Riassunto Storia Medioevale PDF

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Questo documento riassume la storia medievale, con un focus particolare sul declino dell'Impero Romano. Il documento descrive le sfide politiche, militari ed economiche affrontate dall'Impero Romano a partire dal III secolo d.C. e le cause che portarono al suo crollo. Il testo analizza anche l'influenza dei barbari e le trasformazioni sociali avvenute in quel periodo.

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CAPITOLO 1 Verso la ne del II secolo d.C., l’Impero Romano raggiunse la massima estensione territoriale, coprendo un’area che andava dall’Asia Minore all’Atlantico e dal Reno e Danubio al Nord Africa. Tuttavia, la vastità e la disomogeneit...

CAPITOLO 1 Verso la ne del II secolo d.C., l’Impero Romano raggiunse la massima estensione territoriale, coprendo un’area che andava dall’Asia Minore all’Atlantico e dal Reno e Danubio al Nord Africa. Tuttavia, la vastità e la disomogeneità di popoli e culture rappresentavano una s da. Nel III secolo, terminata l’espansione, iniziò una fase di consolidamento: l’impero si concentrò sull’organizzazione interna, valorizzando le autonomie locali e adeguando le istituzioni a un contesto territoriale più complesso, attraverso un rafforzamento dell’apparato burocratico. Nel 293, Diocleziano introdusse la tetrarchia, dividendo l’impero in pars Orientis e pars Occidentis, ciascuna governata da un Augusto e un Cesare, per garantire stabilità e continuità politica. La città di Roma perse centralità, e nel 330 Costantino fondò Costantinopoli come nuova capitale. Diocleziano riorganizzò inoltre le province, riducendone le dimensioni e aumentando il loro numero, con un conseguente incremento del corpo burocratico. L’esercito fu ristrutturato, con un aumento dei mercenari barbari e la dislocazione delle truppe all’interno delle province per difendere i con ni e controllare il territorio. Questa militarizzazione comportò maggiori spese e oneri per le popolazioni locali, come l’annona militaris e l’alloggiamento obbligatorio dei soldati. Il IV secolo vide l’accentuarsi degli squilibri economici: l’impero, con una struttura sempre più centralizzata, affrontò un dissesto nanziario dovuto all’aumento delle spese militari e burocratiche. L’Occidente, più povero e vulnerabile, si contrappose a un Oriente più ricco e stabile. L’accentramento del potere e la sacralizzazione dell’imperatore portarono al malcontento nelle province, dove i ceti rurali si ribellavano contro il controllo delle élite romanizzate e l’imposizione di un’uniformità culturale e ideologica. A partire dalla metà del III secolo, le pressioni esterne si intensi carono. In Oriente, l’impero sassanide rappresentava una minaccia crescente, mentre in Occidente le tribù barbariche violavano sempre più frequentemente i con ni sul Reno e sul Danubio. Queste crisi portarono alla costruzione di nuove difese, come le mura di Aureliano a Roma nel 271. La crescente importanza dell’esercito favorì una militarizzazione del potere, con molti imperatori eletti dalle truppe tra il 235 e il 284. Questo periodo segnò un progressivo indebolimento della capacità dell’impero di gestire la complessità territoriale ed economica, con un aumento delle dif coltà che avrebbero portato alla crisi de nitiva dell’Occidente e alla sopravvivenza dell’Oriente come Impero Bizantino. Nel III secolo d.C., i romani iniziarono a sfuggire agli obblighi della leva militare, che comportava costi economici e privava le comunità dei loro uomini per lunghi periodi. Questo portò all’arruolamento di mercenari barbari, spesso tribù intere ingaggiate per proteggere i con ni. Alcune tribù furono autorizzate a stanziarsi all’interno dell’impero in cambio del loro servizio. I barbari arruolati nell’esercito romano venivano regolati dal regime della “foederatio”, che prevedeva il pagamento per il loro servizio. Le tribù difensori, pur mantenendo la propria identità etnica sotto i loro capi, venivano inserite nel sistema dell’“hospitalitas”, che permetteva loro di stanziarsi in determinati territori in cambio di una parte dei proventi scali. Con il tempo, la crescente presenza di barbari portò alla “barbarizzazione” dell’esercito, specialmente nei gradi alti, dove alla ne del IV secolo molti dei magistri militum erano barbari. Alcuni generali barbari, o romani cresciuti tra i barbari, raggiunsero posizioni di potere, no al punto che uno di loro, Odoacre, depose l’ultimo imperatore d’Occidente nel 1 fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi 476. Tuttavia, questi sviluppi furono limitati in Oriente, dove l’ostilità verso i barbari impedì il loro arruolamento e stanziamento. I romani, vedendo i barbari come una minaccia, li catalogavano genericamente come “stranieri” senza approfondire le loro differenze etniche, anche se intrattenevano con loro scambi economici. L’atteggiamento verso i barbari era ambivalente: da un lato li disprezzavano e temevano, dall’altro li accettavano per necessità. In Oriente, l’ostilità era più forte, evitando il contatto con le tribù barbariche. Le tribù barbariche, pur essendo etnicamente e culturalmente diverse, erano gruppi in costante mutamento, che spesso si riunivano e riplasmavano dopo alleanze o vittorie. Il legame tra un capo e il suo seguito si basava sulla promessa di bottini in cambio di battaglie vinte. Le stirpi che minacciavano l’impero occidentale erano un mix di culture germaniche, celtiche e in uenze nomadi delle steppe orientali, come quelle degli unni. Questi ultimi, guidati da Attila, crearono un vasto impero nel V secolo, che crollò alla sua morte. Il contatto con la romanità in uenzò notevolmente le stirpi barbariche, trasformando molte in aristocrazie di cavalieri, grazie all’introduzione della guerra a cavallo. Inoltre, le tribù barbariche non erano estranee al sistema romano, ma ne facevano parte come periferia, con scambi commerciali reciproci. Il contatto con l’impero portò anche a mutamenti interni alle tribù, favorendo l’ascesa di capi più legati a Roma e determinando una strati cazione sociale basata su nuove ricchezze. Tuttavia, questo processo si rivelò controproducente nel lungo periodo, poiché i barbari più forti avanzarono pretese e, quando non ottenevano ciò che chiedevano, razziavano le province romane. Tra il III e il V secolo, gruppi più ampi e organizzati sostituirono le piccole tribù, consapevoli che un’alleanza più forte sarebbe stata più adatta per affrontare nuove guerre contro l’impero. Le incursioni barbariche nel territorio imperiale romano iniziarono sporadicamente nel decennio 160-170, ma fu dalla ne del IV secolo che le frontiere romane furono travolte da un massiccio movimento migratorio di tribù barbariche. Questo fenomeno fu causato da vari fattori: i cambiamenti nel mondo asiatico, come il movimento degli unni verso ovest che scatenò migrazioni a catena di altre tribù; i cambiamenti climatici che resero inospitali alcune regioni, spingendo le popolazioni a migrare; e la consapevolezza tra i barbari che le ricchezze romane erano ormai meno difese. Nel 378, a Adrianopoli, l’esercito romano dell’imperatore Graziano fu scon tto dai goti, un evento che segnò la debolezza dell’impero di fronte ai barbari. Nel 410, Alarico, capo dei goti, saccheggiò Roma per 3 giorni, un evento simbolico della ne della civiltà romana. Negli anni successivi, altre tribù invasero la Gallia e la Penisola iberica, fondando nuovi regni sotto il dominio barbarico. Nonostante i tentativi di Roma di mantenere il controllo tramite accordi con i barbari, l’Impero romano perse anche la provincia dell’Africa settentrionale a favore dei vandali, e tra il V e il VI secolo, la Britannia fu invasa da tribù di angli, sassoni e iuti. L’Italia fu anch’essa devastata, prima dalle incursioni di Attila nel 452 e poi nel 455 dai vandali, che saccheggiarono Roma e altre regioni. Nel 475, il patrizio Oreste depose l’imperatore Nepote e pose sul trono il glio Romolo, ma la debolezza dell’impero consentì ai barbari di prendere il controllo. Nel 476, Odoacre, un uf ciale barbaro, depose Romolo e rinviò le insegne imperiali a Costantinopoli, riconoscendo l’autorità dell’imperatore d’Oriente, segnando così la ne dell’Impero romano d’Occidente. Tuttavia, l’impero non cessò di esistere, ma continuò a vivere in Oriente, con la sua capitale a Costantinopoli. Nonostante i successi del primo impero romano e il periodo di stabilità sotto la pax augusta dal 27 a.C., nella cultura romana era radicata l’idea che la civiltà romana stesse attraversando un processo inevitabile di decadenza, avendo raggiunto il suo apice senza possibilità di ulteriore sviluppo. Dal III secolo d.C., le dif coltà politiche e militari rafforzarono questa convinzione, facendo percepire la ne dell’impero come la ne del mondo stesso. 2 fi fl fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi Questa visione era condivisa anche dall’escatologismo cristiano, che vedeva nel crollo dell’impero cristianizzato il compimento delle profezie dell’Apocalisse. Secondo questa interpretazione, il declino dell’impero era considerato un castigo divino per un regime oppressivo e una società corrotta. La crescente minaccia esterna dei barbari veniva vista come un mezzo del destino o della divinità cristiana per realizzare quanto scritto nelle profezie. La visione moderna, invece, attribuisce la caduta di Roma alla debolezza delle sue strutture istituzionali, sociali, economiche e militari, che non erano più in grado di affrontare le s de del V secolo. CAPITOLO 2 A partire dal III secolo d.C., le dif coltà politiche e militari dell’impero romano diffusero un sentimento di insicurezza tra la popolazione, spingendo alla ricerca di nuove religioni che rispondessero meglio alle esigenze di salvezza individuale rispetto ai culti tradizionali. La religione uf ciale, basata sul pantheon delle divinità greche, sembrava legata a un passato ormai superato e a una cultura più omogenea, mentre il tardo impero, multiculturale, favoriva il sincretismo e l’introduzione di culti orientali. Tra le numerose predicazioni di salvezza, il cristianesimo si diffuse rapidamente, nonostante le persecuzioni (a opera degli imperatori Decio e Diocleziano) prima in Oriente e poi in maniera più graduale anche in Occidente, grazie al suo messaggio rigoroso, salvi co e incompatibile con altri culti. Sebbene trovasse maggiore accoglienza nelle città, più aperte alle novità, incontrò resistenze nelle campagne, dove perdurarono le pratiche pagane. Il cristianesimo fu portato nelle zone rurali principalmente dai monaci e dal clero delle pievi, chiese dipendenti dal vescovo. Insomma, in pochi decenni, il Cristianesimo passò da religione perseguitata a religione uf ciale dello stato romano: nel 313 l’imperatore Costantino, con l’editto di Milano, garantì la libertà di culto, mentre nel 380 il suo successore Teodosio, con l’editto di Tessalonica, proclamò il cristianesimo unica religione ammessa dello stato romano, bandendo gli altri culti. La Chiesa cristiana acquisì così privilegi, con patrimoni tutelati dalla legge e sacerdoti coinvolti nel controllo sociale. L’impero romano venne così visto come il mezzo attraverso cui il cristianesimo si diffuse, legando la prosperità dell’impero al consolidamento della fede cristiana. Le comunità cristiane, sin dai loro primi sviluppi, organizzarono la propria struttura interna separando i laici dai sacerdoti, creando così una categoria sociale distinta, con il clero che gestiva il culto e i beni delle chiese. Il clero cristiano era così organizzato: - vescovo: era il responsabile di ogni singola comunità; gli venivano attribuiti compiti di governo del “gregge” dei fedeli a lui af dati, di magistero e di amministrazione dei sacramenti; - presbiteri: a loro era assegnata la cura delle anime, - diaconi: assistevano gli altri due gradi nello svolgimento delle rispettive funzioni; - laici: ridotti a un ruolo puramente passivo nelle celebrazioni liturgiche, conservavano mansioni inerenti alla gestione degli affari della comunità e partecipavano all’elezione dei vescovi, scelti per concorso di clero e popolo. Il territorio sotto la giurisdizione di un vescovo era la diocesi, che inizialmente indicava solo il gruppo di fedeli ma successivamente designò un’area geogra ca, solitamente coincidente con quella amministrata dalla città. Più diocesi formavano una provincia ecclesiastica, guidata da un metropolita. Vi erano cinque sedi patriarcali di particolare prestigio: Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Gerusalemme e Roma. Con il tempo, le diocesi si divisero in pievi o parrocchie. I vescovi, provenienti dall’aristocrazia locale, assolvevano anche compiti pubblici e amministrativi, sostituendo spesso le autorità civili a causa del declino della burocrazia statale, amministrando la giustizia e assistendo i bisognosi. Durante le incursioni barbariche, i vescovi proteggevano la popolazione, negoziando con gli invasori. I vescovi defunti venivano considerati santi patroni, protettori celesti della comunità. 3 fi fi fi fi fi fi fi Inoltre, si sviluppò il culto delle reliquie, viste come segno di protezione divina. Inizialmente le singole chiese erano autonome, ma con il tempo, a partire dal IV secolo, il papa, successore di Pietro, cominciò a reclamare una supremazia sugli altri vescovi, processo che si completò solo nell’XI secolo. Le decisioni ecclesiastiche venivano prese tramite concili, che potevano essere provinciali o ecumenici, a cui partecipava anche l’imperatore, che presiedeva e garantiva l’attuazione delle deliberazioni. Il monachesimo cristiano nacque alla ne del III secolo nelle regioni orientali come Egitto, Palestina e Siria, sviluppandosi come un’esperienza spirituale individuale che mirava alla ricerca di Dio attraverso il distacco dal mondo, la rinuncia ai beni materiali e il dominio delle passioni. Si praticava sia in forma eremitica, con individui che vivevano in solitudine nel deserto, sia in forma cenobitica, con monaci che condividevano la vita comunitaria. Dal IV secolo, il monachesimo si diffuse anche in Occidente, prevalentemente nella sua forma cenobitica, coinvolgendo molti membri delle aristocrazie urbane. I monasteri sorsero nelle città e, più frequentemente, nelle campagne di regioni come Italia, Gallia, penisola iberica e Irlanda. La crescita del numero di monasteri portò alla necessità di stabilire regole precise per organizzare la vita monastica. In Oriente, furono redatte regole da gure come Pacomio e Basilio nel IV secolo, mentre in Occidente si susseguirono quelle di Benedetto nel VI secolo, Colombano nel VII e Cesario di Arles per i monasteri femminili. Il IX secolo segnò la standardizzazione del monachesimo occidentale sotto la regola benedettina, adottata uf cialmente dal concilio di Aquisgrana e sancita dall’imperatore Ludovico il Pio con il Capitulare monasticum. Questa regola, che divenne la base del monachesimo occidentale, prevedeva un equilibrio tra preghiera, lavoro manuale e intellettuale, penitenza e obbedienza all’abate, capo della comunità monastica. Il monachesimo irlandese, sviluppatosi in un contesto privo di colonizzazione romana e urbanizzazione, si distinse per il suo rigore ascetico e le severe regole, divenendo il pilastro dell’organizzazione ecclesiastica dell’isola, priva di diocesi episcopali. Evangelizzata da Patrizio nel V secolo, l’Irlanda divenne un centro monastico importante, i cui monaci, come Colombano, portarono il Vangelo nel continente europeo, contribuendo alla cristianizzazione di territori solo super cialmente evangelizzati e fondando nuovi monasteri. Nel IV secolo, dopo il consolidamento del cristianesimo nell’impero romano, iniziò l’evangelizzazione delle stirpi barbare, insediate ai con ni o all’interno dell’impero grazie a patti di foederatio. I barbari ricevettero inizialmente il cristianesimo in forma ariana, diffuso da monaci e sacerdoti ariani, che venne presto condannata come eretica. Questa scelta serviva ai barbari per evitare l’assimilazione culturale e mantenere una distinta identità rispetto ai romani. Con l’avvio della fusione etnica nei nuovi regni barbarici dell’Occidente e la necessità per i re barbari di essere accettati dai sudditi romani cattolici, l’arianesimo fu abbandonato in favore del cattolicesimo. I franchi furono la prima tribù barbara a convertirsi direttamente dal paganesimo al cattolicesimo con il re Clodoveo tra la ne del V e l’inizio del VI secolo. La leggenda attribuisce la conversione al desiderio di Clodoveo di adorare il Dio che gli aveva garantito la vittoria in battaglia, ma in realtà si trattò di una strategia politica per ottenere il sostegno delle aristocrazie gallo-romane cattoliche e stabilire relazioni con l’impero d’Oriente. Questa conversione fu spesso stimolata da vescovi di origine romana, come Remigio di Reims, o da missionari monaci. 4 fi fi fi fi fi fi L’evangelizzazione riguardava inizialmente il re e la sua famiglia, seguiti poi dalla tribù, che adottava la fede del sovrano per solidarietà. Tuttavia, l’aristocrazia barbarica poteva opporsi, temendo la perdita della propria identità culturale e l’avvicinamento alla romanità. Per i barbari, la cristianizzazione rappresentava un processo di acculturazione che integrava i valori cristiano-romani con la loro cultura. Nonostante ciò, la fede cristiana presso i barbari era spesso super ciale, male assimilata e coesisteva con culti pagani ancora persistenti. Nei primi tempi del cristianesimo, la mancanza di un’autorità centrale, la varietà delle tradizioni locali e gli adattamenti culturali del messaggio cristiano portarono a una grande diversità di interpretazioni dottrinali e forme di culto. Ciò rese necessario uno sforzo graduale per de nire in modo unitario e certo i principi fondamentali della fede. La prima questione teologica riguardò la natura di Cristo e il principio della Trinità, avviando un dibattito cristologico sulla reale natura di Gesù. La dottrina predicata dal sacerdote di Alessandria Ario, diffusa specialmente tra le stirpi barbare, sosteneva che Cristo fosse inferiore a Dio Padre, essendo stato da Lui creato. Questa interpretazione fu condannata come eretica nel concilio di Nicea del 325, convocato dall’imperatore Costantino, che affermò la consustanzialità di Cristo con il Padre. Nonostante ciò, l’arianesimo continuò a essere adottato da molti barbari come segno di identità culturale antiromana. Il dibattito teologico proseguì con nuove interpretazioni come il nestorianesimo, che separava le due nature di Cristo, e il mono sismo, che privilegiava quella divina, negando l’incarnazione. Il concilio di Calcedonia del 451 riaffermò l’unità inscindibile delle due nature di Cristo, formulazione accettata de nitivamente in Occidente. I concili e l’imposizione delle loro decisioni come leggi statali, spesso con l’uso della forza, furono strumenti attraverso cui gli imperatori, da Costantino a Giustiniano, cercarono di de nire il dogma cattolico universale e reprimere ogni forma di dissenso religioso. CAPITOLO 3 Alla ne del V secolo l’Impero Romano d’Occidente fu sostituito da vari regni barbarici in cui una minoranza di barbari conviveva con una popolazione romana più numerosa, governata da re barbari che, per mantenere il controllo, ricercavano la collaborazione delle élite romane e integravano le proprie tradizioni con le strutture amministrative ereditate dall’Impero. Le famiglie romane potevano occupare cariche amministrative di rilievo, mentre l’aristocrazia barbara manteneva il controllo esclusivo delle armi e del potere militare. L’ordinamento romano fu mantenuto, con adattamenti per gestire società complesse, e si instaurò una coesistenza normativa: i barbari seguivano le proprie leggi consuetudinarie, mentre ai romani si applicava il diritto imperiale. Tra il VI e l’VIII secolo, le leggi barbariche furono codi cate in latino, inizialmente per le sole tribù, ma col tempo, anche grazie all’in uenza del diritto romano e canonico, divennero valide per tutti gli abitanti del regno. Nonostante i regni fossero nati da iniziative militari autonome, si presentavano formalmente come territori imperiali governati da eserciti alleati in base a patti di foederatio, legittimati dall’autorità dell’imperatore di Costantinopoli. I re combinavano un potere sacrale e militare di origine tribale con titoli e funzioni romane per legittimarsi sia agli occhi dei sudditi romani sia per mantenere l’ideale dell’unità imperiale cristiana. Essi imitavano simboli e prerogative imperiali, come coniare monete, codi care leggi e ricevere l’unzione sacerdotale per rafforzare il carattere cristiano e sacrale del loro potere. I regni barbarici cercarono legami reciproci attraverso alleanze e matrimoni dinastici, come fece Teodorico, che tentò di unire diverse realtà sotto la sua egemonia. Tuttavia, i regni si differenziavano per durata e grado di integrazione. I regni dei Vandali in Africa e dei Goti in 5 fi fi fi fi fl fi fi fi fi Italia ebbero vita breve, poiché mantennero separate le popolazioni barbare e romane, accentuando le differenze religiose e culturali; i Vandali, inoltre, espropriarono beni ai romani e alla Chiesa, senza adottare il modello dell’hospitalitas. Al contrario, regni come quello dei Franchi, dei Visigoti di Spagna e dei Longobardi in Italia perdurarono più a lungo, favorendo la fusione tra barbari e romani attraverso l’acculturazione cattolica e l’integrazione delle istituzioni romane. La conversione al cattolicesimo di re franchi come Clodoveo (tra il 496 e il 506) e di Reccaredo in Spagna facilitò la fusione tra le popolazioni barbariche e romane, abbattendo barriere etniche e religiose. Con l’appoggio di vescovi e aristocrazie romane, i re franchi e visigoti riuscirono a consolidare il potere su tutte le popolazioni dei loro regni, indipendentemente dall’origine etnica, dando vita a società più integrate e stabili. Regno dei Franchi: CHI: Clodoveo DOVE: Gallia COSA LI CARATTERIZZA: collaborazione con il papato. Fino al V secolo i franchi erano un gruppo di tribù eterogenee stanziate lungo il Meno e il Reno, divenute foederati dei romani nel decennio 430-40. La loro prima unità politica fu realizzata dal re Clodoveo (481-511), discendente del leggendario Meroveo, capostipite della dinastia merovingia. Clodoveo guidò i franchi alla conquista della Gallia nordoccidentale, suddividendo i territori tra Neustria cioè nuove terre dell’Ovest (a ovest) e Austrasia cioè Terre dell’est (est). Egli consolidò il suo regno attraverso conquiste militari, accordi con stirpi vicine come turingi, alamanni e burgundi, stringendo intese con re come Teodorico dei goti in Italia e ottenne la vittoria sui visigoti nel 507, in una battaglia che si suole localizzare a Vouillé, che gli permise di annettere la Gallia sudoccidentale ai suoi domini. Per governare i nuovi territori, Clodoveo collaborò con l’aristocrazia gallo-romana, sia laica che ecclesiastica. Per rafforzare il legame con i sudditi non franchi e legittimare il suo potere, accettò il battesimo cattolico, of ciato dal vescovo Remigio di Reims alla ne del V secolo. La conversione al cattolicesimo, seguita gradualmente dall’intera etnia franca, rese i franchi interlocutori privilegiati dell’Impero e del papato, favorendo la fusione culturale e politica tra franchi e gallo-romani. Clodoveo imitò il modello imperiale codi cando le leggi consuetudinarie dei franchi (con il cosiddetto Pactus Legis Salicae) e introducendo la pratica della convocazione dei concili episcopali, a partire da quello di Orléans nel 511, rafforzando così il ruolo politico della Chiesa. Alla sua morte, i domini di Clodoveo furono divisi tra i suoi quattro gli, secondo una visione patrimoniale del regno come proprietà privata del sovrano. Durante l’età merovingia il regno franco, pur idealmente unitario, fu frammentato in territori distinti (Neustria, Austrasia, Aquitania, Burgundia) governati da re spesso in con itto tra loro, con occasionali riuni cazioni temporanee. Questi con itti dinastici, insieme all’indebolimento del potere reale a favore dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica, logorarono la dinastia merovingia. La competizione con potenti famiglie aristocratiche, come i Pipinidi, fu determinante: esponenti come Pipino di Héristal e Carlo Martello assunsero il controllo effettivo del regno, no a quando Pipino il Breve, glio di Carlo Martello, depose l’ultimo re merovingio e nel 751 si proclamò re, inaugurando la dinastia carolingia. 6 fi fi fi fl fl fi fi fi fi Il regno dei vandali CHI: re Genserico DOVE: Africa settentrionale COSA LI CARATTERIZZA: aggressività. Il regno vandalo, fondato in Africa settentrionale dal re Genserico nella prima metà del V secolo, si distinse per una marcata ostilità verso i romani e per una rigida separazione tra la minoranza vandala e la popolazione romana. In fuga dalla penisola iberica, invasa dai visigoti, i vandali conquistarono la ricchissima Africa come un esercito di conquistatori, depredando i patrimoni dell’aristocrazia latifondista e della Chiesa senza alcun vincolo verso i romani. Impossibilitati a espandersi via terra a causa del deserto del Sahara, i vandali furono gli unici tra le stirpi barbare a intraprendere iniziative marittime, costruendo una otta che permise loro di attaccare anche le coste italiane. Tuttavia, la mancanza di collaborazione con la popolazione locale e la conseguente debolezza strutturale del regno resero il dominio vandalo vulnerabile, facilitandone il crollo di fronte alla campagna militare condotta dal generale imperiale Belisario negli anni 530-40. I regni degli anglosassoni CHI: (sono più regni) DOVE: Britannia (già cristianizzata) COSA LI CARATTERIZZA: frammentazione dei regni, eredità romana labile (i romani non c'erano già più). Tra il V e il VI secolo, in Britannia, ormai priva dell’esercito romano, si insediarono tribù di angli, sassoni e juti provenienti dalla Germania settentrionale. Questi popoli occuparono l’area corrispondente all’attuale Inghilterra, respingendo le popolazioni celtiche locali verso la Cornovaglia e il Galles, con le quali mantennero relazioni ostili. Gli invasori formarono una molteplicità di regni spesso rivali, talvolta uniti temporaneamente sotto un monarca egemone, e continuarono a esistere no alla conquista normanna dell’XI secolo. Originariamente pagani, gli anglosassoni si aprirono alol’evangelizzazione alla ne del VI secolo, grazie a una missione promossa da papa Gregorio Magno e guidata dal monaco Agostino. La conversione al Cristianesimo, completata nella seconda metà del VII secolo, fu per merito soprattutto di missionari inviati da Roma, come Teodoro di Tarso. Il regno dei visigoti CHI: Re Reccaredo DOVE: Spagna, fra le Alpi e i Pirenei e, no all'inizio del VI secolo, anche nella Francia del sud; COSA LI CARATTERIZZA: Conversione nel VI secolo, vincolo fruttuoso con l'episcopato. Dopo il sacco di Roma del 410, i visigoti si insediarono nella provincia della Narbonense in base a un accordo di foederatio. Nel 418 fondarono un regno con centro a Tolosa, estendendo il loro controllo su tutta la Gallia sudoccidentale e proiettandosi verso la penisola iberica. Tuttavia, nel 507, i franchi guidati da Clodoveo li scon ssero, costringendoli a ritirarsi nella penisola iberica, dove consolidarono un nuovo regno con capitale Toledo. Inizialmente mantennero una netta separazione dalla popolazione ispano-romana, ma questa frattura fu superata con la conversione al cattolicesimo del re Reccaredo nel 589. Questo evento rafforzò il potere del monarca e integrò le élite ispano-romane nella vita politica del regno, stabilendo un forte legame con l’episcopato. I vescovi acquisirono competenze amministrative e i concili divennero assemblee politiche fondamentali, coinvolgendo re, clero e aristocrazia laica nella gestione delle questioni religiose e civili. Le decisioni conciliari in uenzarono la legislazione regia, culminando nel Liber iudiciorum emanato dal re Reccesvindo nel 654. Il regno visigoto terminò nel 711 con l’invasione araba della penisola iberica. 7 fl fi fi fi fi fl Il regno degli ostrogoti CHI: Teodorico. DOVE: Italia COSA LI CARATTERIZZA: divisione delle funzioni e collaborazione. Agli ostrogoti spettava l’uso delle armi, mentre i romani si occupavano delle attività economiche e amministrative. L’imperatore d’Oriente Zenone favorì la migrazione degli ostrogoti in Italia per allontanarli dai con ni imperiali e utilizzare questa tribù per eliminare il regime di Odoacre. Guidati da Teoderico, gli ostrogoti scon ssero e uccisero Odoacre, fondando un regno nel 493. Stanziati secondo il criterio dell’hospitalitas, si concentrarono soprattutto nelle regioni settentrionali, strategiche per la difesa delle Alpi. Teoderico mantenne la struttura burocratica tardoimperiale e si presentò come continuatore della tradizione romana, promuovendo una convivenza basata su una netta separazione delle funzioni: i goti si occuparono della difesa militare, mentre ai romani furono lasciate le attività amministrative ed economiche. Le due comunità rimasero distinte sul piano etnico, culturale e religioso, con i goti di fede ariana e i romani cattolici. Il senato e l’élite romana conservarono ruoli rilevanti nell’amministrazione del regno. Teoderico mirò a rafforzare la propria egemonia sui regni barbari tramite legami dinastici e alleanze, pur riconoscendo formalmente l’autorità dell’imperatore d’Oriente. Tuttavia, negli ultimi anni del suo regno, l’equilibrio interno si incrinò: le tensioni con l’impero aumentarono e Teoderico avviò una persecuzione contro i cattolici in risposta alle politiche antiariane di Costantinopoli. Alla sua morte nel 526, il regno ostrogoto fu travolto da divisioni interne. L’assassinio della glia di Teoderico, Amalasunta, da parte del re Teodato, fornì all’imperatore Giustiniano il pretesto per dichiarare guerra ai goti. La guerra, durata quasi vent’anni, si concluse con la de nitiva scon tta degli ostrogoti. La stirpe si disperse e i superstiti abbandonarono l’Italia o si fusero con la popolazione locale. 8 fi fi fi fi fi Il regno dei longobardi CHI: Re Alboino, Autari, Agilulfo, Rotari, Desiderio. DOVE: Italia COSA LI CARATTERIZZA: violenza Dopo la riconquista dell’Italia da parte di Giustiniano, la penisola rimase sotto il controllo imperiale solo per un quindicennio, no all’arruzione nella penisola di una nuova stirpe, quella dei longobardi nell’anno 569, guidati dal re Alboino. Provenienti dalla Pannonia, i longobardi si distribuirono in modo disorganizzato, divisi in bande guidate da capi militari chiamati duchi. L’impero bizantino, impegnato su altri fronti, non riuscì a contrastarne l’avanzata, e in pochi anni essi occuparono gran parte dell’Italia settentrionale e centrale. Alcuni gruppi si spostarono nel sud, fondando i ducati autonomi di Benevento e Spoleto. Alla morte di Alboino e del suo successore Cle , i duchi evitarono di eleggere un re per circa un decennio, ma nel 584 nominarono Autari per fronteggiare meglio le minacce esterne e consolidare il regno. I longobardi stabilirono una rete di distretti (civitates o iudicariae) governati ciascuna da un duca e una struttura parallela di curtes regie, amministrata da uf ciali chiamati gastaldi, che permetteva al re di controllare i ducati. L’invasione longobarda fu violenta, priva di accordi con l’impero, e i romani furono esclusi dalla vita politica, trovando un punto di riferimento nei vescovi. La società longobarda era basata su un popolo-esercito, con pieni diritti riservati agli arimanni, guerrieri maschi che partecipavano alle decisioni politiche insieme ai duchi e al re. L’autorità regia si rafforzò con Autari e soprattutto con il suo successore Agilulfo, che consolidò i con ni del regno e avviò un dialogo con la Chiesa grazie all’in uenza della regina cattolica Teodolinda. Durante il regno di Rotari (636-652), il regno si stabilizzò territorialmente e furono codi cate e messe per iscritto in latino le leggi dei longobardi nell’Editto di Rotari, nell’anno 643. Successivamente, i longobardi si convertirono al cattolicesimo, favorendo la fondazione di monasteri e integrandosi con la popolazione romana, trasformandosi da tribù etnica a élite dirigente mista. Tuttavia, i rapporti con i papi rimasero tesi, soprattutto durante il tentativo di conquistare Ravenna. Ravenna cadde in mani longobarde attorno al 750ì751 a opera del re Astolfo. Il papa Stefano II, il quale temeva che i longobardi puntassero a prendere Roma, chiese aiuto al re dei franchi Pipino il Breve, che intervenne in Italia e donò alla Chiesa i territori dell’Esarcato, sancendo un’alleanza contro i longobardi. L’ultimo re longobardo, Desiderio, venne scon tto da Carlo Magno nel 774, segnando la ne del regno longobardo. Carlo assunse il titolo di re dei franchi e dei longobardi, incorporando i territori italici nel suo impero, sotto la notte di natale dell’800. Al sud, il duca Arechi proclamò il Principato di Benevento come continuazione del regno longobardo, mantenendo l’indipendenza nonostante i tentativi di annessione carolingi. Nell’849 il principato fu diviso in due entità distinte, l’una con centro a Benevento, l’altra con sede a Salerno. Tuttavia, divisioni interne e pressioni esterne da parte di saraceni, bizantini e normanni portarono alla caduta dei principati longobardi meridionali, conquistati dai normanni nell’XI secolo. 9 fi fi fi fi fi fl fi fi CAPITOLO 4 L’impero di Giustiniano Con la deposizione dell'ultimo imperatore romano in Occidente nell’anno 476, l'impero continuò la propria vicenda nella sua pars Orientis, che comprendeva, a questa data, vaste regioni dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente, dell’Anatolia e dei Balcani e aveva la propria capitale a Costantinopoli. Governato da un imperatore sacralizzato come rappresentante di Dio cristiano, l’impero d’Oriente mantenne la sua struttura burocratica romana e il controllo su ampie regioni del Mediterraneo orientale grazie a risorse economiche superiori e strategie come tributi e riscatti. Durante il regno di Giustiniano (527-565), si tentò di ristabilire l’unità dell’impero dal punto di vista ideologico, culturale e territoriale. Sul piano religioso, Giustiniano impose l’ortodossia cattolica e conciliò il mono sismo, condannato dal concilio di Calcedonia del 451, ma diffuso nelle province dell’Egitto e della Siria, per preservare la coesione delle province orientali. Fu avviata la risistemazione di tutta la tradizione giuridica romana in un corpus coerente, che prese il nome di Corpus iuris civilis. Al tempo di Giustiniano, una commissione guidata dal giurista Triboniano selezionò e riordinò un'ingente massa di norme strati catesi nel corso dei secoli, sistemandole in una raccolta di costituzioni imperiali (il Codex) e in una di pareri giurisprudenziali (i Digesta), cui si af ancarono un testo a scopo didattico illustrativo dei fondamenti del diritto (le Institutiones) e le Novellae constitutiones, cioè le leggi promulgate dallo stesso Giustiniano. Quest'opera ridiede certezza al diritto e facilitò il lavoro dei tribunali. In politica estera, Giustiniano condusse una serie di campagne per recuperare territori occidentali persi, affrontando con successo i vandali in Africa (533-534) e seguì poi la campagna militare contro i visigoti nella penisola iberica, che si concluse con modesti guadagni territoriali nel Sud del paese. La campagna più lunga e devastante fu contro gli ostrogoti in Italia, durata vent’anni (535-553) e si concluse con la scon tta dei goti. Le ripetute devastazioni ridussero la popolazione, spinsero all’abbandono di vaste aree che furono così perse all'attività agricola, causarono la rovina di molte infrastrutture antiche. La guerra precipitò lo scollamento fra l’aristocrazia senatoria romana e i goti, già avviatosi a partire dagli ultimi anni del regno di Teoderico. Le élite romane, dapprima collaboratrici dei goti, tornarono sotto il controllo bizantino dopo la morte di Totila nel 552 nella battaglia di Gualdo Tadino e la vittoria del generale Narsete, il successore di Belisario. L’Italia fu formalmente reintegrata con la Prammatica Sanzione del 554, che restaurò l’amministrazione romana (anche se alla prefettura del pretorio italica venivano sottratte la Sicilia, la Sardegna e la Dalmazia), annullò le misure gotiche e restituì i latifondi con scati al ceto senatorio. Tuttavia, il dominio imperiale risultò impopolare per l’esosità scale, il governo esercitato da funzionari orientali e il debole controllo militare. La visione unitaria di Giustiniano si rivelò ef mera. L’impero, incapace di sostenere il controllo sull’intero Mediterraneo, subì spinte centrifughe che ne accentuarono la frammentazione. Già nel 568-569 i longobardi invasero l’Italia, insediandosi in gran parte della penisola e lasciando all’impero solo alcune aree come Ravenna, Roma, il sud continentale e le isole. Questi territori vennero riorganizzati sotto la guida dell’esarca di Ravenna, che univa poteri civili e militari. In Spagna, i possedimenti imperiali furono progressivamente erosi dai visigoti, mentre nel VII-VIII secolo gli arabi conquistarono molte delle province più ricche dell’impero, tra cui Siria, Egitto e Nord Africa. Sul fronte orientale, dopo una vittoria contro i persiani, l’impero dovette affrontare l’avanzata musulmana, che rappresentò una minaccia ancora più grave. L’unità mediterranea ricostituita da Giustiniano si disgregò rapidamente dopo la sua morte, segnando un’ulteriore separazione tra Oriente e Occidente. 10 fi fi fi fi fi fi fi Nel VII secolo le tribù slave, guidate dall’élite militare degli avari di origine turca, si insediarono stabilmente nei Balcani. Gli slavi, sviluppatisi a contatto con varie culture, si diffusero verso est, ovest e sud dalla ne del V secolo, differenziandosi in slavi occidentali, orientali e meridionali in base a caratteristiche culturali e linguistiche. Nei Balcani, sotto il dominio bizantino, sorsero insediamenti suf cientemente autonomi chiamati sclavinie. Dopo la scon tta subita dagli avaro-slavi durante l’assedio di Costantinopoli agli inizi del VII secolo da parte dei bizantini, le tribù slave si liberarono del controllo avaro, formando strutture politiche autonome. Di particolare rilievo fu il sorgere, nella provincia imperiale della Mesia (odierna Bulgaria), attorno al 680, del regno della stirpe turco-slava dei bulgari, destinato a diventare una notevole potenza regionale e un serio antagonista dello stesso impero bizantino. Costantinopoli, consapevole dell’impossibilità di controllare militarmente i Balcani, cercò di convertire al cristianesimo le tribù slave per ribadire la propria egemonia, assimilando queste popolazioni alla civiltà bizantina e utilizzando la gerarchia ecclesiastica per garantirne la lealtà. L’opera di conversione fu però ostacolata dalla concorrenza del papato romano sostenuto dai Carolingi. Un contributo decisivo alla cristianizzazione fu dato dai missionari Costantino e Metodio, che tradussero le Scritture in slavo utilizzando l’alfabeto glagolitico, capace di rendere i suoni delle lingue slave con i segni di un nuovo alfabeto, da loro inventato e derivante da quello greco. Nonostante la cristianizzazione, tra il IX e il X secolo l’impero bulgaro tentò di espandersi, cercando di uni care i Balcani sotto il proprio dominio e s dando Bisanzio. Solo nel 1014 l’imperatore bizantino Basilio II riuscì a scon ggere de nitivamente i bulgari, ristabilendo il controllo di Bisanzio (COSTANTINOPOLI) sull’intera area balcanica. Entro l’VIII secolo l’impero bizantino perse quasi la metà del suo territorio a causa di arabi, longobardi e slavi, inclusi i ricchi territori mediorientali che garantivano le principali risorse economiche e il gettito scale. L’impero si ridusse all’Asia Minore, ai Balcani e a pochi possessi in Italia, portando a un riassetto amministrativo basato sulla militarizzazione e sull’autonomia locale. Questo processo rafforzò l’indipendenza delle province e portò alla creazione dei thémata, nuove unità amministrative in cui gli eserciti provinciali si sostenevano con risorse locali. Gli thémata erano guidati da uno stratega, che univa potere civile e militare, segnando la ne del modello romano tardo-imperiale con la sua separazione tra funzioni civili e militari. A partire dal VII secolo l’impero si distinse nettamente dalla vecchia pars Orientis romana, sviluppando nuove caratteristiche territoriali, istituzionali e culturali. Nonostante la contrazione territoriale, Bisanzio mantenne un’egemonia economica, culturale e politica su un’area più vasta, inclusiva delle popolazioni slave, che condividevano la stessa civiltà. Questo fenomeno è stato de nito il “Commonwealth bizantino”, una realtà che continuò a esercitare la propria in uenza per secoli. L’impero bizantino, orientandosi sempre più verso il mondo slavo, si distanziò progressivamente dall’Occidente, con cui già esistevano differenze culturali e tensioni politiche. La nascita dell’impero carolingio, che si considerava rivale di Bisanzio, e i contrasti religiosi tra la Chiesa di Costantinopoli e quella di Roma accrebbero il divario. La competizione per l’evangelizzazione degli slavi e l’ingerenza papale nella nomina del patriarca costantinopolitano portarono al primo scisma nel 867. Nel 1054 un con itto giurisdizionale tra papa Leone IX e il patriarca Michele Cerulario, legato all’organizzazione ecclesiastica nell’Italia meridionale, sfociò in reciproche scomuniche, sancendo lo scisma de nitivo tra la Chiesa cattolica romana e quella ortodossa, ancora oggi separate. La Chiesa cattolica si sviluppò come una struttura gerarchica e centralizzata, con il papa al vertice, mentre l’ortodossia mantenne un’organizzazione più prossima a quella della chiesa altomedievale, con una forte autonomia delle Chiese locali e una struttura di tipo assembleare, priva di un capo unico. 11 fi fi fl fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi Alla vigilia della predicazione di Maometto, nato tra il 569 e il 571, la penisola araba era abitata da popolazioni semitiche prive di unità politica, organizzate in tribù basate su legami di parentela e clientela. Nelle regioni desertiche settentrionali e centrali vivevano i beduini, nomadi dediti all’allevamento, mentre nelle oasi delle aree meridionali, più fertili grazie alle piogge, risiedevano comunità sedentarie impegnate in agricoltura e nella produzione di spezie. Le tribù, solitamente in con itto, trovavano un raro momento di coesione nel pellegrinaggio alla Mecca, centro religioso dove si venerava un frammento nero di meteorite custodito nella Ka’ba, una struttura di legno. Questo evento sacro garantiva una tregua temporanea e favoriva gli scambi commerciali, attirando carovane da tutta la penisola e accrescendo la ricchezza della Mecca e della tribù dei Quraish, che ne controllava il potere. All’inizio del VII secolo, Maometto introdusse l’Islam, una nuova religione monoteista che diede agli arabi un’identità politica e culturale unitaria. Nato in una famiglia della Mecca, Maometto colse il malcontento spirituale verso i culti politeisti e, attorno al 610, dichiarò di aver ricevuto una rivelazione divina. Secondo la sua predicazione, il Dio unico, già manifestatosi a ebrei e cristiani, trasmetteva ora il Verbo de nitivo attraverso Maometto, il suo Profeta. Il libro sacro in cui venne raccolta la Parola divina era il Corano (Corano letteralmente vuol dire "recitazione ad alta voce"). L’Islam si basava su un monoteismo rigoroso, senza compromessi, che richiedeva totale sottomissione a Dio, onnipotente, inconoscibile e non rappresentabile. La fede islamica, priva di sacerdozio e sacramenti, si fondava su cinque pilastri fondamentali: la professione di fede (“non v’è divinità al di fuori di Dio e Maometto è il Suo inviato”), la preghiera giornaliera, l’elemosina a favore dei bisognosi, il digiuno durante il mese di Ramadan e almeno un pellegrinaggio alla Mecca, luogo sacro della nuova religione, per chi ne avesse la possibilità. La predicazione di Maometto, che minacciava il potere delle grandi famiglie della Mecca, provocò persecuzioni, costringendolo a rifugiarsi a Medina nel 622. Questo evento, l’egira, segna l’inizio del calendario musulmano. A Medina, Maometto riformulò la società araba introducendo il concetto di umma, una comunità unitaria fondata sulla fede, governata dalla shari’a (la strada maestra) dettata dalla divinità del Profeta e da un’autorità politica e religiosa inscindibile, delineando un modello di stato teocratico. Nel 630, dopo anni di lotte, Maometto riuscì a rientrare vittorioso alla Mecca alla guida di un esercito e ottenne la conversione della tribù dei Quraish, preservando il ruolo della città come centro dell’Islam. Alla sua morte, nel 632, il profeta lasciò agli arabi una solida unità religiosa e politica, che avrebbe permesso l’espansione dell’Islam e la formazione di un impero. Alla morte di Maometto, l’assenza di indicazioni chiare sulla successione generò lotte di potere. Abù Bakr, suocero del Profeta, fu il primo califfo, ma il con itto esplose con Alì, cugino e genero di Maometto, il quarto califfo. Si contrapposero due fazioni: gli sciiti, che sostenevano il diritto alla guida solo per i familiari del Profeta, e i sunniti, che privilegiavano l’elezione del califfo per meriti. Nel 660, i sunniti prevalsero; Alì fu ucciso e il titolo passò a Mu’awiya, un aristocratico della Mecca appartenente alla tribù degli Omayyadi, che introdusse un modello monarchico accentrato e dinastico. Sin dai primi calif , gli arabi islamizzati avviarono conquiste territoriali nei paesi vicini, mossi più dall’interesse per le risorse che da uno zelo religioso. Contrariamente a quanto si pensa, le prime guerre non furono considerate jihad come “guerra santa”, termine che allora indicava lo sforzo spirituale verso Dio. I popoli conquistati non furono obbligati a convertirsi, ma dovevano pagare un tributo. Ebrei e cristiani, considerati “gente del Libro”, conservarono libertà di culto. 12 fi fl fi fl Entro il 660-670, sotto i primi quattro calif , gli arabi conquistarono l’impero persiano, le regioni mediorientali e parte dell’Africa settentrionale strappate ai bizantini, come Egitto, Cirenaica e Tripolitania. In seguito, completarono l’occupazione del Nord Africa, convertendo le tribù berbere all’Islam ma rispettandone l’identità culturale. Le conquiste rapide e vaste furono agevolate non solo dall’ef cienza militare e dall’unità politica e religiosa, ma anche dalla debolezza dei nemici: l’impero persiano era frammentato e quello bizantino lacerato da contrasti etnici e religiosi. Per molte popolazioni sottomesse, il dominio arabo risultava preferibile: i convertiti venivano integrati, mentre i non musulmani ottenevano lo status di dhimmi, che garantiva protezione e libertà di culto in cambio di un tributo, senza obblighi come il servizio militare. Questo sistema era spesso più tollerante rispetto alle persecuzioni religiose interne ai domini bizantini. Dopo l’ascesa degli Omayyadi, l’espansione araba proseguì rapidamente. Concluse le conquiste in Nord Africa, gli arabi conquistarono la Spagna visigota attorno al 711 e avanzarono in Asia, occupando il Turkestan e il bacino dell’Indo tra il 711 e il 713. In meno di un secolo dalla morte di Maometto, crearono un vasto impero che si estendeva dal Gange all’Atlantico, governato da un potere monarchico ereditario con capitale a Damasco. Nel 661. Mecca e Medina rimasero importanti per il loro signi cato religioso. L’impero, inizialmente in uenzato dalle culture locali, si islamizzò e arabizzò: l’arabo divenne lingua uf ciale e del Corano, mentre le strutture amministrative si perfezionarono. Gli arabi dominarono i ussi commerciali tra Oriente e Occidente, con le loro monete d’oro (dinar)e d’argento (dirham) coniate nelle zecche arabe, af ancate a quelle bizantine. Tuttavia, la rapida espansione generò tensioni interne, soprattutto per la discriminazione contro i mawali (musulmani di diversa etnia). Alla metà dell’VIII secolo un discendente del profeta Maometto, Aboul Abbas, guidò una rivolta che depose gli Omayyadi, assumendo il titolo di califfo e dando il via a una nuova dinastia, quella degli Abbasidi. Con gli Abbasidi il mondo islamico conobbe signi cativi mutamenti: Dirigenza: Sostituzione del ceto arabo con uno persiano. Capitale: Trasferita a Baghdad, epicentro di cultura e commercio. Amministrazione: Maggiore uniformità e controllo centrale; le province furono af date agli emiri. Religione: Predominio del sunnismo. Per quanto riguarda la politica estera, in Occidente gli arabi conquistarono la Sicilia, che i bizantini non erano più in grado di difendere, trasformata in un emirato con centro a Palermo, dove orirono economia e cultura. In Spagna, l’emirato di al-Andalus, retto da una dinastia omayyade dal 756, divenne un crogiolo culturale e scienti co. Qui, l’antica cultura ellenistica fu rielaborata e reintrodotta in Europa, contribuendo al progresso in matematica, medicina e altre scienze, superando spesso l’Occidente contemporaneo. La ne dell'unità politica del mondo islamico venne sancita dalla creazione di un nuovo califfato, in competizione con quello di Baghdad, in Egitto, ad opera della dinastia sciita nordafricana dei Fatimidi, nel decennio 960-70. Il califfato fatimide, con capitale Il Cairo, si aprì i commerci con la Spagna, la Sicilia e città italiane, quali Amal e Pisa. Nonostante la divisione politica, l’islam mantenne un senso di unità culturale grazie alla fede condivisa. L’ampio spazio geogra co islamico, dall’India all’Atlantico, formò un sistema commerciale integrato, in contatto con l’Occidente, Bisanzio e l’Estremo Oriente, sostenuto da ef cienti vie di traf co terrestri e marittime. 13 fi fi fi fi fl fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi CAPITOLO 5 L’impero Carolingio Alla morte di Pipino nel 768, il regno franco fu diviso tra i suoi gli Carlomanno e Carlo, ma dopo soli tre anni, con la morte di Carlomanno, Carlo riuni cò il regno sotto il suo comando. Conosciuto come Carlo Magno, l’epiteto Magno cioè il Grande, egli non si limitò a consolidare i con ni e le strutture interne, ma intraprese una politica espansionistica per ottenere bottino e terre da distribuire ai suoi sostenitori, rafforzando così il proprio potere. Varcò il tratto settentrionale del ume Reno e invase le regioni poste nel cuore dell’odierna Germania non romanizzate e quindi interamente plasmate secondo i modelli istituzionali e culturali dei franchi. Dal 772 condusse una guerra trentennale contro i sassoni, pagani, imponendo loro l’evangelizzazione e l’assimilazione al regno franco, mentre il clero cattolico assunse il controllo della società e delle aree conquistate. Tra il 791 e l’805 Carlo, con suo glio Pipino, sottomise anche gli avari stanziati nel bacino danubiano, costringendoli alla conversione, benché molti preferissero abbandonare le proprie terre. A Occidente cercò di penetrare nella penisola iberica islamica, ottenendo nel 810, grazie a un accordo con l’emiro di Cordova, una porzione di territorio spagnolo. Nel 774 completò la conquista del regno longobardo in Italia, assumendo il titolo di “re dei Franchi e dei Longobardi” e incorporando il regnum Langobardorum nella struttura politica franca. Tuttavia, non riuscì a conquistare il principato di Benevento (che respinse i loro attacchi e preservò la propria autonomia), né a sottrarre ai bizantini i territori nella penisola italiana, nel Meridione non longobardo e nelle lagune venete, nonostante i ripetuti tentativi. Mentre l’Italia centro-settentrionale entrò sotto il dominio franco, le regioni meridionali rimasero legate al contesto longobardo-bizantino con in uenze islamiche, ma tra i due ambiti si svilupparono scambi culturali e imitazioni reciproche. Il governo di Carlo Magno sull’Italia centro-settentrionale consolidò il rapporto tra il regno franco e il papato, ottenendo legittimazione dinastica grazie al sostegno del ponte ce, mentre il papato trovava nel monarca un potente difensore della Chiesa e un alleato per affermare la propria supremazia nella cristianità. Nella notte di Natale dell’800, il papa Leone III lo incoronò imperatore a Roma, sancendo il ritorno della potestà imperiale (imperiale perchè esteso su più regni e popoli) in Occidente e contribuendo alla creazione di un nuovo spazio politico, distinto da Bisanzio, con il papato in posizione di preminenza. L'impero franco si propose quale erede dell'antico impero romano cristiano, ereditandone le ambizioni universalistiche, ma in realtà ne differiva profondamente per dislocazione geogra ca: infatti, mentre l’impero di Roma antica era incardinato sul bacino mediterraneo e animato dalle genti e dalle culture che attorno a esso prosperavano, quello di Carlo Magno e dei suoi successori collocava piuttosto il proprio baricentro nel cuore del continente europeo, a nord delle Alpi, rappresentando una realtà sostanzialmente nuova, cui partecipavano stirpi differenti. Carlo dovette organizzare il vasto territorio imperiale con una struttura amministrativa e politica unitaria che rispettasse le diversità locali, af dando i regni subordinati ai gli Ludovico ( a cui andò l’Aquitania) e Pipino ( al quale spettarono il regnum longobardorum, la Baviera e la Carinzia), mantenendo però la suprema autorità e coadiuvandoli con uomini di ducia. La super cie dell’impero fu suddiviso in una trama di comitati, circoscrizioni governate da conti responsabili della giustizia, del sco e dell’esercito, e in marche, circoscrizioni territoriali dislocate lungo le frontiere esterne dell’impero e per questo caratterizzate dalla presenza di forti cazioni e di guarnigioni militari stabili, rette da uf ciali (marchio ed da cui marchese).In ne vi erano i ducati, regioni acquisite da poco e non assimilate appieno, come ad esempio la Baviera. Nei comitati e nelle marche operavano i missi dominici, soggetti già presenti in età merovingia il cui ruolo fu rilanciato da Carlo Magno, erano inviati del monarca incaricati di sorvegliare i funzionari locali, veri care l’applicazione delle leggi e trasmettere le 14 fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi disposizioni centrali. Scelti tra le gure di maggior prestigio, sia laiche che ecclesiastiche, con il tempo provennero sempre più dai ceti locali, riducendo la loro ef cacia ispettiva. Le norme che regolavano la vita del regno dei franchi e poi dell’impero di Carlo Magno, venivano prodotte nelle assemblee periodiche (placiti), a cui partecipavano il monarca e i grandi, ed erano redette in testi scritti noti con il nome di capitolari, che si sommavano alle leggi di stirpe secondo il principio della personalità del diritto, applicando a ciascun individuo la normativa della sua etnia, salvo le norme generali. Carlo Magno, seguendo la tradizione franca, non aveva una residenza ssa, ma si spostava costantemente tra varie sedi. Stabilì però una sede di residenza privilegiata nella città di Aquisgrana,(Germania) dove costruì un “sacro palazzo” = sua dimora principale e una cappella palatina, creando un centro amministrativo complesso con una cancelleria, chiamata a redigere e a conservare negli archivi i documenti necessari per l’amministrazione dell’impero. La cancelleria si rese protagonista della creazione di un nuovo tipo di scrittura detta carolina, particolarmente chiara e leggibile e compresa in tutte le regioni del dominio franco; per tarli caratteristiche di linearità essa fu ripresa a distanza di secoli nei caratteri di stampa. Il clero svolgeva un ruolo fondamentale nell’ordinamento carolingio: vescovi e abati svolgevano regolarmente la mansione dei missi dominici e prendevano parte ai placiti, concorrendo alla formazione delle leggi. Inoltre essi erano chiamati a fornire al monarca un contributo militare ed erano abituati a gestire le proprietà ecclesiastiche immunitarie. Questa collaborazione ri etteva la stretta integrazione tra sfera religiosa e laica, con l’ideologia del potere franco basata sui valori cristiani. Per sostenere il clero, Carlo e i suoi successori concessero generosi beni e privilegi alle istituzioni ecclesiastiche. La corte di Carlo Magno attirò numerosi intellettuali, principalmente uomini di Chiesa (Alcuino di York, il longobardo Paolo Diacono), che formarono la cosiddetta Scuola Palatina. Grazie alla loro attività fu possibile elaborare una cultura che raccoglieva e fondeva in una nuova sintesi il meglio delle diverse tradizioni, creando una consuetudine alla circolazione di testi e di idee destinata a sopravvivere alla ne della dinastia carolingia e a contraddistinguere lo spazio occidentale, fornendogli una base comune, radicata negli insegnamenti del cattolicesimo. Questo periodo, de nito “rinascita carolingia”, favorì la circolazione di idee, testi e la lettura degli autori classici. Una rete di scuole monastiche e canonicali migliorò la formazione del clero e contribuì a creare modelli culturali uniformi per garantire maggiore omogeneità politica e religiosa nell’impero. Il successo politico-militare dei franchi nel creare un vasto dominio in Occidente si basava sul rapporto vassallatico-bene ciario, vale a dire un legame di natura personale che univa individui diversi in uno scambio tra servizio e mantenimento. Questo modello, comune tra le etnie barbare, prevedeva che singoli guerrieri si unissero a un determinato capo offrendosi di combattere per lui con la garanzia di un bottino, da spartire. Nella società franca il sistema venne formalizzandosi: un vassallo (vassus, “servitore”) giurava liberamente fedeltà a un individuo eminente ( signore, senior), impegnandosi a fornire un servizio militare, mentre il signore garantiva il mantenimento, concedendogli delle fonti di reddito spesso sotto forma di terre o altre risorse. Il bene concesso era denominato bene cio, solitamente concessi in godimento vitalizio; da qui la de nizione moderna “rapporto vassallatico-bene ciario” per designare un simile accordo fra uomini liberi. Questo legame divenne fondamentale per l’intera società franca, coinvolgendo tutti i livelli sociali. Anche il monarca aveva un largo seguito di vassalli, da cui sceglieva i funzionari del regno, a loro volta gli aristocratici si dotavano di cospicue clientele armate per rafforzare il loro potere. Tuttavia, durante l’età carolingia, il vassallaggio rimase distinto dall’ordinamento pubblico. 15 fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi Carlo Magno consolidò questi legami introducendo giuramenti di fedeltà obbligatori e ripetuti. Ciò servì a rafforzare i rapporti tra il re e l’aristocrazia, garantendo il controllo e la partecipazione di quest’ultima nel governo. L’aumento dei legami vassallatici richiese però una maggiore disponibilità di beni da concedere come bene ci, portando i Carolingi a utilizzare anche le proprietà ecclesiastiche. In alcuni casi, i bene ci furono resi immuni dall’ingerenza delle autorità pubbliche, impedendo attività come la riscossione delle tasse o l’amministrazione della giustizia. Questo sistema rappresentò un equilibrio tra interessi privati e pubblici, ma allo stesso tempo contribuì a una progressiva frammentazione del potere centrale. Dopo il 774 non vi fu nella penisola nessuna immigrazione massiccia di franchi, ma solo la discesa di un numero contenuto di individui legati a Carlo, i quali si installarono nelle posizioni di comando, af ancandosi alla vecchia aristocrazia longobarda che, accettando la nuova dominazione, riuscì a mantenere il proprio ruolo. Si formò così un’élite dirigente, di provenienza transalpina, vincolata al monarca dall’esercizio di funzioni pubbliche e da rapporti di fedeltà personale. Nella porzione della penisola assoggettata al dominio franco sopravvisse un ceto di liberi allodieri, cioè di piccoli proprietari, che partecipavano alla leva militare e che si trovavano in un rapporto di natura pubblica con il re. Nell’anno 806, Carlo Magno piani cò la futura suddivisione dell’impero tra i suoi tre gli: Carlo, Pipino e Ludovico. Tuttavia, la morte precoce dei primi due portò Ludovico, detto “il Pio”, a ereditare tutto il potere alla scomparsa del padre nell’814. Una volta al comando, Ludovico cercò di trasformare l’organizzazione del suo regno, conferendogli un carattere più sacrale. Introdusse una stretta commistione tra la sfera laica e quella ecclesiastica e, con l’Ordinatio imperii dell’817, stabilì che la prossima divisione ereditaria dell’impero sarebbe stato diviso tra i suoi tre gli, ma con la sovranità generale sull’intera compagine af data al primogenito Lotario. Questo orientamento teocratico del potere imperiale portò, tra le altre cose, alla promulgazione dell’atto noto come Constitutio romana nell’824, che impose ai papi neoeletti di prestare giuramento di fedeltà all’imperatore prima di essere consacrati. La politica di Ludovico incontrò presto opposizioni. La prima fu quella del nipote Bernardo, glio di Pipino e re d’Italia, che si ribellò allo zio. La rivolta fu soffocata con la forza nell’818: Bernardo si arrese, ma Ludovico lo fece accecare, causandone la morte. Gli equilibri stabiliti dall’Ordinatio imperii dell’817 vennero stravolti dalla nascita di un quarto erede, Carlo, detto “il Calvo”. Questo nuovo erede costrinse Ludovico a modi care i piani di successione e a entrare in con itto con i suoi stessi gli. Parallelamente, il declino dell’espansione territoriale dell’impero, che no a quel momento aveva garantito nuove ricchezze, spinse le aristocrazie a cercare altre forme di potere. Queste ultime cercarono di patrimonializzare i bene ci e le cariche pubbliche, indebolendo il controllo centrale e rafforzando la propria in uenza locale. Alla morte di Ludovico nell’840, l’idea di un impero unitario iniziò a sgretolarsi. Emersero territori con identità culturali proprie, benché politicamente fragili. I suoi gli, Carlo il Calvo e Ludovico, detto poi il Germanico, si allearono contro il fratello maggiore Lotario e lo scon ssero nella battaglia di Fontenoy nell’841. L’anno successivo, i due fratelli rinnovarono la loro alleanza con il Giuramento di Strasburgo, pronunciato pubblicamente davanti ai rispettivi eserciti, pronunciato in antico francese e in antico alto-tedesco per risultare comprensibile a guerrieri che ormai non capivano più il latino. 16 fi fi fi fi fl fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi In ne, nell’843, fu siglato il Trattato di Verdun, tra i tre fratelli che divise de nitivamente l’impero carolingio. A Ludovico il Germanico fu assegnato il regno a est del Reno, a Carlo il Calvo quello a ovest della linea costituita dai umi Mosa, Rodano e Saone, mentre Lotario conservò il titolo imperiale e una fascia di territorio dal Mare del Nord all’Italia. Nel corso del IX secolo, l’impero carolingio si frammentò in aree ben distinte: la Francia occidentalis (il regno di Carlo il Calvo), embrione del futuro spazio francese; la Francia orientalis (i possessi di Ludovico il Germanico), embrione del futuro spazio tedesco; il regno italico, la Provenza e l’Aquitania. Nonostante i tentativi comuni di contrastare le aggressioni esterne, i vari monarchi non riuscirono a fermare la disgregazione del potere pubblico, minato dalle aristocrazie locali. Un tentativo di riuni cazione avvenne nell’882, quando Carlo il Grosso, glio di Ludovico il Germanico, riuscì a raccogliere l’intera eredità carolingia e ad ottenere il titolo di imperatore. Tuttavia, il suo regno durò poco: fu costretto ad abdicare dopo soli cinque anni e, alla sua morte nell’888, la dinastia carolingia si estinse. 17 fi fi fi fi fi CAPITOLO 6 L’ordinamento signorile Con la ne dell’impero carolingio si assistette a una radicale frammentazione politica, che portò alla nascita di molteplici entità territoriali minori e a una dissoluzione dell’ordinamento pubblico. Il potere venne distribuito tra un gran numero di signori, ciascuno dei quali esercitava un controllo esclusivo su un determinato ambito territoriale. Questo processo, che vide signori laici ed ecclesiastici appropriarsi di poteri pubblici e gestirli come proprietà private (fenomeno noto come “allodialità” del potere, da allodio, un bene posseduto in piena proprietà), de nisce il tratto distintivo dell’Occidente europeo postcarolingio. Gli studiosi hanno descritto l’assetto politico, sociale ed economico di questo periodo, tra il X e la metà del XII secolo, con il termine ordinamento signorile. Diversi fattori contribuirono alla disgregazione del potere pubblico: La tendenza a rendere ereditarie le cariche pubbliche, originariamente concesse ad personam dal monarca e revocabili. L’emergere di giurisdizioni autonome nelle terre dotate di immunità. La costruzione di castelli, sia pubblici che privati, usati dai signori come beni personali. L’unione tra il possesso fondiario e le prerogative pubbliche. Due principali tipologie di potere signorile caratterizzano questo periodo: 1. Signoria fondiaria: basata sulla proprietà terriera, conferiva al signore proprietario terriero (Dominus) il diritto di comandare sui contadini, siano essi liberi o servili. Il dominus esercitava nei loro confronti una serie di prerogative legate all’attività produttiva (richiesta di speci che prestazioni di lavoro o corvées) e giurisdizionali (come il diritto di dirimere controversie, imporre multe, mantenimento dell’ordine). 2. Signoria territoriale o di “banno”: fondata sul controllo di un castello da parte di un signore (un signore fondario), si estendeva a tutti coloro che ricevevano protezione dal signore, indipendentemente dal loro status o appartenenza. Il signore di banno, in cambio della protezione che garantiva agli uomini del territorio da lui controllato, esercitava diritti scali, militari e giurisdizionali su quell’ambito spaziale (potere che era detto dominatus loci) sostituendosi di fatto al potere centrale. Questa frammentazione generò con itti e sovrapposizioni giuridiche. Signorie minori si inserivano all’interno di domini più vasti, spezzandone l’unità territoriale, mentre i signori stessi si facevano spesso concorrenza, alimentando instabilità. I contadini, intanto, si trovavano avvolti in una soffocante trama di dipendenze e subordinazioni, sottoposti a un gravoso carico di obblighi nei loro confronti di signori diversi: Prestazioni lavorative obbligatorie, canoni in denaro o natura, e donativi. Gravati poi da tasse su pedaggi stradali, sull’uso di ponti, porti, sui mercati, e sull’uso di infrastrutture come mulini e forni. Dovevano versare imposte come il fodro (originariamente per il mantenimento dell’esercito regio e poi divenuto contributo sso) e la taglia ( pagamento dovuto da un’intera comunità per la protezione accordata dal signore). Questa dissoluzione del potere centrale portò i poteri locali a esercitare le loro prerogative affrancati da ogni controllo. Le cariche pubbliche divennero fonti di rendita e furono progressivamente patrimonializzate, favorendo l’ereditarietà. Nell’ordinamento carolingio, in teoria, cariche e bene ci tornavano al monarca alla morte dei titolari, il quale poteva riassegnarli. Tuttavia, nella prassi, essi tendevano a essere trasmessi agli eredi del defunto. Un momento fondamentale di questa evoluzione fu il Capitolare di Quierzy (877), emanato da Carlo il Calvo, che stabiliva che cariche e bene ci vacanti non dovessero essere riassegnati prima del ritorno degli eredi del defunto titolare. Questo 18 fi fi fi fi fl fi fi fi provvedimento fu interpretato dall’aristocrazia come una legittimazione dell’ereditarietà delle cariche pubbliche e dei bene ci. Nel 1037, l’imperatore Corrado II, consolidò ulteriormente questo principio con l’Edictum de bene ciis, che rese ereditari anche i bene ci minori, cioè quelli concessi dai signori maggiori ai propri vassalli e vietava di revocare un bene cio a un vassallo senza una giusta causa. Sebbene l’intento fosse quello di proteggere i vassalli e limitare il potere arbitrario dei grandi signori, la misura ebbe l’effetto opposto: legittimò e consolidò le realtà signorili già esistenti, frammentando ulteriormente il potere centrale. Questo processo sancì de nitivamente l’affermazione dei poteri locali e l’indebolimento dell’autorità monarchica, trasformando le strutture pubbliche in sistemi fondati su legami personali e patrimoniali. (?) A partire dalla metà del IX secolo e per tutto il X, l’Occidente europeo assistette a una capillare diffusione di nuovi castelli nelle campagne, un fenomeno noto come incastellamento, che rappresentò una trasformazione profonda del paesaggio, dell’organizzazione del territorio e delle strutture sociali. Le ragioni di questa proliferazione di strutture forti cate furono molteplici: 1. Necessità difensive: i castelli rappresentavano un baluardo contro le incursioni dei Normanni, degli Ungari e dei Saraceni, che colpivano i territori con devastanti scorrerie. 2. Frammentazione del potere centrale: con il collasso dei grandi poteri monarchici e la diffusione del potere fra una moltitudine di signori, la costruzione di un castello divenne un modo per garantire una base sicura da cui esercitare la propria egemonia sul territorio circostante, imponendo un’autorità di natura territoriale, il cosiddetto banno. 3. Lotte intestine e inef cacia militare: i castelli offrivano protezione in un contesto di crescenti con itti interni nei regni in dissoluzione e sopperivano all’inef cacia degli apparati militari tradizionali, spinsero quindi i signori a dotarsi di forti cazioni autonome per proteggere sé stessi e i loro possedimenti. 4. Colonizzazione e dissodamento: spesso i castelli venivano eretti in aree in precedenza disabitate, facilitando il dissodamento e la colonizzazione di nuovi terreni. Il fenomeno dell’’incastellamento ebbe quindi un impatto profondo sul paesaggio europeo: intere regioni si riempirono di forti cazioni, che divennero centri di potere politico, militare ed economico. Attorno ai castelli si svilupparono insediamenti, con la costruzione di abitazioni al loro interno o a ridosso delle mura, trasformando il popolamento rurale, prima sparso, in nuclei più concentrati. In molti casi, il castello divenne il cuore della comunità locale, fungendo da centro amministrativo, sede di mercati e di attività artigianali, nonché luogo di servizi essenziali. Questa nuova organizzazione contribuì a ride nire le dinamiche sociali ed economiche delle campagne, consolidando il potere dei signori locali e le strutture della signoria territoriale. Tra i secoli VII-VIII e XI, l’Occidente europeo subì numerose incursioni da nord, est e sud, operate rispettivamente da Normanni, Ungari e Saraceni. Questi gruppi non erano interessati a stabilirsi in modo permanente, ma miravano principalmente al saccheggio e al bottino. I Normanni(uomini del Nord) gli abitanti della penisola scandinava, iniziarono a espandersi via mare dall’VIII secolo, attaccando città e abbazie con rapide incursioni. Le loro navi, dette snekkie, erano particolarmente adatte a risalire i umi, consentendo loro di colpire l’entroterra. Le loro razzie si concentrarono sulle coste di Scozia, Irlanda, Islanda, Francia settentrionale e Inghilterra orientale, alcuni gruppi raggiunsero anche il Mediterraneo. Tra il IX e l’XI secolo, l’espansione normanna raggiunse il suo apice, portando 19 fi fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi non solo a saccheggi, ma anche alla colonizzazione di terre lontane e inospita te come Islanda e Groenlandia, e all’insediamento in regioni già popolate, come Irlanda, Inghilterra e Francia. Nel 911, il capo normanno Rollone fondò il ducato di Normandia, nella Francia settentrionale, destinato a grande importanza. Proprio dalla Normandia partì, nel 1066, la spedizione di Guglielmo il Conquistatore, che con la vittoria nella battaglia di Hastings pose ne al dominio anglosassone in Inghilterra, sostituendolo con un regno normanno. Sin dall’XI secolo, i guerrieri mercenari normanni si erano insediati nell’Italia meridionale, appro ttando delle debolezze locali. Negli anni 1050-1080, un esponente della famiglia degli Altavilla, Roberto detto il Guiscardo, conquistò pressoché tutta l’Italia meridionale continentale, mentre Ruggero I sottrasse la Sicilia ai musulmani fra il 1061 e il 109, uni cando il Mezzogiorno sotto la famiglia degli Altavilla con Ruggero II che nel 1130 unì la Sicilia ai possessi continentali, assumendo il titolo di re. Gli Ungari, popolazione di origine ugro- nnica, provenienti probabilmente dal bacino del Volga, giunsero in Occidente fra il VII e VIII, insediandosi stabilmente in Pannonia, regione così chiamata dai romani e che da loro prese il nome di Ungheria. Gli Ungari intrapresero una prima grande spedizione verso l’Occidente nell’899, penetrando nell’Italia settentrionale. Per i successivi cinquant’anni, organizzarono campagne regolari di razzia, colpendo quasi tutte le regioni occidentali, depredando beni o imponendo tributi in cambio di tregue. Nel 937 tornarono in Italia, spingendosi no alla Campania. Dotati di grande mobilità e ben organizzati militarmente, gli Ungari preferivano evitare sia le battaglie campali sia gli assedi prolungati, concentrandosi su bersagli facili e ricchi come abbazie isolate o zone urbane prive di forti cazioni. La loro attività predatoria terminò nel 955, quando furono de nitivamente scon tti da Ottone I nella battaglia di Lechfeld. Da allora, gli Ungari si stabilizzarono nel territorio che oggi corrisponde all’Ungheria e, sotto il re Stefano I, si convertirono al cristianesimo, nel 1000-38. I Saraceni, invece, provenienti dall’Africa settentrionale, dalla Spagna e dalla Sicilia, si resero protagonisti di incursioni lungo il X secolo, colpendo regioni costiere e dell’entroterra, specialmente nell’Italia centro-meridionale e nella Gallia meridionale. Talvolta stabilirono basi temporanee in territori nemici, usandole come punti di appoggio per ulteriori razzie, come accadde ad Agropoli, in Campania. I monasteri, ricchi di tesori e spesso mal difesi, costituivano gli obiettivi principali delle loro incursioni, che evidenziarono le vulnerabilità del sistema difensivo del tempo. Dopo la dissoluzione dell’Impero carolingio e la ne della dinastia con Carlo il Grosso nel 888, i territori che erano stati sotto il dominio di Carlo Magno intrapresero percorsi politici distinti. Nella Francia occidentalis, nel 987, Ugo Capeto, conte di Parigi, fu proclamato re. Otteneva cosi il potere monarchico in modo stabile una nuova dinastia chiamata: dinastia capetingia, che avrebbe regnato no al XIV secolo. Tuttavia, i Capetingi controllavano solo un’area limitata attorno a Parigi e poche altre terre personali: per il resto disponevano solo di una generica autorità morale e sacrale su una pluralità di signori posti a capo di vaste realtà regionali, sostanzialmente autonome, quali le contee di Bretagna e di Tolosa o i ducati di Normandia e di Aquitania. Del tutto a sé stanti erano il regno di Provenza e quello di Borgogna. Nella Francia orientalis, il regno dei franchi orientali comunemente chiamato per quest’epoca regno teutonico, il potere regio era ancor più debole. Il regno era diviso in ducati guidati da potenti famiglie che avevano reso ereditarie le loro cariche. Il re veniva eletto dai “grandi” del regno,scelto in seno alle dinastie ducali, aveva un ruolo principalmente simbolico e 20 fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi un’autorità limitata. La situazione cambiò con Ottone I, glio di Enrico I di Sassonia, che rinvigorì la carica imperiale e consolidò il potere reale nell’ambito teutonico dal 936 al 973. Ottone si alleò con i signori locali, rafforzò il carisma del re insistendo sulle sue connotazioni sacrali e accrebbe il suo prestigio grazie a successi militari, come la vittoria sugli Ungari a Lechfeld nel 955. In Italia, il regnum Langobardorum, o regno italico, fu teatro di scontri tra potenti famiglie locali dopo la ne della dinastia carolingia. Tra l’888 e il 924, si fronteggiarono in particolare due fazioni principali: da un lato, il marchese del Friuli, Berengario I, e dall’altro i rappresentanti della potente casata dei duchi di Spoleto. Nessuna delle due parti riuscì a ottenere un predominio stabile, e il con itto indebolì ulteriormente l’unità del regno. Successivamente, il titolo di re d’Italia passò a monarchi stranieri. Il primo fu Rodolfo II, re di Borgogna, che però non riuscì a mantenere il controllo del regno. Dopo di lui, nel 926, il titolo fu acquisito da Ugo di Provenza, re di Provenza, il quale riuscì a governare no al 946. Durante il suo regno, Ugo cercò di consolidare il potere favorendo alcune famiglie locali, in particolare quelle di origine longobarda. Dopo la morte del glio ed erede di Ugo, Lotario, il titolo regio nì a Berengario II, marchese di Ivrea, ma la sua autorità fu contestata da Adalberto Atto, capostipite della dinastia appenninica dei Canossa, che chiamò in Italia il re tedesco Ottone I. Ottone intervenne nel regno, sposò Adelaide, vedova di Lotario, e costrinse Berengario a giurargli fedeltà, unendo di nuovo le sorti del regno italico e teutonico. Nella porzione d’Italia estranea alla tradizione carolingia, la Sicilia era sotto dominazione saracena, mentre l’Impero bizantino controllava province autonome in Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e nell’alto Adriatico. Gran parte della Campania e territori in Puglia, Molise e Calabria apparteneva al principato longobardo di Benevento, che, dopo la divisione del 849 in forza dell’accordo di spartizione siglato dai principi Radelchi e Siconolfo, si era frammentato in due principati distinti: l’uno con centro a Benevento e l’altro a Salerno. Il sud Italia, dominato da lotte interne e con itti con Bizantini e Saraceni, rimase caratterizzato da una forte frammentazione politica. Nel 961, Ottone I divenne re del regno italico e, l’anno successivo, fu incoronato imperatore. Con lui l’istituto imperiale, indebolito durante gli ultimi Carolingi, trovò un nuovo slancio. Ottone enfatizzò il carattere sacrale del suo potere, sancito dall’unzione rituale, e rafforzò il suo ruolo di protettore della Chiesa e della fede cristiana. Tra i suoi atti più signi cativi vi fu la promulgazione del Privilegium Othonis, un documento che riconosceva i diritti e le proprietà della Chiesa, ma imponeva al papa eletto l’obbligo di giurare fedeltà all’imperatore, riaffermando così il controllo imperiale sul papato. Dal punto di vista geogra co, l’impero di Ottone I era più piccolo rispetto a quello di Carlo Magno, non includendo i territori della Francia occidentalis (attuale Francia). Il suo nucleo principale si estendeva sulle regioni dell’Europa centrale, odierne Germania, Austria, Svizzera, Boemia, Moravia e l’Italia centro-settentrionale. Ottone tentò anche di espandere la sua in uenza sull’Italia meridionale ricercando un’alleanza con l’impero bizantino, culminata nel matrimonio tra suo glio, Ottone II, e la principessa bizantina Teofano. Alla morte di Ottone I nel 973, suo glio Ottone II ereditò il trono, ma la sua politica di espansione nel Mezzogiorno d’Italia incontrò ostacoli signi cativi. L’imperatore bizantino Basilio II adottò un atteggiamento ostile, e Ottone II subì pesanti scon tte per mano dei saraceni. Alla sua morte nel 983, il glio Ottone III era ancora minorenne e fu posto sotto la tutela della madre Teofano e della nonna Adelaide. 21 fi fl fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi fl Quando Ottone III assunse il potere effettivo nel 996, all’età di 16 anni, adottò una visione grandiosa e teorica del ruolo imperiale, ispirata all’idea della renovatio imperii. Questo progetto mirava a restaurare il prestigio dell’impero; la sua concezione del potere era fortemente sacrale e sostenuta dagli intellettuali della sua corte, in particolare da Gerberto di Aurillac, che Ottone III fece eleggere papa con il nome di Silvestro II. Questo gesto simbolico intendeva rappresentare una rinnovata collaborazione tra il potere imperiale e il papato come guida della cristianità. Tuttavia, la politica di Ottone III si rivelò poco pragmatica. Egli trascurò i rapporti concreti con le aristocrazie locali, che nel frattempo avevano consolidato il loro potere. Questo atteggiamento provocò l’opposizione delle élite signorili, gelose delle proprie prerogative e poco inclini a rinunciare alla loro autonomia. Nel 1001, di fronte a violente sollevazioni a Roma, Ottone fu costretto a fuggire e morì poco dopo in un monastero, senza lasciare eredi. Dopo la sua morte, il titolo imperiale passò a Enrico II, duca di Baviera. Enrico, membro dell’aristocrazia tedesca, abbandonò i progetti idealistici di Ottone III per adottare una politica più concreta, basata su alleanze strategiche e campagne militari. Tuttavia, anche Enrico II morì senza eredi e nel 1024, l’impero passò al duca di Franconia, Corrado II, che inaugurò la dinastia dei Salii. Questa dinastia mantenne il potere imperiale per quattro generazioni, no al 1125, segnando una nuova fase della storia dell’impero. CAPITOLO 7 La Riforma della Chiesa e lo scontro tra il papato e l’impero Durante il X secolo e parte dell’XI, la Chiesa occidentale attraversò una grave crisi istituzionale e morale, causata dalla stretta commistione tra potere ecclesiastico e laico, eredità dell’assetto carolingio. Le famiglie aristocratiche più in uenti cercavano di ottenere cariche importanti, come quella di vescovo o abate, non per motivi religiosi, ma per interesse politico ed economico: queste cariche permettevano di gestire enormi patrimoni e di rafforzare il prestigio familiare. Tuttavia, chi otteneva queste posizioni era spesso privo di formazione religiosa e vocazione. Molti ecclesiastici vivevano come nobili laici, dedicandosi a politica, guerre, caccia, banchetti e mantenendo concubine. Anche il clero di rango inferiore era in genere incolto, incapace di leggere e comprendere le Sacre Scritture. A peggiorare la situazione, il papato era sotto il controllo delle grandi famiglie romane (come i TUSCOLO o i CRESCENZI) che nominavano i ponte ci secondo i propri interessi. Di fronte a questa decadenza, emerse la necessità di una riforma complessiva che migliorasse la moralit

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