Appunti Genetica Forense PDF

Document Details

Uploaded by Deleted User

Tags

genetica forense accertamenti analisi DNA giurisprudenza

Summary

Questi appunti descrivono la genetica forense, una branca della genetica applicata in ambito giudiziario. I contenuti comprendono differenze tra procedimenti civili e penali, ruolo di CTU e CTP, analisi scena del crimine, e procedure giudiziarie come le indagini preliminari e il dibattimento.

Full Transcript

Genetica forense La Genetica forense è una branca della genetica che si occupa di fornire “un’identità” ad una traccia biologica (tessuti e i liquidi biologici come sangue, saliva, urina, le cellule, incluse tutte le frazioni molecolari (proteine, RNA, DNA, etc.) da essi derivabili, originati da so...

Genetica forense La Genetica forense è una branca della genetica che si occupa di fornire “un’identità” ad una traccia biologica (tessuti e i liquidi biologici come sangue, saliva, urina, le cellule, incluse tutte le frazioni molecolari (proteine, RNA, DNA, etc.) da essi derivabili, originati da soggetti sani o affetti da malattia) o ad un campione biologico e rappresenta uno strumento indispensabile per risolvere casi in ambito civile e penale. La differenza tra ambito civile e penale non è nelle tecniche utilizzate ma bensì nella conoscenza e provenienza del campione, nel civile so da chi proviene il campione e di cosa tratta (per esempio eseguire un tampone buccale per accertamenti di parentela), mentre nel penale devo analizzare un campione al fine di determinare di cosa si tratta e a chi appartiene ( ad esempio la presenza di DNA sulla scena del crimine e la sua successiva analisi per identificazione del soggetto). Inoltre, permette l'applicazione di tecniche e metodologie scientifiche alle tradizionali investigazioni di carattere giudiziario, in relazione all'accertamento di un reato o ad un comportamento sociale. Quindi la genetica forense si occupa principalmente di due ambiti : 1. civile: si intende tutto quel ramo degli accertamenti di parentela diretti (padre-figlio ecc) o indiretti (nipotanze, sorellanze ecc oppure tra fratelli ricorro ad accertamenti indiretti nel caso di cremazione o in generale nel caso in cui non abbiamo modo di utilizzare il DNA del genitore). Estrarre il DNA da più soggetti imparentati ci permette di avere risultati più attendibili. In generale le analisi in ambito civile possono essere commissionate da privati e in questo caso si tratta di una procedura stragiudiziale, mentre se viene fatta causa dal giudice si tratta di una procedura giudiziale, dove è il giudice stesso a disporre le analisi ovvero a richiedere l’istanza di riconoscimento o disconoscimento. Nell’ambito del processo civile, gli accertamenti biologici possono essere demandati a due figure : CTU, consulente tecnico d’ufficio è nominato dal giudice. È un ausiliario del giudice, indipendente dalle parti, al quale viene conferito il compito di svolgere le analisi e di fornire le conoscenze tecniche necessarie per valutare o accertare un fatto. L’attività del CTU, in concreto, si articola nelle seguenti fasi : raccolta del materiale, elaborazione del materiale, visita delle persone e esame dei documenti alla presenza dei CTP, discussione del caso in contraddittorio (opinione contraria) con i CTP e acquisizione delle eventuali osservazioni scritte dei CTP. (la controparte può richiedere la nomina del CTP) CTP, consulente tecnico di parte è nominato dal preteso danneggiato o dal preteso danneggiante (controparte) a sostegno delle proprie rispettive posizioni, su autorizzazione del giudice. Ha il compito di verificare che le analisi siano state svolte correttamente, e se il CTP ha un laboratorio proprio può richiedere un’istanza al giudice per essere autorizzato a fare le analisi (nel penale invece il CTP può solo controllare). Il consulente di parte può essere interpellato prima ancora dell’inizio del processo al fine di redigere una relazione volta a consentire al difensore (o avvocato) del preteso danneggiato di valutare l’opportunità di agire in sede giudiziaria. Anche il preteso danneggiante potrebbe aver interesse a richiedere una consulenza prima del processo, al fine di stimarne gli eventuali rischi. Una volta instaurato il giudizio, il consulente di parte avrà, invece, il compito specifico di partecipare alle operazioni peritali (sono degli incontri che si organizzano tra il CTU e il CTP per poter prendere visione di tutto il materiale a disposizione e per confrontarsi sulla causa) per conto della parte in causa che lo ha nominato e far emergere tutti gli elementi a sostegno della posizione della stessa. 2. penale: analisi della scena del crimine (omicidi) e casi di violenza sessuale. Ha due obiettivi : identificazione personale : si identifica una persona. Inizialmente, l’identificazione personale veniva compiuta attraverso lo studio delle caratteristiche fisionomiche distintive per ogni individuo, caratteristiche facciali o la forma delle orecchie. Poi, si è passati all’analisi delle impronte digitali, dei gruppi sanguigni e, oggi grazie alla tecnologia, l’analisi della variabilità avviene mediante il DNA. caratterizzazione delle tracce biologiche Per quanto riguarda la procedura si analizzano prima le tracce e poi i reference solitamente tamponi buccali eseguiti dalla polizia sugli indagati in modo tale da ridurre la possibilità di contaminazione, il giudice infatti può richiedere anche che l’analisi delle tracce e dei reference siano svolti in laboratori differenti. PM -> Pubblico Ministero, è un magistrato che rappresenta l’accusa, avvia l’azione contro il presunto colpevole e avvia e dirige le indagini preliminari. Nell'ordinamento giudiziario italiano, è un organo dell'amministrazione della giustizia a cui è attribuito il compito di vigilare sull'osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci, nonché quello di promuovere la repressione dei reati e l'applicazione delle misure di sicurezza. Nell'ambito penale il Pubblico ministero svolge in massima parte funzioni di tipo inquirente (magistrato inquirente), insieme alla polizia giudiziaria che raccoglie gli elementi di prova.Il PM nomina il CT PM (Consulente Tecnico del PM), incaricato di svolgere le analisi che possono essere controllate dai CTP dell’offesa e dall’indagato, quest’ultimi a differenza del civile però non possono a loro volta svolgere le analisi, nel penale infatti le analisi possono essere svolte solamente da i tecnici nominati dal PM e dal giudice. GIP -> Giudice delle indagini preliminari, è colui che decide se far partire o meno il processo (anche rinviare a giudizio oppure archiviare il processo), in quanto il PM non può autonomamente decidere se sottoporre a processo penale una persona, così come non può archiviare un'indagine penale Durante il processo il giudice può nominare un perito ovvero un esperto incaricato di un'indagine tecnica (perizia) che quindi ha il compito di risolvere un determinato quesito ed è autorizzato a risvolgere le analisi (giudicando così l’operato del CT PM). Il procedimento penale inizia quando il PM acquisisce e iscrive una notizia di reato nel Registro delle notizie di reato (o anche chiamato Registro degli indagati). La notizia viene segnata insieme al nome della persona a cui il reato è attribuito, se è nota, oppure a carico di ignoti. Successivamente abbiamo due fasi: la fase delle indagini preliminari e la fase di giudizio. La fase delle indagini preliminari è quella durante la quale il pubblico ministero (PM) e la polizia giudiziaria devono compiere le attività utili all’accertamento dei fatti, anche a favore della persona sottoposta alle indagini. Concluse le indagini preliminari, il PM può chiedere al GIP l’archiviazione del caso oppure può formulare l’accusa nel capo di imputazione e chiedere il processo con il rinvio a giudizio. L’archiviazione può essere richiesta se : non ci sono le condizioni per procedere con l’azione penale la notizia di reato è infondata il fatto non è previsto dalla legge come reato la persona a cui è attribuito il reato è morta. Ricevuta la richiesta di archiviazione il GIP può accoglierla oppure può disporre altre indagini. Se, invece, alla fine delle indagini preliminari il PM ritiene che ci siano elementi sufficienti per iniziare il processo, scrive il capo di imputazione, ovvero un’accusa ufficiale con l’esatta descrizione dei fatti e del reato contestato e chiede l’udienza preliminare. Quest’ultima è richiesta per i reati più gravi prima del processo vero e proprio chiamato dibattimento e viene svolta davanti al GIP (che in questo caso è denominato GUP, ovvero Giudice dell’Udienza Preliminare). Questa udienza viene svolta in contraddittorio con la difesa per valutare se il PM abbia raccolto sufficienti prove per poter affrontare il processo e se sia ragionevole prevedere una condanna alla fine del processo stesso. In tal caso, inizia la fase di giudizio, il GUP emetterà il decreto che dispone il giudizio e rinvierà davanti al tribunale per il dibattimento. Durante la fase dell’udienza preliminare, l’imputato può scegliere un rito alternativo (un rito abbreviato, ovvero rito che prevede la riduzione di un terzo della pena o il patteggiamento, ovvero permette all’imputato di concordare la pena da scontare direttamente con il PM, ma è necessario che il Giudice (GUP) ritenga che l’intesa raggiunta sia adeguata e corretta al reato commesso) e se il giudice ammette questi tipi di riti non si procede con il dibattimento. La fase di dibattimento avviene nel contraddittorio tra le parti, ovvero PM e avvocato difensore dell’imputato, davanti a un giudice che non conosce gli atti delle indagini preliminari. Nel corso del processo il giudice ascolta gli eventuali testimoni e consulenti del PM, della difesa e (se presente) della parte civile (la vittima del reato che decide di chiedere il risarcimento del danno), valuta i documenti e le testimonianze presentate come prova dalle parti e può ascoltare l’imputato. Si tratta di una fase pubblica e orale che si conclude con la discussione finale, in cui il PM, il difensore e l’eventuale parte civile espongono le proprie ragioni. Infine, abbiamo la fase della sentenza in cui il giudice decide e motiva la colpevolezza dell’imputato. Se la sentenza non viene impugnata nei termini previsti, ovvero se nessuna delle parti presenta un ricorso, diventa definitiva e il procedimento penale si conclude. Nelle fasi delle indagini preliminari e nella fase di giudizio, è possibile che il pubblico ministero debba ricorrere a figure professionali con specifiche conoscenze tecniche e l’esperto chiamato diventa un consulente tecnico. Quando l’esperto, invece, è chiamato dal giudice è denominato perito ovvero il consulente tecnico del giudice (chiamato però perito perché si riferisce all’ambito penale). Quando può essere disposta la perizia? può essere disposta per raggiungere 3 diverse finalità: svolgere indagini al fine di reperire dati probatori (ovvero dati che servono per provare l’esistenza di un fatto), acquisire dati selezionati e fornire un’interpretazione degli stessi, acquisire valutazioni sui dati raccolti. La perizia può essere disposta dal Giudice e anche dal GIP. Come viene scelto il perito? viene scelto tra gli iscritti all’albo istituito presso il tribunale del giudice. Può essere scelto anche tra quelli che hanno le cattedre o chi ha una comprovata esperienza nel settore. Tutte le indagini di genetica forense richieste da un PM sono consulenze tecniche. Tutte le analisi, invece, richieste da un giudice fanno parte di perizie. Gli accertamenti disposti dal PM possono essere di due tipi : secondo l’articolo 359 del codice penale -> accertamenti ripetibili, cioè che si possono ripetere. Riguardano persone, cose o luoghi il cui stato non è soggetto a modificazione e per questo sono ripetibili. Le analisi vengono fatte non in contraddittorio (non si deve avvisare la persona indagata e senza la presenza di consulenti di parte). Quando il Pubblico Ministero effettua accertamenti e rilievi secondo questo articolo, egli non è tenuto a coinvolgere né l’indagato né la persona offesa. secondo l’articolo 360 del codice penale -> accertamenti irripetibili, cioè che non si possono ripetere. Riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione e quindi accertamenti successivi porterebbero a risultati diversi o persino potrebbero non essere più ripetibili perché gli oggetti sono andati distrutti. Si ha diritto a nominare un consulente e si deve fare l’analisi nel contraddittorio. Data l’irripetibilità di questi accertamenti, essi sono destinati chiaramente ad assumere un valore probatorio, motivo per cui ai sensi dell’art. 360, il PM deve avvisare senza ritardo l’indagato, la persona offesa e i difensori del giorno in cui saranno compiuti gli accertamenti, affinché possano assistervi. Gli accertamenti solitamente dovrebbero essere irripetibili ma le analisi vengono solitamente chieste secondo l’articolo 359 in modo tale da non dover ogni volta avvisare l’interessato per preservare le indagini. Gli articoli 359 e 360 concernono le ipotesi con il quale il pubblico ministero intenda procedere: accertamenti o rilievi. essi vengono citati durante la nomina del consulente e delineranno la forma in cui si svolgeranno le operazioni peritali e quindi la modalità con la quale verranno coinvolte le parti e quando debba essere svolta qualsiasi altra operazione tecnica (per cui siano necessarie delle competenze), il PM può avvalersi di consulenti che non possono rifiutarsi di contribuire all’indagine. I consulenti tecnici sono chiamati ad offrire contributi di natura tecnica scientifica, per colmare le lacune cognitive del magistrato, specializzato in tutt’altro ambito. Il PM nomina il consulente scegliendo di regola una persona iscritta negli albi dei periti ai sensi dell’articolo 73. forse baste che prima procedeva identikit per impronte infine DisCoggi) leggi si con e una sapere , > Cenni storici Nell'antica Roma, quando si processava qualcuno per un reato, si doveva presentare il caso pubblicamente nel forum cosìcché sia l'imputato che il pubblico ministero potevano fornire le proprie ragioni basate ciascuna su un punto di vista rispettivamente per la difesa e per l'accusa. Il primo manoscritto per risolvere vicende criminali è attribuito a Song Ci. Nel libro si trova il caso di una persona uccisa con una falce che è stato risolto dall'investigatore testando diverse lame sulle carcasse degli animali e confrontando i tagli fra loro. Il libro, inoltre, offre utili consigli su come distinguere tra reati da annegamento e strangolamento e di come si può morire di omicidio, suicidio o avvelenamento. Nel XVI secolo i medici nel campo militare e accademico iniziarono a raccogliere informazioni sulle cause e sui tipi di decesso. Nel tardo XVIII secolo furono pubblicati una serie di lavori molto importanti tra cui Trattato di medicina forense e di salute pubblica di Fodéré e Sistema completo di medicina legale di Johann Peter Franck. Nel 1776 il chimico svedese Carl Wilhelm Scheele scoprì l'ossido di arsenico nei corpi, sebbene solo in modeste quantità. La ricerca si diffuse nel 1806 grazie alle competenze di Valentin Ross che apprese di come isolare il veleno sulle pareti dello stomaco di una vittima e di James Marsh che confermò l'arsenico come causa di morte in un processo svoltosi nel 1836. La polizia scientifica iniziò ad utilizzare le impronte digitali come prova del reato quando Juan Vucetich risolse un caso di omicidio in Argentina estrapolando delle impronte da una macchia di sangue sulla maniglia di una porta. Nel corso del XX secolo diversi patologi quali Bernard Spilsbury, Francis Camps, Sydney Smith e Keith Simpson introdussero nuovi metodi di indagine. Nel 1909 a Losanna in Svizzera Rodolphe Archibald Reiss fondò la prima scuola di scienze forensi denominata "Istituto di polizia scientifica". Negli anni '70 due processi a carico di due imputati per omicidio dimostrarono che il crescente ricorso alla logica e alla metodologia era ormai un fatto acquisito. Nel primo caso si scoprì che la carta impiegata per custodire la polvere da sparo utilizzata per compiere il fatto era la stessa del quotidiano che l'assassino aveva in tasca. Nel secondo caso la polizia trovò dei brandelli di tessuto della vittima presso il lago dove era stata annegata. Gli investigatori inoltre avevano rilevato un'impronta di una suola di scarpe che corrispondeva perfettamente con quella dell'assassino. La competenza delle scienze forensi o Criminalistica è vastissima e spazia dalla chimica alla fisica, dalla medicina alla psicologia, nonché ad altri svariati campi della tecnica e dell'ingegneria La genetica forense sta diventando sempre più uno strumento indispensabile per la risoluzione dei casi di attribuzione di identità sia penali che civili attraverso test genetici, per ottenere il massimo valore probatorio dall’analisi di qualsiasi tipo di campione, di fondamentale importanza è oggi la standardizzazione delle procedure da adottare in laboratorio in modo da evitare qualsiasi tipo di contestazione riguardo i protocolli, reattivi, materiali utilizzati e riguardo le conclusioni tratte dall’interpretazione dei risultati. Il flusso di lavoro è composto dalle seguenti fasi: Repertamento : è la raccolta dei reperti sulla scena del crimine, la quale viene effettuata dai tecnici sopralluoghisti o da forze dell’ordine come polizia giudiziaria. Nell’ambito civile questa fase non è presente. Successivamente attraverso la catena di custodia il reperto giunge al laboratorio e si effettuano gli step pre-analitici; Campionamento : (analisi generica e di specie). Quindi si effettua l’individuazione e si studia la natura delle tracce biologiche presenti sui reperti; innanzitutto si fotografa la busta di sicurezza, si apre la busta, si dispone con le pinze monouso il reperto sul tappetino e si fotografa avanti e indietro. Si cerca di rilevare la presenza di tracce evidenti, sfruttando una luce radente, e per le tracce latenti, sfruttando le luci forensi. Si campiona quindi ad esempio una macchia di sangue -> usando il bisturi si taglia un pezzo di tessuto e si svolge l’analisi della natura della traccia, sia attraverso una diagnosi generica e sia una diagnosi di specie, dove la diagnosi generica consiste nell’accertamento della natura della traccia, quella di specie invece consiste nell’accertamento della specie a cui appartiene la traccia. Estrazione DNA : tracce o tamponi boccali in provette dalle quali bisogna estrarre il DNA. il DNA viene estratto sottoforma di liquido in buffer. Quantificazione DNA : quanto DNA è presente nella mia traccia (che nel penale possono essere molto esigue) e si effettua la Real Time PCR Amplificazione DNA : attraverso la PCR posso amplificare la quantità di DNA che ho a disposizione. Lo 0.5% del genoma differisce negli individui ed è quello che andremo ad analizzare, perché caratterizza un individuo specifico, mentre il restante 99.5% dell’intero genoma è uguale per tutti gli individui (Homo Sapiens) Corsa elettroforetica dei campioni amplificati : avviene su capillari e ci permette di validare i profili genetici grazie a l’elettroforegramma ( il profilo genetico dell’individuo) Valutazione dei risultati : in ambito civile so già cosa sto cercando e l’interpretazione dei profili genetici rilevati è semplice, perché non ho la presenza di profili misti (unico profilo). In ambito penale, invece, questa fase è più complicata perché posso trovare poco DNA, DNA degradato oppure profili misti, cioè dato almeno da due contribuenti. Ad esempio in un tampone vaginale possiamo trovare sia DNA maschile che femminile, ma in questo caso sono facilmente distinguibili in quanto appartenenti a sessi differenti; un altro esempio è il ritrovamento del sangue della vittima sulla maglietta dell’indagato, sulla quale troviamo anche tracce di sudore. Analisi biostatistica : in ambito civile si accerta o meno la parentela, in ambito penale conoscendo il profilo della traccia e il profilo dell’indagato si determina se è presente o meno la presenza della vittima o dell’indagato nella traccia. 1. Repertamento Il DNA è presente in ogni cellula nucleata ed è quindi presente nei materiali biologici eventualmente lasciati sulla scena del crimine. L’individuazione e l’identificazione di fluidi biologici sui reperti in esame hanno come fine l’identificazione del soggetto da cui proviene la sostanza. Il DNA può essere estrapolato da sangue, sperma, saliva, denti e ossa, formazioni pilifere, urine (soprattutto nell’ambito sportivo). L’analisi delle urine è un po’ più complicata per estrapolare un profilo in quanto molte cellule sono morte o comunque danneggiate. Anche nel caso delle formazioni pilifere non è molto semplice in quanto posso utilizzare solo il bulbo, mentre dal pelo posso ricavare il DNA mitocondriale. Dalle ossa posso estrapolare DNA molecolare se non sono troppo antiche (in quel caso se ne occupa l’antropologia molecolare), le ossa rispetto ai denti si deteriorano più facilmente perciò nel caso di possibilità di scelta vengono preferiti i denti, ovviamente entrambi per essere analizzati devono essere preparati. Il dente viene pulito con agenti inibitori come l’ipoclorito e l’acqua, non deve essere però cariato o non integro poiché sennò l’ipoclorito degraderebbe anche il DNA, successivamente viene tagliata la corona e triturato, la polverina viene analizzata. Per quanto riguarda le ossa vengono pulite e tagliate con bisturi (i tagli devono essere molto superficiali poiché bisogna evitare un eccessivo calore che andrebbe a denaturare il DNA) e tritate come i denti. Nell’ambito penale questa è la primissima fase che si esegue.Tantissime branche collaborano durante le indagini, come ad esempio la botanica forense nei casi di occultamento di cadaveri, in quanto i liquidi rilasciati dal cadavere possono favorire la vegetazione. La scena del crimine è il punto di partenza nelle indagini della genetica forense nell’ambito penale. Consiste nell’andare sulla scena del crimine prelevare gli indumenti e altri oggetti con un’eventuale presenza di tracce necessarie all’indagine. Ciò viene effettuato dai sopralluoghisti, addetti al sopralluogo e sono o della polizia o dei carabinieri (scientifica o i RIS) oppure ci sono anche aziende private che lo eseguono. Quindi gli addetti circoscrivono l’area del delitto, catalogano tutti gli oggetti che potrebbero essere adatti per il caso con numeri, fotografano tutto (rilievo preliminare) per immobilizzare quanto vedono ed inoltre, non la devono manipolare né contaminare. I reperti biologici devono essere prelevati con cura al fine di preservare gli stessi ed evitare fenomeni di contaminazione (principio di Locard: quando la superficie A viene in contatto con la superficie B c’è trasferimento da A a B e da B ad A). Per questo gli esperti possiedono i DPI ovvero i dispositivi di protezione individuali, come ad esempio tuta intera monouso, guanti sterili, copricalzari, mascherina e cuffia. È necessaria la massima sterilità per ciascuna fase per evitare la contaminazione e avere profili genetici dei lavoratori. Tutto quello che vanno a repertare va conservato nelle opportune buste di sicurezza, denominate buste antimanomissione, cioè se proviamo ad aprirle si vede subito che qualcuno ha tentato di aprirlo. Queste buste sono chiuse, presentano appositi sigilli ed hanno un codice a barre univoco in cui è contenuto il reperto (numero identificativo scritto nel verbale). È fondamentale che il reperto venga trasportato fino al laboratorio nelle condizioni più idonee possibili e nel più breve tempo (è meglio usare buste di plastica o di cartone traspirante, perché l’assenza di O2 provoca la muffa, più grande inibitore di DNA. La cosa più opportuna, nel caso di un campione fresco, sarebbe farlo asciugare e poi inserirlo nella busta di carta). La documentazione di ogni determinato reperto è denominata catena di custodia, ovvero è una procedura documentata atta a garantire l’autenticità, l’integrità e la rintracciabilità di un reperto dal momento del prelievo fino al suo smaltimento. Inoltre, garantisce la validità dell’analisi dando valore e attendibilità all’esito finale. La custodia dei reperti è un qualcosa di molto complesso a cui spesso i consulenti dedicano poca attenzione. Ad esempio se si prende un incarico in procura di Reggio Calabria, ma si opera a Roma, bisogna ottenere una serie di autorizzazioni per il trasporto dei reperti come l’autorizzazione del mezzo utilizzato (caso di incidente ed incendi si potrebbero bruciare i reperti, oppure non è possibile fermarsi all’autogrill per possibile furto del mezzo oppure furto dei reperti dovuto ad inseguimenti). In caso di difficoltà o di trasporto di reperti importanti è possibile richiedere l’intervento/scorta delle forze dell’ordine. Il consulente deve avere un luogo idoneo per la conservazione dei reperti. Cosa si fa quando il reperto arriva in laboratorio?Questo deve essere sottoposto ad una serie di step pre-analitici, ovvero : osservazione e ispezione del plico e della busta di sicurezza (viene effettuata prima dell’apertura della busta di sicurezza) per verificare la conformità. I reperti arrivano portati da un carabiniere con un mandato di consegna dal ministero. Quindi la prima cosa è accertarsi che ciò che ci hanno consegnato coincida con quanto scritto nel verbale, altrimenti avvertire le autorità competenti. descrizione di ogni oggetto che è arrivato (dal generale al particolare) e valutazione dell’integrità dei sigilli catalogazione con uso di codici specifici per il reperto rilievi fotografici (dal generale al particolare). -Spesso il genetista non effettua direttamente i tamponi, ma agisce successivamente. Quando un uomo o donna che ha subito violenza si reca al pronto soccorso e denuncia il fatto (la denuncia penale parte in automatico per obbligatorietà e anche se la vittima ritira la denuncia l’azione penale parte ugualmente), i medici utilizzano il kit anti violenza (profilassi per le malattie sessualmente trasmissibili, tamponi vaginali e rettali, raccolta degli indumenti). Questo kit viene poi messo a disposizione dell’autorità giudiziaria e il genetista lavora su questi reperti già in sequestro da diversi giorni. -Se gli indumenti raccolti con il kit anti violenza sono bagnati (spesso le vittime si fanno la pipì addosso per la paura), bisogna stare attenti perchè si potrebbe formare la muffa che si mangia il DNA. Negli ospedali ci sono diversi protocolli che spiegano anche come conservare gli indumenti in modo adeguato. -Nel caso della violenza sessuale il DNA ottenuto grazie ad un tampone vaginale non ci dice che sia avvenuta una violenza, ma ci indica che è avvenuto un rapporto (di tipo consenziente nella norma), quindi questo tipo di DNA è meno impattante nel caso preso in esame, a meno che l’indagato non neghi il rapporto. -Sarà molto più utile il DNA trovato sotto le unghie (sub-cutaneo), nel caso in cui la vittima abbia provato a difendersi dall’aggressore oppure studiando il reperto si nota la presenza di ecchimosi (lividi) sulle braccia, sulle gambe o sulla regione vaginale che ci aiutano a contestualizzare l’episodio. -Se l’indagato non nega il rapporto ci sarà una maggior difficoltà nell’analisi del caso, ma il pubblico magistrato non gli riferisce che stanno avvenendo le dovute analisi per accertare che il rapporto non sia dovuto ad un caso di violenza (versione dell’indagato sia veritiera o meno). 2. Campionamento In questa fase si individuano le tracce biologiche eventualmente presenti sul reperto in esame. In Genetica Forense l’individuazione e l’identificazione delle tracce biologiche sulla scena del crimine risultano essere particolarmente importanti per riuscire ad identificare il soggetto da cui proviene la traccia. Innanzitutto il reperto deve essere sottoposto a degli step pre-analitici, ovvero osservazione e ispezione (prima ancora di aprire la busta di sicurezza), descrizione (sia generica che in dettaglio per la valutazione dell’integrità dei sigilli), Catalogazione (utilizzo di codici in laboratorio da riportare successivamente nel verbale) e infine rilievi fotografici dal generale al particolare. Il repertamento non è eseguito in laboratorio (ma è eseguito direttamente sulla scena del crimine), ma il campionamento sì. Questa è la parte critica, in quanto si devono individuare tutte le tracce biologiche presenti sul reperto. La stanza in cui si esegue tale analisi deve essere sterile. Ci si posiziona su un tavolo, si pongono teli sterili e si mettono sul tavolo i reperti. Per ciascun reperto si cambia il panno sottostante. Si ispezionano i reperti per cercare le tracce prima sotto luce bianca (cioè la luce delle lampadine), e vediamo se si vede qualcosa a occhio nudo (tracce di sangue ad esempio), poi con luci forensi. Bisogna distinguere due tipologie di tracce: tracce evidenti : visibili ad occhio nudo tracce latenti : non visibili ad occhio nudo ma mediante luci forensi, ovvero sono lampade multilunghezza d’onda per la ricerca di tracce e quella a luce blu è usata maggiormente. Le tracce possono quindi essere osservate mediante : luce radente : fascio di luce bianca radente alla superficie luce forense : questa tipologia di luce viene usata perché alcune molecole presenti nei fluidi biologici hanno la capacità di emettere fluorescenza in un range dello spettro diverso da quello del visibile. Ciò è possibile perché ogni fluido biologico ha una componente in grado di emettere fluorescenza se eccitata da un raggio di luce a una specifica lunghezza d’onda (ad eccezione del sangue che risulta come una macchia nera). Quali sono le tracce visibili con quest’ultima tipologia di luci? Saliva, urina e liquido seminale. La saliva e il sudore sono visibili grazie alla stessa molecola. Liquido seminale e saliva sono quelle maggiormente ricercate. Con questo tipo di luci è possibile vedere anche impronte digitali, fibre, capelli, impronte di calzature. Una tipologia di luce forense è il mini-crimescope 400. È uno strumento utilizzabile sia in laboratorio sia sulla scena del crimine formato da motore con ventola, tubo alla cui estremità ci sono le diverse luci, dall’ultravioletto al visibile, e si cambiano con una manopola, cioè si cambia lo spettro. Quando si usano le luci forensi bisogna fare attenzione, soprattutto per UV, luce rossa ecc. Bisogna usare gli occhiali; sono in realtà dei filtri atti sia alla protezione oculare che all’osservazione della traccia altrimenti non facilmente osservabile. Quindi si emette luce con il mini- crimescope, la traccia la assorbe e la riemette con una lunghezza d’onda diversa. Si fanno le foto alle tracce viste con le luci forensi ponendo dei filtri a protezione della fotocamera per migliorare visibilità e contrasto. Il liquido seminale si potrebbe vedere ad occhio nudo. Anche con il 75% di diluizione è possibile vedere la traccia. Il sangue è visibile anche ad occhio nudo ed ha la particolarità di assorbire ma non di riemettere luce. Un occhio esperto può già distinguere, prima di eseguire analisi generiche, che tipologia di presunta traccia si ha di fronte. Ad esempio, una traccia ben evidente e netta è liquido seminale (probabile), mentre tracce più sbiadite e contorni più netti è saliva (tende a stabilizzarsi ai bordi della traccia). Il possono insorgere nell’evidenziazione di tracce latenti sono : Superfici scure (es. indumenti di colore scuro) che assorbono la luce Molte sostanze organiche (es. detergenti) emettono fluorescenza se eccitate con le stesse lunghezze d’onda specifiche per i fluidi biologici, dando falsi positivi. A seguito dell'osservazione si utilizza il termine presumibilmente (presunta traccia ematica) in quanto non si ha certezza prima di effettuare test biologici. Altro step durante l’analisi di campionamento è la diagnosi di genere, ovvero permette di determinare la natura della traccia e la diagnosi di specie, che invece permette di determinare la specie a cui appartiene la traccia, ovvero se la traccia è di appartiene alla specie umana o se appartiene ad un’altra specie animale). Per questo si eseguono degli opportuni test. Ogni fluido biologico ha una componente che lo distingue dagli altri e ne consente l’identificazione mediante l’utilizzo di questi test, ad esempio : sangue : ha l’emoglobina liquido seminale : ha la semenogelina saliva : ha le alfa-amilasi (anche nel fluido vaginale) urina : è presente urea (anche nel sudore). Perché devo vedere la natura della traccia? Per casi di violenza (stupri, abusi ecc) è la prima cosa che chiedono i PM : natura della traccia, profilo genetico, confronto con indagato. es del padre L’identificazione della natura delle tracce biologiche si basa su due tipi di test : test presuntivi : così chiamati perché presumono quale potrebbe essere la natura della traccia biologica presa in esame. Sono test più vecchi -> esempio: traccia di sangue non è detto che lo sia e soprattutto a che specie appartenga (cane, uomo e così via). Sono analisi rapide, semplici da eseguire ed economiche, ma poco sensibili e aspecifiche, in grado di generare falsi positivi (il test è positivo ma non è detto che sia quello che sto cercando), in quanto possono reagire con svariate sostanze esogene. Non si hanno falsi negativi, perché altrimenti non funzionerebbe il test stesso e bisogna cambiarlo. Sono test molto economici e pratici test di conferma : analisi altamente specifiche e sensibili, ma più costose. Sono in uso da 8/10 anni. Non danno cross-reazione per cui consentono l’identificazione della natura della traccia biologica in modo più accurato. I più utilizzati sono quelli del sangue e del liquido seminale. Esempi di fluidi biologici e specifici test Sangue Esistono diverse tipologie di test presuntivi e un solo test di conferma al momento. Il sangue si può campionare in diversi modi : per prendere il sangue su una maglietta utilizzo un bisturi sterile, taglio un pezzetto dell’indumento (bastano pochi millimetri) e lo inserisco nelle provette; altre tipologie di prelievo: un tampone (specificare sul verbale dove è stato eseguito, ovvero prelevato sul pavimento e fai descrizione). Test presuntivi per identificare il sangue sono : COMBUR TEST : (sangue e urine) c’è una strip specifica per il sangue (banda specifica per il sangue). Tale test si basa sul viraggio cromatico di un indicatore colorimetrico (tetrametilbenzidina) in presenza di idroperossido organico (dimetil-diidro- perossiesano). Tale viraggio è mediato da una reazione perossidasica ed è catalizzata da emoglobina e mioglobina. Infatti, in presenza di Hb si ha il cambiamento di colore del tassello della strip (da giallo a verde). Può dare falsi positivi, perché questa reazione cromatica (e quindi l’attività perossidasica) non è esclusiva dell’emoglobina ma possono permettere questo viraggio cromatico anche ruggine, perossidasi vegetale, ossidanti vari ecc. È sempre utile usare tale test? Dipende dalla posizione della traccia, ad esempio è utile eseguire tale test su una pistola? No, perché potrebbe essere ruggine e non sangue (quindi darebbe un falso positivo). Inoltre, non discrimina se la traccia si tratta di sangue umano o animale. HEMASTIX : è analogo al combur test. Le sue strip contengono diisopropilbenzene, diidroperossido e tetrametilbenzidina. Infatti, anche questo test sfrutta l’attività perossidasica dell’Hb. Svantaggi: interferisce con il legame delle biglie magnetiche al DNA nella fase analitica successiva che è l’estrazione. LUMINOL : serve a determinare e rilevare tracce di sangue sulla scena del crimine, anche se questo è stato lavato o rimosso. Usando la proprietà naturale della luminescenza, esso diventa luminescente reagendo con il perossido di idrogeno, mentre il ferro (presente nell’Hb del sangue) funge da catalizzatore. Ha degli svantaggi: necessita di buio totale per vedersi, la luminescenza ha una durata di 30 secondi ed è molto tossico. In alcuni casi è ottimo per vedere se un cadavere è stato trascinato (dinamica dell’omocidio). Le tracce vengono rese visibili sotto forma di aloni con tipica colorazione blu brillante. Tuttavia il LUMINOL reagisce anche con altre sostanze, come rame, candeggina, piante ed alcuni tipi di terreno e ciò dà luogo ai “falsi positivi”. La modalità d’impiego del test del LUMINOL consiste nell’utilizzazione di una soluzione acquosa costituita da una miscela di carbonato di sodio, sodio perborato e luminolo, opportunamente miscelati poco prima del loro impiego; la soluzione che si ottiene, viene quindi vaporizzata sulla superficie sottoposta all’analisi. In alternativa, si può usare il BLUESTAR FORENSIC, il quale è quasi identico al luminol, ma non usa luminolo, quindi è meno tossico e la sua luminescenza dura più a lungo; si può usare anche in presenza di poca luce. È facile da preparare: inserire delle pasticche in apposite boccette e in due minuti ho il preparato da usare sulle superfici. HEXAGON OBTI : è usato come test di conferma, per verificare se la traccia ematica è di origine umana oppure no. Viene inserito in quelli presuntivi, perché può dare “falsi positivi” ma solamente con questi animali: gorilla, tasso e donnola (quindi è poco probabile che siano stati sulla scena del crimine). È un test immuno-cromatografico che utilizza anticorpi specifici per l’emoglobina umana e pertanto il rischio di falsi positivi è molto basso. Come funziona? Abbiamo questa boccetta e strip piccole. Il campione viene inserito nella boccetta al cui interno sono presenti particelle blu (cromogeno) e ANTICORPI ANTI- humanHb. Quindi quando il campione viene inserito, l’Hb si andrà a legare a questi anticorpi, se essa è presente, formando un immunocomplesso. Lo lasciamo incubare per circa 10 minuti, spezziamo successivamente il tappo e facciamo cadere due gocce nella strip. L’immunocomplesso migra verso la zona test, dove è catturato da un secondo anticorpo immobilizzato diretto contro humanHb formando una linea blu di test, indicando un risultato positivo (T). Per confermare la positività del test è necessario che si positivizzi anche la striscia di controllo (C), infatti gli anticorpi con il cromogeno legato che non hanno reagito migrano ulteriormente e sono legati in una seconda linea da anticorpi IgG immobilizzati, contenuti nel fluido biologico ma non specifici per il target desiderato. Questa linea di controllo indica il corretto funzionamento ed utilizzo del test. Possiamo avere 4 risultati : solo C è negativo, C -T è positivo, C -T (chiaro) è positivo, C -T non colorati è test non valido. Il test rivela sangue intero fino a una diluizione di 1:1000000, ma per un risultato positivo sono necessari almeno 500 globuli rossi. C= controllo T= test positivo negativo positivo positivo non valido T C ABACARD HEMATRACE KIT : è simile al test HEXAGON OBTI. Quindi si tratta sempre di un test immuno-cromatografico dove attraverso una reazione antigene-anticorpo rileva l’emoglobina umana. Unico test di conferma è RSID BLOOD TEST : (anche per altri fluidi biologici) utilizza anticorpi monoclonali, presenti nella provetta, diretti contro la glicoforina A, la quale è una proteina integrale di membrana presente nella membrana plasmatica degli eritrociti (specifica per gli esseri umani, quindi non cross-reagisce per altri animali, esempio altri primati). Vantaggi: sensibilità, specificità, velocità. Inoltre, questo test non reagisce con altri fluidi corporei e con il sangue di altri animali (specifico per il sangue umano). È simile a HEXAGON OBTI, in quanto abbiamo un liquido e una card e il risultato può essere positivo, negativo o non valido. Saliva Voglio vedere se sulla bottiglia di plastica c’è saliva. Come faccio? Faccio un tamponamento sul collo esterno ed interno della bottiglia. Saliva presente sul mozzicone di sigaretta : prendo bisturi sterile, eseguo un taglio sulla carta che viene appoggiata alle labbra e la incubo. Nella saliva è presente l’enzima alfa-amilasi, o ptialina (presente anche nel sudore, latte materno, fluido vaginale), il quale appartiene alla classe delle idrolasi, è un enzima digestivo che catalizza l'idrolisi dei legami α-1,4-glucosidici in oligosaccaridi e polisaccaridi, producendo zuccheri semplici. Viene prodotto dalla secrezione sierosa delle ghiandole parotidi sublinguale e submascellare. Un tipo di test presuntivo (solo questi) per la saliva è : RSID SALIVA TEST : (più usato) è specifico per l’alfa-amilasi. Può dare falsi positivi per il sudore o latte materno, ma anche falsi negativi: quantità elevata, in questo caso diluire almeno 1:100. È molto sensibile. Il procedimento è simile agli altri RSID TEST, ovvero è sempre una reazione antigene-anticorpo. È specifico per l’antigene umano salivare (amyA). L’ordine per effettuare il test è: -posizionare una piccola porzione della traccia in una provetta da 1,5 mL -aggiungere 200/300 μl RSID Extraction buffer -incubare 1 o 2 ore a temperatura ambiente -prelevare 20 μl e aggiungerli in una nuova provetta insieme a 80 μl di RSID TBS Running buffer -aggiungere 100 μl nella RSID card -attendere 10 min per leggere il risultato. Da pochi anni hanno creato l’universal buffer (da utilizzare per analisi su sangue, saliva e sperma; prima c’erano i reagenti specifici per ogni fluido biologico) per sangue, saliva e sperma. I vantaggi sono: tramite una sola traccia posso fare tutto. Non è più specifico quindi. Ci sono anche altri test presuntivi come : starch iodine radial diffusion test, phadebas test. Liquido seminale Le tracce di liquido seminale possono essere caratterizzate dalla presenza di : Fosfatasi Acida, enzima secreto dalla prostata nel liquido seminale, viene rilevata attraverso colorazione porpora con l’aggiunta goccia a goccia di alcune sostanze Antigene specifico prostatico (PSA o P30), il PSA/P30 è un enzima prodotto dalle cellule ghiandolari della prostata e secreto nel liquido seminale Semenogelina, proteina secreta nelle vescicole seminali Rilevazione cellule spermatiche. Per il liquido seminali i test presuntivi sono molto vecchi e non più usati (sono esempi acid phosphatase test, abacard PSA/p30 test, seratec PSA semiquant). L’unico test usato è il test di conferma RSID SEMEN TEST: è una reazione antigene-anticorpo, ovvero è specifica per la semenogelina, proteina secreta nelle vescicole seminali. È molto specifico perché non cross-reagisce con altri fluidi biologici e con i fluidi biologici di altri animali (scimpanzè, gorilla, cane, topo ecc.). Sensibilità : si ottiene il profilo genetico da sottoporre ad interpretazione mediante analisi statistica; 7° fase INTERPRETAZIONE DEI DATI Otteniamo quindi il profilo genetico di riferimento della traccia in esame. Ma cosa possiamo fare con questo profilo genetico, che altro non è che una sequenza di alleli dei marcatori? Si può lavorare solo se abbiamo dei profili di riferimento, ad esempio degli indagati se parliamo di ambito penale, andando a ricercare chi sia il contribuente di quella traccia biologica. Possiamo così fare un confronto attraverso calcoli biostatistici. In ambito penale quindi necessito di un confronto: non posso fare nulla con un profilo genetico ottenuto da una traccia altrimenti, se non un calcolo biostatistico per evidenziarne la sua rarità. 3. Estrazione Diverse sono le tipologie di substrati (che possono essere tessuti o mozzicone di sigaretta) e fluidi biologici (saliva, sangue liquido) da cui possiamo estrarre il DNA. Possiamo estrarre DNA anche da campioni o substrati antichi, nonché da ossa o denti. Questi possono dare problemi dovuti soprattutto alla vecchiaia dei reperti: ad esempio, più è vecchio un osso e maggiore sarà la degradazione del DNA. Le problematiche principali sono: DNA degradato, DNA in piccole quantità, presenza di inibitori di PCR come ad esempio muffa. L’estrazione viene effettuata in un laboratorio costituito da stanze chiuse adibite a singole fasi analitiche: l’estrazione viene effettuata in una stanza separata rispetto alla stanza dove viene svolta l’amplificazione, mentre il campionamento (quindi le fasi pre-analitiche del DNA) vengono eseguite in un altro locale posto al piano terra. Lo stesso campione, all’interno del laboratorio, effettua un percorso unidirezionale da una stanza ad un’altra consequenziale rispetto alle fasi analitiche: non può tornare indietro ad esempio dalla corsa elettroforetica all’estrazione. Questo iter permette di garantire sterilità ed evitare contaminazione, perché infatti l’estrazione è la fase più a rischio contaminazione in quanto i campioni contengono una piccola quantità di materiale. Vengono utilizzati DPI e cappe a flusso laminare per garantire la protezione dell’operatore e del campione, in modo da ridurre il rischio di contaminazione. È inoltre importante l’utilizzo di codici univoci in modo da contraddistinguere in modo efficace i campioni l’uno dall’altro (cross contamination). Le problematiche che si possono riscontrare oltre alla contaminazione sono: scambio di campioni, introduzione di DNA esogeno, inibitori di PCR e DNA degradato a causa di colate o altri fattori. Le fasi del processo di estrazione sono 3 : lisi di membrane cellulari mediante l’impiego di reagenti appositi; separazione del DNA dagli altri materiali cellulari; purificazione : diluizione fino ad ottenere nella provetta solo DNA. Esistono due modalità di estrazione : manuale (fino a 10 anni fa, nella genetica forense non molto utilizzata poiché dal dato che c’è tanta manipolazione c’è tanta contaminazione) e automatizzata. Tutte le estrazioni (anche quelle automatiche) necessitano di due componenti principali : SDS (sodio dodecil solfato è un detergente) o DTT (ditiotreitolo è un agente riducente) rispettivamente per lisare la membrana e distruggere i ponti disolfuro delle proteine e la proteinasi K per degradare la componente proteica. Esempi di metodiche di estrazione manuale del DNA sono: ESTRAZIONE ORGANICA : questa metodica permette l’estrazione di un grande quantitativo di DNA, ma presenta diversi svantaggi, come ad esempio l’impiego di sostanze tossiche, tempi lunghi, alto rischio di contaminazione presentando molti passaggi (ridotto con le metodiche automatizzate). Come si effettua? Dopo aver inserito nella provetta la traccia, DTT o SDS e la proteinasi K, il campione viene incubato a 56° (perché la proteinasi K funziona solo a questa temperatura), in un blocco di ferro, in modo da far attivare la proteinasi. In questo modo si lascia libero il DNA. Successivamente si centrifuga e si inserisce fenolo-cloroformio, che serve a separare il nostro DNA dalle altre componenti (è però abbastanza tossico, quindi non si usa più). Alla fine, si inserisce l’etanolo e si centrifuga. Questa precipitazione degli acidi nucleici in etanolo è indispensabile per concentrare le soluzioni di DNA ed eliminare i residui di fenolo-cloroformio che interferirebbero nelle successive analisi molecolari. Poi si rimuove il sopranatante (etanolo+ fenolo-cloroformio) lasciando nella provetta il solo DNA. Per purificare devo inserire un buffer TE (costituito da Tris-HCl + EDTA) per diluire e fare dei lavaggi. Il vantaggio di questa tecnica è l’elevata quantità di DNA che si riesce ad estrarre, mentre gli svantaggi sono l’uso di sostanze tossiche, l’alto rischio di contaminazione e i lunghi tempi di estrazione. CHELEX : il Chelex è una resina a scambio ionico composta da copolimeri di stirene e divinilbenzene contenenti coppie ioniche che fungono da gruppi chelanti, legando ioni metallici polivalenti quali lo ione Ca2+ e lo ione Mg2+. La rimozione del Mg2+ dalla miscela di reazione (che può essere campione o traccia di sangue, saliva, sperma,..), mediante il legame al Chelex, inattiva le proteine che compongono l’architettura cellulare destabilizzando sia l’intera cellula sia le nucleasi, proteggendo in questo modo le molecole di DNA dalla frammentazione (che viene causata dalle nucleasi). Dopo l’aggiunta di Chelex e di proteinasi K il campione viene incubato a 56°C per lisare la cellula, così da permettere la liberazione di DNA, e successivamente posto in acqua bollente per alcuni minuti per inattivare la proteinasi e garantire la completa rottura cellulare. Questo tipo di estrazione rimuove anche gli inibitori di PCR. Inoltre, la reazione si svolge in una singola provetta, riducendo in questo modo il rischio di contaminazione. Vantaggi : è una tecnica economica e che riduce le probabilità di contaminazione. Svantaggi : esposizione a temperature di 100° C, le quali oltre a distruggere la membrana cellulare e le proteine, denaturano il DNA, che resta a singolo filamento a causa del pH alcalino della sospensione con Chelex e di conseguenza inutilizzabile per procedure quali quantizzazione mediante gel di agarosio. FTA PAPER : su supporto di carta METODICA SILICA-BASED : sfrutta l’utilizzo di provette contenenti resina di silice, la quale è in grado di adsorbire acidi nucleici in ambiente salino, e distruggere i legami H denaturando le proteine. Il DNA si lega a queste particelle di silice permettendo un’elevata purificazione del DNA utilizzabile per i successivi step. Vantaggi : è affidabile e rapida, DNA di alta qualità e quantità BIGLIE MAGNETICHE : è una metodica di estrazione in fase solida che prevede l’utilizzo di biglie magnetiche. I reagenti utilizzati sono le proteinasi K (enzima che distrugge la membrana plasmatica), il trioglicerolo e i buffer (fungono da tamponi perché rimangono costanti alle variazioni di pH). Le biglie sono rivestite da una membrana di silice in grado di legare il DNA (DNA carica negativa - silice carica positiva). Si ha una fase iniziale di lisi in cui al campione presente in una provetta viene aggiunto un buffer di lisi. Successivamente si inseriscono le biglie magnetiche all’interno della provetta e le molecole di DNA vengono reversibilmente legate a queste biglie magnetiche. Si pongono le varie provette in uno stand di metallo che presenta un magnete e diversi pozzetti. Grazie alla presenza del magnete avremo una separazione fisica delle biglie dai reagenti, quindi del DNA legato alle biglie magnetiche dalla soluzione sopranatante. Poi si eseguono 4 lavaggi con buffer di lavaggio in modo da operare una purificazione: inserito il buffer, si aspetta che il DNA torni a legarsi alle biglie magnetiche e si preleva il sopranatante (ovvero le impurità) con una pipetta. Avrò al termine solo le biglie nella provetta contenenti il DNA. Aggiungiamo quindi un altro buffer (buffer di eluizione Tris-EDTA) per staccare il DNA dalle biglie e ottenere nuovamente una soluzione liquida e non solida. Quindi si preleva il DNA staccato con una pipetta e si trasferisce questo estratto in una nuova provetta contenente solo il DNA. Queste ultime tecniche, ossia silica-based e le biglie magnetiche, danno massimo successo con i campioni compromessi, cosa che le altre tecniche non fanno e consentono anche un’efficiente rimozione degli inibitori della PCR. Esempi di metodiche automatizzate di estrazione del DNA : riducono la probabilità di contaminazione, è un processo più controllato, non prevedono l’intervento umano. Queste metodiche consentono in tempi molto rapidi l’estrazione simultanea di un numero elevato di campioni con garanzie di massima riproducibilità, qualità e produttività. Il primo esempio di macchinario estrattore del DNA che sfrutta le biglie magnetiche è il BioRobot EZ1. Ne esistono di due tipi che differiscono per la grandezza e quindi il numero di campioni da poter analizzare : EZ1 advanced : può estrarre da 1 a 6 campioni EZ1 advanced XL : può estrarre da 1 a 14 campioni e permette l’utilizzo di due protocolli: DNA INVESTIGATOR CARD e DNA BLOOD CARD. Il secondo esempio di macchinario estrattore del DNA è il Maxwell 16, che come suggerisce il nome può estrarre fino a 16 campioni in circa 30 minuti. Vengono utilizzate per l’estrazione del DNA delle particelle paramagnetiche e la purificazione del DNA è veloce ed efficiente. All’interno dello strumento vanno inserite le cartucce e le provette incubate, ci sono poi provette in cui andrà a finire il DNA eluito. La differenza tra i due estrattori sta nel fatto che nel Maxwell il caricamento dello strumento è più laborioso: devo spipettare il contenuto della provetta incubata all’interno delle cartucce che devo quindi aprire io fisicamente, mentre nell’altro macchinario è lui stesso che attraverso i puntali determina il passaggio dell’incubato nelle cartucce. Il protocollo prevede di: -creare la mix di reazione -miscelare brevemente la mix su vortex -aggiungere 400 μl di mix precedentemente preparata nelle provette contenenti i campioni; -Incubare a 56°C per 30 minuti; -Trasferire la componente solida del campione all’interno delle “DNA IQ Spin Basket”; -Centrifugare; -Rimuovere lo Spin Basket e aggiungere 200 μl di Lysis Buffer. Il campione è ora pronto per l’estrazione con il sistema Maxwell 16. Un altro macchinario per l’estrazione è AutoMate ExpressTM Forensic DNA Extraction System, che sfrutta l’impiego di PrepFiler Express TM Forensic DNA Extraction Kits, il quale trattamento prevede di: -creare il mix di reazione -miscelare il mix su vortex -aggiungere 505 μl nelle provette contenenti i campioni -incubare in un termomixer a 70°C e 750 rpm per 40 minuti Il campione ora è pronto per l’estrazione con il sistema AutoMate Express. È fondamentale seguire anche un bianco di estrazione, in quanto ci permette di dimostrare che il processo è stato svolto correttamente senza rischio di contaminazione. Si possono eseguire anche amplificazioni dirette senza estrazione, prelevando il campione e inserendolo direttamente nel solvente, avviando la PCR (solo cause civili perché ho poco DNA). Cosa particolare è la presenza di un kit specializzato per l’estrazione di DNA da denti (dalla radice del dente) e ossa. Si predilige l’estrazione da un osso piuttosto che da un muscolo poiché si conserva meglio, e può essere utile per l’identificazione di un cadavere. Si usa di solito il femore perché è il più lungo e presenta il maggior quantitativo di DNA. Con un bisturi monouso si inizia a scarnificare e si effettua una pulizia più approfondita con una fresa (rotellina che gira velocissima che permette pulizia). Successivamente si taglia l’osso stando attenti a non generare troppo calore in modo da non degradare il DNA. Una volta ottenuti i frammenti di osso, li pongo in una giara (precedentemente posta in congelatore per evitare riscaldamento) per eseguire polverizzazione ed ottenere una polvere il più fine possibile. Per i denti è necessaria un’iniziale pulizia con acqua e ipoclorito a diverse diluizioni, fino ad utilizzare solo acqua pura. Con una specie di sega taglio la parte della corona perché è ricca di calcio (che è un inibitore di PCR), tengo la radice che devo polverizzare. Abbiamo delle giare con all’interno una sfera di metallo, inserite in un omogeneizzatore che permette di polverizzare sia ossa che denti attraverso una centrifugazione ad alte velocità. Otterrò quindi alla fine polvere da cui eseguirò l’estrazione. KIT DIRECT Per le analisi da eseguire su un tampone (solo per tamponi buccali) posso sfruttare un kit che permette di saltare il passaggio della quantificazione: passo direttamente all’amplificazione ponendo il tampone in SwabSolution. Il buffer che utilizzo mi consente di avere una concentrazione standard di DNA, il quale deve essere fresco e abbondante. Si tende a non farla per le tracce in quanto si perde materiale genetico, mentre è efficiente per i campioni biologici. Un tipo particolare di estrazione è l’estrazione differenziale. Questa permette di differenziare la componente maschile da quella femminile; tecnica utile in casi di violenza sessuale (se già ad esempio dalla fase di campionamento identifico che c’è liquido seminale potrei procedere con questo metodo). Come si effettua? Inserisco la traccia costituita in questo caso ad esempio da cellule epiteliali femminili e cellule spermatiche nella provetta e aggiungo i reagenti (SDS e proteinasi K), incubo a 56°, dopodiché centrifugo. La parte più pesante andrà così sul fondo della provetta: se ho spermatozoi questi costituiranno il pellet (perché queste sono caratterizzate da una maggiore resistenza alla lisi con proteinasi K, poiché questa in condizioni moderate non riesce a rompere i ponti bisolfuro presenti tra le cisteine delle proteine acrosomiche), mentre il sopranatante sarà costituito dalla frazione femminile. Non è una separazione perfetta, ma se preleviamo il sopranatante abbiamo prevalentemente DNA femminile (estrazione porzione femminile), lasciando nel fondo della provetta la frazione maschile. Questa sarà nuovamente risospesa per ottenere l’estrazione della porzione maschile: si aggiunge nuovamente nella provetta contenente il pellet di spermatozoi SDS, EDTA, proteinasi K e DTT, si incuba e centrifuga e infine si rimuove il surnatante contenente il DNA maschile. Questa tecnica non è efficace al 100% in quanto dipende dal tecnico che la esegue.L’estrazione differenziale può inoltre essere applicata a fusti di formazioni pilifere contaminati da liquidi biologici (sangue, saliva, mucosa vaginale). In questo caso, la prima frazione conterrà il DNA dei suddetti fluidi biologici, la seconda il DNA proveniente dal fusto della formazione pilifera. 4. Quantificazione del DNA Fornisce informazioni importanti, per dirigere le successive fasi, quali : determinare la quantità di DNA totale amplificabile presente nel campione; quantificare la componente maschile presente nel campione; indicare se sono presenti inibitori di PCR nel campione; indicare il grado di degradazione del DNA presente nel campione. È importante per determinare la giusta quantità di DNA all’interno della traccia biologica da inserire poi nella PCR, per ottimizzare il processo di amplificazione e quale analisi effettuare. Per ottenere un buon profilo genetico devo inserire adeguate quantità di DNA. Il range ottimale per i kit di amplificazione utilizzati in genetica forense è di 0,5-2 ng di DNA (ogni laboratorio può avere un valore differente in quanto dipende dalla strumentazione ma comunque deve ricadere nell’intervallo). Se 0,5 è il quantitativo ideale di DNA in PCR per il nostro laboratorio, inserisco un microlitro, se il valore è maggiore lo devo diluire mentre se è minore lo devo concentrare di più aggiungendo più microlitri del campione (il coefficiente di diluizione/concentrazione è uguale al quantitativo in microlitri fratto il quantitativo di DNA). Quindi la determinazione della quantità di DNA in un campione è essenziale per la buona riuscita di una analisi mediante tecnica PCR, per la quale una precisa quantità di DNA è più efficace; un eccesso di DNA stampo può portare infatti all’ottenimento di una quantità di prodotti di amplificazione troppo elevata, che potrebbe comprometterne la corretta interpretazione dopo elettroforesi capillare, mentre una ridotta quantità può condurre all’ottenimento di profili incompleti, poiché la polimerasi in tali campioni fallisce nella corretta amplificazione del DNA per effetti stocastici (es. drop-out allelico, sbilanciamento allelico, mancata amplificazione,…). In PCR posso inserire al massimo 24 µL compreso il solvente, e massimo 12 µL di DNA. In caso di un quantitativo in eccesso di DNA possiamo osservare: - sbilanciamento del piccolo dell’eterozigote - pull-up ovvero finti alleli causati dalla sovrapposizione di due colori della curva di fluorescenza - effetti split peaks (+/-A), quando si esegue la PCR infatti per terminare la reazione nell’ultimo filamento amplificato viene inserita una adenina, se si ha un quantitativo in eccesso di DNA l’adenilazione può essere incompleta e osserviamo picchi con più punte - stutter, è un effetto che si verifica sempre (ogni allele è associato a un prodotto piccolo di stutter) ed è dovuto a una delezione causata dallo slittamento di un tetranucleotide, in caso di un eccesso di DNA la stutter aumenta e può essere confusa con un vero allele. Il softwer calcola automaticamente la percentuale di stutter che se minore del 15% mi indica si tratti effettivamente di stutter, se maggiore potrebbe essere un altro allele, la percentuale può essere calcolata come RFU stitter/RFU allele. In caso di quantitativo sub-ottimale di DNA possiamo osservare: - drop-out allelico ovvero la perdita di un allele presente nel profilo genetico, mancata amplificazione di un allele (drop-in è invece la presenza di alleli non presenti), definiamo con soglia stocastica il valore sopra il quale è ragionevole assumere che non si ha fenomeno di drop-out dall’allele fratello (intorno a 200 RFUs) (serve a differenziare gli omozigoti da alleli drop-out) - Sbilanciamento dei picchi dell’eterozigote ovvero picchi eccessivamente bassi Vi sono anche effetti stocastici non dovuti alla quantità di DNA come lo spike ovvero uno sbalzo di corrente indicato anche dallo stesso software avvenuto durante l’elettroforesi e il Dye blob ovvero formazione di bolle, alleli con forma arrotondata dovuti a residui di fluorocromi non legati al primer. La soglia analitica è l’altezza minima per la quale è possibile distinguere un segnale corrispondente ad un allele da un rumore di fondo (intorno a 30 RFUs). In caso di effetti stocastici si riesegue solitamente la PCR con meno o più DNA in base alla situazione, se continua a ottenere effetti stocastici potrebbe esserci un errore nella quantificazione. Una ripetizione dell’analisi però comporta un aumento dei costi e un ritardo nella consegna, più tempo si impiega e minore è la possibilità di trovare l’imputato. Nel caso della PCR l’effetto stocastico rappresenta la possibilità che le sequenze di DNA non siano state ugualmente amplificate durante la fase di amplificazione della PCR, ovvero ci possono essere ad esempio sequenze di DNA maggiormente amplificate di altre, oppure per effetti casuali ho una minore amplificazione di altre sequenze di DNA. La quantificazione mi permette di sapere il quantitativo di DNA che è presente nella traccia in esame. La tecnica che utilizziamo per la quantificazione del DNA oggi in ambito forense non è spettrometria (spettrofotometro), perché la quantità che abbiamo è troppo piccola per essere misurata, inoltre è aspecifica, ovvero non permetterebbe di discriminare la specie a cui appartiene il DNA. Il mio obiettivo è produrre un profilo genetico, per fare ciò devo amplificare il DNA, ma devo avere a disposizione del materiale genetico che si amplifichi (DNA non degradato). La PCR Real Time quantifica esclusivamente DNA umano. Con questa posso determinare la quantità e la qualità del materiale genetico (sessuale e autosomico con delle sonde specifiche) che vado ad utilizzare nella mia analisi, in tempo reale. “Real Time” perché analizza di ciclo in ciclo la variazione del segnale fluorescente durante (ovvero è la fluorescenza emessa dalla sonda) una reazione di amplificazione (processo dinamico, quindi significa che ad ogni ciclo aumenta la quantità di fluorescenza che è proporzionale al numero di templati che sto producendo, e questa quantità è proporzionale all’altezza dei picchi che avrò nel profilo). La PCR real time la faccio su un’aliquota di campione. La strumentazione per Real-time PCR utilizza per i calcoli quello che viene definito Cycle threshold (Ct o ciclo soglia) che è il ciclo di amplificazione nel quale la fluorescenza supera un valore soglia che rappresenta il rumore di fondo osservabile anche nei primi cicli di amplificazione. Minore è il numero di cicli necessari a superare questo valore e maggiore sarà stato il numero di molecole di DNA sottoposto a reazione di PCR e, di conseguenza, maggiore sarà anche la concentrazione di DNA amplificabile presente inizialmente nel campione. Quindi per ogni campione ottengo una curva di amplificazione il cui Ct è inversamente proporzionale alla quantità di DNA stampo iniziale. Tale analisi si effettua in un’unica provetta, con il vantaggio di evitare rischi di cross-contaminazione dovuti all’apertura della stessa. Devo avere un sistema di riferimento per verificare l’andamento di un campione che non conosco in riferimento a uno che conosco. Faccio una curva standard e vedendo in che modo si linearizza. Se sbaglio la relazione tra standard di riferimento e campione, sbaglio le analisi. Il grafico va fatto a ogni nuovo campione per verificare l’attendibilità della macchina. Sono stati proposti differenti approcci per l’esecuzione della Real-time PCR dei quali i più comuni prevedono l’utilizzo di sonde che hanno complementarietà con quella specifica regione che voglio amplificare. Tipi di sonde sono: SYBR Green, TaqMan, Sonde FRET e Molecular Beacons. La SYBR si lega al doppio filamento del DNA e la sua fluorescenza aumenta dopo il legame al dsDNA (prodotto della PCR). La TaqMan è un tipo di sonda marcata con due differenti coloranti che emettono fluorescenza a diverse lunghezze d’onda. Serve per aumentare la specificità della RT-PCR. È costituita da un oligonucleotide lineare 25-28 pb complementare alla regione target da amplificare. Questa sonda è costituita da una specifica sequenza di DNA alle cui estremità sono legati un colorante Reporter (R) e un Quencher (Q), rispettivamente in 5’ e in 3’. Di questi due fluorocromi uno è definito donatore (R), perché è un fluorocromo ad alta energia in grado di emettere fluorescenza se eccitato da una sorgente laser, mentre l’altro accettore (Q), perché è un fluorocromo a bassa energia che spegne la fluorescenza emessa dal reporter per effetto di risonanza. Se lo spettro di emissione del donatore si sovrappone a quello di assorbimento dell’accettore e se le due molecole si trovano in stretta vicinanza, il donatore quando eccitato non emette luce ma trasferisce l’energia all’accettore per risonanza, tale processo viene definito FRET (Fluorescence Resonance Energy Transfer, trasferimento di energia per risonanza dovuta a fluorescenza). Ne consegue che finché la sonda è intatta e il Reporter è in prossimità del Quencher, il trasferimento di energia tra i due coloranti risulta in un annullamento della fluorescenza del Reporter. Pertanto, a ogni ciclo, dopo irradiazione del campione viene emessa una fluorescenza in quantità proporzionale al DNA target che diviene così facilmente quantificabile. La Taqman presenta una temperatura di annealing maggiore rispetto ai primer, in modo da ibridarsi con la sequenza target una volta iniziata la fase di polimerizzazione. La sonda può essere modificata chimicamente al 3’ con un gruppo MGB (Minor Groove Binder), il quale determina un aumento della temperatura di annealing, aumentando ulteriormente la specificità della sequenza target. Durante la polimerizzazione, la sintesi del filamento complementare degrada le sonde TaqMan ibridate alla sequenza bersaglio, grazie all’attività 5’-esonucleasica della Taq polimerasi, e il Reporter così rilasciato (libero quindi dal legame al Quencher) può emettere fluorescenza rilevabile. Quindi osservo una fluorescenza che è direttamente proporzionale all’aumentare del numero di ampliconi che produco: si rompono tante sonde quanti sono gli ampliconi che produco. Si mette un eccesso di sonda, il che non costituisce un problema poiché emettono fluorescenza solo quelle che si rompono (per azione della Taq polimerasi). Servono quindi dei primer: uno su un filamento, uno sull’altro filamento complementare + una SONDA (TaqMan), al centro, complementare alla regione compresa tra i due primers, che identifica quindi la specifica regione di DNA da amplificare. I primi cicli non emettono fluorescenza in quanto la quantità di materiale è troppo bassa, quindi la fluorescenza emessa dal sistema è troppo esigua. Successivamente si raggiunge il ciclo soglia (Ct), ovvero il ciclo di amplificazione oltre il quale si inizia a rilevare fluorescenza. 1. La PCR Real Time è caratterizzata da 4 fasi : 2. Fase di LATENZA : la quantità di DNA raddoppia ad ogni ciclo ma non in quantità sufficiente a dare un corrispondente aumento del segnale (la quantità di DNA aumenta talmente poco che la macchina non lo apprezza) e sono i primi 1-20 cicli; 3. Fase ESPONENZIALE : accumulo del prodotto in maniera esponenziale e la reazione in questa fase è molto specifica e precisa (20-27 cicli)--> N=No*2^n dove N è il numero di ampliconi, No è il numero iniziale di molecole, 2 è dato da (1+E) dove E nella fase esponenziale esponenziale corrisponde ad 1 in quanto l’efficienza della reazione è prossima al 100%, n è il numero di cicli. 4. Fase LINEARE : consumo lineare dei reagenti con rallentamento della reazione di PCR e perdita dell’andamento esponenziale (27-35 cicli); 5. Fase di PLATEAU : saturazione dei reagenti e conseguente blocco della produzione di amplificati (36esimo ciclo e fine della reazione). SOGLIA DI SENSIBILITA DELLO STRUMENTO Il numero di cicli necessario per raggiungere il ciclo soglia dipende dalla quantità di materiale presente all’inizio: quanto prima raggiungo il numero di ampliconi necessari per registrare fluorescenza (quindi il Ct è basso), tanto maggiore è il quantitativo di materiale iniziale amplificabile. Attraverso questo sistema è possibile quindi capire quanto materiale c’è a seconda di quanto prima superiamo la soglia: meno cicli servono per osservare fluorescenza, maggiore è la concentrazione del DNA iniziale amplificabile presente nel campione (ad es. su 5 campioni diversi quello più concentrato è quello che raggiunge una maggiore fluorescenza con minor numero di cicli). Per determinare il quantitativo di DNA uso delle curve standard (o anche denominate curve di calibrazione) costruite a partire da diluizioni seriali di DNA standard a concentrazione nota presente nel kit di quantificazione. Se la curva standard è lineare e i parametri della retta sono accettabili si può procedere alla valutazione delle concentrazioni di DNA dei campioni sottoposti ad analisi. Infatti, questa curva standard viene usata per calcolare le concentrazioni del templato nel campione, ovvero in base ai Ct registrati per i vari campioni sottoposti ad analisi (asse y), intersecando la retta di regressione del DNA a concentrazione nota, il punto che trovo sulla retta corrisponderà ad una determinata concentrazione di DNA (asse x). Ad esempio, se per un campione ho registrato un Ct di 25, da questo punto interseco la retta e spostandomi sull’asse delle x vedo a quale concentrazione di DNA corrisponde, in questo caso corrisponde a 3 ng. Se osservo nel mio campione una concentrazione di DNA troppo elevata si esegue una diluizione del campione; al contrario si effettua una concentrazione se la concentrazione di DNA del mio campione è troppo bassa; il tutto per garantire concentrazioni ottimali da inserire per la reazione. Le curve standard devono essere costruite bene: deve registrarsi una linearità al variare delle concentrazioni di DNA. La retta di regressione della curva di calibrazione viene calcolata dal software di analisi con i punti degli standard di quantificazione. La formula è Ct=m(log(DNA))+b, dove m è la pendenza e b è l’intercetta sull’asse delle y. Questa retta è caratterizzata da : pendenza (slope) : ossia il coefficiente angolare (m) della retta di regressione, indica l’efficienza del processo di amplificazione. Una pendenza pari a -3,3 indica efficienza del processo pari al 100. R^2 : misura la correlazione tra la retta di regressione e i punti degli standard di quantificazione. Un valore pari a 1.00 indica una perfetta correlazione tra la retta di regressione e il dato della reazione. Un valore ≥ 0.99 indica una stretta correlazione tra la retta di regressione standard e il dato della reazione della quantificazione. Tutto ciò è finalizzato ad ottenere un buon prodotto di amplificazione per la tipizzazione e costruzione di un profilo genetico. Esistono diversi kit di quantificazione, che si differenziano per la regione di DNA che deve essere analizzata e quindi per la sonda utilizzata. Tra questi abbiamo il Quantifiler Duo che prevede l’impiego di : Human Target: sonda che determina la quantità di DNA autosomico Human Male Target: sonda che determina la quantità della componente maschile IPC (Internal PCR Control): permette di valutare la presenza di inibitori di PCR nel campione, la funzionalità dei reagenti utilizzati per la reazione e la validazione dei risultati negativi Un altro kit di quantificazione molto usato è il Quantifiler Trio che prevede l’impiego di: 2 sonde per il DNA autosomico: una piccola (SA) e una più grande (LA). Si sfrutta il rapporto tra la concentrazione degli ampliconi ottenuti da SA e da LA per valutare il grado di degradazione del DNA presente nel campione: maggiore sarà la quantità di DNA ottenuto dalla sonda piccola rispetto alla grande, maggiore sarà la degradazione; Y chromosome Target: determina la presenza e la quantità della componente maschile del DNA in esame; IPC (Internal PCR Control): sequenza di DNA sintetico che permette di valutare la presenza di inibitori di PCR nel campione, la funzionalità dei reagenti e la validazione dei risultati negativi. Ho quindi alla fine di tutto questo processo informazioni sulla degradazione e quantità di DNA, nonché sulla presenza di inibizione. 5. Amplificazione del DNA e corsa elettroforetica PCR (Polymerase Chain Reaction) È una tecnica di biologia molecolare che serve per amplificare un frammento di DNA. Per amplificazione si intende che a partire da una singola copia o da un numero di copie molto ridotto di DNA, dopo la PCR si ottengono numerose copie di quella determinata sequenza. Nella PCR i prodotti vengono analizzati una volta completata la reazione (processo statico) e la separazione del prodotto di amplificazione avviene mediante elettroforesi su gel oppure tramite elettroforesi capillare. Nella RT-PCR invece i prodotti vengono analizzati durante il processo di amplificazione (processo dinamico) e si misura la fluorescenza emessa ciclo per ciclo. È una sintesi di DNA in vitro quindi si fa avvenire all’interno di una provetta (DNA eterogeneo) ciò che nelle nostre cellule avviene naturalmente quando si replica il DNA. Come per tutte le reazioni viene condotta da un enzima che è la DNA polimerasi termostabile (cioè resistente alle alte temperature) in particolare denominata Taq Polimerasi. Reagenti Devono essere inseriti all’interno di una provetta (100 microL) per far avvenire questa reazione. Questi sono : DNA stampo : può essere presente in singola copia, può essere una sequenza molto complessa o molto breve e deve essere a doppio filamento Enzima (Taq Polimerasi) : è una particolare tipologia di DNA polimerasi estratta dal batterio termofilo Thermus aquaticus (batterio capace di vivere ad elevate temperature) Primers : sono coppie di oligonucleotidi a singolo filamento che si appaiano (quindi complementari) all’estremità della sequenza che si vuole amplificare della molecola di DNA stampo. Sono degli inneschi della reazione di polimerasi, ovvero forniscono un 3’OH al quale la polimerasi legandosi inizierà ad aggiungere i nucleotidi. Sono responsabili della specificità dell’amplificazione. Nucleotidi : che la polimerasi aggiungerà uno ad uno e devono trovarsi nella forma di deossinucleosidi trifosfato (dNTP) Buffer : è un tampone, il quale garantisce che la reazione venga condotta a pH stabile. Solitamente, oltre a dNTP contiene MgCl2 (cloruro di magnesio), ma se non c’è occorre aggiungerlo poiché l’MgCl2 è un cofattore della DNA polimerasi e importante anche per l’appaiamento dei primers a livello del sito specifico del filamento stampo. Un’elevata concentrazione di ioni magnesio riduce la specificità di appaiamento dei primer, mentre una ridotta concentrazione determina una minore funzionalità della DNA polimerasi e la taq polimerasi. Acqua distillata Ora si farà partire la reazione e quindi si inserisce la provetta in una macchina denominata termociclatore. La reazione di amplificazione è suddivisa in 3 fasi : Denaturazione (94-99°C) : è la fase in cui la molecola di DNA stampo a doppio filamento viene divisa nei due filamenti complementari. Questa fase viene condotta a temperature molto elevate perché in questo modo il calore fornisce l’energia per la rottura dei legami H e di tutte le forze idrofobiche che tengono insieme la doppia elica Annealing/Appaiamento (30-65°C) : è la fase in cui i primers si appaiano specificatamente alle sequenze complementari sul DNA stampo. Questa fase viene condotta ad una temperatura variabile a seconda della composizione in base dei primers Estensione/Allungamento (65-72°C) : è la reazione vera e propria ossia l’amplificazione della sequenza specifica. È in questa fase che la Taq Polimerasi aggiunge via via i nucleotidi a partire dal 3’OH libero dei primers, sulla base della complementarietà del filamento stampo. Queste 3 fasi (che costituiscono 1 ciclo di PCR) vengono ripetute a catena per un numero molto elevato di cicli. Generalmente, vengono eseguiti circa 25-30 cicli. Quindi se nel primo ciclo si parte da una sola molecola di DNA stampo, nel secondo ciclo se ne ottengono 2, nel terzo se ne ottengono 4, nel quarto se ne ottengono 8 e così via, facendo questo calcolo : 2^n dove n è il numero di cicli. Scelta dei primers L’operazione di scelta dei primers per amplificare una specifica sequenza del DNA stampo deve essere svolta giorni prima di effettuare la reazione. Bisogna quindi conoscere le estremità della sequenza da amplificare sulla quale andranno posizionati i primers. Bisogna tenere conto anche della composizione in basi dei primers ed, inoltre, le temperature di annealing di entrambi i primers di una coppia devono essere paragonabili. Questo è importante perché se uno dei due primers ha una temperatura di annealing troppo elevata e l’altro troppo bassa, quando la temperatura scende dalla fase di denaturazione alla fase di annealing, il primer che ha una temperatura troppo elevata si appaierà prima e di conseguenza la sintesi dei nuovi filamenti potrà avere una cinetica diversa nei due filamenti. Questa temperatura si calcola attribuendo 2° per i nucleotidi A e T e 4° per i nucleotidi G e C. Inoltre, prima di partire con la PCR bisogna verificare che i primers non facciano reazioni aspecifiche e quindi non ci devono essere appaiamenti aspecifici. Non ci devono essere appaiamenti intramolecolari, ovvero non devono essere in grado di generare strutture secondarie per complementarietà interna, altrimenti si potrebbero ripiegare su se stessi formando delle strutture a forcina e in questo modo non sarebbe possibile far avvenire la reazione. La reazione di amplificazione dei microsatelliti del DNA nelle indagini forensi: amplificazione mediante PCR multiplex (utilizzo simultaneo di più marcatori). Le applicazioni della reazione a catena della polimerasi non risiedono solo nella sua capacità di produrre molteplici copie di una regione di DNA, ma anche nella possibilità di farlo simultaneamente con più sequenze target. Questo processo di co- amplificazione viene comunemente definito “multiplex PCR” (PCR multipla) e per essere eseguito richiede la semplice aggiunta alla miscela di reazione di più di una coppia di primers, che devono però essere compatibili; le loro temperature di annealing devono cioè necessariamente essere simili e non devono inoltre essere presenti regioni di complementarietà fra questi oligonucleotidi di innesco che potrebbero impegnarli a generare dimeri, sottraendoli quindi alla reazione di amplificazione della sequenza bersaglio (essendo un processo che richiede variazioni di temperatura si utilizza un termociclatore). L’ottimizzazione di una reazione di PCR multipla è quindi molto più difficoltosa di quella di una reazione in singolo, in quanto più eventi di annealing devono avvenire simultaneamente per produrre ampliconi fra loro bilanciati. La Small Autosomal (SA) Target ci permette di determinare la quantità di DNA umano. La Large Autosomal (LA) Target viene utilizzata come indicatore del grado di degradazione del DNA presente nel campione. Il rapporto tra SA e LA ci permette di calcolare l’indice di degradazione di DNA presente nel campione: SA/LA (se il valore è 1 la degradazione è ottimale, tra 1 e 10 è moderata, ma la PCR è ancora attuabile e un valore uguale a 10 indica DNA degradato sul quale non è possibile effettuare la PCR). Per scopi identificativi in genetica forense è importante analizzare nel minor tempo possibile dei markers di DNA altamente informativi in grado di discriminare campioni spesso degradati o comunque difficili da trattare. I polimorfismi usati nelle indagini forensi sono costituiti dagli Short Tandem Repeats (STRs), polimorfismi di lunghezza la cui ridotta taglia (100-400 bp) ne consente l’amplificazione in multiplex. L’ostacolo maggiore nell’allestimento di PCR multiple è però rappresentato dal numero totale di loci analizzabili simultaneamente; il disegno dei primers deve infatti consentire un’adeguata separazione degli ampliconi generati per poter esaminare correttamente tutti i loci senza sovrapposizioni. Quasi tutti i moderni kit commerciali per la tipizzazione di STRs hanno ovviato a questo inconveniente grazie all’impiego di primers marcati con fluorocromi. Questo ha permesso di poter amplificare simultaneamente microsatelliti di dimensioni sovrapponibili utilizzando coloranti differenti che vengono poi separati da opportuni filtri ottici. Componenti dei Kit di amplificazione I kit di amplificazione consentono in un’unica reazione di amplificare i 13 loci STR del CODIS. Questi kit contengono : Primer Mix: contiene oligonucleotidi disegnati per amplificare il set di loci STR predisposto (un primer per ogni paio è etichettato con una fluorescenza) Master Mix: contiene deossinucleotidi trifosfati, MgCl2 e altri reagenti necessari alla performance di PCR DNA polymerase: spesso contenuta direttamente nel PCR buffer Positive Control: DNA noto Problemi in ambito forense nella PCR multiplex : Inibitori di PCR : presenza di inibitori : i reperti biologici possono essere ematina (gruppo eme) : proveniente dal sangue mescolati con inibitori della PCR di tipo organico ed inorganico melanina : proveniente da tessuti e capelli che non sempre vengono eliminati efficacemente negli step di polisaccaridi : proveniente materiale vegetale e feci purificazione del DNA. La presenza di inibitori limita l’attività urea : proveniente dall’urina della polimerasi con conseguente produzione di profili incompleti collagene : proveniente dai tessuti per la perdita dei loci a più alto peso molecolare mioglobina : proveniente dal tessuto muscolare contaminazione in laboratorio o in fase di repertazione : a ioni Ca2+ : provenienti dalle ossa causa della sua elevata sensibilità, la PCR presenta un forte problema legato alla contaminazione, in misura tanto maggiore quanto più il DNA in esame è scarso e/o degradato. Per questo motivo sono importanti alcuni accorgimenti da usare : utilizzare guanti monouso e mascherine (in lab e in repertazione), la strumentazione e gli spazi pre- e post- PCR devono essere separati, utilizzare puntali monouso con filtro, irradiare con UV l’area dedicata alla preparazione della PCR, creare un database di profili genetici del personale del laboratorio presenza di DNA altamente degradato PCR multiplex Tipizzazione in genetica forense Il principio cardine della genetica forense è il concetto dell’identificazione personale, che presuppone la possibilità di discriminare un individuo dall’altro -> individualizzazione. Concetti generali : diversità genetica Dovuta a 2 eventi che si verificano nel processo di divisione delle cellule germinali (meiosi) : assortimento indipendente dei cromosomi, ovvero in metafase I ogni cromosoma di origine paterna e materna ha identiche probabilità di allinearsi da una parte o dall’altra della piastra metafisica (ciò è alla base dell’assorbimento indipendente dei geni - seconda legge di Mendel) crossing-over, ovvero è uno scambio fisico reciproco di segmenti cromosomici localizzati nella stessa posizione tra la coppia di omologhi Quindi ogni cellula figlia possiede un patrimonio genetico diverso mutazione del DNA Qualsiasi cambiamento nella sequenza nucleotidica in un singolo nucleotide (sostituzioni, inserzioni e delezioni) in più basi : inserzioni, delezioni, duplicazioni e inversioni di paia di basi o di regioni lunghe alcune megapaia di basi Portano a : espansione o contrazione nel numero di elementi di DNA ripetuti in tandem inserzioni di elementi trasponibili traslocazioni di segmenti cromosomici qualsiasi tipo di anomalie nel numero dei cromosomi (aneuploidia, mixoploidia, poliploidia) cariotipo umano I cromosomi in una cellula umana sono 46 (23 coppie) dove : 22 coppie di autosomi 1 coppia di cromosomi sessuali -> XX femmine, XY maschi Per ogni coppia, un cromosoma viene ereditato dalla madre e uno dal padre. il DNA è polimorfo Per ogni gene sono presenti due forme alternative dette alleli. Ogni allele occupa su cromosomi omologhi lo stesso locus Polimorfismi Un polimorfismo del DNA consiste in una delle due o più forme alternative (alleli) potenzialmente presenti in un locus cromosomico, che differiscono per la sequenza nucleotidica (es. SNP) oppure hanno un numero variabile di unità nucleotidiche ripetute in tandem. Questa definizione introduce il concetto che un allele non è solo la forma alternativa di un gene, poiché un polimorfismo del DNA può essere ovunque nel genoma, non necessariamente in un gene. Quindi ogni posizione cromosomica può essere considerata un locus e, nella popolazione, possono esserci una o più differenze nella sequenza corrispondente ad essa (N.B. in un individuo diploide però le forme alleliche per un singolo locus saranno sempre al massimo due). Il polimorfismo viene definito anche come : quando nella popolazione esistono almeno due forme alleliche e l’allele più raro è presente con una frequenza superiore all’1% (altrimenti viene definito variante). Esistono due tipi di polimorfismi : polimorfismi di sequenza : dovuti a mutazione di una o più basi in un tratto di DNA. Quando i polimorfismi variano in un’unica base si parla di Polimorfismi a Singolo Nucleotide o SNP polimorfismi di lunghezza : regioni di DNA di lunghezza variabile dovuta a un numero variabile di unità ripetute in tandem contenenti le basi azotate A, G, C, T e possono essere minisatelliti oppure microsatelliti (o STR). Molti polimorfismi del DNA sono utili negli studi di mappatura genetica e nella tecnica di tipizzazione del DNA e per questo sono chiamati marcatori del DNA. Sono divisi in : Marcatori autosomici STR (Short Tandem Repeats o microsatelliti) I polimorfismi maggiormente utilizzati oggi nelle indagini genetico-forensi sono i marcatori STR (short tandem repeats o microsatelliti). Sono piccoli, quindi in grado di marcare anche il DNA degradato, ipervariabili, numerosi e presenti in tutto il genoma e fanno parte dei marcatori autosomici (ovvero selezionati su cromosomi non sessuali) insieme agli SNP. Sono specifiche regioni del DNA non-codificante costituite dalla ripetizione in successione o in tandem (un numero variabile di volte) di unità monorimeriche ognuna costituita da 2 a 6 basi azotate. Le regioni fiancheggianti tali ripetizioni sono conservate entro la specie e spesso anche tra le specie. Il susseguirsi di queste unità ripetitive costituisce la cosiddetta “regione ripetuta” del microsatellite ed è proprio il numero di ripetizioni che varia da un individuo all’altro e che costituisce la base del polimorfismo che li rende utili nell’identificazione umana. Questi mostrano un elevato grado di polimorfismo nella popolazione umana in quanto il numero di ripetizioni all’interno di uno specifico locus può variare da individuo a individuo a causa di un meccanismo noto come scivolamento (slippage) della replicazione. Per questo vengono usati come marcatori dell’individualità genetica nel cosiddetto “test del DNA” che viene oggi normalmente utilizzato dalla polizia scientifica per scoprire gli autori dei crimini. Infatti il vantaggio di utilizzare questi marcatori sta nel fatto che si possono analizzare molto rapidamente, sono molto abbondanti, variabili tra gli individui, possiamo riconoscere facilmente gli alleli e possono essere analizzati con frammenti molto piccoli di DNA. Gli STRs possono essere facilmente amplificati tramite la reazione a catena della polimerasi (PCR). Questa produrrà frammenti di DNA di dimensioni diverse che comprendono la regione ripetuta dell’STR e il DNA compreso tra i primer utilizzati nella PCR e gli STR. Questo approccio può distinguere gli individui omozigoti da quelli eterozigoti e può definire il numero reale di copie di ogni ripetizione e questi risultati sono definiti dalle lunghezze dei frammenti di DNA amplificati (osservati mediante elettroforesi su gel di agarosio). Gli STR sono utilizzati in genetica per identificare i geni di una malattia, effettuare una diagnosi diretta, informatività diagnosi prenatale, screening rapido dei cromosomi (numero dei cromosomi) per vedere se ci sono aneuploide, diagnosi di UPD (è una patologia che si ha quando i cromosomi vengono ereditati entrambi dallo stesso genitore), diagnosi di zigosità, accertamenti di parentela (vedo i cromosomi da chi vengono). Tra i vari tipi di STRs esistenti, quelli costituiti da ripetizioni tetranucleotidiche (ovvero presentano 4 nucleotidi in ogni unità ripetitiva) sono più utilizzati in ambito forense rispetto a quelli con ripetizioni dinucleotidiche o trinucleotidiche. Anche se il numero di nucleotidi in ogni unità ripetitiva nella regione ripetuta è maggiore di 4, sarà comunque minore la probabilità di riscontrare artefatti. Se avessimo usato marcatori più grandi le dimensioni sono eccessive, se usassimo i più piccoli può esserci formazione di stutter, ovvero artefatti naturali dell’STR prodotti durante la PCR. Le stutter possono essere una ripetizione di più o una di meno rispetto all’unità ripetuta e si formano per introduzione casuale di una ripetizione o per escissione di una di esse. Alcuni microsatelliti presentano alleli che contengono delle unità ripetitive incomplete, ossia che mancano di una o due basi rispetto all’originale sequenza dell’unità ripetitiva. Si parla in questo caso di alleli non-consenso o microvarianti. L’esempio più comune di microvariante è l’allele 9.3 del microsatellite chiamato TH01, che contiene nove ripetizioni tetranucleotidiche e una ripetizione incompleta costituita da tre nucleotidi. Riguardo la nomenclatura dei marcatori, se il marcatore cade all’interno di un gene (regione intronica) prenderà il nome del gene, ad esempio TH01, dove 01 sta per l’introne all’interno del quale quel microsatellite è stato identificato; se il marcatore si trova fuori dal gene, esso viene designato in base alla posizione cromosomica, ad esempio D16S539: D -> marcatore di una sequenza del DNA 16 -> si trova sul cromosoma 16 S -> sequenza specifica presente in copia singola in corrispondenza del sito 539 -> 539esimo locus descritto sul cromosoma 16 (numero in base alla cronologia di scoperta, non per la posizione). Nei quadranti successivi, le altre lettere indicano i geni all’interno dei quali si trovano i marcatori (es. AMEL è amelogenina, cioè il marcatore per l’identificazione del sesso) 13 microsatelliti del CODIS Nel 1996, l’FBI Laboratory sponsorizzò un vasto progetto per la determinazione di un gruppo di STRs da poter utilizzare nell’allestimento del database nazionale del DNA, ovvero il Combined DNA Index System (CODIS). Il progetto, terminò nel Novembre del 1997 con la scelta di 13 loci (elencati nella figura). Un genotipo ottenuto tipizzando i 13 microsatelliti del CODIS consente di identificare in maniera inequivocabile il soggetto a cui esso appartiene. Questi loci sono facilmente tipizzabili utilizzando i numerosi kit disponibili in commercio. Diverse ditte specializzate hanno infatti prodotto diversi kit che consentono l’amplificazione contemporanea dei microsatelliti del CODIS in poco tempo partendo da meno di 1 ng di DNA stampo. SNP (Single Nucleotide Polimorfisms) È un tipo di polimorfismo genetico caratterizzato da variazioni nella sequenza di DNA che frequentemente sono a carico di una singola base della catena polinucleotidica. Caratteristiche : basso potere discriminativo utilizzati in campioni altamente degradati possiedono solo 2 alleli dello stesso peso molecolare -> marcatori biallelici sono meno informativi (invece gli STRs sono piu’ polimorfici) è necessario un elevato numero di SNPs per ottenere un’identificazione (25-45 SNPs) sono spesso contenuti nei geni espressi ne servono molti di più in fase di genotipizzazione numerosità (sono milioni) sono visualizzati attraverso sequenziamento di prodotti di PCR di campioni di DNA Marcatori di discendenza Tramite questi non si identifica un soggetto, ma una successione genealogica, ovvero è un’analisi accessoria che mi permette di escludere un soggetto o di rafforzare la mia ipotesi. I marcatori di discendenza sono presenti sul : Cromosoma mitocondriale -> trasmesso solo dalla madre Cromosoma X Cromosoma Y -> trasmesso solo dal padre Oltre ai microsatelliti localizzati sui cromosomi autosomici, ci sono altri microsatelliti che sono localizzati sul cromosoma Y, che hanno quindi un’ereditarietà esclusivamente paterna e che vengono molto spesso utilizzati in vari campi della genetica forense, tra cui l’accertamento di paternità e la ricostruzione di linee parentali. Ci sono anche microsatelliti localizzati sul cromosoma mitocondriale, il quale è considerato la controparte femminile del cromosoma Y in quanto viene ereditato esclusivamente per via materna. I marcatori presenti su questi due cromosomi sono definiti aploidi. L’assenza di ricombinazione (a livello degli STR e SNP) fa sì che il cromosoma Y e il cromosoma mitocondriale vengano trasmessi in modo inalterato alle generazioni successive, a meno che non si verifichino eventi mutazionali. Entrambi possono essere quindi utilizzati come marcatori per la ricostruzione di linee parentali, rispettivamente paterne e materne, che vengono spesso effettuate in ambito forense. Cromosoma Y Lo studio del cromosoma Y rappresenta un metodo fondamentale per la genetica forense nell’individuazione del materiale biologico di provenienza maschile. Il cromosoma Y umano è : un piccolo cromosoma acrocentrico lungo circa 65 milioni di pb presenta 90 geni m

Use Quizgecko on...
Browser
Browser