Riassunto Secondo Parziale Storia Economica PDF

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Università degli Studi dell'Insubria

2020

Letizia Torelli

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storia economica economia moneta sistema bancario

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Questo documento è un riassunto del secondo parziale di Storia Economica per il corso di Economia e Management presso l'Università degli Studi dell'Insubria, nell'anno accademico 2019/2020. Il riassunto integra il materiale di studio principale, principalmente dai libri di testo "Storia economica d'Europa" di Karl Gunnar Persson e "Leggi economiche e storia dell'economia" di Charles Poor Kindleberger. Copre vari capitoli come la moneta, il credito, il commercio internazionale, i regimi monetari e la globalizzazione, offrendo una panoramica dettagliata.

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lOMoARcPSD|6281342 Tutto quello che c'è da sapere per il secondo parziale storia economica Storia Economica (Università degli Studi dell'Insubria) StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo....

lOMoARcPSD|6281342 Tutto quello che c'è da sapere per il secondo parziale storia economica Storia Economica (Università degli Studi dell'Insubria) StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA - VARESE CORSO DI ECONOMIA & MANAGEMENT PRIMO ANNO - A.S. 2019/2020 SECONDO PARZIALE DI STORIA ECONOMICA CORSO H-Z Libri di testo di riferimento: “Storia economica d’Europa” - Karl Gunnar Persson “Leggi economiche e storia dell’economia” - Charles Poor Kindleberger Riassunti del libro integrati con gli appunti a cura di Letizia Torelli INDICE Capitolo 7: la moneta, il credito e il sistema bancario 2 Capitolo 8: commercio internazionale, dazi doganali e crescita 7 Capitolo 9: i regimi monetari internazionali 12 Capitolo 10: dallo Stato minimo allo Stato sociale 16 Capitolo 11: la disuguaglianza 22 Capitolo 12: la globalizzazione e le sfide per l’Europa 26 Capitolo 3 (Kindleberger): instabilità del mercato e convertibilità delle banconote 32 Capitolo 4 (Kindleberger): instabilità del mercato con valute di riserva di due banche centrali 33 SCHEMI RIASSUNTIVI 35 Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Storia economica d’Europa, Karl Gunnar Persson Capitolo 7.................................................................................................................................................... LA MONETA, IL CREDITO E IL SISTEMA BANCARIO Le origini della moneta L’uso della moneta come mezzo di scambio si è sviluppato parallelamente alla divisione del lavoro. Le prime monete, risalenti a circa 5000 anni fa, erano molto diverse da quelle attuali: consistevano in lingotti standardizzati di metallo, generalmente accettati come mezzo di pagamento. 1. Il baratto Affinché il baratto vada a buon fine è necessario che tra le due parti vi sia una coincidenza di bisogni. La ricerca di una controparte per lo scambio può richiedere molto tempo, facendo diventare lo scambio molto costoso, in quanto il tempo è importante poiché è una risorsa scarsa e potrebbe essere impiegato per altre attività. Il baratto non solo si associa a costi di ricerca elevati, ma riduce il volume degli scambi rispetto al livello potenziale. La struttura dei prezzi in un’economia basata sul baratto non è molto trasparente, poiché i prezzi non sono espressi in un’unica unità di conto. 2. La moneta merce L’evoluzione della moneta esemplifica perfettamente come le società sviluppano strumenti e istituzioni finalizzate a ridurre i costi e i rischi, con conseguente impulso agli scambi e alla specializzazione. Funzioni della moneta: Mezzo di pagamento La moneta risolve, innanzitutto, la mancata coincidenza dei bisogni, in quanto rende possibile post-porre gli acquisti nel tempo. Nel corso della storia, le monete che sono state in gran parte utilizzate possono essere definite “moneta merce” poiché essa era costituita da beni dotati di usi alternativi e di un valore intrinseco. Sebbene qualsiasi prodotto poteva essere utilizzato come moneta, si preferiva utilizzare beni non deperibili e con prezzi non facilmente volatili. Per essere diffusamente accettata come mezzo di pagamento la moneta doveva essere facile da riconoscere e da trasportare, doveva quindi avere un elevato rapporto valore-peso e doveva essere frazionabile in più unità di conto. Le possibilità di scambio si moltiplicarono e ogni soggetto era in grado di commerciare con chiunque. Riserva di valore La moneta permette di essere detenuta senza essere necessariamente scambiata immediatamente. È una riserva di valore imperfetta: non trasferisce inter-temporalmente il valore esatto della moneta. In casi di inflazione e deflazione, la moneta può subire perdite o incrementi di valore nominale ma non reale. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Unità di conto Essendo la moneta un’unità di conto i prezzi dei mercati risultano trasparenti e uguali per tutti, senza preferenze. La zecca La rinascita del sistema monetario avvenne durante l’Impero carolingio, con l’introduzione di un sistema di tagli gerarchizzato, che ebbe un impatto fino agli anni Sessanta del 1900, quando fu sostituito dal sistema decimale. Per lungo tempo il denaro fu l’unica moneta coniata. La zecca imponeva il pagamento di un tributo per la coniazione di moneta, detta tassa di signoraggio, che oltre a coprire i costi per la coniazione rappresentava una fonte di entrata per il governo. I governi iniziarono quindi a finanziare la propria spesa pubblica mediante lo svilimento della moneta (diminuzione di fino, ovvero metalli preziosi, presente nella moneta). Tale pratica finiva per scatenare un processo inflazionistico poiché la moneta perdeva sempre più il suo valore intrinseco. Gli scambi La moneta era utile soprattutto per lo scambio locale di merci a pronti, mentre gli scambi internazionali necessitavano di un mezzo di pagamento più sofisticato, poiché il trasporto di monete era pericoloso e faticoso. 3. Il credito, la lettera di cambio e lo sconto cambiario Durante il Medioevo una serie di innovazioni finanziarie minimizzarono l’uso della moneta merce come mezzo di pagamento, introducendo il credito. Poiché gli esportatori avevano bisogno di essere pagati al momento di inviare i beni, mentre gli importatori preferivano posticipare il pagamento fino al momento della ricezione della merce, lo strumento che trovò ampia accettazione e impiego fu la lettera di cambio, diffusasi tra il XIII e XIV secolo. La lettera di cambio è essenzialmente una promessa del debitore di corrispondere la somma dovuta al creditore in un determinato momento futuro. Al fine di facilitare le transazioni e ridurre i rischi, si svilupparono istituzioni per la compensazione di debiti e crediti tra i conti detenuti dai commercianti mediante semplici trasferimenti contabili nei libri mastri delle banche. Tali operazioni venivano effettuate da cambiavalute e banche che avevano offerto servizi di deposito e transazioni tra conti detenuti da soggetti diversi. Con il passare del tempo la lettera di cambio si trasformò sempre più in uno strumento di credito finanziario e divenne un sostituto della moneta. Essendo comunque uno strumento rischioso, gran parte delle città commerciali d’Europa si dotarono di procedimenti legali per costringere i debitori ad assolvere il loro debito. Tra il XV e XVI secolo la lettera di cambio poteva essere utilizzata in una catena di transazioni commerciali e divenne un’attività liquida per molte banche. Esse accumulavano passività nei confronti dei depositanti e detenevano una parte di questi depositi come riserve investendo la parte restante in attività redditizie e prestiti al pubblico, dando vita alle moderne banche a riserva proporzionale. Nella loro fase iniziale, le banche detenevano una quota troppo bassa di depositi come riserve ed erano quindi molto esposte al rischio della cosiddetta “corsa agli sportelli”, quando i depositanti chiedevano di ritirare i propri averi in contanti per timore che la banca diventasse insolvente. All’incirca nella stessa epoca, ad Anversa fu introdotta la pratica dello sconto cambiario, ovvero la pratica di vendere la cambiale ad un intermediario finanziario ad un determinato sconto (ossia ad un Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 prezzo più basso del suo valore nominale) prima della scadenza. 4. La moneta cartacea Il successivo importante passo nell’evoluzione di strumenti di pagamento efficienti fu la comparsa della moneta cartacea, ovvero le banconote, più facili da trasportare e più veloci per effettuare transazioni in contanti e con costi di produzione più bassi rispetto alle monete metalliche. Nella sua fase iniziale, la moneta cartacea si sviluppò spontaneamente. Se un mercante depositava oro o argento presso un orafo o un cambiavalute gli veniva consegnata una ricevuta, che poteva essere utilizzata come mezzo di pagamento. Accettare le ricevute significava confidare che l’istituzione che le aveva emesse avrebbe onorato la promessa di convertirle in oro. Nasce quindi la “moneta fiat”, ovvero la moneta fiduciaria. La prima banca ad emettere banconote fu la Stockholms Banks che emetteva prestiti e ricevute di deposito sotto forma di banconote standardizzate. Quando la gente perse la fiducia nella banca essa fallì. Si formarono in seguito numerose banche in Inghilterra emittenti di moneta cartacea. Esse erano caratterizzate da un sistema a riserva proporzionale. In questo modo, le banche contribuirono alla monetizzazione dell’economia aumentando quindi la somma di moneta in circolazione e i depositi. Due grandi cambiamenti contribuirono all’accettazione pubblica della moneta fiat: Una maggiore responsabilità dei governi nei confronti dei cittadini L’indipendenza della banca centrale che iniziò a rendere noto al pubblico il tasso di inflazione che voleva raggiungere Il diritto a convertire le banconote in metallo prezioso venne abolita solo nel primo dopo guerra quando le banche private emittenti di banconote erano ormai state sostituite da banche centrali statali che detenevano il monopolio sull’emissione di moneta. Come nascono le banche centrali e qual è il loro ruolo? Nel mondo della finanza, l’inadempienza di una banca determina un effetto contagio sull’intero sistema bancario. Una crisi finanziaria può manifestarsi come crisi di liquidità oppure crisi di solvibilità. Le crisi di liquidità hanno origine nella stessa natura del sistema bancario a riserva proporzionale: talvolta le banche sottostimano il volume di liquidità necessario per soddisfare le richieste di contanti dei propri depositanti. Le crisi di solvibilità si manifestano, invece, dopo fasi di eccessiva assunzione di rischio legati a tassi di interesse bassi e o a prezzi delle attività in ascesa. Le crisi di solvibilità sono legate a difficoltà di determinare il rischio effettivo e il valore reale delle attività detenute in banca. La soluzione finale per le crisi di insolvenza è spesso stata la nazionalizzazione delle banche. È quindi nell’interesse delle banche istituire una sorta di ente di supervisione, assieme a un prestatore di ultima istanza che le tuteli nei casi in cui si verifichino queste crisi. La funzione primaria delle banche centrali è dunque quella di contrastare il fallimento del mercato finanziario che potrebbe portare a ondate di panico nel sistema bancario, attraverso il prestito di moneta alle banche nazionali. Tasso di sconto: tasso di interesse a cui la banca centrale presta liquidità alle banche nazionali. La banca agisce sulla circolazione monetaria aumentando o diminuendo il tasso di sconto (politica monetaria restrittiva o espansiva). Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 La funzione delle banche Le banche hanno basato il proprio successo sulle economie di scala e i guadagni della specializzazione nella raccolta e nelle analisi delle informazioni sugli investitori. La presenza di un intermediario consente a risparmiatori e investitori di ottenere una diminuzione dei costi di transazione e dei rischi. Gli interessi di questi due attori combaciano poiché i depositanti desiderano detenere attività liquide mentre le imprese di norma investono in capitale fisso necessitando di impieghi a lungo termine. Le banche convertono quindi le passività a breve termine (depositi) in attività a lungo termine (prestiti) detenendo riserve liquide in quantità adeguata da mettere a disposizione dei depositanti. L’usura e i tassi di interesse Le banche pongono il pagamento di interessi sui prestiti che effettuano e corrispondono un interesse ai depositanti. Per lungo tempo, tuttavia, il prestito a interesse è stato oggetto delle critiche della Chiesa che li considerava equivalenti all’usura. Le autorità politiche favorirono quindi la fondazione di banchi dei pegni pubblici, che applicavano tassi di interesse molto più bassi, a scopo filantropico poiché era solitamente la gente comune a farvi ricorso per fronteggiare brevi difficoltà economiche. Banche e crescita economica L’impatto delle banche sulla crescita economica si manifesta attraverso tre meccanismi: 1. Un incremento del tasso di risparmio 2. Una maggiore efficienza delle attività in cui sono investiti i risparmi 3. Una maggiore monetizzazione dell’economia 1. Le banche rivestirono un ruolo essenziale nello stimolare il risparmio, perché fecero aumentare il costo opportunità della tesaurizzazione dei risparmi. Se non esistessero le banche l’unica possibilità per impiegare i risparmi sarebbe quella di acquistare beni durevoli che fungano da riserva di valore. Tuttavia, la tesaurizzazione da parte delle famiglie rappresenta un’opportunità persa poiché, se il valore equivalente venisse depositato in banca, sarebbe stato a disposizione degli investitori, con conseguenti effetti sulla crescita economica. 2. Nell’Europa continentale le banche erano più propense ad assumersi i rischi investendo in nuove tecnologie ed esercitavano una certa influenza sulle imprese entrando a far parte dei loro consigli di amministrazione. La banche che si andarono sviluppando in Germania, oltre a svolgere le normali funzioni di una commercial banking, svolgevano anche servizi di finanziamenti a lungo termine (investment banking). Queste banche preferivano assumere un impegno a lungo termine instaurando rapporti di lungo periodo con le imprese (relationship banking) risparmiando sui costi di assunzione delle informazioni. Le banche e i mercati azionari I mercati azionari, nei quali si scambiavano principalmente titoli di debito pubblico e azioni di compagnie commerciali e solo successivamente si passò allo scambio di titoli di aziende industriali e bancarie, svolgono funzioni simili alle banche ma servendosi di mezzi differenti. Essi: Consentono di diversificare il rischio Forniscono strumenti finanziari liquidi (facilmente convertibili in moneta) Rappresentano un impiego a lungo termine per le imprese Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Banche Mercati azionari Gestiscono attività non negoziabili. Si scambiano titoli negoziabili. Finanziano le imprese a fronte di garanzie Le informazioni disponibili su un’impresa sono costituite da immobilizzazioni difficili da espresse nel prezzo delle due azioni, tuttavia le valutare. azioni possono avere un prezzo non conforme tale da danneggiare l’efficiente monitoraggio delle imprese. Da ciò si deduce che un’economia caratterizzata da imprese totalmente dipendenti dalle banche oppure totalmente dipendenti dal mercato azionario potrebbe non essere la soluzione migliore. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Storia economica d’Europa, Karl Gunnar Persson Capitolo 8.................................................................................................................................................... COMMERCIO INTERNAZIONALE, DAZI DOGANALI E CRESCITA I vantaggi comparati del libero commercio David Ricardo affermò per primo che i Paesi commerciano per sfruttare i rispettivi vantaggi comparati. Nel suo modello i Paesi differiscono solo per la produttività del lavoro nella produzione di beni diversi. Ciascun Paese dovrebbe specializzarsi nel bene nella cui produzione risulta più efficiente. Secondo questa teoria, quindi, un Paese dovrebbe commerciare con il resto del mondo anche se non gode si un vantaggio assoluto. Per esportare una determinata merce è sufficiente essere relativamente più efficienti nella sua produzione che nella produzione di altre merci. Mediante l’estensione del commercio internazionale, infatti, i singoli Paesi possono specializzarsi in determinate attività produttive. Il concetto di vantaggio comparato (Ricardo) L’ipotesi di base è che non tutte le Nazioni sono ugualmente efficienti nella produzione di uno stesso bene. La forza-lavoro impiegata per produrre una merce non può essere usata per produrne delle altre. La produzione perduta è il costo opportunità della specializzazione. In assenza di scambi con l’estero, un Paese dovrebbe produrre al proprio interno tutti i beni che gli sono necessari. In presenza di scambi internazionali, invece, conviene che un Paese si concentri sui beni nella cui produzione è più efficiente, realizzando così il massimo prodotto possibile, e al contempo importare dall’estero quei beni nella cui produzione è meno efficiente, ottenendo un incremento del livello di benessere complessivo dei cittadini. Teorema di Heckscher-Ohlin Secondo questo teorema il vantaggio comparato dipende dall’abbondanza relativa dei fattori di produzione, anziché dalle differenze nella produttività del lavoro. Ciascun Paese, quindi, gode di un vantaggio comparato nella produzione di beni che utilizza i fattori relativamente più abbondanti. Ad esempio, un Paese con abbondante disponibilità di terra esporterà prodotti agricoli. Teorema di Rybczynski Secondo questo economista, un aumento della dotazione di un fattore di produzione determina un aumento della produzione dei beni che utilizzano più intensivamente quel fattore. Per esempio, se in un paese aumenta l’offerta di lavoro si verificheranno forti flussi migratori che incideranno sulla produzione di beni ad uso intensivo di lavoro, come alcuni prodotti industriali. Teorema di Stolper-Samuelson Il teorema è importante per comprendere come mai alcuni Paesi ad un certo punto pongono restrizioni al commercio. Il teorema afferma che i prezzi relativi dei fattori sono determinati dai prezzi dei beni prodotti. Il commercio internazionale influenza questi ultimi e di conseguenza anche i prezzi dei fattori produttivi. L’apertura al commercio genera conflitti interni al Paese: il commercio favorisce alcuni gruppi e ne danneggia altri che saranno più propensi a richiedere al governo politiche Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 commerciali protezioniste. La politica commerciale può determinare anche conflitti tra le nazioni: per esempio, i Paesi che proteggono la propria agricoltura ostacolano inevitabilmente quei Paesi dotati di un vantaggio comparato nella produzione agricola. I Paesi danneggiati a loro volta attuano misure protezioniste rispetto alle importazioni di altri prodotti creando un effetto a catena. Il commercio mondiale nel suo insieme diminuirà e tutti i Paesi saranno danneggiati. I flussi commerciali: diciannovesimo vs ventesimo secolo Nel XIX secolo i flussi commerciali erano largamente di natura inter-settoriale: i Paesi commerciavano beni prodotti da settori diversi. Per esempio, gli Stati Uniti e il Canada esportavano materie prime, in quanto godevano di ampi spazi coltivabili, e importavano macchinari e altri manufatti dalle economie europee. Al contempo però gli Stati Uniti importavano prodotti agricoli da regioni che potevano sfruttare vantaggi comparati diversi dall’abbondanza di terra. Le importazioni di manufatti di questi due Paesi erano comunque relativamente basse, dimostrando che non erano solo i vantaggi comparati a determinare la struttura dei flussi commerciali ma anche le politiche commerciali giocavano un ruolo importante. Nel XX secolo il commercio divenne sempre più intra-settoriale: i Paesi esportano beni simili a quelli che importano. Questo accade perché, in presenza di economie di scala, il commercio internazionale non deve necessariamente basarsi sul vantaggio comparato. L’apertura al commercio estero consente di avere beni meno costosi e più differenziati. In questo secolo, tuttavia, il modello di Heckscher-Ohlin era ancora valido specialmente per il commercio tra Paesi industrializzati e Paesi meno sviluppati. Politiche commerciali e crescita La teoria tradizionale del commercio internazionale afferma che il commercio internazionale aumenta il benessere, senza prendere in considerazione i tassi di crescita. L’apertura al commercio e la specializzazione internazionale permettono di utilizzare in maniera più efficiente le risorse e di conseguenza aumentare la produzione totale. Il commercio internazionale genera anche un flusso di conoscenze tecnologiche. Esse vengono incorporate nei beni strumentali che a loro volta vengono importati dai Paesi esteri che acquisiranno, oltre al bene, anche la conoscenza tecnologica. Il modello di Solow non coglieva tale aspetto perché ipotizzava che la tecnologia fosse esogena, ovvero che il progresso tecnologico è guidato da forze estranee al sistema economico. Secondo la nuova teoria della crescita (tecnologia endogena), invece, poiché la tecnologia è un bene non rivale, quando un Paese importa una nuova tecnologia il Paese che l’ha creata non ne rimane privo. La crescita, quindi, si basa sulla dinamica del progresso tecnologico che porta nel tempo allo sviluppo della produttività. In questo modo, il commercio internazionale stimola la crescita. Questa teoria prende in considerazione anche i costi di ricerca e sviluppo, assumendo che i vantaggi competitivi derivanti dallo sviluppo di una nuova tecnologia potrebbero essere erosi dall’imitazione da parte di imprese concorrenti. È per questo motivo che nascono i brevetti, al fine di proteggere l’industria. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Tesi dell’industria nascente Questa tesi si collega alla protezione dell’industria americana durante il XIX secolo. La protezione all’industria potrebbe essere giustificabile se l’apprendimento mediante l’esperienza e le economie di scala favorissero il progresso tecnico. Grafico Al punto 1 il Regno Unito è un produttore consolidato di macchinari e ne produce una quantità pari a Q. Il costo di produzione di ciascuna unità diminuisce all’aumentare della quantità prodotta, grazie alle economie di scala. Nonostante la curva dei costi medi degli Stati Uniti sia più bassa, quando l’industria statunitense abbia la produzione non sarà mai in grado di offrire un prezzo inferiore o uguale a C e di conseguenza sarà messa fuori gioco dalla concorrenza britannica. Se gli Stati Uniti decidessero di attuare una politica protezionista a favore dell’industria nascente fino al suo consolidamento, all’aumentare del prodotto si avrà una diminuzione dei costi medi, fino al punto in cui l’industria statunitense supererà i livelli di quella inglese. La protezione a userò punto non sarà più necessaria e i prezzi raggiungeranno i livelli indicati al punto 2, ottenendo quindi un vantaggio. Nella realtà è difficile determinare quali industrie siano dotate di un effettivo potenziale di crescita, tale da poter bloccare l’intervento statale una volta avviate. L’offerta di protezione da parte dello Stato potrebbe avere effetti negativi sulla competitività: imprese abituate ad un ambiente protetto non riuscirebbero mai a raggiungere il livello di competitività necessario per uscirne. Le politiche economiche: dall’Ottocento ad oggi 1. Politiche mercantilistiche: nascono nel 1800 dalle idee del politico francese Colbert, da cui prende il nome questa tecnica (colbertismo). A quel tempo la ricchezza di una nazione si fondava sulla quantità di oro e argento che la nazione possedeva. Veniva attuata una politica commerciale di tipo mercantilista al fine di rendere la bilancia Import-Export positiva. Una bilancia commerciale in disavanzo, infatti, prevedeva che il debito venisse pagato in termini monetari e, per fare ciò, il Paese doveva in necessariamente limitare le importazioni. La tesi di Ricardo si basava proprio sull’osservazione del funzionamento delle “Corn Law”, leggi che regolamentavano l’importazione di grano in Gran Bretagna. In questi secoli si imponevano dazi doganali per promuovere l’industria nazionale, al fine di costituire riserve di metalli preziosi. Facendo ciò, i dazi e i sussidi all’industria avrebbero generato un avanzo della bilancia dei pagamenti, favorendo le esportazioni e contrastando le importazioni. La politica mercantilista era, tuttavia, un meccanismo che provocava una reazione speculare nelle altre economie che reagivano aggiungendo a loro volta dazi doganali in altri settori. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 2. Politiche libero-scambiste: con l’abolizione delle “Corn Law” nel 1846 si avviò un’ondata di liberalizzazioni commerciali che diede inizio alla prima era del libero commercio, dal 1850 al 1875. Il commercio mondiale potè realmente decollare solo dopo lo smantellamento delle barriere al commercio elevate dalle politiche mercantiliste. Tale risultato fu reso possibile da un cambiamento degli equilibri di potere politico a favore delle classi urbane in crescita. Le conseguenze negative che investirono le classi favorite dal mercantilismo, furono alleviate dalla crescita degli scambi commerciali che fece aumentare le entrate statali. I governi poterono quindi aumentare la spesa pubblica e diminuire i dazi doganali. La firma del Trattato Cobden- Chevalier del 1860 tra Regno Unito e Francia segnò un momento cruciale, con l’introduzione della “nazione più favorita”. Secondo questo principio, se lo Stato A concede allo Stato B la condizione di nazione più favorita, ogni connessione di A con Stati terzi, in termini di dazi doganali più bassi, si estenderà automaticamente anche a B. Con la Rivoluzione industriale e la nascita delle general purpose tecnology, arrivarono in Europa le massicce quantità di cereali dall’America causando il crollo dei prezzi nel mercato europeo. Il settore agricolo europeo fece, quindi, pressione sulle classi dirigenti per ritornare al protezionismo. Questo periodo è passato alla storia come “grande depressione di fine Ottocento”. Situazione europea durante la prima epoca di libero commercio. Si nota un progressivo aumento dei trattati e una diminuzione delle politiche mercantiliste a favore del libero scambio. 3. Politiche protezioniste: il periodo tra le due guerre mondiali è stato generalmente considerato un classico esempio degli effetti negativi sulla crescita determinati da politiche commerciali restrittive. Durante la Prima guerra mondiale gran parte dei Paesi aveva ridotto i dazi sui prodotti alimentari, che furono progressivamente aumentati negli anni Venti. Il mondo si divise nei Blocchi di appartenenza al conflitto e tra i Paesi che appartenevano a schieramenti diversi si creano delle forti restrizioni commerciali facendo cessare lo scambio economico. Ciò determinò una forte contrazione del commercio mondiale. Fu però la Grande Depressione degli anni Trenta a segnare l’allontanamento radicale dal libero commercio. I singoli Paesi tentarono di proteggere e favorire l’industria nazionale a discapito dei concorrenti stranieri. Oltre al commercio mondiale diminuì anche la quota di esportazioni rispetto al PIL. A causa della Grande Depressione la domanda statunitense di importazioni diminuì e ciò fece diminuire anche le importazioni degli altri Paesi. Il calo del volume degli scambi innescò una diminuzione dei prezzi che a sua volta ridusse ulteriormente i ricavi delle esportazioni. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Si possono, quindi, rintracciare due grosse fasi di contrazione del commercio: a. Prima guerra mondiale: causò un esponenziale aumento del debito pubblico. Per rimettere in sesto la situazione post-bellica si ricorse all’aiuto statunitense del Piano Marshall con cui gli Stati Uniti si fecero creditori di molti Paesi europei. La Prima guerra mondiale causò anche un’enorme perdita di capitale umano e tecnologico, oltre che all’alta inflazione. b. Crisi economica del sistema capitalistico del 1929: dovuta ad una sovrapproduzione e alla saturazione del mercato. Gli Stati Uniti, in una prima fase, attuarono politiche protezioniste che ebbero come conseguenza l’effetto di generare analoghe reazioni protezioniste in altri Paesi europei. In una seconda fase, il presidente Roosevelt riuscì a trovare la soluzione adatta, aumentando la spesa pubblica al fine di riuscire ad incrementare la domanda aggregata e la ripresa del sistema finanziario. 4. Nuove politiche di libero scambio: dopo la Seconda guerra mondiale tutti i Paesi si resero conto che le politiche di protezionismo erano pericolose e danneggiavano le economie degli stessi Paesi. Ancor prima della fine della guerra si iniziò a elaborare un quadro internazionale per la risoluzione delle dispute commerciali ed a ridurre i dazi doganali. a. Nasce il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) che permise di coordinare le riduzioni dei dazi doganali. Non fece mai parte di questo accordo il settore agricolo che continuò ad essere protetto sia da Stati Uniti che dall’Unione europea. b. Nasce la CEE (Comunità economica europea) che favorì la liberalizzazione degli scambi tra i Paesi membri, determinando un incremento del commercio interno. c. Nasce nel 1987 la WTO (World Trade Organization) che coordina le politiche commerciali e risolve le dispute commerciali tra i Paesi membri. I benefici del commercio internazionale Il commercio internazionale a vantaggi comparati fa aumentare il benessere dei cittadini. Ciò non significa che il commercio determina ad un elevato e duraturo tasso di crescita. Ciò che determina la crescita di un Paese sono, come abbiamo visto in precedenza, i fattori produttivi, la tecnologia e le istituzioni. Il commercio stimola la diffusione della tecnologia che a sua volta comporta una crescita del PIL più elevata. Tabella riassuntiva Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Storia economica d’Europa, Karl Gunnar Persson Capitolo 9.................................................................................................................................................... I REGIMI MONETARI INTERNAZIONALI Il sistema monetario internazionale Di norma Paesi diversi non condividono la stessa moneta. Affinché gli scambi internazionali non siano limitati al baratto, tuttavia, ciascun Paese deve poter convertire la propria moneta in quella di altri Paesi. Da qui nasce la necessità di un sistema monetario internazionale. In assenza di un sistema monetario internazionale ben funzionante, il commercio internazionale sarebbe limitato e gli investimenti esteri non sarebbero possibili. Nei periodi in cui il sistema monetario internazionale non ha funzionato a dovere, infatti, il volume degli scambi e l’ammontare degli investimenti esteri ne risentirono. Tassi di cambio Storicamente si riteneva che le monete merce e i tassi di cambio fissi fossero due componenti essenziali di un regime monetario internazionale ben funzionante. Le valute basate su una stessa merce, come l’oro, infatti, dovevano avere un valore fisso l’una rispetto all’altra. Oggi, al contrario, il regime monetario internazionale è dominato dai tassi di cambio flessibili: le cinque valuta principali a livello mondiale hanno tutte un valore variabile le une rispetto alle altre. L’attuale prevalenza dei tassi di cambio flessibili è legata al mutare delle priorità di politica economica e alla più generale presa di coscienza che essi non rappresentano necessariamente un male, come si credeva in passato. I tassi di cambio fissi presentano una serie di vantaggi. Ad esempio, gli operatori economici non sono soggetti a variazioni inattese del tasso di cambio. Presentano, tuttavia, anche degli svantaggi: In un regime di questo tipo la politica monetaria si deve preoccupare di mantenere il valore fisso rispetto ad altre valute. Se la banca centrale riducesse i tassi di interesse, gli investitori venderebbero la valuta nazionale e acquisterebbero valute estere, deprezzando così la valuta nazionale. Ciò tuttavia non è consentito in un sistema di tassi di cambio fissi e per tale ragione la politica monetaria sarebbe vincolata. Il meccanismo sopra illustrato dipende esclusivamente dall’arbitraggio: ricollocazione dei capitali sul mercato estero. Tale strategia è tuttavia impossibile quando si introducono controlli dei capitali. Limitando la mobilità dei capitali tra i diversi Paesi, la politica monetaria può essere gestita più liberamente anche in un sistema a tassi fissi. I flussi di capitali sono strettamente legati ai flussi commerciali e restringendo i primi diminuiscono automaticamente anche i commerci. Risulta quindi chiaro che i tassi di cambio fissi sono compatibili con una politica monetaria autonoma solo a condizione di limitare la mobilità dei capitali. Riassumendo: Tassi di cambio fissi e libera mobilità dei capitali implicano la rinuncia all’autonomia della politica monetaria. La libera mobilità dei capitali e l’autonomia monetaria sono applicabili solo rinunciando al sistema dei tassi di cambio fissi. L’autonomia monetaria e tassi di cambio fissi sono possibili solo restringendo la mobilità dei capitali. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Questo problema è chiamato “trilemma delle economie aperte” di Obstfeld e Taylor, secondo cui è possibile perseguire solo due obiettivi di politica economica alla volta. Il trilemma risulta molto utile per riassumere la storia dei regimi monetari internazionali: Dal 1870 al 1914 il sistema aureo internazionale (Gold Standard) prevedeva tassi di cambio fissi e consentiva la libera mobilità dei capitali, a discapito dell’autonomia monetaria. Dal 1944 al 1973 si passò al cosiddetto sistema di Bretton Woods, basato su un rapporto di cambio fisso delle singole valute con dollaro americano. Gli Stati acquisirono l’autonomia nella politica monetaria, rinunciando alla libera mobilità dei capitali. Dal 1973 ad oggi, quando la crescita del commercio mondiale rese insostenibile la limitazione dei flussi di capitali, si passò al sistema attuale di tassi di cambio flessibili che consente sia la libera mobilità dei capitali che l’autonomia monetaria. Il sistema del Gold Standard L’oro era stato utilizzato come moneta sin dall’antichità. Nel XIX secolo i diversi Paesi fissarono ufficialmente il valore delle valute nazionali in oro, stabilendo automaticamente un regime di tassi di cambio fissi. Il Gold Standard come istituzione ha le sue origini in Gran Bretagna con l’approvazione nel 1819 del “Resumption Act”, un provvedimento legislativo che rese permanente la pratica del cambio di banconote in oro su richiesta a un tasso fisso. In passato, i Paesi avevano spesso adottato un sistema bimetallico e il Regno Unito fu il primo Paese a fissare il valore della propria valuta esclusivamente in oro. La sua affermazione come principale potenza economica mondiale indusse altri Paesi a seguirne l’esempio. Il Gold Standard non si basava su una struttura istituzionale formale, ma sulle leggi e le pratiche vigenti nei singoli Paesi. Le regole più importanti erano: 1. La valuta doveva essere liberamente convertibile in oro a un valore prestabilito; 2. Non dovevano sussistere barriere ai flussi di capitale; 3. La moneta doveva essere convertibile in oro su richiesta e dunque doveva essere sostenuta da riserve auree. Durante l’epoca del Gold Standard i governi adottarono un approccio alla politica economica all’insegna del lassez faire. Nel 1752 Hume aveva descritto il cosiddetto “meccanismo prezzo- flusso monetario” in base al quale il Gold Standard avrebbe automaticamente garantito l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Hume ipotizzava una situazione nella quale si verificava un afflusso di oro nel Regno Unito con un conseguente aumento dei prezzi britannici, spostando la domanda sui beni esteri. All’aumentare della domanda britannica verso i beni esteri, i flussi di oro si sarebbero nuovamente diretti all’estero ristabilendo l’equilibrio. Le banche centrali, preoccupate da un possibile deficit della bilancia, ricorrevano alla sterilizzazione dei flussi di oro in entrata per evitare che aumentassero l’offerta di moneta e costruendo così Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 riserve auree in eccesso. Nonostante queste decisioni delle regole del gioco, il Gold Standard restò in vigore per diversi decenni. Ciò poiché esso era: Un impegno, poiché eventuali deviazioni del tassi di cambio fisso erano presto seguite da un ritorno alla parità originaria; Un sistema basato sulla fiducia, poiché la diffusa convinzione che i tassi di cambio sarebbero rimasti fissi, faceva sì che tutti i movimenti speculativi andassero nella direzione del loro mantenimento; Un sistema simmetrico, poiché nessun singolo Paese aveva un’influenza determinante sui livelli dei prezzi. Nonostante il Gold Standard garantisse la stabilità dei prezzi nel lungo periodo, nel breve periodo si verificavano fasi di inflazione o deflazione comuni ai diversi Paesi. Gli anni tra le due guerre segnarono la fine del Gold Standard, per ragioni di ordine politico ed economico. Durante la Prima guerra mondiale il Gold Standard fu sospeso e i governi finanziarono la spesa pubblica attraverso l’espansione dell’offerta di moneta. Alla fine del conflitto alcuni Paesi finanziarono la ricostruzione stampando una quantità ancora maggiore di moneta. Il risultato fu l’inflazione estremamente elevata. Nel 1929 il governo statunitense tentava di far rallentare un’economia “saturata” attuando una contrazione monetaria, mentre la Francia stava uscendo da un periodo di inflazione, ritornando al Gold Standard. Entrambi i Paesi ricorrevano alla sterilizzazione degli afflussi di oro e assorbirono le riserve auree mondiali. Di conseguenza, gli altri Paesi furono costretti a ridurre l’offerta di moneta. Questa contrazione monetaria e il crollo di Walter Street scatenarono la Grande Depressione degli anni Trenta, che fece sentire i suoi effetti in tutto il mondo. Nel 1931, incapace di arginare il deflusso di oro, il Regno Unito abbandonò il Gold Standard e allo stesso modo fecero altri Paesi, in modo da riprendersi dalla Grande Depressione svalutando le loro valute. Non essendo più soggetta ai vincoli del Gold Standard, inoltre, la politica monetaria potè essere utilizzata per stimolare la crescita economica. Il sistema di Bretton Woods La reazione alla Grande Depressione fu disastrosa: Il protezionismo aumentò Furono imposte restrizioni ai flussi di capitale I singoli Paesi divennero più autarchici Il commercio mondiale diminuì Nel 1944 i rappresentanti di quarantaquattro Paesi si riunirono nella cittadina statunitense Bretton Woods, cercando di delineare un sistema monetario internazionale per il dopoguerra. La conferenza si concluse con la firma degli “accordi di Bretton Woods” che istituirono il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Keynes auspicava la creazione di un sistema molto più flessibile del Gold Standard classico. Il suo obiettivo era creare un sistema caratterizzato da tassi di cambio fissi e possibilità di utilizzo della politica monetaria, senza per questo porre restrizioni al commercio internazionale. Il sistema di Bretton Woods assunse la struttura di un dollar exchange standard, cioè un sistema di cambio fissi rispetto al dollaro: I Paesi membri detenevano riserve in oro e avevano il diritto di vendere dollari in cambio di oro. Le riserve dovevano fungere da protezione contro variazione dei tassi di cambio nel breve periodo. Il valore del dollaro era fissato rispetto all’oro e tutte le valute avevano un valore fisso rispetto Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 ad esso Il sistema di Bretton Woods era apparentemente molto simile al Gold Standard, la differenza sostanziale stava nella libertà per i singoli Paesi di usare la politica monetaria. Secondo il trilemma delle economie aperte, diventava dunque necessario limitare la mobilità dei capitali. Tale obiettivo fu conseguito imponendo la convertibilità delle valute per gli scambi di beni e servizi ma non per i movimenti di capitale. Il sistema di Bretton Woods era mirato a garantire flessibilità ai Paesi che registravano un disavanzo delle partite correnti. In primo luogo l’FMI veniva dotato di un fondo, costituito da oro e valute dei Paesi membri, da cui poteva attingere per effettuare prestiti a quei Paesi che avevano un disavanzo delle partite correnti, ma che non avrebbero potuto applicare una politica restrittiva senza far aumentare la disoccupazione. Se la bilancia dei pagamenti presentava un “disequilibrio strutturale” i singoli Paesi avrebbero potuto svalutare la propria valuta rispetto al dollaro in caso di calo strutturale della domanda per i loro prodotti. Proprio questa flessibilità, tuttavia, rappresentò una delle cause dell’instabilità del sistema. La pecca fondamentale stava nella sua asimmetria: tutte le valute potevano essere svalutate rispetto al dollaro, ma questa possibilità era preclusa al dollaro stesso. Inoltre, mentre in condizioni normali tutti gli altri Paesi dovevano usare la politica monetaria per agganciare le proprie valute al dollaro, gli Stati Uniti godevano della libertà di fissare il tasso di interesse e gestire autonomamente la politica monetaria. Negli anni Sessanta gli Stati Uniti decisero di aumentare la spesa pubblica e di intervenire nella guerra del Vietnam, causando forti disavanzi di bilancio, una politica monetaria espansiva e il raddoppio del tasso di inflazione e i governi europei si videro costretti ad applicare la stessa politica monetaria. La crescente sopravvalutazione del dollaro rese insostenibile la situazione e nel 1971 gli Stati Uniti decisero di svalutare il dollaro rispetto all’oro. L’inflazione, tuttavia, continuò e quindi nel 1973 essi abbandonarono la convertibilità in oro e il sistema di Bretton Woods si disintegrò. Il mondo dei tassi di cambio flessibili Dopo l’abbandono del sistema di Bretton Woods i livelli dei prezzi nei vari Paesi mostrarono una divergenza ancora più rapida e significativa. I tassi di cambio flessibili si rivelarono compatibili con il libero flusso dei capitali e il libero commercio. In genere, i nuovi regimi di tassi di cambio sviluppatisi dopo il crollo di Bretton Woods ebbero carattere regionale, come ad esempio il Sistema Monetario Europeo (SME), operante negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta del Novecento. All’interno dello SME la Germania conduceva la politica monetaria, analogalmente agli Stati Uniti nel sistema di Bretton Woods. Numerosi Paesi ancorarono le loro valute al marco tedesco, che aveva mantenuto l’inflazione bassa dalla Seconda guerra mondiale in poi. Nonostante le numerose crisi dello SME, sin dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, la Comunità europea cercava di avviare una cooperazione monetaria più solida, che finì per realizzarsi nel 2002 con la creazione dell’area euro. Un’unione monetaria priva i governi nazionali di autonomia nella definizione della politica monetaria e la Banca centrale europea, inoltre, fissa un livello massimo di inflazione accettabile. La capacità di affrontare le difficoltà dipenderà dall’abilità nel coordinare le politiche fiscali. Finora tale coordinamento è stato principalmente finalizzato a fissare un tetto al debito pubblico e all’indebitamento dei Paesi membri. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Storia economica d’Europa, Karl Gunnar Persson Capitolo 10.................................................................................................................................................... DALLO STATO MINIMO ALLO STATO SOCIALE Lo Stato può intervenire, direttamente o indirettamente, sul tessuto economico e sociale in diversi modi: Definisce il quadro giuridico in cui operano i soggetti Stabilisce le politiche fiscali Vigila sui mercati finanziari Detiene la sovranità monetaria Realizza infrastrutture e servizi L’intervento statale risponde quindi a esigenze di crescita economica e sviluppo sociale attraverso: Scelte di politica economica Creazione di ordinamenti politico-istituzionali Modelli di intervento statale Il colbertismo Il colbertismo, detto anche mercantilismo, nasce in Francia per opera di Jean-Baptiste Colbert nell’età preindustriale. In questo periodo lo Stato assumeva un ruolo centrale per l’economia della Nazione. Si credeva che la ricchezza si basasse principalmente sul commercio estero e sulle riserve monetarie detenute all’interno dello Stato. Lo Stato può, quindi, promuovere questi due fattori attraverso: Protezionismo doganale: limitando le importazioni e promuovendo le esportazioni Riduzione delle dogane interne Concessione di monopoli privati temporanei, come ad esempio la Compagnia delle Indie Avviamento di manifatture pubbliche Investimenti in infrastrutture pubbliche Lo Stato minimo (visione classica) Durante gli ultimi trent’anni del XIX secolo, si sviluppò una nuova concezione dello Stato, che rendeva esclusivo il ruolo dello Stato all’interno del Paese. L’idea dell’economista inglese Adam Smith, all’insegna del lasseiz faire e della teoria della “mano invisibile”, prevedeva una visione circolare del processo di sviluppo economico, secondo cui esso cresce quando si determina un surplus. Lo Stato minimo, detto anche minimalista, prevedeva che: La spesa pubblica a livello centrale e locale rappresentava una bassissima parte del PIL ed era destinata in gran parte alla difesa, al mantenimento dell’ordine e all’apparato amministrativo. L’assistenza alle fasce più povere della popolazione era molto ridotta Vi era un diffuso consenso verso una politica economica liberista Le banche centrali detenevano il monopolio dell’emissione di moneta Ortodossia economica: l’economia era un sistema autoregolato. Eventuali shock venivano assorbiti dalle variazioni dei prezzi e dei salari. Il sovrano si limitava a proteggere la società e difendere la patria, oltre a garantire l’eguale applicazione della giustizia. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 La visione di Friedrich List Secondo questo giornalista, il liberismo era uno strumento di dominio delle potenze industrializzate sui Paesi ritardatari, poiché il libero commercio doveva essere applicato valutando il livello di sviluppo di una Nazione. Egli sosteneva il pragmatismo economico, secondo cui la ricchezza di un Paese era data dalle forze personali, sociali e materiali all’interno di una Nazione. Riteneva importante che ogni Paese sviluppasse tutte le opportunità, senza trascurare alcun aspetto. Riteneva fondamentale per ogni Stato lo sviluppo del proprio potere in ambito internazionale. Il ruolo dello Stato doveva essere quello di garantire e promuovere lo sviluppo industriale, agricolo, ecc. Lo Stato doveva adottare un protezionismo moderato: doveva imporre delle misure protezioniste quando l’industria era in via di sviluppo, mentre doveva passare a politiche libero- scambiste nel momento in cui l’industria diventava competitiva. Lo Stato interventista In contrapposizione al modello statale nato con la Prima rivoluzione industriale, detto “modello debole” e adottato successivamente nel corso del Novecento dagli Stati Uniti, si sviluppa un modello “forte” che prevedeva il massimo intervento statale in economia. Questo modello venne utilizzato dagli Stati Uniti negli anni della Grande Depressione e ad oggi dall’Unione Sovietica. Questi sistemi prevedono: Un sistema di Welfare State Interventi di spesa pubblica in casi straordinari, poiché l’obiettivo di ogni Paese era quello di mantenere il pareggio di bilancio. La dottrina keynesiana In cosa consiste il Welfare State Secondo Milton Friedman, l’allocazione delle risorse nel settore pubblico le sottrae al settore privato, perciò la Pubblica amministrazione non deve intervenire quando il mercato realizza in modo ottimale l’impiego delle risorse. Le principali situazioni in cui può verificarsi il “fallimento del mercato” tra privati riguardano: I beni pubblici puri Le attività che generano esternalità, ossia effetti che ricadono su terze persone I beni di merito, che soddisfano i bisogni essenziali e sono accessibili a tutti Le situazioni di monopolio L’insufficienza delle informazioni necessarie per valutare la convenienza delle operazioni economiche I beni pubblici puri Sono beni pubblici puri l’ordine pubblico, la difesa nazionale, le infrastrutture e l’illuminazione. Essi hanno carattere collettivo e perciò: Non possono essere suddivisi in prestazioni singole perchè forniscono un risultato che riguarda l’intera collettività loro consumo da parte di un soggetto non impedisce un pari consumo da parte di altri Non è possibile impedirne l’uso ad alcuni Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 I beni di merito Il mercato non può garantire una situazione di equilibrio nell’erogazione di beni e servizi che soddisfano i bisogni essenziali (servizi sanitari, istruzione, assistenza, cassa integrazione, mobilità,…), in quanto il loro prezzo di mercato potrebbe essere troppo alto per vaste categorie di persone. Per questa ragione lo Stato deve garantire l’accessibilità a tutti a questi beni e servizi in quanto è espressamente riconosciuto dalla Costituzione. La forma di intervento più incisivo si ha quando la Pubblica amministrazione provvede direttamente all’erogazione gratuita, coprendone in tutto o in parte il costo tramite il prelievo fiscale (welfare state). Se l’utilità di questi servizi è molto importante a livello sociale, lo Stato può renderli obbligatori (vaccinazioni obbligatorie, istruzione di base, servizi previdenziali,…). Una teoria dello Stato sociale basata sui fallimenti del mercato L’incremento della spesa pubblica per lo Stato sociale avvenne solo con l’allargamento del suffragio universale. L’estesa copertura dello Stato sociale moderno, con assistenza sanitaria gratuita, istruzione, edilizia popolare, assistenza all’infanzia e pensioni di vecchiaia, si sviluppò solo dopo la Seconda guerra mondiale. Lo Stato sociale è, anzitutto, un’istituzione di trasferimento intertemporale di risorse lungo il ciclo di vita delle famiglie e degli individui. La redistribuzione, cioè il trasferimento delle risorse tra classi sociali, è un effetto secondario della spesa per lo Stato sociale. I sistemi di tassazione progressiva, in base ai quali l’aliquota aumenta all’aumentare del livello di reddito, contribuiscono alla redistribuzione perché i redditi al netto delle imposte risultano distribuiti in modo più eguagliato. Grafico Il grafico è un’esposizione semplificata della redistribuzione intertemporale delle possibilità di consumo lungo il ciclo di vita. Definiamo l’equilibrio netto dello Stato sociale la differenza tra il contributo della famiglia al finanziamento dello Stato sociale (1) e il valore monetario ricevuto dalla famiglia in termini di trasferimenti e servizi erogati dallo Stato sociale (2). Una famiglia attraversa fasi prevedibili: 1. Fase di formazione: è particolarmente onerosa sia a causa delle necessità relative all’allevamento dei figli e all’istruzione, sia per la riduzione delle entrate per via della diminuzione delle offerte di lavoro legate alla presenza di figli. La famiglia versa allo Stato una quota di imposte inferiore al contributo che ne riceve in termini di assistenza all’infanzia, istruzione, assegni familiari e congedo parentale. 2. Contributore netto: si arriva a questa fase quando i figli concludono il ciclo di studi e resta fino alla vecchiaia. È netto poiché riceve solo sussidi di disoccupazione o i congedi per malattia di natura solo transitoria. 3. Fase della vecchiaia: la famiglia passa a consumare una Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 quota elevata di servizi sanitari e beneficia di una pensione finanziata attraverso fondi pubblici. La dottrina keynesiana e la “nuova economia keynesiana” In genere, le idee di Keynes sono associate al finanziamento della spesa pubblica, detto deficit spending, ma più precisamente la dottrina keynesiana diede legittimità a questo strumento di politica economica, dimostrando che un incremento della spesa pubblica era in grado di influenzare l’andamento dell’economia e quantificando l’effetto, superiore alla spesa iniziale, esercitato sul reddito nazionale mediante la teoria del moltiplicatore. Nel corso degli anni la dottrina economica keynesiana ha subito delle modifiche. Attualmente gode di grande favore la “nuova economia keynesiana”, in coerenza con la tesi originaria secondo la quale le fluttuazioni dell’economia possono essere gestite attraverso la politica fiscale e monetaria. I neo-keynesiani hanno contribuito a spigare con maggiore precisione perché prezzi e salari non sono completamente flessibili. Se il mercato è caratterizzato da concorrenza monopolistica, le imprese godono di un certo potere nel fissare i prezzi. Possono, quindi, reagire ad un incremento della domanda aumentando la produzione invece che i prezzi, poiché adeguare i prezzi implicherebbe un aumento dei costi. Se i prezzi non sono completamente flessibili, la banca centrale può agire sul tasso di interesse reale. I teorici keynesiani hanno tuttavia ammesso di aver trascurato il rischio di inflazione. Casi in cui lo Stato si fece interventista: Stati Uniti: Grande Depressione del 1929 La Grande Depressione fu un disastro di portata globale. Ebbe origine negli Stati Uniti e si diffuse rapidamente nel resto del mondo. Fu causata da un forte shock negativo sui consumi e sugli investimenti al termine di una fase di euforia del mercato azionario. Là produzione industriale diminuì molto, mentre la produzione reale di beni alimentari calò solo marginalmente. I prezzi di questi beni diminuirono drasticamente e i Paesi produttori furono privati dei ricavi delle esportazioni. La sua gravità fu in larga misura causata da errori di politica economica. Lo Stato aumentò inizialmente la politica protezionista e attuò politiche deflative che andarono ad influire sul sistema aureo. Tra il 1929 e il 1933 il valore del commercio mondiale diminuì a un terzo del suo livello iniziale. I tassi di interesse nominali erano molto bassi ma la deflazione mantenne i tassi reali a livelli sufficientemente alti da ostacolare la risorsa economica. Gli unici modi che riuscire ad uscire dalla crisi furono: Svalutare il dollaro al fine di diminuire i prezzi dei prodotti e stimolare le esportazioni Aumentare l’intervento dello Stato in economia, sempre mantenendo l’obiettivo della parità di bilancio. In questo periodo era tuttavia impossibile adottare una tale manovra poiché lo Stato si sarebbe trovato in una situazione di “deficit spending”. Nel 1932, non riuscendo ad uscire dalla crisi, gli Stati Uniti sotto la guida del presidente Franklin Delano Roosevelt (partito democratico) decisero di: Abbandonare il Gold Standard e fissare il tasso di interesse Attuare un vasto programma di lavori pubblici attraverso una politica di intervento dello Stato nell’economia. Questo piano, detto New Deal, seguiva la dottrina keynesiana di “deficit spending” che prevedeva un aumento della spesa pubblica a fronte di un aumento della domanda aggregata determinato dall’effetto moltiplicatore del reddito. Il piano prevedeva: ◦ Intervento di deficit spending: l’investimento pubblico avrebbe permesso all’economia stagnante di rimettersi in circolo. Questo meccanismo funzionava così: ‣ Aumentando la spesa pubblica per investimenti nella costruzione o nel restauro di infrastrutture pubbliche, aumentava l’occupazione e di conseguenza anche i salari. In questo modo le famiglie avevano più reddito a disposizione così che potessero aumentare i Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 loro consumi e la parte risparmiata. Tutto ciò determina un aumento della domanda aggregata e le spese inizialmente sostenute saranno ben compensate dai risultati. Aumentando la domanda, senza aumentare ulteriormente l’offerta di beni privati, si sarebbe riusciti a diminuire il dislivello tra domanda e offerta creato dalla crisi di sovrapproduzione. ‣ Conseguenza: meccanismo di inerzia della spesa pubblica (una volta aumentata poi è difficile far tornare nuovamente la quantità di spesa pubblica ai livelli originari) ◦ Politiche di social Welfare ‣ Social Security Act: primo sistema pensionistico e assicurativo americano ◦ Controllo dei prezzi industriali: fissandoli ad un certo livello si impone l’obiettivo di contrastare la discesa dei prezzi ‣ National Industrial Recovery Act: prevedeva la pianificazione delle attività economiche private, ponendole sotto la supervisione governativa, al fine di garantire alla collettività una giusta concorrenza. Nel 1935 questo piano fu considerato incostituzionale e si continuò a regolare il mondo della produzione attraverso l’antitrust. ◦ Sostegno all’agricoltura ‣ Tennessee Valley Authority: favoriva lo sviluppo delle regioni intorno alla valle del fiume Tennessee, particolarmente colpite dalla recessione. Germania: situazione post-bellica La crisi degli Stati Uniti coinvolse anche i Paesi europei che in parte attuarono le manovre di politica economica adottate dagli americani, come le campagne di lavori pubblici e l’intervento dello Stato in economia, d’altra parte gli Stati tesero ad una chiusura diplomatica ed economica con l’istituzione di sistemi dittatoriali. Con il Trattato di Versailles, si stabiliva che la Germania: Perdeva i territori dell’Alsazia e della Lorena Fosse smilitarizzata Dovesse pagare una pesante indennità di guerra a Francia e Regno Unito. Keynes si dichiarò contrario a questo provvedimento poiché riteneva che i Paesi vincitori rischiavano di non permettere la ripresa economica tedesca e di innescare un sentimento di rivalsa. Per quanto riguarda i flussi di capitali in seguito alla Prima guerra mondiale, si creò un circolo vizioso: Francia e Regno Unito StatiUniti È Germania prestiti Quando la Grande Depressione determinò una riduzione delle entrate derivanti dalle esportazioni, il crescente debito estero e il pagamento delle riparazioni di guerra posero pesanti vincoli alla politica economica. La Germania decise quindi di imporre controlli sui movimenti di capitale, violando le regole del Gold Standard, ma senza uscirne. Nel 1932 il versamento delle riparazioni di guerra fu sospeso e verso la fine di quell’anno l’economia sembrava riprendersi. Quando Hitler prese il potere nel 1933, il governo nazista adottò una politica simile a quella degli Stati Uniti: avviarono massicci lavori pubblici e investirono per il riarmo del Paese. In contemporanea attuarono una compressione dei diritti individuali. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Unione sovietica: l’ascesa del comunismo Karl Marx sosteneva che i sistemi sociali prosperano e si espandono solo se sono in grado di sviluppare tecnologie e sostenere un incremento della ricchezza materiale. Le economie socialiste erano caratterizzate da un dominio assoluto della politica sull’economia, con la presenza di uno Stato massimo. Marx ipotizzava che il comunismo si sarebbe affermato una volta che il capitalismo avesse portato un livello di benessere materiale senza precedenti. Marx non negava in alcun modo la forza dinamica del capitalismo e lo considerava un passaggio necessario per il raggiungimento della fase finale del comunismo. Dopo la rivoluzione del 1917 i comunisti russi si orientarono naturalmente verso il controllo amministrativo dell’economia. Nel 1918 il governo decise di uscire dalla Prima guerra mondiale firmando il Trattato di Brest-Litovsk. In seguito alla Rivoluzione il Paese dovette affrontare un lungo periodi di guerre civili a cui rispose instaurando un’economia di guerra: Tra il 1918 e il 1921 il governo decise di confiscare tutte le terre con l’idea di distribuirle ai contadini. Nel contempo si sarebbe avviata la nazionalizzazione del settore industriale, con la collettivizzazione dei fattori di produzione Lo Stato acquisì il pieno controllo dell’economia con la definizione di un nuovo sistema giuridico Tra il 1921 e il 1924 il nuovo presidente Lenin diede vita alla Nuova Politica Economica (NEP). Si trattava di un mix tra il sistema capitalistico e quello sovietico. Vi erano dei settori lasciati completamente all’iniziativa privata, come l’agricoltura e le piccole industrie, e altri che restavano nazionalizzati (grandi imprese). La prima pianificazione socialista presentava quattro caratteristiche principali: 1. Abolizione della proprietà privata e dei mezzi di produzione 2. Tassi di investimento molto elevati 3. Forte sbilanciamento verso la produzione di beni capitali, a discapito dei beni di consumo Nel 1924 Lenin muore e gli succedette Stalin che diede vita all’URSS. Il governo attuò una centralizzazione delle iniziative economiche nelle mani dello Stato al fine di rendere il Paese autosufficiente. Nel 1929 fu varato il primo piano quinquennale che prevedeva: Il settore industriale doveva essere gestito dalla Gostland, che fissava i programmi di produzione in basi agli obiettivi produttivi. L’agricoltura venne collettivizzata Negli anni Settanta e Ottanta la crescita mostrò un considerevole rallentamento: le economie socialiste si indebitarono nei confronti dell’occidente e nei primi decenni delle Guerra Fredda l’URSS venne tagliata fuori dalle esportazioni di tecnologie avanzate. La pianificazione portava, inoltre, ad uno spreco di risorse e la mancanza di democrazia favorì gli investimenti di beni capitali, a discapito dei beni di consumo. Tutto ciò portò ad un aumento dei tassi di investimento. Il sistema non aveva funzionato e, come previsto da Karl Marx, i sistemi economici incapaci di garantire una crescita del benessere non potevano sopravvivere. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Capitolo 11.................................................................................................................................................... LA DISUGUAGLIANZA La parola “disuguaglianza” si riferisce, in senso lato, a tutte le differenze di benessere derivanti da: disparità nei livelli di consumo accesso all’assistenza sanitaria possibilità di istruzione speranza di vita Di norma si attribuisce particolare importanza alla disuguaglianza dei redditi. Il reddito, tuttavia, non è un mezzo per garantirsi una vita adeguata, che dipende anche dagli altri fattori sopra elencati. La distribuzione del reddito è, dunque, una misura imperfetta della distribuzione del benessere, perché molti fattori di benessere sono solo vagamente collegati al reddito. Nei Paesi europei dotati di uno Stato sociale avanzato, un crescente numero di servizi (come assistenza sanitaria, assistenza all’infanzia, istruzione e cultura) sono forniti a prezzi agevolati. Escludendo i redditi, legati al caso e alla fortuna di nascere in una famiglia ricca, la disuguaglianza osservabile è strettamente legata alle capacità e competenze acquisite mediante l’istruzione e la formazione sul lavoro. Più ampiamente, se si analizzano le disuguaglianze nei redditi medi tra i diversi Paesi, le differenze derivano per la maggior parte dalla qualità dei Governi, dalle disponibilità di tecnologia e delle competenze della forza-lavoro. I Paesi poveri restano poveri perché non hanno le caratteristiche, in termini di istruzione e istituzioni, per sfruttare le tecnologie moderne. Il vero problema, però, è che i Paesi poveri non attraggono né investimenti stranieri né relazioni commerciali. Il benessere dei Paesi ricchi dipende dallo sfruttamento della povertà? In parte sì, per le seguenti ragioni: Le misure protezioniste in agricoltura riducono i prezzi sul mercato mondiale e per gli agricoltori dei Paesi poveri questo limita la loro possibilità di trarne profitti. La divisione internazionale del lavoro ha costretto i Paesi poveri a esportare materie prime con un alla volatilità dei prezzi, così da rendere instabili anche i loro profitti. I mezzi di misurazione della disuguaglianza Esistono numerose misure della disuguaglianza e della dispersione dei redditi, nessuna delle quali può essere considerata perfetta. Coefficiente di Gini Questo coefficiente misura la disuguaglianza in rapporto ad una ipotetica distribuzione del reddito perfettamente egualitaria, in cui tutti gli individui percepiscono lo stesso reddito. Esso cresce all’aumentare della disuguaglianza e varia da 0 (eguaglianza perfetta) a 1 (massima disuguaglianza). La massima disuguaglianza, tuttavia, non può esistere poiché deve essere assicurato un minimo reddito di sussistenza alle famiglie. L’indice di Gini si basa sul principio statistico della deviazione standard. Con deviazione standard si intende la dispersione dei dat intorno alla media. Questa distribuzione è descritta dalla varianza. Tanto più è alta, tanto più le disuguaglianze aumentano. Scaricato da giulia Ciò significa che tanto più il reddito è rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 concentrato e tanto più c’è disuguaglianza. Storia economica d’Europa, Karl Gunnar Persson Grafico La figura illustra il principio alla base del coefficiente di Gini. Asse orizzontale: percentuale di famiglie cumulate in base al reddito Asse verticale: percentuale cumulata del reddito complessivo. Le curve di Lorenz: 1. La retta bisettrice rappresenta un caso di perfetta uguaglianza. Questa situazione era presente nel periodo preistorico quando la popolazione viveva di caccia e raccolta, non erano presenti le classi sociali, la disponibilità delle risorse era comune e il reddito si avvicinava al reddito di sussistenza. Tutte le altre curve di discostano da una situazione di perfetta eguaglianza. Quanto maggiore è lo scostamento tanto più diseguale è la distribuzione del reddito. 2. Nell’epoca dell’Impero Romano e nel 1688 in Inghilterra si nota una sostanziale lontananza dalla retta di eguaglianza nonostante il verificarsi di un incremento non indifferente del reddito dal livello di sussistenza. Ciò significa che il reddito era mal distribuito tra la popolazione ed esisteva un élite privilegiata che godeva di un livello di reddito sproporzionato rispetto agli strati della popolazione più povera. 3. Come esempio di economia moderna viene riportato il caso della Svezia nel 2000. Un aumento del reddito pro capite non si accompagnò necessariamente ad un aumento della diseguaglianza, ma essendo un’economia povera era difficile avere alti livelli di disuguaglianza. Grafico La figura riporta il rapporto tra il coefficiente di Gini effettivo e quello massimo possibile per alcune economie nel corso della storia. Il rapporto aumenta nelle fasi iniziali, quando il livello della diseguaglianza reale segue la disuguaglianza potenziale all’aumentare del reddito pro capite. Il rapporto, tuttavia, si stabilizza nella prima metà dell’epoca moderna per poi diminuire nel XX secolo. La disuguaglianza è dunque in scesa in rapporto al livello massimo potenziale. Non si può comunque dare per scontato che sia calata in termini assoluti prima del XX secolo. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Storia economica d’Europa, Karl Gunnar Persson Quali sono state le cause che hanno portato ad un calo della disuguaglianza? Istruzione di massa nel XX secolo Maggiori competenze degli individui in generale Innalzamento dell’obbligo scolastico Affermarsi della democrazia Nuove esigenze dettate dalla complessità delle tecnologie moderne La disuguaglianza di genere Prima del XX secolo le differenze salariali tra uomo e donna erano molto elevate, principalmente perché la donna veniva sottostimata, specie nei settori in cui serviva una buona prestanza fisica, che di norma si attribuiva agli uomini. Nonostante una considerevole diminuzione, nel XX secolo i differenziali salariali non sono scomparsi. Ad oggi oscillano tra il 30% e il 10% e sono in buona misura legati a differenze nell’occupazione, nel livello di istruzione e nell’esperienza lavorativa. Tutti i salari, sia maschili che femminili, tendono a crescere con l’età e il tempo di appartenenza alla forza lavoro, grazie all’esperienza e alle capacità che si acquisiscono lavorando. Storicamente, l’addestramento sul posto di lavoro era dedicato maggiormente agli uomini, poiché le donne tendevano a smettere di lavorare non appena contraevano il matrimonio e, di conseguenza, i datori di lavoro erano poco propensi a investire nella formazione femminile. Si sostiene, che le scelte lavorative tradizionali e le strategie occupazionali indirizzino le donne verso occupazioni poco retribuite. Le donne sono proporzionalmente più numerose in settori con retribuzioni basse o in occupazioni meno pagate in settori dove le retribuzioni sono alte. Tale situazione dipende dalle convenzioni sociali e dall’aperta discriminazione nel sistema educativi e del mercato del lavoro. Il cambiamento tecnologico tende a rafforzare tale effetto se riduce la domanda di lavoro non qualificato. La lieve riduzione della disuguaglianza di genere porterebbe essere stata attenuata grazie ad un accesso più paritario all’istruzione. La distribuzione del reddito a livello mondiale Se prima del 1800 la differenza di reddito tra i Paesi poveri e quelli ricchi si discostava ma non di molto, ad oggi essa è aumenta ulteriormente. È opinione condivisa da tutti gli storici che la disuguaglianza non sia aumenta ma non tutti gli studiosi concordato sul fatto che essa sia diminuita. Chi afferma che la disuguaglianza è aumenta fa riferimento ad un concetto di disuguaglianza che risulta poco corretto. Essi considerano il reddito pro capite di ciascun Paese assegnando lo stesso peso al reddito pro capite di tutti i Paesi. Calcolando in questo modo il coefficiente di Gini risulterà effettivamente che la disuguaglianza è aumentata. Questo calcolo non ha senso poiché una crescita del PIL in Cina e India all’8-10% annuo beneficerebbe circa un terzo della popolazione mondiale, mentre una simile crescita in Islanda si noterebbe a malapena. È necessario dunque calcolare la disuguaglianza ponderata. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Disuguaglianza globale Per studiare adeguatamente la disuguaglianza in ambito mondiale si dovrebbe ricorrere allo stesso metodo utilizzato per la Nazione: bisognerebbe conoscere i redditi di ciascun singolo cittadino del mondo. Disuguaglianza ponderata È necessario tenere conto della dimensione delle economie analizzate per giungere ad una valutazione più equilibrata. La base dell’analisi resta il reddito pro capite nei diversi Paesi, ma a ciascun Paese si assegna un peso proporzionato alla sua popolazione. Secondo questa misura la disuguaglianza è diminuita. La disuguaglianza internazionale ponderata per la popolazione è diminuita dopo il 1950 soprattutto per via della rapida crescita del reddito pro capite nei Paesi asiatici a basso reddito. Una crescita del PIL potrebbe comunque nascondere una disuguaglianza all’interno del Paese stesso in quanto gruppo ristretti di individui beneficiano di gran parte dell’incremento del reddito. “Benessere” inteso non solo come livello del reddito pro capite Le Nazioni Unite hanno patrocinato un tentativo di stimare un concetto più ampio di benessere, che tenga conto non solo del reddito ma anche di altri indicatori quali: L’alfabetizzazione La scolarità Le condizioni sanitarie (la speranza di vita) In base a questi presupposti si è costruito il cosiddetto Indice di sviluppo umano (HDI) che calcola una media ponderata di reddito pro capite, istruzione speranza di vita, che può assumere come valore massimo 1. Grafico I risultati mettono in dubbio la tesi di un peggioramento delle condizioni di vita umana e di un aumento delle disuguaglianze. Gli standard sanitari e i livelli di istruzione, infatti, hanno mostrato una convergenza a livello mondiale. La figura mostra gli andamenti divergenti del PIL pro capite in dollari costanti dal 1990 e dell’HDI relativi all’Europa occidentale e all’India. La figura mostra che il benessere della popolazione di discosta dai livelli di reddito. Mentre la differenza di reddito assoluta è aumentata, la differenza dell’HDI è diminuita. Ciò è dovuto al fatto che l’India e in generale i Paesi poveri, hanno ridotto le distanze rispetto ai Paesi ricchi in termini di alfabetizzazione e speranza di vita. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Capitolo 12.................................................................................................................................................... LA GLOBALIZZAZIONE E LE SFIDE PER L’EUROPA La globalizzazione è un processo di integrazione dei mercati su scala mondiale e implica una crescente dipendenza dei mercati nazionali da quelli internazionali. I prezzi e, di conseguenza, le remunerazioni dei fattori riflettono le condizioni di domanda e offerta globali, e non più quelle locali. La globalizzazione è il risultato dell’intensificarsi del commercio internazionale, della mobilità dei capitali e dei flussi migratori. La prima ondata di globalizzazione iniziò verso la metà del XIX secolo fino al 1914 con la riduzione delle barriere al commercio internazionale, all’immigrazione e alla mobilità dei capitali, in concomitanza con una maggiore rapidità di trasmissione delle informazioni. La crescita del commercio mondiale fu maggiore rispetto al reddito mondiale, con un aumento del rapporto Export/ PIL. Nella prima parte del XX secolo, tuttavia, le due guerre mondiali e la Grande Depressione portarono ad un’inversione di tendenza, rifiutando la globalizzazione e causando pesanti conseguenze sui mercati delle merci, del lavoro e dei capitali. Solo negli anni Settanta e Ottanta del Novecento prese il via una nuova ondata di globalizzazione. Quali furono le forze che stimolarono l’integrazione dei mercati e la globalizzazione? Sono principalmente tre: Politica Tecnologia Informazioni La politica doganale, la deregolamentazione dei mercati finanziari e le politiche sull’immigrazione rivestirono un’importanza cruciale. Va tuttavia ricordato che la globalizzazione arreca vantaggi e svantaggi a gruppi sociali diversi e l’equilibrio delle forze favorevoli e contrarie è mutato nel corso della storia, così come successe per le politiche liberoscambiste e protezioniste. I fattori tecnologici che hanno favorito la globalizzazione sono principalmente legati ai costi di trasporto e di transazione. La riduzione più rilevante ha interessato le tariffe del trasporto ferroviario nazionale. A partire dal XIX secolo la trasmissione delle informazioni è stata sempre più economica e veloce. La velocità è un fattore importante perché l’aggiustamento dei prezzi nei mercati globali è in buona misura determinato dalle nuove informazioni sui prezzi delle merci. La globalizzazione è associata a tre importanti caratteristiche: Convergenza dei prezzi Maggiore rapidità di aggiustamento dei prezzi interni, in risposta ad eventi del mercato mondiale Aumento dei commerci, dei flussi di capitale e dei flussi migratori Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 LA CONVERGENZA DEI PREZZI Legge del prezzo unico La manifestazione più importante di una piena integrazione dei mercati è la legge del prezzo unico, secondo la quale beni identici devono essere venduti allo stesso prezzo in tutti i Paesi. Questo si verificherebbe, tuttavia, solo in assenza di costi di trasporto e barriere doganali. Mentre per le attività finanziarie i costi sono di norma molto bassi, per le merci va riformulata la legge del prezzo unico. La differenza di prezzo tra beni identici in due mercati geograficamente distanti è pari o inferiore ai costi di trasporto e di transazione associati al trasferimento della merce da un mercato all’altro. La differenza di prezzo dovrebbe, quindi, coincidere perfettamente con i costi di trasporto e transazione o, per lo meno, non deve eccederli. Se la differenza di prezzo è superiore ai costi di trasporto per gli operatori commerciali diventa redditizio importare la merce. Di conseguenza i prezzi diminuiscono nel paese importatore e aumentano in quello esportatore. La legge del prezzo unico ha due implicazioni: 1. Convergenza dei prezzi: la differenza di prezzo per beni identici scambiati in mercati distanti si riduce al diminuire dei costi di trasporto e dei dazi doganali. Oltre alla LPU anche altri due fattori contribuiscono alla convergenza dei prezzi: a. L’aumento dell’efficienza del mercato b. Migliore trasmissione delle informazioni 2. Qualsiasi deviazione della legge del prezzo unico determinerà aggiustamenti più rapidi dei prezzi, in modo da ripristinarne la validità. Quali meccanismi economici assicurano la validità della legge del prezzo unico? Il commercio L’arbitraggio: operazione che consiste nell’acquistare un’attività finanziaria e rivendere la stessa su un altro mercato finanziario sfruttando le differenze di prezzo al fine di ottenere un profitto. Conseguenze della globalizzazione La globalizzazione implica un’elevata interdipendenza tra le variazioni dei prezzi e dei tassi di interesse a livello nazionale e globale e riduce il potere delle imprese di determinare i prezzi e quello dei sindacati di fissare i salari. Grafico Si considerino le curve di domanda di lavoro con pendenza negativa e di offerta di lavoro con pendenza positiva. Quando l’economia è interessata da un processo di globalizzazione le curva di domanda del prodotto, e di conseguenza anche quella di domanda di lavoro, diventa più elastica, spostandosi da D a D’. Ciò accade perché quando la concorrenza aumenta la domanda del prodotto diventa più sensibile alle variazioni dei prezzi. Se le organizzazioni sindacali chiedono un aumento di salario da S a S’, l’effetto negativo dell’occupazione sarà maggiore in un’economia globalizzata poiché il potere di mercato delle imprese è limitato. In un economia protetta, un incremento del costo del lavoro provocherà un maggiore inflazione e l’occupazione passerà da L a L’. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 I MOVIMENTI DI CAPITALI I movimenti di capitali sono transazioni internazionali di attività finanziarie, come azioni e obbligazioni. L’acquisto di attività estere da parte di operatori economici residenti in un certo Paese rappresenta una voce di uscita nel conto dei movimenti di capitale della bilancia dei pagamenti. Allo stesso l’acquisto di attività nazionali da parte di operatori esteri viene registrata come un’entrata. Se le entrate superano le uscite allora la bilancia registrerà un avanzo e vi sarà un afflusso di capitali, al contrario se le uscite superano le entrate allora vi sarà un disavanzo della bilancia dei pagamenti con conseguente deflusso di capitale. I movimenti di capitale sono influenzati dai rendimenti delle attività finanziarie. Se i rendimenti sono superiori allora sarà più vantaggioso investire in quel Paese. Aspetti molto rilevanti da tenere in considerazione quando si investe in un certo Paese sono: Rischio Grado di sviluppo e di integrazione dei mercati finanziari Ampiezza dei vincoli posti agli impieghi di valuta I movimenti di capitale nel tempo Nel periodo tra il 1850 e il 1914, con la Rivoluzione industriale si assiste anche ad una rapida crescita dei movimenti di capitale. Quando nel 1914 il Regno Unito smette di essere il maggior esportatore di capitale, sostituito dagli Stati Uniti, si verificano una serie di contrazioni del mercato dei capitali dovute al sistema di Bretton Woods. Solo dopo il crollo di questo sistema i movimenti di capitale ripresero a crescere. Ad oggi, i Paesi sono sia esportatori che importatori di capitale. I MERCATI DEL LAVORO La convergenza dei salari reali è molto più incompleta della convergenza osservata in altri mercati, poiché il meccanismo che la determina è la migrazione dei lavoratori da Paesi con offerta di lavoro in eccesso e bassi salari e Paesi con domanda in eccesso e salari elevati. La forza contrattuale dei lavoratori dei Paesi di emigrazione migliorò, mentre quella dei lavoratori nei Paesi di immigrazione peggiorò poiché la diminuzione di lavoratori minacciò le imprese e al contempo l’aumento dei lavoratori nei Paesi di immigrazione avrebbe indebolito l’offerta. L’apertura al commercio internazionale e l’immigrazione La fase delle migrazioni di massa si concluse all’inizio del XX secolo a causa di provvedimenti restrittivi adottati dal governo dei Paesi di immigrazione. La maggiore apertura del commercio internazionale, ha coinciso con buone condizioni di lavoro. Esse sono riassunte dall’indicatore “labor compact index”, comprendente le normative sugli orari, i rischi e l’assicurazione contro la disoccupazione, la malattia e gli infortuni. Grafico I dati della figura smentiscono l’ipotesi che l’apertura implichi un peggioramento delle condizioni di lavoro. Michael Huberman ha documentato che a fronte di una crescente apertura, le economie tendono ad adottare degli standard di tutela del lavoro più avanzati. I Paesi tendono a imitare i tra loro e ciò ha comportato un miglioramento delle condizioni di lavoro in generale. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 La ritirata dall’economia mondiale Dopo la Grande Depressione le esportazioni di prodotti alimentari diminuirono e si verificò una drastica riduzione dei prezzi. Le economie specializzate nella produzione agricola dovettero fare i conti con il protezionismo. Dagli anni Cinquanta in poi, tali politiche protezioniste furono rafforzate sia in Europa che negli Stati Uniti. Inoltre, le politiche di sostegno adottate in Europa fecero aumentare la produzione e il prodotto in eccesso incise negativamente sui prezzi dei mercati mondiali. Nei Paesi in via si sviluppo si affermò un nuovo orientamento di politica economica, ispirato all’idea che una crescita basata sulle esportazioni di prodotti alimentari non fosse sostenibile. Si riteneva, infatti, che nel lungo periodo i prezzi relativi di questi prodotti fossero destinati a diminuire. Numerose economie latino-americane divennero più chiuse e si ritirarono parzialmente dall’economia mondiale. Deprivazione relativa degli agricoltori USA Grafico La migrazione di massa verso gli Stati Uniti implica un’offerta di lavoro perfettamente elastica. Retta prezzo alla frontiera: i lavoratori sono disposti ad insediarsi alla frontiera producendo grano ad un prezzo costante Retta p: il prezzo effettivamente ricevuto dagli agricoltori in ciascuna area di produzione è pari al prezzo in Europa meno il costo di trasporto e quindi tende a diminuire tanto più lontana è l’area dai porti lungo la costa orientale. La frontiera si localizza in ciascun momento dove il prezzo europeo al netto dei costi di trasporto è eguale al prezzo di produzione. Il calo dei costi di trasporto riduce i prezzi in Europa, facendone aumentare la domanda, e allo stesso momento fa ruotare la retta da p a p’. Diventa quindi più conveniente produrre in aree più lontane. Il prezzo medio ponderato per tutti gli agricoltori diminuisce perché il centro della produzione granaria si sposta da regioni con prezzo elevato ad aree di frontiera con prezzo basso. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Approfondimento Alle origini della globalizzazione: gli anni Settanta Negli anni Settanta negli Stati Uniti successero due avvenimenti: Crescente disavanzo della bilancia commerciale (Import > Export): i dollari fluivano dagli Stati Uniti verso i Paesi da cui importavano Guerra del Vietnam: causò un’enorme spreco di risorse Tutto ciò generò delle pressioni speculative sul dollaro. Quando gli Stati Uniti importarono più di quanto esportavano, e la convertibilità del dollaro in oro doveva essere garantita, si iniziarono ad innescare delle preoccupazioni sui mercati internazionali: si crearono dei dubbi sulla durabilità della convertibilità. Solo restringendo la politica monetaria si sarebbe riusciti a bloccare il deflusso di denaro verso l’estero, tuttavia a causa delle elezioni del 1972 questa politica deflativa non venne attuata e Nixon decise di abbandonare il mondo di Bretton Woods. Dopo Bretton Woods vi fu un fenomeno di inflazione molto elevata, dovuto alla svalutazione della moneta. Queste svalutazioni ebbero, tuttavia, effetti positivi: una volta svalutata la moneta e potendo i governi stimolare liberamente le proprie economie, si riuscì a far crescere la produzione industriale, rendendo più competitive le aziende nazionali. La domanda di materie prime e generi alimentari crebbe esponenzialmente e di conseguenza anche i prezzi. Le crisi petrolifere Alle spinte inflazionistiche si aggiunse un altro fattore di enorme importanza: la crisi petrolifera. Due anni dopo l’uscita da Bretton Woods scoppiò la prima crisi petrolifera. Il mercato del petrolio, il quale era la principale fonte energetica, era molto regolato a livello dell’offerta. I paesi produttori di petrolio avevano un potere contrattuale molto forte. Questi paesi si riunirono nell’OPEC allo scopo di fissare il prezzo del petrolio in termini di dollari al barile oltre che le tasse che le compagnie pagavano per le concessioni petrolifere. Nel 1973, allo scoppio della guerra dello Yom-Kippur tra Israele, Egitto e Siria, l’OPEC come ritorsione decise di fare cartello e di aumentare il prezzo del petrolio, che raggiunse i 12 dollari al barile. Tutto ciò ebbe conseguenze, sia sui prezzi di tutti gli altri prodotti che sull’economia: Si formò un effetto inflazionistico sul mercato internazionale, detto inflazione da costi, determinato dall’aumento del costo della materia prima e di conseguenza dei prodotti industriali. La produzione industriale calò Aumento dei livelli di disoccupazione Fallimenti delle banche L’etichetta che viene utilizzata per indicare questa situazione degli anni ‘70 è “stagflazione” (mix tra stagnazione e inflazione). Soluzione adottata: Contro-shock statunitense: la soluzione venne adottata da Paul Volcker, capo della FED. Mentre politiche monetarie espansive avrebbero aumentato ulteriormente l’inflazione, una politica monetaria restrittiva, attuata mediante l’aumento dei tassi di sconto, avrebbe risolto crisi di questo tipo. Questa politica fu adottata anche da altri Paesi, per evitare deflussi di capitali verso gli Stati Uniti. A partire dalla fine degli anni 70 vengono attuate una serie di politiche volte a ridurre l’intervento dello Stato nell’economia. Questo tentativo passa attraverso una serie di privatizzazioni di alcune industrie strategiche e attraverso una fase di riapertura al commercio. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 I Paesi in via di sviluppo Il primo tentativo di politiche economiche di “import-substituting” (politiche di sostituzione delle importazioni) fu messo in atto da Paesi poveri come Cina e India per cercare di creare un mercato nazionale che sfruttasse al meglio le economie di scala. Questi Paesi avrebbero dovuto limitare le importazioni (applicando alti dazi) per favorire lo sviluppo dell’industria domestica. In un generale contesto di incremento dei prezzi, tuttavia, diveniva sempre più difficile procurarsi i beni necessari per sostenere l’industria locale. La crisi petrolifera, inoltre, ebbe effetto anche su questi Paesi: per quanto cercassero di attuare delle politiche di sostituzione delle importazioni, per buona misura alcune di esse rimanevano imprescindibili, tra cui il petrolio. Solo i prestiti internazionali avrebbero permesso ai Paesi di nuova industrializzazione di continuare ad investire nelle produzioni industriali. Questi Paesi adottarono una nuova politica economica, incentrata sull’esportazione manifatturiera e l’inserimento nei mercati internazionali. Allo stesso tempo, anche i Paesi europei attuarono politiche di “export-led growth” favorendo l’accesso ai mercati e ai capitali esteri, che permisero di incrementare gli investimenti a livello locale. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Leggi economiche e storia dell’economia, Charles P. Kindleberger Capitolo 3.................................................................................................................................................... INSTABILITÀ DEL MERCATO E CONVERTIBILITÀ DELLE BANCONOTE La Legge di Gresham La Legge di Gresham tratta della moneta. Questa legge in realtà è stata teorizzata già nei secoli precedenti ma è nota con il nome dell’economista che per primo ha dimostrato la sua validità. La Legge di Gresham dice che ci può esserci instabilità tra due qualsiasi forme di moneta: solitamente la moneta buona viene “scacciata” da quella cattiva. Ciò che già sappiamo... Il valore della moneta metallica era dato dalla quantità di fino contenuto nella moneta e nel tempo, l’aumento della tassa di signoraggio ne causò lo svilimento, assumendo un minor valore nominale. In un sistema basato principalmente sulle monete metalliche si verificherà quindi il fenomeno della Legge di Gresham: la moneta cattiva, ovvero quella con meno quantitativo di fino, sostituisce quella buona, poiché le famiglie tendono a trattenere per se le monete con valore fisso. Le monete che rimangono per le transazioni sui mercati sono quindi monete cattive. Ciò a lungo andare può determinare l’instabilità e il fallimento del mercato. Si può estendere questo presupposto teorico anche per quanto riguarda altri mezzi di pagamento che assolvono esigenze differenti da quelle della moneta. Scaricato da giulia rossi ([email protected]) lOMoARcPSD|6281342 Leggi economiche e storia dell’economia, Charles P. Kindleberger Capitolo 4.................................................................................................................................................... INSTABILITÀ DEL MERCATO CON VALUTE DI RISERVA DI DUE BANCHE CENTRALI La legge del prezzo unico Secondo la legge del prezzo unico, in un mercato integrato per beni che siano identici esiste un unico prezzo, tenendo conto dei costi di trasporto. Il fatto che il mercato sia integrato o meno è legato a: Costi legati allo scambio (es. costi di trasporto) Gusti dei consumatori Barriere naturali, barriere giuridiche, ecc. A questo concetto si ricollega la legge

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