Malattie dell'apparato locomotore - 2023 - PDF
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2023
Prof. Aprato (Acchiardi, Bovero)
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This lecture notes cover the topic of diseases of the locomotor system, specifically focusing on femur fractures. It introduces the concept of orthopedics and its connection to other medical specialties. The lecture details the prevalence of femur fractures in the elderly, highlighting the impact of osteoporosis. It also discusses the diagnostic process, including X-ray imaging and potential follow-up procedures like CT scans.
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Malattie dell’apparato locomotore – lezione 1 – 3/03/2023 – Prof. Aprato (Acchiardi, Bovero) INTRODUZIONE L’ortopedia è una disciplina che si collega a qualsiasi altro ramo della medicina (ad esempio anestesiologia, cardiochirurgia e dermatologia), quindi è necessario...
Malattie dell’apparato locomotore – lezione 1 – 3/03/2023 – Prof. Aprato (Acchiardi, Bovero) INTRODUZIONE L’ortopedia è una disciplina che si collega a qualsiasi altro ramo della medicina (ad esempio anestesiologia, cardiochirurgia e dermatologia), quindi è necessario conoscerne qualche nozione. Una comunissima patologia ortopedica negli anziani è la frattura di femore. Una donna su nove, nel corso della sua vita, si rompe il femore, per la maggiore incidenza dell’osteoporosi. Questo è un problema meno presente negli uomini perché muoiono prima. Non ci sono ancora statistiche per gli individui fluidi. A Torino, con circa 980000 abitanti, avvengono cinque fratture di femore al giorno in anziani. Se si applica la stessa proporzione al Piemonte (4 milioni di abitanti), i femori fratturati sono circa 20 al giorno. Ciò non pone un problema di competenza esclusivamente ortopedica: il carico assistenziale della “nonnina” caduta tiene conto del fatto che probabilmente lei sia cardiopatica, nefropatica e con altre comorbidità. Normalmente, una donna di 85 anni prende 23-24 medicine al giorno (nds: internet mi conferma che sta esagerando). Nel caso di un ipotetico intervento al femore, tocca ai vari specialisti (es. nefrologo) stabilire se la terapia possa essere interrotta o no e dunque se la paziente sia in grado di sopportare l’intervento, oppure decidere eventuali modifiche di essa dopo l’operazione (es. a una donna di 88 anni può essere cambiata una terapia prescritta magari anche sei anni prima). FRATTURE DEL FEMORE Le fratture di femore prossimale partono dalla testa del femore e vanno fino a 5 cm sotto il piccolo trocantere (sul quale si inserisce il muscolo psoas, maggiore flessore nell’uomo). Si stima che nel 2050 ci saranno 1,7 milioni di fratture del femore nel mondo. La mortalità della frattura del femore va dal 4% al 7% entro il primo mese. Entro 12 mesi, sale al 24% (una donna anziana su cinque, entro un anno, muore). Se un giovane si rompe il femore, gli si mette un chiodo, il giorno dopo cammina (chiaramente senza “fare i 100 metri in 9,8 secondi”). Una donna di 85 anni con tutto il resto delle comorbidità, una volta allettata, è difficile che si rialzi. L’obiettivo, in ogni caso, dell’assistenza medica alla paziente, è di rimetterla in piedi il prima possibile, tramite un percorso condiviso dal barelliere che la raccoglie sul luogo di caduta all’ultimo infermiere che la segue (inclusi i vari medici che la seguono per i suoi diversi disturbi). Quasi sempre gli anziani, quando si rompono, hanno una frattura da fragilità; a cui possono essere associate altre fratture, generalmente alla colonna vertebrale (da osteoporosi), fino al 4%; 1 monolaterale: solo uno dei due femori si rompe, ma nell’8% dei casi ci può essere una frattura controlaterale entro un anno; Il SSN spende cifre enormi per rimettere in piedi queste vecchiette. (digressione sulla privatizzazione fallimentare del SSN, cita l’esempio di un’anziana signora che lui stesso ha dimesso in USA dopo insistenza e firma, perché non poteva permettersi il resto del ricovero dopo l’operazione). Nella stragrande maggioranza dei casi, le fratture di femore sono di bassa energia. La vecchietta, che è una paziente defedata, non sta facendo paracadutismo: cade mentre è in casa e sta cambiando le tende. Un giovane, infatti, cadendo con lo stesso meccanismo, non si fa male. Si differenziano dalle fratture ad alta energia, che stanno comunque aumentando a causa dell’invecchiamento della popolazione: da 85 anni si può arrivare a 95 o a 105 anni, e tutto questo con una probabilità aumentata di rompersi il femore; ci sono, inoltre, sempre meno giovani perché non facciamo figli e la qualità di vita degli anziani è stata migliorata, a 80 anni, 20 anni fa, non si andava a sciare, si usciva solo per comprare il giornale, adesso la gente a 80 anni fa qualsiasi cosa, es. olimpiadi degli anziani a Torino. Anche questi anziani, quando cadono e si procurano fratture, rimangono comunque pazienti defedati, ma si riesce ad offrire loro una cura di buon livello, nonostante si rompano e guariscano da anziani, non con gli stessi meccanismi dei giovani. Questo perché una parte della popolazione va incontro all’osteoporosi (e si può discutere sul fatto che sia un processo di invecchiamento o una patologia), curata oggi con trattamenti che diminuiscono gli eventi descritti in precedenza ma che non li annullano. Le fratture al collo del femore vengono dette da stress, e sono completamente diverse dalle fratture dell’anziano. Il caso classico è quello di una maratoneta, donna, quarantenne, amenorroica, che non mangia a sufficienza e si allena troppo. La frattura di femore dell’anziano si diagnostica facilmente: la paziente è caduta, con un arto extraruotato e accorciato, ha male e un livido. Chiunque può fare la diagnosi. La paziente viene indirizzata al ps e a fare le lastre. Bisogna controllare se muove il piede e se sente pressione quando viene le toccata la punta del 2 dito. Se la si fa muovere ha ovviamente male. In qualche caso la paziente è caduta qualche giorno prima, si alza al mattino e la gamba cede e va per terra: una frattura che inizialmente era composta è diventata scomposta. In ps si fanno due lastre: una anteroposteriore e una laterale. Figura 1: non c’è nessuna frattura, indica il piccolo trocantere. Figura 2: lastra laterale ben fatta, con grande e piccolo trocantere molto in linea e il collo del femore in linea con la diafisi. Figura 3: frattura presente, indicata dalla freccia. (figure presenti nella slide a sx) Sono necessarie due proiezioni (radiografiche, nds) per capire come è fatta la linea di frattura. Farle, tuttavia, può non essere semplice. I radiologi devono addestrare i tecnici in modo che facciano proiezioni adeguate. La difficoltà deriva dal fatto che la paziente ha male e non permette di farsi muovere la gamba, in particolare in proiezione laterale; inoltre le proiezioni laterali sono più difficili, non basta “inclinare un po’ il tubo” e fare un’altra proiezione. Un radiologo vuole due proiezioni che siano il più possibile ortogonali l’una all’altra. In presenza di dubbi, gli step successivi sono TAC: usata per definire meglio le linee di frattura. Si può fare una ricostruzione 3D, che permette di vedere meglio la frattura e decidere il percorso terapeutico. Risonanza magnetica: ha uno scopo più diagnostico che di supporto al trattamento chirurgico. Permette di vedere se c’è una frattura, soprattutto alle trabecole ossee, si ha una 3 migliore definizione. Non si può sempre fare, in particolare se il paziente ha un pacemaker. Nei nostri ospedali è complesso fare una TAC in urgenza, si auspica che in futuro lo sia di meno. TAC e risonanza ci possono dire una cosa importante, cioè se la paziente ha una frattura oppure no. Una paziente (anziana, ad esempio 85 anni) con male all’anca e che ha avuto un trauma, ha il femore rotto in nove casi su dieci. Bisogna partire da questo presupposto, e in caso di lastre che non mostrano nulla, si deve considerare un’errata lettura. Non bisogna trovare la frattura, bisogna escludere che non ce l’abbia. Il male all’anca non si inventa, neanche i pazienti psichiatrici riescono ad inventarlo, nonostante ci siano tanti altri disturbi che possono essere inventati. Si commette verosimilmente un errore bollando come “fuori di testa” una vecchietta che ha male all’inguine, quindi, in casi come questo, si conclude l’iter diagnostico facendo una risonanza magnetica. In un contesto ospedaliero questo iter non è così semplice e si incorre spesso in pasticci burocratici (la vecchietta può essere mandata a casa solo dopo la diagnosi) e organizzativi, se però la vostra indicazione è che la vecchietta deve fare una risonanza, deve fare una risonanza. La prima classificazione, nonché la più importante, considera l’inserzione nella capsula articolare dell’anca, che avviene a livello della linea intertrocanterica. La capsula porta la vascolarizzazione alla testa del femore. La frattura può essere: mediale (intracapsulare): si ha nella maggior parte dei casi l’interruzione della vascolarizzazione della testa del femore (la testa muore se non viene trattata); laterale (extracapsulare): la vascolarizzazione della testa femorale non viene toccata, si ha dunque bassissimo rischio di necrosi di questa regione (nds, per la visione della totalità dei reperti radiografici di ciascun sottotipo di frattura, non approfonditi dal professore, si rimanda alla consultazione delle slide, inviate sul gruppo whatsapp in data 28/05/2023. Non le abbiamo inserite integralmente per non rendere 4 eccessivamente lunga la sbobina) 5 Le fratture MEDIALI possono essere classificate come: o basi-cervicali: le peggiori, una via di mezzo tra le due successive. Possono avere un’estensione mediale o un’estensione laterale, sono tuttavia considerate mediali perché la vascolarizzazione può essere compromessa; o medio-cervicali: in mezzo al collo del femore; o sottocapitate: sotto la testa del femore; o fratture della testa: molto rare, una all’anno al CTO, tipiche di lesioni ad alta energia nei giovani. Oltre alla sede anatomica, la loro classificazione dipende da come si sono scomposte, fattore rilevante per la decisione del trattamento. La frattura può quindi essere: o incompleta: la frattura del collo incompleta può essere trattata non chirurgicamente o possono essere messe due viti che la stabilizzino, in modo che non si completi; o scomposta in varo: tende a non guarirsi, nell’esempio, di nuovo, del collo del femore, ogni volta che la paziente cammina, tende a scomporsi; o ingranata in valgo: è incastrata e la paziente perde 1 cm di lunghezza del femore, però è possibile che riesca a guarire perché invece di essere una forza di distrazione sulla frattura, diventa una forza di compressione sulla frattura. In questi rari casi si può anche non operare. Sono comunque fratture problematiche perché possono dare necrosi della testa del femore, alla paziente anziana si mette dunque una protesi (le viene tolta la sua testa del femore e viene sostituita con un pezzo di metallo). Se il paziente invece è giovane (es. 20 anni), si cerca di salvare la testa, preservando la vascolarizzazione e stabilizzando la frattura, (non gli verrà permesso di camminare per qualche mese) per dare una maggior chance alla testa di sopravvivere. 6 Classificazione secondo sbobine canale A aa 19-20: Le fratture LATERALI possono essere classificate come: o sottotrocanteriche: stanno al di sotto del piccolo trocantere o intertrocanteriche o pertrocanteriche: stanno tra il grande trocantere e il piccolo trocantere. Possono essere stabili o instabili. La maggior parte delle fratture pertrocanteriche e sottotrocanteriche sono instabili per definizione. L’immagine a dx è relativa ad una frattura pertrocanterica, va da un trocantere all’altro. Nell’immagine a dx è presente una frattura relativamente composta, in cui il collo del femore ha mantenuto i rapporti di inclinazione (125°-135°) con la diafisi del femore. 7 Nell’immagine sovrastante è presente un’altra frattura in cui l’angolo si è varizzato. Se l’angolo (nds: di frattura) aumenta si chiama valgismo, se l’angolo diminuisce si chiama varismo. Nell’immagine sovrastante è raffigurata una frattura sottotrocanterica inversa, che invece di andare dal grande al piccolo trocantere ha un percorso completamente alterato. Esistono diversi tipi di fratture all’interno di questa macroarea. 8 Nell’immagine sovrastante è presente una frattura sottotrocanterica composta, difficile da vedere, correlata all’assunzione di bifosfonati, uno dei trattamenti più utilizzati per l’osteoporosi, che ha causato l’aumento delle fratture atipiche. [parte da sbob 19-20: Nelle fratture laterali è importante valutare la rima di frattura, perché dobbiamo dividere le fratture stabili dalle fratture instabili. Ciò perché le fratture laterali si trattano prevalentemente con i mezzi di sintesi: chiodi, placche, viti. Si deve valutare prima dell'intervento quale mezzo di sintesi sia più idoneo e poi dividere le stabili (le quali hanno una rima di frattura abbastanza composta e obliqua) dalle instabili (in cui le forze determinano una scomposizione della frattura). ] PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO DELLA PAZIENTE (PER QUALSIASI MEDICO) L’ortopedico in guardia di notte in Piemonte c’è solo al CTO. L’anziana paziente che cade e va in ps si trova spesso di fronte un urgentista, un nefrologo che ha il turno in ps etc. Spesso comunque la 9 risposta di un ortopedico, se interpellato, è l’indicazione di ricovero, in attesa dell’operazione. In presenza di una diagnosi, TAC e risonanza non si fanno. Infatti la risonanza si fa solo in caso di dubbi; la TAC può essere utile in caso di frattura atipica; in ogni caso sta all’ortopedico decidere se procedere con questi approfondimenti diagnostici. Si deve: “fare dei liquidi” (nds: immagino si riferisca all’idratazione della vecchietta): spesso la paziente vive da sola, e viene soccorsa solo quando non risponde alle chiamate di parenti/amici/badante o quando questi entrano in casa. Pertanto, possono trascorrere molte ore (6-12) prima che si rialzi, nelle quali non ha assunto liquidi/alimenti. Inoltre, i problemi aumentano considerando le probabili comorbidità; somministrare antidolorifici: non esistono antidolorifici “specifici per le ossa”, per cui qualsiasi medico è tenuto a somministrare alla paziente questo tipo di farmaci senza attendere un consulto ortopedico. Un antidolorifico può salvare la vita, perché evita l’aumento di frequenza (nds: cardiaca, tipica della reazione al dolore, pericolosa negli scompensati cardiaci); invitare la paziente a stare ferma (senza legarla al letto, presidio riservato ai pazienti psichiatrici, e senza fare un gesso, che dovrebbe essere un femore-podalico); valutare l’emoglobina: con la frattura di femore, la paziente può perdere due punti di emoglobina e questo è rilevante, considerando che spesso ha già un valore di 11 g/dL per patologie sottostanti (es. scompenso renale). Può scendere a 9 g/dL e il suo cuore, che magari ha già una frazione di eiezione del 22%, aumenta la frequenza: questo aumenta il rischio di morte; sospendere eventuali anti-coagulanti (poiché la paziente dovrà essere operata). Una volta queste pazienti si mettevano in trazione: si metteva un filo di metallo dentro il femore (prima da sveglie, in seguito si è cominciato a fare questa operazione in sedazione) e si attaccava la paziente a un marchingegno con un peso che teneva in trazione l’arto, pratica presente fin dai tempi di Napoleone (riservata ai soldati che si rompevano il femore). Si è usata molto perché la trazione è un ottimo analgesico. Tirando il femore tramite il filo di metallo posto al suo interno, la paziente contrae perché ha male nei primi 20 minuti, dopodichè non ce la fa più perché il peso è più forte dei suoi muscoli, molla i muscoli e il femore tende a riallinearsi e a fare meno male. La pratica è stata eliminata perché la paziente non si muove dal letto e questo facilita l’insorgenza di ulcere (decubiti) da pressione, da evitare negli anziani per la lenta guarigione e perché complicano la convalescenza da femore rotto (che già di per sé dura 6 mesi). Gli anestesisti al ps possono fare un blocco (infiltrazione con anestetico intorno ad un nervo, lo si “addormenta” e non viene più percepito il dolore): eliminando i farmaci antidolorifici in endovena si elimina il disorientamento tipico dei giorni successivi (ad esempio, la morfina può peggiorare i sintomi dell’Alzheimer). 10 PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO DELLA PAZIENTE (ORTOPEDICO) Può decidere di operare oppure no. Le fratture laterali comportano l’operazione della totalità dei pazienti (anche la 94enne metastatica con 6 mesi di vita). Se la paziente è lasciata a letto, i muscoli tirano su il femore, esso si accorcia, non potrà più camminare, ha male e si sviluppa un’ulcera da decubito per il grande trocantere che risale e punta sulla cute (fragile, tipica degli anziani). In sostanza si lascia la paziente morire per un’ulcera da decubito, 6 mesi in un letto, con il male. Se muore in sala operatoria almeno non sente il male. Ai parenti si spiega che la paziente rischia di morire a un mese al 4-7%, e al 25% a un anno, che in caso di operazione c’è un rischio di morte in sala operatoria e nel caso in cui non venga operata morirà entro qualche mese. Si operano tutte le fratture laterali, a meno che il paziente abbia al massimo 3 mesi di vita (terminale, tenendo conto della difficoltà nel stabilire quanti mesi di vita rimangano ai pazienti) e cammini. Le fratture mediali possono essere trattate anche conservativamente perché sono molto meglio tollerate dal punto di vista del dolore. Considerando una paziente che già non camminava tanto prima (e verosimilmente anche dopo l’intervento non camminerebbe più), con la frazione di eiezione al 22% e il resto delle comorbidità, se da sdraiata non prova dolore e si riesce a metterla seduta senza che abbia male, ci si può accontentare e trattarla non chirurgicamente, così ci si toglie il rischio dell’anestesia. Al CTO succede 4-5 volte all’anno, contro invece i 700 interventi. Riguardano principalmente pazienti con la frattura mediale del femore, con una bassa aspettativa di vita e scarse capacità funzionali già prima dell’intervento. Si lascia la paziente nel letto e le si 11 somministrano antidolorifici e anticoagulanti, non si esegue la trazione (nell’immagine nelle sue slide, a cerotto, utile solo nei bambini, negli adulti è inutile e pericolosa per l’aumento del rischio di ulcere). A parte questi pazienti, tutti gli altri vanno verso la chirurgia. Le fratture laterali, prive di rischio di necrosi, vengono trattate con un chiodo o con una placca, quindi si salva il suo osso e lo si fissa in qualche modo. 12 Le fratture mediali, invece, vengono trattate con delle viti (nei pazienti giovani dove si cerca di salvare la testa) o con una protesi. Ci sono due tipi di protesi: protesi totali o endoprotesi. Nella protesi totale si rimuovono testa e 13 collo del femore e si sostituiscono con qualcosa di simile dentro il femore, si “gratta” la cartilagine dell’acetabolo e si mette una palla di metallo all’interno; poi si uniscono le protesi. Nell’endoprotesi o protesi parziale, si sostituisce solo il femore senza la parte acetabolare, viene fatta solo nei pazienti con meno di 5 anni di aspettativa di vita. Questo perché lasciare l’acetabolo nativo con un’endoprotesi di metallo che ci articola sopra, porta ad un consumo dell’acetabolo stesso. Se l’aspettativa di vita è maggiore il consumo richiede un re-intervento, motivo per cui si sceglie l’alternativa, cioè la protesi totale, di durata di 15 anni se va tutto bene. Il chiodo è inserito in 30-40 minuti. È un intervento veloce e piccolo con bassa perdita di sangue, comporta la perdita di un ulteriore punto di Hb (2 punti erano già stati persi con la frattura). Se le pazienti partono con valori di Hb alti, possono resistere alla procedura senza trasfusioni; altrimenti, le trasfusioni si rendono necessarie. Dal giorno dopo, la paziente può camminare, ma senza appoggiarsi sul piede dell’arto rotto. Dal punto di vista ortopedico è fondamentale dare il carico il prima possibile, ovvero lasciare che la paziente possa appoggiare il piede il prima possibile. I 14 giovani, in seguito all’intervento possono camminare con due stampelle senza appoggiare il piede. La paziente di 85 anni che cammina a base larga e che si tiene ai mobili per andare in bagno non riesce a camminare su una gamba sola: sta a letto. La differenza di mortalità per frattura di femore tra i giovani e la paziente anziana è proprio dovuta al fatto che i giovani vadano in piedi entro qualche giorno e lei non ci vada proprio. Questo spiega perché mettere la paziente anziana in piedi sia fondamentale, nonchè l’obiettivo primario di tutti gli specialisti che devono collaborare (ad esempio, se ha 180 di frequenza cardiaca o la si seda non riesce a camminare). Questo si aggiunge al fatto che cuore, reni e polmoni non funzionino correttamente. Il piano nazionale esiti è la valutazione che fa il ministero degli ospedali; è stabilito che l’80% delle fratture necessita di essere operato entro 48 ore, e talvolta risulta difficile visti i numeri impressionanti. Lo è ancora di più se si richiedono consulti inutili (ad esempio al dermatologo per una patologia dermatologica di cui la paziente ha sofferto 5 anni fa; oppure, non c’è bisogno che un cardiologo dica che la paziente è ad alto rischio durante l’operazione se lei ha 95 anni, spesso si cerca uno scudo medico-legale). È indicato quindi che le consulenze (ad esempio nefrologiche) per questo tipo di operazione vanno fatte entro 6 ore. È ovvio che se una paziente 90enne arriva di notte non la si opera perché se si scompensa il cardiologo non è disponibile e non ci sono le varie strutture presenti di giorno. L’ideale è che venga operata il mattino dopo o il mattino seguente, una volta effettuate tutte le consulenze necessarie. Alla paziente viene fatta la profilassi con eparina, una procedura fondamentale che ha cambiato la storia dei nostri femori: ha permesso di diminuire di moltissimo il rischio di tromboembolia polmonare massiva il giorno dell’intervento o il successivo. La paziente deve inoltre essere idratata e nutrita (altrimenti non cammina, già ha una diminuzione dell’emoglobina, è disorientata, …), va trattata con antidolorifici (non con troppa morfina altrimenti non riesce a stare in piedi e non va più in bagno, condizione da cui nascono problemi addominali che sono un’ulteriore complicanza se la si vuole mettere in piedi). Se la paziente viene sedata magari passa la notte a chiamare il marito morto da tre anni. L’obiettivo, oltre a metterla in piedi il prima possibile, è quello di mandarla a casa il prima possibile, dove ha i suoi ritmi e le sue abitudini (sveglia, pasti, etc). Mandarla a casa è ovviamente un carico sociale: una famiglia abbiente può permettersi che un fisioterapista la segua, così come un infermiere che le faccia la flebo di idratazione; una famiglia non abbiente non può permetterselo e la manda in un centro di riabilitazione, dove si hanno 40 minuti di fisioterapia mattutini e 40 pomeridiani, il resto della giornata lo passa a guardare il soffitto e rischia di lasciarsi andare. Della placca non parla perché è la stessa cosa (nds: probabilmente rispetto al chiodo). Le fratture mediali possono essere trattate, nei pazienti giovani (10 g/dL in modo che non le giri la testa quando sta in piedi, etc. Se la paziente va in piedi si possono avere delle complicanze: infezione: soprattutto nelle diabetiche con altre complicanze; 17 un osso disastroso: è il motivo per cui si è rotto, noi mettiamo il chiodo, ma si può rompere l’osso intorno al chiodo; può non guarire; può rompersi il chiodo o la placca: il chiodo non si rompe perché la paziente “è stata operata male”. Si rompe se la frattura non è guarita. Infatti tutti i mezzi di sintesi sono fatti per far guarire la frattura, se ciò succede si rompono da fatica, indipendentemente da come sia stato messo (anche se l’ortopedico con il trattamento chirurgico influisce in una certa percentuale sulla guarigione, influenzata a sua volta anche dalla componente biologica); necrosi: dovuta alle viti, si cerca di salvare la testa ma non si riesce; artrosi: altra complicanza delle viti, la testa è sopravvissuta ma la cartilagine si è consumata o ha avuto una lesione durante l’impatto e quindi vado incontro ad artrosi. 18 Le complicanze legate alle protesi sono lussazione: la testina del femore (indicando l’immagine sovrastante) non articola più; riguarda l’1-2% dei trattamenti, si diagnostica perché è accorciata, intraruotata e molto dolorante. Si seda la paziente e si rimette a posto la protesi; al secondo o terzo episodio di lussazione, se succede, bisogna cambiare dei pezzi della protesi; infezione: si rimuove la protesi e si inserisce lo spaziatore che rilascia antibiotico; embolismi; problemi legati alla corrosione dell’acetabolo; fratture periprotesiche: in aumento perché la popolazione sta invecchiando, molte pazienti cascano di più e si rompono, la medicina ha fatto progressi, le si rimette in piedi, loro cadono di nuovo, ma visto che hanno un chiodo si rompono sotto di esso perché il chiodo è più rigido e l’osso sotto è “pastafrolla” (in questo caso specifico sono perichiodesiche - periimpianto). Indica immagine sovrastante. Dal punto di vista non ortopedico hanno gli stessi princìpi di trattamento, dal punto di vista ortopedico sono più complicate. A questa categoria di pazienti si aggiungono coloro che hanno ricevuto una protesi per artrosi in elezione a 70 anni e arrivati a 90 anni cadranno e si frattureranno. Take home point: di fratture di femore si muore e la frattura al femore non è una patologia solo ortopedica. La frattura al femore è una causa di disabilità importantissima: solo il 40-60% delle pazienti che sopravvivono torna a fare le cose di prima e questo va detto ai parenti, il femore torna a posto ma la paziente no. Spesso è uno dei motivi per cui gli anziani sono indirizzati a case di cura (benché l’istituzionalizzazione non sia certamente il meglio per il paziente). 19 Malattie dell’apparato locomotore – lezione 2 – 10/03/2023 – Prof. Alessandro Aprato (Amatucci, Busi) FRATTURE DEL BACINO-ACETABOLO E DEL FEMORE [Nota della sbobinatrice: In corsivo ho riportato parti integrate dalle sbobine dell’anno precedente.] La lezione precedente riguardava le fratture del femore prossimale, mentre in quella odierna si sale parlando delle fratture del bacino e si scende parlando di quelle del femore distale, ovvero della diafisi del femore. FRATTURE DEL BACINO E DELL’ACETABOLO Il bacino è fondamentale per stare in piedi e per far passare il carico della colonna agli arti inferiori. La prima cosa da ricordare è la distinzione tra le fratture del bacino (lesioni che riguardano l'anello pelvico) e le fratture dell'acetabolo (lesioni che coinvolgono solo la superficie articolare del bacino, quindi solo la parte che articola con la testa del femore): sono due cose diverse sia dal punto di vista funzionale, sia dal punto di vista del trattamento e della prognosi. L'anello pelvico è costituito dal sacro, dalle ali iliache e dal pube; va a creare un anello che è stabile e che si muove. Ha un leggero movimento sia sulle sacro-iliache che sulla sinfisi pubica: le misurazioni indicano due-tre gradi di movimento sulle sacro-iliache che tende ad essere sempre minore con l'età, diventando l’anello più rigido e tendendo a fondersi. Spesso si parla di lesioni dell’anello pelvico e non di vere e proprie fratture, in quanto sono per lo più lesioni legamentose importanti (come lussazione sacro-iliaca e diastasi della sinfisi pubica) al legamento spinoso o tuberoso o rottura della sinfisi pubica, che avvengono per traumi ad alta energia generalmente in antero- posteriore. Invece l'acetabolo è quella parte di bacino, coperta da una superficie articolare, che articola con la testa del femore. Se le lesioni dell'anello pelvico sono lesioni della struttura meccanica del nostro organismo, le fratture dell'acetabolo sono invece assimilabili alla frattura di un’articolazione (es. gomito). DIFFERENZA TRA FRATTURA DI ANELLO PELVICO E DI ACETABOLO Il professore chiede di individuare il numero di fratture in una RX del bacino [Nds. Sarà nelle slide]. Si osserva una frattura della branca ileo-pubica, ischio-pubica; l’altra branca ileo pubica è rotta in due punti: il conteggio delle fratture sale a 5/più di 5. Le due ali non sono simmetriche, ovvero “qualcosa si sarà rotto” dietro. In questo caso si tratta di una lesione dell’anello pelvico: ho un’instabilità completa dell’emibacino di destra che è completamente svincolato dalla struttura bassa e potremmo toglierlo sfruttandone le fratture. Il professore mostra quindi l’RX di una frattura acetabolare per evidenziare le differenze. Chiede quindi di individuare le differenze con l’RX di un acetabolo sano, insistendo sulla necessità di 1 adottare la terminologia corretta. L’immagine mostra una sublussazione mediale della testa del femore in una frattura acetabolare. Con lussazione si intende la perdita di rapporti anatomici tra due superfici articolari irreversibile, se non chirurgicamente. In questo caso la testa del femore ha perso il suo alloggiamento nell’acetabolo, finendo medialmente. Tirando la gamba questa verosimilmente tornerà al suo posto, ma senza mettere una placca tornerà nuovamente dentro. La struttura del bacino è STABILE: non ha perso l’anello, non c’è una porzione svincolata dal resto dell’anello. Questo comporta molte differenze che vedremo nelle parti successive. FRATTURA DEL BACINO PUNTI DI ROTTURA DEL BACINO Il bacino si può rompere ovunque e si possono avere lesioni legamentose associate: abbiamo una frattura generalmente posteriormente e una lesione per esempio della sinfisi pubica e/o delle branche anteriori; oppure si può rompere la sinfisi pubica, con possibile rottura o sub-lussazione dell’articolazione sacro-iliaca. Nel caso di impatto ad alta energia, si possono strappare dei legamenti, spessi come un pollice, che vanno dal sacro alla tuberosità ischiatica e alla spina ischiatica: sono rispettivamente il legamento sacro-tuberoso e sacro-spinoso. Questi due legamenti sono essenziali perché formano il pavimento pelvico (argomento di interesse urologico e ginecologico). Oltre ai legamenti si può rompere la struttura posteriore che dà stabilità al bacino: il sacro può essere paragonato alla chiave di volta che sostiene l’arco; rimuovendo le pietre laterali l’arco si riassesta, rimuovendo quella centrale l’arco cede. CONCETTI DA PORTARE A CASA - Primo: il sacro è fondamentale! In caso di frattura del sacro si ha instabilità dell’intero bacino. - Secondo: l’acetabolo (superficie articolare) viene pensato come una Y rovesciata. L’acetabolo infatti è sorretto da due strutture fondamentali che sono la colonna anteriore e la colonna ANT POST posteriore. Si hanno poi altre strutture che fungono da muri e tetto dell’acetabolo, il quale è una cupola, ma guardando alla stabilità è fondamentale soffermarsi sulle due colonne portanti. ILEO ISCHIO PUBE COLONNA COLONNA 2 POSTERIORE ANTERIORE LA FRATTURA DI BACINO È UN’EMERGENZA Insieme alle fratture di femore, le fratture di bacino sono argomento di particolare importanza soprattutto per chi si occuperà di emergenze: si tratta infatti dell’unica vera patologia ortopedica d’emergenza, insieme alla rottura di entrambi i femori. La differenza tra emergenza ed urgenza riguarda la compromissione dei parametri vitali: nell’emergenza si ha compromissione dei parametri vitali, nell’urgenza no. Nel 20% dei casi circa, i politraumatizzati hanno anche una frattura del bacino: negli incidenti, ad esempio, i motociclisti possono riportare lesioni dell’anello pelvico sbattendo il pube contro il serbatoio. Oltre alle fratture del bacino si possono avere altre fratture che comportano ulteriore sanguinamento, ma già con la frattura del bacino si può avere sanguinamento fino a 4L, con conseguente perdita di coscienza. Considerando che il volume circolante è di circa 5L, un pz con una frattura di bacino può morire dissanguato. È quindi l’unica vera emergenza ortopedica. Nel caso di frattura del femore, la quale può sanguinare fino a 2L, si è in una situazione di emergenza quando la frattura è doppia, di entrambi i femori. In questi casi va chiamato l’ortopedico immediatamente. TRAUMI AD ALTA E BASSA ENERGIA Bisogna dividere i pz in base alla tipologia di frattura tra quelle dovute a traumi ad alta energia e quelle a bassa energia. L’anziana che cade a casa, o che batte contro il mobiletto del bagno piuttosto che il comodino, si può rompere il bacino o il femore cadendo (visto la scorsa volta). Una frattura singola, isolata dell’anca non compromette la stabilità del bacino. La pz, trattata con stampelle ed antidolorifici, potrà sin da subito camminare. In caso di frattura di due branche, o due branche e il sacro, il bacino non è stabile. L’indicazione è quindi chirurgica. Excursus sul quando svegliare in piena notte ortopedici assonnati, senza ricevere insulti. L’urgentista in PS, (si tratta di personale laureato non specializzato, ergo noi tra qualche anno), non deve contattare l’ortopedico alle due di notte se la frattura interessa solo una branca. Viceversa in caso di fratture di più branche, l’ortopedico sarà ben disposto ad ascoltare e dare indicazioni. Frattura a bassa energia Se il pz caduto in casa non ha accorciamento del femore, non è extra-ruotato, ma ha una frattura pelvica si procede con una lastra. Se evidenzia frattura solo di una branca siamo tranquilli. Se riguarda più di una branca va fatta una TC. 3 Meccanismi di frattura ad alta energia La classificazione di queste lesioni ha un significato prognostico e terapeutico; si basa sulla base del concetto di stabilità meccanica del bacino. Fratture instabili solo sul piano orizzontale 1) Frattura a libro aperto - MOTOCICLISTA Sbatte contro il serbatoio, da davanti a dietro. Si tende a creare un open book, una frattura a libro aperto in cui gli emibacini si aprono, si sposta indietro e si apre. Il bacino che si apre non contiene il sanguinamento, quindi ho un importante sanguinamento. Le lesioni da extrarotazione (da apertura) si verificano con un meccanismo di compressione anteroposteriore, oppure il femore viene extraruotato verso l’esterno. In questi casi, si strappano la sinfisi pubica e i legamenti; il volume dell’anello pelvico aumenta, per cui ci può stare molto sangue. Frattura a libro chiuso – PZ INVESTITO Altro meccanismo è quello di compressione laterale (esempio in cui al pz passa sopra una macchina), che tende a chiudere il bacino e prende il nome di closed book. Più frequentemente si ha una lesione delle branche con una lesione della sinfisi pubica. Può essere bilaterale. Le lesioni da intrarotazione sono dovute ad una compressione laterale. L’osso si rompe, si fratturano le branche e il sacro, si strappano dei legamenti. In queste lesioni, il volume del bacino è ridotto, e quindi ci sta meno sangue all’interno prima che ci sia un effetto di tampone da parte dei visceri. NESSUNO CI CHIEDERA’ DI RICORDARE LA CLASSIFICAZIONE, L’IMPORTANTE è RICORDARE: trauma antero-posteriore tende ad aprire il bacino; trauma laterale tende a chiuderlo. LIBRO APERTO LIBRO CHIUSO 4 Fratture instabili su più piani Il bacino può anche avere una risalita, determinando instabilità su tre piani. 2) Frattura instabile su piano orizzontale e verticale (con risalita) – SUICIDIO L’esempio classico sono i suicidi che, dal punto di vista psichiatrico, vengono divisi in divers e jumpers: i divers si buttano di testa, i jumpers di piedi. La maggior parte dei divers non arriva all’ospedale, perché muore sul colpo; i jumpers spesso vengono salvati, il che è un grosso problema perché si trovano tutti rotti e con una qualità di vita pessima. Consiglio: o riusciamo a dissuaderli dal buttarsi, o meglio che si buttino di testa, o da un piano superiore al quinto. Quando il paziente atterra, se la caduta non viene attenuata da qualcosa, atterra sui calcagni che esplodono poiché non in grado di reggere la forza di un corpo che cade da 6-7 metri. A quel punto, le gambe vanno per aria e atterra di sedere, non esattamente di piatto, più da un lato. La parte di bacino che prende l’urto, risale, si rompe e determina instabilità. Questa è la peggiore lesione che si può avere perché si ha sia instabilità orizzontale che verticale ed il sanguinamento non può essere tamponato in nessun modo. È il più grave, quello in cui mezzo bacino non è più attaccato da nessun legamento alla porzione esterna dell’anello pelvico. Sono lesioni da taglio, possono produrre una rottura completa dell’apparato legamentoso. Vengono sottoclassificate in A, B e C, con tasso di mortalità diverso. La mortalità è legata ad uno shock emorragico, in quanto la frattura di bacino può sanguinare da sola (al punto da portare a morte il paziente nell’arco di minuti), producendo un’instabilità emodinamica anche in assenza di altre lesioni. FRATTURA DELL’ACETABOLO La posizione della gamba al momento dell’impatto determina la modalità e la causa della frattura. Le fratture dell’acetabolo sono ancora più interessanti dal punto di vista meccanico perché questa struttura tende a rompersi in vari modi a seconda di come è la posizione del femore al momento del trauma. L’esempio più tipico è la ‘dashboard injury’, ossia l’urto del ginocchio contro il cruscotto, in cui la forza applicata sul femore flesso spinge contro il muro posteriore dell’acetabolo e si ha frattura, spesso associata a frattura di rotula o lesione del crociato. Può anche succedere, sempre con la stessa dinamica della dashboard injury, che esca la testa del femore dalla sua sede (causando lussazione), invece di rompere l’acetabolo. DASHBOARD INJURY Seduto in macchina con la cintura, in un urto anteriore, il cruscotto va in direzione del pz e sbatte contro le ginocchia: può rompere la rotula, il crociato posteriore (forzando la tibia in un modo che vedremo successivamente), applica una forza lungo il femore. Il femore, inclinato rispetto al bacino, sfonda il muro posteriore. Questa è la classica lesione da incidente frontale. Meccanismo: in base all’angolo del vettore di forza durante il trauma, cambia il tipo di frattura. In base alla posizione della gamba, si può avere frattura del muro posteriore, della colonna posteriore, della colonna anteriore, etc ma sono argomenti che si studiano ad ortopedia. Le fratture sono quasi sempre riproducibili, simili nonostante la scena sia diversa. 5 Il professore invita a non pensare alla figura dell’ortopedico come uno che improvvisa la sintesi della frattura, che va stabilizzata, vanno messe delle viti; bensì riconduce la frattura del pz ad una delle fratture della classificazione e sulla base di questo sceglie cosa mettere. Ci sono 6 linee usate come reference points per la diagnosi di frattura dell’acetabolo (importanti perché in tal modo dalla lastra AP, in situazioni di emergenza, si può già classificare la frattura di acetabolo): 1. Muro anteriore 2. Muro posteriore 3. Tetto 4. Linea Ileo-pettinea 5. Linea Ileo-ischiatica 6. Figura a lacrima (presa da Internet. Nella slide è chiamata teardrop = lacrima) LUSSAZIONE TESTA DEL FEMORE Il professore mostra un’immagine in cui non c’è frattura, bensì “qualcosa che non va”: la testa del femore è lussata, dalla lastra non possiamo dire se sia lussata anteriormente o posteriormente (il prof direbbe posteriormente per esperienza). PUR NON AVENDO FRATTURA, VA TRATTATO IMMEDIATAMENTE. Il rischio non è emorragico, le arterie della testa del femore sono di 1 mm/1,5 mm quindi sanguinano pochissimo. Si può invece avere: o Necrosi testa del femore - Lasciando la testa lussata si può avere una trombizzazione del ramo anteriore dell’arteria otturatoria [ramo parietale del tronco anteriore dell’arteria iliaca interna n.d.r], che nella coscia contrae anastomosi con la circonflessa mediale del femore, con conseguente necrosi della testa; o Compressione del nervo sciatico - L’altra alternativa è che la lussazione determini compressione del nervo sciatico, ovvero il pz si sveglia senza poter muovere il piede. SI TRATTA DI UN’URGENZA, non emergenza [Nds. I parametri vitali non sono compromessi] NB. Rientra tra i motivi validi per chiamare l’ortopedico alle 2 di notte. L’ortopedico verrà a ridurre la lussazione con l’aiuto dell’anestesista sia perché il dolore avvertito dal pz determina contrazione della muscolatura (psoas soprattutto), che tira impedendo la riduzione. Quindi si somministrano sedativi, il pz si addormenta, si tira, si fa rientrare il femore, si controlla che sia al suo posto, dopodiché si fa un’indagine di secondo livello. LE LUSSAZIONI SONO UN’URGENZA per tutte le articolazioni, dita comprese, tranne nel caso delle articolazioni … [audio non comprensibile, 25’10”: sembra dire “tranne gomito, ileo, radio”] 6 DIAGNOSI DI FRATTURA DEL BACINO Non è difficile, è fondamentale l’ipotesi diagnostica che va fatta direttamente sulla strada. Da qualche anno il 118 è dotato di cinture pelviche, che servono a contenere il sanguinamento. Di seguito il percorso corretto in caso di lesione dell’anello pelvico: 1. Motociclista si schianta 2. Arriva ambulanza (medicalizzata/elicottero) 3. Valutazione di una possibile frattura di bacino: - la prima cosa in caso di dubbio è il palpeggiamento per valutare presenza di diastasi della sinfisi pubica, che anche in caso di obesità è ben individuabile. Se la sinfisi pubica viene percepita chiusa, verosimilmente potrebbe essere una lesione in chiusura ma sicuramente non diastasi. - la seconda cosa è prendere le ali iliache e cercare di muovere il bacino: in un pz rotto, uno dei due emibacini si muove. Il professore invita a provare sul proprio partner queste due valutazioni, assicurandoci che non possiamo sbagliare, anche fosse la prima volta. Questo perché dopo la palpazione pubica, la seconda manovra VA FATTA UNA SOLA VOLTA. Dopo il 118, arriva l’elicottero con l’anestesista, che non fidandosi ritesta il bacino; in PS l’anestesista presente ritesta, arriva poi l’ortopedico che ritesta. Ogni volta che muoviamo il bacino, rompiamo i coaguli che ha formato il pz. Quindi il primo che esegue il test, DICHIARA CHE IL TEST È POSITIVO E POSIZIONA LA CINTURA PELVICA, dicendo a tutti gli altri di non ripetere la manovra. Mettere la cintura pelvica è più efficace di dirlo soltanto, “poi la gente non gliela toglie”. Ergo METTETE LA CINTURA SUBITO. Una volta visto che il bacino è instabile si guarda se c’è lesione cutanea e lesione edematosa (inguino-scrotale soprattutto). Immediatamente bisogna mettere un pelvic binder, una cintura che serve a tenere fermo il bacino (funziona come una stecco-benda per l’avambraccio). Lo step successivo è quello di mettere un fissatore esterno, composto da viti poste di traverso e barre che le tengono ferme, importantissimo per le fratture esposte e complesse. Questo è il trattamento iniziale: faccio il test, posso poi avere un arto accorciato, extraruotato. Rispondendo ad una domanda: la distinzione tra frattura dell’acetabolo e del bacino non può essere ancora fatta su strada. 4. Concetto da portare a casa: bisogna sapere se il pz è un POLITRAUMATIZZATO o un POLIFRATTURATO. Il prof continua a vedere cartelle che classificano il pz come politraumatizzato anche se non lo è! “Politraumatizzato” è una chiara definizione clinica: è un pz con ISS>15, dove ISS è Injury Severity Score. Può essere definito politraumatizzato solo dopo aver calcolato il punteggio. Si sofferma su questo dettaglio perché la differenza tra politraumatizzato e polifratturato è enorme: il politraumatizzato rischia di “lasciarci le penne”; il polifratturato ha due o più fratture, ma 7 non ha una compromissione sistemica. Il modo migliore per stimare in quale categoria delle due ricade il pz è calcolare l’ISS. PILLOLE DI SOPRAVVIVENZA DA ASPIRANTI URGENTISTI Definire politraumatizzato un pz con due polsi rotti è dal punto di vista tecnico una “bestialità”. Da qui alla pensione, scrivere politraumatizzato solo dopo aver calcolato l’ISS, stabilendo quindi che il pz è in shock o può essere predisposto ad uno shock. In base a come classifichiamo il pz cambierà tantissimo il percorso successivo. Infatti, quando il 118 comunica la presenza di politraumatizzato con il relativo valore ISS, al CTO si attiva il trauma team. Il politraumatizzato è colui che ha almeno due delle regioni del corpo indicate nella tabella ISS compromesse. È un paziente fragile, con alto rischio di infezione, con risposta sistemica bassissima, con caratteristiche metaboliche respiratorie, renali, di funzionalità epatica ecc. completamente diverse dagli altri. Va gestito molto bene dal punto di vista rianimatorio per ridurre al minimo il ‘second hit’, cioè un secondo trauma fatto operando, intubando o effettuando tutte le procedure necessarie. Se trattato in maniera corretta nella fase acuta, una volta superata questa, si utilizzeranno le strategie più aggressive per stabilizzare le fratture. Invece, nel paziente polifratturato si possono fare anche più interventi in un giorno senza alcun problema. TRAUMA TEAM - COMPOSIZIONE Il trauma team esiste solo nei grossi centri ortopedic e non tutti i team sono esattamente uguali. Al CTO il team è composto da un anestesista, un chirurgo generale, un ortopedico, un radiologo, tre infermieri e tre-quattro oss. IL POLITRAUMATIZZATO DEVE ESSERE TRATTATO- STABILIZZATO NELLA PRIMA ORA, per aumentare la probabilità che si salvi. I componenti del team devono essere liberi all’arrivo del pz, non in sala operatoria. L’approccio al pz politraumatizzato viene spiegato in corsi BLSD. Si usa un sistema di valutazione chiamato ABC(D): A- AIRWAYS Viene valutata la pervietà delle vie aeree, se non sono pervie si mette una cannula o un tubo a seconda di quanto si deve fare. B- BREATHING Si valuta il respiro, si fa un RX (serve il tecnico di radiologia) per distinguere emo- e pneumotorace. Il chirurgo generale può effettuare drenaggi in caso di necessità. C- CIRCULATION Si valuta la circolazione, ad esempio se ha uno shock ipovolemico. Il chirurgo generale serve per verificare se la milza è rotta, per identificare patologie intra-extra peritoneali. Si ricorre ad un’ecografia detta “fast” (ECO-FAST) che permette di vedere se c’è sangue: 8 non fa una diagnosi perché non identifica l’arteria rotta, ma permette di valutare la presenza di sangue in addome che sia intra o extra peritoneale. Questo è fondamentale. L’ortopedico non ha necessità di distinguere tra frattura della branca inferiore o colonna anteriore dell’acetabolo: in quel momento la priorità è stabilizzare il politraumatizzato. Serve una visione generica, sapere se c’è una frattura del bacino o del femore. Anche il radiologo non si sofferma sui dettagli in urgenza andare nei dettagli: darà indicazioni di presenza-assenza di lesione senza descrizione. Esempio classico in BLS: paziente shockato in ipovolemia, “giro attorno senza trovare niente” mentre il pz ha un coltello nella schiena. Un’ora a cercare sanguinamento, non è la milza, non è il fegato… poi era il coltello nella schiena. Riprendendo il caso del motociclista, oltre al bacino, si possono osservare dei “testicoli grossi così” [Nds. Il prof dispone le mani ad indicare una distanza approsimativa di 30 cm], perché anche questi ultimi vengono coinvolti nell’impatto ed è possibile ricercare discrepanza di lunghezza tra i due arti. In PS viene mantenuta la cintura pelvica, che se rimossa farebbe iniziare a sanguinare il pz. Se all’RX si individua una frattura di bacino e il pz è abbastanza stabile si procede con la TC, che può essere effettuata anche con la cintura pelvica. La cintura pelvica non va mantenuta più di 24-48h: - se il pz può andare in sala operatoria per una stabilizzazione definitiva, lo mando direttamente e lascio la cintura; - se invece, come spesso succede, il pz ha trauma cranico con possibile sanguinamento dell’orecchio, milza rotta, due femori e tibia rotta, finirà in intubazione-rianimazione e ci starà un po’ di tempo: il pz non è stabile e non verrà operato il giorno successivo, metto un fissatore esterno. Converto la cintura pelvica, da pensare come una stecco-benda che va molto bene in un primo momento in strada, in qualcosa di più rigido, di più stabile. Ci preoccupa il bacino perché l’80% dei sanguinamenti non sono legati ad una lesione arteriosa: se viene tagliata la femorale infatti il pz muore già per strada; chi arriva in PS non ha lesioni arteriose peggiori, ma una lesione del bacino che ha strappato il PLESSO VENOSO PRE-SACRALE, composto da tante piccole venuzze davanti al sacro (motivo per cui le fratture del sacro devono essere stabilizzate). Ci possono essere associati anche altri sanguinamenti, come quello della glutea. Quando si ha un open book si ha di solito un sanguinamento venoso (sia della vena otturatoria, sia della vena iliaca, quest’ultima molto meno frequente) del 5-10%, si può avere anche un sanguinamento arterioso (più raro). Qualche radiologo-interventista, preso dalla sua capacità di tappare vasi, embolizza anche la glutea, DO NOT ovviamente stoppa il sanguinamento arterioso dato dalla glutea, non stoppa il sanguinamento venoso. In più il vaso che viene coagulato, non lo aprite più. In un ventenne avrà atrofia dei glutei e una serie di altri problemi. Bisogna embolizzare la glutea solo se necessario. La RX singola del bacino, fatta in acuto, pur non dando una definizione perfetta, dice già tantissimo sul tipo di frattura. 9 1. Primo vantaggio nel guardare l’RX: generalmente il bacino è abbastanza simmetrico. Rispondendo a una domanda: quando si arriva in PS, in shock room la prima cosa che si fa è una lastra del torace, una lastra del bacino ed un ECO-FAST. In Italia non c’è ancora, ma in Germania esiste una TC che esce dal muro e scansiona il pz, dopo aver rimosso i collegamenti. Questo è il futuro: una TC in grado fare una scansione completa del paziente in 15 min. Se la TC è presente in shock room, diventa la TC l’esame di primo livello. Al momento non l’abbiamo e portare il pz in TC richiede un sacco di tempo. Inoltre, secondo la regola “ogni buco, un tubo”, spostare il pz dal lettino della shock room a quello della TC richiede almeno 10-15 min, bisognerebbe smontare “tutto il castello” che hanno intorno (cateteri vari, monitoraggio pressione etc), mettere tutto sulla pancia, far passare nella TC, rispostare tutto. Generalmente la TC non è adiacente alla shock room e bisognerebbe correre con la barella col malato, portandosi tutto dietro. I protocolli adesso prevedono tutti le due lastre (torace e bacino) ed ECO-FAST, che danno un’idea generale del pz. Il pz viene stabilizzato, vengono effettuati eventuali drenaggio toracico e cateterizzazione, vengono stabilizzati bacino ed eventuali fratture e poi si può eseguire la TC. La lastra singola del bacino ci dà già molte informazioni, ad esempio presenza-assenza di fratture. 2. Concetto da portare a casa: il bacino non è perpendicolare al pz sdraiato. L’asse del bacino non è perpendicolare al lettino perché pube e sacro non sono allineati. Quando effettuiamo una RX otteniamo quindi una proiezione obliqua. Nel fare una lastra del femore è sufficiente una lastra davanti e di lato. Per fare due lastre perpendicolari al bacino, è necessario farle con specifiche inclinazioni, chiamate inlet ed outlet. In un caso vedo da sopra il bacino, nell’altro da davanti. L’avvento delle TC 3D ha diminuito la necessità di queste proiezioni, perché viene ricostruito il bacino 3D. Vengono nominate due posizioni per la radiografia: - Le inlet e outlet, che permettono di vedere meglio le lesioni del bacino e del sacro (antero-posteriori nell’inlet, figura ‘a’, e superiore nell’outlet, figura ‘b’) - La Judet, che permette di vedere meglio una frattura acetabolare ALARE/ILIACA OTTURATORIA 10 Per studiare l’acetabolo, si usano le proiezioni di Judet, alare (iliaca) ed otturatoria, che sono le vere antero- posteriore e laterale: 1) Otturatoria/OBLIQUA INTERNA ANTERIORE vedo il forame otturatorio, colonna anteriore, tetto e muro posteriore; 2) Alare/OBLIQUA ESTERNA POSTERIORE, mostra colonna posteriore, tetto e muro anteriore. Identificando queste strutture sulla lastra, sono in grado di ricondurla ad una tipologia. Non avendo a disposizione la TC in sala operatoria è fondamentale essere in grado di ricostruire l’immagine 3D dalle lastre nella testa. La TC comunque richiede che il pz resti fermo: viene sedato e riceve anche molte radiazioni; è fondamentale perché permette di fare un planning pre-operatorio, scegliendo il tipo di trattamento per il pz. Il professore ribadisce che non è interessato a farci conoscere la classificazione, bensì il concetto alla base. Le fratture sono per lo più riconducibili a determinati cluster di fratture, cioè a determinate classificazioni. Ricordare approssimativamente quella del trauma in base alle forze vettore (antero- posteriore, laterale e vertical shear) e la divisione in stabili e instabili. Le fratture di tipo A sono STABILI: anziana che cade, impatto a bassa energia, batte l’anca, si rompe la branca. Ci sono altre fratture stabili, che non compromettono la stabilità dell’anello pelvico. - Una è l’avulsione della spina iliaca antero-inferiore su cui si inserisce il capo diretto del tendine del retto femorale. È il caso del ragazzino di 15 anni che si allena a calcio, con un quadricipite molto voluminoso, che scattando strappa un pezzetto di osso. Questa frattura del bacino sarà stabile. - Frattura del sacro distale, o del quadricipite medio (non si capisce bene dall’audio, tipica dello snowboardista. Si hanno traumi ad uno-due polsi (no se indossa protezioni), lussazione della spalla, frattura del bacino battendo il sedere. Il pz farà fatica a salire le scale, ma non avrà nessun problema a camminare. Le fratture stabili non compromettono l’anello pelvico: - fratture da avulsione della spina iliaca superiore dove si inserisce il tensore della fascia lata o lesione della spina iliaca antero-inferiore dove si inserisce il retto femorale o avulsione della tuberosità ischiatica dove si inseriscono gli ischio-femorali: tutti questi sono punti che si fondono intorno ai 12-14 anni e sono più delicati. Non dando instabilità pelvica, non sono urgenze né emergenze! - frattura della branca isolata guarisce autonomamente in 20-30 giorni usando stampelle o girello; invece, quando ci sono già due branche coinvolte bisogna fare una TC per escludere una frattura posteriore e il trattamento è diverso (in genere allettamento per 30 giorni ed eventualmente mettere una vite); 11 - fratture distali di sacro e coccige (ad esempio quando pattinando sul ghiaccio scivolano i piedi e si cade di sedere): non sono da ridurre, guariscono autonomamente, ma con un tempo di guarigione dai 3 ai 6 mesi. Tutte queste fratture generalmente non vengono trattate chirurgicamente, come le fratture dell’acetabolo composte. Le fratture di tipo B, INSTABILI, sono dipendenti dal vettore lungo il quale è avvenuto l’impatto: antero-posteriore tende ad aprirsi, laterale a chiudersi. Abbiamo già descritto le strutture dell’acetabolo: colonna anteriore e posteriore, muro anteriore e posteriore, tetto acetabolare. Se noi combiniamo queste fratture, otteniamo una frattura associata. Sembra uno scatafascio, ma è facilmente riconducibile ad una di queste. 1. Se la frattura è stabile [spina iliaca – branca isolata – coccige], generalmente non si fa niente di chirurgico. Viene trattata conservativamente: antidolorifico e stampelle. Va solo evitato che si scompongano, diventando fratture instabili. 2. Le fratture acetabolari invece vengono trattate non chirurgicamente solo nel momento in cui non hanno una scomposizione. Se hanno una minima scomposizione di 1-2 mm, vengono trattate chirurgicamente. Questo perché l’acetabolo va pensato come una coppa, una tazzina di ceramica, che deve essere perfettamente liscia, altrimenti la cartilagine andrà incontro ad artrosi. Sbattendo la tazzina per terra si rompe in tanti pezzi e ricostruendola è molto difficile ottenere una superficie perfetta. In presenza di frammenti, la testa gratterà con conseguente artrosi precoce. L’ortopedico diventa maniacale nel ricostruire l’acetabolo e poi fissarlo con placche e viti per dare congruenza e stabilità. L’ACETABOLO È QUASI SEMPRE CHIRURGICO. 3. Diverso è il trattamento di fratture INSTABILI: mettono una placca anteriore sulla sinfisi pubica. Si crea un’artrodesi, quella sinfisi pubica non si muoverà più. Può creare problemi per le donne partorienti, che dovranno ricorrere al cesareo. Negli altri pz non comporta grossi problemi. Per le fratture delle branche, si mettono delle placche o delle viti. Stesso per l’ala iliaca per tenere fermo. Fratture instabili e/o scomposte vengono trattate chirurgicamente con placca o placche e viti (se coinvolgono le branche) o con delle viti ileo-sacrali che tengono ferma la sacro-iliaca per dare stabilità alla parte posteriore del bacino (intervento di artrodesi sacro-iliaca). 4. Diverso se l’instabilità è completa, sia anteriore che posteriore, su due piani orizzontale e verticale. La stabilità fondamentale è quella POSTERIORE legata al sacro, alla sacra iliaca, mentre quella anteriore è molto meno essenziale, posso non averla. Ad esempio, nei grossi tumori di sinfisi pubica, si resecano tutte le 4 branche. Quel pz cammina, non ha problemi di stabilità perché il carico passa dalla schiena al sacro al femore, anche se farà più fatica. Quindi oltre alla placca anteriore, metteremo delle viti che blocchino la sacro-iliaca. Per le lesioni dell’ACETABOLO, cerchiamo di ricostruire il puzzle in maniera perfetta, cosa che comporta grossi interventi, di 3-4-6 ore. La sintesi può essere anteriore o posteriore, con posizionamento di placche e viti. 12 C’è qualche eccezione che è relativamente unica: protesi su placca. In pz anziano, oltre alla placca metto direttamente la protesi che consente di rimettere il pz in piedi il prima possibile. Pur cambiando la frattura, essendo in questo caso di bacino e non di femore, non cambia lo schema visto la volta precedente: PER QUALSIASI TIPO DI FRATTURA, L’ANZIANO DEVE ESSERE RIMESSO IN PIEDI IL PRIMA POSSIBILE. COMPLICANZE - FRATTURE DI BACINO - Lesioni uro-andro-ginecologica: Il 22% delle fratture di bacino va incontro ad un problema urogenitale, che in 9 maschi su 10 consiste in impotenza erettile, grosso problema ad esempio in un ragazzo di 20 anni motociclista. Mentre le donne riferiscono i problemi uro-ginecologici post-trauma, come lieve stranguria e dolore durante i rapporti sessuali, i maschi tendono a nasconderli, limitandosi magari a raccontarli al medico di base. L’impotenza erettile viene di solito attribuita allo shock del trauma, ma in realtà è proprio il meccanismo classico in cui il nervo pudendo viene lesionato durante il trauma. - Neurovascolari: il bacino è contornato da arterie e vene, ci sono pazienti trombizzati dei quali una percentuale va incontro a trombosi o tromboembolia; frequente è la lesione del nervo sciatico che viene schiacciato dalla testa del femore; - Degenerare in instabilità cronica - Infezioni (soprattutto in pazienti politraumatizzati, che hanno magari pneumotorace o emotorace e sono stati in rianimazione per molto tempo) - Emorragie Una parte continua ad aver male: fino al 20% non è tornato al lavoro che faceva prima della frattura, è molto compromettente per la qualità di vita. Nb. Si tratta di pz con età media di 25 anni, tra i 25- 45 anni. Giovani che diventano un costo per la società enorme. Possono avere infezioni, possono sanguinare. COMPLICANZE – FRATTURE ACETABOLARI Il rischio maggiore è la necrosi della testa del femore, se nel trauma la vascolarizzazione terminale che la irrora viene lesionata. Solitamente compare tra i 6 e gli 8 mesi dal trauma. Anche se l’intervento va bene, il pz potrebbe iniziare ad avere male e fino all’8% dei casi andranno poi incontro ad una protesi d’anca. Si possono avere - ossificazioni eterotopiche; - artrosi precoce fino al 20% dei casi (è la più frequente), legata al trauma e alla presenza di scalini; - Trombosi, infezioni (soprattutto in pazienti politraumatizzati), sanguinamenti anche se è più raro. Si possono avere lesioni neurovascolari, tra cui la più comune è la lesione del nervo sciatico, soprattutto in caso di lussazione/compromissione dei rapporti posteriori, che può riprendere (richiede anche 6 mesi) o potrebbe non riprendere la parte cellulare. - possono col tempo consumare la cartilagine e avere fastidio poiché una vite può essere così vicina all’articolazione da finirci dentro e urtare - emorragie - lesioni vascolo-nervose - trombosi e tromboembolie 13 Risposta a domanda: Come il nervo sciatico, anche il pudendo può riprendersi. Gli urologi possono usare il viagra a loro vantaggio, in quanto consente di eseguire un test per capire se il problema è organico o se è legato allo shock etc. Se col viagra non si ottiene erezione allora il problema è meccanico legato al nervo, altrimenti se dà erezione allora si ragiona su altre cause. Gli ortopedici non dispongono di un test analogo per il nervo sciatico. Sono fratture che danno molti problemi. La mortalità per quelle di bacino è attorno al 10%, che si riduce di molto nei centri specializzati. Molti di loro non tornano al lavoro che facevano prima (nei pazienti che sopravvivono c’è alta probabilità di bassa funzionalità e dolore cronico). Buona parte ha dei problemi sessuali, alcuni dei problemi neurologici, non sono fratture da cui si guarisce bene. Nel 61% degli uomini disfunzioni sessuali di vario tipo e nelle donne dispareunia (contrazione involontaria dei muscoli del pavimento pelvico che non permettono l’ingresso del pene nella vagina) e disturbi urologici. Le fratture dell’acetabolo, invece, possono guarire molto bene, fino all’80%. La prognosi di fratture acetabolari è migliore con il 75-80% di risultati eccellenti nei successivi 5 anni. Rimane un 20% che ha artrosi e che dovrà ricorrere ad una protesi. Ovviamente più sono anziani, più sono politraumi, meno è composta la frattura, minori sono le probabilità di successo. FRATTURE DELLA DIAFISI FEMORALE Le fratture della diafisi del femore (femoral shaft fractures) sono fratture ad alta energia, che si verificano a partire da 5cm al di sotto del piccolo trocantere (i primi 5 cm distali al piccolo trocantere costituiscono la regione subtrocanterica e riguardano un’altra classe di fratture del femore) e sono spesso legate a politraumi, il paziente quindi oltre a fratture della diafisi del femore presenta anche altri grossi traumi, ad esempio lesioni polmonari o cerebrali pericolose per la vita o fratture del collo del femore ipsilaterale. Sono diverse dalle fratture dell’anziano che cade: si tratta di fratture del terzo mediale del femore, generalmente ad alta energia, quindi tipiche di motociclisti o sciatori. Chiamiamo una frattura pertrocanterica o sottotrocanterica fino a 5 cm sotto il piccolo trocantere. La frattura del terzo medio del femore riguarda la diafisi, da 5 cm sotto il trocantere fino alla metafisi. Sono fratture relativamente rare, colpiscono la popolazione giovane, attiva. INCIDENZA L’incidenza è principalmente giovanile, la maggior parte di queste fratture si verifica, infatti, in soggetti maschi di età compresa tra i 15 e i 35 anni. L’incidenza nelle donne, invece, aumenta in modo costante a partire dai 60 anni di età. Inoltre, una piccola percentuale di queste fratture (2%) è esposta cioè l’osso ha tagliato la cute ed è uscito all’esterno oppure una ferita ha determinato scomposizione dei tessuti mettendo a contatto l’aria con il tessuto osseo. EZIOLOGIA Le principali cause di fratture della diafisi femorale sono incidenti automobilistici, cadute dall’alto, colpi di pistola o cadute a livello del suolo in individui con osteoporosi. Alcune di esse sono esposte: esistono due tipi di esposizione, quella inside-out ovvero il pezzo di osso ha tagliato la pelle ed è uscito, oppure l’outside-in, la motozappa ha tagliato la pelle del pz e poi abbiamo l’osso esposto… Questa distinzione non è puramente accademica: c’è una differenza radicale tra i due tipi di esposizione e nell’inside-out c’è minor rischio di contaminazione. Lo sciatore con la calzamaglia che si fa un’inside-out avrà una frattura molto più pulita con meno rischio di infezione, senza terra-letame come potrebbe accadere nel caso della motozappa. 14 Le fratture di femore esposte sono molte meno rispetto alle fratture esposte della tibia, che decorre proprio sotto la cute. Il femore ha quindi un vantaggio prognostico rispetto alla tibia: ha un tasso di infezione minore, perché molti muscoli ben vascolarizzati che lo coprono, e “i batteri non vogliono stare dove ci sono i vasi”: la muscolatura di femore permette di fare dei trattamenti più aggressivi a fronte di un minore tasso di infezione. Ci sono delle fratture di femore che sono eccezioni, le cosiddette fratture ATIPICHE da bifosfonati (i quali causano grave soppressione del turn-over osseo ndr), che richiedono immediata sospensione della terapia anti-riassorbitiva in corso per ridurre il rischio di FAF controlaterale (ndr). Sono fratture dell’anziano, in cui il femore cede nel suo terzo medio. Le fratture atipiche del femore sono rare, seppur in aumento visto il largo utilizzo dei bifosfonati nella terapia dell’osteoporosi. DIAGNOSI Il pz ha male e non si lascia toccare: il femore (extraruotato) è accorciato, ed è necessario controllare lo stato della pelle e mobilità/sensibilità del piede. Da ricordare che il 2-5% oltre a una frattura del femore diafisaria ha anche una frattura del collo del femore. Il radiologo che vede la frattura deve buttare anche un occhio “su”. 1. Esame clinico: Generalmente queste fratture sono facilmente identificabili per: Deformità della coscia → coscia edematosa; Dolore alla coscia e dolore al tatto; L’arto interessato spesso è più corto e ruotato esternamente. È importante controllare se il paziente presenta un’esposizione posteriore, spesso non notata perché il paziente arriva in barella, l’arto è deforme e nessuno tende a toccarlo. Deve essere inoltre effettuato un attento esame secondario per escludere problemi vascolari e neurologici (controllo di sensibilità e capacità motorie di piede e gamba dell’arto interessato), sindrome compartimentale e altre fratture pelviche o degli arti inferiori (fino al 6% possono essere associate a fratture del collo del femore). Se il pz non muove il piede bisogna capire se la causa è il dolore o la mancata sensibilità: se non lo muove sarà per una lesione vascolare o neurologica, e bisogna capire anche quanto non lo muove. Generalmente si chiede di tirare su e giù il piede per verificarne il movimento. L’altra cosa che possiamo avere è il floating knee: se la frattura di diafisi è associata a frattura della tibia (principalmente di piatto tibiale), il ginocchio sarà flottante, svincolato da femore e tibia. Si definisce floating joint o articolazione flottante un’articolazione isolata e libera a causa di frattura contemporanea sia dell’osso prossimale sia di quello distale ad essa, può essere causa di grandi problemi e complicanze, soprattutto vascolari. In base a dove è localizzata la frattura nella diafisi del femore, possiamo predire la scomposizione sulla base di come si inseriscono i muscoli. Una frattura prossimale tende a flettersi ed extraruotarsi, una frattura di diafisi tende a medializzarsi, quella del medio prossimale tende ad inclinarsi, queste tendono ad inginocchiarsi per effetto delle inserzioni combinate dei muscoli. La scomposizione è abbastanza semplice in base al tipo di frattura. La scomposizione di queste fratture segue uno schema prevedibile dettato dalla trazione dei muscoli attaccati a ciascun frammento (prossimale e distale al punto di frattura), da tenere in considerazione 15 nel momento in cui si deve fare un gesso o per controllare l’evoluzione della frattura nel tempo. Si distinguono: Frattura prossimale della diafisi (proximal shaft fracture): - Frammento prossimale: flesso, abdotto e ruotato esternamente per trazione del muscolo ileopsoas che si inserisce inferiormente al piccolo trocantere; - Frammento distale: addotto per trazione degli adduttori che si inseriscono più distalmente. Frattura del terzo medio della diafisi (mid-shaft fracture): - Frammento prossimale: flesso, abdotto e ruotato esternamente (analogamente al frammento prossimale in caso di frattura prossimale della diafisi) ma con minore abduzione per azione degli adduttori che inseriscono più prossimalmente che tendono a mantenere il frammento medialmente; - Frammento distale: addotto. Frattura distale della diafisi (lower-third shaft fracture): - Frammento prossimale: addotto per azione degli adduttori; - Frammento distale: flesso per trazione del muscolo tricipite della sura 16 NON ACCETTARE LASTRE DAGLI SCONOSCIUTI DO NOT Mai refertare una lastra di femore, tibia, omero o avanbraccio come quella mostrata. La lastra deve comprendere le due estremità dell’osso in causa. Se non comprende le epifisi, non è una lastra di femore. NON DOVETE ACCETTARE DI REFERTARE UNA LASTRA DEL GENERE! “Andare dal tecnico e tirargli le orecchie. Non è un tecnico di radiologia, ma l’impiegato di Checco Zalone delle poste. Se il femore è più lungo, userà una cassetta più lunga, due cassette, quello che vuole, lo frustate ma vi fate dare una lastra completa, sopra e sotto”. La responsabilità dei danni del tecnico e del radiologo è anche dell’ortopedico. NB. Accade anche al CTO, che non è l’ospedale del Burundi, dove il trauma setting a livello italiano è riconosciuto tra i migliori. In un posto dove non hanno mai visto una frattura di femore è più accettato un errore. Il tecnico che usa una cassetta troppo corta, porta ad una valanga di errori, con mancata guarigione del pz. La vite che avrebbe posizionato non terrebbe in presenza di frattura del collo del femore (evidenziata da una TC). 2. Tecniche di imaging: questa TC è INUTILE. La TC è ESSENZIALE PER LE FRATTURE ARTICOLARI, come bacino, acetabolo, epifisi periferica, perché consente di evidenziare la presenza di frammenti. Per la diafisi di un osso lungo come omero, femore, non è necessaria, è un’esposizione ai raggi che posso evitare. Nel trattamento di fratture della diafisi, l’obiettivo è ristabilire la lunghezza dell’osso, la rotazione e gli assi. Come primo esame deve essere richiesta una radiografia posteroanteriore e laterale (2 proiezioni) dell’intero femore, da cui risulta facilmente visibile la frattura. L'accuratezza diagnostica può essere migliorata tramite proiezione RX con rotazione interna del femore di 15° e includendo anche le articolazioni di anca e ginocchio. Le fratture articolari devono essere ricostruite come dei puzzle, devono essere perfette. Per fare ciò devo conoscere come sono fatti tutti i pezzi ed incastrarli; quindi, avrò bisogno di una TC a strato sottile. Per la frattura diafisaria la TC non serve, verosimilmente metterò un chiodo che blocca tutta la diafisi e le rotazioni, ma non mi metto a ricomporre la diafisi. Se la frattura di diafisi di femore è, invece, associata a una frattura articolare o se il paziente è politraumatizzato spesso si effettua una TC come primo esame di imaging. Ottenere immagini con TC o iconograficamente belle (come quella a lato), in caso di sole fratture di diafisi di femore, risulta abbastanza inutile. I diversi frammenti possono essere tranquillamente osservati e distinti tramite lastra in due proiezioni evitando, quindi, al paziente ingenti esposizioni ai raggi X. 17 Nessuno chiederà la classificazione delle fratture [ma noi le riportiamo lo stesso]. Da sapere che ne esistono di più stabili ed instabili, da trattare diversamente. 18 TRATTAMENTO Cosa faccio al pz che arriva con la frattura di femore? La frattura della diafisi femorale è solitamente secondaria a traumi ad alta energia e, anche se isolata, è associata a ingenti perdite di sangue, circa 1,5 L di sangue in 24 ore → il paziente deve essere valutato dal punto di vista generale secondo i principi ATLS (Advanced Trauma Life Support). Innanzitutto devo sapere se è un polifratturato o un politraumatizzato: Il polifratturato potrà andare in sala operatoria e fare il trattamento definitivo. Il politraumatizzato non potrebbe rimanere 4h in sala operatoria per fare un trattamento “figo”: dovrò fare il trattamento più veloce possibile, che consiste generalmente in una stabilizzazione con dei fissatori esterni (richiede 10 minuti): posiziono due viti sul frammento sano prossimale, altre due viti sul frammento distale e collego il tutto con dei nottolini per tener ferma la frattura. Il trattamento definitivo serve per far smettere alla frattura di sanguinare e permette all’anestesista di portare il pz in rianimazione. Il trattamento di scelta per la frattura della diafisi femorale è il trattamento chirurgico (definitivo) con inchiodamento. Il trattamento conservativo con gesso o trazione dà, invece, esiti insoddisfacenti. Si parla di Damage Control Orthopaedics DCO, tecnica inventata dalla marina americana per cui se una nave viene colpita, non vengono effettuate tutte le riparazioni in acqua ma si tappa la falla e si rientra in porto dove poi si procede con la riparazione definitiva. Stesso concetto vale per il pz in una situazione critica: “tappo la falla”, lo mando in rianimazione e quando sarà adeguatamente stabile per essere operato si effettuerà poi l’intervento definitivo. Trazione, per le fratture di femore potremmo volerle usare a scopo antalgico se non possiamo andare in sala operatoria subito, ma stanno finendo in fondo ai magazzini. Prima del trattamento definitivo, un paziente con frattura della diafisi femorale può essere trattato, a seconda del centro, con trazione della gamba o fissazione esterna. Se il paziente è politraumatizzato, presenta quindi numerose fratture e altre lesioni associate (intracraniche, toraciche…), viene trattato in emergenza secondo la strategia DCO che prevede trazione della gamba o utilizzo temporaneo di un fissatore esterno. Quest’ultimo permette di ridurre il sanguinamento, il tempo chirurgico e può essere facilmente convertito in trattamento definitivo (inchiodamento o placcatura) per miglior comfort del paziente. Il Damage Control Orthopaedics (DCO) è una strategia, seguita nel trattamento di lesioni che provocano emorragie maggiori e risposta infiammatoria patologica, volta ad evitare gli effetti traumatici di un intervento chirurgico maggiore in un paziente già traumatizzato → effetti "second hit" (slide). Quando il pz è adeguatamente stabile per andare in sala operatoria? I due parametri di rilievo sono l’acidosi metabolica e deficit di basi ematiche [presenza di lattati]. L’anestesista ci dice quando è stabile e dal punto di vista ortopedico, prima si opera meglio è, essendo più facile operare-incastrare. Quando “la nave è entrata in porto”, si mette quasi sempre un chiodo dentro il canale endomidollare del pz: è un intervento veloce che prevede stabilizzazione con viti, sopra e sotto. Il chiodo ha un grosso vantaggio, quello di camminare dal giorno dopo: non ci si può saltare sopra, ma è possibile appoggiarvi il peso. 19 Dopo aver posizionato il chiodo si guarda se l’allineamento, la rotazione e la lunghezza siano corretti. Se non tocco i vari frammenti farà un callo enorme che pian piano si riassorbirà e guarirà. Rispondendo ad una domanda: I motivi per rimuovere i chiodi sono fondamentalmente il fastidio - legato al chiodo, alle viti o al foro di ingresso del chiodo – e l’alta probabilità che un pz (es. motocilista professionista) si rischianti col chiodo dentro, piegandolo rendendone la rimozione complessa. Le placche possono essere utilizzate, ma generalmente si usa il chiodo. Dopo il posizionamento di chiodi si può avere sindrome compartimentale, con alterazione della vascolarizzazione e del ritorno venoso, che porta alla stasi venosa. I muscoli si riempiono fondamentalmente di sangue e si gonfiano fino a che la pelle non è più estensibile e fa da scatola. Questo comprime i nervi e porta a morte cellulare. Un pz con frattura di femore può tornare due giorni dopo in PS con dolore e coscia ischemica. Si apre la pelle in modo che i tessuti abbiano modo di distendersi e che il nervo non patisca, e per capire se eseguire questa procedura si misura con un sistema a siringa con acqua la pressione all’interno del comparto. Pz con sindrome compartimentale sono da trattare con fasciotomia. Le fratture aperte, esposte, sono fratture che vanno stabilizzate con un fissatore e lavate. Quando il tessuto esposto è pulito, si può procedere con l’intervento definitivo. Anche se il pz è un polifratturato si fa una stabilizzazione con fissatore, lavaggio per migliorare l’immunocompetenza del pz, trattamento antibiotico, e successivamente si procede con l’impianto del chiodo. COMPLICANZE - Il femore può sanguinare molto (shock), può avere delle embolie, infezioni di fratture esposte, può non guarire o avere rigidità articolare. Il motivo per cui mettiamo un chiodo e facciamo camminare il giorno dopo, è che le articolazioni, sia ginocchio, che anca, se tenute ferme non recuperano più l’estensione [negli adulti si ha perdita di mobilità articolare, i bambini possono essere tenuti fermi senza perderla]; - Chiodo piegato, visto prima per il motociclista che fa un secondo incidente; - Fratture isolate del femore non esposte: sono fratture che guariscono bene, se isolate e senza altre fratture attorno. Negli anziani può esserci qualche problema in più soprattutto se comminute, così come se non riusciamo ad ottenere una riduzione perfetta dal punto di vista dell’asse. Dove c’è una frattura di femore si ha spesso un meccanismo di danno ad alta energia: sono sempre da cercare eventuali fratturi limitrofe. 20 Malattie dell’apparato locomotore – lezione 3 – 13/03/2023 – Prof. Aprato (Amorosi, Ciocatto) LUSSAZIONI DELL’ANCA La lussazione d’anca si verifica nel momento in cui vengono a mancare i rapporti tra la testa del femore e l’acetabolo: il meccanismo più frequente è l’uscita della testa del femore posteriormente (90% dei casi). Spesso è associata a frattura dell’acetabolo o del femore ed è causata da traumi ad alta energia; nel caso di un incidente automobilistico la cintura, limitando la mobilità del bacino, ne riduce il rischio. DIAGNOSI Lussazione posteriore: flessa, ruotata internamente, addotta, l’arto è accorciato. La palpazione della testa del femore è possibile ma meno immediata rispetto alla lussazione anteriore. Lussazione anteriore: estesa, ruotata esternamente, abdotta. La palpazione della testa del femore è facile. Una volta ottenuta la radiografia è utile osservare l’angolo di Shenton (normale in verde, lo si controlla anche nella displasia congenita dell’anca, situazione cronica molto diversa dalla lussazione). Generalmente si richiede una TC, che permette di distinguere tra lussazione anteriore e posteriore, ci dice se sono presenti frammenti ossei e/o eventuali lesioni. Si può chiedere una risonanza magnetica per osservare meglio i frammenti e si può eseguire una seconda TC a seguito della riduzione. 1 CLASSIFICAZIONE (non è da sapere) TRATTAMENTO Il timing è fondamentale, prima si effettua la riduzione, meglio è: i rischi principali sono la necrosi della testa del femore e la compressione del nervo sciatico; non può essere eseguita a paziente sveglio (va sedato) in quanto il dolore porterebbe a contrazione muscolare, e rischieremmo anche di provocare una frattura associata. Per la riduzione si effettua la manovra di Allis: una persona posiziona le mani sul bacino del paziente (per stabilizzarlo), mentre il medico applica una trazione lungo l’asse cercando di riprodurre in senso inverso il movimento che ha eseguito il paziente durante il trauma; se la manovra ha avuto successo, si sente un forte “clock”. Dopo la riduzione è necessario evitare di caricare l’arto per almeno 20-30 giorni e poi, una volta abbandonate le stampelle, eseguire dei controlli per escludere la possibilità di necrosi. Se sono presenti dei frammenti nell’articolazione è possibile rimuoverli in artroscopia oppure con un accesso a cielo aperto (soprattutto se sono multipli). COMPLICANZE Le complicanze principali sono la necrosi della testa del femore e l’artrosi post-operatoria. Relativamente frequente è anche la lesione al nervo sciatico, mentre la lussazione ricorrente e la miosite ossificante sono rare. 2 FRATTURE DI FEMORE DISTALE DEFINIZIONE, INCIDENZA ED EZIOLOGIA Le fratture di femore distale sono le fratture che si estendono dalla regione metafisaria-diafisaria alla superficie articolare dei condili femorali. Nei giovani sono prevalentemente causate da traumi ad alta energia (spesso con elevato grado di scomposizione), mentre negli anziani con osteoporosi la causa più frequente sono i traumi a bassa energia (caduta da posizione eretta); la distribuzione demografica è bimodale, le due categorie sono giovani maschi in salute e donne anziane con osteoporosi. DIAGNOSI Il paziente prova dolore (peggiorato dal movimento) e il suo ginocchio è visibilmente gonfio, vi è incapacità di carico. Bisogna accertarsi dell’eventuale esposizione della frattura (5-10% delle fratture sopracondilari) e controllare se vi sono stati danni ai vasi poplitei. Si può richiedere una lastra del femore controlaterale e, se noto una frattura articolare (o in generale un coinvolgimento articolare) è molto importante eseguire una TC. La TC, soprattutto in caso di politraumi, va eseguita dopo la stabilizzazione con fissatore esterno; fare una TC prima della stabilizzazione ridurrebbe la nostra visuale. Delle due fratture presenti in figura, la riduzione di quella articolare dovrà essere eseguita in modo “più perfetto possibile”, mentre quella diafisaria potrà tollerare qualche grado di scomposizione. CLASSIFICAZIONE (non viene richiesta) La frattura si intercondilare se coinvolge un condilo, sovradiacondilare se coinvolge entrambi i condili (forma a Y) ed extra-articolare (sovracondilare) se non viene coinvolta l’articolazione. Esistono inoltre le fratture sul piano sagittale (fratture di Hoffa) in cui il condilo posteriore viene “ghigliottinato”. 3 TRATTAMENTO CONSERVATIVO E CHIRURGICO TEMPORANEO Il trattamento è conservativo se la frattura è poco scomposta, se il paziente non è operabile o se non deambula. Un ginocchio immobilizzato in un gesso per 30-40 giorni perde dei gradi di mobilità (soprattutto se il paziente è anziano): se la perdita è in flessione ci si può convivere senza grosse limitazioni, ma se è in estensione diventa difficile fare le scale e molte altre attività quotidiane. Se la frattura è esposta si utilizza un fissatore esterno e si lava la frattura, per poi eseguire in seguito la stabilizzazione definitiva; il fissatore esterno si può anche utilizzare per un paziente politraumatizzato. A differenza delle fratture di tibia, in questo caso, il fissatore esterno non è quasi mai il trattamento definitivo. TRATTAMENTO CHIRURGICO DEFINITIVO La maggior parte di queste fratture viene trattata con uno o due placche (ORIF - Open Reduction and Internal Fixation), che riuniscono anatomicamente i frammenti; generalmente si ricostruisce prima la superficie articolare e poi si procede verso l’alto. Un altro tipo di trattamento è l’Inchiodamento endomidollare retrogrado, più rapido ma meno preciso e utilizzato per pazienti anziani. Il terzo tipo di trattamento è la sostituzione del femore distale con una protesi, che è definita una protesi a grande resezione in quanto è necessario rimuovere il femore distale. Questo comporta enormi problemi in caso di reimpianto. Le complicanze generali sono il dolore e il fastidio (anche a seguito di un ottimo intervento), la non- unione (fino al 20%) e infezioni. La placca può rompersi, ma è importante far capire al paziente che la placca fallisce nel momento in cui è la frattura a non guarire (perciò dopo un paio d’anni la placca di rompe). Un’altra possibile complicanza è la lisi dell’osso intorno alle viti, le quali poi inevitabilmente si sviteranno. 4 FRATTURE DI ROTULA DEFINIZIONE, INCIDENZA ED EZIOLOGIA Sono tra le fratture al ginocchio più comuni, di solito causate da un trauma diretto, possono essere esposte. I soggetti più esposti sono i maschi tra i 20 e i 50 anni. Nei pazienti pediatrici si osserva anche una frattura detta “sleeve fracture”, che è una frattura da avulsione (piede incastrato e quadricipite che, tirando, “sguscia” una parte della rotula). DIAGNOSI Il ginocchio risulta gonfio e il paziente prova dolore al tatto. Generalmente il paziente è impossibilitato ad estendere il ginocchio. Una volta esclusa la frattura (grazie alla lastra, che è fondamentale), si chiede al paziente di flettere l’anca e sollevare il ginocchio: se non riesce a farlo si prosegue con un’ecografia / risonanza magnetica per confermare la diagnosi. Attenzione a non confondere una rotula bipartita con una rotula fratturata: nel primo caso, il paziente è nato con un osso accessorio e lo si capisce dai margini morbidi (se fosse un frammento di rotula fratturata i margini sarebbero netti). La TC risulta utile nei casi complessi, per casi semplici non si usa. CLASSIFICAZIONE Di solito sono transverse (a metà rotula). Nel caso di una frattura del polo inferiore in un paziente anziano, si consiglia di rimuovere il frammento inferiore e reinserire il tendine sulla porzione maggiore. Le fratture verticali sono più rare, mentre le osteocondrali sono più frequenti nelle giovani ragazze. TRATTAMENTO CONSERVATIVO Per le fratture composte si utilizza il tutore 0-20 in estensione, che permette un’estensione del ginocchio fino a 20°. Il tutore si utilizza anche per i pazienti con meccanismo estensore intatto (ovvero che riescono a sollevare la gamba nonostante la frattura) e per pazienti con fratture verticali, che guariscono più facilmente. 5 TRATTAMENTO CHIRURGICO DEFINITIVO Il trattamento più utilizzato è il cerchiaggio dinamico, utilizzando due fili verticali per mantenere in sede i frammenti e un filo in metallo legato ad “8”: l’obiettivo del cerchiaggio è trasformare le forze di distrazione della frattura (forze che allontanano i frammenti) in forze di compressione. Dopo circa 15 giorni il paziente può nuovamente camminare. Negli anziani, se il cerchiaggio dinamico non è possibile, si può eseguire una patellectomia parziale, la quale però riduce la forza del meccanismo estensore. Quasi mai si arriva ad eseguire una patellectomia totale (solo in caso di tumore, non di fratture). In generale il trattamento chirurgico dà ottimi risultati nei giovani, mentre altrettanto bene non va negli anziani. COMPLICAZIONI GENERALI Molti pazienti sottoposti a cerchiaggio provano dolore/fastidi ed è quindi necessario rimuoverlo, può esserci osteonecrosi, è frequente una parziale riduzione della mobilità e forza, mentre le infezioni e la non-unione sono abbastanza infrequenti. FRATTURE DEL PIATTO TIBIALE DEFINIZIONE, INCIDENZA ED EZIOLOGIA Si tratta di fratture della tibia prossimale, la frattura più frequente è quella monocondilare laterale, seguita dalla dicondilare e infine dalla monocondilare mediale (il piatto mediale è molto più stabile del laterale). Le cause principali sono il carico in varo/valgo, i traumi ad alta energia (uomini sciatori e ciclisti sui 40 anni) e cadute semplici a bassa energia (donne anziane). Il coinvolgimento dei tessuti molli è frequente nei traumi ad alta energia del piatto tibiale, e bisogna fare molta attenzione alla sindrome compartimentale, che va trattata con fasciotomia per permettere ai tessuti di espandersi ed evitare la necrosi (immagine a destra). 6 Le fratture del piatto tibiale possono essere associate a lesione del menisco laterale, dei crociati, dei collaterali, nervose e vascolari. Il professore