Basi Patogenetiche delle Malattie Neurodegenerative PDF
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Questo documento approfondisce le basi patogenetiche delle malattie neurodegenerative. Viene descritta l'epidemiologia e le caratteristiche cliniche di queste patologie, come l'Alzheimer e il Parkinson. Il documento evidenzia la complessità dei meccanismi patogenetici e dei fattori coinvolti, come le mutazioni genetiche, gli aggregati proteici e l'infiammazione.
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MALATTIE NEURODEGENERATIVE La lezione odierna è una lezione introduttiva, in cui saranno date linee guida generali su quando sospettare una malattia neurodegenerativa e quali sono i meccanismi alla base. Questi sono comuni alle varie malattie neurodegenerative, che poi si declineranno con caratteris...
MALATTIE NEURODEGENERATIVE La lezione odierna è una lezione introduttiva, in cui saranno date linee guida generali su quando sospettare una malattia neurodegenerativa e quali sono i meccanismi alla base. Questi sono comuni alle varie malattie neurodegenerative, che poi si declineranno con caratteristiche cliniche diverse. 1. EPIDEMIOLOGIA DELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE Le malattie neurodegenerative rappresentano una crescente preoccupazione per la salute pubblica a livello globale, destinata a diventare una vera e propria "pandemia" nei prossimi anni. Questo a causa dell'invecchiamento della popolazione, con un'aspettativa di vita in costante aumento. Si stima che i casi di Alzheimer, la malattia neurodegenerativa più diffusa, aumenteranno drasticamente, raggiungendo i 15 milioni negli Stati Uniti e 150 milioni a livello globale entro il 2050. La crescita sarà più significativa nei paesi in via di sviluppo e nella fascia di popolazione più anziana. Questa tendenza pone un'enorme sfida sociale, economica e sanitaria, poiché le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da un decorso progressivo e irreversibile, che porta alla morte neuronale. A differenza di altre patologie come il cancro, le malattie cardiache, l'ictus e l'HIV, per le quali sono disponibili terapie efficaci che hanno ridotto la mortalità, non esistono ancora cure in grado di arrestare la progressione delle malattie neurodegenerative. L'aumento dell'incidenza delle malattie neurodegenerative è in contrasto con la diminuzione della mortalità per altre malattie, come evidenziato dal grafico presentato. Questo sottolinea l'urgente necessità di investire nella ricerca per sviluppare terapie efficaci per queste patologie. 2. CARATTERISTICHE CLINICHE Le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da un processo abiotrofico, ovvero una progressiva morte neuronale, con una distribuzione variabile nel parenchima cerebrale. Tale processo si manifesta clinicamente con un insieme di caratteristiche peculiari che permettono di distinguere queste patologie da altre condizioni neurologiche. Queste caratteristiche sono fondamentali per il sospetto diagnostico e per l’orientamento del percorso clinico: Esordio lento e sfumato: un tratto distintivo delle malattie neurodegenerative è il loro inizio insidioso, con sintomi inizialmente lievi e aspecifici che spesso passano inosservati sia ai pazienti che ai medici. Questo ritardo nella diagnosi è ulteriormente aggravato dalla tendenza dei pazienti a sottovalutare i primi segnali, attribuendoli a normale invecchiamento o stress. Solo quando i sintomi si intensificano e interferiscono con le attività quotidiane i pazienti cercano assistenza medica, a quel punto la malattia potrebbe essere già in uno stadio avanzato. L’anamnesi accurata è fondamentale per ricostruire la storia clinica ed identificare la possibile presenza di sintomi pregressi, inizialmente ignorati; Decorso progressivo: il peggioramento graduale e inesorabile dei sintomi è un altro segno distintivo delle malattie neurodegenerative. Questa progressione permette di escludere altre cause di danno neurologico, come eventi vascolari o infezioni, che presentano un andamento più acuto. La natura progressiva della malattia è dovuta alla continua morte neuronale e alla conseguente compromissione delle funzioni cerebrali; Simmetria dei sintomi e segni: le malattie neurodegenerative tendono a colpire entrambi gli emisferi cerebrali in modo simmetrico, causando sintomi e segni bilaterali. Questa simmetria è particolarmente evidente nei disturbi motori, come il tremore e la rigidità nel morbo di Parkinson. Tuttavia, alcune patologie, come il Parkinson stesso, possono inizialmente manifestarsi in modo asimmetrico, con sintomi più evidenti su un lato del corpo; Correlazione con l’età: l'incidenza delle malattie neurodegenerative aumenta esponenzialmente con l'età. Questo legame con l'invecchiamento suggerisce che i meccanismi di riparazione e protezione neuronale diventano meno efficienti con il passare degli anni, rendendo il cervello più vulnerabile al danno e alla degenerazione. Tuttavia, è importante ricordare che esistono forme giovanili, più rare ma spesso caratterizzate da un decorso più aggressivo e da un forte background genetico; Manifestazioni cliniche d’esordio specifiche: i sintomi iniziali di una malattia neurodegenerativa riflettono il sistema neuronale inizialmente colpito. Ad esempio, il coinvolgimento delle vie motorie può manifestarsi con tremore e bradicinesia nel morbo di Parkinson (sistema extrapiramidale) o con debolezza muscolare, atrofia e fascicolazioni nella SLA (sistema piramidale). Tuttavia, la degenerazione può progressivamente estendersi ad altre aree cerebrali, causando un overlap di sintomi tra diverse patologie e rendendo più complessa la diagnosi differenziale. Le caratteristiche cliniche delle malattie neurodegenerative delineano un quadro complesso e sfidante per la diagnosi e la gestione. La comprensione di queste peculiarità è fondamentale per un'accurata diagnosi differenziale e per l'implementazione di strategie terapeutiche tempestive, volte a rallentare la progressione della malattia e a migliorare la qualità di vita dei pazienti. 3. CARATTERISTICHE GENETICHE Le malattie neurodegenerative, pur manifestandosi con quadri clinici distinti, condividono alcune caratteristiche genetiche comuni. Le forme ad esordio precoce, spesso più gravi, sono strettamente legate all'ereditarietà e hanno permesso di scoprire importanti meccanismi patogenetici. Le principali caratteristiche genetiche comuni sono: Ereditarietà mendeliana rara: sebbene la maggior parte dei casi siano sporadici, esistono rare forme di malattie neurodegenerative con ereditarietà mendeliana. In questi casi, la trasmissione autosomica dominante è più frequente di quella recessiva; Mutazioni geniche: le mutazioni genetiche possono essere di diverso tipo: puntiformi, delezioni o, più raramente, espansioni di triplette. Queste alterazioni possono interessare sia gli esoni che gli introni dei geni coinvolti. Tali mutazioni determinano un'alterazione delle proteine implicate nelle varie patologie; Penetranza variabile: la penetranza, ovvero la probabilità che una mutazione genetica si manifesti clinicamente, è variabile nelle malattie neurodegenerative. Questo suggerisce un'interazione complessa tra geni, e tra geni e ambiente, nel determinare lo sviluppo della malattia; Ereditarietà mitocondriale: in alcuni rari casi, la trasmissione della malattia avviene per via mitocondriale, con ereditarietà matrilineare; Forme sporadiche con fattori di rischio genetici: la maggior parte dei casi di malattie neurodegenerative sono sporadici, senza una chiara ereditarietà familiare. Tuttavia, anche in questi casi sono stati identificati fattori di rischio genetici, come polimorfismi, che predispongono allo sviluppo della malattia in presenza di determinate condizioni ambientali. Esempi di fattori di rischio genetici e ambientali nelle malattie neurodegenerative sono: Morbo di Parkinson: le mutazioni nel gene dell'α-sinucleina (locus PARK1) causano un accumulo anomalo della proteina, determinando la malattia. Anche mutazioni in altri geni, come PARK2 (Parkina) e PARK6 (PINK1), sono state associate a forme recessive di Parkinson. L'esposizione a tossine ambientali, come pesticidi e metalli, può contribuire all'accumulo di α-sinucleina e allo sviluppo della malattia; Malattia di Alzheimer: mutazioni nei geni APP, presenilina 1 e 2, e SORL1 determinano un'aumentata produzione di β-amiloide, la proteina che si accumula nel cervello dei pazienti. La trisomia 21 (sindrome di Down) comporta un aumento della produzione di APP, aumentando il rischio di sviluppare l'Alzheimer in età precoce. Anche l'allele ε4 dell'apolipoproteina E (APOE) è un fattore di rischio genetico per l'Alzheimer, in quanto riduce la clearance di β-amiloide dal cervello. In sintesi, le caratteristiche genetiche comuni alle malattie neurodegenerative evidenziano la complessità di queste patologie e il ruolo chiave dell'interazione tra geni e ambiente nel loro sviluppo. La ricerca genetica ha permesso di identificare importanti meccanismi patogenetici e di sviluppare nuovi approcci terapeutici. 4. CARATTERISTICHE ANATOMOPATOLOGICHE Le malattie neurodegenerative sono accomunate da una serie di alterazioni anatomopatologiche che, pur variando a seconda della specifica patologia, presentano un pattern comune. Le fonti descrivono in dettaglio queste caratteristiche, evidenziando come lo studio autoptico sia stato fondamentale per la comprensione di tali malattie. Le caratteristiche anatomopatologiche fondamentali sono: Apoptosi e perdita neuronale progressiva: la morte neuronale è un elemento centrale nelle malattie neurodegenerative. Il processo apoptotico, che porta alla morte cellulare programmata, è il principale meccanismo attraverso cui i neuroni degenerano. La perdita neuronale non è uniforme nel cervello, ma si concentra in specifiche aree a seconda della patologia. Questa distribuzione selettiva spiega la varietà di manifestazioni cliniche. La perdita di sinapsi, ovvero le connessioni tra i neuroni, è una conseguenza diretta della morte neuronale e contribuisce al deterioramento delle funzioni cerebrali; Coinvolgimento di sistemi neuronali correlati: la degenerazione non si limita a singoli neuroni, ma coinvolge interi sistemi e circuiti neuronali interconnessi. Ad esempio: o Nella SLA si osserva la degenerazione sia del primo che del secondo motoneurone, causando una compromissione sia della funzione motoria volontaria che di quella riflessa; o Nell’Alzheimer la degenerazione interessa principalmente l'ippocampo e la corteccia entorinale, aree cerebrali cruciali per la memoria. Attivazione della microglia e neuroinfiammazione: la microglia svolge un ruolo importante nella neuroinfiammazione. In risposta al danno neuronale, la microglia si attiva e rilascia citochine pro-infiammatorie, contribuendo al processo degenerativo. L'infiammazione cronica nel cervello è un fattore chiave nella progressione delle malattie neurodegenerative; Accumulo di proteine misfoldate: una caratteristica comune a molte malattie neurodegenerative è l'accumulo di proteine con una conformazione anomala, dette "misfolded". Queste proteine tendono ad aggregarsi formando depositi insolubili che interferiscono con le normali funzioni cellulari e causano danno neuronale. Esempi di proteine misfolded: o β-amiloide nell'Alzheimer (forma placche senili extracellulari); o α-sinucleina nel Parkinson (forma i corpi di Lewy intracellulari); o Proteina tau nell'Alzheimer e in altre taupatie (forma grovigli neurofibrillari intracellulari). Prion-like spreading: l'accumulo di proteine misfolded può diffondersi da una cellula all'altra attraverso un meccanismo simile a quello dei prioni, le proteine infettive responsabili di encefalopatie spongiformi. Questa diffusione contribuisce alla progressione della patologia in aree cerebrali inizialmente non colpite; Quadro anatomopatologico precede la clinica: le alterazioni anatomopatologiche iniziano anni prima della comparsa dei sintomi clinici. Questo "periodo silente" è dovuto alla capacità del cervello di compensare il danno neuronale iniziale. La sfida attuale è quella di identificare biomarcatori che permettano di diagnosticare le malattie neurodegenerative in fase preclinica, quando il danno è ancora reversibile. La comprensione delle caratteristiche anatomopatologiche delle malattie neurodegenerative è cruciale per lo sviluppo di nuove terapie. La ricerca si sta concentrando sullo sviluppo di farmaci in grado di: o Bloccare la produzione o promuovere la rimozione delle proteine misfolded; o Ridurre l'infiammazione cerebrale; o Proteggere i neuroni dal danno. La diagnosi precoce, resa possibile da nuovi biomarcatori, è fondamentale per poter intervenire tempestivamente e rallentare la progressione di queste malattie debilitanti. Domanda: Quanti sono i pazienti che presentano le alterazioni anatomopatologiche ma non hanno i sintomi? Risposta: Tantissimi, se facciamo l’autopsia a pazienti sani di 80-90 anni è abbastanza comune trovare un quadro di malattia che non si era ancora manifestata clinicamente. Ovviamente dipende dal carico di patologia e da vari meccanismi e cofattori. 4.1. AGGREGATI PROTEICI Le malattie neurodegenerative, come la malattia di Alzheimer e di Parkinson, la corea di Huntington, la SLA o le malattie prioniche sono caratterizzate da meccanismi fisiopatologici comuni che includono l’aggregazione proteica e la formazione di corpi inclusi evidenziabili dal punto di vista neuropatologico. i corpi inclusi vengono osservati nei neuroni superstiti nelle aree coinvolte dal processo degenerativo, ma il loro contenuto varia a seconda della specifica malattia. In funzione del quadro neuropatologico si identificano diverse proteine coinvolte, tra cui: β-amiloide; Tau; α-sinucleina; Proteina prionica; TDP-43. MALATTIA PROTEINA REGIONI DI LESIONI CARATTERISTICHE NEURODEGENERATIVA IMPLICATA ACCUMULO Placche neuritiche e grovigli β-amiloide, tau- Corteccia, ippocampo, Alzheimer neuro brillari iperfosforilata. prosencefalo basale Sostanza nera, corteccia, Parkinson Corpi di Lewy α-sinucleina locus coeruleus, rafe Tau, TDP-43, Corteccia frontale e Demenze frontotemporali Corpi di Pick, inclusi ubiquinati ubiquitina temporale TDP-43, Motoneuroni midollari, Corpi del Bunina e sferoidi SLA neuro lamenti, tronco encefalico, assonali, strutture ubiquitinate ubiquitina corteccia Inclusioni intranucleari e Striato e gangli della Corea di Huntington Huntingtina elongata aggregati citoplasmatici base, corteccia Cervelletto, tronco Atassie spinocerebellari Inclusioni intranucleari Ataxine encefalico Deposizione di amiloide prionica e Corteccia, cervelletto, Malattie prioniche Proteina prionica degenerazione spongiforme talamo, altre aree La presenza di tali proteine identifica dei gruppi neuropatologici a cui far afferire le principali malattia neurodegenerative. Tale classificazione non si limita a rispecchiare unicamente le diversità degli inclusi riscontrati a livello neuropatologico, ma permette anche di definire i diversi pathways molecolari coinvolti, suggerendo così distinti bersagli verso cui dirigere gli sforzi terapeutici presenti e futuri. Dal punto di vista neuropatologico è possibile suddividere le principali malattie degenerative in: Amiloidopatie: malattia di Alzheimer, malattie prioniche; Taupatie: malattia di Alzheimer, demenza fronto-temporale, paralisi sopranucleare progressiva, degenerazione corticobasale, FTDP-17; Sinucleopatie: malattia di Parkinson, Atrofia multisistemica, demenza a corpi di Lewy; Ubiquitinopatie: Sclerosi laterale amiotrofica, demenza frontotemporale. 5. MECCANISMI PATOGENETICI COMUNI Le malattie neurodegenerative, nonostante presentino quadri clinici diversi, sono accomunate da alcuni meccanismi patogenetici fondamentali. Le fonti analizzate illustrano in dettaglio questi meccanismi, mettendo in luce come la ricerca abbia fatto enormi progressi nella comprensione di queste patologie complesse. Il processo di neurodegenerazione comprende: 1) Proteina alterata (misfolded): alla base di tutte le malattie neurodegenerative vi è una proteina patologica, "misfolded", ovvero con una conformazione tridimensionale anomala a foglietto-β. Questa conformazione errata rende la proteina instabile e incline ad aggregarsi, formando dapprima oligomeri e successivamente fibrille insolubili. L’alterazione può essere causata da fattori genetici, ambientali o legati all’invecchiamento; 2) Accumulo di proteine: l'accumulo di proteine misfolded può avvenire sia per un aumento della produzione che per un deficit nei sistemi di smaltimento, come l'autofagia e il proteasoma; 3) Misfolding e aggregazione: le proteine alterate subiscono un misfolding e si aggregano, formando monomeri, oligomeri e fibrille. L'accumulo di proteine misfolded può diffondersi da un'area cerebrale all'altra attraverso un meccanismo simile a quello dei prioni. Questo processo contribuisce alla progressione della malattia e all'estensione del danno neuronale; 4) Danno cellulare: Oligomeri: gli oligomeri, le forme iniziali di aggregazione, sono particolarmente tossici per i neuroni. Interagiscono con i lipidi di membrana, danneggiandole e formando addotti tossici. L'accumulo di proteine misfolded e il danno mitocondriale causano un aumento dello stress ossidativo, ovvero un accumulo di radicali liberi dannosi per le cellule. I neuroni dopaminergici nel Parkinson sono particolarmente vulnerabili allo stress ossidativo, a causa del catabolismo della dopamina che produce radicali liberi; Fibrille: le fibrille, spesso extracellulari, contribuiscono all'attivazione della microglia e alla neuroinfiammazione. Le proteine misfolded attivano la microglia, le cellule immunitarie del cervello, scatenando una risposta infiammatoria. La neuroinfiammazione cronica contribuisce al danno neuronale e alla progressione della malattia. Le ultime ricerche evidenziano anche il ruolo del sistema immunitario periferico nella neuroinfiammazione. I monociti, cellule immunitarie del sangue, possono migrare nel cervello e contribuire al processo infiammatorio. 5) Eccitotossicità da glutammato: lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione compromettono la capacità dei neuroni di ricaptare il glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio. L'eccesso di glutammato nello spazio intersinaptico causa un'eccessiva attivazione dei recettori NMDA, portando a un influsso eccessivo di calcio nei neuroni e alla loro morte. 6) Apoptosi e morte neuronale: i danni a più livelli, tra cui stress ossidativo, neuroinfiammazione ed eccitotossicità, culminano nell’apoptosi e nella morte dei neuroni. Il prof parla del proprio laboratorio, in cui si effettuano studi di questo tipo, sia su modelli cellulari, modelli animali che su provette provenienti da pazienti. Il corso elettivo di Neurobiologia tratterà questi aspetti nello specifico ed è fortemente consigliato per coloro i quali vorranno fare la tesi in neurologia. Queste ricerche sono molto importanti, perché possono permetterci di trovare dei biomarcatori (soprattutto per l’Alzheimer) per fare diagnosi precoce. La teoria appena spiegata, della proteina alterata che si accumula e determina danno, è attualmente una teoria accreditata ma non è sempre stato così. Per poter capire i motivi che ci hanno permesso di giungere a tale conclusione, si considerano due esempi speculari, Parkinson e Alzheimer: o Per il Parkinson, i primi studi genetici hanno dimostrato che la mutazione nel gene che codifica per l’alfa- sinucleina fosse responsabile di una sua alterazione, con conseguente accumulo a livello neuronale. Successivamente, si è visto che anche in altre forme genetiche o in forme ambientali, si arriva sempre all’accumulo di tale proteina. In più, ciò è stato studiato anche in modelli murini: animali transgenici con la mutazione umana presentavano la malattia. Le alterazioni proteiche non sono necessarie allo sviluppo della patologia, ci sono altri fattori di rischio, sia genetici che ambientali, che possono determinarla, di solito interferendo con lo smaltimento delle proteine: per esempio, i contadini in Ohio hanno un’altissima incidenza di Parkinson a causa del massiccio uso di diserbanti che vengono versati sui campi con gli aerei; o Lo stesso vale per il morbo di Alzheimer, in cui la proteina accumulata è la beta amiloide. La genetica ci dice che abbiamo una mutazione dell’APP, presenilina o anche la trisomia 21, che determina un’aumentata produzione di APP a causa della presenza di tre copie del gene, localizzato proprio sul cromosoma 21. Anche fattori di rischio genetici o ambientali portano all’accumulo di proteina. Anche in questo caso, animali transgenici presentavano la malattia. 2. MECCANISMI CATABOLICI La cellula possiede una serie di sistemi in grado di degradare le proteine e gli organelli disfunzionanti o invecchiati in modo da garantire il mantenimento dell'omeostasi. Il sistema ubiquitina-proteasoma (UPS) è uno dei due principali sistemi implicati in questo turnover, insieme a quello autofagico, mediato principalmente dai lisosomi. 2.1. PROTEASOMA Il proteasoma è un complesso multiproteico che è in grado, attraverso l'attività coordinata di varie subunità, di catabolizzare vari target polipeptidici. All'interno del proteasoma vengono veicolate solo le proteine a breve emivita che sono state sottoposte all'ubiquitinazione, ovvero al legame con l'ubiquitina, un peptide di 76 aminoacidi che funge da segnale per la degradazione. Il fatto che la maggior parte degli accumuli che caratterizzano le varie malattie neurodegenerative siano positivi per proteine ubiquitinate (β-amiloide, tau, TDP-43, α-sinucleina) ha portato a ipotizzare che alla base di queste patologie potesse esserci una compromissione del sistema di proteolisi svolto dall'UPS. Anche la dimostrazione che mutazioni in alcuni dei geni coinvolti in questo sistema, come ad esempio la parkina, possano essere responsabili di fenocopie, più o meno precise, di malattie degenerative idiopatiche (in quest'ultimo caso, malattia di Parkinson), ha portato a pensare che gli aggregati proteici non più adeguatamente catabolizzati dall'UPS possano portare a morte le cellule. 2.2. SISTEMA AUTOFAGICO-LISOSOMIALE In parte analoga a quella proteasomica è la funzione del sistema autofagico-lisosomiale (ALP), rappresentata da tre processi. Tali attività sono distinte in base alla modalità con la quale i substrati raggiungono il lume dei lisosomi, organelli vescicolari dove risiedono diverse attività enzimatiche idrolitiche, attive a pH bassi, deputate alla degradazione sia di organelli che di proteine a lunga emivita invecchiate o disfunzionanti: Macro-autofagia: si forma una struttura nota come autofagosoma, in cui i bersagli da degradare vengono circondati da una membrana derivante dal reticolo endoplasmatico cellulare. La successiva fusione con i lisosomi permette di degradare il contenuto dell'autofagosoma; Autofagia mediata da chaperonine (CMA): gli specifici bersagli proteici da degradare (per esempio l'alfa- sinucleina) possiedono un motivo amminoacidico di riconoscimento KFERQ che permette che vengano complessati alla proteina HSP-70 per poi essere importati all'interno dei lisosomi in un processo mediato dalla proteina LAMP-2°; Micro-autofagia. È ben noto che la deficienza di numerose attività enzimatiche associate al sistema lisosomiale viene considerata responsabile di svariate malattie eredo-degenerative da accumulo che interessano anche il sistema nervoso, tra cui ricordiamo, per esempio, le mucopolisaccaridosi o le sfingolipidosi. Si ipotizza inoltre che possa esserci una disfunzione dell'attività autofagica nelle malattie neurodegenerative "classiche" e, in particolare, nella malattia di Parkinson. A ulteriore conferma di queste ipotesi, è stato dimostrato che il gene della glucocerebrosidasi, mutato nella malattia di Gaucher (una sfingolipidosi da accumulo lisosomiale), sembrerebbe essere un vero e proprio gene di suscettibilità implicato nella patogenesi della malattia di Parkinson. 3. RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE Nonostante le prime descrizioni delle malattie degenerative fossero focalizzate proprio sull'assenza di chiare evidenze di infiammazione in corso, quest'ultimo processo è venuto ad assumere sempre più importanza negli ultimi anni, venendo riconosciuto non solo come presente, ma addirittura come uno dei principali fattori che amplificano e mantengono la sofferenza cellulare in queste malattie, interagendo strettamente con effettori finali di danno, quali apoptosi, eccitotossicità e stress ossidativo. Il sistema nervoso centrale limita attivamente l'ingresso al suo interno degli elementi del sistema immune attraverso l'esistenza della BEE, una struttura di primaria importanza per la regolazione omeostatica neuronale. Chiaramente, nonostante questo privilegio immunitario, sia l'immunità innata che quella adattativa si verificano nel sistema nervoso centrale. Le cellule microgliali sono macrofagi residenti che formano la prima linea di difesa del sistema dell'immunità innata, regolando attentamente la composizione del microambiente che circonda i neuroni e le cellule gliali. In condizioni di danno tissutale la microglia assume un fenotipo attivato che promuove e mantiene la risposta infiammatoria volta al contenimento e alla riparazione del danno iniziale. Nella maggior parte dei casi tale processo risulta limitato e svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'omeostasi tissutale e della risposta alle infezioni. La persistenza dello stimolo infiammatorio, o l'incapacità dei meccanismi attivati di risolvere il danno, fa sì che la risposta infiammatoria si protragga nel tempo, essendo essa stessa fonte di danno per le cellule del sistema nervoso centrale. Negli ultimi anni si è dimostrato in maniera sempre più convincente come gli aggregati proteici che caratterizzano le malattie neurodegenerative si comportano come veri e propri induttori endogeni del danno infiammatorio che, a sua volta, viene amplificato grazie alla produzione di citochine e chemochine da parte della microglia e dei leucociti periferici. Le citochine, a loro volta, non solo sono in grado di amplificare e modulare la risposta del sistema immune, ma anche di modificare specifiche funzioni omeostatiche neuronali e astrocitarie come nel caso dell'inibizione della ricaptazione del glutammato extracellulare a opera del TNF-α, con conseguente eccitotossicità. Inoltre, le citochine pro- infiammatorie (TNF-alfa, IL-6 e IL-1) sono anche in grado di attivare nei neuroni una serie di protein-chinasi (GSK3β, CDK5, Ab1) e fosfatasi (PP1), che portano alla formazione di aggregati proteici, come, per esempio, quelli composti da proteina tau iperfosforilata nella malattia di Alzheimer. Tra gli effettori finali del danno vanno invece sicuramente ricordati meccanismi quali l'incremento della sintesi dell'ossido nitrico tramite induzione delle iNOS o la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) da parte del sistema della NADPH ossidasi, entrambi importanti meccanismi di difesa antibatterica ed entrambi in grado di partecipare al mantenimento del danno collaterale del parenchima cerebrale. Lo stress ossidativo, a sua volta, amplifica e perpetua la risposta infiammatoria, per esempio mediante la formazione dei prodotti avanzati di glicazione finale (AGE) e la stimolazione dei recettori associati (RAGE), con produzione e rilascio di citochine pro-infiammatorie e ulteriori ROS. Tenendo conto dell'incremento continuo delle evidenze relative al ruolo dell'infiammazione nella patogenesi delle malattie neurodegenerative, non stupisce, dunque, che sia stato proposto l'utilizzo dei farmaci antinfiammatori per la prevenzione o per mitigare il fenotipo di tali malattie. Alcune evidenze indicano, per esempio, un potenziale ruolo protettivo per i FANS sullo sviluppo della malattia di Alzheimer. Un altro capitolo è poi quello dell'utilizzo di strategie immunitarie per arrestare il processo degenerativo. Un esempio classico è quello dell’immunoterapia attiva (vaccino) o passiva (anticorpi) nei confronti della proteina β-amiloide, che si deposita nelle placche senili caratteristiche della malattia di Alzheimer. Diversi studi clinici randomizzati hanno testato proprio questa ipotesi, con un recente spostamento dell'attenzione nei confronti dell'immunoterapia passiva, a causa degli importanti effetti collaterali osservati nei primi trial con il vaccino. Anche la possibilità di monitorare in periferia (per esempio, mediante la misurazione di citochine) il grado di coinvolgimento del sistema immune e l'entità della risposta infiammatoria risulta di potenziale interesse per il clinico, per poter definire con più precisione quali pazienti possano trarre beneficio da un trattamento mirato ad arrestare tali fenomeni.