelli di produzione. 2. Cf discrezionali → derivano da decisioni prese dal management. Il comportamento dei costi fissi con i volumi di attività Questo arresto ha comportato un rilevante calo dei ricavi perché una parte delle piste vengono bloccate ed è ovvio che devo diminuire i voli all’interno dell’aeroporto (minori ricavi). I costi che ha dovuto sostenere l’aeroporto NON si sono ridotti in modo proporzionale alla diminuzione dei ricavi, ma si sono ridotti solo del 20% della riduzione dei ricavi. Se ho ridotto i ricavi pari a 100€, allora avrò una riduzione dei costi solamente di 20€ (quindi avrò 80€ che devo comunque coprire). Questo succede perché questi sono i c.d. “cf impegnati” della struttura tecnico- organizzativa, ossia sono quei costi che l’azienda deve poter sostenere per garantire un livello minimo dato e certo di attività. I costi impegnati Ipotizziamo di essere un piccolo operatore logistico e cerchiamo di capire quale sia il comportamento dei cf impegnati. Ipotizziamo che la mia percorrenza annua in km sia espressa nell’asse delle ascisse, mentre nell’asse delle ordinate troviamo il costo totale espresso in €. Qui succede che per un trasporto pari a 120.000km devo sostenere cf pari a 60.000€, questo ci dice che l’azienda con 60.000€ riesce a garantire una percorrenza di km da 0 a 120.000km. Se io decido di incrementare i miei clienti e quindi accettare consegne e servizi che vanno oltre i 120.000km, devo impegnare cf ulteriori – quindi, se incremento i cf impegnati a 120.000€, riesco ad avere una capacità erogativa di servizio che va dai 120 ai 240.000km. Infine, se decido di andare oltre a questa capacità erogativa di servizi, dovrò incrementare ulteriormente i miei cf impegnati. Cosa significa cf impegnati? → significa che l’azienda fa un investimento e si dota di una capacità erogativa/produttiva da consentirle un determinato ammontare di produzione o di erogazione di servizi. Nel momento in cui decido di fare il passaggio di capacità erogativa, devo fare attenzione al fatto che il mercato sia in grado di assorbire questa ulteriore capacità messa a disposizione → il rischio è che, passando da 240.000km a 250.000km (10.000), il mio costo aumenti di 60.000€. Il costo impegnato è quello che l’azienda sostiene per avere disponibile una certa q.tà di servizio. Quand’è che un’azienda dovrebbe decidere di rendere disponibile una certa q.tà di servizio? Quando il mercato è in grado di assorbire i costi impegnati che l’azienda sostiene. Il costo fisso impegnato rimane stabile per un determinato ammontare, ed è ciò che mi determina la q.tà di servizio o di produzione che io sono in grado di garantire. Nel momento in cui io analizzo la mia capacità tra i 120.000 e i 240.000km, perché il mio intervallo di rilevanza riguarda i 120.000 e i 240.000? Perché nel momento in cui io decido di incrementare la capacità produttiva, e quindi incrementare i cf impegnati, NON posso tornare a produrre al livello precedente (perché ho cf che devono essere coperti) e devo poter ragionare almeno nell’intervallo di rilevanza segnalato. I costi fissi impegnati solitamente NON vengono modificati frequentemente. Si riferiscono a quella che normalmente è l’attività produttiva/erogativa legata al fabbisogno (NON si hanno frequenze elevate). Queste sono scelte oculate fatte rispetto ad analisi di mercato, ben indirizzate rispetto ad un obiettivo strategico, quindi sono scelte c.d. “a bassa frequenza” (non le assumo in modo frequente). Quindi, le due caratteristiche principali dei costi impegnati sono le seguenti: Si riferiscono a risorse che sono normalmente adeguate al fabbisogno con frequenza bassa (scelte a bassa frequenza). NON possono essere ridimensionati senza compromettere significativamente la performance economica – nel momento in cui io ridimensiono i cf impegnati, automaticamente riduco la mia capacità produttiva e vado ad intaccare la performance. Tutta l’attività di servizi che sono legati all’attività di produzione, aziendale e di servizi accessori è sempre più rilevante, ed è per questo che abbiamo servizi che NON possono essere dismessi dall’oggi al domani, ma sono strettamente funzionali alla realizzazione dei prodotti (servitization). Questo implica cf impegnati per la mia azienda sempre più frequenti e sostanziosi. I costi discrezionali I cf discrezionali sono costi che dipendono dalle decisioni assunte dal management. Sono decisioni che il management rinnova in modo periodico (solitamente nell’annualità). Al contrario di quelli impegnati, i cf discrezionali presentano le seguenti caratteristiche: Pag. 6 a 134 Sono relativi a risorse che possono essere adeguate al fabbisogno all’interno di orizzonti temporali brevi – posso liberare risorse nell’arco di periodi relativamente brevi. Possono essere significamente ridimensionati senza mettere a repentaglio nel breve periodo la sopravvivenza dell’impresa. I costi semivariabili Hanno la caratteristica di avere una parte variabile e una parte fissa. Si pensi, ad esempio, al costo di un automezzo: abbiamo una parte fissa legata dall’assicurazione, dal bollo, ecc., e una parte variabile legata all’utilizzo dell’automezzo stesso (carburante, ecc.). Il costo dell’automezzo, quindi, è un costo semivariabile – è dato da una quota di cf (bollo, assicurazione, ecc.) e una quota di cv che va sostenuta se e solo se l’automezzo viene utilizzato. Nel grafico osserviamo che il cv varia al variare dei volumi di attività (km fatti), ma il cf rimane pari a 100 (a prescindere dai volumi di attività). Il costo totale semivariabile, quindi, parte dalla quota di cf pari a 100€. Ad esempio, per un’attività che ha un volume pari a 200, questa ha costi pari a 500 (dati da 100 di cf + 2*200 di cv). Il costo semivariabile è pari al costo fisso + il costo variabile unitario * il volume di attività svolto. CT = CFT + cvu*X Quest’equazione va tenuta a mente perché è quella che troviamo nell’analisi dei costi totali di un’azienda. L’incidenza del costo è data dal grado di inclinazione della retta dei costi totali. Maggiore è l’incidenza del cvu sul costo totale unitario, più ampia sarà l’ampiezza sul grafico – minore è il grado di ampiezza rispetto all’ipotetica semiretta di cf, più il costo totale andrebbe a coincidere con il costo fisso – minore è l’ampiezza dei costi totali, maggiore è l’incidenza dei costi fissi (la retta dei costi totali si avvicina molto ai costi fissi). Se invece la semiretta dei costi totali si amplia, l’incidenza dei costi variabili è maggiore. Se ho un cf pari a 300+100=400€ e ho un cvu dato da componenti diverse (diverse materie prime) 4+2=6€, ho la seguente situazione. Rappresento i cft pari a 400€ nel diagramma (300+100), a prescindere dai volumi di attività. I cv, invece, sono correlati ai volumi di attività, quindi un’unità di prodotto mi implica un cvu pari a 6€. 100 unità di prodotto mi implicano un cvt pari a 600€ (6*100€). I costi totali dell’azienda sono dati da una semiretta che parte dai cf (400€) e cresce al crescere dei cv. I costi totali, quindi, sono dati da cft + cvu*X (q.tà realizzate). La relazione fra i costi unitari e il volume Vi è una relazione tra costi e volumi. Adesso abbiamo ragionato sui costi totali, i quali crescono al crescere dei volumi, partendo però dalla quota di cf (che sostengo a prescindere). Ipotizziamo di avere un immobile, la cui locazione va sostenuta a prescindere dai volumi di produzione (se non produciamo nemmeno un cellulare, il canone rimane uguale). Il cv, invece, è legato alla materia prima, quindi più cellulari produco, maggiori saranno le materie prime che concorrono alla realizzazione di ogni singolo cellulare. Il costo totale della mia azienda non è dato né solo dal canone di locazione, né solamente dalla materia prima, ma è dato dalla somma di tutti questi costi che hanno comportamenti e logiche diverse. I costi unitari hanno un comportamento diverso. Il costo totale unitario da cosa è dato? Esso è dato dal costo fisso totale / le q.tà prodotte + costo variabile unitario. In questo esempio abbiamo un cf pari a 400€ e un cvu pari a 6€. Se ho un volume di produzione pari a 100, il mio cf incide su una singola di quelle 100 unità in un numero pari a 400/100=4. Il mio cvu (per ognuna di quelle 100 unità) è pari a 6€. Quindi, 4+6=10€. Se il mio volume di attività passa da 100 a 200, il mio cfu è dato da 400(cft)/200(unità prodotte)=2€, che va sommato ai 6€ che non variano dei cvu – 2+6=8€. All’aumentare dei volumi di produzione, il cv rimane invariato a livello unitario (ogni prodotto mi consuma quella risorsa). Cosa cambia? Cambia la capacità di incidere dei cf, perché questi che devono essere attribuiti alle attività vengono allocati su una platea più ampia di prodotti. Dal punto di vista matematico, mi aumenta il denominatore. Il ctu (costo totale unitario) decresce all’aumentare dei volumi di produzione. Questa decrescita è molto più significativa nella parte iniziale, perché l’incidenza dei cf è qui più significativa – la decrescita è più lenta man mano che aumento i volumi di produzione. Pag. 7 a 134 Il ct cresce al variare dei volumi di produzione (la quota di cvt tende ad incrementare), ma la quota di ctu per unità prodotta descresce al crescere dei volumi di produzione per il ragionamento inverso (i miei cf vengono “spalmati” su un numero più ampio di prodotti). Quindi, questo ci porta a riflettere su alcune considerazioni. Una di queste è che dobbiamo fare attenzione a ragionare con i costi unitari, perché questi hanno significato se calcolati solo in ragione di uno specifico volume (il costo unitario deriva dalla ripartizione dei cf rispetto alle q.tà prodotte). Se ragiono solamente sul costo medio unitario di un prodotto, posso portare la mia azienda a fare ragionamenti fuorvianti (se vado a diminuire o incrementare quei volumi di produzione, il mio costo medio unitario cambia in modo radicale). Solitamente, il consiglio che si tende a dare è proprio quello di ragionare su come si modificano i costi totali, non soltanto i costi unitari. Occorre fare attenzione perché il nostro costo unitario pieno NON è quello che poi troveremo denominato come “costo marginale”. Il comportamento dei costi fissi e variabili Ammontare totale Ammontare su base unitaria Il costo variabile complessivo aumenta (o si Il costo variabile è costante su base unitaria. Un’unità di materia Variabili riduce) in modo proporzionale al livello di prima non varia per singola unità di prodotto, perché per ogni singolo attività. prodotto io vado ad impiegare la stessa q.tà di materia prima. Nell’intervallo di rilevanza i costi fissi NON I costi fissi su base unitaria si riducono con il volume di attività e Fissi cambiano con il livello di attività. viceversa. Come classificare il costo del lavoro: fisso oppure variabile? Per quanto riguarda la classificazione del costo del lavoro, vi è un dibattito che va avanti da tantissimi anni. La classificazione dipende anche dal tipo di contratto, da qual è il fine che si utilizza per analizzare le risorse, ecc. – si tratta di aspetti delicati. È ovvio che noi abbiamo un diritto del lavoro che, a differenza di altri Paesi, tende a garantire una maggiore attenzione al lavoro fisso. Quindi, abbiamo paesi in cui le aziende possono assumere o licenziare persone in funzione all’esigenza pressochè immediata e paesi in cui questo non è possibile. È ovvio che per rendere flessibile l’attività lavorativa vi sono dei contratti e forme di flessibilità che sono state inserite: si pensi, ad esempio, all’assunzione di lavoratori part-time (per fasce orarie ridotte), lavoro straordinario (le h di straordinario hanno un costo per l’azienda molto superiore), agenzie interinali (agenzie che si occupano di trovare lavoro specializzato e non per ricoprire incarichi per brevi periodi temporali), collaborazioni coordinate e continuative (forme di lavoro quasi autonomo), cassa integrazione (strumento utilizzato nel caso di calo produttivo come tutela per il lavoratore), ecc. A prescindere dai vincoli giuridici, il costo del lavoro è un “costo impegnato”, spesso con un alto impegno di addestramento, formazione, motivazione, ecc. Le imprese tendono, dunque, talvolta anche per motivi etici, a NON ridimensionare l’organico come potrebbero appena se ne avvertisse il motivo. L’intervallo di rilevanza Quando noi ragioniamo in termini di cf e cv, abbiamo già visto che, se modifichiamo radicalmente la nostra capacità produttiva (es. piccolo operatore logistico), i cf impegnati aumentano. Quindi, come faccio a sapere che i miei cf rimangano effettivamente fissi? Si fa riferimento al c.d. “intervallo di rilevanza” → intervallo di attività o di volume di attività all’interno del quale si suppone valida quella specifica relazione tra il livello di attività/volume realizzato e il costo in questione. È quell’intervallo di attività prodotta che fa sì che i miei cf rimangano fissi e i miei cv siano variabili a quelle condizioni. Esempio → se i cf annuali di un reparto che assembla monopattini elettrici sono 94.500€ e rimanessero gli stessi all’interno del volume di produzione da 1.000 a 2.000 unità realizzate, allora il mio intervallo di rilevanza (range) è: produzione min 1.000 e prod. max 2.000. Il mio intervallo di rilevanza 1000-2000 fa sì che i cf annuali del mio reparto siano uguali a 94.500€. Se io superassi i 2.000 monopattini, allora potrebbe rendersi necessaria l’assunzione di nuovo personale, la realizzazione di nuovi impianti, ecc., tali per cui i miei 94.500€ di cf andrebbero ad incrementarsi. Se io volessi ragionare in termini di 94.500€ di cf (che NON si modifica), io NON potrò ragionare in termini di volumi superiori ai 2.000 monopattini (devo rientrare nella fascia 1000-2000 unità) – se ragiono per volumi superiori alle 2.000 unità NON posso considerare i 94.500€ come cf certi (devo rimettere in discussione tutta la mia analisi dei costi). L’intervallo di rilevanza che va da 100 a 250 è quell’intervallo che mi dice che all’interno di quell’intervallo i miei cf ammontano a quel valore e l’incidenza dei cvu sul costo complessivo è pari a questo grado di ampiezza. Se esco da quest’intervallo, il mio cf non sarà più quello. Se io incremento i volumi di produzione, il cf potrebbe essere pari ad 800€ e i miei cv partirebbero in un punto più avanti. Nell’intervallo si ha un limite inferiore ed uno superiore – NON posso modificare quei limiti perché, se passo oltre, posso avere un incremento dei cf tale per cui ho un innalzamento dei costi complessivi. Al di sotto del limite inferiore, io sono schiacciata dai cf. Nel momento in cui io ragiono nell’ambito di un intervallo di rilevanza, devo fare attenzione al fatto di fare scelte che mi portino a modificare effettivamente l’intervallo di rilevanza. Pag. 8 a 134 Il periodo temporale di rilevanza Come detto precedentemente, il periodo di rilevanza è fondamentale perché: Nel breve periodo → quasi tutti i costi NON sono modificabili (sono costi impegnati). Nel medio-lungo periodo → molti costi rimangono NON modificabili, ma altri diventano flessibili (adattabili). Nel lungo periodo → l’ammontare di quasi tutti i costi è flessibile, adeguabile al fabbisogno. I costi viscosi (sticky) Vi è un’altra tipologia di costi da analizzare, i c.d. “costi viscosi” → sono quei costi che si caratterizzano per un aspetto particolare: nel loro crescere, crescono più o meno come i costi variabili (crescono in modo più che proporzionale all’aumentare dei volumi delle attività). Il problema si pone nel momento in cui i volumi delle attività decrescono perché questi costi sono quelli per cui il management tende ad aggiornare in modo più tempestivo le risorse quando le attività aumentano rispetto a quanto fa quando invece le attività diminuiscono. Si pensi alla pubblicità (è un tipico esempio che, rispetto ai volumi delle attività, i costi tendono a crescere in modo proporzionale a quanto crescono, ma quando le attività diminuiscono i costi tendono a rimanere aggrappati per un periodo più lungo). Sono considerati pericolosi perché, nel momento in cui crescono i volumi di attività ad esso relativi, questi si comportano come costi variabili, quindi si tende ad avere l’idea che si comportino come cv, ma invece non è così. Nel momento in cui si riduce l’attività, la loro riduzione è più lenta e quindi l’azienda continua a tenerli attaccati per un tempo superiore. I costi a gradino Questi sono costi che hanno un’altra caratteristica particolare → sono costi che garantiscono una determinata capacità di attività produttiva per un determinato volume. Oltre quel volume, solitamente discrezionale rispetto ai volumi totali, richiedono un ulteriore intervento dell’azienda, e quindi un incremento delle risorse, per poi garantire un’ulteriore disponibilità. L’altezza del gradino rappresenta il “costo incrementale”, cioè ciò che devo andare a sostenere di più per garantirmi una maggiore q.tà di capacità produttiva o di risorsa. La testata, cioè la larghezza, viene definita come l’aumento della capacità di servizio o di produzione che quel costo incrementale mi consente. Solitamente, sono tutte risorse che io ho a riferimento in termini di q.tà discrete (sono risorse che acquisto man mano che ne ho necessità). Tendono ad essere inglobate dietro i costi fissi, anche se qui dentro vi sono costi legati alle unità di staff (di supporto) – la ratio vorrebbe che io andassi a considerare i costi a gradino in ragione della percentuale di incidenza del costo incrementale rispetto all’aumento della capacità di servizio. Se l’altezza del gradino, cioè il costo incrementale, è bassa, mentre l’aumento di capacità che quel lieve incremento mi consente è ampia, allora è ovvio che la scala tenderà ad avere un aspetto “disteso” (scala molto bassa) – questo mi riporta ai costi fissi. Se, invece, ho un costo incrementale molto alto per un incremento di capacità di servizio relativamente basso, ecco che la linea va più verso la logica dei costi variabili. Si dovrebbe assimilare il costo a gradino al costo variabile quando ha un costo incrementale che incide in modo più significativo rispetto alla capacità. Diversamente, se il costo incrementale è basso rispetto all’ampia capacità produttiva o di servizio che quel lieve incremento consente, allora li assimiliamo ai costi fissi. La stima della relazione costo-volume Quindi, noi andiamo a fare una stima della relazione costo-volume che ci dice che i costi totali dell’azienda sono dati da tutti i costi fissi + i costi variabili unitari moltiplicati per le quote di volume di attività → CT = CFT + cvu*X. Come posso fare questo tipo di equazione? Si hanno diverse tipologie: Valutazione soggettiva → vado ad analizzare tendenzialmente le voci di costo – questa è favorevole ed è più auspicabile nel momento in cui i miei dati storici sono poco rilevanti, si ragiona in termini di nuovi progetti, si ha una modifica forte del mercato di riferimento, ecc. – utilizzare i dati storici darebbe poche informazioni. o La valutazione soggettiva è una valutazione “conto per conto”, ossia vado a vedere per ogni voce di conto della mia azienda se questi costi, rispetto al mio driver, siano fissi o variabili. Valutazione statistica → raccolta di dati storici confrontabili per un periodo significativo per l’analisi statistica. o Si può analizzare la vera struttura del costo verificando per ogni costo che caratteristiche ha se si fissa l’intervallo di rilevanza e qual è, ad esempio, l’importo di quel costo fisso. Se è variabile, invece, verifico quale sia la determinante del costo e verifico l’ammontare del costo variabile unitario. o La vera analisi della struttura del costo la vado a realizzare andando a leggere quella che è la voce di costo, capire se questo è fisso o variabile, in che intervallo di rilevanza, ecc. Pag. 9 a 134 Regressione lineare Si possono attuare le analisi di stima, ossia le regressioni lineari. Ci si pone la domanda se si debbano eliminare gli eventuali outlier, ossia i valori atipici. La regressione lineare fornisce direttamente i costi fissi (la costante “a” dell’equazione y = a + b*X) e il costo variabile unitario (il coefficiente angolare “b” dell’equazione). Dobbiamo riuscire a capire se, rispetto alle q.tà, effettivamente vi è una relazione o meno rispetto a questi dati. Problemi con le stime statistiche Come detto precedentemente, nel tempo, posso avere relazioni tra costi e volumi, ma si tratta di relazioni avute nel passato. Si rilevano relazioni del passato fra costi e volumi, ma le ipotesi operative future potrebbero essere del tutto diverse. La retta potrebbe mostrare l’effetto di prezzi e costi crescenti per l’inflazione e NON la relazione tra costi e volumi di output in un certo momento. La unità fisiche misurano l’output meglio di come lo fanno i ricavi. Noi ci troviamo sempre a ragionare in termini di stime, di previsioni. Quindi, troviamo elementi di approssimazione. Quando andiamo a fare delle stime, andiamo ad interpretare valori medi su comportamenti che invece sono ben definiti. Questo tipo di strumento è molto utilizzato perché semplifica molto la vita dell’azienda, ma bisogna porre attenzione perché questa semplificazione può portare l’azienda a fare scelte fuorvianti. Lezione 03a – Il margine di contribuzione e le relazioni tra reddito e volume Il diagramma del profitto e il punto di pareggio (impresa monoprodotto) Abbiamo analizzato precedentemente come i costi e i ricavi possano essere analizzati mettendoli in relazione ad una variazione di un volume di attività. Mettendo i costi e ricavi in relazione ai volumi di vendita, è possibile rappresentarli in un grafico attraverso una retta con origine 0, che ha come ricavi totali (rappresentabili con Ru*Q) una pendenza pari a quelli che sono i ricavi unitari (Ru). Lo stesso lo possiamo fare con riferimento ai costi, sapendo che i costi totali (CFT+cvu*Q) sono una funzione che è rappresentabile tramite una retta con origine in corrispondenza con quelli che sono i nostri cft, e ha una pendenza pari a cvu. Con queste semplici equazioni che hanno come elemento in comune il variare di un’attività (in questo caso il volume di vendita), possiamo andare a rappresentare il “diagramma di profitto”. C’è già qui un elemento che balza agli occhi in tutto questo, ossia vi è un punto in cui queste due rette si intersecano. Questo punto chiaramente, come già è possibile intuire, non è altro che il “punto di pareggio” (RT=CT) → quel punto in cui i nostri ricavi totali sono uguali ai costi totali. In questo esempio abbiamo un’azienda che ha 2.000€ di cf, cvu pari a 120€ e prezzo di vendita pari a 200€. Ora chiediamoci un’altra domanda e capiamo come poter determinare questo volume/fatturato di pareggio. Va da sé che a sinistra del punto di pareggio, abbiamo un’area in cui la retta dei RT è al di sotto della retta dei CT → area di “perdita” – invece, a destra del punto di pareggio, siamo in un’area in cui RT > CT → area di “profitto”. Queste sono informazioni utili anche per iniziare a fare valutazioni. Avere un volume di pareggio molto basso significa essere in grado di raggiungere quel fatturato che permetta di avere almeno un pareggio vendendo un numero basso di q.tà di prodotti o servizi. Avere un punto di pareggio molto alto, significa che si dovrà vendere molto di più. Tutto dipenderà anche dal tipo di prodotti o dei servizi messi sul mercato. Il punto di pareggio in quantità (impresa monoprodotto) Abbiamo concettualizzato prima come il punto di pareggio sia quel punto dove RT=CT. Proviamo ora a sostituire queste variabili con le loro formule. RT → Xp (variabile del volume di pareggio)*Pr (prezzo unitario). CT → Xp * cvu + CFT. Ora abbiamo un’equazione in qui la nostra incognita è Xp, ossia il volume di pareggio. Risolviamo ora quest’equazione andiamo a raggruppare per Xp andando ad ottenere → Xp * (Pr-cvu) = CFT. Andiamo a derivare il nostro punto di pareggio → Xp = CFT / (Pr-cvu). Questa è la formula del punto di pareggio in volume, dove al denominatore questa variabile (Pr-cvu) è un valore molto importante. Dobbiamo assolutamente ricordare che (Pr-cvu) → margine di contribuzione o mdc. Pag. 10 a 134 Il margine di contribuzione è un margine economico che deriva dalla differenza tra prezzo e costo variabile unitario. Quindi, applicando questa formula, otteniamo → Xp = CFT / mdc Il punto di pareggio in valore o ricavi (impresa monoprodotto) Molte volte le imprese sono interessate a conoscere il punto di pareggio in termini di ricavi o di fatturato. Anche qui, per andare a determinare il punto di pareggio, partiamo dalla formulazione del punto di pareggio in q.tà → Xp = CFT / mdc. Andiamo ora a fare una veloce elaborazione, cioè andiamo a moltiplicare entrambi i membri per uno stesso valore, ossia per Pr (prezzo unitario). Xp * Pr = (CFT * Pr) / mdc _ Xp * Pr è il fatturato di pareggio. Continuiamo a semplificare → X€ = CFT / (mdc/Pr). Il margine di contribuzione diviso per il prezzo unitario di vendita prende il nome di “margine di contribuzione percentuale” – è la rappresentazione percentuale del nostro mdc. Per ogni € di ricavo, qual è il mdc che ne residua? È un valore importante perché, se io so che il mio mdc % è del 50%, io so che per ogni € di vendita, 0,50€ rappresentano il mio mdc, e quindi posso utilizzarlo al fine di effettuare poi simulazioni ed analisi. Otteniamo finalmente X€ = CFT / mdc%. Nell’esempio, il risultato ottenuto, ossia 0,4, significa che per ogni € di ricavo che io vado a generare in aggiunta, il mio mdc sarà di 0,40€. Il significato di margine di contribuzione Il significato di mdc è importante e cerchiamo ora di approfondirlo attraverso l’utilizzo di una rappresentazione visiva. Io produco un bene dal quale conseguo un ricavo, il ricavo per prima cosa deve permettermi di remunerare, quindi coprire, i costi variabili. Se io produco delle bottiglie d’acqua, dal ricavo unitario che conseguo dalla vendita di una bottiglia, per prima cosa quei ricavi mi devono servire a remunerare i costi del packaging e del contenuto. Queste sono tipicamente i materiali diretti (tipici costi variabili). Una volta coperti questi costi variabili, io ho ancora un margine, un mdc. Abbiamo infatti detto come il mdc è la differenza tra un ricavo e i suoi cvu a livello unitario. È un margine che rimane a disposizione dell’azienda dopo aver coperto i costi variabili. Questo mdc si genera per ogni unità venduta, quindi ogni volta che io vendo un bene, ho un mdc (è come se fosse una goccia). Ogni unità venduta mi genera un piccolo mdc. Lo si pensi proprio come una goccia, una risorsa che rimane. Oltre ai costi variabili, sappiamo che esistono anche dei costi fissi. Il mdc è quel margine che in prima istanza, goccia dopo goccia, ossia unità venduta per unità venduta che genera un mdc, permette di coprire i costi fissi (che noi sappiamo essere costanti e l’azienda li sostiene indipendentemente dai suoi volumi venduti). Ogni singolo mdc generato da una nostra vendita va a contribuire alla copertura dei costi fissi. Una volta che, grazie al volume di vendita, ho coperto i costi fissi (ossia raggiungo il punto di pareggio in cui sono in grado di coprire tutti i cf), inizio a generare un “risultato operativo positivo”, ossia genero una redditività economica complessiva (solo dopo aver riempito il “recipiente” dei cf il risultato operativo è > 0). Questa è una variabile economica fondamentale che deve essere conosciuta dall’azienda. È importante per l’azienda conoscere tutte queste variabili (qual è il mdc, qual è l’entità dei cf da coprire e andare a definire quella che è la mia struttura dei costi, valutare quindi politiche che mi permettano di incrementare il mdc agendo sui ricavi o sui costi variabili unitari). Più è grande il mio mdc, più facilmente riempirò il recipiente dei costi fissi – a questo punto riuscirò a generare un risultato operativo. Un concetto importante è che, una volta raggiunto il punto di pareggio (una volta che i cf sono stati coperti), qualsiasi variazione del mio mdc comporterà una reciproca variazione nel mio reddito operativo. Una volta che io ho coperto i miei cf, il mdc diventerà automaticamente una variazione del reddito operativo. Se ho già coperto tutti i miei cf, ogni vendita aggiuntiva di prodotti o servizi genererà un mdc (ricavo unitario – costi variabili). Quel mdc, non dovendo più essere usato per coprire i cf, confluirà direttamente in termini di maggior risultato operativo. Il mdc unitario, come intuibile, è un valore che, all’interno dell’intervallo di rilevanza, è costante in quanto è sempre dato da Ru – cvu. Mdc % = mdc / ru oppure Mdc % = mdc tot / ricavi totali Pag. 11 a 134 Quale volume per ottenere un risultato operativo target? Ritorniamo alla nostra eq.ne base del punto di pareggio. A sinistra del punto di pareggio abbiamo un’area di perdita. Un tipo di analisi che è possibile fare attraverso l’equazione che mette in relazione costi-volumi e risultati è quella di andare non solo a determinare il volume di pareggio in q.tà o fatturato, ma anche andare a determinare quello che è un profitto obiettivo, cioè un risultato operativo target. Qual è il punto in volume o fatturato che mi permette di raggiungere un determinato risultato operativo? L’equazione diventerà la seguente → ROtg = RT – CT. Andiamo a sostituire → ROtg = Xtg (volumi tg) * Pr – (Xtg-cvu+CFT). Risolviamo per la nostra variabile Xtg (volume target) → ROtg = Xtg * (Pr-cvu) – CFT. Quindi, otteniamo → ROtg = Xtg * mdc – CFT → Xtg = (CFT + ROtg) / mdcu Il risultato operativo in funzione del volume: il profittogramma L’utilizzo di quest’equazione di reddito ci permette di andare a costruire quello che prende il nome di “profittogramma”. Possiamo andare a rappresentare all’interno di una rappresentazione grafica la nostra curva del reddito (risultato operativo). Questa curva in corrispondenza di 0 avrà un risultato operativo negativo, pari ai costi fissi. Il reddito sarà pari a 0 in corrispondenza del volume di pareggio e, come nel nostro esempio, con 40 unità vendute, avremo un reddito operativo di 1200€. Questo lo si può impostare, dal punto di vista analitico, applicando la formula ROtg = X * mdcu – CFT. Questo ci permette di andare a impostare delle analisi e simulazioni. Il diagramma del profitto e il margine di sicurezza Un’altra informazione utile che è possibile derivare tramite il diagramma del profitto, e quindi la rappresentazione grafica, è il calcolo di quello che prende il nome di “margine di sicurezza” → possiamo definirlo come la distanza che intercorre tra il punto di pareggio in volume e la q.tà effettiva di vendita x effettivo. La distanza che intercorre tra il punto di pareggio e il volume effettivo prende il nome di “margine di sicurezza”. Già il nome è intuitivo, è un margine di sicurezza nel senso che l’obiettivo è far sì di posizionarsi ad un livello che sia il più lontano possibile dal punto di pareggio. La formulazione analitica è molto semplice, in quanto lo calcoliamo in termini percentuali, andando a calcolare (q.tà effettiva – il punto di 𝑿𝒆𝒇𝒇−𝑿𝒑 pareggio) / q.tà effettiva → 𝑴𝑮𝒔𝒊𝒄𝒖𝒓𝒆𝒛𝒛𝒂 = ∗ 𝟏𝟎𝟎 𝑿𝒆𝒇𝒇 Facciamo l’esempio in cui abbiamo un volume di vendita effettivo pari a 50, Xp = 25. In questo caso avremo [(50 – 25) / 50]*100 = 50%. Questo ci dice che siamo lontani dall’attuale volume di vendita del 50% prima di arrivare al punto di pareggio. Detto in termini ancora più pratici, ci dice che il mio volume di vendita effettivo pari a 50 può ridursi del 50% prima di arrivare al punto di pareggio. Decisioni tipiche dell’analisi: volume – costi – profitto Quello che abbiamo fatto finora è stato mettere in relazione quattro valori: ricavo unitario, costo variabile unitario, costo fisso totale e volume. Mettendo in relazione tutto questo possiamo effettuare analisi volumi-costi-profitti per i seguenti fini: Determinare il punto di pareggio in quantità. Determinare il punto di pareggio in ricavo. Determinare il volume di vendita necessario ad ottenere un determinato risultato operativo. Determinare il volume di vendita necessario ad ottenere un determinato risultato operativo al netto delle imposte. Assumere decisioni, ossia fare simulazioni: o Quanti costi promozionali e pubblicitari? Sono tipici costi fissi discrezionali, i quali dovranno essere coperti da un maggior mdc grazie alla mia capacità di posizionarlo in un determinato ambito di mercato il quale mi permette di applicare prezzi di vendita più alti, piuttosto che aumentare i volumi di vendita. o Ridurre il prezzo di vendita? Riducendo il prezzo di vendita, inevitabilmente si ridurrà il mdc, essendo il cvu invece non modificato. Se io riduco il prezzo di vendita, il mio punto di pareggio quanto si alzerà? Che aspettative dovrei avere in termini di aumento di volumi? Pag. 12 a 134 Vediamo qui un esempio di simulazione in cui io ho questi dati. Posso fare simulazioni, e quindi abbiamo la seguente situazione: Una prima ipotesi in cui vendo 40 pezzi senza pubblicità → in questo caso avrò cf pari a 2000 (senza pubblicità), un mdc di 3200€ (dato da 80 [200-120] * 40). Posso valutare qual è l’effetto del fatto che, grazie alla pubblicità e all’attività di promozione che vado a sostenere pari a 500€, genero 45 unità vendute → ho cf pari a 2500€ (2000+500). Il mdc diventa 3600€ (80*45). Riusciamo quindi a valutare quella che è la differenza che queste ipotesi di investimento e maggiori oneri di pubblicità di 500€ mi potranno portare. Posso valutare se mi conviene promuovere o no. Posso fare simulazioni in termini di riduzione del prezzo, quindi ipotizzando di essere più aggressivo sul mercato, andando a fare un prezzo di 175€ e ipotizzando che questo possa portare a 50 unità vendute con un prezzo di acquisto pari a 115€. Il nuovo margine di contribuzione in questo scenario sarà dato da 50 * (175-115) → 50 * 60 = 3.000. Il margine di contribuzione totale è dato dal mdc unitario moltiplicato per i volumi. La situazione originaria, invece, era caratterizzata dai seguenti dati: 40 * (200-120) → 40 * 80 = 3200. Anche qui abbiamo un confronto in cui il nuovo mdc è più basso del precedente, quindi l’ipotesi NON è economicamente conveniente. È chiaro che se volessimo determinare una valutazione di reddito operativo, tutto ciò non sarebbe cambiato perché non vi è alcuna ipotesi che potesse andare ad incidere sui costi fissi. Lezione 03b – Il margine di contribuzione e relazioni tra reddito e volume Il conto economico a margine di contribuzione Grazie agli elementi studiati in precedenza, possiamo produrre un conto economico a mdc. Tra le riclassificazioni che, conoscendo la distinzione tra cf e cv, vi è quella a mdc, ossia andando a riclassificare i costi in cv da detrarre ai ricavi per determinare un mdc. Anche questa è un’informazione molto utile ed importante, in quanto ci permette di andare ad osservare quella che è la struttura dei costi della nostra azienda. Ad esempio, in quest’azienda noi sappiamo che i cv incidono per il 45% e il mdc ha un’incidenza del 55,3%. Quest’azienda per ogni € aggiuntivo che andrà a fatturare, genererà 0,553€ di mdc, il quale diventerà un aumento del risultato operativo. È chiaro che per fare questo devo conoscere quello che è il comportamento dei miei costi, e conoscerlo mi permette di andare a simulare cambiamenti del reddito operativo in funzione dei volumi di vendita. Se io ipotizzassi un aumento di 100.000€ di ricavi, a parità di costi fissi, io so che 100.000€ di maggiori ricavi mi genereranno un mdc aggiuntivo di 55.300€, il che mi porterà un aumento del reddito operativo di altrettanti 55.300€. Io questo lo so sulla base delle relazioni esistenti tra costi, volumi e risultati. Quindi, conoscendo ciò io posso sapere e determinare gli effetti di variazioni dei ricavi. Lo stesso lo posso fare a livello negativo: se i miei ricavi diminuiscono di – 100.000€, avrò una riduzione del mdc di 55.300€ e una conseguente riduzione del risultato operativo di 55.300€. Il ce a mdc è utile per calcolare il fatturato di pareggio, perchè la formula del fatturato di pareggio è la seguente → X€ = CFT / mdc%. Nell’esempio abbiamo la seguente situazione → X€ = 3.420.000€ / 0,553 → 6.184.448,46€ Il ce a mdc è utile per calcolare la leva operativa. Di fatto, è una misura di quella che è la struttura dei costi, cioè dell’incidenza dei cf rispetto ai costi variabili totali. Il ce a costo del venduto, invece, è utile per osservare le diverse aree aziendali, però chiaramente il peso economico tende a differenziarsi (ha una minore utilità). Mentre, il ce a mdc tende ad avere variabili che sono poi costanti nel tempo. Il pareggio economico e il pareggio finanziario Prima di analizzare il concetto di leva operativa, vi è da fare un richiamo al fatto che abbiamo sempre considerato quello che è il punto di pareggio economico, ossia in termini di dinamiche costi-ricavi. Sappiamo che tra costi e ricavi, entrate e uscite finanziarie, vi può essere un differenziale. In taluni casi, potrebbe essere anche utile ed interessante andare a determinare quello che è il punto di pareggio in volume o fatturato dal punto di vista finanziario, cioè andando a considerare quelli che sono i costi e i ricavi di competenza, ma solo quelli in funzione di quanto impattano in termini di esborso e introito finanziario (si considerano solo i costi e i ricavi c.d. “monetari”, cioè quei costi e ricavi che hanno un riflesso in termini di flussi di cassa). Pag. 13 a 134 NON si considerano gli ammortamenti ed alcune dinamiche in termini di costi (es. del personale). Pareggio economico → volume per il quale: ricavi realizzati = costi di competenza correlati. Pareggio finanziario → volume per il quale: incassi da ricavi = esborsi per costi di competenza. La leva operativa e il grado di leva operativa per una stessa azienda Abbiamo già anticipato velocemente il concetto di leva operativa, che è un’altra analisi che, conoscendo l’entità dei cf e cv presenti in azienda, possiamo andare a determinare. Leva operativa → è un valore indice che ci permette di misurare quella che è la c.d. “rischiosità operativa” dell’azienda, ossia la sensibilità del reddito operativo alle variazioni dei volumi di vendita. Di fatto risponde alla domanda: quanto è sensibile il nostro reddito in termini di variazione % al cambiamento % dei ricavi? Sappiamo che il reddito operativo, in funzione della variazione dei ricavi, varia in funzione del mdc. Abbiamo detto che, una volta raggiunto il punto di pareggio, le variazioni di reddito sono uguali alle variazioni di mdc. Facciamo un esempio per rispondere alla domanda. Ipotizziamo cf pari a 400€, cvu pari a 6€, prezzo di vendita pari a 8,5€ e due scenari diversi: Per 200 unità → reddito = 100€ (dato da [8,5-6]*200-400 → 2,5*200-400). Per 250 unità → reddito = 225 (dato da 2,5*250-400). o (250-200)/200 = 50/200 = 25% (aumento dei ricavi). o (225-100)/100 = 125/100 = 125% (aumento del reddito). Quindi, vediamo come un aumento dei ricavi del 25%, determini un aumento del reddito del 125%. Veniamo, quindi, alla modalità di calcolo della leva operativa, cioè come rapporto tra la variazione % di reddito / la variazione % dei ricavi. Leva operativa → ∆Reddito / ∆Ricavi. Nel nostro caso, la leva operativa è data da 125/25 = 5. In questo esempio, ciò vuol dire che in questa azienda vi è una leva operativa pari a 5, ossia che per ogni punto % di variazione delle vendite (∆V) vi sarà una corrispondente variazione del 5% della variazione del reddito operativo. ∆RedditoOperativo = leva operativa * ∆%Vendite – 5*25% = 125% La leva operativa, quindi, ci dà una misura della sensibilità. Facciamo un ulteriore esempio, ipotizzando cf pari a 400€, cvu pari a 6€, prezzo di vendita pari a 8,5€ e un aumento dei ricavi del 25%. Ipotizziamo di avere due scenari, rispettivamente con 300 e 375 unità: 300 unità → reddito = 350€ (dato da 2,5*300-400) 375 unità → reddito = 537,5 (dato da 2,5*375-400). o (537,50-350)/350 = 187,5/350 = 53,5%. Possiamo notare che, per un aumento dei ricavi del 25%, abbiamo una variazione di reddito pari al 53,5%. Quindi, la nostra leva operativa è pari a 2,1 → 53,5/25. È più bassa in questo caso perché sono diverse le q.tà. Il grado di leva operativa è funzione del volume al quale ci si riferisce → questo vuol dire che se due aziende hanno la stessa entità di cf e lo stesso livello di mdc, ma hanno volumi di attività più bassi/alti, allora la leva operativa sarà diversa. Questo perché più un’azienda ha volumi alti, a parità di cf, ciò vuol significare che sta assorbendo tutta la capacità produttiva, sta generando economie di scala, e questo comporta una minore incidenza dei cf sulle q.tà vendute, e quindi una minore sensibilità del suo reddito in proporzione ai volumi generati rispetto invece ad aziende che, a parità di cf e cv, hanno volumi di produzione più bassi, il che significa che stanno assorbendo in misura minore la capacità produttiva, stanno generando minori economie di scala e si trovano ad avere un’elevata incidenza dei cf in relazione ai più bassi volumi di produzione (questo comporta una maggiore sensibilità del loro reddito a variazioni di volumi di vendita). Il grado di leva operativa Il grado di leva operativa lo andiamo a determinare partendo da quella che è stata l’equazione di partenza. Nella determinazione della leva operativa precedente abbiamo usato la prima formula: variazioni % reddito / var. % ricavi. Noi sappiamo che la variazione di reddito può essere sostituita dalla variazione del mdc, dove questa può essere scritta come mdc % * variazione dei ricavi. Andando a sostituire queste equivalenze, otteniamo la seguente formula → Ricordiamo sempre che il mdc totale è pari a mdc%*ricavi. Quindi, possiamo determinare il grado di leva operativa in corrispondenza di un certo volume X nel seguente modo → mdc(X) / reddito (X) Nel nostro esempio fatto in precedenza abbiamo → 4.420.000€ / 1.000.000€ = 4,42. Cosa ci dice 4,42? Questo significa che quest’azienda avrà una variazione di reddito operativo in futuro, in corrispondenza di variazioni % delle vendite, pari a 4,42 volte la variazione delle vendite. Questo significa che, se avrò una variazione % delle vendite dell’1% il prossimo anno, quest’azienda avrà una variazione % di reddito pari a 1%*4,42 = 4,42%. Pag. 14 a 134 Il grado di leva operativa per imprese con una diversa struttura dei costi La leva operativa dipende da molti fattori. Abbiamo detto che sicuramente dipende, in linea generale, a parità di settore in cui l’azienda opera, dalla maggiore o minore capacità di assorbimento della capacità produttiva. In linea generale, a parità di volumi di vendita, una più alta o bassa leva operativa dipende da quella che è la struttura dei costi. Vediamo queste due rappresentazioni grafiche. È evidente che, se ho un’azienda che è caratterizzata da pochi cv e molti cf, posso aspettarmi una leva operativa alta. Nel caso in cui, invece, io abbia un’elevata incidenza dei cv, allora avrò un mdc più basso e conseguentemente una leva operativa bassa. La struttura dei costi, quindi, influenza il livello di leva operativa – più i miei cv incidono rispetto ai cf, più alta sarà la leva operativa e viceversa. La leva operativa dipende intanto dal settore in cui l’azienda opera. È chiaro che un’azienda che opera in settori “capital intensive” (in cui sono richiesti molti investimenti infrastrutturali, si pensi a raffinerie, aziende siderurgiche, ecc.) La struttura dei costi Quindi, al di là delle caratteristiche del settore, possiamo domandarci perché due imprese simili che realizzano gli stessi ricavi possano avere un diverso grado di leva operativa. La risposta è nella struttura dei costi → l’incidenza relativa dei cf e dei cv sui complessivi costi aziendali. Le imprese con alti cf e bassi cv hanno un alto grado di leva operativa → sono dette imprese “capital intensive”. Queste sono particolarmente sensibili alle variazioni dei ricavi. Si pensi, ad esempio, alla telefonia mobile: una chiamata fatta dal cellulare in termini di cv per gli operatori ha un’incidenza bassissima – paradossalmente, per un’azienda, è quasi più costoso contabilizzare la registrazione di una chiamata che il cv della chiamata per sé. Quindi, da questo punto di vista, è evidente che in questo tipo di aziende 1€ di maggiore ricavo va quasi a diventare un maggior mdc per la copertura dei cf. La struttura dei costi, il grado di leva operativa e i suoi effetti sul punto di pareggio e sul margine di sicurezza Abbiamo qui una rappresentazione per cogliere ulteriormente questo concetto di leva operativa, che ci rappresenta due aziende: una caratterizzata da una bassa integrazione (con elevati cv) e una seconda con una maggiore incidenza di cf. Infatti, vediamo come il mdc del primo è del 70% e il secondo del 30% con un’incidenza opposta in termini di cv, e in termini di cf abbiamo 58% e 18%. Intanto vediamo come l’impresa A abbia un punto di pareggio molto più alto perché ha maggiori cf in proporzione, quindi questo alza il punto di pareggio rispetto all’impresa B. L’impresa B, però, ha una più bassa leva operativa, pari a 2,6, rispetto al valore 6,0 dell’impresa A. Quindi, la sensibilità del reddito dell’impresa A è molto più alta, e questo permette all’impresa A di aumentare più velocemente il suo reddito operativo una volta raggiunto il punto di pareggio (l’impresa A ha un mdc pari a 70, il che significa che per ogni € di maggiori ricavi, questo genera 0,70€ di mdc in termini di risultato operativo). Comunque, abbiamo una leva operativa per l’impresa A pari a 6, la quale ci dice che, per un 10% in più di vendite, la variazione % del reddito operativo sarà pari a 10*6=60%. Per l’impresa B, invece, abbiamo una variazione % del reddito operativo pari al 26%. Questo spiega il motivo per cui, in questo momento, l’impresa A e l’impresa B hanno lo stesso risultato operativo, ma con strutture dei costi significativamente diverse. L’impresa A potrebbe aver investito molto in capacità propria produttiva, mentre l’impresa B potrebbe aver deciso di esternalizzare gran parte della sua produzione, e quindi aver trasformato in parte cf in cv in termini di servizi o forniture da parte di terzi. Quindi, si può dire che l’impresa A sia più rischiosa. Qual è la migliore struttura dei costi? È chiaro che non vi è una scelta ottimale perché va ponderato il rischio che avere un’elevata leva operativa comporta rispetto alla potenzialità di realizzare reddito. Se io sono in grado di sfruttare la mia capacità produttiva, e quindi saturarla ed essere molto efficiente, questo mi porta a sviluppare maggiore redditività rispetto ad una situazione in cui io debba rivolgermi a terzi per la fornitura. Quindi, tutto dipenderà anche dalle caratteristiche del mercato (se è in declino, se è in crescita, se vi sono incertezze, ecc.). Per situazioni molto incerte e instabili è più prudente avere una struttura dei costi snella, che mi permetta di modificare la struttura dei costi velocemente in funzione di quelli che sono gli scenari che si vanno a maturare. Le imprese con bassi cf infatti hanno una contrazione più bassa del reddito in periodi di calo dei ricavi. Pag. 15 a 134 È chiaro che, in funzione del mercato in cui opero, NON posso stravolgere molto spesso quello che è il modello di business. La struttura dei costi è comunque fortemente influenzata dal tipo di attività svolta e dal settore in cui ci si trova. Il punto di pareggio per le imprese multiprodotto Questo riguarda tutte queste considerazioni con riferimento alle aziende multiprodotto. Nelle aziende multiprodotto la formulazione base che abbiamo visto NON può essere applicata, in quanto in queste aziende esistono molti mix, molte combinazioni di prezzi di vendita, mdc, e quindi diventa difficile rispetto alla mia formulazione del punto di pareggio andarlo a rappresentare avendo diversi scenari in cui posso avere diversi mix di prodotti e servizi con diversi volumi di vendita, prezzi e mdc. Ho bisogno quindi di elaborare i dati per riuscire a fare quantomeno qualche analisi. Per lavorare un po’ i dati abbiamo bisogno di procedere alla determinazione di quello che viene definito di fatto “prodotto equivalente”, cioè dobbiamo procedere a rendere gli n prodotti che un’azienda produce dal punto di vista di trattamento economico tra loro equivalenti. Come fare ciò? Di fatto, anche qui andiamo ad impostare la nostra formula → Xa*mdca + Xb*mdcb = CFT Per poter risolvere questo scenario, dobbiamo dare alcune ipotesi. Un’ipotesi fondamentale è quello del mix delle vendite, cioè in che modo le vendite di A incidono sulle vendite totali. Nel nostro scenario, ipotizziamo che il 60% delle vendite siano generate da A e il 40% da B. Andiamo a sostituire nella nostra formula i dati → Xp*60%*mdca + Xp*40%*mcdb = CFT Otteniamo quindi → Xp * (60%*mdca + 40%*mdcb) = CFT Infine, risulta il seguente calcolo → Xp = CFT / (60%*mdca + 40%*mdcb). Possiamo derivare, quindi, la seguente formula → Xp = CFT / mdc prodotto equivalente. Il prodotto equivalente NON esiste come prodotto, è un’astrazione. Prodotto equivalente → prodotto astratto con un valore del mdc pari alla media pesata (con il mix delle vendite) del mdc dei prodotti venduti. Cambiamenti di mix favorevoli È chiaro che questo comporta alcune considerazioni. È evidente che potrei avere nello sviluppo reale delle varianze, dei cambiamenti, cioè il fatto che il mix di vendita non sia costante, quindi io venda più prodotti di altri in periodi diversi (non necessariamente il mix è stabile). Se io nel periodo successivo alla mia analisi ho venduto prodotti che hanno maggior margine superiore a quello medio, questo genera chiaramente uno scostamento positivo rispetto all’ipotesi di partenza, in quanto ho venduto prodotti con un mdc più alto. Potrei anche vendere prodotti con un mdc più basso nel periodo successivo – con questo potremmo generare situazioni in cui, nei vari periodi successivi, il mdc del prodotto i-esimo che vado a vendere mediamente non rispetti il mix ipotizzato. Quindi, il mdc del prodotto i-esimo, a seconda che rispetti il mix ipotizzato, renderebbe più difficile da stimare il mdc del prodotto equivalente. Punto di pareggio per le imprese multiprodotto Qualora il mdc dei prodotti fosse molto diverso e il mix fosse NON determinabile, è comunque possibile lavorare considerando le diverse produzioni come singoli conti economici e determinare il punto di pareggio specifico, considerando i cf diretti di prodotto. Questo mi permette di andare a determinare un altro valore interessante, che viene denominato “secondo livello di mdc” → è dato dal mdc (di 1° livello) – costi fissi diretti (sono i cf specifici causati esclusivamente dal prodotto A, B, C, ecc.). Con questa rappresentazione riusciamo a conoscere quale sia il mdc dei diversi prodotti. Ad esempio, vediamo che il mdc del prodotto B è molto più alto rispetto al prodotto C ed è leggermente più alto rispetto al prodotto A. Questo ci porta a dire che, commercialmente, il prodotto B è sicuramente il prodotto su cui investire in termini di sviluppo (più preferibile per l’azienda vendere il prodotto B). Posso anche vedere il mdc di 2° livello, qui vediamo che il prodotto A ha un 2° mdc addirittura negativo, quindi ancora non raggiunge un livello di equilibrio al suo interno. Questo ci porta a fare altre riflessioni partendo sempre da questi dati. Si può determinare quale sia il fatturato di pareggio di A, B e C, visto che abbiamo per i diversi prodotti il loro mdc, i loro cf diretti, ecc. Possiamo quindi definire il fatturato di pareggio del prodotto, e NON dell’azienda nel suo complesso. Pag. 16 a 134 Ora calcoliamo il punto di pareggio in € e in q.tà sapendo che il prezzo unitario dei tre prodotti è di 80€ (A), 50€ (B) e 20€ (C). X€ del prodotto A = costi fissi del prodotto / mdc% → 65.000 / 37,5€ = 173.333€. Questo è un dato molto interessante perché ci dice che, per arrivare al pareggio, il prodotto A deve vendere almeno 173.333€ di prodotto. In termini di q.tà, invece, abbiamo la seguente situazione → 173.333 / 80 (prezzo di vendita unitario) = 2.166,66 pezzi del prodotto A. Lo stesso procedimento lo possiamo svolgere per il prodotto B e per il prodotto C. Migliorare la performance economica Per chiudere l’argomento del modulo, ricordiamo che l’analisi costi-volumi-risultati è una semplice equazione che mette in relazione il reddito come funzione dei costi e del mdc, dove il mdc è dato dai ricavi – costi variabili unitari. Questo mi permette di sviluppare tutta una serie di considerazioni e valutazioni per migliorare la performance economica della mia azienda nei seguenti modi: Agendo sul prezzo di vendita unitario (spinto anche da politiche di sviluppo del prodotto, di promozione, pubblicità, ecc.); Lavorando sull’efficienza, quindi attraverso un’azione sui costi variabili unitari andando a riducendone l’incidenza aumentando l’efficienza produttiva. Agendo sui costi fissi, cercando di ottimizzare l’utilizzo dei cf aumentandone la capacità di satuazione delle loro capacità produttive e, in questo senso, agendo anche sulla leva operativa. Attraverso politiche di sviluppo dei volumi che li aumentino, aumentando conseguentemente i ricavi. Lezione 04a – I costi pieni e il loro impiego Il concetto di costo Cerchiamo ora di affrontare quello che è il concetto di costo. Perché è importante parlare del concetto di costo? Perché quando usiamo il termine “costo” senza qualificarlo, le informazioni che ne derivano sono piuttosto vaghe. Se noi andiamo a definire che il costo è pari a 30€, in realtà l’informazione che noi riceviamo è molto generica (non abbiamo idea di cosa intenda quel termine “costo”). Per avere una definizione più chiara e precisa anche da parte di chi deve utilizzare l’info, è sempre importante andare a qualificare il concetto di costo, o la caratteristica del costo da affrontare. Innanzitutto, il costo è la valorizzazione monetaria delle risorse utilizzate (o da utilizzare in futuro) per un qualche scopo (fine aziendale). Il costo mi permette di quantificare un impiego di risorse, ossia mi permette di capire l’ammontare delle risorse che io ho utilizzato (o intendo usare) per raggiungere un determinato fine. Il valore aggiunto di trasformare in valore monetario una risorsa è che mi permette di utilizzare un denominatore comune. Questo significa che, trasformando le risorse in valori monetari, riesco a sommare ciò che, dal punto di vista fisico-tecnico, NON sarebbe sommabile – vado a sommare entità diverse. Se io riesco, attraverso la voce di costo, a dare una valorizzazione uniforme (le risorse vengono espresse tutte nella stessa misura), ecco che riesco a sommare tutte le risorse di diversa natura che sono entrate nell’oggetto di costo che sto analizzando. Attraverso la loro trasformazione in valori monetari, riesco a sommare q.tà diverse. Il concetto di costo ha sempre a riferimento uno scopo, un obiettivo → in particolare, ha sempre a riferimento un “oggetto del costo”, cioè un elemento rispetto al quale noi dobbiamo o vogliamo andare a definire e misurare i costi sostenuti. È ovvio che in azienda spesso l’oggetto di costo è riconducibile comunemente al prodotto, ma posso avere diversi oggetti di costo. L’oggetto di costo può essere anche il reparto rispetto al quale io vado a realizzare la produzione. Quello che deve essere chiaro sin da subito è che devo andare a definire in modo puntuale quello che è l’oggetto di costo (deve essere chiaro per chi rileva le informazioni e per chi utilizza quelle info quale sia l’oggetto di costo di riferimento). Si tenga anche a considerazione che più l’oggetto di costo è specifico (si avvicina ad un’attività specifica), maggiore è il grado di dettaglio del costo ad esso relativo. Tuttavia, può succedere che andare a determinare l’oggetto di costo di un unico prodotto possa essere un processo troppo pesante ed oneroso per l’impresa, perché essa deve andare a fare rilevazioni di dati troppo accurate e precise a tal punto da diventare diseconomiche (l’info che io ottengo, andando a fare tutte quelle rilevazioni citate precedentemente, è così onerosa dal punto di vista del reperimento dell’info che supera, in termini di costi, la bontà, l’utilizzo e il beneficio che deriva dall’info stessa). L’oggetto di costo deve essere definito in modo chiaro, può essere più o meno ampio nella sua individuazione, ma deve essere compreso e definito in modo esplicito per tutti coloro che utilizzano le informazioni sia per rilevare le info di quell’oggetto, sia per poi fornire info. Più ampio è l’oggetto di costo che io vado a definire, meno preciso sarà il dettaglio del consumo specifico di risorse che sono state impiegate all’interno di quell’oggetto di costo. Dall’altra parte, però, più piccolo e specifico è l’oggetto di costo, più precise saranno le rilevazioni relative alle risorse consumate (ma questo dettaglio estremo può essere troppo oneroso per l’azienda). Una delle problematiche principali che si presentano nell’azienda è riuscire a capire quale sia la dimensione ottimale dell’oggetto di costo rispetto a due elementi: Utilizzo di quell’informazione. Costo di quella stessa informazione. Ricordiamoci sempre che, nel momento in cui noi andiamo a parlare di costi, dobbiamo sempre e comunque far seguire al termine “costo” un aggettivo che lo vada a qualificare (es. costi diretti, fissi, variabili, pieni, ecc.). Dobbiamo capire esattamente quale sia la voce di costo alla quale noi stiamo facendo riferimento. Pag. 17 a 134 Possibili oggetti del costo Richiamando il concetto di oggetto di costo, troviamo qualche esempio per far capire quanto possa essere diversificato l’oggetto di costo all’interno dell’azienda. Già da questo schema sintetico, è possibile andare ad analizzare diverse aree anche contemporaneamente nella mia azienda. Ogni rilevazione è a sé stante, ogni informazione andrà inserita nell’oggetto di costo che di volta in volta vado a misurare. Deve essere chiaro, quindi, come esista un trade-off (cioè un punto rispetto al quale si ha un vantaggio e oltre al quale si ha svantaggio) tra quanto specifico debba essere l’oggetto del costo e l’impiego delle risorse che io utilizzo per rilevarne le informazioni di costo. Maggiore è la dimensione dell’oggetto di costo, minori sono le risorse che si utilizzano per determinarne i costi – quindi, più bassi sono i costi di rilevazione dei dati perché è più facile individuare i nostri costi. Se io realizzassi, nell’ambito del processo produttivo, dei jeans, se utilizzassi lo stesso filo per cucire diversi modelli di jeans, riuscire a capire quanto filo sia stato utilizzato per ogni singolo modello potrebbe non essere facile, e quindi riuscire a farlo mi chiederebbe un impegno in termini di recupero di info troppo oneroso. È necessario riuscire a comprendere bene quanto mi costa reperire l’info. Ovviamente, quello che noi diciamo in termini di aziende di produzione vale sempre anche in relazione alle imprese di servizio. Quando noi ragioniamo in termini di costo pieno, noi dobbiamo comprendere, all’interno di quella voce di costo, tutte le risorse che sono state utilizzate per un determinato oggetto di costo. È ovvio che, nel momento in cui io vado a ragionare in termini di costo pieno, succede che ho dei costi che vengono definiti “comuni”. Costi comuni → costi che l’azienda ha sostenuto per produrre diversi oggetti di costo (NON solamente quello che si sta realizzando). Prendiamo ad esempio il responsabile della linea di produzione dove vengono realizzate diverse tipologie di prodotto. Quindi, il responsabile di quella linea di produzione è comune a più linee di prodotti (es. diversi modelli di jeans). Questi costi sono chiamati “costi indiretti” → sono quei costi che, rispetto al mio oggetto di costo, NON sono direttamente collegabili/attribuibili perché sono comuni (perché sono stati consumati da più oggetti di costo). Quando parliamo di costo pieno, quindi, parliamo della somma di costi diretti (cioè costi che ho direttamente e oggettivamente sostenuto per realizzare quell’attività o quell’oggetto di costo) e una quota equa di costi indiretti. Rispetto ai costi indiretti, che hanno partecipato alla realizzazione di più oggetti di costo, io devo riuscire a comprendere come attribuire parte di quella quota di costo al mio oggetto di costo. Il costo indiretto che ho sostenuto è sicuramente funzionale anche alla realizzazione del mio oggetto di costo, ma NON solamente a quello, quindi devo riuscire a trovare un criterio, la modalità per assegnare un ammontare che sia “equo” di quella voce di costo al mio oggetto di costo. L’intero ciclo di vita come oggetto del costing A volte, il concetto di costo pieno lo troviamo impiegato anche nell’analisi del ciclo di vita di un prodotto (Life Cycle Costing). LCC → processo di stima o di valutazione preventiva e di confronto attraverso la rilevazione consuntiva (ex post – successivamente alla realizzazione dell’attività) di tutti i costi di un prodotto lungo il suo intero ciclo di vita. Questo significa che si parte ad analizzare quanto mi costa un prodotto dalla fase di progettazione e industrializzazione fino ad arrivare alla fase di abbandono dal mercato. Quando io vado a realizzare il costo in LCC, vado ad individuare il costo pieno del ciclo di vita del mio prodotto, ossia vado ad individuare quello che è utile per la mia attività imprenditoriale rispetto alle info che mi serve avere a preventivo per capire quanto mi costa non solamente la progettazione, non solo produrlo, non solo venderlo e quindi farlo arrivare al mercato, ma tutto questo viene inglobato in un’unica info (compresi anche i costi di dismissione). Questa linea rossa rappresenta la % di costi sostenuti nel suo insieme. La linea nera, invece, rappresenta la % di costi impegnata nella fase di progettazione. Questo significa che il nostro LCC rispetto alla linea rossa rileva tutti i costi sostenuti dal prodotto lungo l’intero corso del suo ciclo di vita (questo mi serve anche per parametrarlo ai ricavi attesi). La maggior parte dei costi di questo prodotto, che si sosterranno in futuro, sono costi impegnati nella fase di progettazione e industrializzazione (realizzazione del prodotto). Questo vuol dire che l’azienda sosterrà costi elevati nella fase di progettazione e industrializzazione, mentre meno elevati saranno i costi legati alla fase di produzione e vendita. Solitamente, il LCC NON viene realizzato per tutte le tipologie di prodotto. Sono realizzati per quei progetti che hanno elevati costi di entrata, ma anche elevati costi di uscita dal business. Questo è importante perché se riesco a comprende