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Presentation slides on the Catiline conspiracy, a historical political event in ancient Rome. Discusses the background, sources, and events of the conspiracy against the Roman Republic.

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ANNO 63 A.C. La congiura di Catilina LE FONTI  Cicerone: Orationes In Catilinam (le quattro Catilinarie)  Sallustio: De coniuratione Catilinae (o Bellum Catilinae) Lo sfondo storico  Negli anni che seguirono la morte di Silla (78 a. C.) si assiste...

ANNO 63 A.C. La congiura di Catilina LE FONTI  Cicerone: Orationes In Catilinam (le quattro Catilinarie)  Sallustio: De coniuratione Catilinae (o Bellum Catilinae) Lo sfondo storico  Negli anni che seguirono la morte di Silla (78 a. C.) si assistette al riemergere di quei problemi che già avevano messo a dura prova la vita della repubblica romana, e ai quali egli aveva tentato di porre rimedio attraverso la riaffermazione del ruolo centrale del Senato.  Si aprì così un periodo di gravi disordini interni ed esterni allo stato, nel corso dei quali ripresero vigore i partiti ostili all’aristocrazia senatoria, e soprattutto emersero individui decisi ad affermare un potere personale, al di fuori delle regole fissate dalla riforma sillana.  Il culmine si ebbe nel 70 a.C., quando il governatore della Sicilia Verre fu condannato all’esilio per l’avidità con cui si era comportato nei confronti della popolazione, mentre i populares e i cavalieri insorsero contro la corruzione della nobiltà senatoria.  Approfittando della debolezza del Senato, Pompeo riuscì a imporre la propria elezione a console insieme a Crasso, ed ottenne nel 67 un’imperium maius et infinitum sul Mediterraneo, con il compito di sgominare le flotte dei pirati che danneggiavano i commerci, e di combattere Mitridate. Lo sfondo storico  Durante l’assenza di Pompeo, a Roma si delinearono gli schieramenti pronti a misurarsi per contendersi il potere: da un lato la nobilitas senatoria, guidata da Catone Uticense, che non intendeva scendere a compromessi né con un generale come Pompeo né con il ceto equestre; dall’altra il partito dei populares, legato da comuni interessi al ceto equestre e pronto a legarsi a condottieri come Pompeo o Cesare.  Una posizione intermedia era quella di Cicerone, che sosteneva la concordia ordinum, ovvero l’alleanza tra aristocratici e cavalieri al fine di garantire la stabilità della repubblica.  Non mancarono infine le iniziative di singoli personaggi, come quella di Catilina, che nel 63 tentò di impadronirsi del potere con una congiura. L’autunno del 63 a.C.  Nell’autunno del 63 Catilina ordì una congiura per impadronirsi del potere. Il piano prevedeva che una banda armata raccolta in Etruria tra i veterani di Silla impoveriti e irrequieti - capeggiati da C. Manlio, ex centurione sillano - marciasse su Roma il 27 ottobre.  Gli indizi trapelati (tramite Q. Curio che riuscirà anche ad avvertire Cicerone di un agguato previsto contro di lui per la notte tra il 6 e il 7 novembre) furono sufficienti perché Cicerone mettesse in allarme il Senato e, con l’approvazione del senatus consultum ultimum nella seduta del 21 ottobre, facesse presidiare la città.  Bloccato in questa manovra, Catilina si dedicò a un progetto eversivo di maggiori proporzioni, che suscitasse sommosse in tutta Italia e portasse il caos in Roma, con incendi, saccheggi e uccisioni. Fu chiamato in giudizio in base alla Lex Plautia de vi, che condannava all’esilio o alla morte coloro che attentavano alla sicurezza dello Stato.  Catilina si presentò in Senato nella seduta dell’8 novembre “o per nascondere le proprie intenzioni, o per scagionarsi dalle accuse come se fosse stato oggetto di interessate calunnie”(con. Cat. 31.5). Quel pomeriggio Cicerone si rivolse ai senatori riuniti sul Palatino, pronunciando alla presenza del suo avversario la prima orazione In Catilinam.  Nella notte tra l’8 e il 9 novembre Catilina fuggì verso l’accampamento di Manlio, e la sera del 9 Cicerone pronunciò la seconda Catilinaria, con la quale convinceva il popolo riunito in assemblea nel Comitium di quanto fosse giusta e necessaria la decisione di esiliare Catilina. Il 20 novembre Catilina (che ufficialmente era diretto in esilio a Marsiglia) raggiunse l’accampamento di Manlio con le insegne consolari del supremo comando, e il senato dichiarò Catilina e Manlio hostes, nemici della patria Cicerone accusa Catilina in Senato, Palazzo Madama, Sala Maccari  Frattanto a Roma i catilinari guidati da C. Lentulo si riorganizzavano per sovvertire l’ordine in città e tendere un nuovo agguato a Cicerone; cercarono di reclutare nuovi congiurati, fra cui un gruppo di Galli Allobrogi. Cicerone si servì del comportamento ambiguo degli Allobrogi verso i congiurati per smascherare i loro progetti sovversivi, e organizzò per la notte tra il 2 e il 3 dicembre un agguato presso il Ponte Milvio, in cui riuscì a far catturare C. Lentulo e i suoi.  Il pomeriggio seguente il Senato fu convocato in una seduta straordinaria: i capi catilinari apertamente accusati furono costretti a confessare; in serata Cicerone pronunciò la sua terza catilinaria, un’infiammata orazione nella quale mostrava al popolo riunito vicino al tempio della Concordia le prove evidenti della congiura. Cicerone in séguito venne a conoscenza di un piano ideato dai liberti e dai clienti di Lentulo per liberare il loro capo, e sollecitò i senatori a decidere subito le sorti dei congiurati, (senza appello, la provocatio ad populum) pronunciando la quarta catilinaria. È la famosa seduta del 5 dicembre, in cui si confrontarono le idee di Cesare, che proponeva come pena il carcere e la confisca dei beni, e di Catone Uticense, che li condannava alla pena capitale. Il Senato approvò la proposta di Catone, e i congiurati, condannati a morte, vennero strangolati la notte stessa nel carcere Tulliano. Cicerone ne diede la notizia nel foro con la semplice espressione «vixerunt». A questo punto tutti i gruppi ribelli sparsi per l’Italia si dispersero, ma Manlio e Catilina prepararono presso l’agro Pistoiese la resistenza delle ultime truppe rimaste fedeli, con le quali il 5 gennaio del 62 affrontarono l’esercito regolare guidato da M. Antonio. Con la sconfitta di Pistoia e la morte in battaglia di tutti i suoi seguaci si concluse nel sangue l’avventura politica e militare di Catilina. Cicerone al contrario era al massimo del suo prestigio politico: aver sventato la congiura, riportando la legalità dell’ordine costituito e la sicurezza per la classe dirigente tradizionale, gli aveva procurato l’appellativo onorifico di pater patriae.

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