Riassunto di Psicologia Sociale - Andrighetto, Riva PDF

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Summary

Questo documento è un riassunto di psicologia sociale, focalizzandosi sui fondamenti teorici ed empirici e sulle relazioni con altre discipline come la sociologia e la psicologia cognitiva. Il testo mostra un'ampia panoramica sulla psicologia sociale, dai suoi concetti chiave alle diverse prospettive. Viene spiegato il rapporto tra cognizione e comportamento umano all'interno di contesti sociali.

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lOMoARcPSD|15284362 Psicologia sociale Riassunto Scienze della comunicazione (Università degli Studi di Macerata) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scarica...

lOMoARcPSD|15284362 Psicologia sociale Riassunto Scienze della comunicazione (Università degli Studi di Macerata) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Psicologia sociale: fondamenti teorici ed empirici Università di Macerata Riassunto CAPITOLO 1: Introduzione alla psicologia sociale 1.L’ABC DELLA PSICOLOGIA SOCIALE Il compito principale della psicologia sociale è cercare di predire come si sentiranno (Affect, emozioni), come si comporteranno (Behavior, comportamento) e cosa penseranno (Cognition, la cognizione) degli esseri umani in un dato contesto sociale. La disciplina studia quindi l’interazione tra la dimensione individuale e quella sociale. La psicologia sociale è stata definita come l’indagine scientifica del modo in cui emozioni, pensieri e comportamenti degli individui sono influenzati dalla presenza reale, immaginata, o implicita di altri esseri umani [Allport 1954]. Gli altri, secondo Allport, ci influenzano in tre modalità: 1. REALE O OGGETTIVA: fa riferimento alla presenza fisica di un’altra persona: non ci comportiamo allo stesso modo quando siamo soli o in presenza di un’altra persona; 2. IMMAGINATA: fa riferimento alla presenza non fisica: capacità di pensare agli altri anche quando questi non sono fisicamente di fronte a noi e di comportarci di conseguenza, 3. IMPLICITA: fa riferimento al concetto di norme sociali. Ci fermiamo al semaforo rosso anche se non c’è un’autorità pronta a multarci, perché abbiamo interiorizzato una specifica norma sociale che regola il comportamento stradale. Queste modalità ci forniscono una base che potremmo aggiornare rispetto a due dimensioni: ➔ La prima ci dice che non è solo la presenza degli altri a influenzarci ma anche l'assenza di esclusione sociale e isolamento influenza le persone. ➔ Mentre la seconda, ci parla del virtuale, ossia l’influenza sociale avviene anche in contesti online. Possiamo quindi affermare che la psicologia sociale è l’indagine scientifica del modo in cui emozioni, pensieri e comportamenti degli individui sono influenzati dalla presenza – o assenza – fisica, immaginata, implicita o virtuale di altri esseri umani. Uno dei principali focus delle discipline psicologiche riguarda lo scarto tra realtà “oggettiva” e percezione “soggettiva” che hanno gli esseri umani della realtà. La ricerca sperimentale in psicologia, nasce dallo studio delle illusioni ottiche di fronte a queste immagini la mente percepisce qualcosa (oggetto, configurazione, colore) che non è presente, oppure percepisce in modo sbagliato qualcosa che in realtà è diverso la mente umana rielabora la realtà che percepisce producendo rappresentazioni dotate di significato che possono essere anche molto distanti dalla realtà “oggettiva” stessa (come un caleidoscopio che ruota) le rielaborazioni risentono delle esperienze passate, dei valori trasmessi, degli stereotipi e dei pregiudizi. Un esempio è stato descritto nel 1955 dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa→ 1.1 La psicologia sociale è una scienza? Uno degli elementi più complessi, nelle discipline psicologiche è che l’oggetto di studio e il soggetto che studia coincidono, ovvero sono entrambi esseri umani. Una disciplina si definisce scientifica dal metodo, e non dall’oggetto di studio. La psicologia sociale usa un metodo scientifico/sperimentale per l’analisi dei fenomeni e spesso risponde a domande analizzate dai filosofi ma focalizzandosi sulla logica, sull’intuizione, sul ragionamento, sulle raccolte dati, sui test… C'è differenza tra senso comune e conoscenza scientifica: nel primo coesistono tante verità soggettive, nel secondo si cerca una verità comune. Effetto Dunning-Kruger, dal nome dei psicologi sociali che hanno condotto lo studio, sostiene che meno sappiamo di una data materia e più saremo convinti delle nostre opinioni ed è un effetto paradossale ma che rende bene la distanza tra senso comune e studio scientifico. Ciò che definisce una disciplina in quanto scienza non dipende da quello che si ricerca, ma da come lo si fa, ovvero dal metodo. La psicologia sociale utilizza un metodo scientifico, o meglio sperimentale. 1 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 2. LA PSICOLOGIA SOCIALE TRA LE DISCIPLINE SOCIALI E PSICOLOGICHE 2.1 Psicologia sociale e sociologia: convergenze e divergenze La psicologia sociale si caratterizza per le costanti intersezioni e influenze con altre discipline, appartenenti sia all’ambito della psicologia che delle scienze sociali. Tuttavia, la linea di demarcazione tra la psicologia sociale e la sociologia risulta particolarmente sfumata. Sono entrambe scienze sociali che studiano gli individui all’interno dei gruppi e delle società dove vivono e fenomeni sociali (esclusione sociale dei gruppi di minoranza o disuguaglianze sociali); - La psicologia sociale fonda la sua analisi a livello dell’individuo (livello micro) indaga come i pensieri, le emozioni e i comportamenti della persona influenzino e siano influenzati dalla dai gruppi sociali o dalla società di appartenenza; - La sociologia fonda la sua analisi a livello più generale (livello macro) parte dallo studio della società umana e dei gruppi che la compongono indagandone formazione, struttura e possibili cambiamenti. Ad esempio nel caso delle disuguaglianze sociali, lo psicologo sociale studia i processi psicologici individuali influenzati socialmente che permettono il mantenimento e il perpetuarsi di queste disuguaglianze, il sociologo studia come le disuguaglianze sociali portino un cambiamento nella struttura della società e dei diversi elementi che la compongono. La psicologia sociale è una scienza e differisce dal senso comune non per l’oggetto (che potrebbe essere lo stesso) ma per il metodo utilizzato (metodo scientifico sperimentale ≠ da credenze contraddittorie). Relativamente al senso comune, si verifica spesso l’effetto HINDSIGHT BIAS (quando si dice “Era ovvio! Lo sapevo già”): è la tendenza a credere erroneamente che saremmo stati in grado di prevedere un evento correttamente, una volta che l’evento è ormai noto. L'errore del senno di poi nasce dalla necessità di dare un senso al mondo. Per capire il presente reinterpretare il significato e la rilevanza delle informazioni passate. Sia “psicologia popolare” che l’errore del senno di poi generano teorie contraddittorie sulle persone. Abbiamo bisogno di un'accurata scienza empirica per scoprire la verità. Per riuscire ancora meglio a comprendere la psicologia sociale è necessario approfondire come essa si rapporti con altre discipline psicologiche. Il rapporto più rilevante riguarda quello tra la psicologia sociale e la psicologia cognitiva, lo studio cioè della cognizione dell’essere umano e di tutti i processi che regolano la sua cognizione con l’ambiente esterno. ➔ Un altro rapporto importante è quello tra psicologia sociale e neuropsicologia: La neuropsicologia studia la relazione tra i processi neurobiologici e quelli cognitivi e comportamentali degli esseri umani. Le neuroscienze sociali studiano i meccanismi e le origini neurali di fenomeni studiati dalla psicologia sociale (formazione delle prime impressioni, di stereotipi o pregiudizi) utilizzando strumenti delle neuroscienze risonanza magnetica funzionale o elettroencefalogramma). ➔ Psicologia sociale e psicologia della personalità: La psicologia sociale guarda “all’esterno” dell’individuo e studia l’impatto dei fattori sociali sui processi psicologici individuali mentre la psicologia della personalità guarda “all’interno” dell’individuo e studia le caratteristiche della personalità (o tratti individuali) e i processi psicologici più interiori. ES. PREGIUDIZIO: fenomeno studiato dalla psicologia sociale e rivisto dalla psicologia della personalità che lo riconduce al tratto della “personalità autoritaria” (Adorno, 1950). ES. EPISODIO DI BULLISMO: lo psicologo sociale studierà e darà sempre più importanza i fattori sociali e contestuali che hanno determinato l’episodio (norme sociali del gruppo classe e ruolo dei compagni di classe come “spettatori), lo psicologo della personalità si focalizzerà sulle caratteristiche della personalità del bullo (capacità empatica) e della vittima (basso livello di autostima). Nella psicologia sociale il contesto ha sempre un ruolo predominante rispetto alle caratteristiche della personalità del soggetto poiché si propone di studiare gli effetti dei fattori sociali su processi biologici “generali” e “normali” delle persone, che emergono indipendentemente dalle differenze individuali. Per tenere conto di queste differenze individuali si utilizzano metodi come il coinvolgimento di un ampio numero di persone negli studi e l’assegnazione casuale dei soggetti a eventuali gruppi sperimentali. Per la psicologia sociale le caratteristiche della personalità sono considerate variabili moderatrici fattori che possono amplificare o diminuire gli effetti dei processi psicologici generali indagati. ES. PREGIUDIZIO: la psicologia sociale considera il pregiudizio un fenomeno sociale ordinario, sottolinea però che particolari tratti di personalità inclinano l’individuo a esprimere in maniera più o meno marcata il 2 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 proprio pregiudizio verso altri gruppi sociali (orientamento alla dominanza sociale, esperienze particolari). ➔ Psicologia sociale e psicologia clinica: La psicologia sociale studia processi psicologici “ordinari” degli individui mentre la psicologia clinica studia i processi disfunzionali o patologici delle persone e le relative modalità di trattamento. Molte delle teorie proposte dalla psicologia sociale sono applicate in ambito clinico per comprendere meglio il comportamento delle persone in specifici contesti sociali. 3. ORIGINE, EVOLUZIONE E FUTURO DELLA PSICOLOGIA SOCIALE 3.1 Le origini della psicologia sociale Rintracciare le origini di una qualsiasi disciplina non è semplice, tanto meno per la psicologia sociale. La difficoltà risiede nell’individuare un criterio condiviso dalla comunità scientifica. Se ci si riferisce alla prima volta in cui è stato utilizzato il termine "psicologia sociale" in ambito scientifico le origini sono italiane e risalgono al 1864. Se facciamo riferimento alla pubblicazione dei primi manuali ci riferiamo al 1908. 3.2 L’evoluzione della psicologia sociale Negli anni 20 e 30 la psicologia sociale si affermò come vera e propria disciplina, almeno nel contesto statunitense. Durante quei decenni furono condotti innumerevoli studi di stampo psicosociale: gran parte di questi si proponevano di studiare gli atteggiamenti delle persone, tema che riveste un'importanza cruciale per la psicologia sociale di quegli anni e per molti decenni successivi. Negli anni 30 furono anche condotti ingegnosi studi di laboratorio, come quello basato sull'effetto illusorio dell'autocinesi, per esplorare come si formino le norme sociali e gli atteggiamenti degli individui attraverso l'interazione con gli altri. Tali studi furono di grande ispirazione per uno dei più consistenti e importanti ambiti di ricerca della psicologia sociale, l'influenza sociale. La fonte ispiratrice più grande per l'avvio di questo filone di ricerca fu la Seconda guerra mondiale e in particolare l'instaurazione del regime nazionalsocialista in Germania e quello fascista in Italia. Tra gli anni 40 e 50, gli studiosi psicosociali si trovarono a dover rispondere a domande rilevanti, ad esempio, come è stato possibile che tali dittature abbiano avuto un così alto consenso popolare? E quali sono stati i processi psicologici di reciproca influenza che hanno determinato comportamenti collettivi così tanto aggressivi? Significative risposte sono state fornite dalle ricerche sul conformismo di Solomon Asch e sull’obbedienza all’autorità di Milgram. La Seconda guerra mondiale e l'inizio degli studi sull'influenza sociale contribuirono anche alla diffusione delle idee della psicologia sociale nel contesto europeo, appunto, infatti, tra gli anni 60 e 70 la psicologia sociale si affermò anche in Europa. Un significativo contributo per tale affermazione fu fornito dalle teorie sull’ influenza sociale delle minoranze (Moscovici), che rappresentano un innovativo punto di vista rispetto a ciò che era stato mostrato fino ad allora sull'influenza sociale. Gli anni 70 e 80 rappresentarono il punto di incontro tra la psicologia sociale e quella cognitiva, in cui dunque si è assistito a un crescente interesse nello studio empirico dei processi cognitivi di base che regolano la comprensione individuale dell'ambiente sociale circostante. Un'ulteriore significativo sviluppo della psicologia sociale si è avuto negli anni 90, in cui la prospettiva evoluzionistica e quella delle neuroscienze hanno avuto e stanno avendo un'importante influenza nella comprensione del comportamento sociale degli individui. 3.3 Psicologia sociale 2030: le direzioni future Negli ultimi decenni, gli ambiti di studio della psicologia sociale si sono espansi e diversificati,includendo temi come l'evoluzione, l'aggressività o l'altruismo ai comportamenti prosociali. Parallelamente a questa rapida espansione della disciplina e dei temi studiati, la psicologia sociale sta avendo una crescente visibilità nell'opinione pubblica. Tuttavia, seppur questo sia un segnale indubbiamente incoraggiante, molti sforzi devono essere ancora fatti, soprattutto nel contesto italiano, per aumentare ulteriormente l'impatto di questa disciplina sulla società e soprattutto a fronte della grande rilevanza di gran parte dei fenomeni studiati. 3 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Riassunto CAPITOLO 2: Fare ricerca in psicologia sociale 1. TEORIE, IPOTESI E VARIABILI: COSA SONO? Lo studioso di psicologia sociale cerca di sviluppare teorie che lo aiutino a comprendere le interazioni tra le persone e più in generale la vita sociale degli individui. L’oggetto di studio di interesse è lo stesso sia per lo scienziato ingenuo che per quello professionale: Per lo scienziato ingenuo - Le teorie sono soprattutto basate su osservazioni casuali ed episodiche, - Spesso le teorie riguardano esperienze personali o modelli appresi implicitamente. Per lo scienziato professionale - Le teorie sono più complesse e formali, - Esse saranno più articolate e verbalizzate esplicitamente, - Le teorie sono spesso basate sul lavoro precedente degli altri ricercatori e sulla comunità scientifica. 1.1 Le teorie scientifiche Le teorie scientifiche si propongono di spiegare e prevedere dei fenomeni in modo sistematico, proponendo una serie di affermazioni che specificano le relazioni spesso causali tra concetti e variabili relative al fenomeno di interesse. Affinché una teoria si possa definire scientifica sono necessari alcuni elementi essenziali (Corbetta): 1. Una teoria è un insieme di proposizioni organizzate sulla base di regole logiche che non si contraddicono mai; 2. è collocata ad un alto livello di astrazione e generalità; 3. La teoria deriva da una serie di osservazioni empiriche che rilevano una certa regolarità del fenomeno di studio e tramite ulteriori osservazioni empiriche sarà poi vagliata; 4. Infine, una teoria scientifica è in grado di generare previsioni e spiegazioni che trascendono il contesto in cui è stata creata. 1.2 Ipotesi, variabili dipendenti e indipendenti Abbiamo detto che una teoria consiste in un’insieme di proposizioni che possono essere di diversi tipi, tra le quali emerge l’IPOTESI, cioè un’affermazione che mette in relazione due o più concetti. Spesso riducibili a “Se X, allora con una certa probabilità Y”. La possibilità di verificare empiricamente un’ipotesi è un requisito fondamentale del processo scientifico e distingue i campi di studio empirici da quelli non empirici. A questo scopo è necessario che l’ipotesi venga operazionalizzata, cioè che i concetti che la compongono siano associati a eventi osservabili e quantificabili. Questo è possibile tramite definizioni operative dei concetti che trasformeranno l'ipotesi concettuale ad IPOTESI OPERATIVA. Quando un concetto viene operazionalizzato, esso si trasforma in VARIABILE, cioè un’entità empiricamente rilevabile che può assumere diversi valori. Quando l’ipotesi prevede un nesso di causa-effetto tra le due variabili, la variabile a cui viene assegnato il ruolo di causa viene chiamata Variabile indipendente, mentre la variabile su cui si vuole verificarne l’effetto prende il nome di Variabile dipendente. Un aspetto critico è proprio quello di operazionalizzazione: chi può dire con certezza che una certa definizione operativa è meglio di un’altra? Un concetto può essere oggetto di molteplici definizioni operative e tra queste il ricercatore dovrebbe scegliere la definizione operativa più vicina e sovrapponibile con il concetto che si vuole esaminare. I passaggi fondamentali del metodo scientifico Il metodo scientifico si propone di cercare dei riscontri empirici a qualsiasi ipotesi venga avanzata, senza però affidarsi ai dati empirici come “fatti” di incontrovertibile affidabilità. Il primo passo è la formulazione delle ipotesi; il secondo richiede la scelta tra i diversi approcci di ricerca, per poi passare alla raccolta dei dati e successivamente all’analisi di quest’ultimi. Subito dopo avviene l’interpretazione dei risultati, ovvero un commento dei risultati ottenuti in relazione alle ipotesi e a quanto già presente in letteratura e infine l’ultimo step è rappresentato dalla presentazione dei risultati, nonché pubblicazione alla comunità scientifica e comunicazione al contesto più allargato dei 4 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 risultati della ricerca. 2. LIVELLI DELL’INDAGINE EMPIRICA Nell’ambito della psicologia sociale è di fondamentale importanza decidere quale sia lo scopo della ricerca, stabilendo il livello dell’indagine empirica a cui attenersi. Questi tre livelli di indagine caratterizzano sia le scienze sociali che le scienze fisiche e che raramente una ricerca si colloca esclusivamente a uno solo di questi livelli. È possibile mettere in evidenza tre opzioni: L’indagine descrittiva:Le indagini descrittive svolte attraverso l'utilizzo dell'osservazione, cioè la raccolta dei dati attraverso la vista e in generale i propri sensi dei questionari e delle ricerche d'archivio. Generalmente si possono avere delle ricerche descrittive di buona qualità in due casi piuttosto diversi: 1. Il primo è quello in cui si portano avanti rilevazioni molto approfondite su pochi casi; 2. Oppure una buona descrizione potrebbe essere fatta rivolgendo poche domande a un campione più ampio e rappresentativo possibile. Le indagini descrittive, soprattutto in psicologia sociale, possono costituire il primo approccio a un'area di ricerca e possono aiutare ad arrivare a definizioni operative dei concetti più precise. L’indagine correlazionale: Le indagine correlazionali hanno lo scopo di studiare come ciò che accade a livello comportamentale sia in relazione con altri fattori e condizioni. Le indagini correlazionali hanno il pregio della praticità e della flessibilità. Possono essere indagate contemporaneamente le relazioni tra molte variabili, rilevabili attraverso diverse misure. È possibile coinvolgere un ampio numero di partecipanti, soprattutto se i dati vengono raccolti tramite questionario. È di fondamentale importanza tenere a mente due problemi che caratterizzano le indagini di tipo correlazionale: - l’esistenza di una correlazione non costituisce una prova sul nesso causa-effetto delle medesime variabili, semplicemente covariano insieme; - variabile interveniente: la relazione tra variabili X e Y può essere dovuta ad una terza variabile K, che le determina entrambe Es.) Siccome crescono i contagi, questo causa il comportamento delle persone che si mettono la mascherina. Può essere anche l’inverso. L’indagine sperimentale: Le indagini sperimentali vengono usate per testare la veridicità di una relazione causa-effetto tra variabili, e quindi per testare un numero ridotto di ipotesi specifiche. Le principali caratteristiche di questo tipo di indagine sono tre (Fiske): - Manipolazione sperimentale, ossia la manipolazione di una o più variabili indipendenti per verificare gli effetti su una o più variabili dipendenti. Devo intervenire quindi sulla realtà creando eventi diversi. Es) In un esperimento avrò una condizione sperimentale e il gruppo di controllo; - Controllo: strettamente legato alla presenza di una manipolazione. Il ricercatore deve poter esercitare un livello di controllo estremamente elevato sul contesto sperimentale, in modo che l’unica differenza che può condizionare i risultati sia l’intervento sperimentale - Randomizzazione, ossia la possibilità che ogni partecipante abbia le stesse probabilità degli altri di essere assegnato alle diverse condizioni sperimentali. Assegnando a caso un numero sufficiente di persone alle condizioni sperimentali si otterranno gruppi probabilisticamente equivalenti. Il limite sta nell’artificialità della situazione, visto che è tutto controllato in laboratorio. La validità esterna consiste nel ricreare una situazione verosimile in laboratorio. Infatti all'interno del laboratorio possono essere mantenuti costanti, a esclusione della variabile indipendente, tutti gli altri elementi (l'ambiente, la temperatura, le istruzioni fornite dal ricercatore). 2.3.1 Esperimenti sul campo e in laboratorio Gli esperimenti sul campo cercano di collocarsi in una posizione intermedia tra un contesto naturalistico poco controllato e uno artificiale troppo controllato. Si svolgono in ambienti naturalistici dove si cerca di manipolare la variabile indipendente, ma si rinuncia alla randomizzazione. Il risultato è un quasi-esperimento, ossia uno studio sperimentale dove i gruppi osservati non sono stati creati tramite randomizzazione. Gli svantaggi di questo tipo di ricerca è che la situazione non è controllabile quanto lo è in un esperimento svolto in laboratorio, perciò risulta difficile eliminare l'impatto delle influenze esterne (quindi bassa validità interna, ma alta validità esterna che porta risultati generalizzabili con più facilità). È importante che gli esperimenti siano realistici? 5 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 La psicologia sociale è nota per alcuni esperimenti particolarmente coinvolgenti per i partecipanti, come quello del carcere di Stanford. La caratteristica principale, oltre l'importanza della tematica trattata, è il realismo della procedura. A questo punto è importante distinguere almeno due tipi di realismo. 1) Realismo mondano: caratterizzato dallo sforzo di rendere l’esperimento in tutto e per tutto simile a ciò che effettivamente accade nella realtà. Es) Studi dell’obbedienza di Milgram e il carcere di Zimbardo; 2) Realismo psicologico: si ottiene quando la procedura sperimentale è in grado di attivare gli stessi processi psicologici che agiscono al di fuori del contesto del laboratorio. 3. I METODI DI RACCOLTA DEI DATI La costruzione dei dati parte dal processo dell’operazionalizzazione, che va dal concetto astratto alla variabile empirica. E’ importante comprendere alcune dimensioni generali su cui possono variare le misure adottate: - Fonte della registrazione o osservazione: che può essere il partecipante stesso o un’altra persona. Es. partecipanti, ricercatore stesso, organizzazioni come l’ISTAT...:; - Grado di intrusività di una misura: ossia il grado di consapevolezza del partecipante di essere oggetto di studio (meno intrusività = più veridicità nel comportamento adottato dal partecipante); - Misura del metodo di raccolta dati adottato: che può distanziarsi molto dalla tipologia di comportamento concreto che si vuole rilevare (misurare l’intenzione, il resoconto passato...). 3.1 I self-report Questa categoria racchiude tutte le misure che si basano sulla testimonianza diretta del partecipante alla ricerca. Tramite i self-report si possono indagare una grande varietà di costrutti psicologici. Le misure self-report sono particolarmente semplici ed economiche da implementare e somministrare e permettono di indagare i processi psicologici che sottendono a un certo comportamento. L’intrusività le rende inadatte a indagare temi particolarmente delicati in termini di immagine sociale. 3.2 Archivio e tracce Le ricerche d’archivio si basano su dati raccolti precedentemente per scopi indipendenti da quelli della ricerca attuale. Vengono utilizzati frequentemente come interviste e quotidiani e permettono di confrontare i cambiamenti del comportamento sociale su un arco temporale piuttosto lungo. Le tracce, invece, sono una tecnica di raccolta dei dati che ha molte affinità con la ricerca d’archivio. Osservando le tracce fisiche dei comportamenti attuati è possibile quantificare tali comportamenti nel tempo e nello spazio. Hanno molte affinità con le ricerche d’archivio: i partecipanti non sanno di essere stati oggetti di una ricerca e ciò comporta una minore intrusività della ricerca. Queste tecniche rilevano variabili più vicine all’effettivo comportamento. Un limite consiste nel fatto che spesso i ricercatori si devono accontentare di operazionalizzazioni di fortuna Es.) Difficile operazionalizzare il tempo trascorso in un certo posto dal numero di sigarette per terra. 3.3 L’osservazione Osservare e annotare ciò che la gente fa è un ottimo modo di conoscere un fenomeno, soprattutto quando si hanno poche informazioni a disposizione. Tramite l’osservazione si accede direttamente al comportamento, ma la presenza del ricercatore in un certo contesto potrebbe alterarlo rendendolo poco rappresentativo. 3.4 Le misure psicofisiologiche Consistono nell’acquisire in modo raffinato e puntuale molteplici informazioni relative al substrato fisiologico che accompagna i processi psicologici e il comportamento. Possiamo individuare due tipi di misure psicofisiologiche: 1. Misure periferiche, cioè centrate sull’attività del sistema nervoso autonomo e periferico, 2. Misure dirette delle attività cerebrali, complessità di implementazione e costi elevatissimi di utilizzo. 3.5 Le misure implicite Negli ultimi vent’anni si è assistito anche alla diffusione delle cosiddette misure implicite, cioè di misure che valutano pensieri e sentimenti delle persone senza chiederglielo in modo diretto. Lo scopo è di accedere a dei contenuti che sono difficilmente accessibili tramite introspezione. Le misure implicite si basano sui tempi di interferenza cognitiva. 4. LA QUESTIONE DELLA REPLICABILITÀ NELLA RICERCCos’è l’implicit association test (IAT)? Lo IAT è una procedura molto usata per rilevare la forza dell’associazione tra valutazioni e concetti oppure oggetti sia fisici che sociali. 6 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Riassunto CAPITOLO 3: La cognizione sociale 1. COGNIZIONE+SOCIALE: UN ARRICCHIMENTO RECIPROCO 1.1 Verso una definizione 7 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Cognizione sociale è un termine molto ampio e non ha un tema specifico. Essa descrive le modalità e i processi con le quali le persone codificano, elaborano, ricordano e utilizzano informazioni nei contesti sociali allo scopo di comprendere il comportamento altrui. Studia le strutture e i processi che permettono alle persone di pensare e dare un senso a sé stesse, agli altri e alle situazioni sociali. Si indaga quindi la percezione degli individui influenzata dal contesto sociale, ma anche i fattori motivazionali e le risposte emotive/comportamentali. Nel corso dei decenni, la cognizione sociale, ha subito delle evoluzioni che hanno dato vita a diversi modelli: 1. 1950 Modello del ricercatore di coerenza: in cui il pensatore sociale è visto come un individuo alle prese con la risoluzione delle discrepanze percepite tra le proprie cognizioni, emozioni e i comportamenti. 2. 1970 Modello dello scienziato ingenuo: qui gli individui sono concepiti come esseri razionali, scienziati alla ricerca di una spiegazione plausibile dei comportamenti delle persone e delle cause dei fenomeni sociali. 3. 1980 Modello di economizzatore di risorse cognitive: evidenzia come gli esseri umani, sotto pressione temporale, siano propensi all’utilizzo di processi rapidi e poco controllati. 4. 1990 Modello dello stratega motivato: qui la motivazione gioca un ruolo centrale, gli individui utilizzerebbero i processi a loro disposizione in modo strategico per ottenere i propri obiettivi. 1.2 Per capire la cognizione sociale: i principi e i costrutti Gli esseri umani sono soggetti ad alcuni principi di elaborazione cognitiva: - l’ACCESSIBILITÀ: Essa cambia da contesto a contesto e più le informazioni sono accessibili e più esercitano un’influenza sulla nostra vita mentale, sul nostro modo di percepire gli altri e di interpretare la realtà. Esempio: Ad una festa penserò a divertirmi e non al test di matematica fra una settimana. - PROFONDITÀ DI ELABORAZIONE: L’individuo, quando può, tende a risparmiare energie cognitive e ad affidarsi ad una elaborazione superficiale e rapida e utilizza processi automatici. Come ad esempio, le Euristiche. - CONSERVATORISMO: Gli individui tendono a conservare le proprie idee di partenza, le proprie impressioni, le proprie ipotesi e i propri schemi pregressi. Per questo è difficile modificare il giudizio sociale che abbiamo elaborato sugli altri o il contenuto degli stereotipi sociali. In aggiunta ai principi di elaborazione cognitiva qui descritti , la cognizione sociale si è occupata anche di fattori motivazionali e interazione dei processi cognitivi e motivazionali, suddivisi in: Principi motivazionali direzionali: quei principi che interagiscono con i processi cognitivi per portare l’esito del percorso verso una conclusione desiderata. All’interno di questo gruppo troviamo la spinta e la propensione a valorizzare sé stessi. Principi motivazionali non direzionali: determinati dalla propensione verso il raggiungimento di un senso di padronanza del proprio mondo. Non è rivolta ad una conclusione specifica, ma in generale alla comprensione e spiegazioni di eventi, con successive previsioni attendibili. In particolare, la cognizione sociale può essere spiegata facendo riferimento a due classi di processi: ❖ Processi controllati: attivati e terminati consapevolmente, richiedono una quantità di risorse cognitive e svolgono le loro funzioni sotto il controllo volontario dell’individuo; ❖ Processi automatici: si attivano in modo non intenzionale e non sono consapevoli, richiedono una quantità di risorse cognitive ridotta e non possono essere interrotti volontariamente, generano impressioni che potremmo definire intuitive. Fa parte di questa categoria l’effetto priming che è un processo per cui l’esposizione a uno stimolo influenza la risposta in momenti successivi. Nella realtà la situazione è molto più sfumata e possiamo trovarci di fronte a processi automatici o controllati che hanno solo una delle caratteristiche elencate, ad esempio possiamo iniziare volontariamente un processo e poi non controllarne lo svolgimento e il percorso. In cognizione sociale possiamo distinguere i processi: - Bottom up: caratterizzati da una percezione sociale guidata da schemi, rappresentazioni che accorciano il lavoro cognitivo e possono condurre a errori e distorsioni. - Top down: partono dall’osservazione accurata e dall’analisi della situazione sociale. Essi sono più accurati ma più dispendiosi in termini di tempo e risorse cognitive. Le scorciatoie del pensiero: le euristiche Le euristiche ci aiutano a risparmiare tempo e fatica nel formulare giudizi. Le euristiche sono scorciatoie di pensiero, delle strategie di risoluzione di problemi che si affidano all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze più che a processi controllati. Esse sono rapide e facili, ma possono determinare un'elaborazione non obiettiva delle informazioni. 8 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Due tipi di euristiche più comunemente usati: - L'euristica della rappresentatività è la tendenza ad assegnare una serie di attributi a qualcuno, se risponde al prototipo di una certa categoria. In altre parole, è un modo semplice e veloce per dividere le persone in categorie; - L'euristica della disponibilità è la tendenza a giudicare la frequenza o la probabilità di un evento in base a quanto facilmente vengono in mente esempi di tale evento. È affine al concetto di accessibilità nella misura in cui un concetto torna rapidamente alla mente. La differenza sta nel fatto che la disponibilità può essere riferita all'esperienza di accessibilità soggettiva di una persona, mentre l'accessibilità viene considerata in genere una misura oggettiva di rapidità con cui si ricorda qualcosa, senza che la consapevolezza esplicita ne sia una componente necessaria. 2. “CONOSCI TE STESSO”: PENSARE SE STESSI, PENSARE GLI ALTRI 2.1 Gli schemi di sé e la percezione sociale Gli schemi di sé sono strutture di conoscenza, generalizzazioni cognitive derivate dalle esperienze passate, che organizzano in memoria e ordinano tutte le rappresentazioni che la persona ha dei propri attributi ed episodi sociali. Le persone hanno più schemi relativi a dimensioni diverse e flessibili. Queste strutture svolgono funzioni diverse: - facilitano l’elaborazione delle informazioni riguardo al Sè in domini specifici e regolano le funzioni esecutive, - favoriscono il ricordo di informazioni ed episodi che ci hanno coinvolto, - guidano il nostro comportamento futuro. Lo schema di sé non condiziona solo l’elaborazione di informazioni ma influenza anche la percezione sociale. 2.2 La relazione tra la percezione del sé e la percezione degli altri La tendenza generale è quella di pensare che gli altri la pensino come noi, si comportino come noi, decidano come noi. Questo fenomeno è chiamato in letteratura come EFFETTO DEL FALSO CONSENSO (Ross, Greene e House 1977), come quello delle “echo chambers” che caratterizzano l’interazione attraverso i social media. Per questi motivi, proprio perché tendiamo a un bias egocentrico nella cognizione sociale, studiare lo schema di sé ci fornirà informazioni circa il come percepiamo gli altri attori sociali. Le persone tendono a proiettare le caratteristiche del sé sul proprio gruppo di appartenenza più che su un gruppo diverso (Self anchoring). Il concetto di identità sociale viene definito sulla base dell’appartenenza a un gruppo sociale, iniziando ad attribuire a sé stessi le caratteristiche tipiche di quel gruppo attraverso un processo di autostereoptipizzazione. Gli stereotipi che servono a definire i membri delle categorie sociali influenzano anche la percezione di sé. 3. LA FORMAZIONE DELLE IMPRESSIONI E IL LORO (DIFFICILE) AGGIORNAMENTO Lo studio del processo di formazione di impressioni si occupa di comprendere come le persone sviluppano un giudizio sociale sugli altri partendo dai primissimi millisecondi della percezione,percezione, come la perfezionano attraverso meccanismi più controllati ed elaborati e come (in alcuni casi) riescono ad aggiornarlo e modificarlo. È un processo di organizzazione in una struttura coerente di conoscenze delle informazioni relative a un individuo, legate sia da un’esperienza diretta sia attraverso inferenze legate al processo top-down. A colpo d’occhio: la formazione di impressioni e aspetto fisico Un filone di ricerca si è occupato di studiare gli effetti che l’aspetto delle persone ed elementi superficiali immediatamente osservabili hanno sulla formazione di impressioni e sul giudizio sociale. Ben noti sono gli studi sull’EFFETTO ALONE per cui si attribuiscono caratteristiche positive a partire dalla bellezza e dell'avvenenza delle persone. Todorov e Oosterhof studiano la relazione tra le caratteristiche fisiche di un volto e l’attribuzione di tratti sociali. Vi è una sorta di rappresentazione condivisa dove dei tratti del viso corrispondono a una dimensione sociale (dominanza, attrattività, affidabilità e socievolezza. Da sinistra un crescendo verso destra) 3.1 L’organizzazione e l’integrazione Nel 1946 Salomon Asch propone il MODELLO CONFIGURAZIONALE e ha condotto una serie di studi per supportarlo: prende un campione di persone e lo divide in due in modo casuale. Al primo da una descrizione di una persona xy = intelligente, operosa, impulsiva, testarda, invidiosa; all’altro gruppo dice che la persona zy = ha le stesse caratteristiche di prima ma inversamente. Risulta che nel primo caso rispetto alla sequenza opposta, le persone si formano un’impressione migliore: questo perché i tratti che vengono detti prima guidano i tratti detti dopo e questo è quello che si definisce EFFETTO PRIMACY. Quindi nel secondo caso ci sarà l’EFFETTO RECENCY. Questa non è l’unica prospettiva, partendo da un approccio teorico differente è possibile spiegare il processo di formazione di impressioni utilizzando il MODELLO ALGEBRICO di Anderson (1981), secondo il quale ad ogni 9 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 tratto l’individuo associa una valenza e un peso cognitivo (es. intelligente, molto positivo disordinato, negativo) e l’impressione globale è data dalla somma algebrica dei suoi tratti. 3.2 Colmare le lacune: le interferenze sociali I modelli fino a qui descritti analizzano cosa succede quando si hanno a disposizione delle informazioni sulle altre persone, ma esistono numerosi casi in cui i dati a nostra disposizione sono limitati e la nostra rappresentazione risulta lacunosa. Tuttavia, non ci accontentiamo di un sapere parziale e colmiamo queste lacune con le inferenze, basandoci sulle caratteristiche che conosciamo di chi ci sta di fronte e le arricchiamo sulla base dei nostri schemi e delle nostre conoscenze pregresse (relative al mondo sociale). Questa spinta a padroneggiare il nostro universo sociale è così radicata da influenzare anche la percezione di agenti non umani e persino inanimati (antropomorfizzazione). Nella nostra mente sono presenti degli schemi, delle Teorie implicite di personalità (Schneider 1973) mente, in cui alcuni tratti sono associati ad altri con minore o maggiore intensità con le quali percepiamo le caratteristiche di un attributo e facciamo delle inferenze circa l’esistenza di altri attributi ad esso associati. Queste associazioni possono avvenire su base semantica (ad esempio cauto associato a timido) o su base valutativa (ad esempio egoismo e avarizia). Sono teorie ingenue, ossia non sono teorie scientifiche che studiano in modo accurato l’associazione tra tratti, ma sono credenze socialmente condivise circa quali caratteristiche si accordano tra di loro e quali no. L’antropomorfizzazione di agenti non umani L’antropomorfizzazione è un processo inferenziale che può considerarsi inverso alla deumanizzazione e consiste nella tendenza a umanizzare entità viventi, non viventi o immaginarie: animali, elementi della natura (“madre natura”) oggetti comuni, macchine, robot…. La nostra mente è molto portata a farlo poiché abbiamo schemi relativi all’esperienza di esseri umani altamente disponibili in memoria, che usiamo per spiegare eventi o azioni compiute da agenti non umani (di cui abbiamo schemi meno accessibili e definiti). 3.3 Dimmi cosa fai e ti dirò chi sei: interferenze comportamento-tratto Nel nostro contesto sociale, noi non abbiamo accesso immediatamente ai tratti delle persone: quindi ci affidiamo ai comportamenti messi in atto e cerchiamo di spiegarli (soprattutto se inusuali). Partendo dall’osservazione delle azioni compiute, mettiamo in atto un’inferenza corrispondente: ossia le persone si impegnano in un processo di attribuzione causale finalizzato alla comprensione della connessione esistente tra una certa azione, un certo comportamento e le sue condizioni soggiacenti. Questo perché gli esseri umani sono guidati dal bisogno motivazionale fondamentale di comprendere il mondo sociale che li circonda. Nel fare le inferenze sociali, secondo la teoria dell'inferenza corrispondente di Jonas e Davis, si cerca di attribuire l'azione compiuta da un attore a una caratteristica stabile della personalità. Si presuppone infatti che le persone preferiscano le attribuzioni disposizionali (fattori interni), poiché individuano una causa interna all’individuo, rispetto ad attribuzioni situazionali/ambientali (fattori esterni), che invece sono meno stabili e troppo mutevoli. Ad esempio, le Pressioni sociali. Queste due categorie di variabili che possono spiegare il comportamento non hanno però lo stesso peso. Le persone hanno bisogno di costruire una rappresentazione della realtà sociale sufficientemente stabile e affidabile che permetta loro di fare anche delle previsioni sul comportamento futuro dell'attore. L'osservazione di un comportamento genera un inferenza corrispondente quando l'azione ha alcune caratteristiche particolari: - è percepita come libera e intenzionale; - è inaspettata, atipica, scarsamente desiderabile a livello sociale o non corrispondente al ruolo dell'attore; - ha effetti distintivi che non possono essere spiegati da altri fattori. 3.4 La prima impressione è quella che conta? Il conservatorismo e il processo di aggiornamento delle impressioni Gli esseri umani nei loro processi di elaborazione tendono a essere pigri e conservatori, ovvero sono scarsamente propensi a modificare le proprie idee sugli altri una volta che ne hanno, soprattutto se questo richiede una ricerca e un'elaborazione di nuovi dati. Questo bias di conferma nella formazione di impressioni opera attraverso: La quantità e il tipo di informazioni che la persona ricerca per giudicare il target; L'interpretazione ,il ricordo e il giudizio sulle nuove informazioni ricevute; La risposta comportamentale. 10 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Questa marcata tendenza al conservatorismo, una volta che l'individuo si è formato una prima impressione su un'altra persona, è problematica almeno per due motivi: 1. Le nostre prime impressioni non si basano sempre su elementi solidi e rilevanti, ma anche su processi estremamente superficiali; 2. La formazione di impressioni è fortemente influenzata dalle prime evidenze empiriche. Parliamo di correlazioni illusorie quando ci illudiamo che esista un’associazione tra due eventi in realtà inesistenti o quando non è presente un’associazione esistente. Questi tipi di associazione enfatizzano i meccanismi alla base della correlazione illusoria e possono influenzare ad esempio, non solo la nostra fiducia nell’oroscopo, ma anche l’utilizzo di stereotipi sociali. In un loro esperimento classico, Hamilton e Gifford chiesero ai partecipanti di leggere le informazioni sui membri dei due gruppi A e B appositamente costituiti. Sul gruppo A (la maggioranza) venivano fornite il doppio delle informazioni rispetto al gruppo B (la minoranza). Inoltre, tra le informazioni fornite per entrambi i gruppi, quelle sui comportamenti desiderabili erano il doppio rispetto ai comportamenti indesiderabili 4. “(LORO) SONO TUTTI UGUALI”: LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE E GLI STEREOTIPI I meccanismi di elaborazione delle informazioni, non lavorano solo a livello del sé o a livello interpersonale, ma anche nella percezione dei gruppi sociali e dei membri di questi gruppi. Il paradigma del priming per studiare gli stereotipi Il priming è una tecnica per cui l’esposizione a uno stimolo influenza la risposta dell’individuo ad altri stimoli in momenti successivi, in modo automatico e in assenza di controllo consapevole. 4.1 La categorizzazione sociale Una CATEGORIA è una struttura di conoscenza che porta a raggruppare un insieme di stimoli con una serie di caratteristiche condivise. La categorizzazione è il "processo estremamente adattivo di comprensione di qualcosa sapendo a quali altre cose è equivalente e rispetto a quali altre cose è differente". La categorizzazione consente di classificare gruppi di oggetti, eventi, opinioni, atteggiamenti, concetti o persone Si basa sulla riduzione delle molteplici unità, attraverso l’assimilazione in una stessa classe di componenti originariamente distinti tra loro. È un modo per etichettare alcuni gruppi di elementi, affermando che sono tutti collegati gli uni agli altri in qualche modo (ad esempio "cani", "mobili", "verdure") e in modo da confrontare un elemento con un altro (ad esempio, "inglese" e "francese" oppure "jazz" e "pop"). Si basa su un processo di astrazione (no ai dettagli peculiari dell’individuo, sì ai tratti comuni del gruppo) e di generalizzazione (tutti i membri di una categoria hanno le stesse caratteristiche). Risponde al principio di economia cognitiva (ci risparmia sforzo cognitivo per un’immediata rappresentazione). È la base dei processi inferenziali (associo delle caratteristiche a questi gruppi sociali). Permette una risposta comportamentale rapida e efficace e consente di semplificare enormemente il contesto sociale (cognizione sociale = processo adattivo). La categorizzazione di membri meno tipici può essere più lenta o soggetta a errori, perché essi sono meno disponibili. Nessuna persona (noi compresi) appartiene a una sola categoria sociale, ma a diversi gruppi simultaneamente (modelli di categorizzazione multipla, dove i diversi criteri si attivano simultaneamente ed entrano in una sorta di “competizione per la dominanza"). La categorizzazione porta a delle distorsioni percettive che si traducono in un’accentuazione delle differenze tra gli esemplari che appartengono a categorie diverse (Principio di accentuazione intercategoriale) e in un’accentuazione delle somiglianze tra gli esemplari che appartengono alla stessa categoria (Principio di assimilazione intracategoriale). Esperimento di Tajfel e Wilkes: Presentarono a degli studenti una serie di 8 linee rette che si differenziavano tra loro in modo costante. Le linee venivano presentate ad un partecipante una alla volta, in ordine casuale e più volte. Condizione sperimentale = le 4 linee più corte erano sempre etichettate con la A, quelle più lunghe sempre con la B (categorizzazione linee A e B). Condizione di controllo = linee presentate senza alcuna etichetta. Al termine della presentazione, veniva chiesto a tutti di stimare la lunghezza di ciascuna linea. Risultati = nella condizione sperimentale, la salienza della categorizzazione delle linee corte A e lunghe B ha portato i partecipanti ad esagerare le differenze tra i due gruppi di linee (si riscontrava nelle due linee più vicine A e B, stimate il doppio rispetto alla differenza reale) Perché categorizziamo? Perché desideriamo usarle? In primis perché fa risparmiare tempo ed elaborazione cognitiva. Stereotipizzare è veloce e fornisce numerose informazioni su persone che non conosciamo. 11 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Secondo, la categorizzazione chiarisce e affina la nostra percezione del mondo. La categorizzazione genera significato, riduce l'incertezza e consente di prevedere il comportamento sociale. Le categorie variano, non solo nel contenuto, ma anche nella struttura. Quando la categoria è eterogenea è percepita come costituita da molti tipi diversi di persone. Quando è omogenea, viene percepita come costituita solo da pochi tipi di persone, tutte molto simili tra loro. In media, questa tendenza a percepire i membri di un gruppo come tutti simili tra loro nei contesti intergruppo sembra essere più evidente nel nostro concetto di out-group, rispetto a come consideriamo gli ingroup questa tendenza è definita effetto di omogeneità dell'outgroup. Parliamo invece, di Teoria dell’auto-categorizzazione, quando, l'individuo definisce sé stesso anche in base all’appartenenza a categorie sociale e, quando ne attiva una, inizierà a vedere nell’altro non più una singola persona ma un membro del suo stesso gruppo o di un gruppo differente, in base alla percezione di una maggiore somiglianza entro le categorie ingroup e outgroup e una maggiore differenziazione tra di esse (principio del metacontrasto). Secondo Turner e colleghi (1987), l’accesso ad una determinata categoria dipenderebbe dall’accesso comparativo e dall’accesso normativo: ACCESSO COMPARATIVO: la categorizzazione è guidata dalla salienza degli stimoli presenti in un determinato contesto e in uno specifico arco temporale. - Più precisamente, per il principio del metacontrasto, un insieme di stimoli viene maggiormente percepito come un’entità quando il livello di discrepanza al proprio interno è < della discrepanza tra quell’insieme e altri (all’interno del contesto comparativo). Es.) Tu donna Sali su un autobus a mezzanotte, dove c’è solo un’altra donna indiana e poi il resto sono tutti maschi → la categoria di genere diventerà saliente per descrivere noi e gli altri, perché è quella che spiega meglio la discrepanza fra gli stimoli presenti nella situazione ACCESSO NORMATIVO: la scelta di utilizzare una categoria piuttosto che un’altra per autodefinirsi non dipende solo dal contesto, ma viene anche influenzata da preferenze specifiche e stabili del soggetto o L’accesso ad una categoria è favorito quando essa risulta in accordo con il sistema di credenze dell’individuo e con le norme socialmente elaborate. 4.2 Gli stereotipi sociali La rappresentazione dei diversi gruppi sociali è definita sulla base degli STEREOTIPI SOCIALI. Uno stereotipi è uno schema cognitivo che associa a un determinato gruppo o categoria una serie di caratteristiche distintive e comportamenti tipici. Il termine “stereotipi” coniato da Lippmann (1922), indicava originariamente lo stampo tipografico da cui derivano tutte le copie identiche dello stesso giornale. Le principali caratteristiche sono: - Hanno un alto valore adattivo - Sono molto utili nella regolazione della nostra vita sociale - Introducono la semplicità e l’ordine là dove sono presenti una complessità ed una variazione casuale - Svolgono un'importante funzione inferenziale perché, come le teorie implicite della personalità, colmano le lacune della nostra conoscenza e ci forniscono dati utili sulla nostra risposta comportamentale rispetto ad un target anche sconosciuto. Svolgono, inoltre, diverse funzioni: ➔ Funzione descrittiva: descrivono come sia un gruppo sociale, inglobando delle convinzioni su quel gruppo condivise in un dato contesto sociale. ➔ Funzione prescrittiva: forniscono informazioni su come comportarsi nei confronti dei membri di un determinato gruppo sociale, ma anche sul come ci si deve comportare per essere un buon membro del proprio gruppo. ➔ Funzione protezione dello statu quo: legittimano l’organizzazione gerarchica esistente della società. Gli stereotipi si formano principalmente tramite processi di socializzazione, apprendimento sociale e contesto culturale. Ma anche attraverso osservazioni ed esperienze dirette. - Osservazione : del comportamento di specifiche categorie sociali, ci portano a fare un’inferenza corrispondente dal comportamento al tratto (e a generalizzarlo poi all’intera categoria) Sfugge all’osservazione che il comportamento possa essere determinato dalla condizione sociale del gruppo e dal ruolo svolto all’interno della società Es.) al ruolo della donna di accudire i figli associamo tratti come “dolcezza”, “sensibilità”... - Esperienze dirette : con i membri di una certa categoria sociale. L’interazione con individui che appartengono a certi gruppi ci fornisce, infatti, delle informazioni (positive o negative) che possono essere 12 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 generalizzate all’intera categoria. Riassunto CAPITOLO 4: L’influenza sociale 1. CHE COS’È L’INFLUENZA SOCIALE Nel 1954, Gordon Allport, uno dei padri fondatori della psicologia sociale. ha definito la disciplina come lo studio scientifico del modo in cui i nostri pensieri, i nostri sentimenti e le nostre emozioni sono influenzati dalla presenza reale o immaginaria degli altri. Un punto utile su cui soffermarsi, è la classificazione di due tipi di influenza (Deutsch e Gerard): - Influenza informativa: entra in gioco quando ci troviamo in una condizione di incertezza e per questo siamo propensi a fare affidamento sugli altri, considerando un’informazione proveniente da altri come 13 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 verità. - Influenza normativa: le persone conformano le proprie idee e/o il proprio comportamento alle aspettative altrui. Ciò che distingue le due tipologie, sta nel fatto che mentre la prima entra in gioco quando un individuo prova il desiderio di essere nel giusto, la seconda agisce tramite pressione sociale e paura di esclusione. Un’altra distinzione utile è quella tra FONTE PASSIVA e FONTE ATTIVA di influenza sociale e a distinguere i due tipi è il grado di intenzionalità delle stesse nell’esercitare l’influenza su qualcuno. 2. IL FENOMENO DEL CONFORMISMO 2.1 Conformismo e inerzia sociale La semplice presenza degli altri può facilitare comportamenti e ragionamenti, un fenomeno noto come FACILITAZIONE SOCIALE. è stato definito indolenza o INERZIA SOCIALE il calo di motivazione e di impegno che si verifica quando le persone sono coinvolte in un’attività collettiva. Il primo esperimento della psicologia sociale: Triplett e il fenomeno della facilitazione Nel 1987, Norman Triplett realizzò quello che secondo alcuni fu forse il primo esperimento di psicologia sociale, quando confrontò in modo sistematico i bambini che svolgevano un compito da soli ad altri che eseguivano lo stesso compito in presenza di altre persone. Scoprì che la presenza di altre persone induceva i bambini a eseguire il compito più velocemente poichè attivava in loro un istinto alla competizione. Tale esperimento fu la prima dimostrazione del fenomeno denominato "facilitazione sociale", secondo cui la prestazione in un dato compito è facilitata dalla presenza di altri individui che svolgono il medesimo compito. Tipico esempio di inerzia sociale sono i comportamenti di aiuto (ad esempio gli episodi di mancato soccorso a persone in difficoltà : omicidio di Kitty Genovese CAP.8). L’effetto spettatore: il caso di violenza contro le donne L’effetto spettatore o apatia degli astanti fa riferimento al mancato intervento di aiuti nei confronti di una persona in una situazione di emergenza dovuto alla presenza di altre persone. Generalmente, all’aumentare del numero delle persone presenti diminuisce la possibilità di intervento. Latané e Darley sostengono che uno dei fattori responsabili della mancata iniziativa in situazioni collettive (detta apatia degli astanti o effetto spettatore, CAP.8), è un meccanismo di influenza sociale. 2.2 Conformismo, norme sociali e bisogno di accuratezza: gli studi di Sherif Quando pensiamo al concetto di norma facciamo tendiamo a pensare alla legge, ma le norme sono qualcosa di più ampio che possono emergere dall’interazione tra le persone in un gruppo e che diventano guida per il gruppo stesso in un processo di influenza reciproca. Sherif voleva riprodurre in laboratorio quelle situazioni di incertezza ed ambiguità della vita quotidiana in cui siamo chiamati ad esprimere un nostro parere o a prendere decisioni: sfruttò l’illusione ottica dell’effetto autocinetico che consiste nel percepire un punto luminoso fisso, in un ambiente buio, come invece in movimento (a causa dei rapidi e normali movimenti oculari). Nell’esperimento a 60 partecipanti, ignari dell’illusione ottica, veniva chiesto di stimare quanto si muovesse il punto luminoso che in realtà rimaneva fermo Due condizioni sperimentali: 1. Ogni partecipante (20 in tutto) era solo e doveva ripetere la valutazione 100 volte, distribuite in 3 giorni o L'obiettivo era registrare una valutazione individuale dovendo decidere da soli come comportarsi in una situazione ambigua. 2. I partecipanti (40 in tutto) dovevano esprimere 100 valutazioni sia da solo che in gruppo: 20 facevano valutazioni prima da sole e poi in gruppo, le altre 20 prima in gruppo e poi individualmente. L'obiettivo qui era di valutare quale fra la norma individuale e quella di gruppo permanesse nella sessione successiva I risultati confermavano che, come previsto, nella prima condizione ogni partecipante elaborò un proprio metro valutativo e sviluppò una norma individuale. Nella seconda condizione, Sherif mostrò che le persone assegnate prima alla sessione individuale e poi a quella di gruppo, abbandonarono la norma individuale per conformarsi ad un valore di gruppo. Emerse che, per i partecipanti assegnati prima alla sessione di gruppo e poi individualmente, la norma di gruppo fu ancora più interiorizzata nelle persone (che continuarono ad usarla nella seduta individuale). I partecipanti mostrarono un’accettazione privata della norma di gruppo, ossia uno schema di riferimento che influenzerà le decisioni delle persone. Fattori importanti sono di ordine motivazionale e cognitivo: - Motivazionale: gli individui mettono in atto una serie di concessioni reciproche e si adattano agli altri per 14 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 l’interesse di instaurare un rapporto soddisfacente - Cognitivo: viene tenuto conto prima della posizione assunta dagli altri per poi prendere a nostra volta una posizione. - Malattia psicogena di massa ed effetto nocebo Le reti di influenza possono essere responsabili della diffusione di presunte malattie e di gravi sintomi di disagio. Un particolare tipo di malattia psicogena di massa è la diffusione epidemica di sintomi, quali vertigini, nausea, difficoltà respiratorie, che può verificarsi in luoghi ad alta densità di persone. Uno dei primi fenomeni di questo tipo avvenne nel 1962 in una fabbrica di abbigliamento degli Stati Uniti. I dipendenti credevano di essere stati punti da un insetto, ma dopo aver esaminato tutto arrivarono alla conclusione che i sintomi fossero di natura psicogena. 2.3 Conformismo, pressione della maggioranza e bisogno di appartenenza: gli studi di Asch Asch con i suoi studi si pone l'obiettivo di studiare le condizioni sociali e personali che inducono l’individuo a resistere o a conformarsi alla pressione del gruppo, quando tale gruppo esprime un parere contrario all’evidenza percettiva. In un suo esperimento vennero fatte vedere tre linee rette di diverse lunghezze e una linea X presa come campione. I partecipanti erano tutti maschi e furono riuniti in gruppi da 8 persone. Ciascuno del gruppo doveva esprimere 18 valutazioni dicendo quale delle tre linee rette fosse uguale alla linea campione. Due erano le condizioni: 1) Nella condizione di controllo non esistevano collaboratori del ricercatore, pertanto tutti i partecipanti si esprimevano liberamente; 2) Nella condizione sperimentale vi era un solo partecipante inconsapevole (critico) mentre tutti gli altri erano collaboratori e dovevano rispondere unanimemente dando, secondo un ordine stabilito in precedenza, 12 risposte palesemente errate. Il singolo critico, ignaro di tutto, si ritrovava quindi esposto alla pressione della maggioranza che esprimeva un giudizio concorde che era contrario all’evidenza percettiva. I risultati nel gruppo di controllo erano pochissimi i giudizi errati, mentre in quello sperimentale, le valutazioni erronee della maggioranza avevano influenzato circa 1/3 dei giudizi dei partecipanti. La ricerca mise in luce anche differenze individuali. Qualche anno dopo, il ricercatore Richard Crutchfield, mise a punto una diversa tecnica per lo studio del conformismo che consentiva un risparmio di energie e di tempo, con l’obiettivo di testare se i risultati di Asch potessero essere replicati anche quando il gruppo non era fisicamente presente. I partecipanti venivano fatti sedere in cabine individuali senza poter parlare con nessuno e dove era impedita qualsiasi interazione interpersonale. Le singole cabine erano fornite di strumentazioni luminose che permettevano di conoscere le opinioni degli altri o in realtà, i giudizi erronei degli altri che comparivano sul pannello erano segnali inviati dallo spettatore, uguali per tutti. I partecipanti venivano esposti contemporaneamente all’influenza della maggioranza. Con questo esperimento venne confermata la robustezza del fenomeno rilevato da Asch, tuttavia la quantità - media di conformismo è stata meno forte di quanto non fosse stata nella situazione faccia a faccia. A partire dalle ricerche di Asch e ricerche successive, sono molte le variabili indagate per comprendere i fattori che facilitano oppure ostacolano l’influenza della maggioranza. In merito a ciò possiamo introdurre il concetto di DISCREPANZA, Asch aveva constatato che aumentando la discrepanza tra il giudizio della maggioranza e la realtà dei fatti, la tendenza ad arrendersi alla maggioranza diminuiva (ma non in modo apprezzabile). Quando la discrepanza supera una certa soglia, l’influenza della maggioranza diminuisce fino a scomparire. Nei casi di debole discrepanza, il conformismo si basa soprattutto sull’influenza informativa, mentre nei casi di forte discrepanza il conformismo si basa sull’influenza normativa. Per quanto riguarda l’UNANIMITÀ e/o il SOSTEGNO SOCIALE, Asch riscontrò riscontrò nei suoi esperimenti che avere un sostegno sociale, quindi una componente che la pensa come te, si riduce il conformismo e si va più spesso contro l’unanimità del gruppo che si crede abbia una percezione collettiva sbagliata. Se il soggetto deviante (che la pensa come te) si allontana a metà esperimento, il conformismo ritorna più forte di prima. Partendo dai risultati di Asch, Allen ha dimostrato il ruolo del sostegno sociale nella riduzione del conformismo 15 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Il fattore determinante non era tanto la presenza di un alleato quanto la rottura del consenso. La persona, quando non era la prima a rompere l’unanimità del gruppo, aveva meno timore di possibili reazioni negative. L’effetto del sostegno sociale si manteneva solo fino a quando l’alleato manteneva la posizione dissidente sennò il conformismo tornava a livelli più alti. Se l’abbandono deriva palesemente da cause indipendenti dalla volontà dell’alleato, la persona continua a resistere alla maggioranza anche senza sostegno. 2.4 I motivi del conformismo Possiamo individuare 3 possibili motivazioni che spingono le persone ad aderire a una maggioranza: 1. EURISTICA DEL CONSENSO: tenderemo a far prevalere il punto di vista della maggioranza perché siamo motivati a essere nel giusto e socialmente si presume che la maggioranza abbia ragione o Gli individui pensano di essere meno esperti della maggioranza e il compito è ambiguo o Cerchiamo di comprendere la discrepanza e ci impegniamo in un processo di confronto tra la nostra posizione e quella della maggioranza; se non riusciamo a trovare una spiegazione soddisfacente, tenderemo a far prevalere quella della maggioranza. 2. STIMA DI SÉ: bisogna di proteggerla o rafforzarla. 3. BISOGNO DI APPARTENENZA: è il bisogno fondamentale degli esseri umani; abbiamo timore della disapprovazione o dell’esclusione sociale. 3. DAL CONFORMISMO AL CAMBIAMENTO SOCIALE: LA FONTE MINORITARIA Nel 1976 lo psicologo sociale rumeno Serge Moscovici provocherà una vera e propria rivoluzione nel mondo accademico psicosociale. Per la prima volta la psicologia sociale si rivolge alla possibilità che anche un gruppo minoritario senza potere possa generare un cambiamento sociale. Negli USA, sono gli anni delle proteste studentesche e delle lotte per i diritti civili, anni in cui diversi gruppi senza potere provano a imprimere un cambiamento nella società e nella sua organizzazione. Moscovici suggerisce di esaminare l’influenza sociale non solo come una spinta a conformarsi alla maggioranza, ma anche come la forza delle minoranze attive. Maggioranze definite non solo in base al numero, ma anche al loro status marginale e alla loro mancanza di potere. Gli studi di Asch dicono che la minoranza non abbia alcuna possibilità contro la piena forza dell'influenza normativa informativa. Dopo la pubblicazione del testo di Moscovici, che rappresentò una rivoluzione nel mondo accademico psicosociale, si scoprì che l'influenza sociale può funzionare in entrambi i sensi: in certi casi le minoranze possono cambiare atteggiamenti e comportamenti alle maggioranze. Le minoranze possono essere in grado di contrapporsi ad alcune conseguenze negative legate all'influenza della maggioranza promuovendo una considerazione più attenta e approfondita del tema in discussione, qualunque esso sia. Es.) Il film “La parola ai giurati” (1957). 3.1 Gli studi di Moscovici e l’ipotesi della conversione La maggioranza che osserva una minoranza la quale coerentemente non si adegua, non solo sa che questa andrà incontro a conclusione sociale e biasimo per non essersi conformata, ma anche che sembra non conoscere i vantaggi derivanti dallo schierarsi con quella che è ritenuta dai più la maggioranza corretta. Potrebbe crearsi perciò l'impressione che la minoranza sappia qualcosa che la maggioranza non conosce. Se è così, allora la maggioranza può avvicinarsi un po' alla sua posizione. È importante però sottolineare che la minoranza deve mostrare una coerenza sincronica e diacronica, ovvero deve mostrarsi sempre compatta e coerente, mantenendo una posizione salda nel tempo per essere efficace e per imprimere la propria idea "deviante". Lo stile di comportamento assunto dalla minoranza diventa quindi cruciale per la sua influenza. Una prima sintesi teorica viene fatta da Moscovici nel 1976 secondo la quale, le persone prive di potere riconosciuto, quando assumono una posizione dissidente e non cedono alla pressione sociale, possono diventare fonti di una particolare influenza che non porta al conformismo, bensì all’innovazione. Le maggioranze producono soprattutto conformismo pubblico senza accettazione privata: l'accondiscendenza. Inoltre, promuoverebbe un processo di confronto, per il quale l’attenzione della persona sarebbe focalizzata sulle differenze tra la sua posizione e quella degli altri, con le possibili conseguenze sociali sul suo disaccordo. Il prevalere dell’influenza indiretta o nascosta sull’adesione manifesta è stata definita conversione, ossia quando si ha un’influenza indiretta sulle persone che provoca un cambiamento nel loro atteggiamento. Per avvicinarsi indirettamente alla minoranza, invece di adottarne le posizioni e le idee, un altro modo è quello di adottarne il comportamento applicandolo in altri contesti e ad altri contenuti e si definisce effetto modellante (Nemeth e Chiles, 1988). L’atteggiamento nei confronti della minoranza è ambivalente: da un lato viene ammirata per il coraggio nel rompere il consenso, dall’altra si teme di essere identificati come parte della minoranza per la possibilità di pagare costi sociali. Questa idea fu teorizzata da Moscovici ma dimostrata dimostrata empiricamente da Mucchi Faina, Pacilli e 16 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Pagliaro (2008/2011). Sono molti i fattori che possono facilitare oppure ostacolare l’influenza della minoranza: CONTESTO NORMATIVO: si intende ciò che in un determinato momento storico e in una determinata società viene considerato giusto in termini di idee e comportamenti. Paicheler ipotizzò che l’influenza della minoranza era agevolata quando lo spirito generale del momento storico (Zeitgeist) stava virando verso la posizione sostenuta dalla fonte. PRESENZA DI UN LEADER: per una minoranza, la presenza di un/una leader costituisce un forte vantaggio e un’arma in più per la sua azione e per trovare coerenza nel gruppo. 3.2 Minoranze, cambiamento e stabilità sociale Le minoranze sociali possono, non solo promuovere il cambiamento sociale, ma anche ostacolarlo. Però le maggioranze sono in grado di controllare le informazioni e sono anche più abili nel gestire in modo positivo le impressioni che gli altri possono avere di loro e questo concorre strategicamente ad aumentare la loro legittimità sociale. A proposito di legittimazione delle gerarchie sociali possiamo parlare di MITI DI LEGITTIMAZIONE: uno di questi è costituito dall’ideologia meritocratica secondo la quale le risorse e le ricchezze sono distribuite in modo equo a livello sociale sulla base dei meriti e dell’impegno dei singoli. In relazione a questo mito si pensa che i gruppi egemoni abbiano più potere e ricchezza per via dei loro impegni e meriti. John Jost, psicologo sociale americano, ha elaborato la TEORIA DELLA GIUSTIFICAZIONE DEL SISTEMA per comprendere come e perché i gruppi svantaggiati concorrono a preservare lo status quo senza provare a sovvertirlo. Secondo questa teoria, le persone sono motivate a giustificare e razionalizzare il modo in cui le cose accadono così che il sistema tende ad essere percepito come giusto e legittimo. Tra le motivazioni che spingono gli individui a giustificare l'ordine sociale abbiamo: - Motivazioni epistemiche: consistono nel bisogno umano di certezza, struttura, coerenza, significato e controllo della realtà circostante. Le persone difendono lo status quo perché in questo modo soddisfano i loro bisogni di ordine e prevedibilità. - Motivazioni esistenziali: hanno a che fare col bisogno di sicurezza, lo status quo deve essere sicuro dal punto di vista emotivo. Ma perché una minoranza svantaggiata difende la legittimità del sistema che la danneggia? Per comprenderlo è necessario chiarire come la tendenza a giustificare il sistema svolga una funzione psicologica palliativa di diminuire lo stress e le emozioni negative. Questa funzione implica anche una tendenza ad una minore partecipazione a forme di protesta collettiva. 4. L’OBBEDIENZA ALL’AUTORITÀ Obbedire, nel suo significato originario, significava prestare ascolto a chi abbiamo di fronte e nel caso specifico alle autorità. L’obbedienza all’autorità è un valore non trascurabile da un punto di vista sociale (esempio di Abramo). La sottomissione all’autorità può ricordarci il conformismo alla maggioranza di Asch: in entrambi i casi troviamo persone che cedono in modo manifesto alla pressione della fonte. I due fenomeni si differenziano per quattro aspetti: 1. Mentre nel conformismo la pressione è in gran parte implicita, l’obbedienza costituisce una risposta a comandi espliciti; 2. L’obbedienza comporta una struttura gerarchica, il conformismo, invece, comporta il cedimento di una persona a un gruppo che può avere il suo stesso status; 3. Mentre il conformismo comporta che la persona segua gli altri, l’obbedienza riguarda un’azione che la fonte di influenza può evitare di compiere e che viene richiesta solo al bersaglio. 4. Mentre chi obbedisce è pronto a riconoscerlo, le persone che cedono al gruppo difficilmente lo ammettono o si rendono conto di aver subito l’influenza. In virtù dell'obbedienza all'autorità, chi è più giovane o meno competente presta ascolto a chi ha più esperienza o è più anziano. Pertanto questa forma di obbedienza può essere il tramite per il rispetto delle norme sociali consentendo il buon funzionamento della società. Quando l’obbedienza si manifesta come rispetto di norme giuste è una risorsa, ma cosa succede se le norme e gli ordini riguardano azioni immorali? Nel 1961, in Israele si è celebrato il processo ad Adolf Eichman, gerarca nazista con un ruolo di spicco nel genocidio degli ebrei. Il processo non fu solo il primo per crimini contro l’umanità, ma fu anche il primo ad essere trasmesso in TV. L’opinione pubblica mondiale restò incredula. 4.1 Gli studi di Milgram 17 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Per comprendere l’impatto del lavoro di Milgram che ha provato a dimostrare in laboratorio che i comportamenti di obbedienza distruttiva nei confronti di determinati gruppi sociali, non sono necessariamente frutto di perversione e sadismo individuale, ma possono essere diffusi e indotti dalla struttura di un particolare contesto sociale, viene ripreso nel film documentario Shock room. Esperimento: Partecipanti: 40 individui di sesso maschile reclutati tramite annuncio con la promessa di un compenso e rimborso spese. Metodo: Ai partecipanti veniva spiegato che l’obiettivo era quello di studiare gli effetti delle punizioni sull’apprendimento. Il partecipante, in laboratorio, incontrava anche un’altra persona che come lui doveva partecipare all’esperimento, ma in realtà era un ricercatore a conoscenza del reale obiettivo. Il partecipante era considerato “l’insegnante” mentre il collaboratore “l’allievo” e in caso di errore l’insegnante doveva abbassare una leva che dava una scossa, anche se in realtà nessuna veniva inflitta. Su ogni leva era indicato il voltaggio. Venne fatto sentire a ciascun "insegnante" la scossa leggera per percepirla fisicamente. Lo sperimentatore e l’insegnante furono posti in una stanza adiacente a quella dell’allievo, se l'insegnante esitava o domandava spiegazioni, lo sperimentatore diventava sempre più autorevole con quattro esortazioni. In questo primo studio lo sperimentatore e l’insegnante furono posti in una stanza adiacente e se il secondo arrivava a infliggere scosse da 150 volt l’allievo chiedeva di interrompere per problemi cardiaci, se le scosse arrivavano a 300 volt l’allievo cominciava a battere contro il muro. Risultati: i risultati dell’esperimento furono clamorosi poiché su 40 partecipanti, il 65% abbassò la leva da 450 volt. Alcuni partecipanti mostrarono tensione e agitazione, tanto che in seguito si sviluppò un acceso dibattito sull’etica della ricerca. 4.1.1 FAttori che facilitano oppure ostacolano l’obbedienza Milgram condusse altri 17 esperimenti che coinvolsero oltre 600 partecipanti. Sulla base dei risultati ottenuti possiamo descrivere alcuni fattori situazionali che possono incoraggiare o impedire l’obbedienza all’autorità: - Vicinanza dell’autorità e grado di sorveglianza: solo 9 persone su 40 sono risultate sempre obbedienti; - Legittimità dell’autorità: in assenza dello sperimentatore, quando un altro “partecipante” ha assunto il suo ruolo,, si era verificata una significativa riduzione dell’obbedienza. Tale risultato fu attribuito al fatto che un ordine di una persona di status equivalente non veniva considerato allo stesso modo. - Incongruenze nella struttura sociale: segnali incongruenti tendono a ridurre la pressione dell’autorità. Nessun partecipante è arrivato a indurre la scossa finale. - Presenza di dissidenti: una o più persone che si rifiutano di obbedire agli ordini agiscono come sostegno sociale per la persona e ne rafforzano le capacità trasgressive. - Vicinanza della vittima del crimine: se l’allievo/vittima si trovava nella stessa stanza dell’insegnante, l’obbedienza calava del 40% e il contatto finisco provocava un ulteriore calo del 30%. - Responsabilità personale: più è chiara la responsabilità personale e più tenderà a evitare azioni criminose, mentre il sentirsi sollevato dai propri atti facilita l’obbedienza. 4.1.2 Lo studio di Milgram a distanza di più di mezzo secolo: quali conferme e quali criticità? Gli studi di Milgram sono stati più volte sottoposti a ulteriori verifiche. Jerry Burger nel 2009 ha tentato di creare una replica aggirando parzialmente il problema della scarica letale chiedendo ai suoi partecipanti di non andare oltre ai 150 volt. Ipotizzò che il livello 150 volt potesse essere considerato una sorta di punto di non ritorno e lo considerò come voltaggio massimo. A conferma, circa il 70% era disposta a raggiungere il massimo, però non era stata data altra scelta ai partecipanti. Nel corso degli anni sono stati condotti numerosi studi. Riassunto CAPITOLO 6: Il Sé: autoregolazione, motivazione ed emozioni 1. LE ORIGINI E LE FUNZIONI DEL SÉ 1.1 Le origini: William James e George Herbert Mead I primi studi inerenti al concetto del Sé si devono a William James e George Herbert Mead intorno al 1800. Secondo questi due autori, il Sé riveste un duplice aspetto: - il Sé come soggetto che agisce e produce conoscenza, - il Sé come oggetto che può essere conosciuto e controllato. Il Sé rappresenta una struttura mutevole che fornisce all’uomo la capacità di usare simboli per interpretare la realtà circostante. 18 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 William James (1842-1910) è considerato il fondatore della psicologia americana e l’iniziatore degli studi psicologici sul Sè. L'esperienza che facciamo di noi stessi come attori sociali, permette di costruirci la nostra identità. Tale costruzione avviene grazie all’identificazione emotiva che sviluppiamo con le nostre qualità La consapevolezza del Sé si sviluppa attraverso le relazioni con gli altri ed è continuamente soggetta a variazioni che scaturiscono da feedback ricevuti durante le interazioni sociali, e possono essere: Feedback positivi = corroborano le nostre risorse e permettono di costruire nuove esperienze su di esse Feedback negativi = incrementano la consapevolezza degli aspetti poco funzionali di sé e permettono di autoregolare la condotta (adattamento all’ambiente in cui si vive). 1.2 Il lavoro del Sé Il concetto del Sé è piuttosto difficile da definire e sembrerebbe complicato anche collocarlo in un’area cerebrale.Un modo per descriverlo, deriva dal descrivere le sue funzioni, possiamo avere una comprensione di tale entità partendo da ciò che esso fa: le funzioni principali possono essere individuate in tre aree: 1. AUTOCONOSCENZA: racchiude informazioni su noi stessi e identifica la funzione che ci permette di arricchire chi siamo (conoscere ciò che ci piace, ciò che ci fa stare bene…) comprende quindi l’autoconsapevolezza in credenze di noi stessi che andremo poi a condividere nel tessuto sociale in cui siamo immersi. 2. SÉ INTERPERSONALE o pubblico: viene espresso attraverso il senso di appartenenza a un gruppo, relazione con il partner, la reputazione che ci costruiamo e sono tutte le dimensioni relazionali che ci identificano per definire la nostra personalità da utilizzare in “pubblico”. 3. AGENTICITÀ DEL SÈ: viene individuata nelle funzioni esecutive che esplica come la capacità decisionale, l’autocontrollo, la risposta attiva a situazioni quotidiane. In ciascuna fase il Sé influenza il nostro modo di rapportarci ai cambiamenti nella relazione con sè stessi o con gli altri. Il Sé nel processo di invecchiamento Nel momento in cui ci si accorge di essere anziani, si intraprende un percorso di rimodellamento del Sé e dell’immagine che abbiamo di noi stessi. A partire da una certa età, il successo o fallimento dipenderà essenzialmente dalla capacità personale di ridefinizione del Sé. 2. I MECCANISMI MOTIVAZIONALI DEL SÉ 2.1 Autoefficacia percepita: fattore adattivo e di promozione del Sè Il concetto di agentività del Sé trova piena espressione nella TEORIA MOTIVAZIONALE di Albert Bandura (1982) che postulò sotto l’etichetta AUTOEFFICACIA PERCEPITA che consiste nell’avere un certo tipo di credenze su noi stessi in una specifica situazione. Bandura delinea una prima concettualizzazione di MENTE PROATTIVA partendo dall’idea che la mente umana è capace di esercitare e di estendere il proprio controllo, oltre che su di sé, anche sull’ambiente circostante, capace quindi di produrre cambiamento. Questo quadro teorico trae spunto dall’idea secondo cui il comportamento è frutto dell’interazione tra fattori di personalità e ambientali e si potrebbe dire che nel sentimento di autoefficacia del Sé è pienamente consapevole di tale interazione. L’autoefficacia può essere rafforzata con l’esperienza e migliorata attraverso feedback: - Autoefficacia alta: ho una percezione positiva di me su una situazione e mi impegnerò, in base anche alla mia esperienza. Così permette di attuare feedback positivi, ritengo che raggiungerò l'obiettivo. - Autoefficacia bassa: non ho stima di me, mi svaluto e dedicherò pochi sforzi. Comporta feedback negativi, ritengo che non raggiungerò l'obiettivo. L’autoefficacia percepita è un costrutto dipendente dal dominio in cui si applica. È focalizzata su una determinata situazione. Il raggiungimento degli obiettivi preposti in quella situazione e l’emozione piacevole scaturente rafforzano il senso di autoefficacia e ne permettono la potenziale estensione ad altri domini affini, questo è quello che permette la trasversalità di alcune abilità. 2.2 Discrepanza del Sé, teoria dei foci regolatori e fit regolatorio Quando si parla di regolazione del Sé dobbiamo far riferimento agli schemi del Sé e alle tre istanze formulate da 19 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Higgins nella TEORIA SULLE DISCREPANZE DEL SÉ. Secondo questo studioso, ognuno di noi possiede tre tipi di schema di sé: 1. SE’ REALE = riferito a come realmente siamo 2. SE’ IDEALE = riferito a ciò che vorremmo essere (verso il successo) 3. SE’ NORMATIVO = relativo a come pensiamo che dovremmo essere (evitare il fallimento) Higgins postulò due differenti modi attraverso cui le persone perseguono il piacere ed evitano il dolore e rientrano nella TEORIA DEI FOCI REGOLATORI: ➔ Sistema di promozione: (fa riferimento al Sé ideale) Questo sistema è volto a massimizzare gli esiti positivi, è rappresentato dalle aspirazioni, desideri, speranze e conquiste e la paura sta nel perdere opportunità. ➔ Sistema di prevenzione: (riferito al Sé normativo) Questo sistema è volto a massimizzare gli esiti negativi, è rappresentato da responsabilità, doveri e obblighi e la paura sta nel commettere gli errori. Il confronto tra i diversi schemi del Sé può mettere in luce discrepanze che danno origine a diverse emozioni negative: - Sé reale/Sé ideale = tristezza, inadeguatezza, depressione - Sé reale/Sé normativo = ansia, frustrazione Un altro sistema di regolazione del Sé è il fit regolatorio, principio secondo cui l’orientamento abituale della persona dà luogo a performance migliori nelle situazioni in cui il compito viene prospettato in termini coerenti con il proprio orientamento abituale. Il disallineamento fra orientamento cronico abituale e caratteristiche del compito si chiama misfit. 2.3 Mindfulness: attenzione, atuoconsapevolezza e prospettiva non-giudicante Con il termine Mindfulness facciamo riferimento ad una strategia di regolazione emotiva, intesa come costrutto psicologico volto a favorire la comprensione del comportamento intra e interpersonale. Si riferisce ad un’esperienza diretta. Una possibile descrizione ce la dà Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio e ci dice che Mindfulness consiste nel prestare attenzione ma con: intenzione, al momento presente (qui e ora) e in modo non giudicante giudicante (ossia non sovrapporre me stesso con l’emozione, non sei la tua emozione, questo ci permette di accettare ciò che non può essere cambiato e di accettare il dolore). Tale approccio meditativo plasma i modelli attraverso i quali ciascun individuo elabora le informazioni e interpreta l’espressione fenomenologica della realtà. A tal proposito, James sosteneva che la mente non rappresenta un oggetto, ma un processo con degli attributi: a. L'essere personale (ogni pensiero appartiene ad un individuo specifico) b. L'essere mutevole (nessuno stato si ripete nello stesso modo) c. La continuità (scorrevolezza del flusso di pensiero) d. La selettività (rispetto agli oggetti su cui la mente è principalmente focalizzata) Quindi attraverso la mindfulness (meditazione e attenzione), il Sé può aumentare la consapevolezza del proprio funzionamento, aumentandone l'efficacia, l’efficienza, l’autonomia, la cooperatività e l’autotrascendenza. La mindfulness viene correlata: Negativamente: al pregiudizio etnico e alle discriminazioni sull’outgroup; Positivamente: a comportamenti prosociali, regolazione emotiva, benessere, a comportamenti pro ambientali e consapevolezza dei cambiamenti climatici, la promozione dell’uguaglianza e a prevenzione di comportamenti aggressivi individuali. 3. LE EMOZIONI COSCIENTI DEL SÉ 3.1 Emozioni di autovalutazione e confronto sociale Le emozioni coscienti del Sé sono quelle che guidano il nostro sistema di regolazione del Sé. Questo avviene attraverso un sistema di feedback che queste emozioni veicolano quando ci relazioniamo con le altre persone. Anche definite “cognition dependent” poiché si basano su delle abilità cognitive che emergono all’incirca dopo i 2 anni di vita (emozione di autovalutazione) e nell’adolescenza (emozioni del confronto sociale). 20 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 Possiamo identificare due macrocategorie di emozioni: EMOZIONI DI AUTOVALUTAZIONE= Colpa, rammarico, vergogna, imbarazzo, orgoglio EMOZIONI SCATURITE DAL CONFRONTO SOCIALE= Invidia e Gelosia 3.2 Emozioni di autovalutazione: colpa, vergogna, orgoglio e arroganza I sentimenti di colpa e vergogna evidenziano stati di punizione per aver violato norme sociali e danno luogo a diverse tendenze comportamentali: - I sentimenti di colpa, emergono quando ci si sente responsabili per aver urtato o danneggiato i sentimenti di qualcuno. Da luogo ad un sentimento di ammenda per ripristinare le norme violate; - I sentimenti di vergogna, emergono nel momento in cui la persona acquisisce di aver violato una norma sociale credendo che tale violazione sia dovuta ad un aspetto non controllabile del Sé. Da luogo ad un comportamento di fuga. - Il sentimento di orgoglio, deriva da una positiva valutazione del Sé e si può distinguere tra "orgoglio autentico” che rappresenta il piacere di aver svolto accuratamente un lavoro, è correlato ad un sentimento positivo di autostima, mentre “orgoglio arrogante” indica soddisfazione compiaciuta con sé stessi in generale. L’arroganza può dar luogo ad atteggiamenti ostili, conflittuali. 3.3 Emozioni di confronto sociale: invidia e gelosia L’invidia viene definita un’emozione di comparazione sociale perché inevitabilmente implica un confronto tra le caratteristiche del proprio Sé e quelle degli altri, così facendo genera un sentimento negativo di inferiorità. Anch’essa può essere divisa in due dimensioni: 1. L’invidia “benigna”, motiva l’azione verso un miglioramento del Sé e l’acquisizione di nuove competenze, 2. L’invidia “maligna”. La gelosia scaturisce dalla credenza che la propria relazione con un’altra persona sia minacciata da una terza. A differenza dell’invidia la gelosia prevede tre attori. Mentre la gelosia eccessiva può dar luogo a comportamenti devianti, un livello minimo di gelosia può avere esiti positivi nelle relazioni interpersonali. 4. IL SÉ ATTRAVERSO NOI 4.1 Perché guardiamo gli altri? Intuizioni della teoria del confronto sociale Gli esseri umani riescono ad autovalutarsi e trarre fonte di ispirazione per nuovi obiettivi proprio attraverso il confronto con i loro simili. Tale confronto può dar origine a sentimenti positivi o sentimenti negativi. Tale confronto rappresenta il nostro standard di riferimento e quindi quanto siamo lontani o vicini dai nostri obiettivi. Festinger (1954) formulò la TEORIA DEL CONFRONTO SOCIALE da cui possiamo delineare due tipi di confronto: - Confronti verso l’alto, possono dar luogo a sentimenti negativi poiché portano alla consapevolezza del Sé i nostri limiti, ma allo stesso tempo potrebbero portare una funzione motivazionale. - Confronti verso il basso, generalmente danno luogo a sentimenti positivi e svolgono la funzione di proteggere il sé. Riassunto CAPITOLO 9: Appartenenza ed esclusione sociale 1. BISOGNO DI APPARTENENZA Alla fine del secolo scorso due professori statunitensi Baumeister e Leary pubblicarono un articolo teorico che diede il via agli studi sul bisogno di appartenenza. Il lavoro ruota intorno all'ipotesi di appartenenza, secondo cui gli esseri umani possiedono una spinta fondamentale a formare e mantenere almeno una quantità minima di relazione interpersonali che siano durature, positive e significative. L'ipotesi è sostenuta da argomentazioni che provengono da discipline come antropologia e sociologia oltre che ovviamente alla psicologia. Si basa su due criteri fondamentali che devono essere raggiunti: 21 Scaricato da Matteo Forti ([email protected]) lOMoARcPSD|15284362 1. Criterio di tipo quantitativo, riguarda la frequenza delle interazioni sociali e il fatto che le fonti di affiliazione devono essere più di una. Di conseguenza non bastano solo interazione sporadiche nel corso dell'anno per sentire il proprio bisogno di appartenenza e soddisfatto. 2. Criterio di tipo qualitativo, le interazioni devono coinvolgere più di una persona ed essere frequenti ma anche essere durevoli e non negative. Secondo gli autori il bisogno di appartenenza è fondamentale nella misura in cui non è secondario a nessun tipo di bisogno umano. Due elementi distintivi caratterizzano i bisogni umani e quindi anche quello di appartenenza: - Sostituzione, che fa riferimento al fatto che in assenza di un determinato stimolo, uno stimolo diverso con proprietà simili può fungere da sostituto. Un esempio di questo riguarda la possibilità di utilizzare social media per sentirsi connessi o la propensione delle persone isolate ad affiliarsi a gruppi estremisti di natura politica o religiosa. Questi stessi individui non avrebbero mai pensato di affidarsi a tali gruppi, ma l'isolamento sociale li spinge a cercare connessione; - Sazietà, che fa riferimento al fatto che l’appagamento di un bisogno ad un certo punto raggiungere un livello di soddisfazione tale per cui l'individuo non ne ha a sufficienza; - Universale, le ricerche antropologiche mostrano infatti che gli esseri umani appartengono a piccoli gruppi primari che implicano interazioni interpersonali faccia a faccia. I gruppi possono variare in funzione anche della tipologia e della struttura della complessità ecc… - Il bisogno di appartenenza ci accompagna lungo il ciclo di vita, dai primissimi istanti fino agli ultimi giorni. In questo contesto emerge il bisogno di connessioni sociali. Dove si origina questo bisogno di appartenenza? Nel corso dell’evoluzione abbiamo selezionato una serie di meccanismi psicologici finalizzati a spingere l’individuo a cercare connessioni sociali. Lo studio di Schachter Pubblica un lavoro che Indaga le reazioni alla devianza da parte dei membri di un gruppo. Metodo: organizza dei gruppi di discussione formati da nove partecipanti a cui viene sottoposto il caso di un giovane delinquente chiamato Johnny Rocco. Lo sperimentatore lasciava alcuni minuti al gruppo per leggere il caso e poi i partecipanti dovevano indicare le loro opinioni su come Johnny doveva essere trattato. Di questi 9 c'è però da ricordare il fatto che 3 erano complici dello sperimentatore. Venne fatta una scala numerata da uno a sette dove 1 indicava l'opzione di dare a Johnny amore e gentilezza, mentre il 7 corrispondeva a voler dare a Johnny una punizione severa. I complici rispondevano per ultimi in modo da calibrare le proprie risposte e dovevano intervenire ogni 5 minuti. I tre complici avevano tre ruoli differenti: 1) Ruolo Mode: Aveva il compito di rimanere in linea con la maggioranza delle opinioni del gruppo, esprimendo indulgenza verso Johnny 2) Ruolo deviate: sceglieva la posizione più in contrasto sulla scala love/Punishment rispetto al gruppo 3) Ruolo Slider: aveva il compito di partire da una posizione in contrasto con il gruppo e gradualmente lasciarsi convincere con la maggioranza Risul

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