Brand, Cultura e Collettivi di Consumo Gambetti PDF

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Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)

2024

Rossella C. Gambetti

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brand analysis consumer behavior marketing social studies

Summary

This book, Brand, Culture, and Consumer Collectives, by Gambetti, explores negative brands and their marketing strategies. It analyzes how brands leverage negative associations to target specific consumer groups. It examines the phenomenon from a consumer behavior perspective, emphasizing the ethical implications of such strategies.

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Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. i el ng oA...

Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. i el ng oA Progetto grafico della copertina: Elena Pellegrini c 1a edizione. Copyright © 2024 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy Ristampa Anno an 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 2024 2025 2026 2027 2028 2029 2030 2031 2032 2033 L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sui diritti d’autore. Sono vietate e sanzionate (se non espressamente autorizzate) la riproduzione in ogni modo e forma (comprese le fotocopie, la scansione, la memorizzazione elettronica) e la comunicazione (ivi inclusi a titolo esemplificativo ma non esaustivo: la distribuzione, l’adattamento, la traduzione e la rielaborazione, anche a mezzo di canali digitali interattivi Fr e con qualsiasi modalità attualmente nota o in futuro sviluppata). Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali (www.clearedi.org; e-mail [email protected]). Stampa: Geca Industrie Grafiche, Via Monferrato 54, 20098 San Giuliano Milanese ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Indice li Introduzione, di Letizia Lo Presti, Giovanni Battista Dagnino pag. 9 e 1. Brand, cultura e collettivi di consumo: il lato oscuro Rossella C. Gambetti ng dell’iconicità, di Angela A. Beccanulli, Silvia Biraghi, 1. I segni distintivi delle marche » » 13 13 2. Cultural Brand: icona della contemporaneità » 15 oA 3. I collettivi di consumo » 17 4. Borsalino e i Chicago Outfit » 23 5. Stone Island e gli Hooligans » 25 6. Conclusioni » 28 c 2. Meccanismi, caratteristiche e comunicazione dei an negative brand, di Maria Vernuccio, Federica Ceccotti, Michela Patrizi » 32 1. Il lato oscuro del consumatore » 32 2. Verso una definizione di negative brand » 40 Fr 3. Comunicare i negative brand » 48 3. Brand con accezione negativa e strategie di posizio- namento. Fenomenologia dei mafia brands, di Letizia Lo Presti » 57 1. Introduzione » 57 2. Mafia: origine di un termine » 59 3. Ciò che sappiamo sui mafia brands: una panoramica della letteratura accademica » 65 4. Il filo di Arianna… concettualizzare il fenomeno dei mafia brands » 67 5 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 5. Nota metodologica pag. 70 6. Analisi dei risultati » 73 7. Conclusioni » 83 4. Ruolo delle associazioni antimafia e progressiva sen- sibilizzazione sociale: l’emersione degli antimafia brands, di Giovanni Battista Dagnino » 86 1. Introduzione » 86 2. Relazione tra mondo delle organizzazioni non-profit e le imprese: bilanciare o contrastare » 87 3. L’impegno degli organi regionali e delle associazioni antimafia per creare e rafforzare la cultura della legali- tà: una classificazione » 89 li 4. Il ruolo delle associazioni e istituzioni antimafia nella lotta contro i mafia brands » 94 e 5. Responsabilità del marketing e brand sostenibili: ver- Riccardo Resciniti ng so un modello multidimensionale, di Giulio Maggiore, » 103 1. Introduzione » 103 oA 2. Le implicazioni etiche nei processi di marketing mana- gement » 104 3. Una chiave di lettura multidimensionale per l’etica del marketing » 114 c 4. Conclusioni e future direzioni di ricerca » 121 an Gli Autori » 123 Riferimenti bibliografici » 126 Fr 6 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Introduzione di Letizia Lo Presti, Giovanni Battista Dagnino li Numerosi cambiamenti di natura economica, tecnologica, sociale e am- bientale mettono in discussione il consolidato modello occidentale di con- e sumo guidato dalle logiche utilitaristiche. Il prodotto-servizio non soddisfa infatti soltanto bisogni di natura tangibile e non diviene soltanto un mezzo ng attraverso il quale comunicare il sé individuale, ma è un’opportunità com- merciale per comunicare valori o disvalori di natura sociale, subculturale o anche ideologica. Da sempre la marca, grazie alla sua doppia componente, oA funzionale e simbolica, tangibile e intangibile (Romaniuk, 2018), è stata il veicolo per l’attribuzione di senso e quindi per la costruzione di significati culturali che, radicati nell’immaginario collettivo, possono creare forme di consumo alternativo rivolto a uno specifico gruppo di consumatori che, c proprio in quei valori o disvalori culturali, si riconosce o desidera iden- tificarsi (Piper & De Cosmo, 2022). Basti pensare al brand Monster, un an energy drink diffuso rapidamente presso i giovani, oppure al brand Stone Istand, che veste la comunità degli Hooligans, oppure il brand spagnolo della ristorazione “La Mafia se sienta a la mesa”, che fonda il suo service- scape sulle storie di mafia raccontate dalla cinematografia hollywoodiana. Fr Pertanto, i segni distintivi con i quali si caratterizza una marca, di- vengono il contenitore di significati che rendono gli stili di consumo che rappresentano immediatamente riconoscibili nella mente del consumatore. Si tratta di brand con accezione negativa che, contrariamente alla condotta comune, decidono deliberatamente di attingere dall’immaginifico del “ma- le” e dei disvalori per costruire la loro immagine agli occhi dei consumato- ri. Il tema dei brand con accezione negativa ha sinora riguardato per lo più l’area del brand hate. Azioni di marketing che risultano troppo invasive e insistenti, aspettative insoddisfatte rispetto ai benefici vantati, oppure an- cora esperienza negativa del consumatore determinano stati di frustrazione e di conseguenza atteggiamenti di odio nei confronti dei brand. Sebbene il 7 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. tema del brand con valenza negativa e il conseguente brand hate abbia ri- cevuto nel corso degli ultimi anni particolare attenzione a motivo delle sue conseguenze devastanti sulla sopravvivenza dei brand, nella letteratura di marketing l’uso delle associazioni mentali negative, intese quali tessere che compongono l’identità deliberata del brand può consentire di approfondire la comprensione delle strategie di branding soprattutto per l’esistenza di un target destinato ad acquistarli e a identificarsi con esse. Studiare i negative brand deliberati diviene quindi non soltanto neces- sario per arricchire la conoscenza nell’ambito degli studi sul consumer behavior, ma altresì utile perché la loro evoluzione è lo specchio di una so- cietà che cambia e, per tale via, il mirror dell’affermazione di nuovi com- portamenti di acquisto e di consumo e di nuove tipologie di consumatori che, per essere adeguatamente esaminati e compresi, necessitano approfon- li dimento interdisciplinare. In questo volume, esamineremo i negative brand, un tema che, nell’am- e bito degli studi di branding, non ha maturato una letteratura consolidata, ma che auspichiamo di alimentare con questo contributo, che potrà essere ng successivamente accresciuto con ulteriori ricerche empiriche e riflessioni teorico concettuali. I negative brand sono brand che scelgono deliberata- mente di attingere da attributi tangibili e intangibili del mondo segnico del disvalore e contrario alla morale comune per costruire la loro identità, non oA sfruttando soltanto la contrapposizione del “bene” con il “male”, ma facen- do anche uso di un mix di linguaggi che collocano i brand con accezione negativa nel confine fra il lecito e l’illecito, fra il morale e l’immorale. In linea generale, la costruzione dei brand con accezione negativa do- c vrebbe costituire un “ossimoro” e non avere un suo mercato: dal momento che il consumatore nell’acquistare una marca “sposa” i valori comunicati an da quella marca, chi vorrebbe acquistare il prodotto di un brand che attin- ge a valori legati al mondo “dark”, “immorale”, “antisociale” e del “disva- lore”? Eppure, negli ultimi anni, l’accettazione e l’acquisto di questi mar- chi è sempre più diffuso. Molte, infatti, sono le imprese che scelgono nomi Fr “bizzarri” o “forti” per etichettare i propri prodotti, sperando che questi abbiano maggiore visibilità sul mercato. Esiste infatti un’ampia fetta di consumatori che legittima i brand con accezione negativa rendendo il tema interessante sul piano etico ma altrettanto discutibile sul fronte del ruolo responsabile del marketing nella società. Nell’investigare il tema dei brand con accezione negativa si desidera in particolare concentrare l’attenzione sul fenomeno dei mafia brands. Termi- ni quali “Mafia”, “Camorra”, “Cosa nostra”, “Malavita”, non vengono usati soltanto per designare le organizzazioni criminali di norma avversate dagli organi giudiziari e dalla società civile, ma sono anche nomi di marchi di abbigliamento, di insegne di negozi, servizi di ristorazione e altro ancora. 8 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. La frequenza crescente di tale fenomeno richiede pertanto uno studio dei fondamenti teorico-concettuali che ricostruisca le tendenze principali a cui si ispirano i brand con accezione negativa. Inoltre, l’accettazione da parte del mercato di tali brand non fa altro che sollecitare una riflessione da parte dell’etica del marketing: è ragionevole, per le marche i cui no- mi sono associati a immagini mentali negative pensare di riposizionarsi muovendo verso un’accezione più positiva e condivisa dalla società e dal- la morale? Sappiamo che la marca è segno distintivo, è simbolo, è icona, è con- nettore e anche moltiplicatore. Eppure, ci chiediamo: cosa accade se i significati di cui la marca è portatrice vengono appropriati, manipolati, snaturati del loro dominio valoriale di appartenenza e condotti artificiosa- mente verso altri piani di significazione? Cosa è possibile fare quando la li marca viene portata su piani di significazione differenti, critici e possibil- mente perniciosi? Questo volume intende porre una serie di domande alla e luce dell’analisi del fenomeno dei negative brand e corrispondentemente ng prova a offrire una discussione analitica che possa aprire la strada a diversi spunti di ricerca. In questo senso il volume tratterà la “fenomenologia” dei mafia brands intesa come la disamina del fenomeno dei brand con acce- zione negativa che attingono al mondo della criminalità organizzata per la oA commercializzazione dei beni di largo consumo. Pertanto, il termine “fe- nomenologia” non deve essere inteso come il processo di costruzione della genesi dei mafia brands, bensì come un’indagine, seppur esplorativa, che si basa sull’analisi descrittiva del fenomeno con la finalità di attenzionare il c suo andamento destinato a non arrestarsi. L’obiettivo del volume è pertanto esaminare analiticamente il “fenomeno” dei mafia brands a partire dallo an studio dei dati e delle informazioni oggi disponibili e reperibili soprattutto nella letteratura c.d. grigia e di usare tale caposaldo come punto di parten- za per una riflessione più ampia sulla disciplina del marketing che – auspi- chiamo – aiuti a costruire basi favorevoli per effettuare ulteriori ricerche Fr sulla genesi del fenomeno dei negative brand deliberati, anche alla luce del contributo che altre discipline sociali contermini, quali sociologia, psico- logia ed economia, possono offrire alla comprensione della sua struttura e della sua essenza. A chi si rivolge questo volume? Il volume è pensato per accompagnare per mano il lettore nel processo di comprensione della proposta concettuale e nell’approfondimento dei fat- tori e dei meccanismi sottostanti alla costruzione di brand con accezione 9 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. negativa, i quali riescono a trovare fertili mercati sia nel contesto nazio- nale sia in quelli internazionali. In tal modo, esso diviene accessibile sia agli studenti degli ultimi anni dei corsi di laurea triennale sia dei corsi di laurea magistrale e dei master di primo e secondo livello in particolare in campo economico, del management e della comunicazione, ma altresì al più vasto pubblico non accademico (consulenti, manager e professionisti del marketing e imprenditori) interessato al fenomeno dei mafia brands e ai ricercatori e docenti universitari appassionati dal dibattito sui brand con accezione negativa. Infine, e non meno importante, muovendo da un’attenta disamina delle strategie adottate per veicolare l’identità dei mafia brands, i professionisti del marketing potranno cogliere l’importanza della responsabilità del mar- keting e come questa può divenire il volano per cambiare la mentalità degli li stakeholder diffondendo valori condivisi basati sull’etica e sui principi di legalità. Il volume affronta infatti un paradosso nell’era della responsabilità e d’impresa che evidenzia come il marketing è chiamato a estendere il suo ng raggio d’azione giocando un ruolo da protagonista nell’indirizzare le stra- tegie di branding e di comunicazione delle imprese e delle organizzazioni verso la diffusione di valori condivisi e socialmente rilevanti e sollecitando la conduzione etica delle scelte aziendali. oA Ampliando l’orizzonte dei potenziali lettori di questo volume oltre a quelli direttamente interessati al marketing, i lettori attenti al tema mafio- so, come giornalisti, scrittori e intenditori di cronaca nera, sono certamente attratti dall’approfondire le modalità con cui la fenomenologia dei mafia c brands prende progressivamente consistenza sul mercato nazionale e inter- nazionale. an Struttura del volume Fr La struttura che abbiamo adottato è una struttura per così dire ad “imbuto”: aspetti concettuali introduttivi – che ripercorrono i modelli di branding sin oggi proposti in letteratura – verranno argomentati attraverso casi concreti ed esemplificazioni, che illustrano la costituzione dei negative brand e la fenomenologia dei mafia brands. Il volume è strutturato in cinque capitoli principali. Nel primo capitolo si affronterà il tema dei brand con accezione negativa esplorando il valore culturale che il brand contribuisce a trasmettere appropriandosi di segni distintivi di identità collettive. Nel capitolo le autrici (Beccanulli, Biraghi, Gambetti) riportano i casi Borsalino e Stone Island mostrando che, per la loro significatività socioculturale, i brand iconici sono fortemente esposti. 10 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Il famoso bandito Al Capone accoglie l’iconicità di Borsalino, la magnifi- ca e la esalta, la rende un suo segno distintivo ma, nel far questo, conduce Borsalino nel mondo della criminalità organizzata e genera nuove associa- zioni oltremodo potenti, che segnano indissolubilmente cosa la marca è o rappresenta nella mente del consumatore. Se il Fedora è un capo iconico e Borsalino è una marca iconica, indubbiamente anche Al Capone lo è. Que- sti due esempi ben rappresentano il rischio di utilizzare segni attribuibili al mondo dei disvalori e al lato dark del consumo per creare icone culturali di dubbia moralità. Su questo aspetto riflette altresì il secondo capitolo del volume. In questo caso il piano di analisi affonda le sue radici culturali negli studi di consumer behavior. Il dark side del consumatore e dei suoi comportamenti emerge nel marketing in tempi piuttosto recenti. Al fine di comprendere li il “lato oscuro” del consumatore le autrici (Vernuccio, Ceccotti, Patrizi) ricostruiscono le fondamenta della definizione dei brand con accezione e deliberatamente negativa in contrapposizione a quella non deliberata e ng ne ricostruiscono il modello concettuale attingendo alla teoria della self- congruency. Pertanto, a partire dal concetto di “disvalore” che attinge dalla ben più nota concettualizzazione della sua antitesi (valore), le autrici affrontano i tratti oscuri della personalità dell’individuo. Questo passaggio oA consente loro di approfondire i comportamenti oscuri di acquisto e di con- sumo, focalizzando alfine l’attenzione sui prodotti e servizi identificabili con l’etichetta cd. dark narratives. Sulla scorta di questi presupposti, si innesta il terzo capitolo che inve- c stiga i negative brand attraverso il fenomeno dei mafia brands. Si tratta di brand deliberatamente negativi, ossia marche che costruiscono la loro an identità attingendo dal mondo immaginifico e reale della criminalità orga- nizzata. Recuperando le principali dimensioni che caratterizzano l’identità dei mafia brands, attraverso l’analisi della letteratura grigia e accademica, l’autrice (Lo Presti) inquadrerà il fenomeno dei mafia brands come simme- Fr tricamente complesso e multidimensionale. Nello specifico sulla base della presenza (alta o bassa) negli attributi identitari dei brand, degli elementi cinematografici e di quelli che attingono dai fatti di cronaca, sarà possibile individuare quattro tipologie di mafia brands (brand immaginifici, mafia brands ad hoc, blank mafia brands e real mafia brands). Verranno poi analizzati quattro casi studio emblematici per porre in luce le loro caratte- ristiche e favorirne il confronto. Nel quarto capitolo l’autore (Dagnino) si focalizza sul ruolo delle or- ganizzazioni non-profit e sulla loro rilevanza sociale in relazione allo svi- luppo di antimafia brands. Due sono le questioni principali che l’autore (Dagnino) esamina: le pratiche di contrasto al fenomeno mafioso attraverso 11 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. l’informazione e la sensibilizzazione sociale e il fenomeno emergente degli antimafia brands (come per esempio, Libera Terra, il marchio di “Libera”, che commercializza la produzione agricola delle cooperative a essa aderenti che amministrano terreni agricoli confiscati alla mafia, e Addiopizzo Tra- vel, ovvero l’attività di servizi turistici di Addiopizzo), inteso quale feno- meno che si contrappone ai mafia brands, ovvero alle pratiche commerciali di beni e servizi che si rifanno allo stereotipo mafioso (il Fernet Mafiosi, il vino Il Padrino e gli snack Chilli Mafia). In tal senso, la natura dei negati- ve brand serve quale precondizione per ripercorrere il ruolo che, da un paio di decenni, le associazioni e le istituzioni antimafia rivestono per creare una cultura della legalità diffusa e avviare un processo di sensibilizzazione sulle conseguenze prodotte dalle azioni della criminalità organizzata. Il quinto e ultimo capitolo propone infine alcune riflessioni di natura li etica del marketing. In particolare, gli autori (Maggiore, Resciniti) esplo- reranno le dimensioni rilevanti che il marketing dovrebbe prospettare per e una valutazione etica delle sue attività. Gli autori, nel ricostruire le diret- trici della responsabilità etica del marketing, ripercorrono i principali filoni ng della letteratura e identificano nella finalità, nel metodo persuasivo, nel valore segnico e nelle ricadute delle scelte di marketing il continuum che rende le azioni di marketing con un alto o un basso valore etico. oA Il fenomeno dei mafia brands apre le porte per un filone di ricerca emergente, quello dei brand con accezione negativa, che investiga nuove forme di comportamento del consumatore e nuove basi relazionali con quei brand che costruiscono deliberatamente la loro identità sui disvalori. c Nell’approfondire il fenomeno dei mafia brands, il volume mira a disporre la questione etica e morale dei brand su una duplice prospettiva: da una an parte, la prospettiva della marca, che deliberatamente attinge al mondo della criminalità e dei disvalori per attrarre l’attenzione dei consumatori; e, dall’altra, la prospettiva dei segmenti di consumatori che accettano, accol- gono e acquistano tali brand. Fr Il volume intende pertanto gettare le basi per incentivare una riflessione critica sulla necessità di attribuire responsabilità ad ambedue gli attori di mercato coinvolti: le imprese e i consumatori. Prendiamo come ispirazione la riflessione della giornalista di Famiglia Cristiana, Elisa Chiari che, nel commentare la decisione dell’Unione Europea di bloccare le attività com- merciali della catena di ristoranti “La Mafia se sienta a la mesa” in Spagna nel 2018 scriveva: “Se i primi a dire ‘no grazie’ e a cambiare ristorante non sono gli italiani in Spagna, non per spirito di corpo, ma per naturale repulsione per quello che un marchio simile può rappresentare, sarà diffici- le che altri si pongano il problema. Ma così non se ne esce. Tolto un mar- chio se ne fa un altro”. 12 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 1. Brand, cultura e collettivi di consumo: il lato oscuro dell’iconicità di Angela A. Beccanulli, Silvia Biraghi, Rossella C. Gambetti li 1. I segni distintivi delle marche e Il consumatore contemporaneo, durante il processo decisionale per l’acquisto di prodotti e servizi, è guidato da un complesso sistema di mo- ng tivazioni (Ren, Choe, e Song, 2023; Escalas e Bettman, 2015). Da un lato, valorizza gli attributi funzionali dei beni o servizi che seleziona, in quanto in grado di rispondere in maniera tangibile ai suoi bisogni. Dall’altro, il oA consumatore attribuisce notevole importanza ai significati associati alle marche che rappresentano tali beni e servizi, in quanto in grado di dare espressione alla sua identità attuale o aspirazionale (Fiocchi ed Esfahani, 2023). c Questi significati sono intrinsecamente connessi ai segni distintivi del- le marche, che secondo Romaniuk (2018) sono “elementi della marca che an la rendono distintiva ed immediatamente riconoscibile nella mente dei consumatori” (p. 16). Romaniuk (2018) li classifica in elementi tangibili e intangibili. Tra i primi annoveriamo elementi come “colour assets” (vedi figura 1), che comprendono la tonalità del logo aziendale e dei prodotti, co- Fr sì come la gamma cromatica utilizzata nei materiali aziendali e sulle piat- taforme digitali. Dall’altro lato, tra gli elementi intangibili ritroviamo gli “asset narrativi” (vedi tabella 1), che includono i momenti di divulgazione creati dalla marca, ma anche il tone of voice assunto dalla stessa per le sue comunicazioni. La tabella 1 presenta l’elenco esaustivo di tali segni distintivi come pro- posto da Romaniuk (2018). Numerose ricerche nella letteratura di brand management (Romaniuk e Hartnett, 2010; McCracken, 1988; Levy, 1959; Sharp e Romaniuk, 2016) hanno dimostrato che i segni distintivi, unici per ciascun brand (Romaniuk e Hartnett, 2010), influiscono positivamente sul posizionamento delle marche 13 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Tab. 1 - Segni distintivi della marca Colour Word Story Human Music Sound Shape Assets Assets Assets Face Assets Assets Assets Assets Single Taglines Style Spokes- Background Non-vocal Symbolic colour people instrumental images Color Font Compo- Celebrity Jingles Vocal Pack combination nents shapes Color + Words Moments Characters Popular Styles Logos design songs Fonte: rielaborazione degli autori dal modello di Romaniuk (2018). li nella mente del consumatore. In altre parole, questi segni sollecitano nel consumatore l’associazione di significati specifici ad una marca (Levy, e 1959). A titolo di esempio, il consumatore quando è esposto o entra in contatto con il logo Gucci, riconosciuto come un segno distintivo tangibile, ng associa la marca a significati quali lusso sfrenato, audacia e autorità (Re- port Ricerca Ferragamo Parfums e Università degli Studi di Firenze, 2021). Questi significati motivano i consumatori ad avvicinarsi alla marca, poiché oA percepiscono che attraverso il suo consumo, potranno associare tali signi- ficati alla loro identità. Di conseguenza, la marca diventa un dispositivo simbolico attraverso il quale i consumatori possono segnalare il proprio sé agli altri (Levy, 1959). Ulteriori ricerche (Arsel e Stewart, 2015; Holt, 2004; 2003; 2016; Dong c e Tian, 2009) hanno dimostrato che alcune marche possiedono segni di- an stintivi intangibili che le associano ad evocativi significati e valori culturali nelle menti dei consumatori. Di conseguenza, tali marche diventano per i consumatori elemento per costruire e dare piena espressione ad un’iden- tità aspirazionale fino a quel momento rimasta silente (Holt, 2004; 2003). Fr In particolare, Holt (2004) suggerisce che alcune marche possiedono la capacità di fabbricare “miti identitari”, narrazioni culturali in cui la marca rappresenta la risoluzione di un’esistente tensione socioculturale che genera ansia identitaria nei consumatori, attraverso l’adozione di valori culturali evocativi, di cui la marca si fa portavoce (Holt, 2004; 2003). Quando i con- sumatori consumano queste marche, percepiscono di “consumare” il mito, e quindi di avvicinarsi alla libertà espressiva e all’unicità identitaria che quel mito incarna (Holt, 2003), manifestando il loro allineamento con i va- lori culturali suggeriti. In pratica, il marchio diventa uno strumento attra- verso il quale i consumatori possono manifestare una parte della loro iden- tità aspirazionale, che fino a quel momento era rimasta inespressa (Holt, 14 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 2004; Dong e Tian, 2009). Perciò la capacità di fabbricare miti identitari, attraverso il paradigma che Holt (2004) definisce “cultural branding”, con- ferisce alle marche significati culturali profondi perché legati alla risoluzio- ne di sfide identitarie. Tali significati direzionano fortemente i processi di scelta di una marca, specialmente in una società caratterizzata da crescenti tensioni sociali e da valori culturali mutevoli. Di conseguenza, i miti iden- titari sono oggi da considerarsi un segno distintivo chiave che la marca con il suo apparato simbolico è capace di evocare e proporre al consumatore. Nel prossimo paragrafo, analizzeremo nel dettaglio il concetto di “cul- tural branding” e come questo contribuisca nel tempo a rendere le marche icone culturali. li 2. Cultural Brand: icona della contemporaneità e Il paradigma del cultural branding rappresenta il complesso processo ng attraverso cui le marche assumono significati e valori culturali (Pineda, Sanz-Marcos e Gordillo-Rodríguez, 2020), divenendo dei “cultural brand” (Askegaard, 2006; Cayla ed Eckhardt, 2008; Holt, 2004). I cultural brand sono “narratori di miti”: marche che materializzano in storie la risoluzione oA di acute tensioni sociali vissute dalla società, generate da una dicotomia tra le aspirazioni dei singoli individui e le ideologie societarie prevalenti. Nel rappresentare la risoluzione di questi conflitti, il cultural brand si fa porta- voce di valori culturali cogenti (Holt, 2003). c Un cultural brand diventa generalmente un simbolo ampiamente rico- nosciuto all’interno della società per essere portatore di specifici significati an e valori culturali. In tali circostanze, il cultural brand può trasformarsi in un’icona culturale (Fournier e Alvarez, 2019; Holt, 2004; Testa, Cova, e Cantone, 2017). Fr Storicamente, il concetto di icona si riferisce a opere d’arte religiose che raffigurano soggetti sacri, come santi, divinità o aspetti della fede. Le icone sono considerate, in un certo senso, sacre di per sé, ma fungono an- che da veicoli tangibili della Grazia Divina verso i devoti umani, attraverso una combinazione di semplificazione delle forme più complesse di signi- ficato e la loro (ri)sacralizzazione all’interno del contesto di rituali, che richiedono tempo e dedizione. Nella nostra società contemporanea esistono numerose icone culturali legate al mondo dei consumi, per esempio prodotti come il whisky (Holt, 2006) o il gin (Pedeliento, Andreini e Dalli, 2022) sono riconosciuti non più solo come bevande ma come simboli con specifici significati rilevanti, 15 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. come l’indipendenza, le conversazioni intellettuali, la convivialità, l’edoni- smo, e lo stile di vita cosmopolita (Pedeliento et al., 2022). Un’icona culturale è definita come “una rappresentazione visiva, uditi- va o testuale commercializzata, ma sacralizzata, ancorata in un contesto temporale/storico e spaziale/geografico specifico, ampiamente riconosciuta dai suoi destinatari come avente uno status iconico per un gruppo di agenti umani all’interno di uno o più campi/discorsi” (Sørensen e Nielsen, 2015, p. 6). Con l’evolversi dei mezzi di comunicazione di massa nel XIX secolo, tra cui libri, riviste e giornali, e l’introduzione del cinema negli anni ’30 e della televisione negli anni ’50, e ora con piattaforme digitali come You- Tube, la diffusione delle icone culturali è diventata una pratica non solo di notevole importanza ma anche particolarmente accelerata. In tempi recenti, non solo i prodotti di consumo, ma anche le marche li sono state accolte come icone culturali ampiamente riconosciute (Fournier e e Alvarez, 2019; Holt, 2004; Testa et al., 2017). Ad esempio, la marca Budweiser è icona della virilità nella società occidentale (Holt, 2004) men- cowboy (Holt, 2006). ng tre Jack Daniels è simbolo dell’America occidentale, spesso associata ai Tuttavia, così come per le icone religiose, il processo di elevazione di una marca allo status di icona culturale è un processo graduale che richie- oA de tempo e dipende da diversi fattori. Tra questi, secondo Holt (2004) è fondamentale che una marca sappia leggere, interpretare e dare espressio- ne alle tensioni sociali, incarnando i valori culturali cogenti e prioritari all’interno di una determinata società in uno specifico momento storico. c Questo significa che una marca iconica è capace non solo di intercettare lo Zeigeist, ma anche e soprattutto di dargli forma ed espressione, diventando an così un segno distintivo di riconoscimento di quel particolare sentire, figlio di un qui e ora altamente contestualizzato nello spirito del tempo (Biraghi, Gambetti e Beccanulli, 2020). Le marche iconiche non solo sanno adattarsi Fr al momento storico, ma devono anche essere capaci di stabilire legami e diventare nesso di aggregazioni e affiliazioni. In questo senso diventano simboli e segni distintivi di appartenenza a una determinata ideologia (Holt, 2003; 2004) ed espressione dei miti identitari ad essa collegati. Le marche iconiche vengono quindi spesso incorporate ed esibite dai collettivi di consumo come segno distintivo della loro affiliazione a uno specifico gruppo o possono essere anche generative di nuove forme di aggregati. Nel paragrafo successivo, definiremo i “collettivi di consumo” e appro- fondiremo il ruolo che essi svolgono nel plasmare le marche come icone culturali. 16 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 3. I collettivi di consumo I collettivi di consumo rappresentano network di relazioni sociali tra in- dividui che si formano intorno a specifici interessi, oggetti, brand, e piatta- forme digitali (Arnould, Arvidsson, Eckhardt, 2021; Ramaswamy e Ozcan 2018; Humphreys, 2016). I collettivi di consumo condividono tratti distintivi che rivelano legami interpersonali tra i membri del network che trascendono la mera cono- scenza reciproca (Humphreys, 2016). Il sociologo Émile Durkheim (1928) fu uno dei primi precursori nel delineare le caratteristiche distintive di questi network e nel chiarire come essi possano dar vita ad un organismo sociale più ampio e coeso rispetto alla somma delle singole parti. Secon- do Durkheim, la caratteristica distintiva principale di questi collettivi di li consumo risiede nella creazione di un profondo senso di identità collettiva. e Questi network di relazioni sono costituiti da individui che si percepiscono come parti di un tutto unificato, che condividono valori, ideologie, una ng visione del mondo e un approccio alla vita che li accomuna e li spinge a pensare e agire all’unisono come un unico organismo sociale. Oltre a Durkheim, si è sviluppata negli anni una vasta letteratura che ha tentato di delineare le caratteristiche chiave dei collettivi di consumo (Belk oA e Costa, 1998; Celsi, Rose e Leigh, 1993; Kozinets, 2001; Thornton, 1995; Kozinets, 1999, p. 254; Kozinets, 1997; Cova et al., 2007; Maffesoli, 1996; Belk 2013; McQuarrie, Phillips e Miller, 2013). Tra i diversi studi emergo- no due principali caratteri riconosciuti come comuni a tutti i collettivi di c consumatori. Innanzitutto, questi collettivi condividono una “coscienza di an appartenenza” (Gusfield, 1975), che rappresenta la percezione di un senso di affiliazione tra i membri di un gruppo (Belk e Costa, 1998; Cova et al., 2007). I collettivi possiedono poi un linguaggio e un vocabolario specifico e condiviso (Humphreys, 2013). I collettivi sono inoltre caratterizzati dalla Fr “condivisione di rituali e tradizioni” (Cova et al., 2007), dove i rituali sono azioni o sequenze di azioni che vengono eseguite collettivamente e che ri- vestono un significato particolare per il gruppo (Collins, 2004). Con l’avvento della digitalizzazione e, in particolare, dei social media, i collettivi di consumatori hanno conosciuto una significativa proliferazione. Questi network di relazioni si sono moltiplicati, spesso con dimensioni più contenute, grazie alla facilità e alla rapidità con cui è possibile instaurare relazioni online. Tuttavia, le piattaforme tecnosociali (social media, app, piattaforme di video-conferenza e live streaming) hanno reso altrettanto facile il dissolvimento di molti di questi collettivi. La possibilità di inter- rompere le relazioni sui social network e creare distanza tra gli individui 17 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. è immediata, facile e veloce. Inoltre, il dissolvimento è intrinsecamente legato all’instabilità dei modelli sociali, dei valori culturali e dei significati, che proliferano, evolvono e scompaiono rapidamente sulle piattaforme in- terconnesse. Di conseguenza, dall’avvento delle piattaforme tecnosociali come prin- cipale contesto all’interno del quale viene instaurata e consumata la sociali- tà, si è determinato un incessante processo creativo di formazione e dissol- vimento dei collettivi di consumatori. Nel corso del tempo, questo processo ha dato origine a una variegata tipologia di collettivi di consumo, tematica che verrà ulteriormente approfondita nel prossimo paragrafo. 3.1. Tipologie di collettivi di consumo e il loro contributo nella li realizzazione di un brand iconico e I collettivi di consumo possono essere organizzati sulla base di un con- ng tinuum che si muove dalle forme di aggregazione più solide e durevoli a quelle più liquide ed effimere (Bardhi ed Eckhard, 2017; Arnould et al., 2021). Dal lato più solido possiamo pensare alle sottoculture, alle commu- nity fino alle tribù. Sul versante della liquidità emergono invece i brand oA public e i network basati sulla connettività e sulle conversazioni istantanee, benché oggi tutte le forme di aggregazione presentino una tendenza verso la transitorietà delle affiliazioni. Le sottoculture di consumo hanno preso forma prima dell’avvento di c Internet e si definiscono come gruppi di individui accomunati dalla condi- visione di valori culturali e ideologici simili (Belk e Costa, 1998; Celsi et an al., 1993; Kozinets, 2001; Thornton, 1995). Nello specifico, le sottoculture di consumo si sono diffuse verso la fine del ventesimo secolo, quando c’è stata una crescente alfabetizzazione dei consumatori e un aumento dei mezzi di comunicazione di massa. Questi mezzi hanno contribuito a uni- Fr formare i valori e i significati culturali e subculturali tipici del mondo occi- dentale tra i consumatori (Celsi et al., 1993): moda, sport, musica, cinema e modelli sociali sono stati polarizzati, creando un terreno comune per l’ag- gregazione (Campbell, 1987; Celsi et al., 1993). In seguito, poi, l’avvento di Internet ed in particolare delle piattaforme social media hanno contribuito a sviluppare un’altra tipologia di collettivi di consumo: le comunità virtuali di consumo. Esse identificano un sotto- gruppo specifico di comunità virtuali (Hagel e Armstrong 1996; Rhein- gold, 1993) in cui le relazioni, similmente a quanto avviene per le sotto- culture di consumo, si basano su coesione culturale ma anche su empatia, il desiderio comune di formare una comunità, comprensione reciproca 18 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. e scambio di consigli reciproco (Kozinets, 1999, p. 254; Kozinets, 1997; 2001). Queste comunità rappresentano una nuova forma di socialità che prolifera online, ma che non sostituisce completamente gli incontri fisici o le fonti di informazione provenienti dai media tradizionali. In altre pa- role, una forma di socialità in cui la connettività online viene considerata “un importante complemento di un ampio repertorio di attività sociali che comprendono sia interazioni fisiche che online” (Kozinets, 1999, p. 253). Analogamente, un’altra tipologia di collettivo definita brand community si distingue “per non essere geograficamente vincolata e per essere un gruppo specializzato, basato su una rete strutturata di relazioni sociali tra ammiratori di una marca specifica”. Questo collettivo, come le comunità virtuali di consumo, si forma prevalentemente online, ma si incontra anche in spazi fisici (Muñiz e O’Guinn, 2001, p. 41). Caratteristiche peculiari di li questi collettivi sono che dimostrano “una consapevolezza di appartenenza ad una comunità, condividono scopi e intenti, rituali e tradizioni, e si sen- e tono moralmente responsabili nei confronti della comunità e dei suoi mem- ng bri individuali” (Ibid., p. 43; Cova et al., 2007). Mentre le comunità sono tenute insieme da una forte consonanza e omogeneità valoriale, le tribù di consumatori (Maffesoli, 1996; Cova et al., 2007) costruiscono il loro legame sul fare e sulle azioni. Sono “una rete di oA persone eterogenee – in termini di età, sesso, reddito – che sono legate da una passione o un’emozione condivisa. Tali sentimenti li portano spesso a compiere azioni collettive, per cui, ad esempio, i suoi membri non sono mai solo semplici consumatori di marche, ma ne sono anche sostenitori c (Cova e Cova, 2002, p. 602) e talvolta diventano anche ideatori di inno- vazioni e di nuovi progetti imprenditoriali legati agli oggetti di consumo an che adoperano per agire le loro passioni (Biraghi, Gambetti e Pace, 2018). In altre parole, le tribù di consumatori che sviluppano una co-dipendenza con una specifica marca, non riescono mai a consumarla senza aggiun- gervi o togliervi qualcosa e senza far sì che essa entri inerentemente come Fr elemento portante della loro vita (Cova et al., 2007). Tuttavia, nel tempo, la connettività tecnologica gli ha permesso di esprimere in modo quasi incontrollato le loro azioni proattive nei confronti della marca, per cui i membri delle tribù sono entrati in una spirale di comunicazioni ed intera- zioni egocentriche che hanno prodotto una socialità solipsistica che gli ha dato la percezione di essere al pari delle marche o addirittura con il potere di opporsi apertamente ad esse. In relazione alla socialità solipsistica legata alle forme di “networked individualism” (Foth and Hearn, 2007; Fisher, 2014; Ritzer e Miles, 2019), una recente tipologia di collettivo di consumo sono i “brand public” (Ar- vidsson e Caliandro, 2016). Questi sono emersi in risposta a nuove condi- 19 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. zioni sociali ed economiche, come la mobilità globale (Brembeck, Chocoi e Moisander, 2015; Dholakia, Reyes e Bonoff, 2015; Figueiredo e Uncles, 2015; Hansson, 2015) e il consumo liquido (Bardhi ed Eckhard, 2017). Tali fenomeni hanno accentuato l’essenza solipsistica della socialità nelle forme contemporanee di collettivi di consumatori online, che sono sempre più incentrati su se stessi e basati su interazioni para-sociali. Diversi ricercatori hanno dimostrato come, sulle piattaforme online, le relazioni tra consu- matori siano meno strutturate e più autoreferenziali e fluide (Belk, 2013; McQuarrie et al., 2013). Questo si riflette nei brand public, collettivi di consumatori che si aggregano online e in cui i consumatori sono coinvolti in legami transitori e temporanei e forme immediate di interazione perché esse gli permettono di aumentare la loro visibilità e reputazione personale sulle piattaforme online. I brand public rappresentano una forma di sociali- li tà mediata tecnologicamente e orientata agli obiettivi, in cui la connettività tecnologica è finalizzata a generare visibilità personale invece che creare e legami forti e significativi e un senso di identità collettiva (Arvidsson e Ca- liandro, 2016). ng Solitamente, i collettivi di consumo, specialmente quelli che si formano in opposizione alle norme sociali predominanti, stabiliscono legami con cultural brand di cui apprezzano i significati e valori culturali. Questi le- oA gami si sviluppano perché i collettivi vedono i significati e valori culturali del cultural brand come affini al sistema valoriale, al sentire, ai rituali, alle azioni del collettivo e desiderano assimilarli per arricchire le risorse a di- sposizione del collettivo e il suo sistema di significati identitari e simbolici. c Quando i collettivi di consumo si associano ai cultural brand avviene uno scambio sinergico e reciproco di significati e valori culturali tra di an loro: i cultural brand contribuiscono con i loro significati e valori culturali, mentre i collettivi di consumo cedono i propri al cultural brand. Da questa ricezione, i cultural brand rinforzano o espandono il loro mito identitario (Holt, 2016), trasformandosi in un simbolo condiviso dei significati e va- Fr lori culturali del collettivo. Questo li rende una manifestazione tangibile del collettivo, offrendo ai consumatori che considerano quel gruppo come un’ispirazione un mezzo per avvicinarsi ad esso e per esprimere la propria identità aspirazionale (Holt, 2004). Uno degli esempi più emblematici di scambio sinergico e reciproco di significati e valori culturali è quello che ha coinvolto la sottocultura delle Bobby Soxers e il marchio Levi’s Strauss. Le Bobby Soxers, collettivo di giovani consumatrici americane parti- colarmente attive nella seconda metà del Novecento, prendevano il loro nome dai calzini corti, o “bobby socks”, che erano solite indossare. Que- ste adolescenti, icone di giovinezza, vitalità e desiderio di emancipazione 20 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. da una società dalle rigide convenzioni, incarnavano valori quali libertà, intraprendenza e indipendenza in un’epoca in cui il ruolo della donna era ancora marginale. Nello stesso periodo, Levi’s Strauss aveva sposato il mito identitario della “resistenza” a favore dei lavoratori. Infatti, in un momento di restau- razione sociale, il brand stava rivoluzionando l’abbigliamento da lavoro, creando capi comodi e adatti a qualsiasi mansione, per uomini e donne. Con questa produzione di capi che metteva tutti nelle condizioni di avere pari opportunità, Levi’s Strauss voleva battersi per l’egualitarismo. Agli occhi delle Bobby Soxers, dunque, Levi’s Strauss rappresentava un simbolo capace di attualizzare i loro ideali di indipendenza e ribellione alle condi- zioni sociali. Quindi, a metà degli anni ’50, le Bobby Soxers adottarono Levi’s Strauss come il loro cultural brand di riferimento. Non passava gior- li no che non indossassero gli iconici jeans, creando scalpore nei loro gruppi sociali di riferimento, in particolare nelle famiglie, non abituate a vederle e indossare pantaloni. Tuttavia, le Bobby Soxers continuavano a comprare e consumare Levi’s Strauss per mostrare al mondo quanto le loro identità ng fossero affini ai valori rappresentati dal brand. D’altra parte, tale adozione ebbe benefici anche per Levi’s Strauss che da quel momento venne ricono- sciuto come il brand delle giovani donne in ascesa, donne libere, intrapren- oA denti ed indipendenti. Questa percezione rafforzò ed espanse la sua identità di cultural brand, perché fece sì che esso fosse affiliato, e quindi introiet- tasse nella sua identità di marca, i valori culturali di libertà, intraprendenza ed indipendenza. Levi’s Strauss fu uno dei primi brand in quel periodo storico a sposare e identificare questi valori, posizionamento che lo rese c un’icona, ruolo che ancora oggi ricopre per gli stessi valori1. an Un esempio più contemporaneo di associazione e scambio sinergico tra collettivi di consumo e brand è quello rappresentato dalla comunità LGBTQ+ con Oreo. La comunità LGBTQ+, composta da giovani adulti e adulti, incarna valori quali uguaglianza, inclusione, dignità, giustizia e Fr autenticità. I membri di questa comunità sono stati consumatori di Oreo fin da bambini, in quanto il brand rappresentava valori di condivisione, gioia e spensieratezza. Negli ultimi anni, la comunità LGBTQ+ ha dovuto affrontare svariate battaglie e proteste per ottenere pari opportunità e diritti in vari ambiti, dal lavoro alla vita privata. In questo contesto, Oreo, che aveva visto crescere questi individui, ha riconosciuto nei loro bisogni e rivendicazioni un movi- mento di grande cambiamento sociale e si è quindi schierato apertamente a favore dei loro diritti, facendone il suo mito identitario. Ad esempio, 1 https://time.com/vault/issue/1950-02-27/page/88/ 21 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. famosa è la linea di biscotti di diversi colori promossi nel mese del Pride del 2020. Il Pride è una celebrazione iniziata e a sostegno della comunità LGBTQ+, durante la quale il cultural brand ha promosso un’edizione spe- ciale dei suoi biscotti con ripieno color arcobaleno, che ricordava i colori della bandiera del Pride, per celebrare e promuovere la diversità, l’inclusivi- tà e sostenere l’uguaglianza. Per questo posizionamento coraggioso e per la sua storica associazio- ne a felicità, serenità e gioia, la comunità LGBTQ+ ha scelto Oreo come cultural brand di riferimento. Da questa affiliazione è nata una reciproca adozione di valori: Oreo ha trasmesso alla comunità i suoi valori di con- divisione, gioia e spensieratezza, rafforzando la loro identità. Allo stesso tempo, esso ha assunto dalla comunità i valori di uguaglianza, inclusio- ne, dignità, giustizia e autenticità, espandendo la propria identità. Questa li estensione ha fatto di Oreo il brand riconosciuto a livello globale come il brand dell’inclusività. La sua capacità di connettersi con valori universali e come la gioia e la condivisione, il suo impegno per i diritti LGBTQ+ in un momento di tensione sociale e l’affiliazione a questa comunità lo hanno ng reso ad oggi un’icona globale2. Tuttavia, talvolta, questo scambio sinergico e reciproco pone i cultural brand di fronte a sfide, soprattutto quando i significati e valori culturali oA che ricevono dai collettivi non sono in sintonia con quelli che avevano pre- cedentemente promosso. Talvolta, infatti, i collettivi si appropriano di una marca e contribuiscono a plasmarne e modificarne i significati dal punto di vista socioculturale, anche con esiti decrementali per la marca stessa. c Poiché poi, nel contesto attuale dove i collettivi sono mediati essenzial- mente dalle piattaforme tecnosociali, questo scambio avviene senza filtri an né barriere, quindi spesso i collettivi cedono significati e valori culturali che i cultural brand non desiderano assimilare. Anche se questi ultimi non attingono da tali significati e valori culturali per rafforzare o espandere il loro mito identitario, la visibilità del collettivo li fa comunque diventare un Fr simbolo riconosciuto del collettivo, e quindi dei significati e valori culturali che non condividono. Nel paragrafo successivo, esamineremo due casi di cultural brand del settore della moda, che sono diventati iconici grazie al legame con due sot- toculture specifiche. In entrambi i casi, legati al mondo della criminalità e della violenza, i collettivi si sono appropriati dei segni distintivi delle loro marche focali e hanno creato mitologie identitarie non allineate con i si- gnificati e valori culturali che le marche volevano esprimere. 2 https://medium.com/@rsoko/cultural-brand-management-oreo-celebrates-lgbtq- families-d705ecac983c 22 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 4. Borsalino e i Chicago Outfit I Chicago Outfit furono un clan italo-americano fondato nei tumultuosi anni ’10 del ventesimo secolo. Questo collettivo della criminalità organiz- zata si distinse per la sua audace lotta contro il Proibizionismo, soprattutto nel cuore di Chicago. Il clan dominò il mercato clandestino dell’alcool per diversi anni, sposando valori e ideologie quali perdizione, sfrenatezza, ca- pitalismo e criminalità (River, 2019). Il clan prese particolarmente potere negli anni ’20 sotto la guida cari- smatica di Alphonse Gabriel Capone, noto come “Al”, Capone. Durante quel periodo, il clan fu coinvolto in sanguinose guerre con altri clan per il controllo sulla distribuzione di alcolici illegali. Da quel momento, la lista di attività criminali di cui il clan si macchiò, tra cui usura, gioco d’azzar- li do, estorsione e corruzione si ampliò notevolmente (Binder, 2003). Il decli- e no iniziò con l’arresto di Al Capone nel 1931 ma, nonostante ciò, i Chicago Outfit rimasero e restano uno dei gruppi criminali organizzati più noti. Ciò ng che li contraddistingueva da altre organizzazioni criminali era la loro coe- sione fin dalla fondazione, caratterizzata da un profondo senso di responsa- bilità morale e un’identità collettiva ben definita. Questo gruppo criminale aveva un’identità unica, caratterizzata, ad esempio, da un’estetica distintiva oA (Cairati, 2023), ispirata al gusto di Al Capone. Al Capone, nato in America da genitori di origine italiana, fu un avido gangster che costruì in America un impero milionario attraverso attività di contrabbando e gioco d’azzardo, prima di essere perseguito per reati fiscali c (Gargantini, 2013). La sua notorietà è paragonabile a quella di grandi divi an di Hollywood, e il suo mito, sebbene controverso, sopravvive ancora oggi (Gargantini, 2013; Balzarotti e Miccolupi, 2017). Capone era una figura ec- centrica, di grande potere, con una vasta cultura, in particolare sulla stra- tegia navale e Napoleone, audace ed innegabilmente elegante. Egli divenne Fr infatti noto per la sua passione per la marca Borsalino, che indossava in ogni occasione, anche quando venne arrestato la prima volta. Borsalino, è una marca italiana di cappelli fondata ad Alessandria nel 1857. Negli anni ’20 era la marca di riferimento della borghesia italiana per il mito identitario che al tempo sposava. In tale mito identitario, il cul- tural brand raccontava il superamento dell’incertezza sociale e del riformi- smo della borghesia liberale (Ballerino, 2010) dovuta al momento di pas- saggio dalla fine dell’ottimismo e delle certezze che avevano caratterizzato la Belle Époque sostenendo i valori tipici della “dolce vita” italiana, come l’apprezzamento per la bellezza, il benessere, l’importanza delle relazioni significative, l’indipendenza, l’esclusività e la cultura. 23 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Tutti questi significati e valori culturali ebbero una particolare rilevanza per Al Capone, il quale, essendo nato da una modesta famiglia italiana, desiderava enfatizzare la sua eredità e la sua identità di uomo che apprez- zava la bellezza, il benessere sofisticato, le relazioni influenti, l’audacia e la cultura. Dopo che Al Capone l’abbracciò come cultural brand di riferimento, in breve tempo, Borsalino divenne una scelta di abbigliamento iconica adot- tata da tutti i membri del clan dei Chicago Outfit. Questi lo indossavano in ogni occasione, il che portò la marca a comparire frequentemente nei media nazionali e internazionali (Cairati, 2023). Questa visibilità mediatica contribuì a rendere la marca un simbolo identificativo del clan criminale, ma anche a renderla iconica. Infatti, in quegli anni i Chicago Outfit, e soprattutto Al Capone, erano li considerati dalle figure aspirazionali dai giovani americani perché in gra- do di offrire opportunità per godere appieno della giovinezza, divertirsi e e sfuggire alle restrizioni del Proibizionismo. Di conseguenza, molti di loro iniziarono ad acquistare cappelli Borsalino, che divenne rapidamente la ng marca di punta tra tutti i giovani americani3. Inoltre, la costante esposi- zione delle attività mafiose nei media, che durò fino agli anni ’80, ispirò l’industria cinematografia di Hollywood a produrre numerose opere che oA narravano le gesta e le vicissitudini della malavita organizzata. In queste opere, i gangster indossavano regolarmente Borsalino, prendendo ispira- zione dall’estetica di Al Capone e dei suoi seguaci. Attori celebri come Bogart in Casablanca e Delon in Borsalino, impersonavano tutti gangster e venivano rappresentati con indosso il Fedora, proprio come Al Capone e c i membri dei Chicago Outfit. Questi film garantirono soprattutto alla marca an l’iconicità intramontabile di cui gode ancora oggi. In conclusione, l’adozione di Borsalino da parte di Al Capone e del clan Chicago Outfit ha sicuramente contribuito a trasformare questa marca in un’icona culturale. Tuttavia, per questo legame, la marca ha subito una Fr reinterpretazione. Essa è stata associata ai significati e valori culturali della malavita, diventando un simbolo riconosciuto di liberazione dal Proibizio- nismo, libertà, divertimento sfrenato, ma anche intimidazione, omertà, se- gretezza e trasformazione dei diritti in favori. Tutti questi aspetti si disco- stavano dai significati e dai valori culturali originali della marca, che erano basati su quelli della “dolce vita”. Borsalino è stato però in parte in grado di bilanciare queste associazioni, riconoscendo che veniva altresì associato a significati come eccentricità, potere, cultura ed eleganza anch’essi propri dei clan della malavita, ma più vicini a quelli originari. 3 https://thegentleman.me/quale-cappello-scegliere-tra-il-borsalino-il-fedora-o-il-trilby/ 24 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 5. Stone Island e gli Hooligans Gli Hooligans costituivano un collettivo eterogeneo di giovani appar- tenenti a diverse sottoculture inglesi unite dall’interesse verso il calcio e dalla tifoseria da stadio. Questo collettivo prende piede negli anni ’60 in Inghilterra e si distingue per l’identità coesa dei suoi partecipanti, che si identificava in valori quali aggressività, mascolinità ostentata, propensione al conflitto, difesa ideale di spazi collettivi, senso dell’onore legato alla so- praffazione dei rivali, prestigio comunitario assicurato dal riconoscimento di coraggio e ricerca di eccitazione che lo scontro può generare (Dunning, Murphy e Williams, 1984). Gli Hooligans, infatti, passarono alla storia per la violenza degli scontri che generarono negli stadi inglesi e transnazionali con i tifosi delle squadre calcistiche avversarie e le squadre di polizia tra li gli anni ’60 e ’90 del Novecento. Il fenomeno della tifoseria da stadio violenta affonda le sue origini e nell’Ottocento. Tuttavia, esso diventa un fenomeno preponderante negli ng anni ’60 quando inizia a intrecciarsi con sottoculture britanniche come i Teddy Boy o gli Skinhead. Entrambe queste sottoculture nascono nei sob- borghi londinesi con l’obiettivo di contrastare il sistema classista inglese e ribellarsi all’austerità sociale imposta dal governo dopo la Seconda guerra oA mondiale (Ottone, 2022). Si trattava di ragazzi della classe operaia che si sentivano emarginati ed erano riluttanti all’idea di obbedire all’ordine precostituito, desiderosi di attirare l’attenzione di quei ceti sociali che non li avevano mai considerati. I comportamenti, quali risse, piccoli furti e c scontri con la polizia, erano gli strumenti con cui materializzavano questo mito identitario, mentre il calcio era stato assunto come rito paradigmatico an e momento di riscatto sociale di queste sottoculture (Ottone, 2022; Zulia- ni, 2021). Queste due sottoculture si unirono ai tifosi di calcio sugli spalti de- gli stadi, creando una macro-sottocultura, gli Hooligans. Sugli spalti, gli Fr Hooligans diedero sfogo alle proprie frustrazioni sociali e manifestazione del loro mito identitario. Questo riguardava il superamento di una divisione classista basata su appartenenze sociali, attraverso valori culturali come la rivalsa, la mascolinità (Dunning et al., 1984), la vendetta, il coraggio, la tenacia, l’unità, ma anche la violenza. In nome di questo mito identitario diedero vita a diversi disordini. Tali disordini, estremamente violenti, avviarono un’ondata di isteria col- lettiva in Inghilterra, che vide negli Hooligans il simbolo e il capro espia- torio della decadenza della nazione, nonché l’incarnazione di quella nuova devianza e delinquenza giovanile che esplodeva contemporaneamente nelle metropoli di molti Paesi (Pajaro, 2021). 25 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Fino agli anni ’90, un numero sempre maggiore di ragazzi scalmanati, popolò gli stadi attaccando arbitri e giocatori avversari. I settori più po- polari dello stadio, le cosiddette “end”, divennero il luogo di aggregazione ideale dove poter affermare la propria autorità attraverso la violenza, a discapito di quei tifosi anziani e pacifici che furono in fretta emargina- ti e allontanati (Pajaro, 2021). Tali furono le violenze di questo periodo, che le squadre di polizia della regina furono chiamate ad intervenire per contenere risse e aggressioni ed impedire che degenerassero in situazioni incontrollabili e causassero danni a persone esterne. Tuttavia, questa dispo- sizione delle forze dell’ordine, non fece altro che fomentare la rabbia degli Hooligans, portandoli persino a commettere violenze contro la polizia stes- sa (Thornton, 2013). In questo stesso periodo, il ruolo dei media fu cruciale per la notorietà li di questo collettivo e per fomentarne ulteriormente la violenza. Se fino a e quel momento i giornalisti si erano limitati a redigere report incentrati solo sull’andamento delle partite, l’entrata massiccia delle televisioni nel mondo ng del calcio e nelle case di milioni di cittadini cambiò il modo di fare infor- mazione. Ai giornalisti venne infatti chiesto di raccontare anche del cattivo comportamento dei tifosi, ritenuto un argomento con cui fare notizia. In un momento in cui l’opinione pubblica inglese era tormentata dall’aumento oA della criminalità e violenza giovanile, i tabloid sfruttarono l’occasione per riportare un numero sempre maggiore di storie sugli scontri generati dagli Hooligans (Pajaro, 2021). Tale attenzione dei media e gli scontri sempre più violenti tra Hooligans e polizia, generò una grande ansia sociale, in In- c ghilterra ma anche in Paesi trans-nazionali. Altri Paesi, infatti, dove la tifoseria andava in trasferta, ricevevano noti- an zie manipolate dai media in merito agli scontri inglesi e questo provocava grande agitazione e malcontento. Per questo motivo, i controlli della poli- zia vennero attrezzati anche in questi Paesi quando le squadre inglesi erano Fr in trasferta. La polizia estera si adoperava prima di ogni partita e durante gli incontri per cercare di contenerli, attaccando a campione tifosi che ve- stivano i colori della squadra inglese ospite (Thompson, 2013). Questo fe- nomeno ha dato vita ad un comportamento distintivo che è diventato parte integrante dell’identità degli Hooligans. Essi avevano capito che se volevano passare inosservati durante le tra- sferte ma anche durante le partite nella loro città, dovevano abbandonare i colori delle loro squadre e vestire con un abbigliamento sobrio che non attirasse l’attenzione (Thompson, 2013). Una delle maggiori marche che venne scelta dagli Hooligans per questo intento fu Stone Island (Thomson, 2013). 26 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. Stone Island è un’azienda italiana nata nel 1982 a Ravarino e si distin- gue per la produzione di giacche da esterno con il materiale usato per rea- lizzare i teloni dei camion. Inoltre, l’azienda si differenzia perché propone vestiti che richiamano l’estetica militare, con colori come il verde mimeti- co, blu notte o beige, così come il logo: una mostrina militare con all’in- terno la Rosa dei Venti. Quest’ultima simboleggia l’amore per il mare del fondatore, diventando una metafora della infinita ricerca di nuovi tessuti, tecniche e linee (Stone Island official website) della marca. Gli Hooligans avevano scelto Stone Island principalmente per il suo allineamento ai significati del mondo militare, che associavano alla marca valori come coraggio, mascolinità, tenacia e unità che anche il collettivo condivideva. Tuttavia, il collettivo sposò Stone Island anche per il mito identitario e i valori che stava abbracciando in quegli anni. In quel periodo, li Stone Island si era legata alla subcultura italiana dei “Paninari” e si era ispirata ai loro significati e valori culturali per rafforzare il suo mito iden- e titario. I Paninari erano una sottocultura composta soprattutto da giovani ng della borghesia milanese. Essi promuovevano l’opposizione al fanatismo e l’attivismo politico tipico del decennio precedente, a favore di valori come libertà di espressione e disimpegno (Olivieri, 2018). Erano quindi associati a significati come ricchezza, agiatezza ed edonismo e valori culturali quali oA il piacere, il consumismo, il rilassamento e la felicità. Il fatto che Stone Island si associasse a questi significati e valori cultu- rali fu fondamentale per gli Hooligans. Essi che erano per lo più proletari bianchi, volevano indossare marche di riferimento della borghesia e spo- c sarne i valori per sovvertire alla rigida gerarchia classista. Per cui Stone Island si confermò la loro marca di riferimento. an Dalla metà degli anni ’80, Stone Island iniziò ad essere costantemente presente sugli spalti inglesi come uniforme di questa sottocultura. Siccome questa sottocultura aveva più rilevanza mediatica dei Paninari presto l’as- sociazione di Stone Island al collettivo milanese fu oscurata e la marca fu Fr assimilata e associata al mito identitario della violenta tifoseria da stadio inglese. Questo decretò l’ascesa all’iconicità del cultural brand (Thompson, 2013), ma per un mito identitario e valori culturali che non condivideva. Stone Island, come Borsalino, è stata in grado di bilanciare queste asso- ciazioni, riconoscendo che questi miti identitari e valori culturali stavano assurgendo come rilevanti per tutto il suo target di riferimento, la gioventù. Per questo preferì non distanziarsi, ma cavalcare la visibilità mediatica che poteva ottenere. Infatti, attualmente Stone Island rimane un brand rappresentativo e di riferimento per la tifoseria calcistica. Questo è evidente dalla proli- ferazione, negli ultimi anni, di diverse brand community sui social me- 27 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. dia (Stoneislandfooty Pagina Instagram; StoneIslandFoot Pagina Twitter; Ston_Island_Fight Pagina YouTube; Stone Island Football Club Gruppo Facebook). Questi collettivi si sono uniti intorno alla passione per la marca Stone Island e per il calcio e nelle loro community creano e postano conte- nuti che mettono in relazione la marca al calcio e che ne celebrano dunque il ruolo all’interno di questo sport. La maggior parte dei contenuti prodotti sono fotografie che ritraggono addetti ai lavori o tifosi che indossano Stone Island durante le partite. Oppure, sono fotomontaggi prodotti dai membri della brand community in cui applicano la marca Stone Island su giacche o divise indossate da allenatori o calciatori, simboleggiando così il fatto che anche le loro icone sportive considerano il marchio rappresentativo. Queste brand community, anche se piccole ed effimere, generano una comunicazione che rafforza l’associazione dalla marca con i valori cultu- li rali della tifoseria calcistica, sebbene essi non siano condivisi dalla marca. In alcuni casi, intensificano anche questa connessione, creando parallelismi e tra il marchio e specifiche figure del calcio che, pur non esistendo real- ng mente, legittimano il ruolo del marchio all’interno della sottocultura della tifoseria calcistica. oA 6. Conclusioni Indubbiamente le marche offrono al consumatore un ricco repertorio di segni distintivi che diventano simboli carichi di significati che i consuma- c tori utilizzano per costruire la loro identità e dichiarare e manifestare le lo- ro affiliazioni. Che gli individui mettano in atto pratiche di consumo sim- an bolico, intese come l’atto di acquistare o consumare beni e servizi non solo per le loro qualità materiali o funzionali, ma anche per i significati simbo- lici, le rappresentazioni culturali o l’identità sociale associata a tali beni o servizi, è ben noto dai contributi seminali con cui Pierre Lévy (1959) Fr e Grant McCracken (1988) hanno dato il via alle riflessioni che ci hanno condotto, anche grazie al contributo di Douglas Holt (2004), a vedere oggi le marche come risorse socioculturali, oltre che di mercato. Quando le per- sone consumano, simbolicamente si appropriano dei segni distintivi delle marche, per meglio esprimere chi sono, a quale gruppo sociale appartengo- no o quali valori condividono attraverso i prodotti o i servizi che scelgono di acquistare o utilizzare. Il consumo e l’esibizione di una marca come segno distintivo dell’essere diventano quindi processi nei quali possiamo vedere e analizzare il ruolo dei consumi nella costruzione dell’identità in- dividuale e collettiva e nella creazione di significati culturali. Le marche che riescono a insediarsi nel tessuto sociale come risorse socioculturali e 28 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. identitarie sono in genere quelle che sono state in grado di leggere con sen- sibilità il contesto all’interno del quale operano, di interpretarne i gusti, le tensioni e le contraddizioni, elevandosi anche al livello di diventare icone dei loro tempi e quindi di attrarre su di sé visibilità come nesso relazionale di affiliazioni e aggregazioni. Nel momento in cui queste marche, pregne di significati simbolici, entrano in contatto con dei collettivi di consumo, si può generare uno scambio sinergico e reciproco tra marca e gruppi sociali, in cui le due parti si cedono, scambiano e plasmano vicendevolmente significati e valori socioculturali. Questo scambio favorisce i cultural brand nel rafforzare ed espandere il proprio mito identitario (Holt, 2016), attirando verso le mar- che anche quegli individui che dal collettivo sono eventualmente esclusi, ma al quale aspirano a partecipare. La marca si fa quindi simbolo marca- li tore di confine, di chi è dentro, chi è fuori e chi vorrebbe entrare in quella sfera sociale. e Fin qui tutto bene dunque: la marca è segno distintivo, è simbolo, è ico- ng na, è connettore e moltiplicatore. Ma cosa accade se i significati di cui la marca è portatrice vengono appropriati, manipolati, snaturati del loro do- minio valoriale di appartenenza e portati verso altri piani di significazione? Il caso Borsalino e il caso Stone Island hanno mostrato che per la loro oA significatività socioculturale, i brand iconici sono fortemente esposti. Al Capone accoglie l’iconicità di Borsalino, la magnifica e la esalta, la rende un suo stesso segno distintivo, me nel farlo porta Borsalino nel mondo del- la criminalità organizzata e genera nuove associazioni potenti, che segnano c indissolubilmente chi la marca è. Se il Fedora è un capo iconico e Borsali- no è una marca iconica, indubbiamente anche Al Capone lo è. E le iconici- an tà di questi miti si intrecciano tra loro e si scambiano significati, diventan- do l’una segno distintivo dell’altra, anche grazie alle narrazioni costruite a livello mediatico, soprattutto in questo caso attraverso le rappresentazioni offerte dalla stampa e dall’industria cinematografica. Fr Per Stone Island, invece, la questione si fa più intricata a livello sociale. Qui sono numerose dinamiche di appartenenza ed esclusione e di rivalità tra gruppi sociali ad intersecarsi: le tifoserie, il revanscismo degli Hooli- gans, dei Teddy Boy, l’estremismo degli Skinhead, gruppi sociali che rap- presentano la conflittualità della lotta tra classi sociali, che spesso sfocia in episodi di violenza. La marca in questo caso diventa la bandiera, la divisa, il confine che segna la linea tra chi è dentro e chi è fuori. Cosa fare quindi quando la marca viene portata su piani di significazio- ne altri, critici e possibilmente detrimentali? Quello che possiamo notare è che Borsalino e Stone Island abbiano in parte anche deciso di cavalcare queste associazioni “incoerenti” per raggiungere l’ambita iconicità. Borsa- 29 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. lino ha riconosciuto che la sua ascesa a icona culturale non sarebbe stata possibile senza il legame con la figura di Al Capone e dei Chicago Outifit, anche se ciò implicava l’associazione a valori del clan mafioso. Tuttavia, ha sfruttato l’aura mediatica e la visibilità di cui Al Capone e i Chicago Outfit godevano, diventando un simbolo riconosciuto anche di significati e valori culturali quali eleganza, audacia, cultura, jet set sociali anch’essi appar- tenenti al clan della malavita. Questi erano i significati e valori culturali rilevanti per il pubblico di alto profilo al quale Borsalino voleva rivolgersi: la borghesia alto-spendente. Similmente, Stone Island ha scelto di non di- staccarsi dagli Hooligans, così da diventare icona culturale, nonostante ciò implicasse l’associazione a significati e valori culturali legati alla tifoseria violenta. Stone Island ha invece capitalizzato sulla rilevanza mediatica di questa sottocultura che gli ha permesso di emergere e di rimanere tutt’oggi li come marca di riferimento per tutti i giovani consumatori. Oggi nell’era dei social media, queste dinamiche di associazione e ac- e quisizione di iconicità sono diventate notevolmente più complesse rispetto ng al secolo scorso (Holt, 2016). Da un lato, l’avvento del social Web ha dato origine ad una varietà di collettivi di consumo, che possono sfruttare strumenti di comunicazione più rapidi e diretti per raggiungere e associarsi ai cultural brand. Questo ha oA aperto un’ampia gamma di opportunità sia per i collettivi di consumatori, che possono stabilire molti più legami con i cultural brand, che per le mar- che che possono aspirare a diventare icone culturali molto più velocemente. Tuttavia, questo le espone di più anche a legami indesiderati o alla perdita c dei legami per la rapidità con cui cambiano le affiliazioni sulle piattaforme sociotecniche. an È fondamentale inoltre riconoscere che, nel proliferare di questi legami, esistono oggi diverse tipologie di collettivi di consumatori, il che complica la natura di tali relazioni. Infatti, a seconda del tipo di collettivo di con- sumo, il legame può portare ad una profonda trasformazione del cultural Fr brand prima che esso diventi icona culturale, come nel caso delle tribù dei consumatori. Al contrario, in alcuni casi, si possono sviluppare legami meno solidi e più liquidi, come nei casi dei brand public, che data la loro effimerità, possono associarsi ad un cultural brand, avviare un processo sinergico e poi dissolversi, apportando un cambiamento alla marca ma poi abbandonandola prima di farla emergere ad icona culturale. Tuttavia, il so- cial Web offre ai cultural brand l’opportunità di monitorare in tempo reale i legami che si stanno creando tra essi e i collettivi di consumatori. Posso- no monitorare se vengono avvicinate da collettivi di consumo che cercano di attuare una profonda e proattiva trasformazione in essa, se ci sono se- gnali che il collettivo sta per dissolversi o se questo condivide significati 30 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. e valori culturali poco compatibili. Questa capacità di rilevare tempestiva- mente queste dinamiche consente ai cultural brand se necessario, di pren- dere le distanze da tali associazioni. In conclusione, il contesto sociale e sociotecnico attuale sta amplifican- do e accelerando i processi di cultural branding e di costruzione e manipo- lazione delle marche come segni distintivi di identità collettive. Le marche sono più esposte, più appropriabili, ma anche più capaci di entrare in dia- logo con i processi di generazione di significati, di valori, di associazioni e di affiliazioni. e li ng c oA an Fr 31 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. 2. Meccanismi, caratteristiche e comunicazione dei negative brand 1 di Maria Vernuccio, Federica Ceccotti, Michela Patrizi li 1. Il lato oscuro del consumatore e Negli ultimi decenni, abbiamo assistito a progressivi e importanti cam- ng biamenti di carattere economico, sociale, tecnologico e culturale, che han- no messo in discussione il ben noto modello di consumo guidato da logiche utilitaristiche e funzionali. Infatti, se in un passato, poi non così remoto, il termine “consumo” era associato quasi esclusivamente al con- oA cetto di “bisogno”, oggi, l’evoluzione degli scenari di mercato trasforma il consumo in uno strumento di comunicazione simbolica e di attribuzione sociale; in altri termini, l’individuo adotta sempre più un modello di consu- mo simbolico e valoriale (Piper & De Cosmo, 2022). c In questo scenario, la letteratura di marketing ha cercato di analizzare e interpretare le variabili che influiscono maggiormente sui comportamenti an di consumo, trovando risposte soddisfacenti nell’approfondimento della psicologia e della personalità dell’individuo, così come nel suo sistema valoriale. Numerosi studi, infatti, hanno messo in relazione i valori indivi- duali con i comportamenti di acquisto e consumo, giungendo alla conclu- Fr sione che ciascuno di noi è attratto da prodotti che mostrano tratti valoriali simili ai propri, parzialmente o totalmente sovrapponibili (Imm Ng et al., 2007). Per tale ragione, è cresciuta l’attenzione verso il concetto di “valo- ri”, nella duplice accezione positiva (valori) e negativa (disvalori). Tuttavia, notiamo come il dark side del consumatore e dei suoi compor- tamenti sia emerso nella disciplina del marketing in tempi piuttosto recenti. Al fine di comprendere il “lato oscuro” del consumatore dobbiamo gettare 1 Il capitolo è frutto di un lavoro di ricerca fortemente condiviso. Tuttavia, in sede di stesura è possibile attribuire il § 1 a Michela Patrizi, il § 2 a Maria Vernuccio e il § 3 a Federica Ceccotti. 32 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. le fondamenta su basi conoscitive consolidate, mediante incursioni in cam- pi di studio affini. In particolare, cercheremo di fornire una definizione di “disvalore”, partendo dalla ben più nota concettualizzazione della sua antitesi (valore), per poi affrontare i tratti oscuri della personalità dell’in- dividuo. Questo passaggio, ci consentirà di approfondire i comportamenti oscuri di acquisto e di consumo, focalizzando infine l’attenzione su quei prodotti e servizi identificabili con l’etichetta dark narratives. 1.1. Valori e disvalori: i tratti oscuri della personalità Nella letteratura accademica di marketing, vi è una sostanziale conver- genza nella definizione del concetto di “valori”, che affonda le sue radici li nelle parole dello psicologo sociale Milton Rokeach, e, in particolare, in uno dei suoi studi risalenti al “lontano” 1973. e “I valori sono convinzioni, criteri guida, che indirizzano la condotta ng individuale verso uno stato ideale, personalmente e socialmente preferibile rispetto ad altri stati e a condotte opposte” (Rokeach, 1973, p. 5). In particolare, in linea con la teoria “mezzi-fini”, i valori possono essere considerati strumentali (mezzi) quando individuano condotte e comporta- oA menti utili a raggiungere uno stato ideale desiderato, ovvero terminali (fini) quando identificano lo stato ideale e la condizione verso cui l’individuo volge (Vinson et al., 1977). Nella letteratura di marketing, si è soliti proporre una classificazione dei c valori in tre categorie: 1) valori personali; 2) valori culturali; 3) valori di consumo (Lai, 1995). Questa sistematizzazione, tuttavia, non deve trarre in an inganno, in quanto le tre classi di valori individuate non sono “silos” non comunicanti. L’articolazione proposta, infatti, si configura come un tentati- vo di offrire una chiave di lettura del complesso sistema valoriale degli in- dividui, partendo dalla premessa di reciproca influenza tra le tre categorie Fr individuate. Nel dettaglio, i valori personali sono convinzioni specifiche, di caratte- re duraturo, sullo stato esistenziale che gli individui considerano desidera- bile per loro stessi. I valori personali, inoltre, hanno il compito di guidare le risposte razionali, attitudinali e comportamentali dell’individuo, quando lo stesso è in situazioni e circostanze specifiche. Questi valori possono essere descritti come una rappresentazione cognitiva dei bisogni persona- li, che subisce, tuttavia, modifiche nel tempo a fronte dell’apprendimento personale, familiare, sociale e culturale (Clawson & Vinson, 1978). In altre parole, gli ambienti culturali, sociali e familiari hanno la capacità di in- fluenzare la formazione e lo sviluppo delle convinzioni individuali. Di con- 33 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. seguenza, è doveroso far notare quanto i valori personali si costituiscano come un sistema complesso, che tiene conto non solo della personalità di ciascun individuo, ma anche della realtà che lo circonda. I valori culturali, invece, possono essere definiti come un insieme di convinzioni ampiamente condivise su ciò che è desiderabile e vantaggio- so all’interno di una società. Al pari dei valori personali, anche i valori culturali subiscono influenze da altri fattori. Infatti, non solo non possono essere considerati universalmente validi all’esterno della società stessa (ete- rogeneità esterna), ma anche all’interno possono presentare tratti di diso- mogeneità, in quanto l’adozione degli stessi avviene su base individuale e, di conseguenza, possono non essere condivisi all’unanimità. Alcuni valori potrebbero, infatti, essere seguiti solo da una piccola parte della comunità, mentre altri valori potrebbero essere accettati in modo assai diffuso. Ad li esempio, il valore sociale della “realizzazione” potrebbe manifestarsi con modalità diverse, se non opposte, nella mente di due individui che hanno e valori personali, così come background familiari non coincidenti. ng Se i valori personali e culturali possono essere considerati terminali, in quanto identificano lo stato esistenziale ideale verso cui volgere, i valori di consumo mostrano i tratti della strumentalità. Questi, infatti, si riferiscono alle credenze soggettive circa le modalità e le condotte più appropriate per oA il raggiungimento dei valori personali e, per mutua influenza, dei valori culturali. In altre parole, i valori di consumo sono lo strumento introdotto dagli individui per “andare a meta”, e cioè raggiungere lo stato esistenziale desiderabile per se stessi e per la società. Ad esempio, possedere una casa c elegante e un’auto prestigiosa sono comportamenti di acquisto e consumo desiderabili per raggiungere uno stato finale di realizzazione personale e an sociale. Assistere alle partite di calcio, andare ad un concerto o fare una vacanza, invece, sono attività funzionali al raggiungimento di uno stato di divertimento e svago. Definite le declinazioni del concetto di valore, è quindi opportuno porsi Fr un quesito di fondo: “cosa sono i disvalori?”. Per rispondere a questa do- manda, riteniamo necessario “scomodare” il filosofo Max Scheler (1973), secondo il quale: “I disvalori sono controtendenze che inficiano l’espleta- mento di comportamenti moralmente giusti” (Scheler, 1973, p. 355). I disvalori, infatti, non rappresentano la mera negazione logica di un va- lore positivo (es., non bene), ma qualità in conflitto e contrarie alle rispetti- ve controparti positive (es., male vs bene). Di conseguenza, i disvalori sono caratterizzati da una classificazione opposta e contraria all’articolazione in- dividuata per i valori corrispondenti (Piper & De Cosmo, 2022). Pertanto, anche i disvalori, al pari della loro antitesi positiva (valori), possono essere articolati lungo le direttrici personale, culturale e di consumo. Questo si 34 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. traduce nella consapevolezza che gli individui possono avere convinzioni personali afferenti a disvalori e che gli stessi possono essere più o meno apprezzati all’interno di una società. Nella trattazione che segue, faremo riferimento ai sistemi disvaloriali personali, che possano in qualche mo- do recare un danno all’individuo e alla società. I disvalori di consumo, e cioè i comportamenti di consumo “oscuri” (es., shopping compulsivo) o gli oggetti di consumo “oscuri” (es., prodotti che richiamano la morte), che tratteremo nel prossimo paragrafo, divengono, poi, il mezzo per il raggiun- gimento degli stati personali e sociali desiderabili. Nel tentativo di qualificare i disvalori, alcuni studiosi di marketing, hanno concentrato l’attenzione su una società che fonda le sue convinzioni sui princìpi degli insegnamenti cattolici cristiani. Secondo la logica op- positiva prima descritta, in questo contesto culturale, i disvalori possono li manifestarsi come contrapposizioni alle virtù morali o cardinali. Di fatto, i disvalori possono essere rappresentati dai ben noti “sette peccati capita- e li”: superbia (antitesi dell’umiltà), avarizia (antitesi della carità), lussuria ng (antitesi della castità), invidia (antitesi della stima), gola (antitesi della tem- peranza), ira (antitesi della pazienza) e accidia (antitesi della solerzia) (Ve- selka et al., 2014; Piper et al., 2019; Piper & De Cosmo, 2022). In un’ottica “laica”, invece, considerando in particolare contesti culturali caratterizzati oA dal radicamento sul territorio di associazioni mafiose (es., Cosa Nostra in Sicilia, ’Ndrangheta in Calabria, Camorra in Campania), i disvalori pos- sono essere ricondotti perlopiù alla violenza (antitesi della mitezza) e alla criminalità organizzata (antitesi della legalità). c Infine, per ricostruire l’“identikit” del lato oscuro dell’individuo, non possiamo non menzionare la crescente attenzione che i ricercatori stanno an rivolgendo verso la dark personality, ovvero i tratti oscuri della personalità individuale. Infatti, il lato oscuro della personalità mostra elementi di cor- relazione con i disvalori appena menzionati. In particolare, la personalità è determinata da tutte le caratteristiche psicologiche e comportamentali Fr che contraddistinguono gli individui (Lombardo e Foschi, 2003). Queste caratteristiche (o tratti), a loro volta, sono definite e guidate tanto dai valori quanto dai disvalori. Prendendo le mosse da tali premesse, si è sviluppato e diffuso il model- lo della Dark Triad, termine coniato nel 2002 da Paulhus e Williams per indicare tre tratti della personalità avversivi e malevoli: machiavellismo, narcisismo e psicopatia. Nel dettaglio, il machiavellismo si caratterizza per una prorompente tendenza allo sfruttamento e alla manipolazione di terzi soggetti al fine di ottenere un tornaconto personale, grazie ad un’abile e attenta pianificazione che consenta di mantenere intatta la propria reputa- zione (Furnham et al., 2013; Paulhus, 2014). Il narcisismo, invece, presenta 35 ISBN: 9788835162988 Copyright © FrancoAngeli N.B: L'opera in tutte le sue parti è coperta da diritto d'autore. tratti di manipolazione non programmata, bensì impulsiva; il narcisista, inoltre, si trova di fronte ad un continuo dilemma personale che vede l’al- ternarsi di stati di insicurezza fortemente radicati a momenti di afferma- zione della propria maestosità (Jones e Paulhus, 2011). Infine, la psicopatia si esprime come un perdurante comportamento egoistico e antisociale, caratterizzato da forti tendenze impulsive, insensibili e

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