Applicazioni Cliniche di Terapie Geniche Avanzate (PDF)
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Questo documento esplora le applicazioni cliniche delle terapie geniche avanzate, prendendo come esempio la patologia oculare. Vengono analizzati i meccanismi della terapia e i costi associati ad essa. Il documento discute anche del farmaco Zolgensma e della sua applicazione nella SMA (atrofia spinale muscolare).
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15.1 biologia molecolare 5/12/2023 APPLICAZIONI CLINICHE DI TERAPIE GENICHE AVANZATE ESEMPIO DI PATOLOGIA OCULARE Come affrontato nella lezione precedente, gli adeno-associati, grazie alle proteine presenti nel capside, in base al...
15.1 biologia molecolare 5/12/2023 APPLICAZIONI CLINICHE DI TERAPIE GENICHE AVANZATE ESEMPIO DI PATOLOGIA OCULARE Come affrontato nella lezione precedente, gli adeno-associati, grazie alle proteine presenti nel capside, in base al sierotipo sono in grado di infettare tipi cellulari differenti. Si è parlato dell’amaurosi congenita di Leber (LCA) come esempio di patologia affrontata e risolta, brillantemente, grazie al supporto della terapia genica a AAV: i pazienti mancano di una proteina, presente nei coni e nei bastoncelli, fondamentale al ciclo della fototrasduzione e che svolge il ruolo di tramite per cui l’energia luminosa viene trasformata in energia chimica, a sua volta poi riconvertita in impulso elettrico. I carrier eterozigoti non manifestano la patologia; indagini prenatali per diagnosticare un’eventuale presenza di mutazioni a carico del gene RPE65 non vengono svolte, per cui viene scoperta quando la generazione familiare II, omozigote per il gene mutato, manifesta perdita progressiva della vista a partire dalla porzione centrale del campo visivo. L’occhio è l’organo ideale, in quanto circoscritto, per un approccio pratico basato sulla terapia genica per rimpiazzare un gene mancante: è necessario sovraesprimere la proteina sana per cercare di ristabilire la funzione corretta dell’occhio. A partire dall’inizio dell’ultimo secolo, sono stati numerosi gli studi che hanno dimostrato che iniezioni con virus adeno-associati, codificanti per la proteina wild-type, consentono la ripresa completa della visione oltre all’arresto di una malattia invalidante. La prof.ssa Collesi ricorda un episodio di tre anni fa: un suo allievo, fenocopia di Tom Cruise, le ha confessato di essere affetto da LCA. La diagnosi del visus, nei bambini, viene fatta dai pediatri intorno ai 2 anni d’età e trattamenti avanzati, nell’ipotesi del manifestarsi della patologia, non sono la routine. In tempo reale viene scritta un’e-mail al prof. Alberto Auricchio, ricercatore al TIGEM di Napoli, e viene descritto lo status del ragazzo e della sua famiglia. La settimana successiva la famiglia viene sottoposta a screening, rientra nei parametri per il trial clinico e la patologia è stata bloccata. Grazie a questo episodio si vuole sensibilizzare a comprendere il privilegio di far parte di un sistema basato sul networking e sulle collaborazioni. TRATTAMENTI AVANZATI Il reclutamento all’interno di un certo trial clinico avviene seguendo dei criteri estremamente rigorosi e a disposizione delle maggioranze, soprattutto in Italia in cui esiste un sistema sanitario. In particolare, il trattamento mediante iniezioni intraoculari per patologie come la LCA è stato messo in pratica negli Stati Uniti per un costo pari a $850.000 e, quindi, accessibile a pochi pazienti che hanno una copertura sanitaria assicurativa tale da poter affrontare una spesa del genere. In Italia, questi costi sono sostenuti dal sistema sanitario nazionale, in particolar modo se i pazienti affetti rientrano in certi parametri di trial clinico. Bisogna tenere a mente che, soprattutto per quanto concerne i trial e gli studi per la produzione di vettori virali da passare al paziente, i costi sono esorbitanti perché le particelle virali devono rispettare e assecondare una serie di parametri di sicurezza senza eguali, molto più rispetto a cellule ingegnerizzate o manipolazioni di altro tipo. Solo alcune companies riescono a far entrare sul mercato farmaci così specializzati per terapie avanzate, con la conseguenza che tali terapie saranno accessibili a pochi. FARMACO ZOLGENSMA Farmaco alla base dell’unico trattamento disponibile in campo scientifico e per la ricerca di base riconosciuto per la SMA (atrofia spinale muscolare); si tratta di una malattia degenerativa che colpisce i motoneuroni, i quali diventano deficienti per la proteina SMN1, enzima fondamentale per il funzionamento e la trasmissione sinaptica dell’impulso nervoso dal motoneurone al muscolo scheletrico. Un motoneurone privo di tale proteina va in contro ad apoptosi e, di conseguenza, Sbobinatore: Allegra Caccamo Revisore: Filiberto Gubiani 15.1 biologia molecolare 5/12/2023 l’innervazione del muscolo scheletrico viene meno. In primis vengono colpiti i muscoli volontari e la degenerazione è estremamente veloce: la malattia risulta fatale entro i primi due anni di vita in quanto anche i muscoli volontari diventano bersaglio della patologia. Questo implica l’insorgenza di problemi a livello respiratorio, per poi sfociare in una progressione della malattia in tutto l’organismo causando complicanze gravissime. Anche in questo caso la patologia è ideale per il trattamento di “replacement”, ossia di rimpiazzo del gene dato che nei pazienti affetti la proteina è assente. Negli eterozigoti l’allele sano garantisce la produzione della proteina sopracitata e, fenotipicamente, non vi è alcuna manifestazione della patologia; viceversa, i pazienti omozigoti per la mutazione producono in minima parte o non producono affatto la proteina e, quindi, vanno in contro a una veloce degenerazione dei motoneuroni. Durante il corso degli ultimi anni si è tentato un approccio basato su terapia genica per tentare di bloccare il progredire di una patologia tanto invalidante: in un primo caso, un adeno-associato tentava di alterare lo splicing che il gene subiva in maniera aberrante in pazienti che avevano mutazioni proprio su un sito di splicing. Quindi, alterando lo splicing si arrivava ad avere un recupero parziale. Il farmaco basato su AAV va a rimpiazzare il gene mutato portando al rescue completo del fenotipo: il capside fa sì che vengano infettati, in maniera specifica, solo e soltanto i motoneuroni, i quali non vanno in contro a mitosi. La reversione totale del fenotipo totale (con conseguente blocco della malattia) è direttamente proporzionale a un’elevata percentuale di motoneuroni infettati. Prima si tratta il paziente e migliori saranno i risultati ottenuti: il fattore tempo è determinante dato che la muscolatura scheletrica liscia e cardiaca va in contro a involuzione se non è innervata. Non appena si ha certezza della mutazione in pazienti pediatrici si può intervenire per bloccare la degenerazione dei motoneuroni e, quindi, anche la malattia. Si riporta il caso di una paziente pediatrica curata a Napoli tramite trattamento con Zolgensma. CONTROINDICAZIONI DEGLI ADENO-ASSOCIATI In casi come quello sopracitato (in cui vengono coinvolti pazienti poco più che neonati) la dose virale stabilita è alta ma tollerabile. Si ricorda, tuttavia, che gli adeno-associati sono estremamente immunogenici e, di conseguenza, questi tipi di trattamento prevedono una sola iniezione ottimale per raggiungere l’effetto terapeutico. Nel 2022, all’Ospedale Burlo Gorofolo, questo tipo di trattamento è stato messo a disposizione di un paziente pediatrico con fenotipo patologico grave rendendo possibile una reversione a livello respiratorio ma non la completa mobilità. TRATTAMENTO DELLE PATOLOGIE LEGATE ALL’EREDITARIETÀ DI FATTORI DI COAGULAZIONE Tra le patologie legate a fattori di coagulazione viene citata l’emofilia B, diffusa in maniera devastante nei Paesi in via di sviluppo nei quali lo screening e, in particolar modo, il trattamento sono traguardi, ancora, da raggiungere. In tal caso un trattamento con un’AAV IX, cioè con un tipo di adeno-associato che va a perfondere le cellule epatiche, permette da parte degli epatociti stessi la produzione del fattore funzionante e si ha, anche in questo caso, reversione completa. Le patologie citate durante il corso della lezione (RPE65, SMN1 e fattore IX della coagulazione) e sono accomunate da una prospettiva legata al gene patologico: una mutazione a carico di un singolo gene su cui si interviene mediante una strategia di “gene harassment”. Un approccio che preveda un tipo di terapia genica con relativa reintroduzione di una proteina poco prodotta o del tutto assente non sarebbe possibile in malattie multifattoriali per via dei limiti legati alla capacità di introdurre geni dalle dimensioni limitate e dell’inattuabilità di poter fare più di una singola iniezione. Ci sono geni che non possono essere sostituiti mediante AAV, per via di possibili complicanze, come i “geni strutturali” poiché estremamente grandi e con un DNA estremamente esteso tale da non poter essere caricato all’interno di una particella virale. In casi in Sbobinatore: Allegra Caccamo Revisore: Filiberto Gubiani 15.1 biologia molecolare 5/12/2023 cui non è possibile un approccio tramite AAV si cerca contrastare la patologia creando un approccio vicariante alla funzione alterata del gene strutturale: ad esempio, nei pazienti affetti dalla distrofia muscolare di Duchenne la distrofina, nei muscoli scheletrici, è non funzionante. Tuttavia, la distrofina è una proteina estremamente grande con una porzione coinvolta nei meccanismi di contrazione e un’altra che copre il ruolo di “relais” molecolare con altre vie di traduzioni ottimali al funzionamento del muscolo. La sostituzione dell’intero gene è impossibile, per cui si è sperimentato un approccio che prevede di lasciare la proteina mutata all’interno delle cellule muscolari scheletriche poiché, comunque, garante della funzione strutturale anche se non contrattile. In casi del genere, si attua un trattamento sistemico di terapia genica usando adeno-associati, dato che hanno la capacità di infestare le cellule post-mitotiche (come le fibre muscolari scheletriche); possono agire su geni che sono definiti “mini-distrofine”, cioè delle porzioni più limitate della distrofina wild-type, e che riescono a garantire solo la funzione contrattile: nei pazienti trattati, a livello cellulare, si nota una sorta di mosaico molecolare. Si lascia, quindi, la proteina non contrattile libera di svolgere le proprie funzioni di coordinamento delle funzioni terze necessarie al muscolo; la funzione contrattile è garantita da un gene ingegnerizzato di piccole dimensioni e trasferito all’interno del muscolo scheletrico, riportando la contrazione a livelli accettabili anche se non ripristinati del tutto. CURE GENETICHE DELLE PATOLOGIE NEOPLASTICHE Il tumore è una patologia genetica innescata da un danno primario al genoma, supportato da mutazioni ulteriori a carico di molecole che fungono da sentinella dell’integrità del genoma stesso (si ricorda che la cellula cerca in ogni modo di contrastare e combattere l’insorgenza di mutazioni pericolose a carico del DNA). Il processo di trasformazione si innesca quando vengono elusi tutti i sistemi di controllo di cui la cellula, in maniera endogena, è dotata. È necessario liberarsi dal preconcetto per cui una singola mutazione sia pericolosa o vada a minare la stabilità dell’intero organismo creando un forte senso di ansia nei confronti di patologie neoplastiche. Le mutazioni sono parte integrante del processo di evoluzione che ha coinvolto la specie umana e, tra l’altro, hanno contribuito in determinati casi a migliorare il prodotto proteico corrispondente; le mutazioni dannose, tuttavia, ledono alla cellula e sono combattute tramite meccanismi di riparazione, inattivazione del prodotto proteico o altri come l’apoptosi allo scopo di preservare l’incolumità della cellula. NEOPLASIE: PROGRESSIONE TUMORALE MULTI-STEP Le patologie neoplastiche sono causate da un insulto primario che può essere ereditato: prima di andare in contro a proliferazione incontrollata il genoma deve subire e accumulare una serie di lesioni genetiche per raggiungere lo status di “instabilità genomica”. Soltanto quando la cellula è consapevole della propria instabilità e non riesce più a farvi fronte si avrà il processo di trasformazione, quindi di proliferazione incontrollata. Sono stati isolati e descritti tutti i geni che devono essere mutati, progressivamente, per arrivare a trasformazione neoplastica e, in una fase successiva, a metastatizzazione. Come detto in precedenza, il processo di trasformazione neoplastica è legato a un accumulo di mutazioni a livello del genoma , il quale determina un cambiamento che si esplicita nella sintesi di proteine a loro volta mutate, spesso esposte sulla superficie delle cellule e che caratterizzano il ceppo tumorale in un particolare distretto. Per diagnosticare un certo fenotipo tumorale è necessario ricorrere ai cosiddetti “marker tumorali”, cioè delle proteine rilasciate dalle cellule trasformate nel circolo sanguigno e che possono derivare dalla secrezione anomala di cellule trasformate funzionali o dalla degradazione delle cellule tumorali stesse per azione dell’organismo che vuole autoproteggersi. Sbobinatore: Allegra Caccamo Revisore: Filiberto Gubiani 15.1 biologia molecolare 5/12/2023 Gli studi hanno permesso di correlare marker tumorali per ogni tipologia di neoplasia solida o ematologica, per cui si può avere una valutazione iniziale per accertare o meno la presenza di un fenotipo trasformato, a un’analisi del sangue. Un organismo sano non ha marker tumorali in circolo. I marker sono proteine rilasciate dalle cellule trasformate, derivanti dalla distruzione dei residui delle cellule stesse oppure, anche, proteine che le cellule tumorali esprimono de novo sulla propria superficie e che le caratterizzano. Gli antigeni neoespressi sulle cellule che vanno in contro a improvviso differenziamento anomalo vengono identificati dal sistema immunitario. Un esempio è l’α-fetoproteina, classico marker tumorale per accertare la presenza di cellule trasformate in maniera assolutamente generica e presente durante la vita fetale, per poi essere inattivata. Se un organismo adulto presenta l’α-fetoproteina, potrebbe trattarsi di un’indicazione del fatto che, in qualche distretto del corpo, ci sia un clone di cellule che ha perso le caratteristiche di differenziamento finale e stanno, forse, andando in contro a proliferazione o differenziamento per diventare ancora più aggressive. Ad oggi il trattamento di patologie neoplastiche viene affrontato non solo mediante i metodi canonici ma anche tramite immunoterapie, efficaci nel riconoscere antigeni espressi de novo identificati dal sistema immunitario. Un ulteriore metodo avanguardistico si basa sulla tecnologia del DNA ricombinante che riesce a personalizzare, anche in campo oncologico, il trattamento terapeutico. Sbobinatore: Allegra Caccamo Revisore: Filiberto Gubiani