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Riassunto la commedia dell arte ferrone Storia del Teatro e dello Spettacolo Università degli Studi di Firenze (UNIFI) 43 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-de...

Riassunto la commedia dell arte ferrone Storia del Teatro e dello Spettacolo Università degli Studi di Firenze (UNIFI) 43 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) LA COMMEDIA DELL’ARTE Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo) di Siro Ferrone Prologo - I caratteri distintivi 1. I confini della Commedia dell’Arte L’abitudine invita a pensare che la Commedia dell’arte sia un genere popolato di maschere che fanno smorfie, si innamorano, si bastonano, sempre indossando gli stessi costumi. L’uso del termine «Commedia» ha ridotto a un genere, quello comico, un repertorio ampio, mentre il termine «Arte» pare un’allusione alla creatività. Le due parole sono diventate un logo pubblicitario, dimenticando che con «comici» si indica genericamente chi pratica il teatro, mentre «arte» è sinonimo di corporazione professionale. Dunque l’etichetta «Commedia dell’Arte» descrive un campo di esperienze vasto, che coincide con tanta parte della storia dello spettacolo di Antico Regime. Questo volume estenderà la sua attenzione a quel teatro prodotto dalle compagnie di mestiere italiane tra inizio XVI secolo e fine XVIII, fermandosi prima della trasformazione industriale della società, quando: - il mestiere teatrale, autorizzato a partecipare al commercio, verrà codificato nelle legislazioni di diversi stati - alla presenza delle donne verrà riconosciuta una dignità vicina a quella degli uomini - comincerà ad affermarsi il primato del testo drammatico sulla drammaturgia in azione - i tratti delle maschere verranno enfatizzati, per compensare la riduzione dell’arte improvvisa entro un’area poco più ampia del carnevale. Prenderemo in considerazione l’operato dei dilettanti solo quando riconducibile a quello dei professionisti. Comprenderemo i diversi generi teatrali, purché la funzione creativa sia attribuibile alla compagine attoriale, e purché questi attori siano impegnati in rappresentazioni pubbliche. Uomini e donne che trovarono nel recitare una fonte di guadagno. Per questi motivi di scorcio si osserveranno le manifestazioni che del professionismo utilizzarono le tecniche di composizione dei testi per udienze esclusive, come il teatro gesuitico del Seicento. Non saranno infine trascurate le fonti che documentano la storia dei luoghi dello spettacolo, anche quando i documenti contraddicano l’idea che vuole gli spettacoli dell’Arte ai margini della società. Se è vero che qualunque forma di teatro, anche quando se ne conservano i testi, non è pienamente conoscibile, è altrettanto vero che la sua genesi può essere meglio compresa in virtù di documenti che i ricercatori hanno scovato. 2. Dilettanti e professionisti La Commedia è stata soffocata da una tradizione densa di equivoci nati dal bisogno di trovare nel passato quel che si cerca nel presente. Chi ci ha cercato il segreto di una fresca giovinezza, chi l’originalità popolare, chi il primato dell’improvvisazione sull’elaborazione artistica premeditata. Quest’ultimo è il tratto più volgarizzato del fenomeno, di origine romantica e tutt’ora diffuso. Equivoco basati un’accezione semplicistica dell’improvvisazione come estro irrazionale, rimedio dell’ultima ora a un vuoto di memoria, un difetto del testo. L’improvvisazione non è tratto saliente della Commedia dell’Arte. Alcuni hanno valorizzato le radici presenti nei riti di cui la Commedia sarebbe derivazione, altri l’importanza delle attrici nella costituzione di quel sistema espressivo, altri alla Commedia come raccoglitore di competenze degli attori solisti. Altro passo avanti è stato compiuto grazie al riscorso alle fonti dirette e ad un uso accorto di quelle indirette, in un’analisi critica nei contesti geografici in cui le compagnie agirono. È opportuno considerare il quadro sociale dell’Italia di primo ‘500, instabile più di quanto non fosse il sistema culturale connesso. A mutamenti e migrazioni intense, fece riscontro la permanenza di strutture associative di stampo medievale. Le attività spettacolari nelle città cercarono sostegno nelle istituzioni. La nascita di compagnie fu una novità radicatasi in contesti limitati per poi circolare in territori più estesi, affiancando la tradizione di performances individuali di buffoni, giullari, ecc ecc. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Le nuove aggregazioni coesisteranno fin dentro l’800 con forme di spettacolarità individuali. A lungo gli ‘artigiani’ continueranno ad alternare l’unione con altri teatranti e una pratica solitaria. Altre volte abbandoneranno la pratica scenica cercando altri mestieri. In generale, nella prima parte del periodo di nostro interesse, dobbiamo prendere atto della natura anfibia di molti attori tra dilettantismo e professionismo. La distinzione deve considerare le contaminazioni tra le due condizioni quando le passioni di aristocratici, artisti, musici attori e cantanti di mestiere si intrecciarono nelle attività delle accademie sei-settecentesche, nella pratica dei collegi religiosi, nelle manifestazioni devozioni. Un fenomeno diffuso: a Napoli sotto la guida di Andrea Perrucci, o sotto la guida di letterati a Firenze nel Sei-Settecento e altre città. Sono ben documentate le rappresentazioni romane della commedia ridicolosa, «non dissimile dalla commedia delle compagnie dell’Arte, dato che si valeva della stessa tecnica improvvisativa». Un’attività limitata al carnevale e altre feste, con la partecipazione di artisti come Salvator Rosa e Bernini. Se è vero che «la figura del dilettante si contrappone alla sregolata vita del professionista», è anche vero che personaggi, soggetti, tecniche transitarono dall’uno all’altro sistema, all’interno d’una medesima disciplina. Quindi l’esclusività della professione non può essere discriminante nella nostra ricostruzione. Sarà significativa incede l’appartenenza a un collettivo. I buffoni solitari come quelli attivi a Venezia nel primo 500 entreranno nella nostra riflessione solo come apportatori di competenze alle compagnie. Al centro dell’indagine stanno collettivi non occasionali, capaci di svolgere attività anche fuori dal sistema signorile, con autonomia economica. Storie di attori subordinati a quel sistema o estranei alle associazioni, sono presi in considerazione come fenomeni contigui. In Antico Regime l’individuale trattativa commerciale rimase a lungo tentazione frequente, dettata dall’istinto di sopravvivenza, quando il recitare non garantiva guadagno certo. Molti cercarono altri lavori o beni immobili come risorse alternative. 3. Le fonti Le fonti sulla Commedia dell’Arte sono indirette, inquinate da una tradizione il cui punto di vista ha prevalso sul documento: viaggiatori distratti, moralisti, pittori di maniera, hanno diffuso informazioni deformate. I testimoni diretti (attori, spettatori…) censurarono spesso i documenti, privilegiando ora giudizi di condanna ora le raffigurazioni nobilitanti delle edizioni a stampa. La storia del teatro è carente di documenti diretti, il ricercatore sa di dover integrare con congetture. Tra i documenti sono significative le carte con tracce delle vite degli attori: in archivi religiosi e civili con atti di nascita, matrimonio, morte, testamenti, ecc., rari certificati conservati in cancellerie. Queste ultime hanno conservato lettere di attori, scritturati protetti dai potenti, a corte o in tournée. Le lettere trasmettono immaginazione, lingua, punto di vista degli artigiani, che avremmo conosciuto meglio se non fosse andata perduta la corrispondenza tra essi, anche se molti furono analfabeti. Sono conservati manoscritti drammaturgici che ci consentono di avvicinarci alla vita materiale: vedi lo Zibaldone di Stefanel Bottarga, un contenitore di materiali preteatrali, poesie, scene dialogate utilizzabili dagli attori, ecc. Attengono allo stesso genere frammenti di copione («parti scannate»), i canovacci e i soggetti, come quelli stampati da un professionista come Flaminio Scala o quelli accolti dai dilettanti ad uso di accademie. Una fioritura di commedie scritte è certificata in numerose stampa apparse dagli anni ’80 del ‘500. Furono editi anche testi teorici che professionisti composero a edificazione del teatro dell’Arte, anche se testi del genere subiscono una verniciatura linguistica ridondante, sono più Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) utili gli scritti dei religiosi e moralisti ostili al teatro, che trasmettono maggiori informazioni sulle caratteristiche di attori e pubblico. Fonti ancora più difficili sono quelle figurative, fabbricate per volontà stessa degli attori o dove questi sono utilizzati, in virtù delle loro pose sceniche, come modelli ideali di eroi, trovando posto in quadri di soggetto non teatrale. In altri casi, le figurine che imitano l’arte teatrale avevano scopo decorativo, uso destinato a prevalere, volgarizzando l’immagine dell’Arte, stimolando l’idea di un genere ripetitivo, dotato di un numero limitato di situazioni e pose. Tuttavia la lettura di queste immagini consente di integrare le fonti letterarie per una maggior conoscenza dei connotati espressivi del genere. 4. La maschera La maschera è considerata uno degli elementi costitutivi della Commedia, il termine è utilizzato per identificare i personaggi da metà Settecento: Molinari ipotizza che la maschera fosse uno strumento non primario. Una larga schiera di personaggi ne risulta sprovvista, il mascheramento sembra appartenere a un passato perduto, e funziona da memento nostalgico in occasione di feste, carnevali e nel teatro professionistico di 800 e 900; la materia che stilizza il volto, allontana gli attori dalla realtà, sarà apprezzata dal teatro romantico e dalle avanguardie novecentesche. Fu anche il disegno settecentesco di Carlo Gozzi quando fece ricorso alle maschere contrapponendosi a Goldoni che le aveva accantonate. Nelle Fiabe di Gozzi le utilizzazioni in maschera non fanno riferimento a un mansionario ancora praticato, ma commemorano una tradizione in estinzione. Già nel 600, dilettanti e accademici avevano segnato a quei tipi un ruolo maggiore di quello che aveva fra i comici mercenari. Questo filtro deformato si è ispessito nel tempo enfatizzando l’importanza delle maschere. Mario Apollonio ha visto nelle maschere un travestimento diabolico. Molte forme spettacolari avevano prolungato la loro esistenza dal Medioevo all’età moderna, conservando maschere anacronistiche: la calzamaglia e il mantello di Pantalone, la divisa dei Capitani, il costume di Arlecchino. La maschera è un residuo di un antico spettacolo, formalizzata dagli attori dell’Arte perché capace di sedurre gli spettatori di Antico Regime. La maschera evoca un confine tra terreno e ultraterreno, vita e morte, temi che occuperanno molto spazio nelle scena del secolo. Nel 600, all’interno di feste cortigiane, la maschera gode di fortuna diffuso. La replicazione dell’uso si accompagna a una laicizzazione dell’oggetto scenico. Il passaggio di forme del teatro nel repertorio degli accademici assottigliò lo spessore diabolico delle maschere. La digradazione parodica del teatro dell’Arte finisce per levigare le tracce diaboliche incrostate sulla protesi nera, che diventa un semplice attrezzo di scena. 5. Non solo commedia Il termine Commedia induce a fraintendere un repertorio in realtà più vario. Nicolò Barbieri (attore del 600) ricorda che il teatro professionista è meno ridicolo che lacrimoso. È noto che la forma sia una abbreviazione per indicare le commedie - nel senso generale di rappresentazioni sia comiche che tragiche - recitate da comici dell’arte. L’immagine convenzionale di una Commedia dell’Arte fatta di commedie è la conseguenza di una tradizione in cui hanno prevalso fonti francesi: a Parigi, dai tempi di Luigi XIV, il teatro alla maniera degli italiani viene recintato nell’area della comicità, allontanando la tragicommedia. La produzione dovette sottostare alle leggi della retorica che assegnavano agli autori francesi il controllo della drammaturgia alta. Anche la nascita dell’opera musicale aveva sottratto risorse al teatro dell’Arte. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Alcuni atti contribuirono all’impoverimento dell’Arte in Francia: il divieto dell’uso della grande macchineria, i privilegi assegnati all’Académie de Danse (1661) e de Musique (1669) o alla Comédie Française (1680) indussero gli italiani a restringere il loro repertorio. La chiusura del Théatre Italien, decretata nel 1697, accentuò la tendenza: gli attori che continuarono a recitare nei teatrini periferici contribuirono a rafforzare l’immagine comica. Quando, Riccoboni prima e Goldoni poi, si trovarono a lavorare per quel pubblico non poterono liberarsi dalla tradizione immortalata da artisti come Watteau o Gillot, attendi alla leggerezza di un teatro con delicati amori, inserti musicali, maschere garbate, che tradiva la miscela tragicomica italiana. Ulteriore fraintendimento è che la storia della Commedia dell’Arte coincida con la tradizione francese. In Italia andò diversamente: la commedia fu solo uno dei generi, dagli anni ’40 del 600, le compagnie si dedicarono all’opera musicale, assorbendo risorse per allestimenti costosi, incentrate sull’interpretazione di professionisti. Nonostante la concorrenza, gli attori dell’Arte continuarono a mettere in scena una drammaturgia complessa, venata di tinte tragiche, arricchita da effetti. Contribuirono a questo sistema in Italia tre fattori: 1) accademie che ibridavano i repertori seri e comici, musicali e recitati 2) ambienti cattolici che di accogliere drammaturgie professionistiche 3) l’affluenza di repertori spagnoli, in cui la mescolanza dei generi era l’opposto della classificazione attuata in Francia. Il flusso di relazioni italo-spagnole favorì questa moda e una spettacolarità fondata sulle contaminazioni alto-basso, comico-tragico. I nostri attori si trovarono in una contraddizione: le capitali europee chiedevano un repertorio semplificato, le competenze miste delle compagnie italiane non trovavano udienza in un panorama povero di risorse. Nel frattempo, dalla metà del 600, l’opera in musica si era impadronita del genere misto e con la sua ricca dotazione di denari aveva espropriato i comici dell’Arte di quel repertorio, costringendoli in un territorio ridotto. Eppure in Italia, nella prima metà del 700, la Commedia comprendeva ancora una varietà di generi e stili. I tentativi di Riccoboni e Goldoni di reagire alla convenzione voluta dai francesi fallirono. Il primo si rifugiò in recriminazioni teoriche. Il secondo, che aveva voluto nobilitare il suo lavoro con un progetto riformatore, trasferitosi in Francia fu costretto a seguire le orme del Riccoboni, componendo canovacci all’antica. Contemporaneamente a Venezia, Carlo Gozzi, rielaborando antichi temi e recuperando compositi drammi spagnoli, ruppe l’angusto recinto delle commedie per riproporre la tradizione di un’Arte senza limiti di genere. Parte prima - Il sistema economico e sociale Capitolo primo - Le compagnie teatrali 1. Sottomissione e autonomia La compagnia è la struttura costitutiva della Commedia dell’Arte. Attori, buffoni, cantatori sono sempre esistiti, ma da metà XVI sec si organizzano in insiemi durevoli, organizzandosi davanti a un notaio: il primo documento conosciuto è firmato nel 1545 a Padova. Vi si trova un calendario (prevede pausa a giugno e ripresa a settembre), una gerarchia, un mutuo soccorso, una casa comune, eccetera. Quel testo certifica in ritardo una consuetudine già viva. La necessità di rendere più continui i viaggi di lavoro e i guadagni obbligavano ad un calendario che inseguisse i cicli festivi in luoghi diversi. Maggiori spostamenti, maggiori pericoli da affrontare, tanto più opportune erano le regole comuni. Gli attori trassero giovamento dagli ostacoli, sviluppando forme di autogoverno e difesa: le fasi di maggior sviluppo coincidono con le più estese tournées. Fonti importanti si trovano a fine ‘500 in Spagna: nel 1580 si attesta la presenza di Zan Ganassa e della moglie in Spagna, che la donna era una sola e i personaggi erano recitati en Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) travesti. Un altro comico era incaricato di provvedere a costumi e attrezzeria, che la compagnia era regolata dal voto di tutti, eccetera. Non conosciamo i contratti della formazione dei Martinelli, che agì tra Lione, Anversa, Parigi, Londra e Madrid dal 1576 al 1588. Anche quando si trovarono sotto la protezione dei Gonzaga, i fratelli non dettero continuità al loro servizio, mercanteggiando sui prezzi e variando la composizione degli insieme, chiamandosi ironicamente gli Uniti. I Fedeli erano di G.B. Andreini e gli Accesi di P. M. Cecchini. Il nome dei primi era indicativo di una tradizione indiscutibile, testimoniata dalla madre del capocomico, la Andreini: alla sua morte, scioltisi i Gelosi, il marito Francesco (Capitan Spavento) aveva guidato l’ingresso del figlio, che subito si guadagnò autonomia artistica. A bilanciare i vincoli politici, la compagnia poteva rafforzare l’impianto societario con vincoli di famiglia. L’ereditarietà delle competenze fu fondamentale. Accanto agli Andreini si citano i Fiorillo, i Biancolelli, i Romagnesi (per il ‘600), e la famiglia Sacco (per il ‘700). La compagnia garantiva una tutela sociale ai componenti. P. M. Cecchini elaborò un progetto ardito: un teatro stabile pubblico. Frammenti di quel piano sono reperibili in carteggi scambiati nel 1605-1609 col duca di Mantova: proponeva un trasferimento permanente in città in cambio di una dotazione finanziaria permanente, una pensione, una certa autonomia artistica, e l’impegno di garantire ai commedianti regolari ingaggi e protezioni nelle tournées. Un progetto precoce. Analogo tentativo fu fatto da don Giovanni de’ Medici nel 1613-1621, un’esperienza incompiuta ma importante; si servì delle relazioni diplomatiche per governare con autorità attori di qualità, attivi nelle corti italiane. La tecnica di governo, documentata, rivela una disciplina militare che frenò il costume familistico e mirava a dare valore al collettivo più che alle individualità, reclutate dal capocomico Flaminio Scala. Un consiglio di compagnia prendeva decisioni, un portinaio amministrava spese e utili e redigeva i verbali. Don Giovanni non finanziava, ma favoriva col suo nome la circolazione dei comici. Scala anticipava le spese assumendosi il rischio di prestare agli attori il denaro che avrebbero restituito a fine tournée. Tutti erano tenuti al rispetto delle regole. La conduzione paramilitare garantì stabilità, consentendo al protettore di usare gli attori anche per raccogliere notizie riservate. Gli attori meritarono un inedito rispetto in tutti i palazzi, guadagnandosi grande autonomia artistica. Per la prima olia gli istrioni videro tutelato il loro lavoro. Risultato analogo fu raggiunto da G.B. Andreini: riuscì a conciliare repertorio dei singoli e esigenze del collettivo, riducendo le variazioni del cast e regolarizzando i viaggi. Entrambe le esperienze servirono a creare una certa dotazione drammaturgica atta alla riproduzione seriale. Tuttavia il sistema commerciale rimase incompiuto e gli attori dovettero alternare il mestiere ad altre attività. La competizione per le migliori piazze italiane provocò molti conflitti tra compagnie. Anche gli attori di maggior successo dovettero integrare: Flaminio Scala diresse fu speziale a Venezia, Tristano Martinelli continuò a riscuotere le tasse per il duca, P. M. Cecchini possedeva beni immobili, eccetera. La doppia professione è ridimensionata dalla fine del ‘600, grazie al prolungamento di diverse stagioni specie a Venezia e Napoli, e all’alternanza di tournées internazionali. Gli attori sono ora professionisti a pieno titolo. Eppure il rafforzamento delle società col vincolo familistico impedirono una totale emancipazione del mestiere: contraddizione con cui si misurerà anche la riforma di Goldoni. La collaborazione con Girolamo Medebach non fu condizionata solo dallo scrittore, ma anche dalla ‘lezione’ trasmessa dalla grande famiglia comica. Così, nonostante l’impegno riformatore, Goldoni dovrà registrare la sopravvivenza delle modalità organizzative della compagnia italiana di Antico Regime, incoraggiate dal sistema impresariale veneziano, in cui i favori del pubblico andavano all’arte degli attori, capaci di garantire i tratti tradizionali del mestiere. La ragione del successo di Gozzi fu proprio Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) l’indifferenza alle mode riformiste e la noncuranza per le condizioni lavorative dei suoi attori, capitanati da Antonio Sacco. La stabilità delle compagnie era stata raggiunta un secolo prima a Parigi, quando la troupe del Théatre Italien dal 1661 era diventata istituzione protetta. La sua espulsione nel 1697 dimostrò però che l’autonomia artistica era un’illusione. 2. Dilettanti di professione L’enfasi applicata dai professionisti ai materiali di derivazione popolare colpì l’attenzione dei dilettanti: nelle feste popolari, la possibilità di travestirsi, danzare, cantare, favorì l’adozione di costumi diffusi dagli attori. In occasioni private, questi modelli si imposero come rappresentazioni autentiche, che prevalsero sugli originali. Ci restano più documenti su questi spettacoli che su quelli professionistici: delle edizioni a stampa delle «commedie ridicolose» si fecero vanto nobili e letterati. I dilettanti condivisero questa passione emulativa, senza affrontare però viaggi pericolosi. Esistono anche raccolte di canovacci amatoriali. Difficile è distinguervi le contaminazioni amatoriali dalle esperienze professionali: mobile era il confine tra dilettanti accademici e professionisti itineranti, anche nella condivisione di tecniche e maschere. I due mondi non possono essere tenuti separati. La distinzione faceva però comodo a uomini di Chiesa e moralisti: l’amatorialità poteva attenuare il morbo mercenario dell’Arte comica, e questo consentiva di dare vita a spettacoli che altrimenti non avrebbero potuto essere approvati. Le accademie erano la copertura di pratiche poco lecite. Le più importanti esperienze di ibridazione furono a Roma e a Firenze, ma anche in altre città. Vi parteciparono numerosi artisti di arti maggiori (come Gian Lorenzo Bernini): cortigiani- artisti-attori chiamati ‘semiprofessionisti’. Le opere pubblicate non rispecchiano la freschezza degli spettacoli allestiti, tuttavia testimoniano la contaminazione artistica tra professionisti e dilettanti. Capitolo secondo - La donna in scena 1. Diva La donna in scena è la più rilevante novità del Cinquecento, decisiva per la formazione del teatro professionistico. Ci si riferisce all’ingresso di competenze femminili nel repertorio dei professionisti, di cui non c’è certezza cronologica, e che donò al teatro consistenza e fascino. La donna attrice segnava una tappa anche nella storia del costume, acquisiva personalità civile, chiedeva rispetto per un mestiere, si segnalava come elemento costitutivo di un processo di produzione, nonostante l’opinione comune le confinasse nel rango delle prostitute. Sotto l’aspetto teatrale, le donne avevano doti di sottigliezza espressiva, timbri vocali e movenze che gli attori travestiti non avevano, e potevano toccare anche altri registri oltre al comico e al grottesco. Per molte si trattò di passare da soliste a parte di una compagnia. Per ottenere questo si impegnarono a conquistare il consenso degli uomini colti: la riabilitazione passò mediante l’enfatizzazione di caratteristiche riconducibili ad arti e mestieri consolidati dalla buona fama, come fu per Vincenza Armani (1530-1569), che pose «l’arte comica in concorrenza con l’oratoria» o Barbara Flaminia (ante 1562-post 1584), impegnata nel genere alto della tragedia. Fu Isabella Andreini la più abile a sublimare corpo e recitazione con uno studio accurato di versi di stampo petrarchismo; curò poi le relazioni con intellettuali di fama, dei quali imitò le strategie editoriali, attraverso le quali si auto-mitizzò. L’opera fu poi proseguita dal marito Francesco e dal figlio Giovan Battista. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Nella Mirtilla del 1588 l’attrice recitò come ninfa Filli, ed in una scena tormenta un Satiro sedotto e poi abbandonato, forse interpretato dallo stesso Andreini. Come molti Capitani, il repertorio di questo personaggio, guerriero e virile, costruito su scene di ridicola sottomissione al potere femminile, doveva potenziare le passioni delle attrici. Lamenti e deliri delle donne abbandonate, anche cantati, furono pezzi pregiati della trasformazione del teatro dei professionisti, oltrepassane o l’idea di una Commedia dell’Arte fatta solo di tratti comici. Le scene di pazzia prevedevano un forte metamorfismo delle attrici, immedesimate in animali o elementi naturali, capaci di stravolgere il personaggio. Sull’onda della pazzia la recitazione di Isabella poteva abbandonarsi ad una escursione di toni, con un corrispettivo gioco gestuale e mimico. Una pazzia portò al successo Marina Dorotea Antonazzoni in arte Lavinia (1539-1563) che ebbe come rivale Maria Malloni in arte Celia (1599-1632): questi ‘assolo’, incastonati nella trama, consentivano alle interpreti di recitare ‘fuori opera’, con doni degli spettatori. Varianti sono i monologhi in forma di lamento, eseguiti dalla abbandonata, che potevano concludersi col suicidio. Nel Convitato di pietra attribuito a Cicognini un assolo femminile di rilievo registra il suicidio della pastorella Rosalba. Se gli scritti di Isabella costituiscono un sistema concettuale elaborato, che innalzano la pratica scena femminile ad un livello letterario, spettò al figlio lo sviluppo di quel repertorio in ambito neoplatonico cristiano. Ampie presenze sono documentate in ambiente mediceo fiorentino e francese, che giustificò l’uso del corpo della donna in scena giudicando inseparabili sfera spirituale e materiale, essendo giusto «ruminare» cose terrestri per l’ascesa allo spirito (come Maria Maddalena). Gli spettacoli incentrati sull’ostensione del corpo possono innalzare lo spirito, e tutto muove dalla catarsi della donna, peccatrice e poi penitente. Un modello ideologico che troverà continuità di Virginia Ramponi (Florinda) e Virginia Rotari (Lidia) e altre. Documenti figurativi del XVII secolo favorirono questa strategia, nell’identificazione di attrici con personaggi divini o mitici. Il gusto pittorico assorbì le suggestioni sceniche femminili, le attrici-eroine occupano spazi rilevanti per le capacità di esprimere le passioni dei miti inscenati. Le opere possono essere lette come fonti indirette di pose sceniche. La collocazione monumentale favorì l’innalzamento delle loro virtù alla fama duratura. L’Arianna dipinta da Fetti riproduce probabilmente i tratti di Virginia Ramponi, interprete dell’Arianna di Monteverdi (1608). La disposizione dei personaggi e il contesto sono teatrali, sul genere di quelle dell’Andreini. L’attrice è colta nell’istante di sospensione, prima di scendere in spiaggia, in un canto che si leva o si spente. Riaffiorano gli indizi di competenze canore. Fra indizi come questo, è da ricordare la sacra rappresentazione La Maddalena di G.B. Andreini (1617) e Claudio Monteverdi. Congetture musicali possono essere avanzate a proposito dei monologhi femminili predisposti da Andreini ne Il nuovo risarcito Convitato di pietra, testo abnorme, denso di ricordi alla musica. Il tema della Maddalena è documentato dalle incisioni che accompagnano le diverse edizioni. Motivo simile a quello presente in un’altra opera del Fetti dal titolo Malinconia, quadro che sposta la messinscena concreta di una figura dai tratti ralistici alla sua astrazione simbolica. L’attitudine è sensuale, l’ampio nastro giallo allude allo stato di cortigiana, gli attrezzi accennano alle professioni. Il viso assomiglia all’Arianna di Nasso: labbra carnose, occhi esoftalmici: l’attrice potrebbe essere stata l’unica modella. La documentata vicinanza del pittore mantovano con l’attore fiorentino permette di identificare in questa figura la trascrizione visiva del progetto morale che l’Andreini assegna all’attrice: pubblica ma virtuosa, professionista all’altezza delle arti maggiori. La fusione di malinconia e sensualità rinviano dalla doppia natura delle messinscena degli Andreini. La verità nascosta sotto le apparenze è possibile grazie alla virtù delle donne attrici. Il ruolo dell’Innamorata è rilevante benché spesso sovrastato dalle maschere. Dal 1620 (col Lelio bandito) si può parlare di rovesciamento delle parti, con un prevalere della donna. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Al di sotto della favola rappresentativa si propone un processo catartico che riguarda gli attori e le attrice: queste non sono interpreti di corpi altrui (personaggi), ma esse stesse, dotate di una profondità psichica che le figure dell’Arte non avevano mai esibito. 2. Attrici ‘di piacere’. Casistica opposta è offerta da attrici che usarono l’arte della seduzione senza lo schermo della redenzione. Furono le attrici ‘di piacere’ e il ruolo fu soprattutto di serve, ruolo che nei primi tempi era ricoperto da uomini en travesti esperti di oscenità. Non essendo dato di suffragare la qualità della loro recitazione, siamo costretti a collocarle nel limbo del mestiere della prostituzione con l’ausilio del mezzo comico. Angela Nelli appare nel 1642 al teatro della Dogana a Firenze col canovaccio dell’Ateista fulminato, la compagnia è diretta da Carlo Cantù, nella parte di Buffetto. Non sappiamo il nome dell’altra amorosa, la disperata Leonora. Le due differenti nature femminili si integrano costituendo un equilibro attorno ad un fulcro emotivo. Sono interpreti a produrre un impasto di stili difficile. Come vuole il mansionario dell’Arte, la prima deve recitare l’amante infelice, specializzata in monologhi di lamento, è incline agli svenimenti. La seconda è di spregiudicata bellezza, artefice di duetti erotici, che abbraccia il bandito protagonista. Dipese dalla Nelli, che interpretò questa seconda parte, il successo dello spettacolo fiorentino, e quando fu concluso gli amanti della signora Angela rimasero sconsolati… per aver perso l’accesso alla sua camera? Questa confusione tra ruolo teatrale e quotidiano nutriva l’arte dei professionisti. 3. Il riscatto delle ‘amorose’. Quale che fosse la morale delle attrici, il loro successo si accrebbe, anche in Europa. Dal 1620 abbiamo visto come si registri il predominio della prima amorosa. Il successo delle interpreti si manifestò grazie allo sviluppo dell’opera in musica e dell’impresariato nobiliare, attento a questa nuova risorsa. La drammaturgia riservò a queste voci un’attenzione privilegiata, praticando la tragicommedia e l’opera musicale. Si accentuò una drammaturgia laicamente aperta allo studio degli affetti. Merita un cenno Margherita Costa, cantante alla corte medicea, a Roma e a Parigi. Dal testo Li buffoni di cui firmò l’edizione (1641) poco si apprende circa le sue virtù performative: traspare comunque l’ambizione per uno spettacolo di vaste proporzioni, cortigiano, disponibile a un’orchestrazione scenotecnica. La definizione di «commedia ridicola» che accompagna l’immagine fa pensare a un divertimento più consono al carnevale che a un impegno professionale teatrale. L’attrice non ha l’ambizione di proiettare sul testo le virtù recitative ma si impegna a dare l’immagine di ambizioso apparatore capace di coordinare un grande evento costruito sul comico, sulle coreografie, la musica e il canto: anticipazione dell’opera buffa, formalizzata nel secolo seguente. Brigida Bianchi in arte Aurelia (1613-1703) ebbe carriera compartita tra recitazione e canto. Dopo i primi duetti col marito Agostino Romagnesi, ricevette molte commissioni da corti italiane e da quella francese, dove collaborò con la compositrice Antonia Padoani Bembo. Il segno di un protagonismo editoriale, si trova in Angiola D’Orso (?, 1625 - ?, post 1685), responsabile di adattamenti dallo spagnolo di cui l’attrice rivendicava i diritti. Di nuovo implicazioni anfibie presenta la carriera di una diva manager del teatro napoletano, accusata di delitti e prostituzione: Giulia De Caro (1646-97) è rappresentativa di un costume diffuso a Napoli, tra il mondo dei ciarlatani e l’imprenditorialità, svolta tra nel 1673-75 al teatro San Bartolomei. Su di lei piombarono accuse esasperate dallo scandalo antifemminista e dalle gelosie delle concorrenti. A inizio ‘700 si divaricò la differenza fra competenze di cantanti e attrici, fra i repertori dell’Arte e dell’opera in musica. Un caso da ricordare è quello di Adriana Sacco (1707-76), nata in una famiglia importante, col fratello Truffaldino Antonio Sacco, che la tutelava, fornì nella prima metà del secolo, sui palchi di tutta Europa, un’immagine del ruolo di servetta depurata Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) dalle oscenità, immagine che il repertorio settecentesco avrebbe poi canonizzato (dalla Serva padrona di Pergolesi alla Locandiera di Goldoni). I canovacci rappresentati a San Pietroburgo nel 1733 offrono un quadro delle sue qualità. Significativo è Smeraldina presa dall’odio, in cui è protagonista grazie ad un anello magico che la trasforma in altri personaggi: il tono è leggero, senza conseguenze sessuali (va tenuto presente il contesto di corte). Arlecchino, forse il fratello Antonio, è l’ombra di Smeraldina. L’attrice si trasforma in scena. Prima è una signora tedesca, poi spagnola, poi è un’elegante domestica che parla francese, finché innalza il registro in abito maschile e sguaina la spada al fianco del suo amato Silvio, dopo il quale svela la sua identità femminile. In tutto questo, l’attrice non si attiene al ruolo di Servetta ma occupa il rango delle Innamorate. Così in Un francese a Venezia mantiene la stessa posizione anfibia tra i ruoli: è una falsa marchesa che intrattiene un rapporto con Arlecchino, anticipando la sua parte nel Servitore di due padroni; nelle interpretazioni delle Fiabe di Gozzi metterà a frutto il ventaglio delle sue competenze, recitando come crudele schiava nell’Amore delle tre melarance, con foga nella Donna serpente. Nel ‘700 il raffinamento dell’erotismo delle attrici situate nei piani bassi del mansionario dell’Arte fu la conseguenza di un processo di moralizzazione indotto da un ambiente - quello internazionale parigino - in cui cura era dedicata all’armonizzazione delle componenti musicali con la veste letteraria. Due attrici, Elena Balletti in arte Flaminia (Ferrara, 1686 - Parigi, 1771) e Rosa Giovanna Benozzi in arte Silvia (Tolosa, 1701 - Parigi, 1758), unite in parentela, dettero prova di capacità impresaria, editoriali e drammaturgiche, spesso oscurate dalla preminenza maschile. Dotate di qualità musicali e recitative, crearono ruoli e personaggi destinati a potenziarsi. Se la prima era dotata di voce imperiosa, eccellente nei travestimenti, la più giovane si mostro abile nelle parti di ingenua. Anche se poi, Silvia approdò a un frequente travestitismo mentre la meno giovane Flaminia si trincerò in parti da vittima commovente. Al culmine del successo (1727) le viene riconosciuto un registro delicato all’altezza delle migliori interpreti francesi. Capitolo terzo - Il viaggio degli attori e delle favole 1. Negoziati di culture. Il viaggio fu uno dei fattori del teatro dei professionisti, nasceva dal bisogno di liberarsi da un unico vincolo di subordinazione. L’organizzazione del tempo delle rappresentazioni - nel rispetto del calendario religioso o civico - poteva oltrepassare le occasioni carnevalesche, approfittare delle feste municipali o ricercare spazi inediti. I comici andavano in cerca di libertà, come avevano da tempo fatto maestri di altre arti. All’inizio fu il viaggio a determinare la formazione e il repertorio delle compagnie. Nella fase evoluta, l’aumento dei viaggi incise in altro modo: sollecitando i comici a modificare la composizione degli insiemi o semplificando repertorio per renderlo trasferibile come le attrezzerie: quella che parve una stilizzazione artistica fu invece un metodo efficace di razionalizzazione. Tale sobrietà bilanciava il meticciato di formazioni in cui coesistevano attori di diversa origine, talvolta reclutati lungo le strade, coi relativi mix di linguaggi. La natura composita delle formazioni consentì di negoziare con diversi destinatari un linguaggio inedito, che doveva sorprendere senza disorientare le udienze più disparate. La miscela manterrà la sua energia fino a quando l’intensificarsi dei viaggi assottiglierà le differenze, determinando una lingua teatrale comune sovranazionale, specie dalla metà del XVIII secolo. I fattori costitutivi dell’Arte non potranno essere ricercati in una radice italiana, ma individuati nell’incontro fra culture: prima all’interno della penisola, poi tra diverse regioni europee. La mobilità del teatro costringe lo storico a un esercizio di collimazione delle diverse tradizioni; rende indispensabile analizzare gli itinerari, i percorsi, le frontiere. Nel XVI secolo, nel perimetro italiano si identificano due territori: il «Regno» (Italia meridionale e Sicilia), animato dall’impulso di Napoli, e il centro-nord, con gli ostato della valle del Po e la Toscana. I due circuiti a lungo restarono separati. Da fine ‘700 il mercato si Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) regolarizzò in seguito al consolidamento del calendario che prevedeva l’inizio della stagione in autunno, la sospensione durante le festività di fine anno, la ripresa culminante nel carnevale. L’interruzione in Quaresima consentiva ai professionisti di intavolare le trattative per i nuovi contratti. La circolazione degli attori diffuse i canovacci italiani in varie città europee, con traduzioni nelle lingue locali. Soggetti e personaggi di origine italiana fecero ritorno in Italia modificati dalla tradizione europea. 2. Migrazioni, porti e dogane. Le fortune delle case regnanti segnarono la sorte dei migratori d’Arte. L’attrazione che esse esercitarono nei confronti di quelle europee con le opere delle arti maggiori, insieme ai legami fra dinastie, facilitarono a migrazione delle prime compagnie teatrali. Queste relazioni fra corti non era frutto di alleanze ma si fondava su legami di lunga durata, che garantivano una circolazione di un comune patrimonio artistico. Le occasioni festive furono propizie per la presenza di attori, come le incoronazioni: ad esempio nel 1627 quella boema di Ferdinando d’Asburgo, segnata dalla presenza degli attori più importanti, come i comici Fedeli, arricchiti dalla partecipazione del napoletano Silvio Fiorillo e di P.M. Cecchini. Ma anche durante le Diete. Gli attori furono abili nello sfruttare queste relazioni diplomatiche, grazie a una campagna promozionale. L’esportazione teatrale dell’arte non è da attribuire solo alla qualità delle creazioni, ma soprattutto alla sua organizzazione, avanzata rispetto al panorama internazionale, irrigidito da strutture tardo medievali o stanziali. Il carattere societario delle formazioni italiane, l’introduzione di interpreti femminili, le tecniche e l’ideologia erano riconducibili a un assetto del lavoro che oltrepassava i costumi del tempo. Per quanto sotto controllo dalle licenze che dovevano ottenere da protettori italiani per protettori stranieri, la migrazioni verso piazze europee consentiva anche di eludere i vincoli delle corvées cortigiane. Tra Sei e Settecento, a compensare la ridotta mobilità (dovuta alla chiusura della Comédie Italienne di Parigi nel 1697), cominciò una fortunata migrazione nel nord-est dell’Europa, dove la ricchezza e l’ansia di aggiornamento dei re prussiani attrassero molte speranze. Attraverso Innsbruck e oltre, i comici italiani si diressero verso Linz, Vienna, Praga, o verso la Sassonia, a Dresda e a Varsavia, fino a San Pietroburgo. In queste capitali gli spettacoli erano elitari, nei grandi palazzi, accompagnati da traduzioni dei canovacci. La lettura delle fonti mostra l’avvenuta codificazione dei mansionari e del corpus drammaturgico su scala europea. Si diffusero immagini del nostro professionismo, registrate da incisioni, pittura di genere, pittura maggiore oltre che dal repertorio drammaturgico. La composizione delle compagnie fu influenzata dai principali percorsi che dovettero affrontare e la conformazione dei canovacci fu la conseguenza di aggregazione di parti tenute insieme dal viaggio. Svolse una funzione genetica nella determinazione della drammaturgia fin dall’inizio del XVI secolo. Nelle parti sceniche documentate vi sono tracce di un movimento migratorio crescente: centrale nello sviluppo dell’Arte è il duetto di Magnifico e Zanni. Le due figure si collocano agli estremi di un viaggio che ha come asse il bacino del Po, da Bergamo a Venezia, rappresentano quindi i confini della Repubblica di Venezia e corrispondono a due estremi sociali: analfabeta, immigrato, povero, bestiale ma giovane e sano il primo, cittadino, civile, ricco, avaro ma malfermo il secondo. Il contratto tra città e campagna fa da motore dell’azione, stimola la curiosità. Quel duetto nasce da un viaggio. I cast delle compagnie ebbero variazioni analoghi all’estensione del loro raggio d’azione. In seguito ai viaggi in Spagna, Francia e nell’Impero una ulteriore estensione dei repertori è databile dagli anni trenta del ‘600 quando apparve in Italia, tramite Napoli, Firenze e Milano, formazioni spagnole; un altro arricchimento si registrerà grazie al metissage italo- francese tra Sei e Settecento. Durante il ‘500 Ferrara fu importante snodo e ottimo approdo sul Po per gli attori che venivano da Venezia e Padova o che lì si dirigevano. Continuerà a esserlo nel ‘600 quando il Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) ruolo estense s’indebolirà. Non a caso il Dottore, contributo ferrarese alla lingua dell’Arte, prenderà il nome di Gratian Furbson da Francolino, facendo riferimento alla località portuale da cui partivano le barche per Venezia: l’onomastica dei comici è un vero cartello segnaletico dei percorsi. Il Po, navigabile mediante le numerose diramazioni, costituiva un’arteria che permetteva viaggi più lenti ma più sicuri durante i quali gli attori ripassavano le parti e si riposavano. Nella Mantova gonzaghesca, stazione intermedia, prende corpo la reinvenzione dello zanni bergamasco che assumerà le fattezze di Arlecchino grazie a Tristano Martinelli: fu un’invenzione del viaggio. Nè bergamasco né francese, mantovano per l’anagrafe, fu lo ‘straniero’. Quando a Lione firmò l’unico libro pubblicato, sottolineò che l’opuscolo era stato «imprimé de là le bout du monde», e lui doveva essere chiamato «Monsieur Don Arlequin comicorum de civitate novalensis»: e la Novalesa era la stazione di posta tra Francia e Savoia. Assegnandosi quel luogo di nascita, Arlecchino assumeva il punto di vista degli spettatori francesi. Il grembo da cui nasceva era il viaggio. Ma le spedizioni transalpine erano l’eccezione. La norma conduceva Arlecchino verso la Padania, fino al granducato mediceo. Dei suoi viaggi resta traccia nel plurilinguismo del repertorio, un impasto lombardo-veneto a cui era facile addizionare il toscano degli Innamorati. Osterie, stazioni di posta, locande, dogane, erano gli osservatori naturali per nutrire l’invenzione. I teatri dell’Arte erano infatti in questi luoghi. Esemplare è il caso di Venezia, emporio mediterraneo che poté ospitare da fine ‘500 spazi destinati alla vendita dello spettacolo, la cui fortuna era legata a più stagioni: la festa della Sensa, San Martino (11 novembre), al carnevale. Ma se ne devono ricordare altri: l’Hostaria del Falcone di Genova, sul confine tra il quartiere seicentesco e l’antica zona del porto; a Napoli i teatri nel crocevia dei traffici; a Firenze il teatrino della Dogana, destinato agli spettacoli di alte città, sorgeva nel quartiere a ridosso dell’Arno, dietro il Palazzo di Governo, dove era l’altra sala teatrale di corte. Nel teatrino, aperto a pagamento, gli attori potevano essere alloggiati e introdurre le merci mediante un salvacondotto: quella zona favoriva traffici di ogni genere ed eccitava trasgressioni. La contiguità di teatro, porto e dogana ricorre anche a Mantova, Parigi, Londra, Lione e molte altre città europee: il teatro a pagamento in cui stranieri e locali si incontravano fu il detector del nuovo. Facilmente controllabili dalla polizia urbana ma anche ben inserite in un contesto di circolazione, queste aree identificavano le compagnie teatrali come espressioni di un male sociale, con una funzione non dissimile da quella svolta dagli ospedali che ospitavano le masse di vagabondi, esiliati, malati. Per molto del ‘600, le stanze riservate agli spettacoli furono deputate alla parte passa della società. I potenti, anche quando fautori di esperienze di teatro professionistico, assunsero provvedimenti talvolta restrittivi nei confronti delle compagnie che potevano insidiare l’ordine pubblico nascondendo nei loro ranghi forestieri di dubbia fama: prostitute, contrabbandieri, spie. L’attività era una copertura per agenti segreti. L’ostacolo al viaggio non fu solo poliziesco. I viaggiatori che si imbarcavano per fiumi facevano le spese con piene invernali e secche estive o di traghettatori malfattori, come spesso si legge nelle lettere. Nel ’600 il centro della vita teatrale dei comici padani si sposta verso Bologna, a causa del trasferimento a Modena della corte ferrarese e poi del sacco di Mantova, e dello sviluppo dei canali navigabili: a Bologna trovano ricovero i comici durante la Quaresima. Giovava a Bologna la sua collocazione: era sosta ideale per tutti gli itinerari. Non è un caso che qui agiscano i principali imprenditori teatrali, nobili che conciliavano ragioni economiche e strategie personali, come il marchese Ferdinando Cospi. Un sistema di controllo che faceva di Bologna un fondamentale centro di smistamento, era reso possibile da una mente impresariale collettiva e dall’efficiente sistema fluviale. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) A Firenze il collegamento con la costa e Livorno, dalla fine del ‘500, avveniva per mezzo di barche, e con una breve deviazione si poteva raggiungere la piazza significativa di Lucca. Rendeva attraente il percorso dell’Arno la sosta alla Villa Ambrogiana, edificata da Ferdinando I nel 1587, che costituiva un luogo di sosta negli spostamenti della corte tra Firenze e Pisa: qui i soggiorni erano arricchiti da partite di caccia e esibizioni di comici. 3. Il viaggio dei Capitani Se la migrazione dello Zanni e del Magnifico in area padana consentì di misurare lo scarto tra due condizioni sociali, l’incessante moto dei militari di ventura divenne un indicatore delle differenze più suggestivo. Anche in questo caso lo Zanni funzionò da unità di misura tra cittadino e straniero. Il militare in Commedia fu prima un appartenente all’esercito imperiale o lanzichenecco. Tali connotati del soldato si conservarono per gran parte del secolo, ma presto quel ridicolo acquisì colori ispanici, come voleva la presenza sul nostro territorio. Vedi il Capitano Coccodrillo dall’attore napoletano Fabrizio de’ Fornaris, autore della commedia Angelica: un Capitano di bassissimo lignaggio che esibisce la divisa del pellegrino a Santiago, che per soddisfare miserevoli bisogni percorreva i sentieri verso la basilica. Questi avventurieri si erano inerpicati lungo la scala sociale grazie allo statuto di soldati prezzolati. Ancora dal viaggio paiono trarre la vita un altro Servitore e un altro Capitano. Il primo è Catonzo, il secondo Capitan Basilisco e agiscono ne Gli amorosi inganni di Vincenzo Belando, composta nel 1593-1609. Il siciliano Catonzo è vissuto di espedienti tra Napoli e Roma, poi sulla strada, praticando l’elemosina. La commedia fu scritta a Parigi dopo che l’autore era diventato personaggio di corte, dove si deridevano i personaggi della nazione nemica, gli sbandati senza esercito. Reduci d’una battaglia mai combattuta, minacciavano di combatterne altre inesistenti: il corrispettivo teatrale di quell’eroe comico incarnato da Don Quijote con lo zanni Sancho Panza. Tale fu Francesco Andreini che fece dialogare il suo Capitan Spavento col servo Trappola. Anche qui il viaggio è il motore. Viaggi mentiti, come la discesa all’Infero o l’arrivo sulla Luna. Tutto il repertorio desumibile dallo Zibaldone doveva far riferimento a un’esistenza cialtroneria, sognata, illuminata da osterie celesti. Lo stesso costume era un métissage: un «abito mezzo spagnolo, mezo francese, mezo todesco e mezo italiano, ricamato di strane bizzarrie». Tali fattezze giunsero a Tiberio Fiorillo, in Arte Scaramouche o Scaramuccia, personaggio frutto di meticciato simile a quello da cui era scaturito l’Arlecchino di Martinelli. Eredita dal padre Silvio e dal Fratello G.B. i tratti del Capitano ma anche di Pulcinella, servitore astuto, eppure innamorato e battagliero, adeguandoli al doppio ‘mercato’ italiano e francese. Badando ai gusti diversi costruisce una maschera doppia, contaminazione di Capitano e secondo Zanni. Veste di nero come un militare e ha la spada ma, di questa fa uso moderato e poi la dismette; esibisce una sfrenata golosità ma allo stesso tempo eccelle nelle esecuzioni canore; è deforme e strabico ma allo stesso tempo agile danzatore. Fa a meno del suo doppio assorbendo in se stesso i caratteri dell’uno e dell’altro; accorda il gusto italiano e francese in un sincretismo audace, come i suoi continui viaggi. 4. Il viaggio di Don Giovanni. Ma il viaggio più fortunato è quello del Burlador de Sevilla, attribuito a Tirso de Molina (prima edizione del 1630). È stata enfatizzata la tradizione testuale, quando invece u quella attoriale, veicolata dai viaggi, a determinare la fortuna del testo, da una lingua all’altra. Anche se le testimonianze sono ovviamente testuali, attraverso queste è possibile acquisire informazioni sugli attori. Le prime a far circolare una versione di quel soggetto furono due compagnie spagnole che lavorarono nel 1625-1627 a Napoli, disponendo di un manoscritto del canovaccio. Successive notizie portano Firenze dove Andrea Cicognini avrebbe messo in scena quel testo nel 1633. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Nel 1635 a Firenze e nel 1637 a Bologna, in due compagnie, figura Marco Napolioni a cui la tradizione a segna adattamenti dal teatro spagnolo. Un documento del 1642 lo segnala a Bologna, munito di opere portate da Napoli, tra cui forse l’Ateista fulminato. Nel novembre di quell’anno Napolioni non è più presente alla Dogana di Firenze, lo sono invece Carlo Cantù e Angela Nelli. Le informazioni su questa recita fanno capire la metamorfosi dello spettacolo negli anni quaranta: determinata dal viaggio da un teatro di attori a uno di corte. L’officina fiorentina offriva una macchineria collaudata. La capacità di coniugare destrezza di attori con quella di scenotecnica fu uno dei tratti della fortuna dell’Ateista. Ognuno dei 3 atti prevede cambi scena, e ricorre l’apertura del fondale a scoprire una prospettiva dalla quale si staglia un tempio, con un coro di statue parlando. Nel III si apre anche il cielo del teatro, le luci si oscurano, il palco si spalanca ai piedi dell’empio, finché dalla soffitta il coro di diavoli e angeli accompagnano il «lamento» del protagonista e della eroina. Il finale è un’apoteosi musicale. Le riprese parigine successive tennero conto di questo spettacolo facendone il veicolo di un’arte totale. A Firenze sembra esseri arrestato a lungo il viaggio del Convitato. Qui l’8 gennaio 1657 è segnalato un riallestimento con Marco Napolioni (Don Giovanni) e G.B. Fiorillo (il servitore Cola). Il riferimento all’Accademia dei Sorgenti fa pensare a una rappresentazione mista dilettanti-professionisti. Si è ipotizzata la derivazione di questo canovaccio dal copione del Cicognini sulla base delle battute finali. Questo sarebbe il viaggio completo del testo: dalla Spagna a Napoli, da Napoli verso l’Italia centrale (via Napolioni) e Firenze (via Cicognini) e poi a Parigi. Nelle cronache parigine (1658), dello spettacolo Rosaura imperatrice di Costantinopoli, la cui traduzione è attribuita a Domenico Locatelli, si legge l’encomio degli attori, specie nella scena in cui lo Scaramouche Tiberio Fiorillo si trova davanti a una tavola imbandita ma non riesce a mangiare per gli accidenti che capitano intorno. È una scena analoga al banchetto consumato dal servo di Don Giovanni nel finale del Convitato di pietra, e faceva parte del repertorio dell’attore. Ma l’impronta lasciata da Scaramouche su quel personaggio è invisibile a noi: Scaramouche non parlava né scriveva, il suo lascito rimase sottaciuto. Quel silenzio fu colmato dal giovane compagno, Dominique Biancolelli, che conservò la parte scannata, ma non possiamo illuderci di trovarvi una copia fedele del primo Convitato. Il viaggio di Don Giovanni continuò più oltre e in altre contrade. Capitolo quarto - L’attore che scrive 1. Le parti e i ruoli. Per capire l’origine della drammaturgia dell’Arte è opportuno sapere che i motori dell’azione, gli attori, erano organizzati secondo «parti» e «ruoli». La prima categoria è attestata nei secoli alti, la seconda risale a tempi posteriori, ma è utile perché, in quanto termine militare, ricorda analogie tra questi due mondi. Parti e ruoli furono gli ingranaggi essenziali non solo in Italia. Le regole di quel sistema organizzavano il lavoro attribuendo le mansioni agli attori in contenitori prefissati, i più noti trasmessi a noi da una classificazione elementare: Vecchi, Innamorati, Zanni, Servette e Capitani. Ruoli di un repertorio comico, nel quale l’Arte si trincera a metà ‘700, dopo che i generi si erano divaricati. Ma la classificazione non corrisponde alla pratica dei secoli precedenti: un trattatista come Andrea Perrucci o un professionista come Luigi Riccoboni, pur in una fase declinante, quando parlano di repertori non operano distinguo di competenze, ammettendo che tutti i generi sono accessibili. Occorre capovolgere il modo di osservare il fenomeno: se i ruoli potevano essere rigidi, non altrettanto lo erano le competenze attoriali che potevano trascorrere dall’uno all’altro di quei codici espressivi. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) I Vecchi - Magnifico o Pantalone, ecc - sempre dotati di maschera, sono ricchi e sentenziosi, ma non è inevitabile che siano afflitti dal satirismo grottesco: impegnati a ostacolare i matrimoni degli Innamorati, posano svolgere questa interdizione anche occupando un alto grado sociale. Gl Innamorati, sempre in cerca di amanti, non portano maschere, parlano il toscano aulico petrarchesco, talvolta sono vittime di morti o tradimenti: sono i ruoli che più sollecitano la duttilità degli attori. I Capitani, amanti non riamati, surrogano il valore militare con abiti spettacolosi e l’impotenza sessuale con tirate in varie lingue; potevano anche svolgere funzione di Innamorati supplenti. Immutabili paiono le funzioni degli Zanni, distinti in un primo Zanni (astuto, capace di tessere intrighi, avido di guadagni, regista delle situazioni) ed in un secondo Zanni (pasticcione, balordo, demente, con fisico acrobatico e appetiti sessuali e gastrici). Rispetto agli Arlecchini e ai Pulcinella, trasmetti dalla memoria ottocentesca, questi tipi non furono soltanto caricature buffe; potevano prestarsi a funzioni crudeli o a commoventi controscene. Anche Innamorai e Vecchi erano disposti a coppie. Una doppiezza poteva toccare anche il Capitano, ma mentre gli altri al termine dell’intreccio finiscano per dare vita a coppie pacificate, il milite restava solo. Questa solitudine corrobora il ritratto poco festoso per personaggi sovente colorati di tinte liete. Le parti femminili spostano l’attenzione verso gli altri ingredienti dell’Arte: sesso e amore. Come accennato, la seduzione di maggior rilievo fu interpretata dalle amorose sofferenti, secondo lo stilema alto dei «lamenti», destinato ad evolversi nel melodramma. Essendo la funzione assegnata alla «prima amorosa», toccava alla seconda, gerarchicamente inferiore e più giovane, la funzione erotica. Punte oscene caratterizzavano la Serva, che nel repertorio comico affiancava gli Zanni. Nei primi anni dell’Arte, quando il ruolo era di attori travestiti, lo schema più basso prevedeva una donna per due Servi, in modo da provocare un conflitto. In canovacci successivi, con l’arrivo delle attrici, la Serva poté assumere caratteri di una confidente, utile allo scioglimento dell’intreccio: nel teatro francese classico è la suivante. Il ricorso all’inversione sessuale, col contrasto tra trucco e realtà, rimase a sottolineare le valenze erotiche. Inoltre l’esercizio transgender veniva enfatizzato ricorrendo a cantanti castrati. Le storie rappresentate non erano necessariamente di tonalità bassa. L’inversione sessuale ha motivazioni elementari, con effetti grossolani, ma il quadro di riferimento può essere serio, commuovente più che ridicolo. Il ricorso a parti cantate doveva accentuare la coloritura sentimentale. Uno dei punti d’arrivo di questa drammaturgia saranno le opere del teatro musicale. L’ordinamento in ruoli e parti aveva anche valore contrattuale. L’organizzazione rimase più stabile delle forme artistiche, rispecchiando le regole che governavano le corporazioni. La responsabilità dei contratti restò ai comici maschi anche quando le donne ebbero predominanza artistica. Rispetto a ciò è opportuno rammentare le eccezioni del disordine in una società in cui le consuetudini potevano essere perturbati. I documenti raccontano le formazioni in cui attori fuggivano per amori o sogni di ricchezze, morivano di peste o parto, erano fermati da persecuzioni; alcune compagnie si sottomettevano a un protettore più potente nonostante altri impegni presi. Così fu fino a quando nei teatri impresaria s’impose un sistema di ingaggi. Disporre di statuti, ratificato da un notaio, garantiva stabilità. Tutti erano tenuti a rispettare la divisione del lavoro. Ruoli e parti erano accettati a priori, slittamenti erano consentiti, ma non nelle gerarchie di anzianità; la presenza di parti musicali costituiva ulteriore vincolo. Anche i testi letterari venivano adattati al mansionario. A differenza di quando recitavano i ruoli fissi della commedia, una volta impegnati in spettacoli di altro genere (pastorali, tragicommedie, opere regie), gli attori facevano ricorso a competenze articolate. Come nel primo ‘900, quando gli attori saranno fedeli a ruoli fissi ma non ad un solo genere, gli attori di Antico Regime cambiavano vesti passando a altri generi, ma non oscuravano i tratti peculiari del loro personaggio base. Di questa retorica si servì Carlo Gozzi, che nel secondo ’700 lasciò ai suoi attori i tratti della tradizione anche in contesti estranei alla commedia; la Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) utilizzazione monotonale dei caratteri voleva essere una risposta alla riforma goldoniana, che si era innestata nella tradizione più dinamica dell’Arte, quella polimorfa fatta di maschere ma non solo. L’elasticità dei ruoli è certificata. Il passaggio di Francesco Andreini dall’Innamorato al Capitano era teorizzato in quanto il secondo è variante caricata del primo. Ma le sue competenze non si limitavano a questo; di lui il servo Trappola delle Bravure del Capitano Spavento ricorda che «recitava la parte d’un Dottor Siciliano, molto ridicolosa, e poi un pastore nominato Corinto nelle pastorali, suonando vari stormenti a fiato». A sottolineare le variabili nei ‘secoli d’oro’ si ricordano si ricordano G.B. Andreini e Flaminio Scala. Il primo, celebre Innamorato col nome di Lelio, avrebbe voluto recitare nei panni del Don Giovanni nel suo Nuovo risarcito Convitato di pietra, ma al calare delle energie pensò di ripiegare nel ruolo di Vecchio. Flaminio Scala passò dalla specializzazione di Innamorato (Flavio) a quella comica di «pasticcerà francese» o Claudione. Nei secoli alti la variazione era subordinata alle categorie retoriche, come ricordano i trattatisti tardi quali il Perrucci e il Riccoboni, attenti a sottolineare i tratti dei ruoli. Nel passare dall’uno all’altro è probabile che che l’attore ‘trascinasse’ con sé nel nuovo copione qualche tratto del personaggio base. È documentato che i due massimi attori del ‘600, Biancolelli e Fiorillo, mai abbandonarono nomi e costumi che li avevano caratterizzati, come amarono insistere sulle qualità più riconoscibili: dalle acrobazie nel primo caso alle capacità canore nel secondo. È pur vero che le esigenze sceniche trascinavano i due attori lontani dalle consuetudini della commedia, ma era importante che al di sotto della trama si identificasse il personaggio appartenente alla mitografia dell’attore. Così l’interprete appariva ‘raddoppiato’: le costanti di Arlecchino o Scaramouche dovevano essere riconoscibili sotto il velame adottato per l’occasione. Il divo era riconosciuto, esibiva la variante del suo travestimento. Significativa fu l’esperienza di Silvio Fiorillo che recitò prima da pastore innamorato per poi calarsi in opere romanzesche, tragicomiche o burlesche (come Pulcinella) ma conservando molti tratti della maschera del Capitano. Questo effetto non era casuale, serviva per rammentare l’identità consueta dell’attore, provocando un effetto di sdoppiamento. Come nel caso di Charlot, Totò e Buster Keaton, riconoscibili in qualunque variante. Se è vero che l’attore di Antico Regime non recitava la stessa parte, lasciava che quella ‘identitaria’ fosse sempre riconoscibile. Nel pieno ‘700 Girolamo Medebach fu vincolato all’Innamorato col nome di Ottavio. Aveva bisogno che il pubblico lo riconoscesse, cosicché anche da vecchio continuò a farsi carico di quel ruolo praticando le variazioni volute dai poeti di compagnia (tra questi Goldoni e Chiari), attenti a rispettare i contorni del mansionario. Non una sola maschera, ma varianti. Del resto, quel ruolo di Innamorato era considerato un motore di primaria importanza: basti pensare alla funzione protoregistica di Andreini e a quella analoga di Riccoboni, entrambi Primi Amorosi e drammaturghi. Funzione che coincide con quella di capocomico prevista dai contratti del ‘700. Lo stesso Medebach dovette influenzare la maturazione di Goldoni sulla via della riforma. 2. Drammaturgia in azione. Il concetto di improvvisazione è insufficiente a spiegare tecnica e tradizione dell’arte, anche se agli attori viene riconosciuta la funzione di motori dello spettacolo: la parola non è esclusa ma subordinata all’azione. Nell’Arte è capovolta la gerarchia tra scritto e parlato. Talune edizioni di drammaturgie realizzate dagli attori presentano tracce di barbarismi d’una lingua non normalizzata, libera, espressione del recitante piuttosto che dell’edito. È necessario integrare l’«improvviso» con alcune avvertenze circa i copioni. Nell’Antico Regime i professionisti non distinguevano recitazione da drammaturgia, la quale si costruiva nel farsi dell’azione, con una pluralità di punti di vista. È drammaturgia dell’oralità, in un’epoca in cui la stampa non è dominante. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Parole, azioni, contributi musicali non erano valutabili in base al valore letterario, ma secondo la loro funzionalità rispetto all’azione: questo insieme doveva contemperare l’emersione dei tratti individuali dei comici. L’improvvisazione serviva - meglio dei testi - al bilanciamento delle competenze attoriche, con armonie-disarmonie non erano trascrivibili. La pubblicazione di alcune commedie documenta la cristallizzazione letteraria che tradisce la dinamica teatrale, mentre il canovaccio non descrive la materialità scenica e la lascia all’intervento degli attori. Nella pratica la recitazione «all’improvviso» non si contrapponeva a quella «premeditata»: gli attori potevano praticarle indifferentemente. Gli attori costruivano il loro repertorio servendosi di esercizi mnemonici, sostenuti da zibaldoni e costruita attraverso l’imitazione della gestualità e dei più esperti. Anche i costumi e le robbe hanno la funzione di sollecitare associazioni d’idee, citazioni utili al dialogo. Al momento dell’azione il repertorio ‘ruminato’ veniva usato secondo modalità suggerite dall’intreccio, dal ritmo dell’azione, dalle reazioni dei compagni, così come dall’intesa col pubblico. L’improvvisazione era fondata sulla capacità di concertare in modo tempestivo preesistenti repertori individuali, cogliendo le reazioni degli spettatori o il fluire dell’azione, che poteva essere delibata da una semplice trama o fissata in maniera precisa da un’opera nota, di cui gli attori avevano sminuzzato la tessitura, ritagliando ognuno la propria parte. Ogni attore poteva conoscere solo la sua parte (scannata) e doveva essere in grado di concertarla con i compagni al momento della messa in scena. Le regole di questa drammaturgia in azione non potevano essere surrogate né da un capocomico né da un committente munifico. A differenza della commedia letteraria che rappresentava un solo punto di vista, la drammaturgia dell’Arte era risultato di un negoziato: la recitazione collettiva componeva l’unità drammaturgia. Impegno tanto più difficile quanto più l’insieme delle compagnie era sottoposto a variazioni d’organico. Di qui la necessità di limitare le combinazioni, che dovevano essere contenute: il numero fisso dei ruoli contribuiva a imbrigliare il disordine dei canovacci (corredati di elenchi di personaggi, robbe, ecc), nei quali gli attori potevano incastonare i loro repertori. Più elementari erano i mandafuora: modesti cartigli che indicavano le uscite in scena e potevano essere appesi nel retropalco. Sono queste le fonti più importanti per lo studio dell’Arte. 3. Drammaturgia consuntiva. A fronte di pochi che niente pubblicarono (come Martinelli, Fiorillo e Sacco), altri sfruttarono l’esperienza per costruire testi che emulassero la biblioteca teatrale dei letterati. Fissando il materiale sfuggente delle rappresentazioni, irrigidendole, con aggiunte letterarie che dovevano ottenere l’approvazione della società, gli attori-autori intendevano fabbricare una merce nobile da offrire ai protettori, e per questo praticarono l’ipercorrezione letteraria cancellando le tracce materiali della vita scenica che sarebbero state preziose. Sono comunque fonti utili per comprendere le tecniche di composizione dell’Arte. Particolarmente le edizioni di G.B. Andreini. L’attore contraddice il comportamento autocensorio di molti compagni. Pur avvolgendoli in una poetica ridondante, non nasconde i dettagli scenotecnica e mette in mostra il repertorio. Elenca le attrezzerie necessarie, avverte i lettori e gli esecutori circa la possibilità di tagliare passi destinati alla lettura. Così Andreini intendeva conciliare il riallestimento del copione e il monumentum, e introduceva indicazioni relative all’azione o alla musica. Questo metodo aveva una destinazione commerciale, offrendo le opere al mercato dei dilettanti e non. «L’ordine delle robe» che precede La turca (1611) è un aiuto «per facilitare il modo di recitarla». Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Il più anziano Flaminio Scala, in questi anni, era altrettanto consapevole della doppia destinazione, letteraria e pratica, delle sue Favole rappresentative, la cui stampa (1611) è un certificato d’autore: «in tal maniera sarà levata a molti l’occasione di appropriarsi delle mie fatiche». Francesco Andreini, nell’indirizzo ai Cortesi lettori dello stesso libro, controfirma quella dichiarazione, ricordando che il compagno «ha voluto metter fuor le sue Comedie solamente con lo Scenario, lasciando ai ingegni il farvi sopra le parole». Scala e Andreini stabiliscono una nuova tradizione drammaturgica, autonoma, a cui altri si erano già adeguati, a partire dalla divina Isabella; Il teatro delle favole rappresentative, tracciando la linea fra il teatro da leggere e da recitare, assegna alla seconda il compito di trasmettere il sapere degli attori. È la rivendicazione delle pari dignità dei due teatri, dei due diritti d’autore. Testimonianze indirette delle tecniche di recitazione sono in alcuni epistolari. Mentre è andata smarrita la corrispondenza tra una compagnia e l’altra, gli archivi delle corti hanno preservato molto di quello che gli attori indirizzarono ai loro mecenati. Testi prossimi all’oralità. In questi casi la lettera lascia trasparire un abbozzo di messinscena. Curioso il caso di Silvio Fiorillo che dettava al figlio Giovan Battista (Trappolino). Quanto più la grafia dello scriba appare incerta, tanto più emerge la nervatura fonetica del discorso, di colui che detta. Queste lettere hanno l’andamento dei monologhi: perorazioni, tirate, effetti. I lunghi monologhi erano una specialità di G.B. Andreini. Se ne trova riscontro in una missiva di protesta per impressionare la corte di Mantova, ma anche i compagni di Parigi. Andreini-Lelio scrive per un pubblico doppio: dei comici e dei cortigiani, come un drammaturgo che negozi il rapporto con spettatori e attori. Se le corrispondenze di comici (non ne esistono molte) sono fonti indirette, diretta è invece la testimonianza di metà ‘600 di Dominique Biancolelli, che pure non pubblicò le opere. Un progetto editoriale dovette tuttavia averlo visto che conservò i suoi manoscritti. Di straordinario valore è la Traduction du Sçénario, non proprio una raccolta di canovacci quanto una collezione di parti scannate di Arlecchino, ma con molte chiose ed alcune altre parti. Resta una documentazione diretta, tradotta in francese dal notaio Gueullette che la ereditò dal figlio di Biancolelli. Sebbene esistano alcune immagini e una raccolta di documenti notarili, si deve soprattutto a questo manoscritto il restauro di un intero sistema drammaturgico. Come per l’Arlecchino di Martinelli, per lo Scaramuccia di Fiorillo, anche Biancolelli si identificò col personaggio. Fu attore di performances, tra recitazione e vita. A differenza degli scrittori che scrissero canovacci con riferimenti satirici d’attualità, con critiche di costume, Biancolelli Arlecchino non ‘rappresentò’ niente al di fuori dell’azione scenica. Fu, il suo, un atto di verità che attraversò le pretese di contenuti forti reclamati dai cronisti francesi. Tracce di parodia riferita ai costumi del tempo sono nei canovacci composti per lui da autori francesi: testi che potenziano l’istrionismo di Arlecchino. La natura chiusa delle parti scannate conferma l’intenzione dell’attore: trincerarsi nel proprio perimetro, egoisticamente refrattario alle richieste dei benpensanti francesi. È disponibile ad assumere qualsiasi ruolo ma allo stesso tempo impermeabile a qualunque logica diversa dalla sua. Nel repertorio di Biancolelli brillano trasformismo e travestitismo, sostenute da rapidità di esecuzione. Nella maggior parte dei copioni che ha conservato, il connettivo, la trama, il disegno drammaturgico si flettono ad accogliere un repertorio di azioni appesi a una regressione infantile. Da qui le situazioni di spavento, le agilità, l’uso del plurilinguismo, gli intrecci in cui un’azione nega la precedente, il disordine di ogni regola, il prevalere della regressione, l’interpretazione letterale delle metafore. Nell’agosto del 1667 il teatro di Biancolelli e Molière (Palais Royal) fu colpito dalla censura contro il Tartuffe: è la prima riduzione di libertà agli attori. Biancolelli dovette prenderne atto con preoccupazione e attenutò il tono evasivo del proprio repertorio: quello stile ‘italiano’ che i francesi volevano distinto dai generi alti riservati ai loro scrittori. Ritenne cosa saggia fissare sulla carta le parti che aveva rappresentato in Francia, così avrebbe potuto dimostrare che quanto recitato non avrebbe turbato la morale. Grazie ad alcune testimonianze Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) iconografiche, le lacune possono essere colmate: significativa è la componente scenografica e musicale, che si avvale di Scaramouche, a dispetto delle rare menzioni nei manoscritti. Più convenzionale è la drammaturgia di Evaristo Gherardi, fondata su uno stile ricostruibile attraverso le commedie scritte per lui e le illustrazioni. L’attore purga le connotazioni à l’italienne fin dal suo debutto (1689) con la ripresa di un fiasco di Biancolelli (Le divorce di Regnard). In confronto allo stile fissato da Dominique, Gherardi alleggerisce i toni, dissolve i grumi grotteschi, fondandosi su una gestualità minimale che presuppone il controllo completo della fisicità. È il tono leggero che resterà la cifra della tradizione arlecchinesca a venire. Si perdono rutti e peti, le parodie transgender, di cui Biancolelli caricava la maschera, e prevale la satira leggera e intellettuale, come in La fontaine de sapiente di Louis Riccoboni (1694). Il raffinamento del gioco all’italiana sfocia nella metateatralità (Le départ des comédiens di Dufresny) che consente di mettere in mostra i vecchi macchinari, le canzoni popolari e i travestimenti. La musica diventa rilevante. Forse questa trasfigurazione è dovuta più ai disegnatori che all’attore, ma l’iconografia interpreta il punto di vista degli spettatori. La pressione francese per una purga di quel teatro (di lì a poco cacciato) dalla tradizione cinquecentesca può avere spinto il testimone a sublimarne le immagini verso il ‘sentimento’. La lettura dei canovacci e delle immagini di Gherardi lascia intravedere un accentuato distacco fra attore e personaggio, che raramente si è verificato in Biancolelli. È fondato su uno ‘stracciamento’ di questo attore, quasi ultimo nella tradizione dell’Arte. È un anello di congiunzione nel passaggio dall’identificazione tra parte e persona (come Biancolelli- Scaramouche) alla separazione dell’interprete dal personaggio: attitudini che sbocceranno nel secolo seguente nel teatro francese. 4. Dal recitato allo scritto. La mancata conoscenza dell’esordio goldoniano ci priva della fase finale della drammaturgia dell’Arte. Il ‘riformatore’ oscurò le opere giovanili intrise dell’Arte. La sua strategia è riuscita a distruggere le tracce dell’apprendistato tra i comici: un repertorio di canovacci, commedie popolari e libretti d’opera redatti per i teatri veneziani, per le compagnie di Imer, Sacco e Medebach, fino agli anni ’50 del ‘700. La lettura delle edizioni volute da Goldoni non è diversa da quella che si può applicare ai libri dei comici: un’estrazione dei fossili di recitazione nelle pieghe dell’edizioni d’autore. Già Luigi Riccoboni aveva sottoposto a revisione la tradizione, proponendo il tema della riforma che aveva tra i presupposti la riforma della recitazione. Colto attore, badò a denunciare i mali del mestiere per scagionarsi da ogni accusa e costruire l’utopia di una riforma che assunse caratteri moralistici nell’opera De la réformation du théatre (1743). Queste tesi non corrispondono all’intelligenza di altri scritti dell’attore, come l’Histoire du Théatre Italien (1728-31), insieme ai pregiudizi ostili ai comici che non sanno scrivere in bella lingua, rievoca alcune tappe della sua esperienza parigina esponendo le linee del suo progetto per «una Comédie sagement conduite», nella quale si dovevano conservare le maschere e la recitazione all’improvviso. Il prossimo passo è il superamento dell’improvvisazione e degli attori in maschera, compreso Arlecchino. Questo metodo sarà enfatizzato da Goldoni, soprattutto al momento di redigere le memorie parigine, il riferimento alle idee di Riccoboni era garanzia di autorità. Goldoni non se ne era preoccupato in gioventù, mentre scriveva canovacci e libretti, nel cui meticciato aveva sfruttato le competenze di molti comici e cantanti, ricavando quei generi poco rispettosi delle categorie francesi. Aveva ceduto alle richieste di puro consumo. Ma quando la sua ambizione si fece programma e la rifondazione del mestiere sotto la sua guida di drammaturgo fu il corollario, il lascito di Riccoboni fu prezioso. La doppia natura di Goldoni, da una parte impegnato nel buon gusto letterario, dall’altra impregnato dell’esperienza scenica, è evidente nel Servitore di due padroni: «fu questa mia commedia all’improvviso così bene eseguita che io me ne compiacqui moltissimo, e non ho dubbio che meglio essi non l’abbiano all’improvviso adornata di quello che possa aver io fatto scrivendola». Fondamentale è il contributo di Antonio Sacco, che partecipò alla creazione di Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) molte opere di Goldoni e Gozzi. Osservati dal suo punto di vista, i metodi degli scrittori paiono meno lontani di quanto abbiano fatto credere ai contemporanei. La contiguità tra Gozzi e Goldoni è anche conseguenza della collaborazione con i medesimi attori, in quella comunità che fu la Venezia del tempo, e corrisponde a una pratica scenica antica: la Commedia dell’Arte è l’unità di misura di entrambe le drammaturgie. Goldoni volle subordinare alcuni dati del suo lavoro alle regole della bella letteratura, nel rispetto dei valori della ragione illuminista francese, pur manifestando riconoscenza per i suoi interpreti, cui dedica ampio spazio. La redenzione dei comici è il passaporto per l’ascensione ai vertici della fama letteraria. Gozzi, si compiacque di esibire la collaborazione coi comici senza caricarla di significati, limitandosi a mostrare le giunture meccaniche degli spettacoli: dagli effetti scenotecnici alle sequenze recitative come in uno scenario dell’Arte. Non vi è l’ansia di risarcimento culturale che determina la frenesia di Goldoni, ma quella di chi vorrebbe immobilizzare il mondo che sta troppo correndo. I professionisti sono lodevoli, secondo Gozzi, perché col loro mestiere antico illudono circa una società che altri vogliono accantonare. Lo sguardo di Gozzi è retrospettivo e quello di Goldoni realistico. Questo permette al conservatore maggiore fedeltà alle forme della tradizione, che avevano caratteristiche esattamente contrarie all’estetica che i francesi assegnavano alla Commedia, e il compito di occupare il gradino più basso. Del riformismo Gozzi respinge quasi tutto, in nome di un’ideologia conservatrice consapevole di una tradizione ancora ricca. Goldoni, pur mantenendo interessi per generi diversi, sposai programmi dei teorici francesi, privilegiando il suo repertorio ‘mediano’. Entrambi fanno ricorso a tecniche, lazzi della Commedia. Goldoni traduce i dati del teatro materiale in testo letterario, mentre Gozzi li esibisce tali e quali nelle stampe. Col cinismo di ogni avanguardia, Gozzi usa gli attori, li espropria delle tecniche; Goldoni invece li associa alla sua missione drammaturgia. I due muovono dal medesimo principio i «addossare» i caratteri dei personaggi ai diversi attori. Gozzi pratica i modi di Goldoni ma non pretende di educare, e si limita a ‘vestirli’. I suoi testi documentano, meglio delle edizioni del riformatore Goldoni, lo stato dell’arte italiana sul declinare del ‘700. Mentre Goldoni pone le basi per una drammaturgia che penetri la superficie del reale per scandagliare la psicologia, aprendo la strada alla tradizione del dramma borghese europeo, Gozzi, affidandosi alla stilizzazione dei personaggi dell’Arte, anticipa una forma di teatro che congiunge il ‘600 barocco al filone novecentesco, nel quale gli attori, liberi dalle preoccupazioni del reale, posti in ascolto di sé, furono «gli strumenti che suonarono con naturalezza». Capitolo quinto - Non solo commedia 1. La mescolanza degli stili A smentire l’idea della Commedia come genere solo buffonesco può servire la lettura di alcuni campioni drammaturgici appartenenti all’«opera regia», i cui nobili protagonisti sono affiancati da personaggi popolari in avventure sanguinose, che giungono tuttavia a lieto fine. Erano comuni ai repertori di molti attori. Si prenda, nel Teatro delle favole rappresentative di Flaminio Scala, il canovaccio L’Alvida. Sono in azione, in Egitto, principi e guerrieri egiziani e persiani, un re e un sultano, due condottieri; ricorrono costumi pastorali e soldati che più volte si accapigliano e si uccidono. Ad accendere la fantasia verso plaghe esotiche collaborano effetti che fanno pensare a risorse scenotecniche di qualità. Ruolo speciale ai travestimenti: una leonessa e un’orsa «si distendono mostrando le poppe piene di latte». Le stesse fiere riporteranno i bambini al re d’Egitto. La nomenclatura è quella dei personaggi della commedia, che qui però sono impegnati in scene ‘serie’. Furono gli stessi attori a riversare le loro competenze in queste trame ‘melodrammatiche’ a conferma del valore delle parole «comico» e «commedia». Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Tra le fonti delle «opere regie» l’ Orlando furioso dell’Ariosto occupa un posto speciale. Il legame del poema con la letteratura orale e la ripresa di alcuni temi negli spettacoli delle corti del Cinquecento ne facevano soggetto ideale per il teatro sia cortigiano che popolare; la stessa tecnica compositiva della poesia epica, basata sull’intarsio di storie concentriche, era comune all’Arte (che sul montaggio ‘a cannocchiale’ fondò il suo repertorio). Noto è il contributo di Silvio Fiorillo alla fortuna scenica del repertorio. La cortesia di Leone, e di Ruggiero con la morte di Rodomonte è desunto dai canti XLIV-XLVI dell’Orlando furioso; L’Ariodante tradito, e morte di Polinesso da Rinaldo Paladino è ricavato dal V. Nella prima opera Fiorillo si ritaglia un cameo, mettendo in scena la propria uccisione nei panni di un personaggio dell’epica, il pagano Rodomonte: un eroe negativo ma mitico, irrelato all’intreccio. Fiorillo si concede una partecipazione straordinaria in una situazione non ridicola. Poche battute gli sono concesse, anche se il duello col cristiano Ruggiero sarà sicuramente durato molto di più. Interpolate da azioni improvvisate, quelle battute avranno scatenato gli applausi, grato al capocomico di avere somministrato un lieto fine a effetto: e il celebre Capitano, ultimo a uscire di scena, ucciso dall’eroe cristiano. Non si può escludere che sia stata aggiunta come supplemento per esaltare la prova di Silvio. Non a caso il titolo dell’opera enfatizza la scena della «morte di Rodomonte» che doveva valorizzare l’arte dell’attore ‘morente’. Nell’altra opera - Ariodante tradito - è probabile che il capocomico si sia riservato la parte di Rinaldo, che anche qui appare alla fine per poi essere salutato come un Divo guerriero. Poi l’attore-Capitno dà vita a una scena di guerra; dopo, in una giostra fra duellanti, interviene per farsi messaggero d’amore: interrompe lo scontro, svela la trama e pone fine all’intreggio come un regisseur. Il repertorio della cosiddetta commedia all’improvviso accoglieva le contaminazioni dei generi, in contrasto con l’orientamento in una letteratura sempre più incline alla separazione del registro comico da quello tragico. La fortuna del Furioso nell’ambito dell’Arte corrisponde al successo di soluzioni spettacolari come la macchineria, che trionferà anche in Francia. L’importanza di un repertorio non solo comico è confermata da altre notizie. Vanno ricordati gli antecedenti nel ‘500 ( Sofonisba di Trissino rappresentata a Venezia dai Confidenti nel 1581), ma anche le tragedie e pastorali allestite dai Gelosi a Modena nel 1578 e a Ferrara nel 1582-84. Nel secolo seguente, tra gli allestimenti a Firenze è segnalata una Pazzia di Orlando (1688) attribuita a Cicognini e ispirata allo scrittore «dagl’istrioni», mentre in area napoletana, nel 1651, una compagnia lombardi e napoletani rappresenta la tragedia di Oloferno. L’elenco potrebbe continuare. Abbiamo già parlato del valore drammaturgico della pazzia femminile; per i maschi il tema è ‘autorizzato’ dalla tradizione arrostisca. Nelle pastorali di Silvio Fiorillo serve a mettere in ridicolo le pretensioni guerresche del secolo: era già noto come Capitano Matamoros quando, nel 1602, pubblicò l’egloga La ghirlanda. Era un pastore innamorato che recitava la parodia in napoletano della poesia toscana. La scena di pazzia, scatenata per la perdita dell’amata, ricorda, oltre a Orlando, le scorribande del Capitan Spavento. Il linguaggio è grottesco, inusitato, di grande efficacia teatrale. Il tutto si svolge grazie ‘a simulazioni di volo’ dell’arte mimica e ballettistica tipica dell’Arte. Adoperando i medesimi messi, il ‘Fiorillo furioso’ è deciso a combattere contro i venti. La battaglia prosegue generando improvvisazioni e lazzi che dovevano portare alle estreme conseguenze le capacità acrobatiche dell’attore. Fiorillo approfondisce la parodia finché tutto si risolve nel lazzo con cui esce di scena, saltando in groppa a un altro attore. È utile ricordare che Carlo Gozzi rivendicherà, in contrasto con le classificazioni francesi, la salvaguardia di un teatro capace di orchestrare il serio, il comico e il magico. Prima di essere teorizzata, la mescolanza sarà proposta dal conte attraverso la voce dei suoi attori in un’opera di recente riportata ala luce, Le convulsioni o sia Il contrattempo. In questo dialogo metateatrale, il primo attore Antonio Sacco, proponendo un superamento delle maschere, ne Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) registra il primato, un altro comico, Atanagio Zannoni, ribadisce il primato della mescolanza degli stili. Attraverso un antagonista di comodo, Gozzi ribadisce i principi di un teatro dell’Arte misto. 2. Il repertorio cantato È ben tratteggiato il negoziato che tenne uniti la musica e il teatro dei professionisti. Tuttavia la varietà di forme musicali e danzate sono ancora sottovalutate, sempre parse secondarie nella Commedia dell’Arte. La contiguità del teatro musicale e dei comici nel XVI e XVII secolo è provata dagli spettacoli cortigiani di Firenze e Mantova. Sono le drammaturgie governate dagli attori, più di quelle dei letterati, a documentare gli apporti musicali. I professionisti dell’Arte spesso svolsero doppie mansioni performative. La natura itinerante delle compagnie consentiva un pronto impiego delle competenze in contesti estemporanei: per questi ‘insieme’, cantare, danzare o recitare, significava applicare il principio dell’improvvisazione basato su una memoria di tecniche e di testi collaudata. È ancora sottovalutato il canto nella drammaturgia di Silvio Fiorillo, ma è avviata la rilettura musicologia delle opere di G.B. Andreini, al quale si dovranno riconoscere qualità di protoregista capace di armonizzare fattori multimediali. Tra il 1643 e il 1647 partecipò alle attività di un teatro italiano impegnato a coniugare l’arte comica con lo spettacolo musicale: ne ricavò stimolo ulteriore per condurre a termine la versione de Il nuovo risarcito Convitato di pietra che mira a un concertato di drammaturgie parallele. Questa duttilità fu la forza delle migliori compagnie, finché l’intensificarsi di opere in musica, con l’avvento di circuiti di consumo tra Venezia, Firenze, Roma e Napoli, favorì la nascita di ensembles itineranti di cantanti - i Febiarmonici - che dagli attori dell’Arte avevano mutuato le tecniche organizzative. Il 1637 - prima stagione pubblica del teatro d’opera a Venezia - segna tradizionalmente l’inizio dell’autonomia del melodramma. Si sarebbe sviluppata una emulazione fra i comici e i musici: i primi furono indotti ad aumentare il posto accordato alla musica cercando anche di impadronirsi di scenografie grandiose e macchine teatrali. Esempio significativo fu La finta pazza di Sacrati e Strozzi rappresentata al Petit- Bourbon di Parigi nel 1645: uno spettacolo vasto che scatenò la competizione fra i generi. Anche nel canto, gli attori dell’Arte pensavano di vincere la competizione coi cantanti. È naturale che le compagnie liriche cercassero di derivare dal repertorio dei comici gli elementi suscettibili di essere trasposti. Dai primi del ‘600 i comici abbracciavano quasi ogni ramo dell’attività letteraria, praticando la commedia, la tragicommedia, la tragedia, l’«opera regia» - la cui ricetta predominerà nell’opera in musica. La fortuna del nuovo genere musicale determinò il progressivo oscuramento di quella formula (canto, recitazione e ballo) praticata da sempre nell’Arte. Eppure se si continuasse a disseppellirne le tracce, le distanze tra le forme si ridurrebbero ancora. I testi per musica usati dai professionisti della recitazione sono scomparsi, ma le fonti consentono di verificare l’integrazione delle due prassi in pieno ‘600. I confini risultano labili, non solo nel linguaggio dei contemporanei, ma anche in qualche documento su interpreti femminili dell’Arte: nel 1648 Beatrice Vitali e Brigida Bianchi, rinomate rivali, devono rinunciare a cantare in opere musicali programmate per dopo Pasqua per ottemperare all’obbligo della compagnia di inscenare le «commedie di zanni» davanti al duca di Parma. Strade e tappe degli spettacoli dell’Arte furono gli stessi dei musici e cantanti. La condivisione delle esperienze fu importante per la definizione dell’opera in musica, ma ancora di più le occasioni che vissero nelle sale a pagamento in Italia e all’estero. Solo dopo la metà del ‘600 i teatri italiani iniziarono a distinguersi, con uno squilibrio economico a favore degli attori-cantanti e dei musici. Allora le due categorie cominciarono a percorrere strade diverse, senza smarrire punti di contatto (come succederà a fine ‘700). Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/ Downloaded by: Leonardo001_1 ([email protected]) Anche in termini economici gli ultimi del ‘600 sono anni favorevoli al teatro musicale, mentre il teatro dei comici, ripiegò verso più ridotte ambizioni. Ma parte del teatro comico si dimostrò ancor più anfibio, intersecando partiture musicali di canovacci, temi sacri e profani, accettando professionisti e dilettanti, miscelando nuove competenze canore e antiche virtù recitative. Così nell’esperienza di Andrea Perrucci al San Bartolomeo di Napoli, chiamato nel 1673 a interpretare «commedie et opere». Gli intermezzi e i libretti delle opere comiche si trovarono a condividere con i canovacci molte situazioni drammaturgiche: dai soggetti fissi al plurilinguismo. Il lavoro dei musicisti fu simile a quello dei capocomici: un adattamento degli intrecci e dei tipi fissi al personale disponibile, in una declinazione più comica. Spesso le trame erano comuni: riconoscimento di parentele, travestimento, metateatro, ma anche su personaggi-tipo secondo il mansionario dell’Arte e denotati dal plurilinguismo. La Commedia e il teatro musicale condivisero molti interpreti e tecniche, almeno fino a metà ‘700. I confini labili facilitavano dilettantismo e eclettismo di cantanti-attori, nel passaggio tra generi. È il caso degli intermezzi, drammi comici e farsette per musica che presero piede a Venezia e Napoli, ma anche della fioritura a Parigi di nuove forme di teatro e musica. Il diluvio di libretti e di teatro musicale maggiore trascinò la fortuna del teatro musicale minore, compromesso col teatro dell’Arte. L’attrazione determinò l’oscuramento della contiguità. Gli stessi attori-cantanti scelsero di superare la condizione anfibia e, quando non furono in grado di salire ai gradi alti delle gerarchie canore, ripiegarono verso impieghi più modesti nel recitato. Tale ‘digradazione’ è il fatto più rilevante di questa fase della drammaturgia dei comici che da allora evitarono il confronto coi maggiori. I generi ibridi nel primo ‘700 consentirono prestazioni buone di attori-cantanti, tuttavia distinti dai maggiori interpreti del teatro musicale buffo. Si pensi all’attivismo di Giuseppe Imer che, alle dipendenze di Grimani, spinse Goldoni nel 1734-43 a comporre testi per intermezzi destinati ad attori capaci di passare da recitazione a canto o danza. In questa fase non c’era distinzione fra drammaturgia per la recitazione e musicale, essendo l’attività del poeta oscillante tra l’uno e l’altro genere, secondo le esigenze di pubblico e di un mansionario insensibile alle differenze. La disinvoltura che Goldoni usò nella realizzazione di intermezzi e libretti, da una parte è un ossequio alle pratiche produttive del primo ‘700, dall’altra è il punto d’arrivo dell’impasto di recita e canto della Commedia dell’Arte. La perdita dei copioni della prima fase di Goldoni ci ha privato di importantissime fonti. La ricca produzione successiva all’incontro con Medebach, tenuta sotto controllo dalla volontà letteraria, metterà in ombra il negoziato con le richieste musicali. Nel pieno ‘700 la presenza di competenze eclettiche è documentata alla periferia dei circuiti teatrali europei: qui gli spettacoli degli italiani sono descritti da testimonianze dettagliate. In Europa centrale e orientale le compagnie dell’Arte proponevano frequente alternanza di rappresentazioni recitate e musicali. È la ricca documentazione, proporzionale alla attività produttiva, di cui disponiamo per la Francia a testimoniare un’integrazione delle competenze nel repertorio des Italiens. Le componenti acrobatiche e atletica furono dapprima utilizzate in maniera decorativa. Successivamente assunsero una funzione così rilevante da disegnarsi come genere autonomo associato alla pantomima. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-la-commedia-dell-arte-ferrone/692855/

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