Patto Di Prova PDF
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This document discusses the concept of a trial period (patto di prova) in Italian labor law. It covers various aspects, including its definition, function, applicable types of contracts, duration, and procedures. The document also provides examples of legal cases and their implications.
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Patto di prova NOZIONE: il patto di prova è una clausola non obbligatoria del contratto di lavoro (ma di frequentissimo utilizzo nella pratica quotidiana) per mezzo della quale datore di lavoro e lavoratore volontariamente concordano che la definitiva instaurazione del rapporto di lavoro sia condizi...
Patto di prova NOZIONE: il patto di prova è una clausola non obbligatoria del contratto di lavoro (ma di frequentissimo utilizzo nella pratica quotidiana) per mezzo della quale datore di lavoro e lavoratore volontariamente concordano che la definitiva instaurazione del rapporto di lavoro sia condizionata alla preventiva effettuazione di un periodo di prova e al giudizio positivo delle parti stipulanti. FUNZIONE: il periodo di prova ha lo scopo di consentire a entrambe le parti di valutare la reciproca convenienza alla definitiva instaurazione rapporto di lavoro e, in particolare: 1) al datore, valutare le competenze e le effettive capacità professionali del prestatore, nonché la sua attitudine ad integrarsi con i colleghi e, più in generale, nel contesto produttivo e organizzativo e produttivo aziendale (Cass. 7.9.2015, n. 746); 2) al lavoratore, valutare l'esperienza lavorativa e le condizioni di svolgimento del rapporto e, anche in questo caso, il contesto lavorativo più in generale. La causa del patto di prova va quindi individuata nella tutela dell'interesse comune delle parti, a un esperimento mediante il quale entrambe possono verificare la reciproca convenienza alla definitiva conclusione del contratto. TIPOLOGIE CONTRATTUALI INTERESSATE: il patto di prova non riguarda unicamente il "normale" rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; al contrario, esso può essere lecitamente previsto in ogni tipologia di contratto lavoro subordinato, così per esempio: a) è ammissibile anche in relazione a un contratto a tempo determinato: esso però è nullo ove la durata della prova coincida con quella del contratto nel quale è stata inserita. E’ chiaro che il periodo di prova deve infatti avere durata inferiore a quella complessiva del contratto, in modo da configurare un periodo di "non prova" di cui valutare l'opportunità (Trib. Torino 5.4.2005); 2) può essere previsto anche nel contratto a tempo parziale, nel rispetto del principio di non discriminazione ex art. 4 D.Lgs. 61/2000, riducendolo in proporzione alla quantità della prestazione "ordinaria" (Trib. Milano 20.11.2003); 3) è lecito anche nel contratto di assunzione stipulato tra un'agenzia per il lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di mansioni in regime di somministrazione di manodopera; 4) è applicabile anche al contratto di apprendistato. In questo caso, normalmente la durata del periodo di prova è stabilita da parte del contratto collettivo. Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva. I contratti collettivi possono esonerare dall’effettuazione del periodo di prova o ridurre tale periodo per quegli apprendisti che, prima dell'assunzione, abbiano frequentato con profitto corsi professionali (art. 13 D.P.R. 30.12.1956, n. 1668). PATTO "ESPLORATIVO": senza che sia configurabile un vero e proprio periodo di prova, datore e lavoratore possono concordare lo svolgimento di una semplice e preventiva "attività esplorativa dell'ambiente di lavoro" (quindi non una prestazione di lavoro subordinato), finalizzata solo all'acquisizione delle opportune e reciproche informazioni sull'instaurando rapporto, senza che ciò dia luogo all'automatica instaurazione definitiva del contratto per violazione delle regole sul patto di prova (Cass. 4.4.2007, n. 8463). La presenza di un soggetto in azienda per apprendere le caratteristiche dei programmi informatici da questa utilizzati, costituisce un periodo di prova, che ha il fine di far sperimentare in concreto le modalità con cui si svolge il lavoro, prima che il rapporto divenga definitivo, ma che resta pur sempre un periodo di lavoro ex art. 2096 c.c.: è pertanto corretta la contestazione del lavoro sommerso (Trib. Como 2.1.2018). FORMA: come detto sopra, la clausola che regolamenta il periodo di prova non è affatto obbligatoria nel contratto di lavoro ma, se le parti decidono di includerla, la forma è importantissima. Infatti, a pena di nullità, l'assunzione del prestatore di lavoro subordinato per un periodo di prova deve risultare da atto scritto (art. 2096, co. 1, c.c.). La nullità che deriva dalla mancata stipulazione per iscritto comporta la totale inesistenza del patto e la definitiva instaurazione del contratto di lavoro (Trib. Milano 26.3.2007; Trib. Udine 27.6.2013; Cass. 22.10.2010, n. 21758), con la conseguenza che, in caso di licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, si applica la disciplina del licenziamento e la conseguente tutela ex art. 7 L. 15.7.1966, n. 604, ovvero ex art. 18 L. 20.5.1970, n. 300 (Trib. Bassano del Grappa 4.10.2012), quando non quella di cui alle tutele crescenti. È valida la proposta di assunzione che contenga gli elementi del contratto, compreso il patto di prova, e che sia stata sottoscritta in calce per ricevuta e accettazione, anche anteriormente all'inizio del rapporto. Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di esprimere la propria insindacabile valutazione sull'esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate. A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell'indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata (Trib. Modena, 11.1.2018). La specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto può essere operata anche facendo riferimento alle condizioni del relativo contratto collettivo, che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico. Poiché l'art. 2096 c.c. impone la forma scritta per il patto di prova ma non per le modalità di esecuzione della prova, il rinvio per "relationem" ad un contratto collettivo, in ordine a tali modalità, si deve ritenere legittimo, anche perché tramite il rinvio, il contenuto non ha alcun margine di indeterminabilità (Trib. Roma, 2.10.2018). MOMENTO DELLA STIPULAZIONE: perché sia valida, la stipulazione in forma scritta (comportante la firma del lavoratore per esplicita accettazione del patto) deve essere precedente all'effettivo inizio dell'attività o, al più, contemporanea a tale momento (Trib. Bolzano 21.11.2007). Ciò comporta la nullità del patto (e quindi la definitiva instaurazione del rapporto) qualora il dipendente firmi il patto dopo aver iniziato a lavorare: è nullo il patto sottoscritto dal dipendente il giorno successivo all'inizio dell'attività, non rilevando che il dipendente, pur essendo a conoscenza dell'esistenza del patto e avendo manifestato il proprio consenso verbalmente, abbia volutamente ritardato la sottoscrizione (Cass. 26.7.2002, n. 11122). Non è neppure possibile prevedere il patto in un secondo successivo contratto di assunzione, dopo che il primo è già stato firmato e il rapporto tra le parti si è già instaurato (Cass. 26.11.2004, n. 22308). Fermo quanto sopra, non è invece rilevante e/o pregiudizievole la mancata contestualità della firma da parte di entrambi i contraenti (Cass. 29.7.2011, n. 16806). PRECEDENTE RAPPORTO TRA LE PARTI: se le parti si sono già "conosciute" e hanno collaborato con reciproca soddisfazione, nell'ambito di un precedente rapporto di lavoro, non è possibile prevedere un nuovo periodo di prova, salvo il caso in cui ci sia un sostanziale e consensuale mutamento delle mansioni nell'ambito di un nuovo contratto di lavoro (Corte App. Ancona 17.3.2006). È nullo - in quanto privo di causa - il patto di prova apposto a un contratto a tempo indeterminato dopo che, tra le medesime parti, abbiano già avuto luogo ben quattro contratti a tempo determinato (Trib. Bergamo 20.1.2011; Cass. 9.3.2016, n. 4635; Cass. 17.7.2015, n. 15059). In particolare, la giurisprudenza ha dichiarato illegittima la stipulazione di un ulteriore patto prova nei seguenti casi: a) lavoratore che abbia già disimpegnato le medesime mansioni quale lavoratore interinale presso lo stesso soggetto e in periodo contiguo (Trib. Tivoli 22.11.2004); b) impresa di pulizia subentrante in un appalto di servizi, con dipendente della precedente impresa appaltatrice, quando sussista parità di termini, modalità e prestazioni dell'appalto (Trib. Roma 2.11.2005); c) mansioni già espletate per lungo tempo presso altra società, facente capo allo stesso amministratore e svolgente la medesima attività, quando il precedente rapporto e quello in esperimento si siano succeduti senza soluzione di continuità (Trib. Roma 28.4.2005); d) lavoratore che abbia già prestato, per un congruo lasso di tempo, la propria opera in seguito a distacco disposto dal precedente datore, società controllata dalla instaurante il nuovo rapporto e già beneficiaria del distacco (Cass. 2.12.2004, n. 22637); e) il lavoratore che in precedenza abbia già espletato, per un congruo lasso di tempo, le medesime mansioni (Cass. 22.6.2012, n. 10440); f) lavoratore che abbia già svolto le medesime mansioni presso la stessa azienda con un precedente contratto di somministrazione a tempo determinato (Trib. Verona 19.3.2014) o con un contratto a progetto (Cass. 12.9.2016, n. 17921). In senso contrario: 1) il patto di prova apposto ad un contratto a tempo indeterminato è valido anche se tale rapporto è stato preceduto da un contratto a termine per ragioni sostitutive tra le stesse parti con la previsione di un patto di prova, ove sussista una effettiva necessità per il datore nel caso concreto di verificare le qualità professionali, il comportamento e la professionalità del lavoratore in relazione al nuovo rapporto di lavoro (Cass. 3.11.2014, n. 23381); 2) è ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti, potendo intervenire nel tempo molteplici fattori, attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o problemi di salute (Cass. 12.9.2019, n. 22809; Cass. 22.4.2015, n. 8237; Trib. Parma 9.4.2018); 3) è ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le medesime parti, purché risponda alle finalità proprie dell’istituto, potendo intervenire nel tempo molteplici fattori, attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute. Il patto di prova è, dunque, finalizzato a sperimentare la prova della convenienza del rapporto per entrambe le parti; nel caso di specie, il citato patto può consentire di sperimentare la convenienza del rapporto di lavoro in relazione alla diversa forma contrattuale (Trib. Roma, 17.12.2018). DURATA: la durata del periodo di prova è stabilita di comune accordo dalle parti, nel rispetto di quanto previsto dal contratto collettivo applicabile, normalmente con riguardo alla qualifica e all'inquadramento del lavoratore. Il periodo di prova non può, in ogni caso, superare: a) 6 MESI per gli institori (dirigenti, titolari all'esercizio di un'impresa commerciale), procuratori, rappresentanti a stipendio fisso, direttori tecnici o amministrativi impiegati di grado e funzioni equivalenti; b) 3 MESI tutte le altre categorie (art. 4, R.D.L. 13.11.1924, n. 1825). Di fatto la durata è oggi stabilita dai contratti collettivi di ogni singolo settore con riguardo a qualifica e inquadramento del lavoratore. La durata prevista dal contratto individuale non può eccedere quella prevista dal contratto collettivo: è quindi nullo il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova intimato dopo la scadenza del periodo di prova previsto dal CCNL (Cass. 3.7.2015, n. 13699). Nei contratti a termine, il periodo di prova deve essere riproporzionato alla durata del contratto. Se le parti hanno concordato una durata minima garantita, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza di tale termine. Se il rapporto prosegue, senza disdetta, dopo lo spirare del termine finale, esso è da ritenersi positivamente concluso: ne consegue che il rapporto è instaurato e il servizio prestato si computa nell'anzianità del lavoratore. La generica previsione contrattuale di un patto di prova della durata di 45/60 giorni, è da ritenersi nulla non potendo il lavoratore conoscere, preventivamente e con certezza, quale sia il termine effettivo della prova cui è sottoposto (Trib. L'Aquila 26.3.2009). PROLUNGAMENTO: è legittimo il successivo prolungamento del periodo di prova, ove giustificato dalla volontà di adeguare lo stesso alla durata prevista dal contratto collettivo, se la clausola introdotta non prevede termini di durata del periodo di prova maggiori rispetto a quelli determinati dalla contrattazione collettiva (Cass. 7.3.2013, n. 5677). DURATA MAGGIORE: fermo il massimo di 6 mesi (art. 10 L. n. 604/1966), la clausola del contratto individuale che preveda un periodo di prova più lungo rispetto a quello stabilito dal CCNL, è legittima solo per mansioni di particolare complessità: il datore di lavoro, al quale la maggior durata attribuisce una più ampia facoltà di licenziamento, deve provare tale esigenza (Cass. 19.6.2000, n. 8295). COMPUTO: per evitare problemi (salvo che il contratto collettivo non preveda altrimenti) è bene precisare se il periodo di prova sia calcolato con riguardo al periodo di "servizio effettivo" o in mesi (ossia con riferimento al calendario comune): in questa seconda ipotesi, il decorso del periodo di prova non tiene conto delle sospensioni della prestazione lavorativa (ferie, malattia, festività ecc.). Nel caso di fruizione delle ferie, l'interruzione del periodo di prova opera in via prevalente e normale, salvo che la loro fruizione non fosse stata esplicitamente prevista e ricompresa nella durata complessiva del patto (Cass. 22.3.2012, n. 4573). Se invece è stato concordato un periodo di "servizio effettivo", i giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili in anticipo (es. malattia, infortunio, gravidanza, permessi, sciopero e ferie annuali) hanno effetto sospensivo del periodo di prova (Cass. 25.9.2015, n. 19043; Cass. 4.3.2015, n. 4347). Infine, non determinano alcuna sospensione le ipotesi di mancata prestazione inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività (Cass. 5.11.2007, n. 23061). ESITO POSITIVO DELLA PROVA: in assenza di comunicazione contraria, al termine del periodo previsto, il rapporto si instaura definitivamente tra le parti, in base alla tipologia contrattuale in precedenza concordata (termine, part time, ecc.). A tal fine non è indispensabile (anche se comunque consigliabile) un'apposita comunicazione del datore, essendo sufficiente che la prestazione continui a essere offerta da parte del lavoratore e sia del pari accettata dal datore di lavoro. È anche possibile che il datore comunichi l'esito positivo del periodo di prova - e quindi la conferma in servizio - in anticipo rispetto al termine inizialmente convenuto; è però necessario che la conferma anticipata e i suoi effetti abbiano il consenso del lavoratore, il quale (per esempio), nel caso in cui volesse recedere, dovrebbe rispettare il periodo di preavviso (Trib. Milano 1.6.2007). ESITO NEGATIVO DELLA PROVA: al termine del periodo di prova, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso e di pagamento della relativa indennità. Al lavoratore assunto in prova spetta in ogni caso il TFR maturato nel periodo in cui il rapporto ha avuto corso. Se non è previsto un periodo di durata minima della prova (es. patto di prova di durata di 6 mesi, con un minimo garantito di 2 mesi), ciascuna delle parti può recedere prima del compimento del termine, sempre che: 1) la prova abbia comunque avuto una durata sufficiente; e 2) non sussista alcun motivo illecito (Cass. 10.10.2006, n. 21698). Nel caso di lavoratrice assunta in prova e poi licenziata per mancato superamento di tale periodo, non può essere considerato nullo il patto di prova nel quale le mansioni siano sufficientemente determinate o in ogni caso determinabili (Trib. Trieste 11.2.2016). RECESSO: durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di motivazione (Cass. 3.12.2018, n. 31159), di preavviso e di pagamento della connessa indennità. Al lavoratore assunto in prova spetta in ogni caso il TFR maturato nel periodo in cui il rapporto ha avuto corso. L'esercizio del potere di recesso nel corso del periodo di prova deve essere coerente con la causa del contratto, sicché incombe sul lavoratore l'onere di provare che il recesso è stato determinato da motivo illecito o che la prova non si è svolta in tempi o modalità adeguati o che essa è stata superata: dall'eventuale declaratoria di illegittimità del recesso durante il periodo di prova consegue peraltro o la sua prosecuzione - ove possibile - per il periodo mancante al termine prefissato o il risarcimento del danno (Cass. 3.12.2018, n. 31159). In tema di assunzione in prova, sebbene il licenziamento del lavoratore in prova rientri nell'area della "recedibilità acausale", non per questo può ammettersi che l'esercizio del diritto potestativo riconosciuto al datore di lavoro possa risolversi nel mero arbitrio del suo titolare, dal momento che l'ordinamento, comunque, assegna garanzia costituzionale al diritto di non subire un licenziamento arbitrario. Pertanto, la discrezionalità - di cui il datore dispone nel valutare le condotte tenute dal lavoratore durante il periodo di prova - va esercitata coerentemente alla causa del patto di prova, che è consentire alle parti del rapporto di verificarne la reciproca convenienza, in riferimento alle mansioni oggetto del patto, di talché il lavoratore può eccepire in giudizio l'illegittimità del recesso, allegando e provando la contraddizione tra recesso e funzione della prova, consistente nell'inadeguatezza dell'esperimento ad accertare la propria capacità lavorativa (Trib. Trento, 29.11.2018). RECESSO ANTICIPATO: la facoltà di recesso prevista dall'art. 2096 c.c. soggiace all'unico limite, oltre quello temporale dell'adeguatezza della durata della prova, della mancanza di un motivo illecito ed è consentita non solo al termine ma, salvo che l'esperimento sia stato stabilito per un tempo minimo necessario, anche nel corso del periodo di prova (Cass. 10.10.2006, n. 21698). Il potere di recesso per mancato superamento del periodo di prova può essere esercitato nel corso della prova, se non è stato stabilito un termine minimo necessario per la compiuta attuazione dell'esperimento (Cass. 7.9.2015, n. 746). RECESSO INVALIDO: se il recesso è invalido, non applicandosi le norme sulla tutela reale od obbligatoria, il lavoratore ha diritto non già alla costituzione autoritativa del rapporto ma unicamente (e in via alternativa) alla prosecuzione del periodo fino alla scadenza concordata o al risarcimento danno, consistente nelle retribuzioni che sarebbero state percepite fino a quel momento (Cass. 12.3.1999, n. 2228). Tuttavia, a fronte del licenziamento del lavoratore per mancato superamento della prova, è applicabile la tutela prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori allorché le mansioni oggetto dell'esperimento della prova siano state significativamente diverse da quelle pattuite a quei fini (Cass. 22.5.2015, n. 10618). LICENZIAMENTO: durante il periodo di prova e finché l'assunzione non è divenuta definitiva, non si applicano le garanzie formali e procedimentali previste per il licenziamento individuale (artt. 10 L. n. 604/1966; art. 2096 c.c.), con limitazione del potere di intervento del giudice (Cass. 20.5.2009, n. 11722), e con la conseguenza che il licenziamento del lavoratore in prova può validamente consistere in una comunicazione verbale e non deve necessariamente avvenire in forma scritta (Corte Cost. 4.12.2000, n. 541). Il recesso intimato nel corso (o al termine) del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato (Cass. 12.03.1999, n. 2228), neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore (Cass. 14.10.2009, n. 21784; Cass. 12.12.2001, n. 15654, Trib. Siena 9.3.2019), salvo che la motivazione sia imposta a tutela del lavoratore dalla contrattazione collettiva (Cass. 5.11.2007, n. 23061). Nel caso in cui il contratto collettivo vieti l’inserimento del patto di prova, per esempio nel caso di subentro nell’appalto, l’eventuale licenziamento per mancato superamento della prova il cui patto sia stato comunque inserito in violazione della clausola contrattuale collettiva, deve ritenersi fondato su una causale insussistente, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. 14.7.2017, n. 17528). Il licenziamento intimato sull'erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità, riferendosi a un rapporto subordinato a tempo indeterminato, soggiace alla disciplina del licenziamento ordinario, per cui la tutela per il dipendente sarà quella ex art. 18 della legge n. 300/1970, qualora il datore non alleghi e dimostri la insussistenza del requisito dimensionale, o quella ex legge n. 604/1966, in difetto delle condizioni necessarie per l'applicabilità della tutela reale (Cass. 12.9.2016, n. 17921). CONTROVERSIE: ONERE DELLA PROVA: il datore di lavoro che rivendichi l'avvenuta cessazione del rapporto per esito negativo della prova, ha l'onere di provare l'esistenza di un patto di prova valido, stipulato per iscritto e firmato in un momento anteriore o contestuale all'inizio del rapporto di lavoro (Cass. 3.6.2002, n. 8038). L'onere di provare il positivo superamento dell'esperimento e l'imputabilità del recesso a un motivo illecito grava sul lavoratore che deduca in giudizio la nullità del recesso in prova (Cass. 12.12.2001, n. 15654; Trib. Venezia 27.3.2019). Peraltro, in considerazione del fatto che la valutazione datoriale in ordine all'esito della prova è ampiamente discrezionale, la prova da parte del lavoratore dell'esito positivo dell'esperimento non è di per sé sufficiente ad invalidare il recesso, assumendo rilievo tale circostanza se ed in quanto manifesti che esso è stato determinato da motivi diversi (Trib. Siena 9.3.2019). DISABILI: per i disabili assunti ai sensi delle norme in materia di collocamento obbligatorio, è esplicitamente prevista la possibilità dello svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l'esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro (art. 11, co. 2, L. 12.3.1999, n. 68): in sostanza, l'esito negativo della prova non deve essere in alcun modo legato alla minore capacità lavorativa del disabile. Anche in questo caso, il recesso durante il periodo di prova è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale per quanto riguarda l'onere dell'adozione della forma scritta e non richiede formale comunicazione delle ragioni del recesso (Cass. 12.8.2014, n. 17898; Cass. 27.10.2010, n. 21965; Cass. 27.1.2004, n. 1458; Cass. 27.1.2004, n. 1458). L'invalido che deduca l'intento discriminatorio del recesso al termine del periodo di prova, in quanto basato sull'incompatibilità della prestazione richiesta con l'invalidità, deve fornire la prova relativa, non essendo sufficiente la mera allegazione di vizi di natura formale del rapporto (Cass. 4.12.2001, n. 15315). RICHIAMO ALLE ARMI: il richiamo alle armi durante il periodo di prova determina la sospensione del rapporto di lavoro sino alla fine del richiamo. Il periodo passato in servizio militare non si computa, salvo patto contrario, agli effetti dell'anzianità del dipendente dal rapporto di lavoro. MOLESTIE SESSUALI: il recesso per esito negativo della prova è nullo per carenza dell'oggetto, quando il preposto alla valutazione abbia posto in essere molestie sessuali a danno della lavoratrice e risulti provato che la società datrice di lavoro non ne conosceva la condotta; l'accertamento comporta il diritto della lavoratrice a svolgere l'esperimento che forma oggetto del patto e l'obbligo datoriale di consentirvi (Corte App. Roma 12.5.2006). LAVORATRICE MADRE: nei confronti della lavoratrice madre - il cui licenziamento, nella generalità dei casi, è vietato dall'accertamento della gravidanza fino al compimento di 1 anno di età del bambino - non opera tale divieto in caso di esito negativo della prova (in caso di licenziamento discriminatorio, l'onere della prova grava sulla lavoratrice). CASSA INTEGRAZIONE: la risoluzione del rapporto di lavoro per mancato superamento del periodo di prova non pregiudica al lavoratore, beneficiario del trattamento di integrazione salariale, la possibilità di rientrare nel programma di Cassa integrazione e usufruire della relativa indennità, analogamente a quanto avviene nei confronti dei lavoratori che si rioccupano con contratto a tempo determinato (Inps, msg. 12.10.2012, n. 16606).