Test di Autovalutazione (Diritto del lavoro) PDF

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Questo documento è un test di autovalutazione sul diritto del lavoro, con domande a risposta multipla. Il tempo previsto per completare il test è di 30 minuti.

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Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo#...

Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 0 Decadenza e prescrizione Decadenza Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 0 Decadenza I diritti del lavoratore possono estinguersi, innanzitutto, per decadenza, qualora previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva; La previsione di termini di decadenza implica, quindi, una limitazione all’esercizio dei propri diritti, considerato che alla loro scadenza i diritti si estinguono; Per tale ragione, i termini di decadenza nel diritto del lavoro hanno trovato scarsa applicazione; L’esigenza di rapida definizione delle situazioni giuridiche poste sotto termini di decadenza comporta che, come dispone l’art. 2964 c.c., i termini di decadenza non sono soggetti a interruzione, né a sospensione, salvo che in quest’ultimo caso non sia previsto altrimenti. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 0 Decadenza I principali casi di previsione di termini di decadenza di fonte legale sono due: L’art. 6, l. n. 604/1966 prevede che l’impugnazione del licenziamento deve essere fatta entro 60 giorni dalla comunicazione dello stesso. Entro i successivi 180 giorni il lavoratore è, altresì, onerato di depositare il ricorso innanzi al giudice, pena l’inefficacia dell’impugnazione; L’art. 2113 c.c., come visto (lez. 49), consente di impugnare le rinunzie e transazioni nel termine di sei mesi dalla sottoscrizione; La l. n. 183/2010 ha, tuttavia, ampliato i casi in cui i diritti dei lavoratori sono sottoposti a termine decadenziale, introducendo termini di decadenza per la proposizione di domande pregiudiziali volte alla tutela di diritti dei lavoratori. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 0 Decadenza Ai sensi dell’art. 32, l. n. 183/2010, il termine decadenziale di 60 giorni previsto per l’impugnazione del licenziamento si applica inoltre per l’impugnazione: del recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409, numero 3), c.p.c.; del trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 c.c., con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento; della cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c. con termine decorrente dalla data del trasferimento; in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto; Ai sensi dell’art. 28, d.lgs. N. 81/2015, come mod. dal d.l. n. 87/2018, conv. in l. n. 96/2018, per l’impugnazione dei contratti di lavoro a termine il termine decadenziale è pari a 180 giorni con decorrenza dalla scadenza del termine. In tutte le ipotesi entro i successivi 180 giorni si deve depositare il ricorso giudiziale. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 0 Decadenza convenzionale La contrattazione collettiva stabilisce sovente termini decadenziali per l’esercizio dei diritti, detti per questo termini decadenziali convenzionali; Nello stabilire termini decadenziali di questo tipo, le parti devono osservare quanto dispone l’art. 2965 c.c., secondo cui «è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto»; Secondo la giurisprudenza la legittimità di tali termini deve essere valutata alla luce di quanto dispone l’art. 2113 c.c.; Di conseguenza, la valutazione circa la congruità del termine di decadenza previsto contrattualmente deve avere riguardo alla brevità dello specifico termine e alla particolare situazione del soggetto obbligato a svolgere l'attività prevista per evitare la decadenza. Nel rapporto di lavoro assume particolare rilievo, ai fini di tale valutazione di congruità, il raffronto con la disciplina dell'art. 2113 cod. civ. sulle rinunce e le transazioni (Trib. Udine 20 febbraio 2017; Cass. 9647/2004). Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Decadenza e prescrizione Prescrizione Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Prescrizione decennale e quinquennale Ai sensi dell’art. 2934, comma 1 c.c., ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge; Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; Nel diritto del lavoro la prescrizione ordinaria decennale ha carattere residuale; Oltre all’ipotesi legislativamente prevista dei diritti riconosciuti con sentenza di condanna di cui all’art. 2953 c.c., si prescrivono in dieci anni il diritto alla qualifica, il diritto al risarcimento del danno contrattuale, il diritto a percepire voci retributive di natura non periodica, ovvero le erogazioni una tantum, il diritto al risarcimento del danno per omissione contributiva. Ai sensi dell’art. 2948 c.c., si prescrivono in cinque anni tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, come la retribuzione, e le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Prescrizione presuntiva I diritti di credito del lavoratore, oltre alla prescrizione estintiva quinquennale sono sottoposti anche a prescrizione presuntiva; La prescrizione presuntiva, a differenza di quella estintiva, non estingue di per sé il diritto, ma fa presumere che il diritto sia stato soddisfatto ove sia trascorso un certo lasso di tempo dall’epoca in cui è sorto; Così, si presume adempiuto in un anno, ossia è soggetto a prescrizione presuntiva annuale, il diritto dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese; Si presume adempiuto in tre anni, il diritto dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese; La prescrizione presuntiva, ai sensi degli artt. 2959 e 2960 c.c., può essere vinta attraverso confessione giudiziale, se cioè il datore ammette in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta; oppure con giuramento decisorio, che il lavoratore può deferire, sempre nell’ambito di un giudizio, al datore onde accertare se si è realizzata l’estinzione del debito. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Prescrizione: decorrenza In assenza di precise indicazioni legislative, alle prescrizioni riguardanti il rapporto di lavoro dovrebbe applicarsi la regola generale secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, il che comporterebbe la decorrenza della prescrizione in pendenza del rapporto di lavoro; Sul punto è, tuttavia, intervenuta a varie riprese la Corte costituzionale al fine di conciliare le istanze di tutela del lavoro dipendente con le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche; Con la sentenza 63/1966, la Corte dichiarò la illegittimità costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1 c.c. limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro (Segue) Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Decorrenza prescrizione: Corte cost. 63/1966 Secondo la Corte costituzionale, il timore del recesso, cioè del licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti; di modo che la rinuncia, quando è fatta durante quel rapporto, non può essere considerata una libera espressione di volontà negoziale e la sua invalidità è sancita dall'art. 36 Cost.; Per quanto le norme sulla decorrenza della prescrizione non menzionino la rinuncia, tuttavia, alla luce della situazione psicologica del lavoratore, che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte è portato a rinunciarvi, cioè per timore del licenziamento, far decorrere la prescrizione durante il rapporto di lavoro produrrebbe proprio quell'effetto che l'art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Decorrenza prescrizione La Corte costituzionale ha affrontato il tema della prescrizione con successive pronunce, precisando il principio di diritto affermato nel 1966; Con le sentenze Corte cost., 174/1972; Corte cost. 40-44/1979; Corte cost. 13/1981 si è statuito che: La decorrenza della prescrizione a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro si applica solo ai diritti di natura retributiva, non per altri diritti del prestatore di lavoro (es. diritto alla qualifica); Inoltre, tale regola si applica solo a quei rapporti di lavoro che siano privi del requisito della stabilità del rapporto di lavoro; Non erano considerati tali, e quindi la prescrizione decorreva durante il rapporto di lavoro, per quei rapporti regolati da una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l'efficacia della sua risoluzione alla sussistenza di circostanze oggettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo; il che deve essere riconosciuto allorquando il posto di lavoro - quale che sia la natura pubblica o privata del datore di lavoro - possa essere oggetto di una tutela reale (Cass. 29774/2017). Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Decorrenza prescrizione L’orientamento giurisprudenziale che distingueva il momento di decorrenza della prescrizione in base alla stabilità del rapporto e, quindi, alla possibilità o meno di accedere alla tutela reale è stato messo in discussione in seguito alle riforme della disciplina dei licenziamenti di cui alla l. n. 92/2012 (c.d. Legge Fornero) e al d.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act); Alla luce della previsione generalizzata della reintegrazione nel rapporto di lavoro in casi residuali, si è posto il problema di comprendere se i lavoratori siano da considerare prevalentemente in quella situazione di timore di licenziamento quale conseguenza dell’avvenuta rivendicazione di un diritto di credito di cui parlava Corte cost. 63/1966. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Decorrenza prescrizione: Cass. 26246/2022 Dopo un contrasto giurisprudenziale di merito, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26246/2022 ha precisato che le modifiche apportate dalla l. n. 92/2012 e dal d.lgs. 23/2015 all’art. 18 hanno comportato il passaggio da un'automatica applicazione ad ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza ad un’applicazione selettiva delle tutele, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria), con una sua diversa commisurazione assolutamente inedita (Segue). Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 1 Decorrenza prescrizione: Cass. 26246/2022 Deve allora essere escluso, per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità; Ne consegue che per tutti quei diritti di carattere retributivo che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro. Civile Sent. Sez. L Num. 26246 Anno 2022 Presidente: RAIMONDI GUIDO Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Oggetto Data pubblicazione: 06/09/2022 R.G.N. 7013/2019 Cron. Corte di Cassazione - copia non ufficiale Rep. Ud. 06/07/2022 PU SENTENZA sul ricorso 7013-2019 proposto da: PEDRALI MARIA CELESTINA, BARBI ANTONELLA, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell'avvocato BRUNO COSSU, che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati SAVINA BOMBOI, ALBERTO PICCININI; - ricorrenti - contro AVICOLA ALIMENTARE MONTEVERDE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato SARA CALZI; - controricorrente - avverso la sentenza n. 441/2018 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 18/12/2018 Corte di Cassazione - copia non ufficiale R.G.N. 220/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2022 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati BRUNO COSSU, ALBERTO PICCININI; udito l'avvocato FABIO MASSIMO COZZOLINO per delega verbale avvocato SARA CALZI. FATTO 1. Con sentenza del 18 dicembre 2018, la Corte d’appello di Brescia ha compensato tra le parti le spese di entrambi i gradi giudizio e rigettato l’appello di Maria Celestina Pedrali e Antonella Barbi avverso la sentenza di primo grado, così parzialmente riformata, che ne aveva rigettato le domande nei confronti della datrice Avicola Alimentare Monteverde s.r.l., relative alle differenze retributive, loro spettanti per l’accertamento del diritto al riconoscimento dell’orario straordinario notturno, eccedenti la prescrizione quinquennale e condannato le lavoratrici alla rifusione delle spese di giudizio Corte di Cassazione - copia non ufficiale in favore della società. 2. Come già il Tribunale, essa ha ritenuto, ai fini della decorrenza della prescrizione durante la sua vigenza, anche dopo la novellazione dell’art. 18 legge n. 300/1970, per effetto della legge n. 92/2012 (cd. “riforma Fornero”) e del decreto legislativo n. 23/2015 (cd. Jobs Act), la permanenza della stabilità reale del rapporto di lavoro: nozione acquisita dal diritto vivente per designarne la regolazione con una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obiettive e predeterminate, affidandone, sul piano processuale, al giudice il sindacato e la possibilità di rimuoverne gli effetti. 3. La Corte bresciana ha, infatti, negato la ricorrenza di una condizione psicologica di timore (metus) del lavoratore, tale da indurlo a non avanzare pretese retributive nel corso del rapporto paventando, appunto, reazioni del datore di lavoro comportanti la risoluzione del rapporto. E ciò per avere ritenuto il mantenimento di una tutela ripristinatoria piena, in caso di licenziamento intimato “per ritorsione, e dunque discriminatorio” Corte di Cassazione - copia non ufficiale (così testualmente la Corte), ovvero per motivo illecito determinante (che abbia in concreto, al di là delle ragioni apparenti addotte, quale unica ragione le rivendicazioni retributive del lavoratore in corso di rapporto); e irrilevante, sotto questo profilo, un’attenuazione della tutela per un licenziamento fondato su ragioni (giusta causa o giustificato motivo, oggettivi e sussistenti) estranee alle suddette rivendicazioni retributive. 4. Infine, la Corte territoriale ha compensato le spese di primo e di secondo grado, dando atto di un’obiettiva incertezza nell’indirizzo giurisprudenziale di merito, in parte orientato nel senso dell’elisione della stabilità reale del rapporto di lavoro. 5. Con atto notificato il 19 febbraio 2019, le lavoratrici hanno proposto ricorso per cassazione con unico motivo, cui la società datrice ha resistito con controricorso. 6. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’accoglimento del ricorso. Corte di Cassazione - copia non ufficiale 7. Le ricorrenti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con unico motivo, le ricorrenti deducono violazione degli artt. 2935, 2948, n. 4 c.c., 18 l. 300/1970, 36 Cost., per avere la Corte territoriale errato, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenze n. 62 del 1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972) e della giurisprudenza di legittimità, nel ritenere, anche dopo la novellazione dell’art. 18 l. 300/1970 con le riforme della l. 92/2012 e del d.lgs. 23/2015, la vigenza del regime di stabilità del rapporto di lavoro: tale essendo un rapporto che abbia come forma ordinaria di tutela quella reale, in tutte le ipotesi di licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, o comunque illegittimo. Esse stimano pertanto irrilevante, a tal fine, il diritto alla reintegrazione, nelle ipotesi di nullità o di inefficacia del licenziamento, in quanto previste anche nell’area di applicabilità della legge n. 604/1966 (di tutela obbligatoria), incontestabilmente riconosciuta come non assistita da un regime di stabilità. Corte di Cassazione - copia non ufficiale In via subordinata, le lavoratrici prospettano una questione di illegittimità costituzionale degli artt. 2935 e 2948, n. 4 c.c., con riferimento all’art. 36 Cost., qualora interpretati nel senso dell’integrazione di un regime di stabilità del rapporto di lavoro, idoneo ad impedire il timore del prestatore alla tutela dei propri diritti, assistito da un dispositivo sanzionatorio che preveda la tutela reintegratoria per la sola ipotesi di licenziamento ritorsivo e, più in generale, così come realizzato dalle modifiche apportate all’art. 18 l. 300/1970 dall’art. 1, comma 42 l. 92/2012 e dagli artt. 2, 3 e 4 d.lgs. 23/2015. 2. Esso è fondato. 3. La questione devoluta, per la prima volta, a questa Corte è scolpita nella formulazione, in via subordinata, del quesito relativo al dubbio di incostituzionalità, in ordine alla permanenza (tuttora) della garanzia, nel rapporto di lavoro degli occupati in imprese aventi i requisiti dimensionali stabiliti dall’art. 18 l. 300/1970, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1 comma 42 della legge 92/2012 e dagli artt. 3 e 4 del decreto legislativo n. 23/2015, di quel regime di Corte di Cassazione - copia non ufficiale stabilità in presenza del quale l’art. 2948, n. 4 c.c., cosi come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 1966 e delle successive (in particolare: Corte Cost. n. 143 del 1969; n. 86 del 1971 e n. 174 del 1972), consenta il decorso della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro. Ed è questione che, senza accedere alla Corte costituzionale, ben può essere affrontata e risolta in continuità sostanziale con l’insegnamento di oltre un cinquantennio di elaborazione giurisprudenziale (il cd. “diritto vivente”), nella responsabile consapevolezza dell’indubbio e significativo cambiamento operato dalle riforme intervenute sul sistema introdotto dalla legge n. 300 del 1970, cui non si può semplicemente replicare con argomenti che non tengano di ciò conto. Se quella suindicata è la questione in esame, il suo focus è costituito dalla individuazione del termine di decorrenza della prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2948, n. 4 c.c., in relazione all’art. 2935 c.c. (momento dal quale il diritto possa essere fatto valere), per i Corte di Cassazione - copia non ufficiale crediti retributivi del lavoratore in ragione del regime di (“adeguata”) stabilità o meno del rapporto di lavoro. 4. Ebbene, l’art. 2948, n. 4 c.c. deve essere letto (così come gli artt. 2955, n. 2 e 2956, n. 1 c.c.) nella sua accezione costituzionalmente legittima, in esito ai noti interventi evolutivi della Corte costituzionale: a) dapprima, di illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 36 Cost., limitatamente alla parte che consente la decorrenza della prescrizione del diritto alla retribuzione durante il rapporto di lavoro (Corte cost. 10 giugno 1966, n. 63), sulla base dell’esistenza di “ostacoli materiali”, individuati nel“la situazione psicologica del lavoratore, che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto … per timore del licenziamento; cosicché la prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio quell’effetto che l’art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia: anche quella che, in particolari situazioni, può essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione” (sub p.to 3 del Considerato in diritto); Corte di Cassazione - copia non ufficiale b) successivamente, di delimitazione del perimetro della suddetta pronuncia, nel senso di non estensibilità ai rapporti di pubblico impiego (sia con lo Stato, sia con altri enti pubblici), per avere questi una particolare forza di resistenza, data da una disciplina che normalmente assicura la stabilità del rapporto, o dalle garanzie di rimedi giurisdizionali avverso la sua illegittima risoluzione, tali da escludere che il timore del licenziamento possa indurre l'impiegato a rinunziare ai propri diritti (Corte cost. 20 novembre 1969, n. 143, Considerato in diritto, p.to 1); c) quindi, in coerente sviluppo interpretativo del principio (di stabilità del rapporto) affermato da quest’ultima sentenza, fatto allora “valere per i rapporti di pubblico impiego statali, anche se di carattere temporaneo”, di “applicazione in tutti i casi di sussistenza di garanzie che si possano ritenere equivalenti a quelle disposte per i rapporti medesimi”: e pertanto, verificandosi una siffatta analogia, a quei rapporti di lavoro, ai quali siano applicabili le leggi 15 luglio 1966, n. 604 e 20 maggio 1970, n. 300, “di cui la seconda deve considerarsi necessaria integrazione della Corte di Cassazione - copia non ufficiale prima, dato che una vera stabilità non si assicura se all'annullamento dell'avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare” (Corte cost. 12 dicembre 1972, n. 174, Considerato in diritto, p.to 3). 4.1. Nel solco dell’indirizzo della giurisprudenza costituzionale, si è posta anche questa Corte di legittimità, che, con un noto arresto nella sua più autorevole composizione, ha ben chiarito la distinzione del doppio regime di (decorrenza della) prescrizione, a seconda della stabilità o meno del rapporto di lavoro. Essa ha così enunciato il principio, poi costantemente seguito, di non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto di lavoro solo per quei rapporti non assistiti dalla garanzia della stabilità: dovendosi ritenere stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l'efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali Corte di Cassazione - copia non ufficiale circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo. Il che, se per la generalità dei casi coincide(va) attualmente con l'ambito di operatività della legge 20 maggio 1970, n. 300 (dati gli effetti attribuiti dall'art. 18 all'ordine di riassunzione, ben più incisivi di quelli previsti dall'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604), può anche realizzarsi ogni qual volta siano applicabili le norme del pubblico impiego o leggi speciali o specifiche pattuizioni che diano al prestatore d'opera una tutela di pari intensità (Cass. s.u. 12 aprile 1976, n. 1268). 5. Appare evidente che la stabilità del rapporto di lavoro si fondi su una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l'efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo. Al tempo stesso, come essa si saldi con la decorrenza della prescrizione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2935 e (in particolare) 2948, n. 4 c.c. (nella sua lettura costituzionalmente legittima), nel corso del rapporto, mano a mano che maturino i Corte di Cassazione - copia non ufficiale diritti che il lavoratore possa far valere; essa decorrendo invece dalla sua cessazione, qualora non vi sia stabilità del rapporto. 5.1. È risaputo che la prescrizione, in quanto modalità generale di estinzione (per non esercizio per un tempo determinato dalla legge) dei diritti, sia istituto che invera il principio di certezza del diritto, in riferimento particolare alla sua decorrenza, ossia al momento in cui il diritto medesimo possa essere fatto valere. Giova qui sottolinearne la fondamentale importanza, prima ancora che sul piano normativo ordinamentale, sul piano della stessa civiltà giuridica di un Paese, quale principio di affidabilità per tutti: sull’effettività dei diritti e sulla loro tutela, sulle relazioni familiari e sociali, sulle transazioni economiche e finanziarie. E come esso si rifletta sulla stessa attrattività di uno Stato, per investimenti e iniziative di intrapresa economica in senso lato, in un sistema di relazioni e di scambi internazionali da tempo strettamente interconnesso, nella crescente contendibilità tra ordinamenti, soprattutto nel mondo del lavoro e delle imprese. Se questo è allora il tema, occorre che sia Corte di Cassazione - copia non ufficiale garantita una conoscenza, in termini di generalità e di sicura predeterminazione, di quali siano le regole che presiedono all’accesso dei diritti, alla loro tutela e alla loro estinzione. Pertanto, dovendo ora tali regole essere conformate ad una disciplina dei rapporti di lavoro (instaurati con datori in possesso dei requisiti dimensionali prescritti dall’art. 18, ottavo e nono comma l. 300/1970, nel testo novellato dall’art. 1, comma 42, lett. b) l. 92/2012 e pure richiamato dall’art. 1, terzo comma d.lgs. 23/2015) più flessibilmente modulata in ordine alle tutele previste, a seconda delle vari ipotesi di licenziamento (queste pure suscettibili di una diversa qualificazione, rispetto alla domanda, in sede giurisdizionale), il criterio di individuazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione dei diritti del lavoratore deve soddisfare un’esigenza di conoscibilità chiara, predeterminata e di semplice identificazione. Ciò presuppone che, fin dall’instaurazione del rapporto, ognuna delle parti sappia quali siano i diritti e soprattutto, per quanto qui rileva, quando e “fino a quando” possano essere esercitati: Corte di Cassazione - copia non ufficiale nel rispetto e nell’interesse del lavoratore, destinatario della previsione in quanto soggetto titolare dei diritti; ma parimenti del datore di lavoro, che pure deve conoscere quali siano i tempi di possibili rivendicazioni dei propri dipendenti, per programmare una prudente, e soprattutto informata, organizzazione della propria attività d’impresa e della sua prevedibile capacità di sostenere il rischio di costi e di oneri, che quei tempi comportino. In realtà, si tratta di interessi (sia pure espressione di posizioni soggettive diversamente collocate nell’organizzazione dell’impresa, rette da un rapporto di subordinazione e tuttavia non antagoniste) largamente convergenti, in una prospettiva più ampia, che sempre andrebbe considerata nell’interpretazione e nella prassi operativa: perché i rapporti di lavoro sono intimamente implicati nella vita dell'impresa, di cui costituiscono componente intrinseca, costituendo essi stessi impresa. E si tratta di un’implicazione tale da modularne la disciplina, siccome decisivamente condizionata dal dato obiettivo dell'andamento dell’impresa medesima, in una sorta di comunione di destino. Corte di Cassazione - copia non ufficiale Al riguardo, merita avere chiara la distinzione tra il diritto al lavoro, riconosciuto a tutti i cittadini dalla Repubblica, la quale ne promuove (secondo un'evidente declinazione non già descrittiva, ma imperativa del verbo) le condizioni che lo rendano effettivo (art. 4, primo comma Cost.), dal diritto al posto di lavoro, invece oggetto di una regolamentazione specifica di tutela nelle relazioni interne all'impresa. Essa si constata con la massima evidenza nelle situazioni di crisi, nelle quali i due diritti si misurano in una naturale frizione, dovendo quasi sempre la tutela del posto di lavoro cedere a quella, di interesse più generale, del diritto al lavoro, inteso come compatibilità del più ampio mantenimento dell’occupazione possibile con la condizione di crisi data. Ebbene, da tempo la Corte costituzionale ha letto in questa prospettiva l'art. 4, primo comma Cost.: ossia, nel senso che il diritto al lavoro riconosciuto ad ogni cittadino (pur non implicando un immediato diritto al conseguimento di un’occupazione né, per coloro che siano già occupati, un diritto alla conservazione del posto) debba essere considerato un diritto fondamentale Corte di Cassazione - copia non ufficiale di libertà, che lo Stato necessariamente riscontri con l'obbligo di indirizzo dell'attività dei pubblici poteri alla creazione di condizioni che consentano il lavoro a tutti i cittadini, onde l'esigenza che il legislatore, per quanto di sua competenza, introduca garanzie adeguate e temperamenti opportuni nei casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti (Corte cost. 26 maggio 1965, n. 45, Considerato in diritto, p.to 4). E questo insegnamento, secondo cui, non essendo il diritto al lavoro assistito dalla garanzia di stabilità dell’occupazione, spetta al legislatore, “nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale”, adeguare le tutele in caso di licenziamenti illegittimi, mantiene tutta la sua attualità nella sua recente ripresa da parte della stessa Corte costituzionale (sentenza 22 luglio 2022, n. 183, Considerato in diritto, p.to 4.2.). 6. Ora, perché del regime di stabilità o meno del rapporto lavorativo, ai fini di immediata e semplice individuazione del termine di decorrenza della prescrizione (in costanza di rapporto, nel primo caso; ovvero soltanto dalla sua cessazione, nel secondo), si abbia una chiara conoscibilità, Corte di Cassazione - copia non ufficiale in via di generale predeterminazione, occorre che esso risulti: a) fin dal momento della sua istituzione, qualora si tratti di un rapporto esplicitamente di lavoro subordinato a tempo tanto indeterminato, quanto determinato (in caso di successione di due o più contratti di lavoro a termine legittimi, per la decorrenza del termine di prescrizione dei crediti retributivi previsto dagli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1 c.c. dal giorno della loro insorgenza, nel corso del rapporto lavorativo e alla cessazione del rapporto, per quelli che maturino da tale momento, in ragione dell’autonoma e distinta considerazione dei crediti originati da ogni contratto, senza alcuna sospensione della prescrizione negli intervalli di tempo tra l’uno e l’altro, per la tassatività delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c.; non sussistendo in tali casi il metus del lavoratore verso il datore, siccome presupposto da un rapporto a tempo indeterminato non assistito da alcuna garanzia di continuità: Cass. s.u. 16 gennaio 2003, n. 575; Cass. 5 agosto 2019, n. 20918; Cass. 19 novembre 2021, n. 35676); b) parimenti, qualora il rapporto sia stato Corte di Cassazione - copia non ufficiale stipulato tra le parti con una qualificazione non rappresentativa della sua effettività, priva di garanzia di stabilità, la quale sia poi accertata dal giudice, in relazione al concreto atteggiarsi del rapporto stesso nel corso del suo svolgimento, non già alla stregua di quella ad esso attribuita dal giudice all'esito del processo, con un giudizio necessariamente ex post (Cass. s.u. 28 marzo 2012, n. 4942; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29774). Infatti, l’individuazione del regime di stabilità (o meno) del rapporto lavorativo, ai fini qui d’interesse, in base alla qualificazione ad esso attribuita dal giudice, con un giudizio necessariamente ex post, contraddice radicalmente quei requisiti di chiara e predeterminata conoscibilità ex ante, coerente con l’esigenza di certezza sopra illustrata, per l’affidamento di una tale selezione, delicata e fondamentale, al pernicioso criterio del “caso per caso”, rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale, fonte di massima incertezza e di destabilizzazione del sistema. 7. A questo punto, occorre allora verificare quale sia il regime attuale di stabilità del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, oggetto Corte di Cassazione - copia non ufficiale dell’odierna controversia, una volta che si dia atto del superamento, per effetto delle significative riforme sopravvenute, della esclusività della tutela reintegratoria dell’originario testo dell’art. 18 l. 300/1970, che detta stabilità ha garantito con la rimozione degli effetti di un’illegittima risoluzione del rapporto (come illustrato al superiore p.to 4). 7.1. Non è dubbio che le modifiche apportate dall’art. 1 comma 42 della legge n. 92 del 2012, e poi dagli artt. 3 e 4 del decreto legislativo n. 23 del 2015, all’art.18 della legge n. 300 del 1970 abbiano comportato il passaggio da un'automatica applicazione, nel vigore del suo precedente testo, ad ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza (pari al periodo di maturazione dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione dell'ultima retribuzione globale di fatto) ad un'applicazione selettiva delle tutele, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (di accertamento di legittimità o illegittimità del licenziamento intimato e della sua natura) e di scelta della sanzione applicabile Corte di Cassazione - copia non ufficiale (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria), con una sua diversa commisurazione (se in misura cd. “piena” o “forte”, ovvero “attenuata” o “debole”) assolutamente inedita (ex plurimis: Cass. 21 giugno 2018, n. 16443, in motivazione, p.to 9.2). Sicché, a seguito del modificato regime sanzionatorio, il giudice deve, come è noto secondo il consolidato insegnamento di questa Corte (bene esemplificato, in particolare da: Cass. 9 maggio 2019, n. 12365, in motivazione, al p.to 5, con ampio richiamo di precedenti), procedere ad una valutazione più articolata in ordine alla legittimità dei licenziamenti disciplinari (o per giustificato motivo oggettivo), rispetto al periodo precedente; specialmente, accertando se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, secondo le previgenti nozioni fissate dalla legge, non avendo la riforma del 2012 “modificato le norme sui licenziamenti individuali, di cui alla legge n. 604 del 1966, laddove stabiliscono che il licenziamento del prestatore non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c. o per giustificato motivo” (così: Cass. s.u. 27 dicembre 2017, n. 30985, in Corte di Cassazione - copia non ufficiale motivazione, p.to 8). Nel caso in cui escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, il giudice deve quindi svolgere, al fine di individuare la tutela applicabile, una ulteriore disamina sulla sussistenza o meno di una delle due condizioni previste dall'art. 18, quarto comma per accedere alla tutela reintegratoria (“insussistenza del fatto contestato” ovvero fatto rientrante “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”): dovendo, in assenza, applicare il regime dettato dal quinto comma dell’art. 18, “da ritenersi espressione della volontà del legislatore di attribuire alla cd. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale” (ancora Cass. s.u. 27 dicembre 2017, n. 30985, in motivazione, p.to 10.). 7.2. Al di là della natura eccezionale o meno della tutela reintegratoria, non è seriamente controvertibile che essa, rispetto alla tutela indennitaria e tanto più per effetto degli artt. 3 e 4 d.lgs. 23/2015, abbia ormai un carattere recessivo. Corte di Cassazione - copia non ufficiale Né tale quadro normativo si è qualitativamente modificato a seguito delle recenti pronunce della Corte Costituzionale, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del novellato testo dell’articolo 18, settimo comma l. 300/1970, nelle parti in cui prevedeva, ai fini di reintegrazione del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, l’insussistenza “manifesta” del fatto posto alla base del recesso (Corte cost. 7 aprile 2022, n.125) e che il giudice potesse, ma non dovesse (dovendosi leggere “può” come “deve”), disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Corte cost. 24 febbraio 2021, n. 59). Infatti, tali pronunce hanno certamente esteso le ipotesi in cui può essere disposta la reintegrazione, ma non hanno reso quest’ultima la forma ordinaria di tutela “contro ogni forma illegittima di risoluzione”. 7.3. Neppure si traggono argomenti significativi, ai fini qui in esame, dall’avere la Corte costituzionale ritenuto che anche l’indennità risarcitoria, prevista dall’art. 3, primo comma d.lgs. 23/2015, sia idonea “a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito Corte di Cassazione - copia non ufficiale dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente” (Corte cost. 26 settembre 2018, n. 194, Considerato in diritto, p.to 12.3). Per una sua corretta comprensione in via interpretativa, tale affermazione deve essere evidentemente collocata nel contesto del percorso argomentativo seguito dalla Corte, per fondare la pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma d.lgs. 23/2015 (sia nel testo originario sia in quello modificato dall'art. 3, primo comma d.l. 78/2018, conv. con mod. nella l. 96/2018), limitatamente alle parole “di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”. Ebbene, il contesto è quello di un ripristino dell'indennità forfettizzata stabilita dalla disposizione normativa denunciata, stimata quale irragionevole rimedio, così come in essa prevista, “rispetto alla sua primaria funzione riparatorio- compensativa del danno sofferto dal lavoratore ingiustamente licenziato … suscettibile di minare, in tutta evidenza, anche la funzione dissuasiva Corte di Cassazione - copia non ufficiale della stessa nei confronti del datore di lavoro, allontanandolo dall'intento di licenziare senza valida giustificazione e di compromettere l'equilibrio degli obblighi assunti nel contratto” (Corte cost. 26 settembre 2018, n. 194, Considerato in diritto, p.to 12.2), proprio in quella funzione di adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore e di adeguata dissuasione del datore. Sul presupposto dell’espressa negazione, da parte della medesima Corte, “che il bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost., terreno su cui non può non esercitarsi la discrezionalità del legislatore, imponga un determinato regime di tutela (sentenza n. 46 del 2000, punto 5. del Considerato in diritto)”, essa ha pertanto ribadito come ben possa “il legislatore … nell'esercizio della sua discrezionalità, prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario (sentenza n. 303 del 2011), purché un tale meccanismo si articoli nel rispetto del principio di ragionevolezza. Il diritto alla stabilità del posto, infatti, «non ha una propria autonomia concettuale, ma è nient'altro che una sintesi terminologica dei limiti del potere di Corte di Cassazione - copia non ufficiale licenziamento sanzionati dall'invalidità dell'atto non conforme» (sentenza n. 268 del 1994, punto 5. del Considerato in diritto)” (Corte cost. 26 settembre 2018, n. 194, Considerato in diritto, p.to 9.2). Sicché, appare evidente come nemmeno la sentenza ora scrutinata, così come le altre più recenti della Corte costituzionale prima richiamate, modifichi il quadro normativo attuale, anzi confermandolo nell’adeguatezza dell’indennità risarcitoria, come resa costituzionalmente legittima, quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore, accanto alla reintegrazione, pertanto non più forma di tutela ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo “contro ogni forma illegittima di risoluzione”. 8. Ebbene, così ricostruito il quadro normativo, significativamente modificato rispetto all’epoca in cui la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha individuato (ai superiori p.ti 4 e 4.1.) l’essenziale dato di stabilità del rapporto nella tutela reintegratoria esclusiva dell’art. 18 Corte di Cassazione - copia non ufficiale l. 300/1970, non pare che esso assicuri, sulla base delle necessarie caratteristiche scrutinate, una altrettanto adeguata stabilità del rapporto di lavoro. Sicché, deve essere ribadito che la prescrizione decorra, in corso di rapporto, esclusivamente quando la reintegrazione, non soltanto sia, ma appaia la sanzione “contro ogni illegittima risoluzione” nel corso dello svolgimento in fatto del rapporto stesso: così come accade per i lavoratori pubblici e come era nel vigore del testo dell’art. 18, anteriore alla legge n. 92 del 2012, per quei lavoratori cui la norma si applicava. A questa oggettiva precognizione si collega l'assenza di metus del lavoratore per la sorte del rapporto di lavoro ove egli intenda far valere un proprio credito, nel corso di esso: caratterizzato dal regime di stabilità comportato da quella resistenza che assiste, appunto, il rapporto d'impiego pubblico. Non costituisce, infatti, garanzia sufficiente, come invece ritenuto dalla Corte d’appello di Brescia (dal secondo capoverso di pg. 5 al terz’ultimo di pg. 6 della sentenza), il Corte di Cassazione - copia non ufficiale mantenimento della tutela reintegratoria, tanto con la legge n. 92 del 2012 (art. 18, primo comma), tanto con il d.lgs. n. 23 del 2015 (art. 2, primo comma), per il licenziamento (non tanto discriminatorio, impropriamente richiamato in proposito, oltre che non correttamente equiparato al licenziamento intimato “per ritorsione, e dunque discriminatorio”: al sesto alinea del secondo capoverso di pg. 5 della sentenza; ma soprattutto) ritorsivo, sul presupposto di un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c. (non necessario per il licenziamento discriminatorio: Cass. 5 aprile 2016, n. 6575; Cass. 7 novembre 2018, n. 28453). Non si tratta, infatti, di enucleare una condizione non meramente psicologica (siccome dipendente da una percezione soggettiva), ma obiettiva di metus del dipendente nei confronti del datore di lavoro, per effetto di un’immediata e diretta correlazione eziologica tra l’esercizio (obiettivamente inibito) di una rivendicazione retributiva del lavoratore e la reazione datoriale di licenziamento in ragione esclusiva di essa: come sottende la Corte bresciana, laddove argomenta (al penultimo capoverso di pg. 5 della sentenza) con la Corte di Cassazione - copia non ufficiale possibilità per il lavoratore (in “riferimento alla facoltà … di impugnare … un licenziamento che abbia, in concreto e al di là delle ragioni apparenti addotte dal datore di lavoro, quale unica ragione quella di reagire alle rivendicazioni avanzate dal dipendente in pendenza del rapporto di lavoro”) di ottenere “una tutela ripristinatoria piena (certo essendo che se il licenziamento è invece fondato su giusta causa o giustificato motivo, oggettivi e insussistenti, e dunque su ragioni – veritiere – del tutto estranee alle rivendicazioni retributive avanzate dal dipendente, non si può configurare la situazione psicologica in questione)”. Un tale ragionamento reputa dotato di stabilità adeguata un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in assenza di una tutela reintegratoria nelle ipotesi diverse (“del tutto estranee alle rivendicazioni retributive avanzate dal dipendente”: secondo l’espressione della Corte lombarda) di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in ragione di effettive ragioni organizzative e produttive dell’impresa, ovvero di licenziamento disciplinare, per grave inadempimento degli obblighi di diligenza e fedeltà Corte di Cassazione - copia non ufficiale del lavoratore, fino alla rottura irreversibile del rapporto di fiducia tra le parti. Ma il procedimento argomentativo si fonda sul presupposto (chiaramente esplicitato) che tali ragioni non mascherino in realtà ragioni ritorsive (eventualmente per rivendicazioni retributive in corso di rapporto), comportanti il ripristino della tutela reintegratoria, secondo l’insegnamento di questa Corte (Cass. 4 aprile 2019, n. 9468, in riferimento ad un’ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo, in realtà per motivo illecito ai sensi dell’art. 1345 c.c.; Cass. 22 giugno 2016, n. 12898, in riferimento ad ipotesi di licenziamento intimato per giusta causa). Ebbene, esso rivela come l’individuazione del regime di stabilità sopravvenga ad una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all’esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente ex post: così affidandone l’identificazione, o meno, al criterio del “caso per caso”, rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale (stigmatizzato al superiore p.to 6, in fine, per essere fonte di massima incertezza e di destabilizzazione del sistema). Corte di Cassazione - copia non ufficiale 9. In via conclusiva, deve allora essere escluso, per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità. Da ciò consegue, non già la sospensione, a norma dell’art. 2941 c.c. (per la tassatività delle ipotesi ivi previste e soprattutto per essere presupposto della sospensione la preesistenza di un termine di decorrenza della prescrizione che, esaurita la ragione di sospensione, possa riprendere a maturare), bensì la decorrenza originaria del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012. 10. Dalle superiori argomentazioni discende allora l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la Corte di Cassazione - copia non ufficiale regolazione delle spese del giudizio di legittimità al Tribunale di Brescia in diversa composizione, sulla base del seguente principio di diritto: “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Brescia in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 6 luglio 2022 Corte di Cassazione - copia non ufficiale Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 50 Titolo: #titolo# Decadenza e prescrizione Attività n°: #attività# 3 TEST DI AUTOVALUTAZIONE (DIDATTICA INTERATTIVA) Verificate le conoscenze fin qui acquisite svolgendo il test a risposta multipla proposto in questa sessione. Tempo previsto: 30 minuti

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