Media Digitali e Violenza di Genere PDF
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Università degli Studi di Padova
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Questo documento tratta il tema della violenza di genere online, analizzando le sue diverse forme e le sue implicazioni sociali, culturali e tecnologiche. Il testo esplora come la comunicazione mediata dal computer amplifichi e trasformi i comportamenti misogini preesistenti, creando nuovi spazi di discriminazione e violenza. La trattazione evidenzia come la violenza online contro le donne sia radicata in disuguaglianze strutturali e culturali, dimostrando come la tecnologia, anziché agire come strumento di emancipazione, possa essere utilizzata per perpetuare e amplificare le discriminazioni.
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Media digitali e violenza di genere. La violenza di genere online è una forma di oppressione che si radica nelle stesse disuguaglianze strutturali e culturali che alimentano la violenza offline, amplificandole attraverso le potenzialità offerte dall’ambiente digitale. Internet, inizialmente celebrato c...
Media digitali e violenza di genere. La violenza di genere online è una forma di oppressione che si radica nelle stesse disuguaglianze strutturali e culturali che alimentano la violenza offline, amplificandole attraverso le potenzialità offerte dall’ambiente digitale. Internet, inizialmente celebrato come uno spazio di democratizzazione, si è rivelato spesso un mezzo per perpetrare nuove forme di violenza e intensificare quelle già esistenti. Secondo la Convenzione di Istanbul, la violenza di genere contro le donne nasce da stereotipi e squilibri di potere radicati nei ruoli tradizionali, che relegano le donne a posizioni subordinate e limitano la loro libertà di espressione e autodeterminazione. Questo si riflette anche online, dove la violenza sessuale digitale è in crescita, con dati che rivelano come una donna su tre in Europa abbia subito episodi di odio online. Le conseguenze sono particolarmente gravi per le figure pubbliche femminili (giornaliste, politiche e influencer) che diventano bersagli di attacchi sessisti e campagne di odio. Il fenomeno non si limita al danno psicologico delle vittime, ma ha implicazioni sociali, economiche e politiche profonde. Molte donne scelgono di autocensurarsi o abbandonare gli spazi digitali, rinunciando a opportunità professionali e alla piena partecipazione alla società digitale. Questa esclusione non è il frutto di una semplice incapacità individuale di difendersi, ma il risultato di una violenza sistemica che normalizza la misoginia e limita l’uguaglianza online. EVOLUZIONE DEL FENOMENO DELLA MISOGINIA NELLA CMC. La violenza di genere online si manifesta attraverso le specificità della comunicazione mediata dal computer (CMC), che, anziché eliminare le disuguaglianze sociali come inizialmente sperato, ha amplificato e trasformato comportamenti misogini preesistenti. Inizialmente, la CMC prometteva un cyberspazio emancipatorio, libero dalle barriere fisiche e sociali, dove l’anonimato avrebbe potuto azzerare i pregiudizi legati al genere, allo status o all’età. Questa visione utopica ha alimentato movimenti come il cyberfemminismo, che immaginavano la tecnologia come uno strumento per ridefinire il ruolo delle donne nella società. L’assenza di corporeità e la possibilità di anonimato sembravano offrire alle donne un terreno in cui esprimersi senza paura di discriminazioni. Tuttavia, con il tempo, è emerso che le dinamiche di potere e i pregiudizi di genere non solo si riproducevano nel cyberspazio, ma in alcuni casi si intensificavano. In effetti, la mancanza di norme sociali proprie delle interazioni face to face ha reso gli spazi virtuali terreno fertile per comportamenti violenti e discriminatori e gli strumenti digitali, piuttosto che democratizzare l'accesso e la partecipazione, sono stati spesso sfruttati per consolidare il dominio maschile, attraverso pratiche come il trolling, le molestie e l’esclusione sistematica delle donne dagli spazi online. Nonostante le speranze iniziali di un ambiente virtuale orizzontale e inclusivo, la tecnologia si è rivelata uno specchio della società offline. La violenza online contro le donne è un fenomeno che risale agli anni Novanta. Già in quegli anni, donne partecipanti a forum e chat o attive nella sfera pubblica erano spesso bersaglio di messaggi misogini e pratiche di umiliazione pubblica, come dimostra il caso del sito Babes On The Web, che raccoglieva immagini di donne senza consenso per sottoporle a valutazioni sessuali. Con l’arrivo dei social media, queste dinamiche si sono amplificate. Le piattaforme come Facebook e Twitter non solo hanno reso più facile e immediata la diffusione di contenuti offensivi, ma hanno anche legittimato un senso di impunità, alimentato dall’apparente distanza fisica e dalla protezione dello schermo. La transizione da un ambiente anonimo, caratteristico delle prime forme di comunicazione online, a uno sempre più legato all’identità reale attraverso i social media ha paradossalmente complicato la lotta contro la violenza: - Da un lato l’associazione tra profili virtuali e identità offline rende alcune molestie più visibili. - Dall’altro l’uso di pseudonimi o profili falsi permette ai molestatori di continuare a operare indisturbati. Un aspetto cruciale è il ruolo degli algoritmi, che non sono neutri ma riflettono pregiudizi culturali e di genere insiti nei loro progettisti (uomini privilegiati). Questi bias algoritmici perpetuano e amplificano le disuguaglianze già presenti nella società. La violenza di genere online, dunque, non si limita a essere un problema di interazione tra utenti ma è radicata nella progettazione stessa delle tecnologie digitali. Affrontare la violenza di genere online richiede quindi un approccio più ampio e profondo rispetto alle semplici soluzioni tecniche o al trasferimento delle responsabilità alla tecnologia stessa. Negli ultimi anni, piattaforme come Facebook, Instagram e Twitter hanno cercato di contrastare la violenza di genere e l’odio attraverso strumenti come il deplatforming, ovvero l’espulsione di utenti o gruppi che promuovono contenuti violenti. Questo metodo ha portato alla rimozione di diversi account legati a movimenti estremisti o misogini e di gruppi dediti alla diffusione non consensuale di materiali intimi, come nel caso del revenge porn. Tuttavia, un problema centrale del deplatforming è che non elimina del tutto i contenuti violenti, ma li sposta su piattaforme alternative meno regolamentate, come Gab, BitChute e Telegram. - In particolare, Telegram è emerso come uno spazio privilegiato per la condivisione di immagini intime non consensuali e per l’umiliazione delle donne, dimostrando la capacità della violenza di genere online di adattarsi e proliferare in ambienti più difficili da controllare. Un ulteriore limite è rappresentato dall’approccio tecno-soluzionista, che affronta problemi complessi con strumenti tecnologici spesso inadeguati. Esempi come i sistemi di rilevamento di contenuti sessuali non consensuali su Instagram, Facebook e PornHub mostrano che queste soluzioni, pur utili, rimangono parziali e inefficaci nel prevenire la diffusione di materiali ottenuti senza consenso. Inoltre, l’adozione di politiche più rigide sulla nudità e sui contenuti sessuali ha generato nuove forme di esclusione. I sex worker e i promotori di movimenti sex positive, si trovano a dover affrontare una censura che limita la loro libertà di espressione e riduce la loro capacità di partecipare al dibattito online. Questo approccio, pur mirato a contrastare la violenza, finisce per marginalizzare ulteriormente determinate categorie di utenti, perpetuando dinamiche di esclusione. LE FORME DELLA VIOLENZA DI GENERE ONLINE. La violenza di genere online si evolve quindi con la tecnologia e si manifesta in forme diverse, ma tutte con un obiettivo comune: umiliare, controllare e silenziare le vittime, soprattutto donne, per riaffermare privilegi e stereotipi di genere. Questa violenza si manifesta in molte forme e si può dividere in due grandi categorie: 1. Gli ABUSI VERBALI includono pratiche come il cyber harassment e l’hate speech, in cui le donne sono molestate o attaccate verbalmente, spesso solo per aver espresso un’opinione pubblica online. Una forma particolarmente violenta di questo abuso è il gendertrolling, dove gruppi anonimi di troll si coordinano per minacciare e insultare le vittime, a volte con minacce di stupro o morte. Questo tipo di violenza ha conseguenze devastanti per le vittime, che spesso sperimentano ansia, depressione, paura, e nei casi estremi, suicidio. Inoltre, pratiche come il doxing, ovvero la diffusione delle informazioni personali delle vittime, possono causare violenze offline, come stalking e intimidazioni fisiche, dimostrando come la violenza online possa estendersi al mondo reale. 2. L’IMAGE-BASED SEXUAL ABUSE, che riguarda l'uso non consensuale di immagini e video intimi, spesso legati al fenomeno del revenge porn. Questo termine, tuttavia, è fuorviante, in quanto suggerisce una vendetta, mentre è più utile vederlo come una manifestazione di potere maschile volta a umiliare la vittima e danneggiarne la reputazione. Altri esempi di abuso visivo sono i creepshot, cioè foto scattate di nascosto ai corpi delle donne (come nel caso di upskirting o downblouse), e l’invio non richiesto di dickpic, immagini di genitali maschili, che, quando non consensuale, è una vera e propria molestia. La rete amplifica queste forme di violenza, offrendo una piattaforma agli aggressori per coordinare attacchi collettivi, come le shitstorm (ondate di insulti) o la sextortion (estorsione con minacce di pubblicare materiale intimo). La pandemia ha aumentato significativamente questi fenomeni, con un incremento della condivisione non consensuale di materiale intimo e delle richieste di aiuto da parte delle vittime. Questi attacchi sono parte di un continuum di violenza che attraversa il confine tra online e offline, alimentandosi reciprocamente. Il fenomeno della violenza di genere online continua a evolversi insieme ai progressi tecnologici, sviluppando forme sempre più sofisticate di abuso. Tra le manifestazioni più recenti, emergono modalità che sfruttano l'automazione e l'IA, fornendo nuovi strumenti per umiliare e silenziare le donne. - I bot, applicazioni automatiche utilizzate su piattaforme come Telegram. Questi strumenti permettono di sistematizzare la diffusione di materiale intimo non consensuale, spesso accompagnato da informazioni personali delle vittime, combinando pratiche di condivisione non consensuale e doxing. Con un semplice click, gli utenti possono accedere a contenuti privati e violare ulteriormente la privacy delle donne coinvolte, facilitando e moltiplicando gli abusi. - I deepfake porn, contenuti pornografici manipolati tramite tecniche di sintesi dell’immagine basate sull’intelligenza artificiale. Queste tecnologie consentono di sovrapporre i volti di persone comuni, oltre che di personaggi pubblici, a corpi ritratti in scene pornografiche, creando contenuti estremamente realistici che simulano la realtà con crescente precisione. Questo fenomeno colpisce soprattutto le donne, rafforzando la narrazione culturale che le riduce a oggetti del desiderio e riaffermando il controllo maschile sulla loro sessualità. Queste tecnologie, facilmente accessibili tramite app e programmi online, sono particolarmente pericolose. - Un altro caso emblematico è rappresentato da un bot disponibile su Telegram che è in grado di generare immagini di nudo da foto di donne vestite. Il funzionamento si basa su algoritmi addestrati specificamente su corpi femminili, dimostrando come i pregiudizi culturali siano intrinseci anche nelle tecnologie apparentemente neutre. Questi strumenti non solo amplificano l’impatto della violenza di genere online, ma dimostrano anche quanto sia difficile regolamentare un fenomeno che si adatta rapidamente alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia.