Alto Medioevo e Arte Romanica PDF

Summary

Questo documento analizza l'Alto Medioevo, discutendo l'integrazione di elementi romani e barbari, l'influenza della Chiesa e l'emergere della cultura monastica. Inoltre, esplora l'arte carolingia e romanica, la loro matrice culturale e la loro evoluzione tecnologica.

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L’Alto Medioevo nuovi pop Contesto storico-culturale. than barb Nel Sacro Romano Impero si mescolano elementi dell’antica civiltà romana, gli usi e costumi dei nuovi popoli...

L’Alto Medioevo nuovi pop Contesto storico-culturale. than barb Nel Sacro Romano Impero si mescolano elementi dell’antica civiltà romana, gli usi e costumi dei nuovi popoli barbari, la forza nascente della Chiesa di Roma. Carlomagno riunisce i più grandi teologi e sapienti d’Occidente nella sua capitale Aquisgrana, che verrà chiamata la “seconda Roma” per il suo carattere cosmopolita. Inoltre, la cultura converge e si sviluppa nei centri del sapere occidentale: i monasteri, roccaforti del Cristianesimo, dove gli amanuensi conservano e trascrivono i manoscritti latini e li arricchiscono di miniature. Fuori dai monasteri continua intanto l’integrazione tra “barbari” e popolazioni locali. Nelle corti dei feudatari, comincia pian piano a svilupparsi oltre alla tradizione delle canzoni di gesta, poemi che narrano lo spirito eroico e le grandi battaglie, anche la letteratura e la musica dei trovatori, poeti e musicisti che cantano invece le avventure fantastiche e gli amori di dame e cavalieri. L’arte della rinascita. I dotti che Carlo Magno riunisce alla corte di Aquisgrana sono monaci e vescovi anglosassoni, visigoti e germanici. Dall’intreccio di culture così diverse parte un nuovo impulso alla produzione artistica occidentale: vengono ripresi gli schemi classici, rielaborati però con contributi dell’arte franca, ma anche di quella bizantina e barbarica, specie nell’ornamentazione. Le figure sacre scolpite hanno un’impostazione fissa, nelle chiese prevalgono sempre cupole e mosaici ma compaiono anche nuove forme. Lo scopo dell’arte carolingia è soprattutto quello di affermare e divulgare il Cristianesimo e il potere imperiale attraverso i centri di potere religiosi e politici dell’Impero: le chiese, i monasteri, le abbazie, le città, i palazzi imperiali. In architettura, come nella pittura e nella scultura, il recupero degli stili classici romani non è una ripresa sterile, ma produce una originale interpretazione. L’arte carolingia fa da cerniera a due epoche storicamente ben definite: da una parte l’età classica antica, dall’altra, quella medioevale. Gli artisti che, a cavallo tra questi due mondi, giuravano fedeltà all’imperatore e per lui lavoravano erano personalità ricche e complesse, come accade in tutte le epoche di transizione. Alcuni provenivano dai popoli barbarici ormai perfettamente integrati nel Sacro Romano Impero; altri erano monaci che vivevano e lavoravano all’interno delle loro abbazie e dei loro conventi; altri ancora erano uomini benvoluti a corte. Come succederà in pieno Medioevo, pittori, miniatori, scultori, orefici e architetti erano soprattutto valenti artigiani che rimanevano in stragrande maggioranza anonimi, proprio perché il loro lavoro era compreso nel sistema delle arti meccaniche (cioè pratiche, operative) e non in quello delle arti liberali (cioè intellettuali), degne di riconoscimento sociale e frequentate solitamente dalle classi sociali più elevate. L’arte romanica. Contesto storico-culturale Con l’anno Mille tutta l’Europa occidentale conosce un periodo di intensa ripresa economica e di straordinario fermento innovativo. Questa favorevole situazione è determinata, in primo init aseièiani i rivoluzione agricola luogo, dal definitivo esaurirsi della pressione esercitata dalle popolazioni barbariche di provenienza nord-orientale e dallo stabilizzarsi della situazione politica generale. Le popolazioni sparse nei villaggi costruiti nelle campagne dopo la fuga dalle città romane durante le invasioni barbariche, cominciano prima timidamente, poi in maniera sempre più convinta, a cercare nuove soluzioni per riuscire ad aumentare la produzione agricola per sfamare i propri figli ed arginare la mortalità infantile: la cosiddetta rivoluzione agricola dell’XI sec. ha trovato i suoi principali strumenti in una nuova tecnologia (aratro a vomere inverso trainato da buoi) e nella rotazione biennale o triennale dei campi seminati. Quantità di raccolti mai viste prima provocano un immediato aumento demografico (in poco più di 100 anni 12 milioni di abitanti in più in Europa) e la formazione di un surplus rispetto ai bisogni che comincia ad essere commercializzato. Si ripristinano i commerci, nascono i grandi mercati nelle vecchie città romane ancora abitate o lungo percorsi commerciali importanti (con la formazione quindi di nuove città) e altre antiche città abbandonate da secoli vengono ripopolate e sistemate alla bell’e meglio. Una nuova fiducia nelle proprie capacità pervade ora FIATI l’uomo medioevale, che ricomincia a valorizzare il mondo terreno e la sua fisicità, dopo secoli di mortificazioni corporali. Tutto ciò è visibile nei rilievi dei portali delle nuove cattedrali, affollate di omini indaffarati e intenti a districarsi, con accette, spade e bastoni da selve esuberanti che li avviluppano. Queste immagini hanno un senso prima di tutto letterale, perché presentavano il faticoso lavoro del contadino che ora strappava nuova terra da coltivare ai boschi selvaggi che dopo la caduta dell’impero romano avevano ricoperto e nascosto strade e città. C’è poi ovviamente anche il messaggio simbolico dell’immagine: “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”. Ripristinare i commerci significa non solo trasportare merci da un luogo all’altro e sempre più lontano, ma anche idee, pensieri, notizie…. La spartizione dell’Impero carolingio tra gli eredi di Carlo Magno aveva dato origine a tre regni distinti: il Regno d’Italia, il Regno di Francia e quello di Germania. Questo aveva favorito lo sviluppo delle lingue nazionali, le cosiddette lingue romanze, da cui deriva anche il termine Romanico. Dal latino, che rimane la lingua della Chiesa e della cultura e che è la loro fonte comune, si sviluppano francese, italiano e spagnolo e nello stesso modo nelle arti, con il fervore della ricostruzione o della costruzione delle città e degli edifici, il modello, soprattutto costruttivo e tecnologico in generale, è quello classico, romano, ma il linguaggio continua ad essere condito di elementi paleocristiani, bizantini, barbarici. La critica ha quindi raggruppato sotto un unico segno queste esperienze artistiche che si sono sviluppate in Europa tra la fine del X sec. e il XII tutte riconducibili ad un'unica matrice latina definendolo Romanico. Le origini vanno geograficamente collocate tra Lombardia e Francia meridionale, ma in pochissimo tempo l’artista romanico lavora nelle più svariate aree d’Europa: oltre a Italia e Francia, anche Germania, Spagna, Inghilterra, Paesi scandinavi, caratterizzandosi quindi come fenomeno di portata europea. Questo artista non parla più latino, ma antico francese, antico tedesco, antico italiano, e della sua regione esprime i gusti, i valori le preferenze; il Romanico, quindi, al di là di una matrice comune, è costituito da una serie di linguaggi regionali ben definiti. L’artista medioevale lavora in grandi gruppi: accanto all’architetto ci sono lo scultore, lo scalpellino, il muratore, il manovale, il carpentiere, il pittore, l’imbianchino, il mosaicista e chi più ne ha più ne metta. Proprio per il carattere collettivo, e anche perché l’edificio – religioso o laico – è considerato espressione della comunità cittadina, l’artista è spesso anonimo. All’interno del cantiere, le cui caratteristiche non cambieranno più fino al 400 con il Rinascimento, le varie competenze professionali devono la loro preparazione ad un sapere trasmesso oralmente di padre in figlio, acquisito con l’esperienza della pratica continua. In questo modo le novità e i cambiamenti avvengono molto lentamente e sulla base di risultati ottenuti sperimentando direttamente sul campo. La figura dell’architectus non è quindi da intendersi come quella del professionista moderno, un intellettuale progettista, ma piuttosto come quella di un artigiano che, particolarmente apprezzato per le sue doti professionali, viene impegnato in un’attività di intermediazione con la committenza: raccoglie e traduce in cantiere le richieste, i vincoli, le preferenze del committente, sia esso un vescovo, un abate o un qualsiasi altro prelato, sorveglia i lavori e distribuisce quotidianamente le paghe. Con la sua autorevolezza dà indicazioni di massima sulla costruzione, ma non è da intendersi come il totale ideatore del progetto. Ciononostante emergono alcune figure prestigiose per la loro personalità i cui nomi sono arrivati fino a noi, come l’architetto Lanfranco del duomo di Modena, ma anche gli scultori Wiligelmo e Benedetto Antelami famosi soprattutto per le loro opere rispettivamente a Modena e Parma, che hanno avuto parte attiva anche nella costruzione degli edifici e non solo dei loro apparati scultorei. L’architettura romanica Come è possibile desumere da quanto detto nel precedente paragrafo, la nuova cattedrale romanica è voluta dal popolo, i nuovi cittadini delle nuove città, e il suo stile riflette le sue umili origini, la semplicità, la solidità e la robustezza contadina, accanto alla ripresa dei metodi costruttivi e dei modelli classici che ne determinano l’armonia delle masse basata su rapporti proporzionali tra le parti molto misurati. Dopo il ripopolamento delle città, la ripresa della tipologia della basilica paleocristiana, che utilizzava il sistema trilitico e le coperture in legno, dimostra immediatamente i suoi punti deboli: le coperture si incendiano molto facilmente, la chiesa rovina e nel disastro porta via con sé intere parti abitative della città, costituite di casupole di legno, paglia e fango addossate intorno alla chiesa stessa. Si comincia quindi a pensare a coperture in pietra, e per questo motivo vengono recuperate le modalità costruttive dell’arco e del sistema voltato romani. nuova cattedrale ripresa della tipologia romanica della basilica paleocrist pianta del Duomo di Modena La cattedrale romanica presenta solitamente tre o cinque navate (eccetto la tipologia delle enormi chiese di pellegrinaggio poste sul lunghissimo percorso che attraversa trasversalmente Francia e Spagna fino ad arrivare a Santiago de Compostela sull’Oceano Atlantico. Queste possono arrivare anche a 7 navate). La navata centrale è praticamente sempre larga il doppio di quelle laterali come nei modelli paleocristiani. L’uso di volte a botte in un primissimo tempo e poi di volte a crociera per le coperture in pietra, rende necessari sostegni molto robusti, i pilastri cruciformi. Su quattro di questi pilastri grava il peso di una volta a crociera e lo spazio quadrato percorribile sotto una volta a crociera si chiama campata. Le navate sono quindi composte da un’addizione di campate quadrate o quadrangolari. Le campate delle navate laterali, infatti, per il loro rapporto dimensionale di 1:2 con la navata centrale sono quindi il doppio di quelle della stessa. Tra un pilastro cruciforme e l’altro, di conseguenza, insiste anche una colonna, sulla quale poggia un vertice in comune delle due volte a crociera della navata laterale. Per questo motivo chi percorre lo spazio della chiesa ha la percezione di uno spazio finito e misurabile con lo sguardo, che alterna ritmicamente pilastri e colonne con archi trasversali tra una volta a crociera e l’altra. Alla fine delle navate, presbiterio e transetto sono rialzati rispetto alla quota del pavimento delle navate stesse in quanto sotto ad essi c’è la presenza di un ambiente seminterrato, la cripta. Questa bassa sala che vede la presenza di un’altare e di una vera e propria selva di colonne per sostenerne il soffitto, sul quale a sua volta grava il piano superiore, era destinata ad accogliere le spoglie di santi martiri cui era intitolata la chiesa o, dal fenomeno delle Crociate in poi (1095), importanti reliquie che arrivavano da Oriente. sezione longitudinale di chiesa romanica Sopra alle navate laterali spesso è presente un secondo piano, un corridoio con galleria d’archi che si affacciano sulla navata centrale, il matroneo. Le origini di questo spazio architettonico sono bizantine (vedi S. Sofia a Costantinopoli) e in quel contesto erano ospitate le donne. In occidente non viene utilizzato per lo stesso scopo, ma riveste solo una finalità strutturale: come gli archi trasversali tra una volta a crociera e l’altra, serve a “legare” il sistema costruttivo in larghezza, opponendosi alle spinte laterali dei muri causate dall’enorme peso delle coperture in pietra. sezione trasversale di chiesa romanica L’incrocio tra navate e transetto vede spesso, sopra al presbiterio, la presenza di una cupola fornita di numerose finestre che illuminano l’altare, ovvero la zona dove si officia la liturgia. Le finestre nella chiesa romanica sono poche lungo i muri perimetrali e piccole, per non indebolire la possente struttura muraria. Si chiamano monofore ( dal greco monos foros= foro unico) e nella maturità di questo stile, mano a mano diventano bifore, trifore, polifore. Hanno inoltre una caratteristica forma strombata, cioè lo spessore murario è tagliato obliquamente producendo un foro più piccolo esternamente e più grande internamente. In questo modo la limitata luce che entra dalla monofora si allarga a ventaglio verso l’interno senza intaccare troppo la resistenza del muro. La facciata della chiesa romanica può essere di due tipi: a capanna, dove le falde oblique del tetto prendono tutta la larghezza della facciata stessa, a salienti, caratterizzata da coperture con una successione di spioventi posti a differenti altezze. Al centro della facciata spesso è presente un grande rosone, finestrone circolare decorativo e simbolico, quasi costantemente suddiviso da colonnine disposte radialmente, a partire da un nucleo centrale e raccordate da archetti. Il perimetro esterno della chiesa romanica è infine scandito dalla presenza di setti murari in corrispondenza internamente ai pilastri che reggono le volte a crociera, i contrafforti. Essi svolgono esternamente la stessa funzione degli archi trasversali e dei pavimenti dei matronei internamente, cioè mantenere perpendicolari al terreno i muri perimetrali che tendono ad aprirsi lateralmente per via delle spinte laterali. Un caso esemplare di architettura romanica: il duomo di Modena La storia di questa costruzione è del tutto singolare, in quanto tutte le tappe della sua genesi sono documentate in un codice miniato tuttora custodito nella Biblioteca Estense della città, dove vengono messe in particolare risalto le figure di Lanfranco architetto e Wiligelmo scultore, i protagonisti della sua progettazione e costruzione. In questo senso, per le cause qui di seguito raccontate, la figura di Lanfranco è quanto di più simile a quella di un architetto moderno ci possa essere mai stato nel Medioevo. La nuova chiesa romanica, intitolata al santo vescovo di Modena Geminiano (V sec. d. C.) viene eretta a partire dal 1099 sulle rovine della precedente costruzione paleocristiana, distrutta da un incendio causato dai cittadini inferociti contro il vescovo filoimperiale cacciato a furor di popolo. In maniera anomala, la nuova costruzione viene quindi voluta e realizzata dall’assemblea cittadina che, in attesa della nomina di un nuovo vescovo da Roma (questi territori erano sempre stati tradizionalmente filopapali) procede alla scelta di un architetto che inizia a porre le fondazioni della cattedrale. Committente non è quindi in questo caso il vescovo, come d’uso, ma il popolo, e Lanfranco ha quindi una libertà di scelta molto maggiore di altri suoi colleghi nella progettazione e realizzazione dell’edificio. L’unico vincolo imposto dai cittadini a Lanfranco è che la nuova chiesa debba decisamente “visualizzare” la propria appartenenza al partito filopapale. Questo è il motivo per cui l’architetto sceglie il sistema delle capriate lignee per le coperture, ovvero il sistema paleocristiano, in diretta discendenza con le attuali modalità costruttive che ancora persistevano a Roma. In epoca gotica un incendio distrusse le strutture lignee e le coperture vennero rifatte con volte ogivali in pietra, così come le vediamo oggi. Per il resto, la chiesa è una chiesa romanica “da manuale”. Lato sud zona absidale Cripta Tipologicamente la chiesa è una basilica longitudinale priva di transetto a tre navate con tre absidi terminali, cinque campate nella navata centrale e (anomalmente) nove in quelle laterali, otto pilastri cruciformi, ampia cripta che occupa tutta la zona sotto il presbiterio, che risulta rialzato di parecchio rispetto alla quota delle navate (vedi foto interno) e falso matroneo. Sulla facciata, oltre a protiro e rosone, insiste come motivo ricorrente un triforio che gira perimetralmente tutt’intorno alla chiesa e che dichiara l’assetto interno, ovvero la presenza del matroneo. Anche i contrafforti che dividono verticalmente in tre parti la facciata a salienti denunciano la presenza delle tre navate interne. Il campanile, detto La Ghirlandina per il motivo decorativo a ghirlande presente sulle ringhiere di marmo della punta, è stato realizzato tra ‘200 e ‘300 ristrutturando la primitiva Torre di S. Geminiano del XII sec. La sala interna era sede del primitivo Comune cittadino, quindi si tratta di una vera e propria torre civica. Nel primo decennio del XII sec. Wiligelmo inizia a scolpire i celebri bassorilievi presenti in facciata tra e sopra i portali (vedi facciata). Wiligelmo, dalla Creazione al peccato originale, Storie della Genesi, breccia rosa di Verona Si tratta di 4 lastre di circa 100 x 280 cm. l’una che descrivono episodi della Genesi, dalla Creazione dell’uomo fino all’uccisione di Caino e all’Arca di Noè. Assieme alle altre sculture realizzate da Wiligelmo e dalla sua scuola all’interno e all’esterno della Cattedrale, il complesso è da interpretarsi alla luce del testo “Ordo rapresentationis Adae”, un dramma semiliturgico nel quale alla rappresentazione del peccato dei progenitori si intreccia continuamente l’annuncio della Redenzione ad opera di Cristo. A questo tema si può perfettamente riallacciare quello della “cerca” del Graal, citato nei più tardi (1120 circa) rilievi della Porta della Pescheria sul lato Nord della Cattedrale, come percorso di purificazione in vista della Redenzione finale. Secondo una modalità precorritrice, la colonia di mercanti normanni presente a Modena in quegli anni, avendo anch’essa finanziato la costruzione della chiesa, chiede di rappresentarsi attraverso le novità culturali della propria terra d’origine con la narrazione dei temi del ciclo arturiano trattati nell’archivolto della Porta. Era consuetudine, infatti, che, mentre gli strati sociali più bassi della popolazione contribuissero con mano d’opera alla realizzazione delle chiese, le classi intermedie di artigiani e mercanti finanziassero con denaro la stessa chiedendo in cambio una sorta di “spazio pubblicitario” a loro destinato nei rilievi scultorei. E’ così che in tante chiese romaniche e gotiche, su pilastri o pareti, spesso campeggiano scene scolpite con calzolai, sellai, tintori, falegnami, fabbri o mercanti rappresentati al lavoro. Porta della Pescheria, lato Nord, cattedrale di Modena, ciclo arturiano nell’archivolto La straordinarietà della scelta di questo soggetto profano sta nel fatto che per la prima volta in Italia compare la narrazione del ciclo arturiano, seppur visiva, in quanto la prima diffusione scritta di testi del ciclo è del 1154, mentre i rilievi di Modena risalgono al 1120. Sull’archivolto troviamo alcuni cavalieri della Tavola rotonda a cavallo in viaggio verso il castello del gigante Meleagant che tiene prigioniera Ginevra. Il soggetto rappresentato fa quindi riferimento all’episodio della liberazione di Ginevra da parte di Lancillotto in incognito (infatti il suo nome non compare tra gli altri scolpiti sopra ai vari cavalieri). E’ questo uno dei vari racconti che compongono il ciclo della Cerca del Sacro Graal da parte dei cavalieri di Artù. A questo percorso iniziatico e di purificazione (la Cerca) farebbero riferimento anche gli animali simbolici presenti sull’architrave alla base dell’archivolto. Divisi da uno stemma araldico al centro, troviamo da sinistra verso destra prima di tutto una donna nuda a cavallo di un mostro per metà cavallo e per metà serpente, la lussuria, combattuta dall’allegoria successiva, ovvero quella della luce, rappresentata da due galli che portano su una tavola (o un bastone) un topo (simbolo dell’oscurità/peccato). Procedendo verso destra, due gru (la vigilanza) e subito dopo un lupo nell’atto di divorare uno di questi volatili, ovvero non abbassare la guardia (vigilare) altrimenti il peccato vince. Interessante nel riquadro con i galli la presenza di un fiore nell’angolo in alto a sinistra, che sembra essere proprio la classica rosa a 5 petali con pistillo, che nelle rappresentazioni medioevali simboleggia proprio il Sacro Graal. Porta della pescheria, lato nord della Cattedrale di Modena. I rilievi delle lastre di Wiligelmo, più che quelli della Porta della Pescheria, più tardi e realizzati da scultori della sua scuola, rivelano un chiaro riferimento all’antico nella nuova fisicità dei corpi che nuovamente sbalzano tridimensionalmente dal piano di fondo, nella citazione dei ricchi panneggi all’antica di Dio e delle cornici di gusto romano ellenistico desunte dai reperti dell’antica Mutina. L’arte gotica francese. Il Gotico nasce a Parigi, cuore della monarchia francese tra il 1140 e il 1145 in occasione della ristrutturazione della zona absidale e del transetto della chiesa abbaziale di S. Denis, chiesa reale in quanto ospitava i sepolcri di tutti i re di Francia. La nascita del nuovo stile in questo contesto assume quindi un significato decisamente politico e celebrativo della grandezza dello Stato. Il preponderante verticalismo e l’accurato decorativismo confermano infatti il messaggio di potenza del potere laico oltre che di quello religioso. Il nuovo linguaggio viene definito a partire dagli ambiziosi obiettivi dell’abate Suger de S. Denis, che in quel momento è anche reggente del re di Francia, assente per le Crociate in Terrasanta. Suger è quindi il re in quel momento, e stabilisce i parametri per uno stile che diventi lo stile della monarchia francese. Sulla scorta delle sofisticate ideologie desunte dallo pseudo-Dionigi l’Areopagita, vissuto nel VI sec., un filosofo neoplatonico che nei suoi scritti si presenta come l’ateniese del I secolo “Dionigi, membro dell’Areopago”, nominato negli Atti degli Apostoli, Suger elabora la nuova architettura gotica. Nei suoi scritti lo pseudo- Dionigi disegna una visione gerarchica della realtà, specificatamente neoplatonica, in cui la realtà e la conoscenza discendono dal principio sommo della creazione, Dio, attraverso le intelligenze angeliche, fino ai gradi più infimi della materia. L’uomo, posto sul gradino più alto di questa scala gerarchica, ha la possibilità di trasformare la vile materia in qualcosa di superiore, di più vicino al sommo principio, attraverso l’arte. La bellezza è sempre semplicità, armonia, simmetria, regolarità di forme, luce, secondo il canone greco del bello. L'opera deve dare un'idea di unità, con continui richiami fra gli oggetti rappresentati: forme regolari, che così hanno gli stessi angoli, colori simili, e simmetrie. Perciò, l'opera d'arte è in due dimensioni e non in tre, per distaccarsi dalla spazialità materiale e dare un senso del trascendente; è priva di elementi che diano riferimenti temporali. L'artista utilizza poligoni regolari che si avvicinano alla perfezione dei solidi platonici, e colori molto luminosi, nei quali domina il giallo. La bellezza fino a tutto il Medioevo sarà consonantia et claritas, armonia e luce. La luce, quindi, vuole essere il tema dominante della chiesa gotica, in quanto è letteralmente la manifestazione di Dio nella realtà dell’uomo. Dal punto di vista pratico, però, come fare ad inondare di luce la chiesa, si chiede Suger di S. Denis? coro della basilica di S. Denis La chiesa romanica presentava uno spazio fondamentalmente immerso nel buio o nella penombra, in quanto le scarse aperture erano determinate dall’esigenza strutturale di non indebolire troppo la muratura con bucature. Mettendo all’opera i suoi artigiani, quindi, Suger arriva ad utilizzare l’arco a sesto acuto che, assieme ad altri accorgimenti tecnici, risolve il problema. L’architettura Gotica. L’arco a sesto acuto deriva geometricamente dall’intersezione di due archi di cerchio uguali e offre il vantaggio di scaricare in maniera decisamente più importante le componenti delle forze lungo gli archi rispetto a quelle che scaricano in verticale. Questo dà la possibilità di eliminare al massimo le superfici murarie a favore del diaframma vetrato e di elevare di molto le altezze delle chiese. La cattedrale gotica risulta così come una grande scatola in vetro che mette in vista solo lo scheletro costitutivo, gli elementi strutturali fondamentali, in pietra. Ovviamente non basta la sola introduzione dell’arco a sesto acuto per ottenere questo strabiliante risultato tecnico, ma sono presenti anche nuovi elementi strutturali. Il pilastro cruciforme si trasforma in pilastro polistilo: intorno al pilastro centrale non più solo quattro semipilastri addossati ma diverse colonnine disposte a fascio tutt’intorno, suddividono in maniera ancor più distribuita i pesi che gravano dai vertici delle volte a crociera. Il matroneo è sempre un finto matroneo ovvero un triforio atto ad alleggerire la struttura muraria sopra gli archi che scandiscono le navate e sopra il triforio compare il claristorio, la superficie vetrata a finestre comprese nello spazio laterale sottostante la volta a crociera. Questi due livelli vetrati sono possibili per la smisurata altezza della navata centrale rispetto a quella laterale. La dismisura diventa principio compositivo, per questo motivo il gotico è un linguaggio anticlassico. La volta a crociera è preferibilmente definibile volta ad ogiva costolonata; il termine ogiva deriva dalla caratteristica forma a proiettile (l’ogiva appunto) che assume l’arco a sesto acuto. Costolonata perche i costoloni, ovvero gli archi diagonali, nel Gotico vengono particolarmente rinforzati e irrobustiti e risultano quindi più sporgenti di quelli romanici. Esternamente, oltre ai contrafforti e a partire da essi, vengono introdotti gli archi rampanti (o archi zoppi in quanto asimmetrici), che aiutano a contenere le enormi spinte laterali dell’altezza della navata centrale, come anche guglie e pinnacoli non sono solo elementi decorativi, ma contribuiscono a mantenere stabilmente verticali i pesi. Anche l’apparato scultoreo esterno, i famosi gargoyle e i doccioni zoomorfi non hanno solo funzione decorativa o simbolica ma anche statica e funzionale (come gocciolatoi per l’acqua piovana delle grondaie). Tutti gli elementi nella chiesa gotica hanno questa importante caratteristica, fondono insieme il concetto strutturale e decorativo e sono tutti ugualmente necessari alla stabilità dell’edificio, come in un castello di carte dove, l’eliminazione di un elemento provoca il crollo dell’insieme. Eliminata la cripta per motivi statici, le spoglie o le reliquie dei santi vengono trasferite in una zona dietro l’altare e di fronte all’abside; questo fa sì che i deambulatori (corridoi) delle navate laterali continuino anularmente tutt’intorno alla zona dell’altare e che l’abside si complessizzi per la presenza di numerose cappelle radiali, con altari dove si officiano messe in vari momenti della giornata e dove e consentito sostare per la preghiera. Anche la facciata, nel gotico francese e nordeuropeo in generale, si modifica per la presenza di alte torri laterali e di portali monumentali che con le loro forme gugliate (terminazione triangolare) seguono lo slancio verticale di tutta la struttura. Il Gotico italiano Abbiamo detto che il nuovo stile gotico nasce a Parigi nel 1140-45; esso fiorirà in tutto il nord Europa con leggere differenze geografiche ma in maniera sostanzialmente omogenea soprattutto nella sua fase più matura, definita Gotico Internazionale appunto, che durerà in questi paesi fino alla fine del ‘400/inizi del ‘500. In Italia il Gotico assume caratteri del tutto particolari e anche il suo periodo di diffusione è diverso che nel resto d’Europa. Arriva infatti nella penisola agli inizi del ‘200 importato dalla Francia dall’ordine cistercense e conclude il suo ciclo agli inizi del’400, soppiantato dal nuovo linguaggio rinascimentale. L’ordine cistercense è un ordine monastico che nasce verso la fine dell’XI sec. nell’abbazia di Citeaux (in latino Cistercium) in Francia, all’interno della congregazione benedettina dei cluniacensi (abbazia di Cluny). Rispetto alla congregazione madre i cistercensi promuovono il ritorno ad una maggiore austerità e alla stretta osservanza della regola di S. Benedetto, nel momento in cui notano che i cluniacensi sono sempre più legati al potere monarchico francese, sfruttandone diversi privilegi. Nelle chiese cistercensi, quindi, la semplicità e la severità delle forme si impone sopra alla ricchezza esornativa del Gotico doc coniato dal benedettino Suger di S. Denis. A partire dal ‘200, i cistercensi cominciano a costruire i loro monasteri in Italia, importando quindi un’idea di Gotico temperata nei suoi eccessi anticlassici; accanto ad alcune altre modifiche effettuate in loco, che tendono sostanzialmente a riequilibrare armonicamente le proporzioni delle chiese, il nuovo stile viene quindi accettato anche in Italia e ulteriormente diffuso dagli ordini minori italiani, i francescani e i domenicani. Le principali differenze tra gotico francese e italiano sono dunque le seguenti: - lo smisurato verticalismo viene ridimensionato a favore di un maggiore equilibrio tra altezza, larghezza e profondità; - negli interni, la differenza di altezza tra navata centrale e laterali viene quasi eliminata creando, al di là della separazione tra navate determinate da pilastri e archi, uno spazio che si estende omogeneamente in larghezza; - nella costruzione non prevale come in Francia la superficie finestrata ma quella muraria; la chiesa è sempre il regno della luce ma equilibra questo rapporto privilegiando alla vetrata multicolore che narra storie la tecnica dell’affresco che fa altrettanto; - la spiccata vocazione urbana italiana, eredità classica, fa si che lo studio della facciata della chiesa in relazione alla piazza e alla città sia sempre molto importante, a differenza della situazione francese, dove l’edificio vive isolato, per sé stesso, senza nessuna relazione con il contesto. - Diffondendosi in Italia ad opera degli ordini minori, che propugnano un ideale di povertà e semplicità, il gotico italiano spesso presenta semplici coperture a capriate lignee, come negli esempi fiorentini (S. Maria Novella, S. Croce) e absidi altrettanto semplici, quadrangolari o poligonali, mai complessizzati dalla presenza di cappelle radiali. Il Gotico italiano: la Basilica di S. Francesco ad Assisi Nella basilica di S. Francesco ad Assisi è possibile verificare il primo e fondamentale superamento del linguaggio gotico francese in una concezione tutta italiana e classica dell’architettura. Morto il santo patrono d’Italia nel 1226, nel 1228 l’ordine mendicante da lui fondato deliberò la costruzione della chiesa, consacrata in tempo record nel 1253 e conclusa definitivamente nel 1280. Il corpo del santo era già comunque stato traslato nella tomba sotto alla basilica inferiore nel 1230, due anni dopo la posa della prima pietra. La basilica, a croce latina, venne da subito pensata con due ambienti distinti strutturalmente e funzionalmente: la chiesa inferiore, luogo di raccoglimento spirituale e di preparazione alla visita sulla tomba del santo, custodita nella cripta sottostante, e la chiesa superiore, costituita da una grande aula destinata prevalentemente alla predicazione del messaggio del santo. La chiesa inferiore ha un’unica navata di quattro campate, un transetto con bracci voltati a botte, un’abside semicircolare e cappelle laterali aggiunte nel ‘300.. chiesa inferiore I pilastri bassi, tozzi e massicci,che reggono le volte ogivali definiscono delle campate basse e larghe, dando la sensazione di essere in una grande cripta scarsamente illuminata. Tali proporzioni sono ovviamente determinate dal problema statico, in quanto la chiesa inferiore deve reggere il peso anche di quella superiore. La chiesa superiore, identica in pianta a quella inferiore, eccettuate le cappelle aggiunte più tardi, è molto più slanciata e piena di luce. Esternamente i muri perimetrali sono scanditi da contrafforti semicilindrici e archi rampanti molto ridotti. La grande aula rettangolare ritmata dalle volte ogivali e dagli archi trasversali si conclude con un transetto ed un’abside questa volta poligonale. Le nervature/costoloni delle volte ogivali scaricano il peso su colonnine addossate a semipilastri (paraste) a fascio. Questi sono letteralmente affogati nella muratura dell’alto zoccolo basamentale e quindi le colonnine sembrano dare slancio e movimento verticale al tutto. L’alto zoccolo, sporgente rispetto al piano del claristorio, individua a destra e a sinistra due linee orizzontali che proseguono in prospettiva verso l’abside, creando un’armonia proporzionale tra altezza e larghezza dell’edificio. Sulle due superfici dello zoccolo, a destra e a sinistra, sotto le finestre, si snodano i 28 affreschi (14 a sx e 14 a dx) che narrano la vita di S. Francesco. Questi erano stati pensati fin dall’inizio e avevano condizionato la tipologia ad aula unica della chiesa, ma vennero realizzati solo più tardi da Giotto tra 1290 e 1300. La presenza di una navata unica permette la perfetta leggibilità degli affreschi che peraltro risultano ben illuminati dalle finestre sovrastanti ad incrocio. La facciata è ancora legata agli schemi del Romanico umbro e risulta divisa in tre registri. Quello superiore è costituito dal timpano triangolare definito dalla facciata a capanna, quello mediano accoglie il rosone e quello inferiore un grande portale strombato e bipartito, che coglie forse gli esempi delle chiese di pellegrinaggio del Nord, dotate di veri e propri sensi unici di entrata e uscita. D’altro canto da subito la Basilica diventa meta di pellegrinaggio di folle enormi per l’epoca.

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