Psicologia Sociale - CAPITOLO 1 PDF
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Questo capitolo introduce la psicologia sociale, definendola come lo studio scientifico di come i pensieri, i sentimenti e il comportamento delle persone sono influenzati dalla presenza reale o immaginaria di altre persone. Il capitolo esplora il ruolo dell'influenza sociale, le differenze tra psicologia sociale e altre discipline correlate (come la biologia, le neuroscienze e la sociologia) e l'importanza dell'interpretazione soggettiva della realtà sociale.
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CAPITOLO 1: LA PSICOLOGIA SOCIALE 1.DEFINIRE LA PSICOLOGIA SOCIALE La psicologia sociale è lo studio scientifico del modo in cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone vengono influenzati (=influenza sociale) dalla presenza immaginaria o reale degli altri. Un esempio è la persuasio...
CAPITOLO 1: LA PSICOLOGIA SOCIALE 1.DEFINIRE LA PSICOLOGIA SOCIALE La psicologia sociale è lo studio scientifico del modo in cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone vengono influenzati (=influenza sociale) dalla presenza immaginaria o reale degli altri. Un esempio è la persuasione ovvero il tentativo diretto e deliberato di modificare il comportamento o l’atteggiamento altrui. Tuttavia si parla di influenza sociale anche quando le persone vengono influenzate dalla presenza immaginaria, o implicita degli altri (non per forza l’influenza deve essere diretta ma si è influenzati anche se la persona non è presente fisicamente). Il fatto che veniamo influenzati anche in assenza fisica della persona significa che è come se ci portassimo dentro la loro approvazione o le loro aspettative e che queste ci influenzano costantemente e in modo implicito. Talvolta queste influenze entrano in conflitto l’une con le altre e il compito dello psicologo sociale è proprio di indagare cosa accade nella mente dell’individuo quando ciò accade. 1.1 Psicologia sociale, filosofia, scienza e senso comune. La filosofia è sempre stata fondamentale per quanto riguarda le intuizioni sulla natura umana, la natura della coscienza e le credenze circa il mondo sociale. Tuttavia è compito della psicologia sociale affrontare e analizzare le questioni proposte dai filosofi in maniera scientifica. Uno dei principali misteri umani è l’amore. Spinoza ipotizzò che se amiamo qualcuno che in precedenza odiavamo lo faremo in maniera molto più forte e intensa rispetto a quanto lo avremmo potuto amare se in precedenza non l’avessimo odiato. Questo è in forte disaccordo con il filosofo edonistico Aristippo. Come facciamo a sapere perché le persone si comportano in un certo modo? Potremmo: 1. chiedere direttamente a loro → però molto spesso le persone non sanno cosa c’è alla base delle loro azioni (=inconsapevoli delle motivazioni) 2. affidarci al senso comune (la psicologia sociale non si oppone) → molto spesso però il senso comune ci dice cose opposte. Es. c’è il detto “gli opposti si attraggono" ma anche “il simile va con il simile”. Quale affermazione è vera? Gli psicologi sociali ci dicono che ci sono delle condizioni particolari che fanno sì che in una situazione gli opposti si attraggono e in un’altra situazione il simile va con il simile. Tuttavia gli psicologi vanno oltre e non si soffermano a dire che sono tutte due affermazioni vere (ma dipende) ma ci dicono anche anche quali condizioni determinano l’una e l’altra situazione. Attraverso i metodi scientifici gli psicologi sociali testano le ipotesi, le supposizioni e le idee riguardo al comportamento sociale umano in modo empirico e sistematico (=cercano di prevederlo). E’ un’impresa molto complessa dato che siamo organismi complessi e sofisticati. 1.2 La differenza tra la psicologia sociale e le altre discipline cugine La psicologia sociale è imparentata con la biologia, le neuroscienze, la sociologia, l’economia e le scienze politiche. Tra tutte queste materie, che possono indagare il comportamento umano, cambia il livello di analisi. Per la biologia e le neuroscienze il livello di analisi sono i geni, gli ormoni e i processi fisiologici del cervello. La psicologia sociale invece pone maggiore enfasi (guardando comunque all’interazione cervello-comportamento) all'interpretazione delle persone del mondo sociale. Tuttavia alcuni psicologi sociali usano alcune delle teorie della biologia per spiegare e formulare ipotesi sul comportamento umano sociale. Un esempio è la psicologia evoluzionista che si basa sulla teoria evoluzionista (=ovvero che alcune specie hanno sviluppato dei tratti specifici per avere maggiori probabilità di sopravvivere e riprodursi in quel determinato ambiente e che poi quei tratti siano diventati dominanti e passati di generazione in generazione). La psicologia evoluzionista cerca di spiegare i comportamenti sociali sulla base di fattori genetici acquisiti durante il processo di selezione naturale. L’evoluzione è un processo lento e secondo questa teoria comportamentali come 1 l’aggressività o la cooperazione sono frutto, almeno parziale, di processi di adattamenti all’ambiente passati. Un’altra branca della psicologia che cerca di spiegare i comportamenti sociali è la psicologia della personalità, che guarda a quelle caratteristiche personologiche che rendono unici gli individui (differenze individuali). Tuttavia questa disciplina trascura totalmente il ruolo dell’influenza sociale. Un’altra differenza tra gli psi.della personalità e gli psi.sociali è che i primi, come quelli clinici, guardano all'individuo mentre gli psi.sociali guardano l'individuo nel contesto (=come interpreta la situazione). Le scienze politiche e l’economia sono più interessate ai fattori economici, storici e politici che influenzano gli eventi. La sociologia ha delle sovrapposizioni con la psicologia sociale ; tuttavia cambia il livello di analisi. La sociologia è interessata alle classi e la società nel suo complesso mentre la psicologia sociale è interessata all'individuo all’interno del contesto. Lo scopo della psicologia sociale è identificare le proprietà universali della natura umana, che , indipendentemente dalle classi o strutture sociali, rendono ciascuno di noi sensibile all’influenza sociale. La psicologia sociale punta a scoprire le leggi universali che regolano il comportamento umano in ogni luogo e tempo → ricerca interculturale (=queste leggi universali sono comunque soggette a differenze culturali ed è compito della psicologia sociale scoprile). Questo tipo di ricerca è fondamentale perché affina teorie, sia provandone l’universalità sia scoprendo nuove variabili per spiegare e predire il comportamento umano. 2.IL POTERE DELLA SITUAZIONE Dato il comportamento di una persona (es. cameriera che irritata ci dice che non ha tutto il giorno) potremmo concludere e spiegare frettolosamente il suo comportamento in termini di personalità (es. è una persona sgradevole) senza dare la giusta importanza al contesto. Di fronte a una situazione del genere molto spesso non si considera la situazione, il contesto, che invece ha un impatto profondo su come gli esseri umani si relazionano (es. la cameriera era solo profondamente stressata da questioni personali, ed era quindi solo sotto stress). 2.1 Sottovalutare il potere della situazione La psicologia sociale si scontra con un grande ostacolo, l’errore fondamentale di attribuzione che consiste nella tendenza delle persone di spiegare il comportamento umano unicamente in tratti di personalità, sottostimando la forza della situazione e dell’influenza sociale. Questa tendenza può darci una sensazione di falsa sicurezza. Questo perchè, facendo in questo modo, tendiamo a spiegare i comportamenti bizzarri o ripugnanti di alcune persone come totalmente dovuti alla loro personalità, ne deriva una sensazione che ciò non potrebbe mai accadere a noi. Questo aumenta la nostra vulnerabilità personale per quanto riguarda le influenza sociali distruttive, perché siamo meno coscienti che potrebbero influenzarci. Evitando di considerare il potere della situazione tendiamo anche a semplificare eccessivamente situazioni complesse in cui l’individuo non ha potuto reggere di fronte a forti influenze sociali. es. Ricerca Stanford University. Per prima cosa dei tutor descrivono degli studenti particolarmente cooperativi o competitivi. I ricercatori invitano gli studenti a partecipare alla ricerca, ovvero un gioco nel quale lo studente doveva scegliere una strategia: o una tattica di gioco più competitiva o più cooperativa. Introdussero un piccolo aspetto, apparentemente secondario, ovvero cambiarono il nome del gioco. A metà dei partecipanti viene detto che si tratta dei wall street game, all'altra metà dei communitygame. Per il resto del gioco rimane immutato. I risultati videro che il nome del gioco (=quindi il contesto) veicolava un messaggio molto forte riguardo a come un giocatore si sarebbe dovuto comportare, se in 2 maniera più cooperativa o più competitiva, mentre i tratti di personalità ipotizzati non hanno comportato alcuna differenza significativa nel comportamento degli studenti. Da questo studio deduciamo che ,anche se i tratti di personalità sono importanti, alcune situazioni sociali e ambientali sono così potenti da influenzare fortemente la quasi totalità delle persone. 3. IL POTERE DELL’ INTERPRETAZIONE La situazione sociale produce effetti profondi sul comportamento umano. Cosa intendiamo per situazione sociale? Potremmo definirla a seconda delle sue proprietà oggettive della situazione, ad esempio quali vantaggi offre alla persona e vedere come cambia il comportamento in relazione ad essa → comportamentismo. L’approccio comportamentista si basa sul concetto di rinforzo dell’ambiente: un comportamento seguito da una ricompensa verrà ripetuto, uno seguito da una punizione verrà scoraggiato. Questa corrente sostiene che la spiegazione dell’intero comportamento possa essere spiegata totalmente in termini di punizioni e ricompense dell’ambiente. Tuttavia questo approccio non tiene in considerazione la cognizione e il pensiero (la mente) perché ritenuti concetti vaghi e non osservabili direttamente (=limite). Gli psicologi sociali, invece, sottolineano l’importanza dell’interpretazione che le persone danno al contesto sociale. Il rilievo che la psicologia sociale dà all’interpretazione del contesto sociale, trova il suo fondamento nella psicologia della Gestalt (=studia il modo soggettivo in cui un oggetto appare alla mente delle persone). La gestalt si concentra sulla fenomenologia dell’oggetto della percezione (=come la persona lo percepisce) più che sui singoli elementi fisici che lo compongono. Uno degli studiosi della Gestalt fu Lewin, che contribuì a modellare la psicologia statunitense facendola crescere nell’interesse per l’esplorazione delle cause e dei rimedi del pregiudizio e dello sterotipo etnico (dopo aver vissuto sulla sua pelle l’antisemitismo). Lewin applicò i principi della Gestalt alla percezione sociale e a come gli individui comprendono e percepiscono il mondo sociale (es. Lewin si chiede se una persona in una stanza convinta che il soffitto non crolli, debba essere compresa e si debba cercare di predire il suo comportamento tenendo conto la sua probabilità soggettiva o la probabilità oggettiva che il soffitto crolli → Lewin sostiene che debba essere considerata la sua probabilità soggettiva). Da lì in poi, gli psicologi sociali si iniziano a concentrare su come le situazioni soggettive vengono costruite dalle persone. Un altro psicologo sociale, fondatore di questa disciplina, fu Heider, che osservò che le persone tendono a comportarsi in relazione a quello che penso che l’altro stia percependo, provando e pensando oltre a effettivamente quello che sta facendo. Il problema è che la maggior parte delle volte sbagliamo nel capire quello che l’altro stanno percependo. Questo processo è fondamentale per capire l’interpretazione della realtà e capire che spesso queste interpretazioni si basano non su dati oggettivi ma eventi e rilevazioni soggettive. Un tipo speciale di interpretazione è definito da Lee Ross realismo naive, ovvero la condizione di percepire le cose “così come sono realmente" sottovalutando il fatto che le stiamo interpretando o manipolando (=si pensa di vedere le cose per quello che sono, anche se non è così). Ne consegue che se qualcuno vede le cose in modo diverso da noi noi penseremo che sarà lui a essere prevenuto (= ognuna delle due parti pensa di avere la visione giusta). Come si formano i costrutti dell’interpretazione? 4. DA DOVE DERIVANO I COSTRUTTI: LE MOTIVAZIONI UMANE FONDAMENTALI Se è vero quanto detto ovvero che sono le situazioni soggettive, e non quelle oggettive, a influenzare le persone, ne consegue che è necessario comprendere il modo in cui si arriva a formulare le impressioni soggettive del mondo. Dobbiamo capire le motivazioni fondamentali che ci portano a formulare e interpretare il mondo. Sotteso al comportamento umano ci sono moltissime motivazioni sovrapposte, tuttavia gli psicologi sociali hanno identificato due motivazioni centrali 3 nell'indirizzare i costrutti delle persone: il bisogno di sentirci a posto con la coscienza e il bisogno di essere accurati. Quasi sempre queste due forze spingono nella stessa direzione. Tuttavia Festinger analizzò il caso in cui queste due forze si spingono in direzioni opposte. Es. presidente USA e guerra in Afghanistan pag. 30. Quando queste forze sono opposte (ovvero il bisogno di essere accurati e il bisogno di autogiustificarsi le nostre azioni per essere a posto con la coscienza) ci possono essere delle conseguenze catastrofiche. 4.1 Autostima come motivazione Generalmente le persone hanno bisogno di avere un’alta autostima di sè stessi. Per aumentare l’autostima spesso le persone danno un'interpretazione ad un evento leggermente distorta perché mette in una luce migliore se stessi. L’autostima ha sicuramente effetti benefici tuttavia potrà portare le persone a giustificare le proprie azioni impedendogli così di imparare dai propri errori e di crescere (=non si impara dall’esperienza e quindi probabilmente in una situazione simile in futuro si ripeteranno gli stessi errori). Sofferenza e autogiustificazione Gli esseri umani possiedono una motivazione per mantenere un’ immagine positiva di sè, giustificando il loro comportamento; questo porta a volte a giustificare e mettere in atto comportamenti paradossali come preferire persone o cose che li hanno fatto soffrire (pur di non ammettere l’errore = abbassare l’autostima) piuttosto che persone e eventi piacevoli. 4.2 La motivazione del bisogno di essere accurati Oltre al bisogno di avere una buona visione di sé stessi gli esseri umani hanno anche bisogno di essere accurati. Essere accurati si rifà alle abilità di cognizione sociale ovvero lo studio di come le persone raccolgono i dati dal mondo sociali (=informazioni sociali), li interpretano, selezionano, ricordano e usano per prendere decisioni. Le persone tendono ad avere una visione del mondo più accurata possibile ma tuttavia questo non è sempre possibile e quindi anche quando crediamo di avere una visione corretta della situazione magari potremmo avere un’ idea sbagliata di ciò che abbiamo preso in considerazione. 5. PERCHE’ STUDIARE PSICOLOGIA SOCIALE: 1. curiosità sul mondo sociale 2. dare una soluzione a problemi della vita 4 CAPITOLO 2 : LA COGNIZIONE SOCIALE In generale gli individui sono molto abili nella cognizione sociale, che abbiamo definito come il modo in cui le persone pensano a sé, al mondo, agli altri e selezionano, interpretano e usano le informazioni sociali. Nonostante queste abilità le persone commettono degli errori sorprendenti. Per comprendere la cognizione sociale (nel suo potere e nei suoi limiti) dobbiamo distinguere tra due tipi di cognizione sociale: 1. il pensiero automatico = pensiero veloce e automatico che mettiamo in atto “senza pensare”, Non c’è riflessione cosciente. Permette di monitorare i contesti sociali, giungere a conclusioni e dirigere i propri comportamenti. 2. il pensiero controllato = pensiero deliberato che viene messo in atto quando ci si ferma dal pensiero automatico e si riflette sull’ambiente circostante e si devono prendere decisioni importanti. Questi due tipi di pensiero operano insieme. 1. PENSIERO AUTOMATICO: PENSARE SENZA SFORZI Il pensiero automatico mi permette senza sforzi di formare rapidamente un impressione sulle persone e sull’ambiente che analizziamo in modo automatico basandosi sulle nostre esperienze precedenti. Se non ci fosse analizzare tutto attraverso il pensiero controllato sarebbe molto stancante. Caratteristiche: 1. non conscio 2. non intenzionale 3. involontario 4. senza sforzo. 1.1 Il pensiero automatico e gli schemi Come abbiamo visto il pensiero automatico ci permette di analizzare rapidamente le situazioni sociali basandosi sulle nostre esperienze precedenti. Quindi davanti a una situazione non ci metteremo ad analizzare tutta la situazione da capo ma useremo delle categorizzazioni degli elementi all’interno della scena (es. non analizzo da capo uno studente ma lo inserisco immediatamente nella categoria studenti). Le persone usano degli schemi ovvero strutture mentali che organizzano la conoscenza del mondo sociale. Gli schemi organizzano molte informazioni su determinati temi o argomenti (persone, ruoli o fatti). Racchiudono le nostre impressioni e conoscenze fondamentali per interpretare il mondo sociale e organizzare le informazioni. Inoltre sono utili laddove ci sono delle lacune nelle nostre conoscenze. Senza gli schemi le persone si trovano in uno stato confusionale, di ambiguità e incertezza dove non riescono a collegare le nuove esperienze con quelle precedenti (non c’è continuità tra le esperienze precedenti e il presente). E’ il caso della Sindrome di Korsakoff dove il paziente non è in grado di creare ricordi e per questo affronta ogni situazione come fosse completamente nuova. A volte l’utilizzo di schemi (come aspettative) in una determinata situazione potrebbe portare il soggetto a vedere una situazione in maniera leggermente distorta (schemi -> impressioni diverse). Tuttavia le persone non sono cieche al vero aspetto delle cose e nella misura in cui riteniamo che i nostri schemi siano accurati è ragionevole usarli per ridurre ambiguità. 1.2 Quali schemi applichiamo? Accessibilità e priming. Nel mondo sociale ci sono molte situazioni ambigue suscettibili di interpretazioni che potrebbero essere risolte con l’utilizzo di diversi schemi; ma quale utilizziamo? Es. abbiamo seduto vicino sull'autobus un uomo con comportamenti molto strani che borbotta cose senza senso -> potrebbero venirci in mente lo schema dell’ uomo alcolizzato o del malato psichiatrico -> quale ci viene in mente? 5 Lo schema che ci viene in mente e che guida le nostre impressioni è influenzato dall’accessibilità ossia il grado in cui tali schemi e concetti sono presenti nella nostra mente e possono quindi essere messi in pratica più velocemente per creare giudizi sul mondo sociale. Uno schema diventa accessibile per tre motivi: 1. esperienza passata (es. se in famiglia ho storie di alcolismo penserò allo schema dell’alcolista) 2. obiettivo presente (il concetto di malato psichiatrico potrebbe essere poco accessibile, se però sto facendo il corso di psicopatologia e devo dare l’esame magari riconoscerò alcuni segni di disturbo psichiatrico e mi verrà in mente lo schema del malato psichiatrico) 3. esperienze recenti = gli schemi non sono sempre presenti ma qualcosa delle mie esperienze recenti potrebbe innescare lo schema (es. vedo una bottiglia di birra vicino a un palo -> schema dell’ alcolizzata) Questi sono tutti esempi di priming, il processo mediante il quale esperienze recenti aumentano l’accessibilità di uno schema, tratto o concetto. Il priming è un esempio di pensiero automatico perché avviene rapidamente, senza intenzionalità e in maniera inconscia. 1.3 La profezia che si auto adempie La profezia che si autoadempie segue tre passaggi: 1. le persone hanno delle aspettative rispetto ad un altro individuo 2. ciò influenza il modo di agire nei suoi confronti 3. queste attese influenzano la risposta dell’individuo che adotta comportamenti coerenti con le aspettative originale facendo si che diventino vero (fanno in modo, attraverso il proprio comportamento, di far risultare le aspettative iniziali vere) Studio classico sulla profezia che si autoadempie di Rosenthal e Jacobson: In una classe di studenti della scuola elementare i due studiosi somministrano dei test di intelligenza e successivamente riferiscono agli insegnanti quali sono stati gli allievi più “brillanti e intelligenti” (in realtà lo fanno in modo randomico, questi studenti non sono effettivamente i più intelligenti = è la manipolazione). Successivamente seguono l’andamento della classe e notano che a distanza di un anno i bambini inizialmente etichettati come i migliori hanno effettivamente dei risultati migliori nei test di intelligenza. Cosa è successo? Gli insegnanti tendevano a riservare un trattamento diverso ai bambini “migliori” ma non in maniera conscia e deliberata ma in maniera automatica. Infatti la profezia che si autoadempie è un altro esempio di pensiero automatico, inconscio e involontario. Gli insegnanti favorivano inconsciamente gli studenti “migliori” attraverso 4 modalità: 1. clima emotivo migliore, danno più attenzioni, incoraggiamento e sostegno 2. assegnando loro materiale più difficile (=apprendono di più) 3. aumentano il feedback di risposta di lavoro 4. più opportunità di rispondere in classe = alla fine le aspettative degli insegnanti (in questo caso manipolate) si sono rivelate vere = profezia che si autoadempie 2. TIPOLOGIE DI PENSIERO AUTOMATICO Altra forma di pensiero automatico: Automatic goal pursuit = in una situazione potremmo avere degli obiettivi in contrasto tra di loro e la scelta può avvenire in modo automatico. La nostra mente inconscia sceglie l'obiettivo per noi (anche sulla base di priming o quale obiettivo abbiamo recentemente attivato). Es. aiutare un compagno in difficoltà o non aiutarlo per avere la possibilità di prendere un voto più alto. Questa scelta inconscia e 6 automatica dell’obiettivo da seguire potrebbe essere influenzata da fenomeni di priming senza che le persone si rendano conto. Es. se siamo appena passati da una Chiesa potremmo avere più probabilità di aiutare il nostro compagno di corso. 2.1 Pensiero automatico e le metafore sul corpo e sulla mente Gli schemi non sono gli unici che influenzano i giudizi e le decisioni. La mente è connessa al corpo e quando pensiamo a qualcosa o qualcuno facciamo riferimento a come reagisce il nostro corpo. Es. se siamo stanchi saremo più propensi a valutare negativamente una situazione. Inoltre anche le metafore sul corpo e i giudizi sociali influenzano le nostre valutazioni e decisioni. Es. la pulizia è spesso associata alla moralità mentre la sporcizia all’immoralità. Risultati studio Galinsky e altri : le persone che entravano in una stanza pulita e profumata erano più propensi a donare dei soldi a uno sconosciuto e dedicargli del tempo rispetto al gruppo di persone che vedeva lo stesso sconosciuto ma in una stanza senza odore. In un’altro studio si vede che le persone che reggevano una tazza di caffè caldo pensavano che uno sconosciuto fosse più amichevole rispetto a quelli che reggevano una tazza con caffè freddo. Quindi in questo caso si attiva una metafora per cui le persone amichevoli sono più calde, al contrario di quelle fredde influenzando così la percezione dello sconosciuto. In sintesi una sensazione fisica può attivare una metafora che influenza i giudizi su una persona o un argomento estraneo (fungono da priming sui nostri giudizi e comportamenti). 2.2 Strategie e scorciatoie mentali: le euristiche del giudizio Molto spesso utilizziamo delle strategie e delle scorciatoie mentali che facilitano le nostre decisioni, senza dover valutare ogni singolo dettaglio di una situazione (=per riuscire ad affrontare il crescente numero di info. che riceviamo in continuazione). Tuttavia non sempre queste scorciatoie ci portano alla soluzione migliore ma ci permettono di fare una buona decisione (anche se magari non la migliore che avresti potuto fare valutando ogni singolo aspetto della situazione) in modo efficace e in tempo ragionevole. Quali scorciatoie mentali usano le persone? Una è l’uso di schemi mentali. Tuttavia quando si tratta di generi particolari di giudizi e decisioni non sempre abbiamo uno schema pronto all’uso. In altri casi invece abbiamo troppi schemi che potrebbero essere applicati. In situazioni simili le persone utilizzano l'euristica del giudizio. L’euristica si riferisce alle regole che gli individui seguono per formulare giudizi in maniera rapida e efficace. Tuttavia questo metodo non permette di fare inferenze precise sul mondo e a volte possono portare a giudizi errati. Abbiamo diversi tipi di euristiche: - La prima è l’euristica della disponibilità, e si riferisce ai giudizi fondati sulla facilità con cui riportiamo alla mente esempi che confermano un determinato schema. In molti casi può essere efficace ma in altri può nascere il problema del fatto che ciò che ricordiamo con più facilità non è caratteristico del quadro generale, e ci conduce pertanto a conclusioni errate (es. un medico potrebbe erroneamente diagnosticare una malattia che più facilmente gli viene in mente in base ai sintomi che vede anche se quei sintomi si riferiscono a un’altra malattia magari meno comune). Possiamo usare l’euristica della disponibilità anche su noi stessi: formuliamo dei giudizi su noi stessi che si basano sulla facilità con cui ricordiamo esempi del nostro comportamento. - La seconda è l’euristica della rappresentatività, una scorciatoia mentale che utilizziamo quando classifichiamo le cose in base alla loro somiglianza con il caso tipico - stereotipo della categoria (es. incontriamo nell’ uni. di New York un ragazzo biondo, abbronzato, che ama il mare e fa surf -> penseremo che è californiano). Al posto di usare questa euristica potremmo 7 ragionare in un altro modo. Ad es. avremmo potuto pensare, in modo più prudente, che se incontro un ragazzo all'università di NY questo molto probabilmente sarà newyorkese vista l’alta frequenza degli studenti di questo stato rispetto ad altri. Questo modo di ragionare si chiama impiego dell’informazione media di base, ovvero l’informazione sulla frequenza relativa di membri di categorie differenti all’interno di una certa popolazione. Quando le persone dispongono sia dell’informazione media di base sia di dati contraddittori sulla persona in questione l’utilizzo dell’ informazione media di base viene sottovalutato a favore dell’utilizzo dell'euristica della rappresentatività. Questo modo di ragionare potrebbe essere problematico quando tali informazioni risultano incoerenti (in questo caso pensiamo che sia californiano anche se è molto probabile che non lo sia data la bassa percentuale di californiani iscritti all’università di NY). - La terza euristica che vediamo è l’euristica dell’ ancoraggio e accomodamento, una scorciatoia mentale con cui le persone utilizzano un numero o un valore come punto di partenza e quindi precisano la loro risposta rispetto ad esso. Questa euristica funziona in numerose circostanze, tuttavia anche questa può crearci dei problemi. Un caso di questa problematicità (dimostrato con uno studio) è quando le persone si attengono strettamente ai numeri iniziali perfino quando essi sono del tutto arbitrari e non hanno alcuna pertinenza con il giudizio che stanno formulando (anche se le nostre esperienze sono atipiche e non frequenti tenderemo ad utilizzarle sempre per formulare un giudizio, es. cameriere sgarbato insolitamente -> impressione negativa -> generalizzazione ->non torneremo più al ristorante anche se il nostro è stato un caso insolito). Quando si generalizza partendo da un campione di informazioni per arrivare alla sua totalità viene messo in atto un processo di campionamento tendenzioso. In sintesi: le nostre esperienze fungono da ancoraggio per le nostre generalizzazioni e per il nostro accomodamento anche se sono atipiche e non corrette. 3. DIFFERENZE CULTURALI NELLA COGNIZIONE SOCIALE 3.1 Determinanti culturali sugli schemi Tutte le persone usano gli schemi per interpretare e comprendere il mondo, tuttavia il loro contenuto è influenzato dalla cultura in cui si vive. Da diversi studi (studio di Bartlett, pag. 51) è emerso che ognuno di noi possiede una memoria eccezionale relativamente alle aree (argomenti) che sono per noi importanti e di cui possediamo schemi ben sviluppati. Gli schemi sono un modo molto importante in cui le culture esercitano la loro influenza, formando strutture mentali che influenzano la nostra maniera di comprendere e interpretare il mondo (la cultura influenza i nostri schemi, di conseguenza il modo di ragionare e interpretare il mondo di un italiano sarà molto diverso da un cinese). 3.2 Pensiero olistico vs pensiero analitico La cultura può influenzare i tipi di ragionamento che le persone usano automaticamente per comprendere e interpretare il mondo. Non tutti i ragionamenti sono influenzati dalla cultura; quelli automatici che abbiamo visto finora sembrano essere comuni e usati da tutti. Una differenza culturale è stata invece vista da Nisbett che identificò due tipi di pensiero usati in due culture diverse: il pensiero analitico (= pensiero che si concentra sulle proprietà degli oggetti senza considerare il contesto) comune alle culture occidentali e il pensiero olistico (=pensiero che si concentra sul contesto generale e come gli elementi sono legati e in relazione tra di loro) comune alle culture orientali. Nel cap. 3 vedremo come il tipo di pensiero influenza il modo in cui percepiamo le emozioni degli altri. Da dove vengono queste differenze di stili? 8 Nisbett ipotizza che dipendono dalle differenti tradizioni filosofiche. Il pensiero orientale è modellato sulla filosofia buddista, taoista ecc. che si basa sull’idea di connessione e relazione tra le cose mentre il pensiero occidentale si basa sul pensiero filosofico di Platone e Aristotele che concentra di più la propria filosofia sulle leggi che governano gli oggetti indipendentemente dal contesto. Altre ricerche ipotizzano che la differenza di tipi di pensiero risieda nelle reali differenze radicate nei due diversi tipi di ambienti culturali. Queste ricerche (pag.53) hanno prodotto come risultato il fatto che probabilmente ogni persona di ogni cultura penserà sia in maniera olistica sia in maniera analitica ma che l’ambiente in cui vivono stimoli l’attivazione di uno dei due stili (priming). Es. Città giapponesi affollate -> persone non sanno dove focalizzare l’attenzione -> si concentra l’attenzione sullo sfondo delle immagini = pensiero olistico/ contestuale. 4. COGNIZIONE SOCIALE CONTROLLATA: UN PENSIERO CHE RICHIEDE SFORZI Il pensiero controllato è una delle caratteristiche distintive dell’uomo, siamo la sola specie che ha questa abilità. Caratteristiche: 1. conscio 2. intenzionale 3. volontario 4. richiede sforzo (=energia mentale) 5. si può attivare o disattivare e siamo consapevoli di quello che stiamo pensando 6. si può attivare solo per una cosa per volta E’ in corso un dibattito sull’importanza dei due tipi di pensiero (pensiero volontario e pensiero controllato) 4.1 Il pensiero controllato e il libero arbitrio Daniel Weger ha dimostrato che esiste un’illusione di libero arbitrio, ovvero anche se noi pensiamo di compiere un’azione conscia e deliberata quella potrebbe derivare da un processo inconscio che porta a compiere quell’azione. Un desiderio inconscio innesca un’azione senza intervento del pensiero conscio. Es. facilitatorio scrittura → ci può essere una disconnessione tra la percezione conscia del grado in cui stiamo determinando le nostre azioni e quello che accade realmente. A volte sovrastimiamo il nostro controllo sulle nostre azioni e talvolta lo sottostimiamo. Tuttavia da degli studi è emerso che sapere se le persone credono o meno di avere libero arbitrio porta ad avere conseguenze sulle proprie azioni; le persone che non credono nel libero arbitrio è più portato ad imbrogliare e compiere azioni immorali mentre chi crede nel libero arbitrio è più portato ad aiutare gli altri. 4.2 L’annullamento mentale del passato: il pensiero controfattuale Il pensiero controfattuale è un tipo di pensiero che mettiamo in atto quando ripensiamo a come le cose sarebbero potute andare diversamente in un particolare evento. I pensieri controfattuali influenzano enormemente le nostre reazioni emotive agli eventi. Più è facile annullare mentalmente un esito più è forte la reazione emotiva ad esso. E’ un pensiero conscio che richiede uno sforzo ma non sempre è innescato volontariamente. A volte, anche quando vogliamo smettere di pensare ad un evento, continuiamo a pensarci. In questo caso se il pensiero controfattuale porta al rimuginio è negativo. Può essere positivo se ci si concentra su degli aspetti dell’evento che possono aiutare il soggetto nella gestione della vita futura. 4.3 Come potenziare il pensiero umano 9 Il pensiero controllato ha come obiettivo frenare quello automatico e subentra quando si verificano eventi insoliti o errori. Come si può insegnare ai soggetti a fare meglio? Un ostacolo al miglioramento può essere l’eccessiva fiducia nei nostri giudizi. Es. errori di pianificazione = sovrastimare le nostre abilità e sottostimare il tempo per completare un progetto arrivando così a non completarlo in tempo. Il libro propone che per migliorare questi errori si potrebbero insegnare principi statistici e metodologici ai soggetti con ad es. delle lezioni o corsi universitari ad hoc. 4.4 Watson rivisitato Gli esseri umani sono pensatori sociali raffinati con sorprendenti abilità cognitive, anche se vittime di errori consequenziali- Le persone sono scienziati imperfetti. 10 CAPITOLO 3: LA PERCEZIONE SOCIALE Nel capit. 3 discuteremo della percezione sociale, ovvero lo studio del modo in cui creiamo impressioni e formuliamo giudizi riguardo agli altri (cerca di spiegare perché gli individui si comportano in un certo modo). Ogni giorno utilizziamo molte energie per capire gli altri. Non analizziamo solo il comportamento esplicito ma anche il comportamento non verbale. 1. LA COMUNICAZIONE NON VERBALE La comunicazione non verbale riguarda il modo in cui le persone comunicano senza usare parole. Es. attraverso espressioni del volto, tono della voce, espressioni facciali ecc. 1.1 Esprimere le emozioni con il viso Le espressioni del volto sono il principale canale di comunicazione non verbale. Sono state studiate a partire da Darwin. L’ipotesi principale di Darwin è l’ipotesi dell’universalità delle emozioni primarie trasmesse mediante il volto, secondo la quale tutti gli esseri umani esprimono queste emozioni allo stesso modo (=codifica) e le interpretano (=decodificano) allo stesso modo. Quindi queste forme di comunicazione non verbale secondo Darwin non sono apprese culturalmente ma proprie della specie. Una ricerca di Susskind ha sostenuto l’ipotesi di Darwin e ha osservato che i movimenti muscolari facciali di paura e disgusto sono esattamente opposti. Inoltre la paura aumenta l’input sensoriale mentre il disgusto diminuisce l’input sensoriale. Secondo Darwin simili espressioni facciali avevano un significato evolutivo: comunicare gli stati emotivi assumeva il valore di sopravvivenza della specie (= esprimere emozioni per sopravvivere). A sostegno dell’aspetto evolutivo della teoria di Darwin, Becker e colleghi hanno ottenuto i seguenti risultati: i soggetti erano più rapidi e precisi nel decodificare espressioni di rabbia sui volti maschili e espressioni di felicità sui volti femminili (connessione: rabbia-maschio, felicità-femmina). Quindi i costi e i guadagni del decodificare rabbia e felicità variano a seconda del sesso. La tesi darwiniana rimane valida per 6 emozioni primarie: 1. rabbia 2. tristezza 3. disgusto 4. felicità 5. sorpresa 6. paura Paul Ekman sostenne questa tesi ottenendo dei risultati a sostegno del fatto che la capacità di interpretare queste sei emozioni attraversa le culture ed è un prodotto dell’essere umano. Tuttavia si è visto che esistono delle differenze culturali: in occidente le persone tendono ad essere rigide nell’utilizzo di queste emozioni mentre in oriente sono più flessibili e tendono a sovrapporre spesso le emozioni. Inoltre si è scoperto che i soggetti sono più bravi a decodificare le espressioni facciali dei membri del proprio gruppo rispetto a quelli di un gruppo diverso. Oltre alle 6 emozioni primarie si sono indagate anche altre emozioni e si è scoperto che anche l’orgoglio e la vergogna probabilmente sono emozioni primarie. Lo studio è stato condotto da Matsumoto il quale ha studiato la vergogna, associata alla sconfitta, e l’orgoglio, associato alla vittoria, negli atleti delle olimpiadi e paraolimpiadi. E’ emerso che queste due emozioni sono proprie di tutte le culture e anche delle persone con cecità congenita. L’unica eccezione emersa riguarda la vergogna (sconfitta) non manifestata da alcuni atleti provenienti da culture individualiste come U.S e Europa Occidentale dove questa emozioni è vista come negativa e stigmatizzata e per questo da nascondere. Le emozioni possono essere difficili da codificare perché intervengono queste tre variabili: 11 - emozioni miste - un’emozione può avere significato diverso a seconda del contesto - cultura. 1.2 La cultura e i canali della comunicazione non verbale Ekman ha studiato a lungo le influenze culturali sull’espressione facciale arrivando alla conclusione che esistono delle regole di esibizione di ogni cultura, le quali dicono quali tipi di espressioni emotive possano essere mostrate. Es. giapponesi = contenere le emozioni e mascherare emozioni negative con sorrisi. Es. occidente = uomini scoraggiati nell'esprimere dolore o piangere mentre è concesso solo alle donne. Ci sono altri indizi della comunicazione non verbale oltre alle espressioni facciali: 1. contatto visivo e sguardo. Es. cultura americana una persona che non guarda negli occhi viene vista come sospettosa mentre in altre culture guardare negli occhi può essere sinonimo di invadenza 2. posizione nei confronti dell’interlocutore. Differenza tra culture a basso contatto e ad alto contatto 3. gesti delle mani e delle braccia. Es. fare il dito medio. Questi gesti che comportano definizioni chiari e veloci sono detti emblemi e variano da cultura a cultura. In sintesi la comunicazione non verbale ci rivela molto delle emozioni e delle intenzioni del soggetto, a volte i dati espressi sono decodificabili facilmente perchè omogenei tra le culture (espressioni facciali delle 6 emozioni primarie) a volte no come gesti, sguardo ecc. 2. LE PRIME IMPRESSIONI: VELOCI MA DUREVOLI Quando vediamo una persona per la prima volta formiamo delle impressioni basandosi su pochi indizi, come il volto. E questo accade molto velocemente. Ci facciamo un’impressione iniziale di una persona a partire dal suo volto in meno di 100 ms. Es. persone con tratti del volto “infantili” vengono giudicate anche con caratteristiche personologiche infantili. Anche se queste impressioni sono spesso sbagliate, ci sono alcune evidenze che sostengono che possiamo formulare giudizi abbastanza accurati solo basandosi sull'aspetto di una persona. Es. “gay-radar” = definire orientamneto di una persona solo dal suo aspetto. Ambady e colleghi hanno definito questo tipo di percezione sociale basata su comportamenti minimi come “thin-slicing”. Non solo le impressioni si formano molto velocemente ma sembrano essere anche molto durevoli nel tempo. 2.1 Le teorie implicite di personalità Per cercare di capire le persone spesso usiamo degli schemi ovvero delle scorciatoie mentali che ci permettono di riempire informazioni mancanti quando possediamo un numero limitato di informazioni. Quindi inizialmente formiamo delle impressioni veloci e durevoli e le associamo a degli schemi. Uno schema che usiamo per dedurre i tratti di personalità di una persona, a partire da un tratto, è lo schema della teoria implicita di personalità dove si va a vedere quali tratti concordano tra di loro (es. so che è una persona gentile, penso che sia anche altruista). Solitamente usiamo due schemi generali: lo schema del “calore umano” (calore = es. generoso) e lo schema della “competenza” (competente = es. potente). In prospettiva evoluzionistica l’uso di questi due schemi ci permette di estrapolare informazioni utili per la sopravvivenza, come di quali persone fidarci e di quali no. Inoltre entra in gioco anche la credenza della perseveranza, ovvero quanto le persone decidono di rimanere convinti delle proprie credenze iniziali. 12 2.2 La cultura e le teorie implicite di personalità Le teorie implicite di personalità si sviluppano nel tempo e grazie alle nostre esperienze, e per questo contengono molte componenti culturali. Uno studio condotto da Hoffman, Lau e Johnson ha dimostrato che culture diverse hanno idee diverse sui tipi di personalità. Ad es. hanno osservato che in occidente esiste un’etichetta per descrivere un tipo di personalità “artistica” (es. bohemien) mentre in oriente no. Mentre in oriente esiste un termine di uso comune “ shi gù” che indica chi ha senso pratico, culto della famiglia ed è ben inserito nella società pur rimanendo riservato che in occidente non esiste. Queste teorie culturali della personalità influenzano il nostro modo di formare impressioni rispetto agli altri. L’uso di questi schemi, insieme alla decodifica dei comportamenti non verbali è un processo automatico di cui non siamo consapevoli. 3. L’ATTRIBUZIONE CAUSALE: LE RISPOSTE AI NOSTRI PERCHE’ Nonostante il comportamento verbale ci fornisca molte informazioni sul comportamento della persona non è un indicatore assolutamente fedele alla realtà, non cancella l’ambiguità del vero significato del comportamento. Per chiarire questo dubbio dobbiamo osservare la vera natura delle persone e le ragioni dei loro comportamenti. La teoria delle attribuzioni studia il modo in cui inferiamo le cause di comportamenti altrui. 3.1 La natura del processo di attribuzione La teoria dell’attribuzione è stata elaborata da Heider. Questa teoria vede gli uomini come alla ricerca della comprensione del comportamento umano assemblando varie informazioni. In particolar modo Heider si è interessato ad indagare ciò che sembra essere ragionevole alle persone e alle modalità attraverso cui arrivano a diverse conclusioni. Distinguiamo tra: attribuzione interna disposizionale = si cerca di spiegare il comportamento di una persona sulla base della sua personalità, ovvero delle sue disposizioni interne (es. padre sgrida il figlio = spiegazione è impaziente) attribuzione esterna situazionale = si cerca di spiegare il comportamento di una persona sulla base della situazione in cui si trova (es. padre sgrida il figlio = spiegazione è perché il figlio ha attraversato la strada senza guardare) Sulla base dell’attribuzione che usiamo avremo impressioni molto diverse. 3.2 Il modello della covariazione: attribuzioni interne vs esterne Il primo passo nel processo di percezione sociale è decidere se fare un’attribuzione interna o esterna. Kelley sostiene che quando formiamo un impressione su una persona osserviamo e pensiamo di più. La sua teoria viene chiamata modello della covariazione e spiega che per spiegare il comportamento di una persona (es. amica che non ti presta la macchina) prendiamo in considerazione più comportamenti che si sono verificati nel tempo e in situazioni diverse. Mentre formuliamo un’attribuzione, raccogliamo dati o informazioni per arrivare ad un giudizio. Secondo Kelley, i dati che utilizziamo sono il modo in cui il comportamento di una persona varia a seconda della situazione spaziale e temporale, e dei diversi attori e bersagli del comportamento. Ci sono tre tipi di informazioni che riteniamo pertinenti alla co-variazione del comportamento: consenso, specificità e coerenza. Il consenso riguarda il modo in cui le altre persone si comportano nei confronti del medesimo stimolo (es. proprietario di un locale grida ad Hanna, ci chiediamo se anche gli altri si comportino così con lei ovvero se ci sia un consenso nel modo di rapportarsi con lei.). La specificità riguarda il modo in cui l’attore si comporta con altri stimoli (se il proprietario sgrida tutti i suoi dipendenti forse il suo comportamento è problematico, mentre se sgrida solo hanna forse è il comportamento della ragazza problematico). La coerenza invece indica la frequenza nel 13 tempo e in altre circostanze, con cui quel comportamento tra attore-stimolo si presenta (es. se succede con regolarità o solo occasionalmente). Secondo Kelley, è difficile fare un'attribuzione interna o esterna quando la coerenza è minima. Quando la coerenza è alta, invece, schemi di specificità e consenso permettono di fare attribuzioni interne chiare. Le persone compiono con più facilità attribuzioni interne quando il consenso e la specificità dell’atto sono bassi mentre la coerenza è alta. Mentre al contrario compiono più attribuzioni esterne quando c'è un elevato grado di consenso, specifica è coerenza (la coerenza deve essere sempre alta). Questo modello sostiene che le persone compiano attribuzioni causali secondo un atteggiamento logico e razionale. Gli individui osservano gli indizi e quindi deducono attraverso un’inferenza le cause dell’azione di una persona. Altro studiosi hanno confermato questo modello con però due eccezioni: Le persone non utilizzano le informazioni di consenso nella misura prevista da Kelley e si affidano maggiormente a specificità e coerenza. Le persone non sempre dispongono di queste tre informazioni rilevanti, in questo caso fanno attribuzioni causali sui dati disponibili inferendo i dati mancanti. Quando cerchiamo di dedurre il comportamento di una persona guardiamo alle possibilità delle azioni che il soggetto poteva fare, analizzando ciò che avrebbe potuto ottenere comportandosi in maniera diversa. A volte queste scorciatoie mentali si rivelano sbagliate e ci sono degli errori cognitivi che interferiscono il processo di attribuzione (bias). 3.3 L’errore fondamentale di attribuzione Le persone tendono a spiegare il comportamento umano su base disposizionale (tendenze personologiche) piuttosto che situazionale, questo bias viene chiamato errore fondamentale di attribuzione o bias di corrispondenza. L’errore fondamentale di attribuzione indica la tendenza delle persone a sottostimare l’influenza della situazione sociale e sovrastimare la tendenza disposizionale del soggetto nello spiegare le ragioni del suo comportamento. Una ragione per cui commettiamo questo errore è data dalla salienza percettiva, ovvero che di norma ci si concentra di più sulla persona rispetto alla situazione circostante. Le cause situazionali restano praticamente invisibili. Questo anche perché non sappiamo cosa è capitato all’individuo che abbiamo di fronte durante la giornata e anche se lo sappiamo non sappiamo come l'individuo lo interpreti. Dal momento che non riusciamo ad avere una visione chiara della situazione, la svalutiamo, cercando di spiegare il comportamento del soggetto su base disposizionale. La salienza percettiva, riguarda il nostro punto visivo di osservazione (uso di vista e udito) e influenza enormemente l’attribuzione causale (es. vedere un interrogatorio dove l’interrogato è inquadrato frontalmente influenza le valutazione di spontaneità della confessione rendendo il soggetto meno sospetto rispetto ai giudici che valutano il sospettato attraverso un interrogatorio dove non è inquadrato. Meno salienza percettiva ovvero non vedo il sospettato = più errore fondamentale di attribuzione). Due stadi del processo di attribuzione: 1. Il primo stadio è un’attribuzione interna, rapida e spontanea. 2. Il secondo stadio è un aggiustamento dell’attribuzione interna iniziale, in cui si cerca di considerare le variabili contestuali. Richiede maggiore sforzo e attenzione consapevole. A volte però saltiamo questo stadio e facciamo un’ attribuzione causale interna estrema. Oppure questo stadio non rappresenta un accomodamento sufficiente. Questo modello a due stadi è meno applicabile a quelle culture in cui gli individui non fanno attribuzioni causali interne come risposta automatica (vedremo più avanti). 14 3.4 Le auto-attribuzioni Quando la nostra autostima è minacciata compiamo delle auto-attribuzioni (self-serving attribution). Queste attribuzioni si riferiscono alla nostra tendenza a prenderci il merito dei nostri successi mediante attribuzioni causali interne e a attribuire la causa di un fallimento a eventi situazionali, ovvero con un attribuzione causale esterna. Questo avviene per diverse ragioni. Una ragione è mantenere la nostra autostima oppure far sì che gli altri ci vedano bene e pensino bene di noi. Un altro motivo dipende dalle informazioni che sono disponibili alle persone (es. prof penserà che la colpa di un brutto voto sia del ragazzo se la stessa prova è stata eseguita bene da altri e non dalla mal formulazione della prova). Un’altra ragione delle auto-attribuzioni riguarda momenti difficili come incidenti mortali o malattie terminali che mettono in luce una paura intrinseca dell'uomo ovvero la consapevolezza di essere mortali. Per proteggersi da questa paura le persone utilizzano un autoattribuzione chiamata da Lerner “ipotesi di un mondo giusto” ossia la credenza che le persone abbiano quello che si meritano. Queste attribuzioni difensive possono avere conseguenze tragiche quando si arriva a incolpare la vittima di un dato evento (es. ragazza stuprata). A causa di questa attribuzione le persone non pensano che la vita è retta dal caso e che le tragedie possono capitare anche a persone buone. Un’ altra forma di attribuzione difensiva è l’ottimismo irrealistico ovvero la tendenza delle persone a pensare che il loro futuro presenterà più eventi positivi che negativi rispetto agli altri. E’ un modo per proteggersi dalla consapevolezza di essere mortali. Tutti commettiamo errori di attribuzione. Emily pronini ha definito bias blind spot una tendenza secondo la quale pensiamo di essere meno inclini a compiere errori di attribuzione rispetto agli altri. 4. LE DIFFERENZE CULTURALI NELLA PERCEZIONE SOCIALE La cultura influenza sia la percezione che abbiamo degli altri sia i tentativi che facciamo per comprendere gli altri. Ad es. negli U.S.A e nelle culture occidentali si enfatizza l’autonomia individuale mentre in altri stati orientali si enfatizza l’autonomia del gruppo sociale di appartenenza. 4.1 Il pensiero olistico vs analitico I diversi valori culturali influenzano il tipo di informazione a cui le persone prestano attenzione. Le culture occidentali individualiste hanno uno stile di pensiero analitico mentre le culture orientali collettiviste hanno uno stile di pensiero globale. Questa differenza è supportata dalle neuroscienze. Studi con fMRI dimostrano che a livello fisiologico c’è maggiore attivazione corticale quando chiediamo a dei soggetti di seguire delle istruzioni contrarie al loro stile tipico di pensiero, questo ci dice che devono fare maggiore sforzo (es. a dei partecipanti orientali viene chiesto di ignorare il contesto). 4.2 Differenze culturali nell’errore fondamentale di attribuzione Le persone che appartengono a culture individualiste, come quella statunitense, preferiscono attribuzioni disposizionali mentre quelle provenienti da culture collettiviste preferiscono attribuzioni situazionali. Queste evidenze sono emerse da degli studi di Miller e sottolineano la forza del contesto ambientale, in particolare delle esperienze culturali nei processi di percezione. Altre evidenze hanno dimostrato che se si sottoponevano dei bambini agli stessi test degli adulti non ne risultava una differenza così eclatante nelle attribuzioni causali. Quindi le differenze cross culturali nella percezione sociale non sono innate ma sono malleabili e prendono forma nel tempo a seconda della cultura. Anche i soggetti orientali compiono delle attribuzioni disposizionali, ma in misura diversa. Si può dire che sono più consapevoli di quanto la situazione influenzi il comportamento (questo si traduce in un maggior accomodamento della situazione dello stadio due del processo di attribuzione). 15 4.3 Altri bias attribuzionali Giá visti ma il libro li cita di nuovo in relazione alle differenze culturali. Si sono analizzati anche altri bias e la loro variazione nelle diverse culture. Un bias analizzato è il self-serving bias (=bias a servizio di se). Quello che è emerso è che questo bias è più forte negli USA, nei paesi occidentali, in Africa e in Russia mentre è significativamente inferiore in alcune culture asiatiche come il Giappone. Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che molte culture asiatiche incoraggiano la modestia e l’armonia con gli altri e per questo la società non li incoraggia ad attribuire il successo a sé stessi. Nelle culture individualiste invece il self-serving bias si manifesta attribuendo il merito dei propri successi a sé stessi mentre i fallimenti vengono spiegati attraverso attribuzioni situazionali. Nei paesi asiatici succede l’opposto. Un altro bias analizzato è il bias del mondo giusto. E’ emerso da alcuni studi che nelle società dove questo bias è più presente le ingiustizie sociali come la disuguaglianza tendono a essere giustificate. Questi dati potrebbero essere legati anche alle tradizioni religiose di alcune culture, come il concetto di Karma. 16 CAPITOLO 4: IL SE’ 1. LE ORIGINI E LA NATURA DELLA CONOSCENZA DI SE’ Chi sei e come sei diventato la persona che chiami io? Per rispondere a questa domanda innanzitutto dobbiamo indagare se solo gli umani hanno un senso di sé. Diversi studi hanno dimostrato che alcuni primati come oranghi e scimpanzé hanno un senso di sé (dimostrato con il test della macchia rossa sul naso). Nell’uomo il riconoscimento di sé avviene tra i 18 e i 24 mesi. Questo riconoscimento di sé si sviluppa nel tempo e diventa un concetto di sé, ovvero l’insieme di credenze che le persone hanno riguardo i propri contributi personali. Come rispondono le persone alla domanda chi sono io? I bambini rispondo con risposte chiare e osservabili, come l’età e il genere, mentre negli adulti ci si concentra di più sugli stati psicologici e sull'opinione che gli altri hanno di noi rispetto alle caratteristiche fisiche. Alcuni cambiamenti come un peggioramento fisico e cognitivo non alterano la visione che abbiamo degli altri (nel tempo) mentre è stato visto avere un ruolo fondamentale la trasformazione morale (facciamo fatica a riconoscere una persona come la stessa se nel tempo è passato da essere buono a essere razzista). Questo perché la moralità è parte centrale del sé. 1,1 Influenze culturali nella definizione di sé La cultura in cui cresciamo influenza enormemente la definizione del nostro sé. Nelle culture occidentali le persone hanno una visione di sé indipendente , mentre nelle culture orientali le persone hanno una visione di sé interdipendente (vengono valorizzate le relazioni tra le persone nel definirsi). Un comportamento che è giudicato normale e positivo in una cultura può essere giudicato negativamente in un’altra a causa delle diverse costruzioni del concetto di sè. Queste differenze nel concetto di sé non significano che ogni membro di quella cultura ha quella visione di sé, tuttavia rappresentano una realtà generale. Inoltre influenzano la comunicazione fra le culture e influenzano le persone a tal punto che le persone con un sé indipendente hanno difficoltà a valorizzare cosa vuol dire avere un sé interdipendente, e viceversa. 1.2 Le funzioni del sé Le funzioni del sé sono: 1. conoscenza di sè (=chi siamo) 2. autocontrollo (=come facciamo progetti e prendiamo decisioni) 3. controllo delle impressioni (=come ci mostriamo agli altri) 4. autostima (=cerchiamo di mantenere un’immagine positiva di noi) 2. CONOSCERE SE’ STESSI 2.1 Conoscere se stessi attraverso l’introspezione L’introspezione è un modo attraverso il quale le persone possono fare conoscenza di sé stessi guardandosi dentro, guardando ai propri pensieri e alle proprie motivazioni. Tuttavia anche se utile non è un metodo perfetto e a volte le motivazioni dei nostri comportamenti e sentimenti sono inconsci e non conoscibili attraverso l’introspezione. A volte i nostri pensieri si concentrano naturalmente sulla nostra vita interiore, a volte invece questo capita in relazione ad eventi esterni. La teoria della consapevolezza di sé sostiene che quando ci concentriamo su noi stessi valutiamo e confrontiamo il nostro comportamento rispetto ai nostri valori e regole interne (diventiamo consci e giudicanti di noi stessi). La consapevolezza del sé ci rende consci dei nostri standard interiori e influenza il nostro comportamento. Quando ci si trova in uno stato di consapevolezza di sé negativo, 17 spesso si cerca di evitarlo e le persone pur di evitarlo possono mettere in atto meccanismi rischiosi (come l’abuso di alcol). Tuttavia essere consapevoli di sé può essere anche positivo, ad es. è più probabile che si seguano delle regole morali oppure nel caso di un successo mette in luce i nostri comportamenti e i nostri ideali (al contrario può essere negativa se mette in luce degli insuccessi). Una funzione dell’introspezione è cercare di capire perché di determinati sentimenti. Nonostante siamo consapevoli dei risultati finali dei nostri processi mentali non abbiamo coscienza dei processi mentali che hanno portato a quel risultato. Tendiamo però a pensare di sapere perché ci sentiamo in quel modo. Nisbett e Wilson chiamano questo fenomeno “dire di più di quanto si può sapere” ovvero dare spiegazioni di sentimenti e comportamenti che vanno al di là di quanto una persona può effettivamente sapere. Le persone possiedono molte teorie per cercare di spiegare i loro stati d’animo (teorie causali) e i loro comportamenti. Molte di queste sono apprese culturalmente e non sempre sono corrette, e quindi non ci portano alla spiegazione corretta del perché delle nostre azioni. Oltre a queste teorie le persone utilizzano anche le informazioni che conoscono di loro stessi, come ad es. il modo in cui abbiamo risposto in passato. 2.2 Conoscere sè stessi attraverso l’osservazione di nostri comportamenti Un altro modo per la conoscenza di sé è l’osservazione dei propri comportamenti. La teoria dell’autopercezione sostiene che quando i nostri sentimenti o comportamenti sono poco chiari o ambigui, li inferiamo osservando il nostro comportamento e la situazione. Lo facciamo solo quando i sentimenti sono poco chiari, se sono forti non c’è necessità di inferire dal comportamento. Inoltre le persone cercano di capire se il loro comportamento rifletta veramente quello che sentono oppure è dato dalla situazione (es. mi chiedono se mi piace la musica classica e io non ho una posizione forte a riguardo, penso a tutte le volte in cui l’ho ascoltata e rifletto se sia stata una mia scelta oppure perché qualcun altro me l’ha fatta ascoltare). La teoria dell’autopercezione è in accordo con la teoria dell’attribuzione causale e allo stesso modo vede che gli individui utilizzano gli stessi principi attribuzionali per inferire i loro stessi comportamenti. Schachter ha proposto una teoria delle emozioni secondo la quale inferiamo le nostre emozioni nello stesso modo in cui inferiamo cosa ci piace o che genere di persona siamo, ovvero cercando di capire perché ci comportiamo in quel modo. La differenza è il comportamento che osserviamo che nel caso delle emozioni è l’eccitazione fisiologica. La tesi di Schachter è chiamata teoria bifattoriale delle emozioni, bifattoriale perché la comprensione delle nostre emozioni richiede due stadi: - dobbiamo provare eccitazione fisiologica - dobbiamo cercare una spiegazione adeguata (etichetta) basandosi sulle informazioni presenti nella situazione. Schachter ha provato questa teoria attraverso lo studio della somministrazione di adrenalina e l’esposizione a un soggetto rabbioso mentre si compila il questionario. Risultati: eccitazione data dall’adrenalina spiegata come rabbia se il soggetto è nella stanza con l’individuo che reagisce con rabbia al questionario. Minore rabbia nel gruppo placebo. In sintesi i soggetti erano eccitati dall’adrenalina e avevano cercato una spiegazione ragionevole nell’ambiente e vedendo il soggetto rabbioso lo erano diventati anche loro spiegando l’eccitabilità fisiologica come rabbia (in un’altra condizione il soggetto rabbioso era sostituito da un soggetto euforico e si vedono gli stessi risultati ovvero il soggetto attribuisce la causa della sua eccitabilità all’euforia). Un’altra implicazione di questa teoria è che le emozioni sono in parte arbitrarie, dipendono da quella che sembra la spiegazione più plausibile della propria eccitazione. Nel caso dell’esperimento 18 questo venne dimostrato quando gli sperimentatori impedivano ai soggetti di provare rabbia fornendo una spiegazione ai soggetti degli effetti dell’adrenalina facendo sì che loro attribuissero la causa della loro eccitazione alla sostanza e non alla rabbia. Nella realtà ci sono situazioni che si presentano con più cause possibili alla nostra eccitazione, ed è difficile capire in che proporzione influenzano la nostra eccitazione. Per questo si possono identificare in modo scorretto le nostre emozioni. Questa ipotesi è definita attribuzione errata di eccitazione mediante la quale le persone compiono inferenze sbagliate circa la causa delle sensazioni che provano. Esistono diverse attribuzioni che riguardano la motivazione. Distinguiamo tra motivazione intrinseca (desiderio di fare qualcosa perché la si trova piacevole) e motivazione estrinseca (fare qualcosa perché premiati, per ricevere un rinforzo). Una conseguenza del sostituire motivazioni intrinseche con motivazioni estrinseche, mediante le ricompense, è che induce gli individui a perdere il piacere dell’attività. Questo effetto si chiama di sovra-giustificazione: le persone giustificano il loro comportamento mediante le cause esterne (guardando le ricompense) e sottostimando il loro interesse intrinseco per il comportamento. Questo accade però solo se l’interesse iniziale era alto, nel caso in cui l’interesse iniziale fosse basso allora le ricompense possono avere un effetto positivo e aumentarlo. Inoltre il tipo di ricompensa fa la differenza. L’effetto visto sopra si verifica nel caso di ricompense contingenti al compito (si è premiati ogni volta che si fa il compito) mentre nel caso di ricompense contingenti alla prestazione (dipendono dalla bravura) queste possono aumentare l’interesse del soggetto verso il compito (possono però avere degli effetti negativi perché inducono tensione data dalla valutazione). Un altro modo in cui la percezione influenza la motivazione è il mindset ovvero la modalità con cui percepiamo le nostre doti e nostre abilità. Alcune persone ritengono che le proprie abilità siano immutate e questo tipo di mindset viene definito fixed mindset. Altre persone pensano invece che le loro abilità possano modificarsi grazie all’impegno e al duro lavoro, e questo tipo di mindset viene definito growth mindset. Il tipo di mindset incide su come le persone prendono un insuccesso: le persone con fixed mindset saranno più tendenti a rinunciare a riprovare dopo un fallimento mentre le persone growth mindset tenderanno a pensare che mettendoci più impegno potranno riuscire a avere successo anche in qualcosa in cui hanno fallito. 2.3 Usare le altre persone per conoscere se stessi Il concetto di sé è modellato dalle persone che ci circondano. Un modo per conoscere noi stessi è il confronto con gli altri. La teoria del confronto sociale è stata inizialmente proposta da Festinger e poi affinata da molti altri. Essa presuppone che le persone comprendano le loro attitudini e abilità grazie al confronto con gli altri e verte su due questioni: 1) quando mettiamo in atto il confronto sociale 2) con chi. La risposta alla prima domanda è che facciamo confronto sociale quando non disponiamo di alcun criterio oggettivo con cui poterci misurare e avvertiamo incertezza su noi stessi in un area. La risposta alla seconda domanda è dipende dallo scopo: facciamo un confronto sociale verso l’alto (con persone più dotate di noi) quando vogliamo determinare un criterio di eccellenza mentre facciamo un confronto sociale verso il basso (con chi è peggio di noi) per aumentare il nostro ego e sentirci meglio. Possiamo fare un confronto sociale anche rispetto a una prestazione del passato (è sempre un confronto verso il basso). 19 Le persone che si frequentano tendono ad avere una visione uguale del mondo. Una spiegazione è che le persone con opinioni simili si attraggono reciprocamente e hanno maggiori probabilità di formare legami sociali. In alcune condizioni le persone adottano le opinioni di chi frequentano, questo effetto è chiamato "sé rispecchiato" ovvero vedere se stessi e il mondo sociale attraverso gli occhi degli altri adottando anche le loro opinioni. Questa sintonizzazione sociale avviene anche quando si incontra una persona per la prima volta e con la quale si vuole andare d’accordo (avviene anche inconsciamente). 3. IL CONTROLLO DI SE’: LA FUNZIONE ESECUTIVA DEL SE’ L’autocontrollo è l’abilità di dominare i desideri immediati per raggiungere obiettivi a lungo termine, è chiamata funzione esecutiva (la capacità di immaginare eventi nel futuro è tipica della nostra specie). Perseguire ciò che vogliamo può essere una strada semplice ma anche tortuosa perché per raggiungere un obiettivo a lungo termine dobbiamo privarci degli obiettivi a breve termine. Le strategie che non funzionano per perseguire gli obiettivi e applicare l’autocontrollo sono: 1. evitare la tentazione cercando di non pensarci (aumenta solo di più la voglia di cadere in tentazione) 2. focalizzarsi solo sull'obiettivo Ciò che funziona è pianificare, come, dove e quando raggiungere quell'obiettivo. Un altro modo per evitare le tentazioni è organizzare lo spazio in modo da evitarle oppure assicurarsi di disporre di molte energie quando si cerca di controllare le proprie azioni. E’ importante il grado in cui le persone credono che la forza sia limitata e che può esaurirsi. Più si pensa che sia una risorsa inesauribile più si riesce a non farsi scoraggiare da un compito. 4. LA GESTIONE DELLE IMPRESSIONI: IL MONDO E’ UN PALCOSCENICO L’ultima funzione del sè è la gestione delle impressioni ossia come gli individui cercano di far si che gli altri li vedano come desiderano. Esistono diverse tecniche per gestire le impressioni: 1. l’ingraziamento = essere gentili e lodare una persona per essere graditi alla persona (da l’effetto opposto se la persona capisce che non siamo sinceri). 2. self-handicapping = le persone si creano degli ostacoli e delle scuse per giustificare il loro fallimento. Ci sono due modi per attuarlo: a. behavior self-handicapping = le persone si creano ostacoli che riducono la possibilità di successo, in modo da dare la colpa a essi in caso di effettivo fallimento, invece che alle proprie capacità (es. alcol). b. reported self handicapping = le persone non creano degli ostacoli al loro successo ma congegnano delle scuse in caso di fallimento (es. ansia per l’esame). Un problema a questa modalità è che possiamo iniziare a credere in queste scuse e per questo dedicare meno tempo al compito. Il desiderio di gestire la propria immagine è forte in ogni cultura, anche se il tipo di immagine che si vuole presentare dipende dalla cultura in cui si vive (es. giappone = tendenza ad avere gli invitati “giusti” a un matrimonio). 20 CAPITOLO 5 : LA DISSONANZA COGNITIVA 1. LA TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA: COME PROTEGGERE LA NOSTRA AUTOSTIMA L’autostima si riferisce alla valutazione che gli individui danno a se stessi e del proprio valore. Festinger elaborò per primo la teoria della dissonanza cognitiva (dissonanza = stato psicologico spiacevole di cui le persone vogliono liberarsi) definita come un’incoerenza tra due cognizioni. Tuttavia non tutte le cognizioni generano il medesimo stravolgimento. Infatti la dissonanza viene percepita solo quando compiamo azioni o credenze che minacciano il nostro valore. Ci sono tre modi per liberarsi della dissonanza cognitiva: 1. cambiare il comportamento fino a farlo accordare con la cognizione dissonante (es. fumo so che può portare alla morte = smetto di fumare) 2. giustificare il proprio comportamento modificando una delle cognizioni (es. fumo so che può portare alla morte = modifico la mia cognizione pensando che il fumo non sia dannoso per la salute) 3. giustificare il comportamento mediante l’aggiunta di nuove cognizioni (es. fumo so che può portare alla morte = trovo nuove cognizioni per il mio comportamento come dire che il fumo è rilassante e quindi vale la pensa fumare nonostante il rischio) Capire la dissonanza spiega perché il pensiero umano non sia razionale ma razionalizzato. Le persone che vogliono ridurre la dissonanza spesso finiscono per comportarsi in modo irrazionale pur di convincersi che hanno ragione (anche ad es. distorcendo le informazioni a loro favore). In sintesi le persone razionalizzano le loro azioni e interpretano i fatti in modo tale da confermare ciò in cui credono. 1.1 Decisioni Ogni volta che prendiamo una decisione proviamo dissonanza, questo perché quando scegliamo tra due alternative, l’alternativa scelta non è mai del tutto positiva e quella scartata non è mai del tutto negativa. Dopo la decisione la cognizione diventa dissonante con tutti gli aspetti negativi della scelta e con tutti quelli positivi dell’opzione scartata. Questo fenomeno è chiamato dissonanza post decisionale. Per ridurre la dissonanza ci sottoponiamo a un lavoro mentale nella quale si sottolineano gli aspetti positivi della nostra scelta e gli aspetti negativi dell’alternativa scartata. Più la decisione è importante maggiore è la dissonanza che crea. Inoltre le decisioni variano tra loro per il grado di permanenza ovvero la loro irrevocabilità. Quanto più è irrevocabile e permanente, tanto è più forte il bisogno di ridurre la dissonanza. L’irrevocabilità di una decisione e le motivazioni per ridurla aumentano costantemente la dissonanza. La tecnica del colpo basso è una tecnica con la quale un venditore fa passare una decisione come irrevocabile (illusione di irrevocabilità) inducendo il cliente a comprare un prodotto a prezzo ridotto per poi affermare che c’è stato uno sbaglio e il prezzo è maggiore; il cliente acquista lo stesso il prodotto perchè si è creata un'illusione di irrevocabilità. 1.2 La giustificazione dello sforzo Nelle situazioni in cui abbiamo lavorato duramente e il risultato non ci soddisfa si crea dissonanza, per diminuirla le persone cercano di aumentare la gradevolezza per quel risultato andando così a giustificare lo sforzo (maggiore lo sforzo maggiore è l’aumento di gradevolezza). 1.3 Counterattitudinal behavior Partiamo da un es: un’amica ci chiede un’opinione su un vestito, noi le mentiamo e le diciamo che le sta bene anche se non è vero, questo crea dissonanza. Tuttavia se lo diciamo per non ferirla questa 21 motivazione fornisce una valida giustificazione esterna per la bugia. Se però la giustificazione esterna non è ampia e forte allora avvertiremo dissonanza nel continuare a dirle quella bugia. Quando non si dispone di una giustificazione esterna valida gli individui cercano di trovare una giustificazione interna, avvicinando tra loro le cognizioni dell'atteggiamento e del comportamento (il nostro atteggiamento cambia andando a combaciare con la cognizione es. iniziamo a credere che quel vestito le sta effettivamente bene). Questo fenomeno è chiamato “counter attitudinal behavior” che accade quando le nostre azioni entrano in conflitto con le nostre credenze o i nostri atteggiamenti intimi. Quando facciamo un favore a qualcuno anche se la persona non ci piace è un esempio di counter attitudinal behavior. La teoria della dissonanza prevede che tenderemo a gradire di più dopo che le abbiamo fatto un favore (giustificare le buone azioni - effetto Benjamin Franklin). Al contrario deumanizzare il nemico è una tecnica usata per giustificare la crudeltà. l’uso di un linguaggio che fa uso di termini come “animale” o “bruto” riduce la dissonanza nel compiere una cattiva azione: identificare l’altro come non umano è un modo per mantenere la propria immagine di persona giusta. La deumanizzazione della vittima finisce per garantire la continuazione o perfino un aumento della crudeltà, avviando una catena di violenza infinita seguita dall' autogiustificazione e dall’incolpare la vittima. Un altro tipo di counter attitudinal behavior avviene quando decidiamo di agire contrariamente alle nostre credenze morali. In questo caso la riduzione della dissonanza dopo una decisione morale può influenzare le persone a comportarsi in maniera più o meno morale nel futuro. Es. un soggetto è contro al copiare agli esami ma durante un esame importante decide di farlo = si crea dissonanza= il soggetto cambia proprio sistema di valori pensando che copiare non è così moralmente sbagliato (anche se inizialmente crede in altri valori). L’esito non è una razionalizzazione del proprio comportamento ma un vero e proprio cambio di valori. 1.4 Evitare le tentazioni Tutte le società utilizzano il concetto di pena o minaccia per far seguire ai cittadini le regole. Tuttavia a seconda dell’entità delle pene che minacciano di mettere in atto (lievi o severe) se si trasgredisce quella regola diversi saranno i comportamenti. Es. bambino che picchia il fratello. Se la punizione è severa è più probabile che il bambino abbandoni il comportamento finché lo teniamo sotto controllo ma che a lungo termine, quando non lo vediamo, picchi ancora il fratello. Questo perché con una pena pesante il bambino non avverte una forte dissonanza per il fatto di non star picchiando il fratello (che è quello che vuole) perchè ha una forte giustificazione esterna (pena dei genitori). Nel caso invece in cui la punizione è leggera il bambino sperimenta forte dissonanza e cercherà, in assenza di una forte giustificazione esterna, delle giustificazioni interne come il fatto che in realtà non è così divertente picchiare il fratello. La tesi è che le minacce di pene leggere, per qualsiasi comportamento, rendono meno attraenti tali comportamenti. Sintetizzando le pene severe incoraggiano l'obbedienza nel momento (scoraggiano un vero cambiamento) mentre le pene leggere hanno un effetto migliore sul cambiamento del comportamento in modo permanente. 1.5 il paradigma dell’ipocrisia Comprendere l'auto giustificazione ci aiuta a spiegare il fenomeno dell’ ipocrisia. In alcuni studi ci si è chiesto come le persone riducano la dissonanza che provano quando si sentono colpevoli delle stesse violazioni etiche di cui incolpano gli altri. Hanno scoperto che gli ipocriti giudicano gli altri più 22 aspramente di quanto non facciano le persone che non hanno commesso quello stesso atto immorale e si descrivono come più virtuosi ed etici di chiunque altro, polarizzano i loro giudizi, vedendo più lati negativi negli altri e più lati positivi in loro stessi. L’ ipocrisia indotta è una strategia usata per fare vedere ai soggetti la differenza tra quello che dicono e quello che fanno, basandosi sul bisogno di ridurre la dissonanza per aumentare un comportamento socialmente positivo. Il risultato fu che i soggetti che provavano dissonanza per quello che dicevano, che non era lo stesso di quello che facevano nella realtà, alla fine per diminuire la dissonanza cambiarono il loro comportamento adottando il comportamento che dicevano. 1.6 La dissonanza tra culture La dissonanza è presente in tutte le culture, ma il contenuto delle cognizioni è diverso da cultura a cultura. Nelle società collettiviste è più probabile osservare un comportamento messo in atto per mantenere l’armonia del gruppo e non per giustificare le proprie azioni immorali come è possibile vedere che viene generata dissonanza quando i propri comportamenti provocano vergogna per gli altri (schema invertito negli americani). Alcune cause di dissonanza sono però internazionali e intergenerazionali. nelle società multiculturali i ragazzi di figli migranti si trovano in una situazione dove vogliono essere come i loro coetanei mentre i genitori vogliono che siano come loro. Questo crea dissonanza perché da un lato amano i loro genitori ma da un altro lato non vorrebbero abbracciare i loro valori. 2. SVILUPPI RECENTI DELLA TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA 2.1 La teoria dell’autoaffermazione Oltre alle tecniche di riduzione della dissonanza che abbiamo visto c’è anche un’altra tecnica: la teoria dell’affermazione. Questa teoria sostiene che per ridurre la dissonanza le persone possono focalizzarsi su altri aspetti e confermare qualche altra competenza non collegata alla minaccia (es. ammettere di sbagliare a continuare a fumare ma ricordarsi di essere un bravo cuoco, fidanzato ecc.). Queste giustificazioni sono importanti perché cercano di ridurre la dissonanza cognitiva in quanto minaccia all’autostima. 2.2 La dissonanza nelle relazioni interpersonali: la teoria del mantenimento dell’autovalutazione Nelle relazioni interpersonali la dissonanza nasce quando confrontiamo i nostri risultati con quelli delle persone vicine e vediamo che i loro risultati sono migliori. Secondo la teoria del mantenimento le persone sperimentano dissonanza nelle relazioni quando ci sono tre condizioni: 1. ci si sente vicini a una persona 2. la persona è migliore di te 3. è migliore di te in un particolare aspetto centrale per la nostra autostima. Per diminuire la dissonanza possiamo variare una di queste tre componenti. 3. RIFLESSIONI CONCLUSIVE DISSONANZA-AUTOSTIMA Riassumendo, il comportamento di riduzione della dissonanza è volto a difendere la stabilità del nostro sé e mantenere la nostra autostima. 3.1 Superare la dissonanza E’ importante capire come evitare di cadere preda dei nostri fallimenti ed errori e perché non ci diamo la possibilità di imparare da questi ultimi. Se impariamo a osservare il nostro comportamento in modo critico e oggettivo avremo modo di fermare il meccanismo inconscio di autogiustificazioni che segue le azioni. 23 3.2 Il narcisismo e i pericoli di un autostima eccessiva I narcisisti hanno difficoltà nel riconoscere la propria dissonanza e ammettere i propri errori. Il narcisismo viene definito come una combinazione di eccessivo amore per sé stessi e mancanza di empatia per gli altri. Questi comportamenti vengono messi in atto per tutelare la propria autostima e evitare quello che è lo stato spiacevole associato alla depressione, di un basso livello di autostima. In più un’autostima alta ci protegge dai pensieri di morte. Questa è la base della “terror management theory” secondo la quale l’autostima serve da cuscinetto per proteggere le persone dai pensieri di morte. I narcisisti hanno tuttavia un livello di amor proprio eccessivo che li porta a non guardare con occhio critico il proprio comportamento e non imparare dai propri errori mentre sono molto bravi a ridurre la dissonanza per preservare l’immagine positiva che hanno di sè. 24 CAPITOLO 6: GLI ATTEGGIAMENTI E IL CAMBIAMENTO: INFLUENZARE I PENSIERI E LE EMOZIONI 1. LA NATURA E LE ORIGINI DEGLI ATTEGGIAMENTI Ognuno di noi giudica il proprio mondo e per ogni cosa che incontriamo formiamo atteggiamenti positivi o negativi. Gli atteggiamenti sono dei giudizi su persone, oggetti o idee. 1.1 Le diverse origini degli atteggiamenti Le nostre esperienze sociali giocano un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri atteggiamenti. Gli atteggiamenti hanno tre componenti fondamentali (hanno tutte e tre le componenti ma una può essere prevalente): 1. componente cognitiva: i pensieri e le credenze sull’oggetto dell'atteggiamento L'atteggiamento a base cognitiva si basa sulle credenze dell’oggetto (come le sue qualità) ed ha la funzione di valutazione dell’oggetto ovvero classificare l’oggetto a seconda delle ricompense e degli svantaggi (es. valutare un’aspirapolvere). 2. componente affettiva: reazioni emotive legate all’oggetto dell'atteggiamento L'atteggiamento a base emotiva si basa di più sulle emozioni e sui valori piuttosto che i pro e i contro dell’oggetto Possono originarsi in modi diversi: - dai valori es. religiosi o morali (non ritraggono fedelmente il mondo ma danno conferma ai loro sistemi di valori) - reazione sensoriale - condizionamento 3. componente comportamentale: azioni che lo riguardano L'atteggiamento a base comportamentale deriva dalle osservazioni del proprio comportamento nei confronti di un certo oggetto. Secondo la teoria dell’autopercezione in determinate circostanze le persone non sanno quali sono le loro emozioni finchè non si vedono come si comportano. Le persone inseriscono gli atteggiamenti dai comportamenti solo in particolari circostanze 1. atteggiamento iniziale debole o ambiguo 2.quando mancano altre spiegazioni plausibili all'atteggiamento stesso. 1.1 Atteggiamenti impliciti e espliciti Esistono due livelli su cui si sviluppa l'atteggiamento: 1. atteggiamento esplicito = atteggiamenti che sosteniamo volontariamente e consciamente 2. atteggiamento implicito = valutazioni incontrollabili, involontarie e a volte inconsce Degli studiosi hanno riscontarto che gli atteggiamneti impliciti sono radicati soprattutto nelle esperienze infantili delle persone mentre quelli espliciti sono radicati nelle esperienze recenti (studio discriminazione persone obese pag.148) 2. QUANDO GLI ATTEGGIAMENTI PREDICONO IL COMPORTAMENTO? Partiamo da un’ipotesi: quando le persone cambiano atteggiamenti, cambiano i loro comportamenti. Questa ipotesi venne testata da LaPier il quale volle testare i pregiudizi degli americani verso le persone asiatiche. LaPier fece un viaggio con due amici asiatici e conscio della diffusione dei pregiudizi verso gli asiatici temeva che i suoi amici potessero essere trattati male. Con sua sorpresa questo non si verificò e solo 1 albergatore su 250 si rifiutò di accoglierli. Colpito da questo risultato decise di investigare diversamente gli atteggiamenti verso gli asiatici degli albergatori: scrisse a tutti 25 gli albergatori visitati se erano disposti a ospitare turisti cinesi. Il 90% rifiutò e il resto era indeciso. Questo studio non era controllato ma la mancanza di corrispondenza fra gli atteggiamenti delle persone e i loro comportamenti era così evidente che ancora oggi l’ipotesi iniziale viene messa in discussione. Ricerche recenti hanno mostrato che è poco probabile che gli atteggiamenti delle persone facciano prevedere il loro comportamento. In realtà gli atteggiamenti predicono il comportamento ma solo in determinate situazioni (e dipende dal comportamento che guardiamo se spontaneo o se deliberato). 2.1 Prevedere i comportamenti spontanei In alcuni casi seguiamo comportamenti spontanei, senza pensare troppo in anticipo a ciò che stiamo per compiere. Questo accade quando gli atteggiamenti sono altamente accessibili. L’accessibilità dell'atteggiamento si riferisce alla forza con cui l’oggetto viene associato al nostro atteggiamento o a una sua valutazione, misurata attraverso la velocità con cui soggetti dicono come si sentono rispetto all’evento o all’oggetto. Una determinante per rendere gli atteggiamenti accessibili è il grado di esperienza. Più è diretta l’esperienza nei confronti dell'atteggiamento più sarà accessibile e di conseguenza sarà probabile che i loro comportamenti spontanei siano coerenti con gli atteggiamenti. 2.2 Prevedere comportamenti volontari Nelle condizioni in cui abbiamo tempo sufficiente per prendere una decisione, ovvero nei comportamenti volontari, l’accessibilità dell'atteggiamento non è importante. Secondo la teoria dell’azione ragionata in presenza di tempo sufficiente per decidere un comportamento futuro il modo migliore per prevederlo è considerare l’intenzione di agire in un certo modo, determinata da tre fattori: 1. atteggiamento specifico verso l’oggetto = più gli atteggiamenti sono specifici verso un comportamento più è probabile che possano prevedere il comportamento futuro (es. studio uso della pillola tra le donne = domande generali non prevedevano l’uso successivo della pillola mentre più era specifica la domanda più prevedeva il comportamento reale futuro) 2. norme soggettive = le credenze su come le persone vicine giudicheranno un certo comportamento (es. prevedere se Alicia andrà o meno a un concerto di violino visto che odia la musica classica. Oltre a questo atteggiamento dobbiamo valutare che a questo concerto andrà la sua migliore amica. In questo caso entra la norma soggettiva di Alicia secondo la quale si sentirà di andare al concerto per non ferire l’amica e di conseguenza non farsi vedere negativamente da lei. Questo influenzerà la previsione del suo comportamento). 3. controllo comportamentale percepito = la facilità con cui credono di poter seguire quel comportamento. Più credono che sarà facile seguire quel comportamento più è probabile che lo mettano in atto. 3. IL CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO Gli atteggiamenti possono cambiare e spesso si modificano in risposta a un' influenza sociale. 3.1 Cambiare gli atteggiamenti modificando il comportamento: una rivisitazione della teoria della dissonanza cognitiva Come visto con la teoria della dissonanza cognitiva le persone avvertono dissonanza quando compiono un comportamento in maniera incoerente rispetto ai propri atteggiamenti (a cui non possono dare una giustificazione esterna)e che minaccia l’immagine che hanno come persone dotate di gentilezza e di senso morale. A sostegno di questa teoria abbiamo visto come il contro attitudinal behavior sia un mezzo potente per modificare gli atteggiamenti. 26 Anche se potenti le tecniche di dissonanza non sono efficaci su larga scala (es. convincere tutti i cittadini di uni stato a smettere di fumare). Lo sono, invece, le tecniche di comunicazione persuasiva usate dai mass media. 3.2 La comunicazione persuasiva e il cambiamento di atteggiamento E’ difficile costruire un’autentica comunicazione persuasiva. Carl Hovland e Colleghi hanno cercato di studiare gli aspetti della comunicazione persuasiva nell’università di Yale e il loro studio è conosciuto come approccio al cambiamento di atteggiamento della scuola di Yale. Nel loro programma si focalizzano su tre punti: 1. fonte della comunicazione (se chi parlava sembrava esperto o attraente), 2. comunicazione stessa (la qualità del ragionamento) 3. pubblico (pubblico ostile o favorevole all’argomento). Risultati: Molti aspetti della comunicazione si rivelarono importanti, ma non era chiaro quale fosse il più importante. E’ più importante dare importanza al contenuto o alla fonte? Il modello della probabilità di elaborazione (Petty) precisa in quali situazioni le persone vengono influenzate dal contenuto del messaggio (= logica del ragionamento) o dalle caratteristiche più superficiali (= lunghezza del discorso o fonte). Quando le persone prestano maggiore attenzione ai fatti presentati in un messaggio verranno persuase quanto più questi fatti possiedono forza logica (= via centrale della persuasione - contenuto del messaggio). Quando le persone non sono motivate ai fatti colgono gli aspetti più superficiali del discorso, quali la sua lunghezza o la fonte e saranno 27 quindi persuase da queste caratteristiche (via periferica della persuasione - aspetti periferici superficiali). La motivazione e la capacità di prestare attenzione ai fatti sono le due caratteristiche cruciali che fanno si che una persona segua la via centrale o la via periferica della persuasione (motivato a seguire il discorso = via centrale della persuasione, e viceversa). Un altro aspetto determinante che motiva le persone a prestare attenzione è la rilevanza personale dell’argomento. Adottiamo una regola generale: le persone che ascoltano un ragionamento che ha per loro una rilevanza personale sono disposti ad ascoltare con attenzione i ragionamenti del discorso e verranno persuasi nella misura in cui questi sono ben argomentati (via centrale) mentre i soggetti che non hanno una rilevanza personale per l’argomento saranno persuasi, al contrario, dagli aspetti superficiali del discorso (via periferica). Entra in gioco anche un altro aspetto: la personalità. Chi si diverte a ragionare con molta precisione si trova ad avere un alto bisogno di cognizione. E per questo più probabilmente ascolterà il contenuto dei messaggi e sarà persuaso da una persuasione a via centrale (basso bisogno di cognizione = via periferica). Nei casi in cui, nonostante l’interesse per l’argomento, non riusciamo a seguire il discorso (es. stanchezza o rumore o competenze limitate) siamo incapaci di prestare sufficiente attenzione ai contenuti del discorso e pertanto saremo influenzati dagli aspetti più superficiali del discorso. Quando vogliamo ottenere un atteggiamento permanente dobbiamo prestare attenzione al come è avvenuto questo cambiamento (con che tecnica di persuasione). Le persone che fondano il proprio cambiamento di atteggiamento su un’analisi accurata del contenuto del messaggio hanno maggiori probabilità di conservare il cambiamento nel tempo e comportarsi in maniera coerente rispetto agli individui che motivano i loro atteggiamenti con indizi periferici. 3.3 Le emozioni e il cambiamento di atteggiamento Prima ancora di indurre le persone a esaminare ragionamenti forti così da persuadere attraverso la via centrale dobbiamo attirare la loro attenzione. Per farlo si può fare leva sulle loro emozioni. le emozioni influenzano il percorso di persuasione. Una tecnica che fa leva sulle emozioni utilizza immagini per spaventare le persone. Questa tecnica viene chiamata comunicazione che genera paura (usata ad es. per scoraggiare le persone a fumare). Questa tecnica funziona nel grado in cui la paura influenza la capacità delle persone di prestare attenzione ed elaborare i ragionamenti di un messaggio. Se si crea una dose moderata di paura e le persone ritengono che sarà utile per ridurla allora saranno motivate ad analizzare con correttezza il messaggio e i loro atteggiamenti mediante la via centrale (se si genera troppa paura le persone sono portate a respingere e distorcere quanto dice). Secondo il modello euristico-sistematico quando le persone adottano la via periferica della persuasione impiegano spesso una forma euristica, Le nostre emozioni possono fungere da euristica che determina i nostri atteggiamenti. Come mi sento a riguardo? Bene? Allora adotterò un atteggiamento positivo. Il problema di questo fenomeno è che spesso ci risulta difficile dire da dove provengano le nostre sensazioni e di conseguenza possiamo commettere degli errori circa le cause del nostro stato d’animo (misattribution - attribuzione erronea). Le emozioni possono anche influenzare i pensieri sui messaggi persuasivi. Quando siamo felici possiamo essere influenzati da un messaggio debole che deriva da una fonte attraente mentre quando siamo tristi possiamo essere influenzati da un messaggio forte. 28 Il successo delle tecniche di cambiamento dell'atteggiamento dipendono dal tipo di atteggiamento che voglio modificare? Sì, le tecniche più efficaci sono quelle che si basano sul tipo di stesso atteggiamento (es. per modificare un atteggiamento che si basa su argomenti razionali uso tecniche che si basano su argomenti razionali, e così anche per gli atteggiamenti emotivi ecc.) Aspetti culturali. Dal momento in cui le persone mostrano differenze significative nel concetto di sé tra una cultura e l’altra, queste avranno anche diversi atteggiamenti e modi in cui essi cambiano. Come per i concetti di sé nelle culture individualiste ci sono più atteggiamenti che si fondano sull’individualità e il miglioramento di sé mentre nelle culture collettiviste ci sono più atteggiamenti che si fondano sulla posizione sociale. Le pubblicità funzionano meglio nei vari paesi se si fondano e fanno leva su questa ipotesi. 3.4 Il cambiamento di atteggiamento e il corpo l’ambiente fisico e la postura del corpo influenzano il processo di cambiamento di atteggiamento. Le azioni delle persone influenzano la possibilità di venire convinte da qualcosa (es. fare accomodare o far sorridere un cliente prima dell’acquisto li porterà a trasferire dei sentimenti positivi verso il prodotto). Questo accade comunque solo se i ragionamenti sono forti e convincenti (esperimento cuffie pag. 164). 4. IL POTERE DELLA PUBBLICITA’ Molti esempi di come e perché cambiamo i nostri atteggiamenti derivano dall’influenza della pubblicità. La pubblicità è un mezzo potente e le persone sono sorprendentemente sensibili alla sua influenza (anche se la maggioranza delle persone ritiene che la pubblicità funzioni su tutti tranne loro). 4.1 Come funziona la pubblicità In che modo funziona la pubblicità e quali tipi sono più efficaci? Come visto prima, bisogna tenere in considerazione il tipo di atteggiamento che si cerca di modificare. Se un prodotto genera un atteggiamento emotivo il modo migliore di persuadere il cliente è attraverso una pubblicità che faccia leva sull’emotività. Ovviamente, creare una pubblicità è difficile se il prodotto non riesce a scatenare emozioni e non è rilevante per la vita quotidiana. Bisogna quindi renderlo rilevante (es. Lambert produceva colluttorio, ma all’epoca non era conosciuto e diffuso, allora rese di rilevanza sociale il problema dell’alitosi vergendo sulla paura del rifiuto sociale = ha reso un concetto prima trascurato di rilevanza sociale). Gli atteggiamenti a base cognitiva che non sono di rilevanza personale hanno il problema di non attirare l’attenzione del consumatore. Anche se potrebbero funzionare con persuasione a via periferica non produrrebbero un cambiamento permanente. 4.2 La pubblicità subliminale A volte la pubblicità mette in atto dei tentativi di persuasione impliciti, i messaggi subliminali. Questi messaggi subliminali sono definiti come parole o immagini che non sono percepite consciamente ma sono capaci di influenzare il giudizio o l'atteggiamento di un soggetto. I messaggi subliminali non sono solo visivi ma anche sonori. A livello pubblicitario ci sono stati pochi studi controllati circa il sostegno della tesi sull'influenza dei messaggi subliminali e gli studi prodotti hanno in realtà dimostrato che non esiste alcuna prova che i messaggi subliminali impiegati nella vita quotidiana producano un effetto sul comportamento delle persone. In laboratorio quello che si è osservato è che in condizioni estremamente controllate le persone possono essere influenzate dai messaggi subliminali. Tuttavia queste condizioni sono 29 difficilmente replicabili nella vita quotidiana (es. giusta illuminazione dello schermo o giusta distanza dalla televisione e che nulla li distragga dal