Capitolo VII - SVILUPPO EMOTIVO ED AFFETTIVO PDF
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This document examines the significance and functions of emotions, discussing their physiological, motivational, cognitive, and communicative aspects. Different theories of emotional development are also introduced. This serves as an introductory overview for those interested in adolescent emotional development and psychology.
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Capitolo VII LO SVILUPPO EMOTIVO ED AFFETTIVO 7.1 Significato e funzioni delle emozioni L’emozione è un allontanamento dal normale stato di quiete dell’organismo a cui si accompagnano specifiche reazioni fisiologiche interne connesse alle diverse risposte (gioia, tristezza, paura, ecc....
Capitolo VII LO SVILUPPO EMOTIVO ED AFFETTIVO 7.1 Significato e funzioni delle emozioni L’emozione è un allontanamento dal normale stato di quiete dell’organismo a cui si accompagnano specifiche reazioni fisiologiche interne connesse alle diverse risposte (gioia, tristezza, paura, ecc.) e impulso all’azione. Ha quindi contemporaneamente una dimensione fisiologica, motivazionale, cognitiva e comunicativa, sia a livello individuale che sociale. a livello fisiologico il SNC (Sistema Nervoso Centrale) e autonomo regola le diverse reazioni corporee connesse all’emozione, mentre il sistema endocrino governa i livelli di stress e ansia a livello cognitivo il pensiero valuta il significato delle emozioni e guida l’individuo a far fronte all’evento che le ha scatenate a livello motivazionale il comportamento viene orientato in base ai desideri ed agli scopi: in genere vengono evitati gli eventi spiacevoli e ricercati attivamente quelli piacevoli a livello espressivo e comunicativo è difficile inibire la manifestazione delle emozioni, che dipende dai muscoli facciali ed è comune a tutti gli esseri umani a livello sociale le emozioni non si presentano mai senza una ragione: per provarle devono realizzarsi specifiche condizioni, causate dalle azioni degli altri o dagli eventi in generale. Sentimento Evento Valutazion Impulso ad Azione Effetto agire manifesta dell’azione Eccitazione fisiologica La catena degli eventi connessi all’emozione secondo Plutchik (=circuiti di retroazione) 7.2 Principali teorie sullo sviluppo delle emozioni 1 7.2.1 La teoria della differenziazione emotiva Negli anni ’30 Bridges studiò in un orfanotrofio di Montreal le risposte fisiologiche di bambini da un mese a due anni di età. Le sue ricerche, successivamente rielaborate da Sroufe, hanno originato la teoria della differenziazione emotiva, che correla lo sviluppo emotivo precoce a quello cognitivo e sociale: da un iniziale stato di indifferenziazione emotiva, nel corso dello sviluppo emergono progressivamente le diverse emozioni, secondo tre percorsi: sistema piacere- gioia sistema caratterizza i primi due frustrazione- mesi di vita e determina rabbia uno stato di benessere sistema precursori tipici: segni di generale. disagio dovuti a fame, Precursori tipici di questa circospezione-paura sonno, limitazione dei fase: risposte piacevoli precursori tipici: reazioni ancora indistinte (ad es.: di trasalimento e pianto lo sviluppo del sistema intorno ai 5-6 mesi piacere-gioia è relativamente diventano evidenti le rapido: a 3 mesi il bambino le indistinte reazioni di reazioni di delusione e sa indirizzare il sorriso verso disagio intorno ai 4 mesi si insoddisfazione, che nel II persone o oggetti (sorriso distinguono in disappunto semestre evolvono in sociale) e sorpresa, suscitate da risposte di rabbia e collera a 4 mesi presenta riso stimoli che possono attivo e gioia intimorire; successivamente compaiono emozioni più evidenti di circospezione N.B.: durante il processo di progressiva differenziazione, i precursori emotivi non si annullano del tutto, ma possono riemergere in condizioni di forte stress. 7.2.2 La teoria differenziale delle emozioni A differenza della teoria precedente, la teoria differenziale delle emozioni elaborata da Izard e colleghi sostiene che il neonato possieda fin dall’inizio un repertorio di emozioni fondamentali e differenziate, basate su programmi innati e universali. Izard individua nove emozioni di base: interesse gioia tristezza disgusto sorpresa collera disprezzo paura 2 vergogna Alcune di esse sono già presenti alla nascita, altre emergono nel corso dello sviluppo. L’emozione non consiste semplicemente nella risposta ad uno stimolo, ma costituisce una forma di organizzazione innata che motiva affetti e comportamento; dalla sua rigida forma iniziale essa evolve rapidamente verso forme più flessibili sotto la spinta delle relazioni e della socialità. Le emozioni hanno dunque un forte valore comunicativo. La teoria è definita differenziale perché ogni emozione si manifesta attraverso specifiche configurazioni vocali e facciali. Nel primo e nel secondo mese di vita il neonato manifesta le emozioni negative e positive (interesse, disgusto, trasalimento) essenzialmente per comunicare i propri bisogni e non per stabilire un contatto con le figure di accudimento. In una seconda fase, che inizia intorno al terzo mese, caratterizzata da più evidenti processi percettivo-affettivi, il bambino comincia a rivolgere la sua attenzione verso le persone e gli oggetti: emergono allora emozioni derivanti da eventi inattesi (sorpresa), o reazioni ad ostacoli (collera, paura). A partire da nove mesi, con lo sviluppo dei processi cognitivo-affettivi, il bambino acquisisce una maggiore consapevolezza di sé e dell’ambiente che lo circonda e manifesta timidezza, vergogna e paura, che lo aiutano a crescere. Dal secondo anno di vita i bambini imparano a mostrare ciò che provano, in accordo alle regole sociali: diventano perciò capaci di esagerare, minimizzare, nascondere o simulare le manifestazioni emotive. 7.2.3 L’approccio funzionalista Campos e colleghi osservano che le emozioni hanno la funzione di regolare il rapporto tra organismo e ambiente. La loro teoria presuppone che tutte le emozioni di base, e non solo alcune, siano già presenti alla nascita. Sono considerate come sistemi di azione finalizzati a soddisfare bisogni adattivi e vengono raggruppate in famiglie di emozioni che mirano allo stesso obiettivo. 7.3 Sviluppo delle emozioni Non c’è accordo tra i ricercatori su quali siano le emozioni di base. Alcuni, come Campos, le raggruppano in famiglie. Secondo Izard, per essere considerata primaria (o di base) un’emozione deve possedere determinate caratteristiche, tra cui uno specifico substrato neurale ed una particolare configurazione facciale. Diventano importanti, in questo senso, gli studi sulle espressioni emotive del neonato, che hanno confermato la tesi dell’universalità delle manifestazioni emotive, anticipata dallo stesso Darwin. 3 7.3.2 L’emergere delle emozioni C’è un sostanziale accordo tra i ricercatori sulle varie fasi della sequenza evolutiva delle emozioni. Un primo periodo è caratterizzato dalle emozioni presenti alla nascita, regolate da processi biologici. Il sistema edonico sollecita il sistema gustativo grazie alle sensazioni di piacere, le reazioni di trasalimento proteggono da stimoli troppo intensi, le risposte di interesse o sconforto segnalano le risposte di attenzione o disagio. Tali segnali sono congruenti e facilmente riconoscibili, ma non possono ancora essere considerati forme intenzionali di comunicazione. Il secondo periodo (2 mesi-1anno) comporta grandi cambiamenti e scoperte, perché il bambino comincia a comunicare le sue intenzioni e ad attuare le prime forme di controllo emozionale. Compare il sorriso sociale non selettivo (in risposta alla voce umana, 5-8 settimane; di fronte alle persone familiari, 3° mese) e il sorriso sociale selettivo (specie diretto alla madre, dopo il 3° mese). A 6-10 settimane si fanno più evidenti le reazioni di sorpresa; a 3-4 mesi compaiono tristezza, collera e gioia (emozioni di base); a 5-7 mesi si aggiungono paura e circospezione, in conseguenza della maggiore libertà di movimento del bambino; a 8-9 mesi si evidenzia la paura dell’estraneo, come indice del rapporto affettivo di cura e protezione instaurato con il caregiver (= la persona che si occupa del bambino) Il terzo periodo (1-3 anni) vede l’emergere di emozioni complesse, come timidezza, colpa, vergogna, orgoglio e invidia. Sono emozioni apprese, non immediatamente riconoscibili tramite indicatori facciali specifici, che hanno origine da autoriflessione e richiedono una certa consapevolezza di sé. Lewis osserva che il bambino è in grado di raggiungere questa relativa consapevolezza dopo i 18 mesi, arrivando conseguentemente a sperimentare, nell’ordine, imbarazzo, colpa e vergogna. Le emozioni complesse dipendono dalla cultura, dalle aspettative sociali e dalle norme di comportamento: per poterle comprendere è perciò necessario saper valutare appropriatamente queste componenti. 7.4 Espressioni e riconoscimento delle emozioni In seguito, verranno descritte quali sono le espressioni del piccolo che consentono all’adulto di comprendere i bisogni e lo stato emotivo, e quali siano le capacità del neonato di comprendere ciò che provano gli altri. 4 7.4.1 Espressione delle emozioni nel bambino Il neonato possiede una notevole capacità mimica, ma le espressioni sono specifiche manifestazioni di emozioni oppure sono manifestazioni universali che esprimono in senso ampio una sensazione positiva o di disagio? I ricercatori che aderiscono alla teoria differenziale delle emozioni, ritengono che le emozioni primarie sono facilmente riconoscibili in virtù del loro carattere universale all’interno della stessa specie e molte ricerche hanno dimostrato che bambini ed adulti, anche di popolazioni diverse, hanno espressioni emotive ed analoghe facilmente riconoscibili. Nel primo mese di vita però, non vi sono specifiche espressioni che denotano particolari emozioni. Infatti il neonato reagisce nel medesimo modo sia che abbia sete, sia che abbia bisogno di essere cambiato o freddo ecc.: esprime quindi un senso di disagio generalizzato a più situazioni. Le espressioni emotive non sono quindi specifiche e distinte sin da subito, lo diventano grazie alle occasioni prolungate di contatto e relazione che facilitano la comprensione e la decodifica di particolari comportamenti. Gli unici comportamenti mimici in grado di comunicare in modo universale ed inequivocabile uno stato emotivo, sono quelli che rappresentano dolore e piacere (sorriso e pianto). Per questa ragione è opportuno distinguere tra riconoscimento e comprensione delle espressioni emotive. 7.4.2.1 Il riconoscimento delle espressioni altrui Riconoscere le emozioni richiede di saper distinguere e differenziare le espressioni altrui. Come abbiamo visto (cap. III) il neonato è attratto dal volto: questa sua attenzione preferenziale fa sì che impari rapidamente a distinguere le espressioni emotive. a 10 settimane il bambino reagisce appropriatamente a tre diverse espressioni facciali: gioia, tristezza e collera (sorride agli stimoli gioiosi, esprime disagio nel caso di tristezza, aggrotta le ciglia di fronte alla collera) tra i 4 e i 7 mesi il bambino distingue le variazioni di espressione emotive in fotografia; è sensibile ai cambiamenti espressivi del volto della madre (sintonizzazione precoce) Il passaggio dal riconoscimento alla comprensione delle emozioni è un processo che richiede più tempo, ma tutti i bambini, anche tra 1 e 4 mesi, hanno aspettative molto chiare circa le espressioni emotive degli altri. Se alla madre viene chiesto di diventare del tutto inespressiva per alcuni minuti, il bambino reagirà con una sequenza comportamentale tipica: 5 la fissa, le sorride brevemente e di fronte alla mancata risposta diventa cauto e circospetto, distogliendo lo sguardo e alternando in seguito brevi occhiate, rapidi sorrisi, titubanti tentativi di riportare l’interazione alla normalità. Infine rinuncia, rivolgendo viso e corpo lontano dalla madre, con un’espressione disillusa. 7.4.2.2 La comprensione delle emozioni Con lo sviluppo il bambino elabora sistemi più raffinati per interpretare le espressioni della madre e se ne serve per affrontare situazioni di paura o che presentano ostacoli da superare. Exp. del Precipizio Visivo (vedi cap.III): i bambini di 12 mesi, timorosi di attraversare la lastra di vetro posta sul vuoto, che crea l’illusione del precipizio, riescono a superare la loro paura quando la mamma che li aspetta dall’altra parte del baratro ha un’espressione serena (14 su 19). Al contrario, nessuno dei piccoli si avventura sulla lastra se la mamma ha un’espressione preoccupata. Il fenomeno del riferimento sociale (social referring) dopo l’anno di età, l’espressione della madre assume un carattere comunicativo e orienta il comportamento del bambino. Prima dei 9-10 mesi, il piccolo reagisce al contatto con oggetti o persone soltanto in base all’effetto che tali stimoli esercitano su di lui. La ricerca di riferimento sociale, invece, spinge il bambino a cercare i segnali della persona di riferimento prima di agire, in modo da essere aiutato a valutare la situazione, specie quando è ambigua o nuova. Il fenomeno del riferimento sociale agisce anche nel contatto con persone estranee: se la mamma non è amichevole con l’estraneo, i bambini di 15 mesi hanno reazioni più negative. Infine, il riferimento sociale ha un carattere selettivo, perché il bambino considera persone di riferimento soltanto gli adulti per lui significativi. La capacità di comprendere le emozioni è mediata dai comportamenti empatici, che implicano processi di risonanza emotiva grazie ai quali il bambino sa provare le emozioni degli altri (“contagio emotivo”, Eisenberg), inizialmente in forma ancora indifferenziata e non cognitiva, ma ben presto secondo modalità più perfezionate. A 14 mesi i bambini sono capaci di chiedere e dare conforto ai fratelli in difficoltà. Nel secondo anno di prevedere le reazioni emotive altrui traendone specifiche conseguenze (attivare comportamenti di aiuto, chiedere l’intervento dell’adulto, ecc.) Verso la fine del secondo anno appare la capacità di fare finta, di comprendere il “come se” e di padroneggiare l’ambiguità delle espressioni emotive per questo i bambini a 3 anni capiscono la differenza tra realtà e finzione e si divertono moltissimo al gioco. 6 Intorno ai 4 anni il bambino impara anche a modulare deliberatamente le proprie emozioni adeguandole alle circostanze sociali (regole di ostentazione). Una componente più evoluta nella comprensione delle emozioni è la capacità di rendersi conto che pensieri ed emozioni degli altri possono essere diverse dai propri, cosa che avviene solo verso i 4-5 anni. L’acquisizione di tale capacità rappresenta una svolta importante, perché permette al bambino di prevedere le reazioni degli altri in funzione del contesto, con precisione sempre maggiore. Intorno ai 5-6 anni egli sa spiegarsi i motivi che potrebbero indurre gli altri a non mostrare le emozioni che effettivamente provano. Infine, un ultimo importante progresso è costituito dalla capacità di comprendere che possono essere provate diverse emozioni nello stesso tempo, oppure emozioni ambivalenti (di opposta natura), evoluzione che ha luogo verso i 7-8 anni. 7.5 Sviluppo affettivo 7.5.1 Emozioni e interazione sociale Le emozioni regolano le relazioni affettive e ne sono i mediatori cognitivi: il bambino apprende precocemente le regole di questo “gioco” relazionale, prima ancora, secondo Trevarthen, di saper afferrare gli oggetti o di rappresentarseli. In quanto segnali indispensabili per regolare la comunicazione, le emozioni sono anche mediatori sociali. Fin dall’inizio le madri attribuiscono un’intenzionalità emotiva alle manifestazioni del bambino, rispondendo in modo appropriato ai suoi segnali (= scaffolding), anche quando si tratta soltanto di risposte automatiche. In generale, attraverso la socializzazione delle emozioni (= attribuzione di significato agli eventi che stimolano le emozioni) il bambino apprende dagli adulti del suo ambiente quali siano le condotte emotive appropriate al contesto e quali siano i modi appropriati per fronteggiarle, esprimerle o modificarle. In questo senso, l’azione dell’adulto orienta e canalizza le emozioni in accordo con le regole e le aspettative sociali e culturali. Quindi, le emozioni acquistano significato all’interno delle relazioni affettive e sono strettamente legate ad esse. In particolare, gli scambi emotivi che si stabiliscono tra bambino e figura di riferimento (madre) sono determinanti per lo sviluppo del bambino. 7.5.2 La teoria dell’attaccamento Elaborata da Bowlby ed arricchita da Mary Ainsworth, ha visto il contributo di numerosi altri studiosi, che ne hanno confermato l’applicabilità anche in età adulta. attaccamento Bowlby teorizza l’attaccamento come una predisposizione biologica del piccolo verso la persona che gli assicura la sopravvivenza prendendosi cura di lui (la figura di attaccamento, o caregiver, solitamente la madre). comportamento di attaccamento 7 lo scopo protettivo è raggiunto tramite un insieme di comportamenti innati che hanno lo scopo di favorire la vicinanza fisica del bambino alla figura di attaccamento, sia agendo come segnale per ottenere l’avvicinamento dell’adulto (sorriso, vocalizzazione, pianto, gesto di sollevare le braccia, ecc.) sia determinando l’avvicinamento del piccolo, quando il sistema motorio è più maturo (comportamenti di accostamento, aggrapparsi, ecc). A questi comportamenti di attaccamento, l’adulto risponde secondo schemi anch’essi biologicamente programmati, che gli permettono di interpretare i segnali del bambino. equilibrio omeostatico Il comportamento del bambino non dipende solo dall’attaccamento: il piccolo è mosso anche dall’esigenza di esplorare il suo ambiente, giocando con i coetanei e dedicandosi ad attività diverse. I due sistemi (di attaccamento ed esplorazione) sono antitetici e al crescere dell’uno decresce l’altro. In condizioni di pericolo il sistema di esplorazione viene inibito e si attivano i comportamenti di attaccamento (il piccolo si rifugia dalla madre); viceversa, quando il bambino si sente sicuro, tende ad allontanarsi dal caregiver per esplorare il mondo. = equilibrio omeostatico sistema di attaccamento I comportamenti di attaccamento vengono gradualmente organizzati in un sistema di attaccamento, che a partire dal 6° mese di vita inizia ad agire in modo goal-directed (= in funzione dell’obiettivo) allo scopo di mantenere l’equilibrio omeostatico. 7.5.2.1 Fasi dello sviluppo del legame di attaccamento Prima fase (primi 2 mesi) è caratterizzata da comportamenti di segnalazione e di avvicinamento senza discriminazione della persona. Il bambino richiama l’attenzione dell’adulto in genere, con il pianto, il sorriso e le vocalizzazioni. In seguito, il bambino comincia a riconoscere le persone che si occupano di lui. Seconda fase (3-6 mesi) è caratterizzata da comunicazioni dirette verso una o più persone discriminate tra le altre, nei confronti delle quali, comunque, il bambino continua ad emettere segnali di vicinanza Terza fase (6 mesi-2 anni) appaiono segnali di mantenimento della vicinanza con la persona discriminata, ansia da separazione e paura dell’ estraneo. Si struttura il legame di attaccamento vero e proprio. 8 Quarta fase (2-4 anni) si sviluppa una relazione basata sul set-goal (= scopo programmato) sulla base delle informazioni ricevute 7.5.2.2 Tipologie di attaccamento Mary Ainsworth ha messo a punto una procedura osservativa standardizzata, chiamata Strange Situation, divenuta il metodo più diffuso e validato per valutare l’attaccamento nella prima infanzia (dai 12 mesi). gli episodi della Strange Situation 1 30sec. L’osservatore introduce la madre e il bambino nella stanza e poi esce. ----------------------------------------------------------------------------------- 2 3 minuti La madre non partecipa mentre il bambino gioca. Se necessario, il gioco viene stimolato dopo 2 minuti. ----------------------------------------------------------------------------------- 3 3 minuti Entra l’estranea. Primo minuto: l’estranea rimane in silenzio. Secondo minuto: conversa con la madre. Terzo minuto: avvicina il bambino. Dopo 3 minuti la madre esce in modo discreto. ----------------------------------------------------------------------------------- 4 3 min. o meno Prima separazione. Il comportamento dell’ estranea viene adattato a quello del bambino. -------------------------------------------------------------------------------- - 5 3 min. o più Prima riunione. La madre saluta e/o conforta il bambino, poi tenta di coinvolgerlo nuovamente nel gioco. Esce salutando il bambino. -------------------------------------------------------------------------------- - 6 3 min. o meno Seconda separazione. -------------------------------------------------------------------------------- - 7 3 min. o meno Continuazione della seconda separazione. L’estranea entra e adegua il comportamento a quello del bambino. -------------------------------------------------------------------------------- - 8 3 min. o più Seconda riunione. La madre saluta, prende in braccio il bambino e lo conforta, poi tenta nuovamente di coinvolgerlo nel gioco. 9 -------------------------------------------------------------------------------- - Il comportamento dei bambini nella Strange Situation può essere classificato in alcune categorie principali, che prendono il nome di stili di attaccamento. Nel bambino da 12 a 18 mesi si manifestano tre fondamentali tipologie di attaccamento (pattern A, B, C), che corrispondono ai legami affettivi strutturati nel corso del 1° anno di vita. In epoca più recente è stata aggiunta una tipologia aggiuntiva (pattern D). Attaccamento Sicuro (pattern B) Il bambino Sicuro nella Strange Situation mostra equilibrio tra esplorazione e ricerca di contatto con il caregiver. Durante la separazione mostra segni di disagio e al momento del ricongiungimento manifesta chiari segni di attaccamento, cercando la vicinanza della madre (che costituisce una base sicura). Attaccamento insicuro Evitante (pattern A) Il bambino insicuro Evitante, durante la Strange Situation minimizza le reazioni di disagio sottraendosi al contatto con la figura di attaccamento, specie negli episodi di ricongiungimento. Nel bambino insicuro Evitante l’esplorazione dell’ambiente prevale sull’attaccamento al genitore, che non rappresenta una base sicura. Attacc. insicuro Ansioso-Ambivalente (pattern C) Il bambino insicuro Ansioso-Ambivalente nella Strange Situation appare quasi completamente assorbito dalla relazione con la figura di attaccamento, trascurando l’esplorazione dell’ambiente. Durante la separazione manifesta esasperate reazioni di disagio, ma al momento del ricongiungimento tende ad ignorare la madre o a reagire in modo ambivalente al suo rientro, alternando la ricerca di vicinanza a rabbia o passività. Attaccamento insicuro Disorganizzato (pattern D) Il bambino insicuro disorganizzato non è in grado di organizzare una strategia di comportamento unitaria ed emette segnali inadeguati a mantenere e strutturare il legame. E’ incapace di comportamenti coerenti verso il caregiver e mescola avvicinamento ed evitamento. L’attaccamento di tipo D è associato a situazioni in cui la figura di attaccamento è dominata da esperienze traumatiche o a condizioni in cui il bambino stesso è vittima di abusi o maltrattamenti. Ha spesso evoluzioni psicopatologiche. Gli indicatori dell’attaccamento si manifestano nelle situazioni di separazione dalla figura di attaccamento: ansia di separazione segnali più o meno pronunciati di disagio quando la figura di attaccamento si allontana dalla stanza esplorazione le modalità con cui il bambino entra in contatto con l’ambiente e coi giochi; in presenza di un 10 attaccamento sicuro la capacità esplorativa è più elevata paura dell’estraneo si manifesta nelle reazioni alla persona sconosciuta in presenza o assenza della madre Il bambino interiorizza la qualità delle ripetute interazioni con il caregiver, sviluppando i Modelli Operativi Interni (Internal Working Models, IWM) che comprendono Modelli Operativi del Sé, delle figure di attaccamento e della relazione. In pratica, sviluppa un modello complesso della figura di attaccamento e un modello complementare di se stesso; e le due facce compongono una rappresentazione della relazione tra i due protagonisti: il bambino che sperimenta cure protettive e sensibili, interiorizza un Modello Operativo Interno della figura di attaccamento come amorevole, disponibile e attenta ai suoi bisogni, e parallelamente, un modello complementare di sé come degno e meritevole di cure; quando la relazione di attaccamento è caratterizzata da inadeguatezza, paura o conflitto, il bambino mette in atto un processo di esclusione difensiva tramite il quale proteggersi da comportamenti, emozioni e pensieri negativi. I Modelli Operativi Interni sono rappresentazioni che hanno una certa stabilità nel tempo, ma sottoposte anche a relativa variabilità, a causa della crescita e della maturazione personale o degli eventi che intervengono nel corso della vita. Secondo alcuni autori, la presenza di Modelli Operativi Interni fa sì che il bambino tenda a ripetere le forme di interazione sperimentate nell’infanzia. 7.5.3 Sviluppi della teoria dell’attaccamento Di recente, all’interno della Teoria dell’attaccamento è stato riconsiderato il concetto di sensibilità materna, intesa come capacità di offrire stimoli e supporto emotivo: essa non è più concepita come fattore centrale e determinante per lo sviluppo dei legami affettivi. Infatti, la ricerca ha rivalutato l’importanza dei legami simultanei (con l’altro genitore o con altri adulti), contrapposti alla monotropia (tendenza del bambino a strutturare il legame di attaccamento con una sola persona). Un filone di ricerca ha esaminato lo sviluppo del legame di attaccamento oltre la prima infanzia e, nell’impossibilità di utilizzare la Strange Situation, ha messo a punto nuovi strumenti sperimentali: Separation Anxiety Test (bambini da 5 a 9 anni) utilizza una serie di immagini che riproducono situazioni di separazione e indaga approfonditamente sia le emozioni dei bambini che le reazioni comportamentali. I bambini con attaccamento Sicuro riconoscono di provare ansia da separazione, ma riescono a far fronte positivamente agli eventi; i bambini Insicuri evidenziano 11 eccessive reazioni emotive e passività, oppure indifferenza. Adult Attachment Interview (età adulta) esplora i ricordi infantili attraverso il racconto. Fondamentali la coerenza della narrazione e la valutazione fornita della propria esperienza. Altri studi hanno rintracciato significative correlazioni tra le caratteristiche delle madri (all’Adult Attachment Interview) e tipo di attaccamento dei figli (alla Strange Situation), ipotizzando una trasmissione intergenerazionale dei Modelli Operativi Interni. Capitolo VIII L’ADOLESCENZA 8.1 La transizione adolescenziale: aspetti generali Con il nome di adolescenza si definisce il periodo di transizione tra infanzia ed età adulta. Il suo inizio si colloca intorno ai 10-12 anni nelle femmine e tra gli 11 e i 13 anni nei maschi, mentre la conclusione coincide per entrambi con i 18 anni. Gli studi sull’adolescenza si sono sviluppati in Europa e USA all’inizio del Novecento a partire dalle ricerche di Hall (1904), che ne è considerato il padre. L’adolescenza è una fase caratterizzata da grandi cambiamenti in ogni aspetto dell’esistenza. Non si tratta di una fase omogenea, come dimostrano i vari termini utilizzati per descriverne i passaggi: preadolescenza, prima adolescenza, pubertà, tarda adolescenza, post-adolescenza. Sulle definizioni che seguono c’è un generale consenso tra gli autori: La pubertà è un fenomeno universale che segnala il passaggio dalla condizione fisiologica del bambino alla condizione fisiologica dell’adulto. L’adolescenza è invece il passaggio dallo status sociale del bambino a quello dell’adulto, e varia per durata e qualità da una civiltà all’altra, o da un gruppo all’altro della stessa società. La preadolescenza vede il sorgere di nuovi problemi relativi alla crescita fisica, all’identità corporea, alla definizione sessuale: si impongono con evidenza e all’improvviso, prima che il ragazzo o la ragazza siano in possesso degli strumenti psicologici necessari 12 L’adolescenza, pur presentando ancora situazioni intricate e confuse, vede una crescente maturazione delle capacità di analisi e introspezione, la definizione della propria identità, dei valori e delle scelte, cosa che consente una progressiva riorganizzazione. Tuttavia, gli sconvolgimenti adolescenziali sono un prodotto culturale. Con i suoi studi sugli adolescenti delle isole Samoa, Margaret Mead ha mostrato come in quella particolare società i giovani ricevano fin dall’infanzia un tipo di educazione alla sessualità, alle relazioni sociali e di gruppo che consentono un passaggio alla vita adulta privo di conflitti e disagi. Del resto, anche nella società occidentale il ragazzo nella maggioranza dei casi affronta l’adolescenza senza particolari opposizioni e sfide. i compiti di sviluppo dell’adolescente conseguire l’indipendenza affettiva dagli adulti instaurare relazioni nuove e più mature con i coetanei acquisire un ruolo sociale maschile o femminile accettare il proprio corpo e usarlo in modo efficace raggiungere l’indipendenza economica prepararsi al matrimonio e alla vita familiare orientarsi 8.2 Cambiamenti somatici verso un’occupazione nell’adolescenza: la pubertà lavorativa Dopo le lievi trasformazioni (il fisico si arrotonda ed aumenta leggermente di peso) che hanno luogo nella fase prepuberale, la pubertà modifica rapidamente e talora disarmonicamente il corpo dei ragazzi. Due le grandi modificazioni fisiche: “scatto di crescita” forte accelerazione della crescita in statura e peso maturazione del sistema riproduttivo nelle ragazze: sviluppo del seno arrotondamento dei fianchi comparsa dei primi peli pubici menarca (prime mestruazioni) nei ragazzi: crescita di pene e testicoli comparsa dei primi peli pubici prima eiaculazione modificazioni della voce e successivamente: crescita della barba 13 Nelle due fasi successive, quella post-puberale e della tarda adolescenza, i mutamenti continuano in modo meno evidente: diffusione della peluria, sviluppo dei tessuti sottocutanei e stabilizzazione della forza muscolare. Lo sviluppo puberale avviene secondo un’ampia variabilità individuale dovuta a fattori genetici e ambientali. Tra questi ultimi, il più rilevante è l’alimentazione: se inadeguata o insufficiente, la crescita sarà rallentata e la pubertà subirà un ritardo (ad esempio, la comparsa del menarca a 16 anni nel secolo scorso, rispetto ai 13 di oggi). 8.2.1 Effetto dei cambiamenti corporei La rapida trasformazione fisica rende improvvisamente sconosciuto il corpo all’adolescente, scuotendone la sicurezza e costringendolo a brucianti confronti con i coetanei; d’altro canto, però, è anche motivo di orgoglio per la consapevolezza di lasciare il mondo dei bambini. Nei maschi e nelle femmine la maturazione sessuale precoce (rispetto ai compagni) ha conseguenze differenti: i maschi tendono ad assumere ruoli di responsabilità e leadership, effetto che perdura nel tempo; le femmine appaiono più indipendenti e sicure di sé, e sono più inclini –ma solo temporaneamente- ad assumere atteggiamenti adultizzati, spesso di tipo antisociale (determinato dall’aggregazione a gruppi di giovani di età più elevata). In generale, l’adolescente ha bisogno di comprendere e assimilare le sue modificazioni fisiche, sia nel continuo confronto con la propria immagine allo specchio, sia nel confronto con gli altri. E’ in questa fase che compare la mentalizzazione del corpo, a cui viene assegnato un significato relazionale, sociale, sentimentale, etico, erotico, generativo e a cui sono conseguentemente associate paure di varia natura, tra cui la dismorfofobia, convinzione di avere un aspetto anomalo e brutto, originata dalla scoperta di difetti fisici reali o presunti. Le paure adolescenziali, comuni in questa fase, scompaiono con il progredire e lo stabilizzarsi della crescita. 8.2.2 Lo sviluppo delle pulsioni libidiche Nella prospettiva psicoanalitica, la pubertà ha il ruolo centrale di attivatore delle energie istintuali. La concezione dell’adolescenza come fase fortemente turbolenta e critica risente dell’influsso psicoanalitico. Secondo Freud, l’adolescenza coincide con l’abbandono delle pulsioni pregenitali (orale, anale, uretrale), tipicamente autoerotiche, a favore delle pulsioni genitali, che trovano “l’oggetto sessuale” e dovrebbero condurre verso la strutturazione della normale sessualità. Il riemergere delle pulsioni lipidiche dopo la fase di latenza, riattiva i conflitti edipici e fa correre al preadolescente il rischio di investire i precedenti oggetti d’amore (genitori, fratelli o sorelle) con le pulsioni genitali ancora incontrollabili: le forti fantasie sessuali tipiche della pubertà, richiedono l’entrata in campo dell’intero sistema di difese dell’Io (rimozioni, formazioni reattive, identificazioni, proiezioni, sublimazioni, ecc.) per controllare le spinte libidiche. La grave crisi costringe l’adolescente ad imparare a controllare le urgenze istintuali, col risultato di subordinare le pulsioni all’affettività e al dono di sé, caratteristica specifica della 14 sessualità matura e genitale. L’adolescente acquisisce così la possibilità di relazioni affettive intime e profonde, basate sull’affetto e sulla tenerezza. Anna Freud amplia il contributo del padre. Il conflitto tra la forte istintualità dell’Es ed un Io ancora poco flessibile possono attivare due difese tipiche dell’adolescenza: ascetismo caratterizzato dalla rinuncia ad ogni piacere dei sensi per dedicarsi a più alti ideali religiosi o morali, a prezzo della negazione completa dei desideri sessuali e della diffidenza verso tutte le spinte istintuali, anche quella ad alimentarsi intellettualizzazione contraddistinta dallo spostamento degli affetti verso le discussioni intellettuali, per controllare il conflitto psichico legandolo ad un contenuto ideale Blos individua 5 fasi ( i “passi intermedi”) nell’evoluzione adolescenziale: preadolescenza prima adolescenza adolescenza vera e propria tarda adolescenza post-adolescenza In ciascuna di queste fasi, avvengono importanti processi libidici-affettivi, dal cui superamento dipenderà la capacità di sperimentare relazioni mature. In particolare, la fase dell’adolescenza vera e propria è caratterizzata da due temi dominanti: il riemergere del complesso di Edipo si accompagna allo stato affettivo di lutto l’abbandono degli oggetti d’amore primari stato affettivo di innamoramento L’elaborazione di questi temi fa sì che si instauri l’organizzazione pulsionale adulta, che si esprime nella scelta dell’amore eterosessuale. 8.3 L’identità adolescenziale L’identità personale è costituita dall’idea che un individuo ha di se stesso (senso di identità) e da ciò che effettivamente è, aspetti non sempre coincidenti: può infatti succedere che quel che un individuo pensa di essere sia diverso (nel bene o nel male) da quel che è. Nella preadolescenza e nell’adolescenza il senso di identità presenta due fasi specifiche: 15 l’idea di sé cercata segnalata dallo spiccato interesse per la vita sociale, per le amicizie, per le prime esperienze sentimentali, mentre si ridimensionano relazioni e attività familiari l’idea di sé riflessa l’immagine di sé si fonda sul significato attribuito alle esperienze passate e sulle aspettative circa il futuro: la coscienza di sé è unitaria Lo sviluppo del senso d’identità prosegue per tutto l’arco della vita, ma è solo nell’adolescenza (periodo veramente cruciale per lo sviluppo personale, secondo Erikson) che può contare su opportunità e occasioni irripetibili. 8.3.1 Il modello di Erikson Erikson basa la sua teoria sul concetto di crisi di identità, ponendo in primo piano i rapporti articolati tra funzioni dell’Io, relazioni interpersonali, educazione e società. Secondo Erikson, il fondamentale bisogno umano di ricerca dell’identità si manifesta maggiormente durante l’adolescenza. Egli teorizza uno schema evolutivo caratterizzato da 8 stadi organizzati in sequenza, ad ognuno dei quali corrisponde una crisi psicosociale, per la quale sono possibili esiti adattivi o disadattivi: nella fase dell’adolescenza, la crisi può sfociare negativamente nella confusione dei ruoli, oppure, positivamente, nel raggiungimento di un’identità caratterizzata da corenza e stabilità, accettazione dei propri limiti, senso di reciprocità (= coscienza della corrispondenza tra la propria immagine e quella riflessa dagli altri) Il sentimento di identità dell’Io si basa sia sulla percezione del proprio stile individuale che della continuità della propria esistenza nel tempo e nello spazio e permette l’integrazione tra gli aspetti istintuali e sociali, mantenendo l’unitarietà della persona. Erikson osserva che nell’adolescenza l’individuo ridefinisce tutte le conquiste precedenti e la propria prospettiva di vita in base alle aspettative e agli stimoli della società. Abbandona i vecchi modelli di identificazione e seleziona i nuovi in base ai suoi valori e alle sue capacità. Se questa nuova integrazione non riesce, si otterrà un’identità diffusa (personalità frammentaria, priva di nucleo aggregante); se la conferma di sé passa invece attraverso l’identificazione con modelli negativi o devianti, il risultato sarà un’identità negativa. 8.3.2 Stati di identità 16 Le teorie di Erikson sono state ampliate da Marcia, che ha sviluppato una metodologia di intervista allo scopo di verificare il complessivo status di identità relativamente ad importanti aspetti della vita adolescenziale: lavoro, valori religiosi, credenze politiche e atteggiamenti sessuali. Vi sono 4 stati di identità: diffusione minima maturità esclusione (o blocchi) moratoria raggiungimento dell’identità massima maturità che si configurano attraverso l’intersecarsi di due dimensioni: esperienza esplorativa e impegno. identità realizzata esperienza esplorativa positiva + valido impegno moratoria dell’identità prolungamento della fase esplorativa e situazione di stallo per incapacità di operare una scelta blocchi d’identità precoce pressione verso impegni seri mancanza di libera sperimentazione diffusione di identità esplorazione incerta + impegno scarso Critiche: secondo altri autori le crisi adolescenziali sono contemporanee e non sequenziali. 8.4 Lo sviluppo cognitivo dell’adolescente: il pensiero operatorio formale Oltre ai problemi legati ai cambiamenti fisici e psicologici connessi alla pubertà, l’adolescenza è segnata dai mutamenti delle funzioni cognitive legati alla comparsa del pensiero operatorio formale, un tipo di pensiero che – secondo Inhelder e Piaget – indica un deciso ampliamento dell’intelligenza. Il pensiero formale: è un pensiero ipotetico-deduttivo, caratterizzato dalla capacità di formulare ipotesi che dalla possibilità di effettuare deduzioni: l’adolescente comincia a pensare in termini di possibilità anziché di semplice realtà concreta; trae conseguenze dalle sue congetture è connesso alla capacità di compiere analisi combinatoria: l’adolescente è in grado di analizzare le singole variabili e le loro combinazioni; sa prospettare tutte le relazioni possibili ed utilizzare sperimentazione e riflessione logica per verificare le varie possibilità è proposizionale, cioè caratterizzato dalla capacità di utilizzare la logica delle preposizioni, distinguendole e collegandole tra loro per trarne inferenze 17 Inhelder e Piaget hanno studiato il ragionamento logico dell’adolescente utilizzando esperimenti come il pendolo, le ombre, le reazioni chimiche e le aste flessibili (vedi cap.IV) Queste nuove abilità cognitive influenzano lo sviluppo dell’autoconsapevolezza e la percezione di sé, e danno al ragazzo l’ebbrezza del pensiero: il desiderio di elaborare personalmente le proprie convinzioni, il piacere della discussione e dell’esercizio della capacità critica, di aderire a valori spesso utopici, di pensare il mondo fisico e sociale, di narrare di sé e delle proprie esperienze (pensiero narrativo o sintagmatico). 8.4.1 Il pensiero operatorio formale: revisione critica (vedi cap.IV) I neopiagetiani, che preferiscono l’approccio HIP al modello della logica formale di Piaget, hanno dimostrato che le prestazioni cognitive degli adolescenti sono influenzate da variabili che Piaget non ha considerato: le conoscenze pregresse, le modalità di presentazione del compito, le aspettative proprie e altrui. I post-piagetiani hanno invece osservato che bambini e adolescenti sono facilitati nella risoluzione di problemi logici quando sono messi in grado di poterne parlare, cioè di utilizzare il confronto e la discussione, che promuovono una più efficace elaborazione mentale. Altre ricerche hanno contestato la centralità del pensiero logico (astratto e formale) nel funzionamento mentale dell’adolescente. Vanno ugualmente considerati sia gli schemi inferenziali diversi da quelli logici che le regole del pensiero comune: la soluzione di compiti familiari o legati al ragionamento normalmente adottato nella vita quotidiana, è facilitata. Exp. delle 4 carte: quando il compito delle 4 carte presenta lettere o numeri (simboli astratti) la stragrande maggioranza dei soggetti sbaglia; quando invece si utilizzano esempi tratti dalla vita quotidiana (buste con o senza francobollo) i soggetti riescono pienamente a trovare la soluzione corretta. I contenuti realistici e familiari permettono di utilizzare strategie di pensiero simili a quelle adottate nella vita quotidiana: le strategie del pensiero formale, così come lo intendeva Piaget, non sono sufficienti a comprendere le modalità dello sviluppo mentale nell’adolescenza, oltretutto non monolitico, ma diversificato in molteplici ambiti e aree, in ciascuna delle quali si possono presentare livelli diversi di competenza e abilità. 8.5 Lo sviluppo morale dell’adolescente L’acquisizione del pensiero formale e la formazione dell’identità permettono all’adolescente di conquistare il ragionamento morale. Secondo Kohlberg (vedi cap.VI) i ragazzi passano dal livello convenzionale della preadolescenza (in cui conta prima di tutto il rispetto delle norme socialmente approvate, e non le conseguenze dell’azione individuale) a quello postconvenzionale, regolato dal principio che le leggi morali sono create dall’uomo e possono essere modificate per garantire sempre meglio i diritti individuali e i valori universali. Kohlberg, approfondendo i suoi studi, ha operato delle aggiunte agli stadi dello sviluppo morale: in particolare ha evidenziato un 7° livello (però mai riscontrato nei soggetti esaminati) in cui la maturità morale assume forme di alta spiritualità del tutto esenti da spinte particolariste. 18 Nel modello di Kohlberg, gli stadi del livello postconvenzionale possono essere raggiunti solo da chi ha pienamente conseguito il pensiero operatorio formale: se anche può succedere che persone con un alto livello cognitivo restino a stadi inferiori dello sviluppo morale, non è possibile il contrario lo sviluppo logico è una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo morale. Critiche: Kohlberg ha incentrato le sue ricerche sui fattori cognitivi, sottovalutando l’apporto di altre variabili. Per questo il suo modello non si è dimostrato adeguato per valutare i valori di gruppi sociali dominati da valori collettivistici più che individualisti, come le culture orientali. Gli studi sullo sviluppo morale che hanno preso in considerazione anche le determinanti sociali e culturali, hanno messo in luce il ruolo rilevante dello status socioeconomico, dello stile familiare e dei valori della cultura di appartenenza. 8.5.1 Giudizio e comportamento morale Kohlberg ritiene che stimolare lo sviluppo cognitivo rappresenti un compito educativo importante, perché non si possono seguire i principi morali se prima non si comprendono o non si crede in essi. L’interconnessione tra il livello di maturazione cognitiva e quello di maturazione morale non è sempre evidenziata dalle ricerche, da cui è emerso come tale relazione riguardi solo ambiti specifici. Ad esempio: i giovani che partecipano attivamente alla vita sociale e politica raggiungono livelli morali postconvenzionali, mentre quelli che se ne disinteressano si fermano allo stadio convenzionale i giovani devianti, che dimostrano ai test di essersi fermati allo stadio preconvenzionale, presentano anche tendenza al conformismo e sensibilità alla pressione sociale (che induce a modificare opinioni e atteggiamenti) Ancora critiche: anche Bandura (prospettiva dell’interazionismo cognitivo sociale) sostiene che la teoria di uno sviluppo stadiale della moralità non tenga nella giusta considerazione il comportamento sociale. Egli osserva che anche persone dotate di alte capacità cognitive o etiche possono attivare o disattivare il comportamento morale, allentando i meccanismi di autosanzione tipiche del controllo interno. Nell’adolescenza questi sistemi di disimpegno morale possono essere attivati sotto la pressione dei gruppi dei coetanei o dei mass media. Le ricerche dimostrano, ad esempio, che la fruizione televisiva indiscriminata favorisce lo sviluppo di valori edonistici e di spinte al disimpegno che si esprimono in modo diverso nelle ragazze e nei ragazzi: le prime adottano meccanismi di giustificazione morale, i secondi di deresponsabilizzazione. La famiglia e lo stile educativo in essa adottato hanno un ruolo diretto sullo sviluppo morale, sull’interiorizzazione delle norme e sulla assunzione di responsabilità. Hoffman sottolinea l’influenza del genitore dello stesso sesso, quando sia portatore di valori prosociali; generalmente, lo sviluppo morale è facilitato da uno stile educativo fondato sull’uso del ragionamento e della persuasione più che delle punizioni, e sull’attenzione alle conseguenze delle azioni negative sugli altri. 19 8.6 Famiglia e gruppo dei pari in adolescenza In passato si è eccessivamente enfatizzato il ruolo dei coetanei nell’adolescenza, a discapito di quello dei familiari. In realtà, quando i giovani devono prendere importanti decisioni i genitori sono un importante punto di riferimento e rivestono una funzione protettiva insostituibile in situazioni di stress e disagio. Il gruppo dei pari influisce maggiormente sulle scelte sociali quotidiane (impiego del tempo libero, scelte relative all’abbigliamento, ecc). Non appare quindi legittima la contrapposizione tra famiglia e coetanei rimarcata dal senso comune. 8.6.1 Relazioni familiari Lo studio delle relazione familiari (specie del rapporto genitori-figli) negli ultimi decenni ha risentito dell’influsso sistemico, che concettualizza gli eventi come un insieme organizzato e non come sequenza di unità separate (analisi) o opposte (dualismo) (approccio analitico dualistico) In questa prospettiva, la famiglia è concepita come luogo di relazioni che si influenzano reciprocamente e deve potersi adattare flessibilmente alle esigenze dei suoi membri e ai cambiamenti esterni. L’adolescenza è perciò una fase critica per l’intero sistema familiare: ha il compito di integrare la legittima esigenza di autonomia dei figli con la coesione degli affetti e la negoziazione di nuove regole di rapporto. Secondo l’approccio dello sviluppo, “l’adolescenza è un’impresa evolutiva congiunta di genitori e figli” ed è caratterizzata dalla trasformazione dei legami precedenti. In essa si intrecciano due importanti processi: individuazione tendenza dell’adolescente ad autonomizzarsi dai legami familiari differenziazione proprietà della famiglia da cui dipende il grado di flessibilità con cui si consente l’indipendenza dei suoi membri Nella prima adolescenza, quando il ragazzo stesso impone l’allargamento dei suoi spazi di autonomia, può verificarsi un contromovimento della famiglia, che accentua il controllo, innescando una spirale di irrigidimenti e incomprensioni reciproche. Un altro fenomeno, relativamente nuovo, è rappresentato dalla permanenza prolungata del giovane adulto in famiglia (late adolescence), non più percepita come un ambito da cui differenziarsi, ma come luogo in cui i rapporti rinegoziati durante l’adolescenza hanno prodotto buoni livelli di accettazione delle differenze. Lo stile personale con cui i genitori entrano in relazione con i figli, gioca un ruolo decisivo. Le ricerche di Baumrind hanno rilevato 4 diverse linee di tendenza nel comportamento dei genitori, da cui dipendono specifiche caratteristiche di bambini e adolescenti. A differenza dei genitori autoritari, permissivi o rifiutanti, i genitori che adottano uno stile autorevole fondato sulla compresenza di richieste e sostegno, hanno figli adolescenti complessivamente più competenti e meno soggetti alla devianza. Le ricerche mostrano che lo stile educativo genitoriale tende ad essere stabile nel tempo, pur con alcune variazioni nella fase adolescenziale (tendenza ad un maggior controllo sui figli). Lo stile educativo influenza anche lo sviluppo dell’identità personale: la ricerca COSPES sugli adolescenti italiani (14-19) ha messo in luce tre stili genitoriali: 20 genitore “relazionato” il suo obiettivo è la crescita autonoma del figlio: sa capirne richieste e punti di vista, non impone le sue ragioni genitore “autocentrato” tende ad irrigidirsi sulle sue posizioni, convinto di possedere i migliori strumenti per comprendere quale sia il bene dei figli e per stabilire le regole a cui obbedire genitore “evasivo” si mostra spesso arrabbiato, deluso o psicologicamente assente I risultati della ricerca indicano che lo sviluppo dell’identità adolescenziale, nelle sue tre articolazioni (concetto di sé, maturazione affettivo-sessuale, costruzione di valori e prospettive) è favorita dallo stile del genitore relazionato. L’importanza del ruolo dei genitori è particolarmente prezioso quando l’adolescente si trova in situazioni di difficoltà, malattia o problemi psicologici: la famiglia svolge un’insostituibile funzione protettiva, che si esprime attraverso: potenziamento dell’autostima appoggio diretto e vicinanza stabilità del rapporto affettivo, al variare degli eventi A differenza di ciò che comunemente si crede, le relazioni tra genitori e figli adolescenti non sono contrassegnate dai conflitti: in una ricerca condotta in 10 paesi europei ed extraeuropei, solo il 10% dei ragazzi intervistati riferisce rapporti deteriorati con i genitori; il 75% di loro si identifica con i genitori e ne percepisce la vicinanza affettiva, pur ammettendo l’esistenza di divergenze, che però riguardano questioni quotidiane (orari, collaborazione familiare, amicizie) e non temi e valori più rilevanti. 8.6.2 Il gruppo dei pari La relazione con i coetanei, il confronto e lo scambio con i pari, giocano un ruolo insostituibile nel processo di formazione dell’identità dell’adolescente. L’ingresso nel gruppo avviene inizialmente per il bisogno di affiliazione, non sempre selettivo e determinato dall’esigenza di trovare supporto, condivisione e approvazione; ma si trasforma poi in bisogno di appartenenza, che implica scelta selettive in linea con l’immagine di sé che l’adolescente costruisce. Le formazioni giovanili si distinguono in gruppo formali strettamente integrati con le istituzioni (gruppi sportivi, politici, religiosi, ecc.) gruppi informali slegati dalle istituzioni e luogo di tendenze più personali Il livello di autonomia individuale sarà maggiore nei gruppi informali e in quelli dove si privilegia la discussione e l’espressione dello spirito critico, rispetto ai gruppi formali. 21 La ricerca COSPES ha puntualizzato che: i ragazzi italiani inseriti nei gruppi formali appaiono più legati alla famiglia, tendono a contare sull’aiuto degli adulti, perseguono valori fondati su autodisciplina, cultura, formazione personale i ragazzi italiani inseriti in gruppi informali si confrontano e cercano sostegno dai ragazzi più che dagli adulti, perseguono maggiormente l’indipendenza dalla famiglia, tendono ad abbracciare valori nuovi, orientandosi verso posizioni originali Il gruppo svolge anche un importante ruolo nelle relazioni eterosessuali. Mentre nell’infanzia e nella preadolescenza maschi e femmine preferiscono costituire gruppi separati in base al sesso, uno dei compiti evolutivi dell’adolescente consiste nell’apprendere ad instaurare relazioni eterosessuali. Nel gruppo è garantito un contatto rassicurante con l’altro sesso, grazie alla presenza dei coetanei; in seguito potranno svilupparsi le prime esperienze intime e sentimentali. 8.6.2.1 Le relazioni di amicizia Tra le relazioni con i pari, quella di amicizia è generalmente ritenuta indice di benessere psicologico dell’adolescente, ed un fattore protettivo dal rischio di disagio psicosociale. Dalla preadolescenza all’adolescenza il concetto di amicizia si modifica. Visione stadiale il preadolescente correla l’amicizia al piacere di stare insieme, al condividere tempo e attività, allo stabilire rapporti di cooperazione e di reciprocità l’adolescente considera prevalente il riconoscimento delle caratteristiche personali, il principio di uguaglianza tra le parti, il mutuo rispetto e l’accettazione dell’altro Visione processuale l’amicizia intima si caratterizza per la presenza di: franchezza empatia attaccamento esclusività del rapporto condivisione aiuto reciproco attività comuni fiducia Nell’adolescenza alcune di queste caratteristiche si sviluppano in modo rilevante, quando l’amico diviene il partner privilegiato per lo scambio di confidenze, esperienze personali, segreti e fantasie. Sulla base di questa fiducia diventa allora possibile l’autodisvelamento di aspetti strettamente riservati di sé (pensieri, emozioni e desideri), che permette la ricerca comune per risolvere i problemi quotidiani. 22 Le relazioni amicali intime e affettivamente importanti, caratterizzate da confidenza e disponibilità a rivelarsi, influenzano le competenze sociali più ampie e sono connesse a livelli più elevati di soddisfazione, minore ansia e ostilità nelle relazioni interpersonali. 23