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RosyDanburite143

Uploaded by RosyDanburite143

London School of Hygiene and Tropical Medicine, University of London

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STORIA LINGUA ITALIANA RIPASSO DAL LATINO L'alfabeto latino è molto simile a quello italiano. Composto da 24 lettere con aggiunta di K, X, Y. La pronuncia corrisponde a quella italiana, con poche eccezioni: - v = usata sia...

STORIA LINGUA ITALIANA RIPASSO DAL LATINO L'alfabeto latino è molto simile a quello italiano. Composto da 24 lettere con aggiunta di K, X, Y. La pronuncia corrisponde a quella italiana, con poche eccezioni: - v = usata sia per v che per u (es. DIVUS = "divino") - y = si pronuncia i (es. tyrannus) > molte parole latine sono diventate italiane (apocope) - ph = si pronuncia f (es. Phylippus) - gruppo ti = quando è seguito da vocale non accentata si pronunciava zi. Nel passaggio all'italiano questa pronuncia si è mantenuta (es Latium, oggi chiamato infatti Lazio) ma si conservava solo in 2 casi: 1. sulla i cade l'accento - totius 2. se prima della t c'era una s oppure una x - hostia Queste eccezioni (insieme alle vocali) mi permettono di leggere bene le parole latine. DIFFERENZA TRA GRAFEMA E FONEMA - grafema = segno, simbolo a cui le comunità hanno associato un fonema. Il sinonimo è lettera. - fonema = suono che insieme ad altri suoni formano una parola. es. "cane" è formata da 4 fonemi - c, a, n, e - e da 4 grafemi (=lettere) - c, a, n, e. Non sempre in italiano i grafemi e i fonemi corrispondono. Quanti grafemi compone la parola famiglia? Formata da: - 8 grafemi - 6 fonemi - perché il suono gli in realtà corrisponde a un solo fonema ** apocope = caduta di un corpo fonico (di una lettera o una sillaba) alla fine della parola. Es Elisa - la forma apocopata diventa Eli - cade l'ultima sillaba. VOCALI. Erano a, e, i, o, u, y. Si pronunciano come nella lingua italiana, bisogna fare attenzione ai dittonghi perchè si scrivono in un modo e si pronunciano in un altro: - au = si legge au - aurum - eu = eu - ae = si legge e - caelum (si legge celum) - oe = si legge e - Oedipus (si legge Edipus) In molte parole però ae e oe non formano un dittongo, ma uno iato (due sillabe distinte) e in questi casi si usa la dieresi - es. poeta, aer (=aria) leggo "aer" non "er" perchè è uno iato. DIFFERENZA DITTONGO - IATO DITTONGO = unione di due fonemi che vengono articolati insieme con una sola emissione di fiato - es. piede IATO = unione di due fonemi che vengono pronunciati con emissioni di fiato distinto - es. leone. QUANTITA' DI SILLABE E REGOLE DELL'ACCENTO. Il latino aveva un sistema basato sulla quantità vocalica, cioè prevedeva la presenza di sillabe lunghe e sillabe brevi (mentre il nostro sistema è basato sul timbro). La quantità è la durata di pronuncia di una sillaba. Le sillabe lunghe venivano pronunciate con un tempo doppio rispetto le brevi. Infatti le vocali possono avere due accenti (lungo o breve). Non tutte le vocali hanno indicata la quantità, si indica solo la penultima perché è quella che mi dice come si pronuncia la parola. REGOLE DELL'ACCENTO: 1. se le parole sono brevi (bisillabiche) l'accento cade sempre sulla prima - canis ** il latino non ha parole tronche (che derivano dalla caduta dell'ultima parte - città). 2. se la parola è formata da 3 o più sillabe devo vedere la quantità della penultima sillaba ("legge della penultima"). - penultima lunga = l'accento cade su quella sillaba (natūra) - penultima breve = devo tornare indietro di una e cade sulla terzultima (pericŭlum) Veronica Trucco NUMERO E GENERE. Per il numero è uguale all'italiano (singolare e plurale) e si indicava dal termine della parola. Per il genere, il latino ne aveva 3 (maschile, femminile e neutro). Il neutro aveva un'uscita particolare (um al singolare - a al plurale es. aurum, aura). In italiano non c'è più il neutro ma ci sono alcune sopravvivenze in alcuni plurali con doppia uscita (osso - ossi- ossa). CASO. Al caso è collegata la funzione logica. Il nominativo corrisponde al soggetto, l’accusativo al complemento oggetto. Sono i due casi più importanti perché le parole italiane derivano dalla forma dall’accusativo. ** La posizione degli elementi è più libera rispetto all’italiano o alle altre lingue derivate dal latino. DECLINAZIONI. Le prime 3 declinazioni sono più usate, le altre due meno - non ci interessano. Le più importanti in realtà per noi sono le prime due. * Prima declinazione : soprattutto i nomi femminili (rosa, rosae). Ricorda la forma dell’ACCUSATIVO : rosam - rosas. Questa è diventata poi rosa per apocope e caduta del corpo fonico. * Seconda declinazione : soprattutto nomi maschili (lupus, lupi). Ricorda accusativo : lupum - lupos * Terza declinazione (bellum, bella). All’accusativo diventa bellum - bella. Era il nome antico di guerra che poi decade e viene sostituita da una parola di origine germanica. ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA. Molto spesso si sente dire che l’italiano deriva dalla lingua latina. In realtà non c’è derivazione ma continuazione: l’italiano non deriva ma continua il latino. Questo per due motivi: a. Perché “deriva” allude ad una nascita, quindi ad un organismo, che nasce, cresce e muore. In questo caso quindi non c’è una vera e propria nascita. Si può dire che l’italiano è quindi il latino adoperato oggi in Italia, così come lo spagnolo è il latino di oggi in Spagna. Tutte le lingue “romanze” continuano il latino, ovvero sono un’evoluzione del latino. b. Inoltre da quale latino deriverebbe la nostra lingua? Sicuramente non esistevano tanti latini, il latino è solo uno! Ma sappiamo che NON esisteva comunque un'unica unità latina, c’erano diverse varietà. Abbiamo avuto solo un’apparente unità latina, quella ciceroniana. E anche oggi possiamo dire di avere un’apparente unità della lingua. Il latino è una lingua storico-culturale che fa parte della famiglia linguistica indoeuropea a cui appartengono anche altre lingue: germaniche (inglese, tedesco) slave (russo, polacco) baltiche (lituano) elleniche (greco moderno) albanese armeno iranico indiano Ci sono 5 fattori principali che hanno contribuito a determinare le diverse varietà del latino: 1. FATTORE TEMPO = VARIABILE DIACRONICA L’italiano di oggi (o il francese, o l’inglese di oggi: da questo punto di vista, una lingua storico-naturale vale l’altra) non è uguale a quello adoperato dieci, venti o cento anni fa, e le differenze si fanno più forti man mano che ci si allontana nel tempo. A questo fattore di cambiamento non sfuggì certo il latino, lingua di tradizione ultramillenaria. Esempio: epigrafe di Garigliano. E’ stata trovata una scodella di recente tra il Lazio e la Campania che pronunciava una epigrafe scritta nel V secolo in latino arcaico. Se fosse stata scritta cinque secoli dopo sarebbe stata scritta in modo diverso, ovvero in latino classico (nel periodo di Cicerone e Virgilio). Questo perché la variabile diacronica influisce molto sulla varietà del latino. In proposito, sarà utile aggiungere che gli storici della lingua e della letteratura latine distinguono, in base al periodo in cui si sono sviluppate, almeno 5 varietà di latino: - latino arcaico (8 sec a.C., tradizionalmente indicato come quello della fondazione di Roma, alla fine del 2 sec a.C) - latino preclassico (dalla fine del II secolo a.C. alla prima metà del I secolo a.C. - l’età di Lucrezio, Catullo e Cesare); - latino classico (dalla seconda metà del I secolo a.C. alla morte di Augusto, avvenuta nel 14 d.C. - l’età di Cicerone, Virgilio, Orazio, Ovidio e Tito Livio); - latino postclassico (dalla morte di Augusto alla fine del II secolo d.C. - età di Seneca) Veronica Trucco - latino tardo (dalla fine del 2 secolo d.C. al 7-8 secolo d.C.) 2. FATTORE SPAZIO = VARIABILE DIATOPICA L’italiano che si parla a Milano è diverso da quello adoperato a Firenze o a Palermo, e le differenze non investono solo l’intonazione, la pronuncia e il lessico, ma anche la grammatica e la sintassi. Si pensi al diverso uso che nelle varie regioni d’Italia si fa del passato prossimo e del passato remoto: nell’Italia settentrionale il passato remoto attualmente non si usa ed è sempre sostituito dal passato prossimo. Il latino, lingua di diffusione intercontinentale, non sfuggì a suo tempo al fattore di differenziazione rappresentato dallo spazio. Nel momento di massima espansione del dominio romano, fra il II e il III secolo d.C., il latino era adoperato su un territorio vastissimo, che andava dalle coste atlantiche dell’Europa fino al Reno e oltre il Danubio (al di là del quale fu conquistata la Dacia, corrispondente all’attuale Romania), dalle coste meridionali dell'Inghilterra fino a quelle settentrionali dell’Africa. Le vicende storiche successive determinarono la deromanizzazione e la conseguente delatinizzazione di alcuni di questi territori: - Africa settentrionale fu conquistata dagli Arabi nel VII secolo d.C.; - Britannia, abbandonata nel 409 d.C., fu germanizzata - Pannonia (l’odierna Ungheria), invasa dagli Ungari nel X secolo, fu magiarizzata - penisola balcanica, con l’eccezione della Dalmazia, fu occupata e colonizzata da popolazioni slave. Con tutto ciò, il latino fu per secoli la lingua di scambio di una zona vastissima. Ovviamente, esso non era un blocco linguistico uniforme. Non è immaginabile che il latino adoperato nella penisola iberica fosse identico a quello adoperato in Italia o in Francia, a migliaia di chilometri di distanza, e infatti le testimonianze linguistiche documentano l’esistenza di più varietà di latino sull’asse orizzontale dello spazio. Esempio: accanto al latino classico in cui si adoperava pulcher, il latino parlato aveva due diversi aggettivi per indicare la qualità del ‘bello’: formosus e bèllus. Ebbene, mentre al centro dell’area romanza si privilegiò la forma bellus, nelle zone periferiche orientali e occidentali si preferirono le altre due. Il fattore geografico si fuse col fattore etnico nel determinare altre diversità, riconducibili al cosiddetto sostrato linguistico prelatino. Che cosa si intende col termine sostrato? Prima che i Romani estendessero il loro dominio a tutta l’Italia e a una gran parte dell’Europa, il latino era semplicemente uno degli idiomi parlati da una delle tante popolazioni che abitavano l’Italia. Nel giro di qualche secolo il latino, da lingua di una piccola comunità che occupava un territorio ristretto presso l’ultimo tratto del Tevere, divenne la lingua di un popolo di conquistatori, padroni di gran parte dell’Europa e di vaste zone in Africa e in Asia. Dopo la conquista da parte di Roma, quasi tutti i popoli vinti abbandonarono, nel giro di qualche generazione, la lingua d’origine e adottarono, come strumento di scambio, il latino. La nuova lingua, però, non fu imposta dai vincitori. I Romani non puntarono mai a un’assimilazione violenta delle genti soggette e non tentarono mai di imporre a forza l’uso del latino, considerando anzi quest’uso un segno di distinzione. Una volta conquistato un territorio, la classe dirigente romana se ne assicurava il controllo militare e fiscale e lasciava larga autonomia ai vinti nella religione, nelle istituzioni civili e nella lingua. Furono i popoli assoggettati ad abbandonare, dopo un periodo più o meno lungo di bilinguismo, la loro lingua d’origine per il latino. Intervenne, a determinare questo processo, un fattore fondamentale nel contatto fra due lingue: il prestigio. Quando due lingue entrano in concorrenza, quella che gode di maggior prestigio finisce sempre col prevalere. Così, dopo essere stati conquistati da Roma, molti dei popoli vinti sentirono la loro lingua come un idioma di rango inferiore rispetto al latino, veicolo di una cultura più avanzata e raffinata della loro, e scelsero di parlare la lingua dei vincitori. In buona parte dell’Europa occidentale si avviò un gigantesco processo di latinizzazione: i popoli vinti passarono dalla fase iniziale di apprendimento del latino a una intermedia, in cui usavano sia la lingua d’origine sia la lingua dei vincitori, e poi alla fase finale, in cui la lingua originaria fu completamente abbandonata. Veronica Trucco Le lingue preesistenti al latino nelle varie regioni dell’Europa occidentale non scomparvero del tutto: ciascuna lasciò qualche traccia nella prosodia (cioè nella cadenza), nella pronuncia, nella morfologia, nel lessico e nella sintassi del latino acquisito dai vinti. Per questo motivo vennero dette lingue «di sostrato»: esse testimoniano, nel latino assunto dalle popolazioni vinte, l’esistenza di uno strato linguistico soggiacente. Esempio 1: in francese e in molti dialetti dell’Italia settentrionale il nesso consonantico latino -ct- (che in italiano si trasforma in -tt-) tende a realizzarsi come -tt-: così, per esempio, la sequenza -ct- della parola latina NÒCTEM si trasforma in -tt- nell’italiano notte, e invece si realizza come -it- nei francese nuit e nel piemontese nóit. Il passaggio -ct- > -it- proviene dal sostrato celtico: evidentemente il celtico, che prima della romanizzazione ra parlato sia in Francia sia nell’Italia nord-occidentale, dopo la romanizzazione di quelle regioni ha continuato a far sentire la sua presenza nel latino che vi si era diffuso. 3. FATTORE STILE = VARIABILE DIAFASICA Una lingua può cambiare di tono o di livello a seconda della situazione in cui si usa. L’italiano a cui ricorro durante l’interrogazione è diverso dall’italiano che uso mentre chiacchiero confidenzialmente con gli amici; l’italiano che adotto quando parlo con la vicina di casa è più familiare e colloquiale dell’italiano con cui mi rivolgo a un signore appena conosciuto a un ricevimento. Così è stato anche per il latino, come dimostra un’ampia documentazione a nostra disposizione. Cicerone, il più illustre dei prosatori latini, non adoperava la stessa lingua quando scriveva il testo delle sue orazioni, quando si cimentava in opere filosofiche e quando scriveva lettere ad amici e familiari: nei primi due casi adoperava un latino di alto livello, ricercato e raffinato; nel terzo adoperava un latino meno sorvegliato sul piano grammaticale, fatto anche di parole familiari e colloquiali. 4. FATTORE SOCIO-CULTURALE = VARIABILE DIASTRATICA Il latino varia in base alla classe sociale a cui si appartiene. Non tutti, all’interno della medesima comunità di parlanti, si esprimono allo stesso modo: sono avvantaggiati gli esponenti delle classi sociali alte, che hanno avuto maggiori opportunità di studio e quindi dispongono di un vocabolario più ricco e conoscono bene le regole della lingua imparate a scuola. In Roma antica e nei territori dell’impero, il latino dei dotti era diverso dal latino degli umili: il primo era una lingua colta, varia nelle parole e raffinata, mentre il secondo era una lingua popolare, meno controllata sul piano grammaticale e sintattico, piena di espressioni e di riferimenti materiali. 5. FATTORI DI TRASMISSIONE = VARIABILE DIAMESICA La variabile influenzata dalla modalità di trasmissione della lingua, che può essere scritta o parlata. L’esperienza di tutti i giorni dimostra che la lingua scritta è più sorvegliata, più organizzata e più precisa della lingua parlata. A questa regola impliciti non sfuggì il latino: le differenze fra latino parlato e latino scritto non investirono soltanto il rapporto tra la grafia e la pronuncia delle parole, ma riguardarono anche aspetti importanti della grammatica, della sintassi e del lessico. QUANDO NASCE IL LATINO. Durante il III sec d.C. quando l’impero romano era al massimo della sua espansione. Si pensa che le lingue romanze derivino dal latino perchè se andiamo ad analizzare la cartina attuale delle lingue romanze (neolatine) osserviamo che c’è una coincidenza con la parte latinofona (arancione) nella cartina del III sec d.C. QUANTE SONO LE LINGUE ROMANZE. Le lingue ufficiali romanze sono 11. Queste lingue si ricordano meglio analizzandone la variabile diatopica (geografica), quindi analizzandole dalla penisola iberica all’attuale Romania. La ROMANIA (=insieme delle aree in cui le lingue si sono originate dal latino) comprende diverse zone: 1) ZONA IBEROROMANZA a) SPAGNOLO (castigliano) b) CATALANO c) PORTOGHESE d) GALEGO → questa però non è compresa nelle 11 ufficiali e viene parlata nella Galizia. 2) ZONA GALLOROMANZA a) FRANCESE → parlato al nord (deriva dalla lingua d’oil) b) PROVENZALE OCCITANO → parlato al sud (deriva dalla lingua d’oc). E’ parlato anche in alcune zone dell’Italia (Cuneese e provincia di Torino) Veronica Trucco c) FRANCO PROVENZALE →metà tra francese e provenzale In epoca medievale c’erano due grandi lingue: - lingua d’oil (francese antico parlato nel nord della Francia) → deriva il francese - lingua d’oc (francese parlato al sud) → deriva il provenzale occitano Il franco-provenzale (che si parla anche in Val d’Aosta) è a metà tra il francese (nord) e provenzale (sud) 3) ZONA ITALO ROMANZA a) ITALIANO b) SARDO → non è considerato un dialetto perchè è più vicino al latino. c) LADINO → parlato nelle Dolomiti e conserva molte peculiarità proprie del latino dei primi secoli oltre ad avere influenza celtica. E’ sempre meno parlato ed è rimasto invariato perchè parlato in zone isolate. 4) ZONA BALCANO ROMANZA a) ROMENO b) DALMATICO → lingua che si parlava sulle coste, ormai scomparsa. E’ a metà tra l'italo- romanza e la balcano-romanza (Dalmazia). Ci sono anche altre zone al di fuori dell’Europa in cui si sono estese le lingue romanze. La differenza è che in Europa le lingue romanze si sono evolute in modo spontaneo, mentre al di fuori dell’Europa è determinato da spostamenti di popolazioni o conquiste. Questa è chiamata Romania nuova: territori in cui si sono esportate le lingue romanze. Ad esempio troviamo l’America. LINGUE ROMANZE NEL III SECOLO. Già nel III secolo d.C. quando si parlava solo il latino c’era un’evidente frattura nell’impero tra Romania occidentale e Romania orientale. Il latino parlato nelle due parti aveva due caratteristiche diverse. L’Italia rappresenta un caso particolare perché c’è una frattura molto forte tra il settentrione - con caratteristiche Romania occidentale, mentre al di sotto della frattura aveva le stesse caratteristiche della Romania orientale. Al Sud ci sono ancora piccole parti bianche perché sono grecofone, non latinofone. Anche quando parleremo di dialetti italiani, ci sarà una forte frattura che corrisponde alla stessa che era presente nel III secolo d.C. LINGUE ROMANZE OGGI. Già nel III sec. d.C. esistevano, dal punto di vista del latino, nette differenze tra latini della romània occidentale e orientale e alcuni studiosi si sono soffermati su queste differenze, come Walter von Wartburg: 1° FENOMENO. FORMAZIONE DEL PLURALE (PLURALI SIGMATICI). La formazione del plurale aggiungendo una “S” alla fine della parola. Questo avviene soprattutto nella Romania occidentale. In Italiano non ci sono questi tratti perché tende ad avere un’uscita vocalica (parole italiane terminano con vocale). → Le lingue romanze occidentali hanno mantenuto un tratto più conservativo rispetto al latino mantenendo una -s al plurale (es. spagnolo). → I dialetti settentrionali avevano la s finale per il plurale perché la conservano, ma oggi lo vediamo solo nel friulano (mentre al di sotto della riga non ci sono perché il sud Italia è più simile ai tratti della Romania orientale) → Il sardo mantiene la -s, ma il sardo è più conservativo (più vicino al latino) In Italia ci sono parole che al plurale hanno la -S e si chiamano FORESTIERISMI, ovvero parole che derivano dalla lingua straniera. 2° FENOMENO. SONORIZZAZIONE DELLE SORDE OCCLUSIVE IN POSIZIONE INTERVOCALICA. Analizziamo il fenomeno: SONORIZZAZIONE = è l’esito del fenomeno, cioè che il suono da sordo diventa sonoro. POSIZIONE INTERVOCALICA = condizione per cui si sviluppi il fenomeno e consiste nella presenza di una consonante tra due vocali SORDE OCCLUSIVE = sono la rappresentazione del fenomeno: da sorde diventano sonore. - Occlusive = riprendono un concetto prettamente fonetico, cioè del suono. Quando il canale fonatorio si apre per far entrare l’aria, questo si chiude momentaneamente e poi si riapre con il passaggio dell’aria, come una sorta di esplosione. Il suono non può essere prolungato nel tempo. - sorde = significa che l’aria quando entra per la laringe, non comporta un movimento delle corde vocaliche, che rimangono ferme (sordo). Veronica Trucco La caduta di queste consonanti è tipica della parte occidentale, mentre viene mantenuta nella parte orientale. CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DEI FONEMI I suoni di qualsiasi di lingua sono chiamati FONI. Alcuni foni hanno la capacità di dare parole di significato diverso alternandosi nella stessa posizione (ad esempio se sostituiamo il fono p in petto con il fono l da la parola letto). I foni che, alternandosi negli stessi contesti fonetici (cioè all’interno della stessa sequenza di suoni), distinguono parole con diversi significati si dicono fonemi. II fonema è la più piccola unità di suono dotata di valore distintivo (capace, cioè, di individuare significati diversi alternandosi con altre unità di suono). Nell’uso scientifico, i fonemi che formano le parole si trascrivono entro sbarrette oblique, utilizzando simboli più analitici e particolari, e l’accento viene indicato da un apice prima della sillaba accentata. Esempi di trascrizione fonematica della parola: pila: /'pila/; barone: /ba'rone/. Se invece i vari fonemi sono presi in considerazione solo per il loro aspetto fisico (cioè come semplici fatti di suono, indipendentemente dai significati che possono produrre), allora si trascrivono tra parentesi quadre: ['pila], [p], [a], ecc. I segni grafici adoperati per trascrivere i fonemi si dicono lettere o grafemi. Il loro insieme costituisce l’alfabeto di una lingua (a, b ,c, d ). Negli esempi precedenti (/'pila/, /ba'rone/) i segni che rappresentano i fonemi coincidono con le lettere dell’alfabeto latino, ma non è sempre così: m altri casi, i segni che rappresentano i fonemi non coincidono con le lettere dell’alfabeto latino. Questi segni formano, nel loro insieme, l’alfabeto fonetico usato per trascrivere i fonemi di quasi tutte le lingue del mondo, alfabeto riconosciuto dall’Api (sigla della Associano» Phonétique Internationale, Associazione Fonetica Internazionale). ALFABETO FONETICO: FONEMI SORDI E SONORI. I fonemi si pronunciano sfruttando l’aria espiatoria che fuoriesce dai polmoni. Dai bronchi, l’aria passa nella laringe e qui incontra due pliche (cioè due pieghe) muscolari dette corde vocali. Esse, proprio come le corde di uno strumento musicale, possono assumere tre posizioni. 1) possono restare inerti; 2) possono chiudersi, impedendo il passaggio dell’aria; 3) possono entrare in vibrazione, aprendosi e chiudendosi rapidamente. Quando le corde vocali rimangono inerti, si dice che producono un fonema sordo; quando invece entrano in vibrazione, si dice che producono un fonema sonoro. In italiano le vocali sono tutte sonore; delle consonanti, alcune sono sorde e altre sono sonore. Infatti l’unica differenza tra il fonema [p] di palla e il fonema [b] di balla è l’assenza di vibrazione nel caso di [p] e la presenza della vibrazione nel caso di [b]: [p] è un fonema sordo (o, più semplicemente, una consonante sorda), [b] è un fonema sonoro (o, più semplicemente, una consonante sonora). FONEMI ORALI O NASALI. Dalla laringe l’aria risale e incontra la faringe, poi il velo palatino, ovvero il palato molle: se rimane fermo l’aria esce sia dal naso che dalla bocca producendo un suono nasale; se si muove e si solleva, blocca l’aria che non può uscire dal naso ma esce solo dalla bocca producendo un suono orale. L’unica differenza che passa tra una [b] e una [m] riguarda l'opposizione oralità - Veronica Trucco nasalità: infatti quando siamo raffreddati invece di pronunciare [mamma] con la [m] che è nasale, pronunciamo [babba] con la [b] che è orale perché il raffreddore ci occlude il naso. VOCALI. Le vocali sono pronunciate quando l’aria non trova ostacoli nel suo percorso verso l’esterno. Le vocali sono tutte toniche e sono 7. Possiamo rappresentarle con il triangolo vocalico, un triangolo rovesciato col vertice verso il basso e il lato opposto aperto. Il suono delle varie vocali (e con esso, la loro collocazione nel triangolo vocalico) cambia a seconda della posizione che la lingua assume all’interno della cavità orale nell’articolarle. 1) Al vertice in basso si trova la a, che rappresenta il massimo grado di apertura della bocca. 2) Sul lato sinistro del triangolo collocheremo, nell’ordine: la e aperta ([ε]: pèlle), la e chiusa ([e]: pelo) e la i. Nell’articolare queste vocali, la bocca si restringe progressivamente, fin quasi a chiudersi con la i, e la lingua avanza sul palato duro: perciò, queste tre vocali si chiamano palatali o anteriori. 3) Sul lato destro del triangolo collocheremo, nell’ordine, la o aperta ([o] : pòrta), la o chiusa ([o]: pólli) e la u. Nell’articolare queste vocali, la bocca si restringe progressivamente, fin quasi a chiudersi con la u, e la lingua arretra in corrispondenza del velo palatino: perciò, queste tre vocali si chiamano velari o posteriori. Le vocali toniche in italiano sono dunque sette, anche se per rappresentarle disponiamo soltanto di cinque segni alfabetici. Per distinguere fra o aperta e o chiusa e e aperta e e chiusa, possiamo adoperare i due diversi accenti: grave ' per le vocali aperte (pòrto, bèllo) e acuto ' per le vocali chiuse (pónte, bévo). Questo vale per le vocali sotto accento; le vocali atone (cioè non accentate) sono solo cinque: [a], [e], [i], [o], [u] (non si hanno le due vocali aperte [ε] e [o]). SEMICONSONANTI. Completano il quadro dei fonemi italiani le due semiconsonanti: «iod» (trascrizione fonetica [j] ) e il «vau» ([w] ). Iod e vau sono, in pratica, una i e una u non accentate e seguite da un’altra vocale, come per esempio la i di ieri e la a di uomo. Esse si articolano come [i] e [u], ma hanno una durata più breve rispetto a quando sono seguite da consonante, e questo spiega l’impressione che siano un suono «a metà» tra le vocali e le consonanti. Esempio: PIEDE (I + VOCALE → semiconsonante perché pronunciata breve) o IRSUTO (I + CONSONANTE quindi è pronunciata più lunga) SEMICONSONANTI = IU (NON ACCENTATE) + VOCALE SEMIVOCALI. Anche se [i] e [u] non accentate non sono seguite, ma precedute da una vocale, la loro durata è più breve: in questo caso si parla di semivocali. E una semivocale, ad esempio, la i di colui. SEMIVOCALI = VOCALE + IU → VEDI SU PATOTA DITTONGO, TRITTONGO, IATO CONSONANTI. Dobbiamo considerare 3 componenti: 1. MODO DI ARTICOLAZIONE. Dipende dal comportamento del nostro canale nel momento in cui passa l’aria. Infatti si dividono in: 1) OCCLUSIVE → quando il canale fonatorio si occlude momentaneamente. Questo implica che quando si riapre, provoca una sorta di “esplosione” (infatti sono chiamate anche in questo modo). 2) COSTRITTIVE → il canale si chiude solo parzialmente, cioè si restringe, e quindi quando l’aria passa provoca un suono di “frizione”. Questi suoni possono essere prolungati e quindi si chiamano anche continue. 3) AFFRICATE → sono una fusione delle due perchè inizialmente cominciano con un’articolazione occlusiva per poi finire con un’articolazione fricativa (costrittiva). Il rilascio avviene in modo graduale, quindi il suono può essere prolungato. 2. LUOGO DI ARTICOLAZIONE → il punto in cui nel nostro apparato fonatorio si produce il suono. 3. SORDITA’/SONORITA’ → dipendono dal movimento delle corde vocali. Veronica Trucco FENOMENO SONORIZZAZIONE SORDE OCCLUSIVE POSIZIONE INTERVOCALICA Questo fenomeno è tipico della Romagna occidentale, mentre quella orientale non lo manifesta (quindi lo vediamo anche in Italia settentrionale). Quali consonanti interessa? T - P - K Osserviamo un fenomeno di LENIZIONE = fenomeno generale rispetto alla sonorizzazione, che porta a un indebolimento articolatorio tra cui la sonorizzazione. t > d (diventa d in posizione intervocalica). MONETAM > MONETA → APOCOPE = caduta corpo fonico alla fine della parola MONETA > MONEDA → fenomeno di sonorizzazione di occlusiva sorda nella parte settentrionale p > b (in alcuni casi v spirantizzazione) RIPAM > RIPA → APOCOPE RIPA > RIBA → SONORIZZAZIONE RIBA > RIVA → SPIRANTIZZAZIONE = si riferisce al passaggio del modo in cui articoliamo la consonante. Passiamo dalla B (occlusiva sorda) → V (costrittiva non occlusiva - detta anche spirante). Quindi il processo che porta a una spirante si chiama spirantizzazione. La consonante “B” è labiale, mentre la “V” è labiodentale, ovvero coinvolge sia le labbra che denti dal punto di vista della articolazione. Questa parola ha una trafila settentrionale, ma spieghiamo come mai allora è entrata nell’italiano corrente, ovvero il toscano, che non è settentrionale: l’italiano antico aveva la parola ripa, mentre in italiano odierno si usa riva, quindi è avvenuta una sonorizzazione. Se l’italiano deriva dal fiorentino, e il fiorentino è un dialetto parlato al sud della linea di frattura che seguiva le regole della Romania orientale. Come mai c’è stato questo fenomeno di spirantizzazione? Per la provenienza settentrionale di questa parola. Nei dialetti c’erano dei prestiti: probabilmente la parola veniva usata in settentrione e poi è stata presa in prestito ed entrata in uso anche al sud, per questo acquisita anche dal fiorentino. k > g (in alcuni punti si indebolisce a tal punto da scomparire) Veronica Trucco ORTIKAM > ORTIKA → APOCOPE ORTIKA > ORTIGA → SONORIZZAZIONE In Veneto finisce qui, mentre in Piemonte l’occlusiva velare si indebolisce a tal punto da scomparire (grado 0), cioè: ORTIGA > URTIA NESSI DI CONSONANTE + L consonante + L → consonante + J Inoltre se il nesso è: all'inizio della parola o prima di consonante → non ci sono altre trasformazioni in posizione intervocalica → lo j (iod) prodotto determina il raddoppio della consonante precedente PL BL CL GL iniziale PLANUM > piano BLASIUM > CLAVE(M) > GLAREA > ghiaia biagio chiave dopo consonante AMPLUM > ampio CIRCULUM>cerc UNGULAM> hio unghia intervocalica CAPULUM>cappio FIBULAM > fibbia SPECULUM>spec TEGULAM > chio tegghia (in italiano anticO) > teglia Nel fiorentino antico il nesso -GL- in posizione intervocalica ha dato un esito particolare: 1) nel fiorentino antico lo sviluppo è regolare: -GL- → GJ- → GGJ Ovvero si passa dal suono GL al suono GJ con successivo raddoppio della velare in ggj. Esempio: TEGULAM > TEGGHIA 2) Come si arriva a ʎʎ (suono “gli” di teglia) ? A partire dal 1400 avviene un fenomeno: -LJ- → ʎʎ → GGJ a) -LJ- aveva dato → laterale palatale intensa ʎʎ b) laterale palatale intensa ʎʎ → velare sonora intensa ggj Esempio: dal latino FILIU(M) invece di dare l’esito figlio si usava figghio. filium > filjo > figlio (fiʎʎo) > figghio (figgjo) Nel 1500 sono poi state ripristinate le forme con ʎʎ → figlio. -LJ- → ʎʎ → GGJ → ʎʎ Ma quidni cosa è successo? Il suono ʎʎ non sostituisce solo le parole che derivano da ʎʎ → -GGJ-, ma anche quelle parole che derivavano dal nesso -GL- (come appunto tegghia). Per questo motivo si passa da: tegula(m) > tegghia > teglia TAPPA 1. PASSAGGIO DAL LATINO CLASSICO AL LATINO VOLGARE. sbagliato dire “DERIVA DA” L’italiano, ma in generale le lingue romanze, sono un’evoluzione del latino. Ma di quale latino? Dal punto di vista diacronico esistono 5 varietà di latino. L’italiano deriva dal latino chiamato volgare (indica etimologicamente il collegamento con il vulgus - popolo), non dal latino classico (colto non scritto). Le lingue romanze rappresentano l’evoluzione del latino parlato dal popolo che man mano si Veronica Trucco è evoluto. Il latino classico è rimasto nel tempo piuttosto immobile, quello parlato ha continuato la sua evoluzione che ha portato alle varie lingue romanze. La varietà di latino parlato inizia a differenziarsi da quello scritto quando l’impero inizia a espandersi. Le due varietà progressivamente si distanziano sempre di più fino a collassare nel II secolo d.C. Lo strumento più importante per studiare il latino è passare per il confronto tra le varie lingue romanze. Gli esperti usano due metodi per studiare il latino volgare: 1. metodo ricostruttivo comparativo = quando confrontiamo gli esiti della parola latina non documentata, perchè appunto esito della lingua parlata, nelle varie lingue romanze e vediamo cosa è successo a livello di suono Esempio: per la parola italiana carogna non si trova una parola che nell'italiano possa aver dato tale esito per somiglianza. Quella che più si avvicina è caro (carne), ma le due sono molto distanti. Quindi passiamo a confrontare le parole simili a carogna ma nelle altre lingue romanze e le troviamo: tutte queste parole avranno quindi qualcosa in comune che testimonia come derivino dalla stessa parola, ovvero caro (che significa carne), che dal punto di vista sia fonetico che di significato è molto lontana dall’esito italiano carogna. 2. testimonianze. Nonostante fosse molto difficile risalire a fonti che testimoniano il latino parlato a quei tempi, esistono delle fonti che non possono essere dirette, ma indirette (data l’epoca storica). Le forme tipiche del latino parlato sono anche chiamate volgarismi. Quali sono le fonti principali di latino parlato? 1. iscrizioni murarie (graffiti o dipinti) 2. glossari antichi (vocabolari elementari che spiegano il significato di latinismi) e opere di grammatici latini (hanno osservato che c’erano delle devianze tra il latino classico e il latino parlato e decidono di tenere traccia di queste osservazioni) 3. lettere private o documenti di popolari (come soldati): Cicerone scrisse molte opere alla moglie 4. opere di carattere politico 5. opere dedicate al grande pubblico (come opere teatrali) 6. opere religiose d’ispirazione cristiana (anche se i traduttori si preoccupano poco della raffinatezza dello stile) 7. trattati tecnici di architettura, medicina e farmacologia (gli autori si preoccuparono di più a curare la materia piuttosto che lo stile). Noi approfondiremo le seguenti fonti: iscrizioni murarie - opere di scrittori latini - formulazioni di grammatici latini. Perchè l’italiano deriva dal volgare e non dal latino classico? Il latino volgare può essere descritto come il latino parlato in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni circostanza e in ogni gruppo sociale della latinità. Questa varietà si è affermata sul latino classico e gradualmente ha portato alla trasformazione dell’italiano. I motivi di questi processi contigui sono: a. PERDITA DI POTERE DELLA CLASSICA ARISTOCRATICA (dopo l’instaurazione dell’impero, la classe sociale aristocratica, che era quella che usava il latino colto, perde potere) b. DIFFUSIONE CRISTIANESIMO (si mescola con il latino: inizialmente si usava il greco, infatti il cristianesimo era pieno di grecismi. Inoltre il cristinaesimo era una religione che professava a tutti, quindi doveva sfruttare il latino volgare e non quello colto) c. DIFFUSIONI BARBARICHE (dopo le invasioni il latino classico tende a scomparire, nonostante i tentativi di proteggere le opere da parte della Chiesa, mentre il latino parlato continua ad essere parlato almeno in parte tra il popolo. Il latino scritto tendeva (senza peraltro riuscirci) a mantenersi come una lingua fissa e cristallizzata, rispettosa del modello dei grandi scrittori e delle regole grammaticali; il latino volgare, evolvendosi in modi diversi nelle varie regioni dell’ex impero romano, diede origine alle parlate romanze o neolatine. Il processo di trasformazione che dal latino condusse ai vari volgari romanzi si concluse nell’VIII secolo d.C.: ne nacquero lingue molto diverse da quella originaria, profondamente trasformate nella fonetica, nella morfologia, nel patrimonio lessicale, nell’organizzazione della frase e del periodo. Veronica Trucco Possiamo individuare tre tipologie principali di fonti: SCRITTORI COMMEDIE DI PLAUTO E TERENZIO (III - II sec d.C) Si prendono in considerazione le commedie perché naturalmente nascono per essere rappresentate dal vivo e quindi sono scritte pensando proprio ad un dialogo che dovrà essere pronunciato. Quindi vi è una sorta di simulazione del parlato con l’utilizzo di tratti devianti che hanno dato vita a delle modifiche della lingua che poi si sono mantenute e sono diventate italiano o altre lingue romanze. Quali fenomeni osserviamo? 1. ASSIMILAZIONE DI NOMI NEUTRI AL MASCHILE I nomi che in latino venivano espressi con il genere neutro qui vengono espressi al maschile. Esempio: collum (neutro) → diventa collus (maschile) → Osserviamo un metaplasmo (ovvero un passaggio di categoria) → perchè c’è un passaggio di genere, dal neutro al maschile. Più avanti (non con Plauto e Terenzio ma dopo) per apocope cade la M e abbiamo COLLU e anche nell’apocope di COLLUS si parla poi di COLLU. Questo fa si che le due forme che inizialmente erano diverse diventano uguali, per questo motivo il neutro tende a scomparire. Inoltre, in questo caso la vocale è atona, quindi non accentata, diventerà più avanti O. Si nota che in queste prime forme di assimilazione, che non sono altro che l’indice della debolezza del genere neutro che passa al maschile, i nomi neutri piano piano scompaiono con l’assimilazione. Il neutro era molto particolare perché usciva in -um al singolare, ma il nominativo e l’accusativo plurale avevano l’uscita in -a. La vocale -a finale, ancora oggi nella lingua italiana, fa pensare al genere femminile. Infatti, i nomi neutri plurali convergono, nei secoli successivi, verso il femminile a causa di questa -a finale. Il neutro scompare in tutte le lingue romanze e nella lingua italiana si ha la particolarità del neutro singolare che viene reso come maschile, e del neutro plurale che viene reso come femminile. Questo spiega anche il fatto che nella lingua italiana si hanno alcune parole che hanno sia la forma maschile sia la forma con l’uscita in -a che può indicare il femminile e la pluralità (es: dito, dita). neutro singolare > reso come maschile neutro plurale > reso come femminile Questi autori anticipano quello che succederà nei secoli successivi, cioè la scomparsa del neutro, che è una testimonianza dell’uso parlato. 2. RIORGANIZZAZIONE DEI DIMOSTRATIVI Plauto e Terenzio fanno anche qualcosa di più interessante che dimostra una prima fase di cambiamento che porterà ad una riorganizzazione del sistema dei dimostrativi. Il dimostrativo, nella lingua latina, poteva essere reso in moltissimi modi. Le forme più frequenti erano rappresentate da: ILLA, ILLUM, ILLUD (forma neutra) e ILLUM, ILLAM, ILLUD (accusativo) Ma queste forme perdono in parte la loro forza e hanno la necessità di essere rafforzate con un avverbio messo prima dell’aggettivo dimostrativo, per questo Plauto e Terenzio inseriscono il rafforzativo ECCE e creano le forme: ECCE ILLUM - ECCE ILLA - ECCE ILLUD Quindi legano insieme l’avverbio rafforzativo più le forme tradizionali del latino classico. Inoltre si osserva un ulteriore processo, che è quello di univerbazione: ovvero due elementi separati vengono uniti. Otteniamo quindi: ECCILLUM - ECCILLA - ECCILLUD I nostri aggettivi dimostrativi “questo”, “quello” derivano proprio dalle forme prodotte nel latino volgare. Vediamo i passaggi: ECCE ILLUM > ECCUM ILLUM > CUM ILLUM > CU ILLU > CUILLU > CUELLU > CUELLO > QUELLO Veronica Trucco 1. si trova solo nei primissimi autori –x poi ECCUM concorda con l’accusativo 2. declinazione ECCE in base a genere e caso 3. aferesi (caduta corpo fonico a inizio parola) 4. due aopocope M 5. univerbazione 6. evoluzione vocalismo tonico (I > E) 7. evoluzione vocalismo tonico (U > O) Qual è la particolarità? È importante osservare questo primo segnale di cambiamento perché le forme attuali italiane dei dimostrativi (questo, questa, quello, quella, codesto, codesta) nascono tutte non dal latino classico, ma proprio dalle forme rafforzate con ECCE. Il nostro ‘quello’ nasce da ECCUM ILLUM, il nostro ‘quella’ nasce da ECCA ILLA, il nostro ‘questo’ nasce da ECCUM ISTUM. Quindi si vedono i primi segnali del cambiamento, ma non si vede ancora l’esito finale che si vedrà nei secoli successivi. 3. PERDITA PAROLE BREVI (PLAUTO) L’italiano non deriva dal latino classico, ma da quello parlato. Durante il passaggio dal latino classico al latino volgare le parole troppo brevi scompaiono o subiscono dei mutamenti, rendendole più lunghe. Perchè? Le parole brevi sono poco trasparenti (trasparente = che lascia trapelare il significato) e quindi è difficile identificare il loro significato, mentre quelle più lunghe sono più facili da interpretare perchè faccio dei ragionamenti, destrutturando la parola e intuendo il vero significato della parola. In latino le parole brevi sono poco trasparenti, e quindi quando l’impero si è allargato ci sono due possibilità: 1. le parole brevi scompaiono e vengono sostituite da altre 2. le parole vengono mantenute nel significato ma il loro corpo viene allungato, ovvero si fa un trattamento morfologico che permette di passare da 2 sillabe a 3 con inserimento di un suffisso ulus, che aveva valore diminutivale Esempio: vetus > vetulus). In teoria vetulus quindi voleva dire “vecchietto”, ma in realtà si allunga dal punto di vista morfologico, ma viene mantenuto il significato di base. Quindi vetulus continua a significare “vecchio”. Questo aspetto lo osserviamo in Plauto. Passaggi: VETUS → VETULUS 1. Aggiunta suffisso -ULUS che in orgine avrebbe valore diminutivale, ma in questo caso il termine allungato mantiene lo stesso significato VETULUS → VETLUS 2. SINCOPE = caduta corpo fonico dentro la parola. VETLUS = VECLUS 3. A causa della sincope si forma un nesso consonantico difficile da pronunciare. In alcuni casi ci possono essere delle aggiunte. In questo caso lo rendo uguale a un suono più facile da pronunciare. Il suono TL è difficile da pronunciare quindi diventa TL > CL. A questo punto la parola subisce l’evoluzione che caratterizza tutte le parole italiane di origine latina in cui troviamo CL. 4. Cos’è il suono CL? E’ una occlusiva velare sorda + costrittiva alveolare sonora. Quindi passaggi: VECLUS > VEKKJUS occlusiva velare sorda C → (che nell’alfabeto fonetico è reso come K) quando si trova all’interno il fonema occlusivo velare sonoro viene intensificato (infatti diventa vekkio) k >> kk. ** Se fosse in posizione laterale, il fonema viene mantenuto e poi c’è solo la trasformazione in iod (vedi sotto esempio piangere) + costrittiva alveolare sonora L (detta anche laterale) → si trasforma IOD (J) = vocale i + altra vocale (è a metà tra consonante e vocale). Quindi da kki > kkj. VEKKJIUS > VEKKIU 5. APOCOPE (caduta corpo fonico alla fine della parola ) Veronica Trucco VEKKJIU > VEKKJO 6. evoluzione vocalismo atono (U → O) VEKKjO > VECCHIO 7. Nella lingua italiana si rende con H che è soltanto un suono diacritico per segnalare il fonema K, che serve a disambiguare i grafemi ambigui, come C Non sappiamo quale sia l’ordine dell’evoluzione della parola. TRATTAMENTO NESSI CONSONANTE + LATERALE. A seconda della posizione del nesso abbiamo due diverse conseguenze: INTERNA → veclus (occlusiva velare + laterale) Si intensifica la consonante (in questo caso occlusiva velare sorda che diventa sonora) e la laterale si trasforma in IOD. LATERALE → plangere (occlusiva labiale + laterale) In questo caso il fonema viene mantenuto, poi c’è solo la trasformazione in iod es. plangere > piangere - P si mantiene, la laterale diventa iod - es. plus > piu CADUTA CORPO FONICO a seconda della posizione della lettera: AFERESI SINCOPE APOCOPE EPISTOLE DI CICERONE (I sec a.C.) È interessante osservare che anche Cicerone, autore che di solito si considera come modello di latino classico per eccellenza, utilizza nelle lettere inviate alla famiglia alcune costruzioni e fa alcune scelte lessicali che dimostrano un uso non tradizionale del latino colto, quindi, in un certo senso, un uso del latino volgare. Cicerone stesso aveva parlato di sermo vulgaris, cioè di lingua popolare soprattutto in riferimento ai registri, cioè non tanto al fattore di variazione diastratico quanto al fattore diafasico: egli aveva osservato come la lingua latina potesse cambiare in relazione ai registri, agli stili, quindi in relazione ad una lingua d’uso quotidiano, cioè parlata non solo dalle classi plebee, ma anche da persone colte in un contesto familiare. Nelle epistulæ, tra le tante cose, utilizza anche delle costruzioni indirette con preposizioni: scribere ad fratrem meum anziché scribere fratri meo; unus ex eis anziché unus eorum. Cicerone in questi casi non sta commettendo degli errori grammaticali, ma compie delle scelte stilistiche. Entrambe le forme erano ammesse nella lingua latina che però aveva una predilezione per le forme più sintetiche invece che preoposizioni+accusativo/ablativo. La prima forma è la costruzione con preposizioni a cui si è più abituati e che permette di comprendere meglio il significato. Tutte le lingue romanze hanno poi subito dei cambiamenti tali da far scardinare questo meccanismo tipico del latino. Si pensi al fatto che nella lingua italiana non si ha una posizione sintattica libera perché l’italiano segue la cosiddetta regola S V O: soggetto, verbo e oggetto (inteso in senso lato). Il latino avrebbe potuto tranquillamente mettere il verbo alla fine o a metà, non sarebbe cambiato niente anche se solitamente viene prediletta la sequenza SOV poi imitata da alcuni poeti successivi che volevano imitare il latino. Per la lingua italiana invece cambia dire: “Paolo ha mangiato un panino” e “Un panino ha mangiato Paolo”. Quello che si nota è che Cicerone, nel momento in cui scrive i testi, le orazioni di un certo livello, utilizza le forme più sintetiche senza preposizione; nel momento in cui scrive le epistole, quindi le lettere a carattere familiare, utilizza le costruzioni indirette con le preposizioni. Anche in questo caso si vede un inizio di cambiamento, ma è significativo osservare che le lingue romanze perderanno la capacità del latino di indicare la funzione grammaticale, logica e sintattica attraverso le uscite delle parole e si sono orientate verso le costruzioni con le preposizioni. Riassumendo, Cicerone preferisce nei testi usa le forme brevi senza preposizioni, mentre nei testi privati e nelle lettere preferisce le costruzioni non classiche, che poi troveranno terreno fertile in tutte le lingue romanze, compreso l’italiano. Il latino colto era una lingua sintetica perché era basata sui casi, quindi si capiva subito la funzione del vocabolo anche senza preposizioni. In latino c’erano anche Veronica Trucco forme più costruite (con le preposizioni) ma il latino colto preferiva formule più sintetiche. Tutte quelle romanze hanno preferito quello meno sintetico, perché hanno rinunciato ai casi, quindi aggiunto le preposizioni. Cicerone usa la costruzione che nel futuro avrà più successo,e mantenuta nelle lingue romanze. LE LINGUE ROMANZE HANNO FORME NON SINTETICHE, MA CON PREPOSIZIONI SATYRICON DI PETRONIO (ante 65 d.C) Si tratta di un’opera particolare perché è giunta solo attraverso dei frammenti che sono però piuttosto significativi, soprattutto nei frammenti legati alla cosiddetta cena di Trimalchione, caratterizzato per scopi umoristici del latino che veniva usato dai liberti arricchiti provenienti da regioni grecofone dell’impero. Trimalcione discorre passando da uno strafalcione all’altro. Si tratta dell’unico testo deliberatamente latino volgare della letteratura latina, perché Petronio ha volutamente deciso di riprodurre il latino volgare che sentiva intorno a sè: esempio di variazione linguistica dal punto di vista diastratico. ISCRIZIONI Abbiamo una grande abbondanza di iscrizioni: oltre alle iscrizioni ufficiali, dove osserviamo che usavano un latino più controllato, i Romani amavano scrivere sui muri. Esse sono state anche raccolte grazie ad un’opera monumentale durata tantissimi decenni, dal 1863 al 1943 e anni successivi e poi pubblicate a Berlino nell’opera nota con l’acronimo CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum = la raccolta delle iscrizioni del mondo latino trovate nelle diverse regioni). C’erano le iscrizioni ufficiali in cui gli ufficiali comunicavano al popolo ma si utilizzava il latino classico, invece quelle della gente comune sono più interessanti (simile alla lista della spese, parolacce, frasi d’amore o erotiche, giochi) perché usa la lingua parlata e troviamo le tracce del cambiamento. (Nelle iscrizioni di oggi come in quelle romane siamo certi del luogo, ma non della data e dell’autore) Tra le iscrizioni del CIL, quelle più importanti sono le iscrizioni rinvenute a Pompei circa 5000 che sono state trascritte e in parte salvate dalle intemperie. Siamo lì sicuri che quei tratti erano presenti nella lingua parlata prima del 79 d.C. Per questo motivo risultano essere molto importanti. ISCRIZIONI POMPEIANE. Fenomeni osservati: 1. SONORIZZAZIONE DELLE CONSONANTI SORDE INTERVOCALICHE Pagato> pacato Logus>locus Tridicu(m)> triticum Questo fenomeno è curioso perché Pompei si trova al sud Italia, mentre questo fenomeno era tipico dell’Italia settentrionale (ovvero della Romania occidentale). Questo probabilmente perché ipotizziamo che sia avvenuto un influsso dall’Italia settentrionale a meridionale. 2. RIDUZIONE DI E IN IATO > I Quando siamo in presenza di uno IATO (ovvero insieme di due vocali pronunciate con separatamente) è difficile da pronunciare, come ad esempio lo iato EU. Per renderlo più semplice quindi si ricorre a un processo di semplificazione articolatoria in cui lo iato EU si trasforma in IU, più semplice da pronunciare. Quindi il fenomeno si chiama riduzione perchè vi è un restringimento dell’articolazione E che diventa più ridotta e semplificata. Esempio: CASEUM > CASIUM (significa “cacio” in italiano). Le iscrizioni pompeiane si fermano a questo stadio. Questo tratto, già presente nelle iscrizioni pompeiane del I sec. d.C., è arrivato, attraverso i secoli, fino ad oggi: il cacio (formaggio), deriva quindi dall’esito latino volgare e non dall’esito latino classico. Deriva quello che in realtà, nella pronuncia toscana, da cui è derivata la pronuncia italiana, si dice “cascio” che poi tutto il resto di Italia non riusciva a pronunciare e quindi si ha cacio. (Dell’esito del nesso formato da S più iod si parlerà più avanti.) ECCEZIONE: Ě tonica in iato non si ha in deam>dèa CASO PARTICOLARE: CEREALIS > CERIALIS. La parola CEREALIS si vede nelle iscrizioni pompeiane attestata, scritta come CERIALIS. Qui lo stesso fenomeno: la E si viene a trovare in iato, in questo caso con A, però, di nuovo, la condizione di iato fa scattare una semplificazione della E che viene ridotta e diventa I. Oggi però si ha la parola CEREALI, che è più vicina al latino classico. Come mai? 1. non sempre i fenomeni si mantengono fino a trovare radicamento nelle lingue romanze 2. Siccome questo vocabolo non faceva parte dell’alimentazione umana, non veniva usato dal popolo, perchè sono stati riscoperti solo di recente. Questo significa che era un termine colto Veronica Trucco (a differenza di cacio). Infatti non ha avuto trafila popolare, ma dotta: per questa deriva dal latino classico e non volgare. La stessa cosa può accadere con la riduzione di O in iato che dà come risultato U. Es. tŭam>tua>toa evoluzione del vocalismo > tua perché la O in iato si è chiusa. Oppure duas> doe>due. La chiusura di E ed O non si ha nel caso in cui esse siano in iato con I. Es. mei>miei 3. CADUTA DI -M ALL’ACCUSATIVO = APOCOPE Fenomeno già presente e osservato negli scrittori, ma questo tratto torna nelle iscrizioni. Quindi era molto diffuso. 4. CADUTA -S FINALE ALL’ACCUSATIVO PLURALE Osserviamo un’opposizione tra varietà italo-romanze, che perdono la -S, e le galloromanze/ibero romanze che conservano la -s 5. CADUTA DI H ETIMOLOGICA es. HABEAT → ABIAT (altro tratto tipico del volgare) 6. SEMPLIFICAZIONE ARTICOLATORIA ❖ RIDUZIONE DEI DITTONGHI = MONOTTONGAMENTO Il latino classico aveva 3 dittonghi: AU, EU e OU. Questi tengono a monottongare, cioè ad essere resi con una sola vocale. che, in quanto risultante da due vocali, avrebbe dovuto essere lunga, e perciò caratterizzata, nei successivi sviluppi del latino tardo, da un timbro chiuso. In realtà osserviamo che diventa aperta. AU → Ō → Ͻ (aurum > oro) AE → Ē → ɛ (quaero > chiedo) OE → Ē → ɛ (poena > pena) Il dittongo AU in latino classico era scritto e letto cosi. Nel passaggio dal latino classico all’italiano, esso produsse una Ō con timbro chiuso soltanto in poche parole, come per esempio: cauda (da cui si ebbe còda e quindi, in italiano, coda) fauce(m) (da cui si ebbe fòce(m) e quindi, in italiano, foce). Generalmente il dittongo latino au si monottongò in una o aperta [Ͻ]: da auru(m) si ebbe òro, da causa(m) si ebbe còsa. Esempio 1 : AURUM > ORO 1. AURUM > ORUM → monottongamento AU > O 2. ORUM > ORU → apocope 3. ORU > ORO → evoluzione vocalismo atono Questa risulta essere tuttavia un esempio utile, ma non accertato perchè non è presente nelle iscrizioni pompeiane. Invece nelle iscrizioni pompeiane abbiamo altri esempi. Infatti in particolare nelle iscrizioni pompeiane troviamo la forma ORICLAS, al posto di AURICLAS. Vediamo i passaggi. Esempio 2: AURICLAS > ORICLAS AURICULAS > ORICLAS AURIS ‘orecchia’ è la base latina di partenza considerando il latino classico. AURIS era una parola breve, ed esattamente come VETUS, viene allungata -dal punto di vista morfologico, ma mantiene il significato di base- con l’aggiunta del suffisso diminutivale -ULUS (viene messo sia al maschile che al femminile) → AURIS > AURICULAS 1. AURICULAS > AURICLAS → Sincope (caduta di corpo fonico) di U come accadeva in vetulus 2. AURICLAS > ORICLAS → monottongamento: riduzione del dittongo AU che diventa già nella forma scritta O 3. ORICLAS > ORICLA → apocope 4. ORICLA > ORECLA → I breve latina diventa E tonica e chiusa 5. ORECLA > OREKKJA → evoluzione del nesso formato da -occlusiva velare sorda + laterale - dato che è interna (per quello si usano i trattini) vi è un’intensificazione dell’occlusiva velare sorda perché in posizione intervocalica quindi kkj (iod) 6. OREKKJA > ORECCHIA → aggiunta segno diacritico H che serve ad indicare valore occlusiva velare del grafema “C” Veronica Trucco Quindi osserviamo come nelle iscrizioni pompeiane abbiamo due fenomeni fondamentali: sincope di U e monottongamento di AU. AE e OE erano dei dittonghi che nel latino classico venivano scritti in questo modo, ma a livello orale venivano pronunciati subito come Ē. Questo è dimostrato dal fatto che, nel passaggio dal latino all’italiano, il dittongo ae in posizione tonica ha avuto lo stesso trattamento della ĕ breve, che in latino volgare era aperta. AE infatti monottongandosi in Ē aperta, in italiano ha dato il dittongo ha dato il dittongo [jɛ] in sillaba libera e una [ε] in sillaba implicata: lae-tu(m) > lièto qua-ero > chièdo maes-tu(m) > mèsto praes-to > prèsto RIASSUMENDO ESITO DITTONGO AE: Dal latino classico al latino volgare : ae = ĕ breve → Ē (e aperta) Dal latino volgare all’italiano : Ē → esito diverso a seconda della sillaba: - in sillaba libera jƐ - in sillaba implicata Ɛ - Questo è il fenomeno del dittongamento toscano. Infine, il raro dittongo OE si monottongò in una Ē che in italiano ha dato regolarmente [e]. poena(m) > pena. foebus > febus DITTONGHI ASCENDENTI E DISCENDENTI. Se la voce sale da un elemento atono a tonico si dicono ascendenti perché è formato da semivocale + vocale → è accentata la seconda vocale se la voce scende da tonico a atono si dicono discendenti perché è formato da vocale + semivocale (=I oppure U non accentate). ❖ SINCOPE Caduta di corpo fonico all’interno della parola. Non tutte le parole presenti nel latino volgare e attestate nelle fonti scritte hanno avuto poi una continuazione nel corso dei secoli. Nel caso di COLICLO la parola non è sopravvissuta, non è riuscita ad arrivare a noi come accade ancora oggi quando delle parole scompaiono dall’uso. Nel latino classico esisteva la forma CAULICULUM che voleva dire ‘piccolo cavolo’. Anche in questo caso si trova il suffisso che ha mantenuto, appunto, il valore diminutivale. L’esito della parola però non è sopravvissuto. CAULICULUM > CAULICULU > COLICULU > COLICLU >COLICLO 1. apocope 2. riduzione dittongo AU > O 3. sincope 4. evoluzione vocalismo atono (U breve diventa O) ❖ PROSTESI Aggiunta di un corpo fonico all’inizio della parola (tipicamente I). Esempio: SMURMA > ISMURMA. Il suono SM è un nome femminile di origine orientale greca, estraneo al mondo latino. Quindi era difficile da pronunciare. Per facilitarlo si aggiunge la I prostetica. La prostesi è un fenomeno che si ha anche nell’italiano antico in presenza di nessi consonantici formati da: sibilante (S anche detta S impura) + consonante. Fino all’Ottocento si aveva l’abitudine di far precedere ai nessi consonantici formati da S + consonante una I, quindi di effettuare una prostesi di I. Per esempio, nei testi dell’italiano antico, si trova frequentemente la parola ISTORIA. Questa parola è presente nei giornali del 1800. Veronica Trucco Questo per dire che fenomeni come la prostesi sono fenomeni abbastanza ricorrenti laddove vi è bisogno di facilitare un’articolazione. Non ci si deve stupire che una lingua naturale come il latino avesse necessità di questi fenomeni. La particolarità è il fatto che si trovi questo tratto prima del 79 d.C. ❖ RIDUZIONE DI NS IN -S Sempre per il bisogno di semplificare l’articolazione di alcuni nessi consonantici si ha anche la riduzione dei nessi consonantici formati da N, cioè da nasale, più S, cioè sibilante, in S. Si ha una semplificazione, una riduzione articolatoria che è a favore della sibilante. Questo fenomeno però non si è mantenuto. Cosiderate per considerate Mesa per mensa Esempio di iscrizione trovata su lapide: SPONSAE > ISPONSAE → protesi di I ISPONSAE > ISPOSAE → riduzione nesso: NASALE + SIBILANTE → SIBILANTE (no sincope di N) ISPOSAE > ISPOSE → riduzione del dittongo 7. IPERCORRETTISMI L’ipercorrettismo è una correzione eccessiva che porta all’errore che il parlante, in questo caso la persona che stava scrivendo il graffito sul muro, realizza. Questo significa che in origine non c’è l’errore, ma la persona si autocorregge e ciò comporta il vero errore. Esempio: la persona che sapeva di ricorrere frequentemente a questa riduzione di fronte a parole contenenti il nesso nasale più sibilante (cosiderate al posto di considerate) cerca di correggersi, di prevenire l’errore, ma, in realtà, lo commette. Per cui, ad esempio, invece di usare FORMOSUS (=bello) che è giusto nella base latina classica, si trova FORMONSUS (che era sbagliato). I casi di ipercorrettismo sono molto frequenti nelle iscrizioni pompeiane non solo nel caso di questo nesso consonantico, ma anche in molti altri casi. Testimoniano come ci fosse molta incertezza a livello ortografico che indicano debolezza fonetica. ALTRE ISCRIZIONI. Le iscrizioni non si trovano soltanto sui muri di Pompei, sono state trovate delle iscrizioni anche in tutte le regioni occupate dai Romani come possiamo vedere nel CIL. Si prendono in considerazione due iscrizioni che sono state trovate sulle lapidi. Esse sono due dichiarazioni d’amore, molto romantiche, anche se tristi. In queste iscrizioni si trovano molti dei fenomeni che si sono visti attestati nelle iscrizioni pompeiane. I due esempi servono per ricordare che i tratti visti nelle iscrizioni pompeiane non sono esempi isolati, ma dimostrano come quei fenomeni fossero piuttosto diffusi anche al di fuori di Pompei. La prima iscrizione è tratta dal CIL 8 che riguarda la zona dell’Africa (non si ha la data). Un vedovo fa incidere questa frase: VALERIUS ANTONINUS ISPOSE RARISSIME FECIT ‘Valerio Antonio fece per (la sua) sposa rarissima/unica’ Il latino utilizzato è molto lontano dal latino classico, perché richiederebbe la forma SPONSAE RARISSIMAE. Passaggi: - SPONSAE > ISPONSAE > ISPOSAE > ISPOSE 1. prostesi di I 2. riduzione nesso N + S > -S 3. riduzione dittongo AE > E - RARISSIMAE > RARISSIME 1. riduzione dittongo AE > E Questi sono tratti già tutti attestati prima del 79 d.C. (I sec.) a Pompei, che si ritrovano in questa lapide in Africa. Veronica Trucco La seconda iscrizione si trova in una lapide rinvenuta a Napoli. È raccolta nel CIL 10. In questo caso si finge che sia la persona che giace sotto la lapide a parlare in prima persona. ANTIPATRA DULCIS TUA, HIC SO ET NON SO ‘La tua dolce Antipatra, qui sono e non sono’ SO non è il verbo ‘sapere’, ma risale al latino classico SUM > SO per apocope ed evoluzione del vocalismo tonico che da U diventa O. FORMULAZIONI GRAMMATICI I grammatici erano coloro che per professione avevano interesse e sensibilità a tratti linguistici. La più famosa delle testimonianze offerte da grammatici e insegnanti è l’Appendix Probi, opera di un maestro di scuola del III secolo d.C. rimasto anonimo, così chiamata (Appendice di Probo) perché trovata in fondo (appendice) a un manoscritto di grammatica latina classica risalente a Valerio Probo. Quindi in realtà non è stata scritta da Valerio Probo, ma da un grammatico anonimo che visse tre secoli prima: Valerio è vissuto nel I secolo, mentre l’appendice risale al III secolo. Questa Appendice è una lista di 227 coppie parole organizzate in due serie diverse in colonne. Nella prima serie le parole si presentano secondo la norma del latino scritto, nella seconda serie si presentano nella forma «errata», cioè così come le pronunciavano o le scrivevano gli scolari in modo errato, secondo lo schema«A, non B». Ai fini della ricostruzione dei fenomeni linguistici che dal latino hanno portato all’italiano, contano le parole della colonna di destra (gli «errori» del latino parlato), non quelle della colonna di sinistra (le forme «corrette» del latino scritto). Le parole italiane corrispondenti (specchio, colonna, calda, torma, orecchia) sono più vicine agli «errori» della colonna di destra che alle forme «corrette» della colonna di sinistra: il che conferma che la nostra lingua continua il latino parlato, non quello scritto. L’opera è stata trovata a Roma, pare copiata nel monastero di Bobbio, cioè nell’Appennino Piacentino; il maestro probabilmente insegnava a Roma e questo lo si capisce da alcuni elementi interni alle coppie di parole. È importante sia per i tratti fonetici sia per la percezione che il maestro ha rispetto agli errori dei suoi allievi che erano ricorrenti; per questo scrive un promemoria, un prontuario che deriva dalla sua pratica professionale. Tratti che incontriamo caratteristici: 1. SINCOPE VOCALI POST-TONICHE Le vocali post-toniche sono vocali deboli perché si trovano subito dopo una vocale tonica. SPECULUM > SPECLUM In questo caso la vocale tonica è la E. quindi cade la U, che è POST-TONICA. Passaggi: SPECULUM > SPECLUM > SPECLU > SPEKKJU > SPEKKJO > SPECCHIO 1. sincope 2. apocope 3. trattamento occlusiva velare sorda + laterale 4. evoluzione vocalismo atono (U > O) 5. aggiungo segno diacritico H 2. EVOLUZIONE VOCALISMO TONICO (in particolare U BREVE > O CHIUSA) → vedi triangolo vocalico COLUMNA > COLOMNA 3. ASSIMILAZIONE CONSONANTICA (fenomeno consonantico) L’assimilazione consonantica è un fenomeno che si verifica in presenza di due consonanti vicine, una delle due è però più forte e rende uguale a sè l’altra. Ne esistono di due tipi: una di tipo italiana e una dialettale. ASSIMILAZIONE CONSONANTICA REGRESSIVA (italiana) → in questo caso la seconda assimila (=rende uguale a sè) la prima, trasformando la sequenza di due consonanti diverse in un’unica consonante doppia. ASSIMILAZIONE CONSONANTICA PROGRESSIVA (dialetto centro - meridionale) → la prima consonante assimila a sè la seconda. Nell’Appendix Probi osserviamo che il nesso consonantico MN della parola COLOMNA diventa un unico fonema intenso NN. QUindi è un fenomeno di assimilazione consonantica regressiva. Diventa Veronica Trucco quindi un’intensificazione della nasale. Inoltre nella parola COLONNA nel passaggio all’italiano, si osserva un fenomeno che nel III secolo ancora non c’era, ovvero l’evoluzione del vocalismo tonico. EVOLUZIONE VOCALISMO TONICO Passaggio dal vocalismo tonico del latino classico al latino volgare. Le vocali in latino erano 10 mentre ora sono 7 e sono tutte sonore. LEGGE DELLA PENULTIMA. In latino l’accento era di tipo musicale: la posizione dell'accento tonico era determinato dalla quantità (durata) della penultima sillaba: - se la penultima è lunga → l’accento cade su quella stessa sillaba natūra → natùra - se la penultima era breve → accento cade sulla sillaba prima piangère → piàngere - sulle parole bisillabiche l’accento si trova sempre e comunque sulla penultima sillaba (breve e lunga che fosse) ATTENZIONE: la quantità della sillaba non corrisponde sempre con la quantità della vocale che la componeva. Una vocale breve produceva una sillaba breve solo se in sillaba libera, altrimenti se era in sillaba implicata produceva una sillaba lunga. Bĕl era sillaba lunga perché vi era ĕ in sillaba implicata. Essendo sillaba lunga è normale che cada lì l’accento e quindi la-bĕl-lum non è un’eccezione, ma conferma la regola della penultima. Vocale breve in sillaba libera → sillaba breve → accento su precedente Vocale breve in sillaba implicata → sillaba lunga → accento su penultima (labellum) Vocale lunga in sillaba libera → sillaba lunga → accento su penultima Vocale lunga in sillaba implicata → sillaba lunga → accento su penultima Dal greco si passa al latino e poi alla lingua moderna. Nei paesi dell’est hanno tenuto i vecchi accenti perché hanno influenza greca (es. Elena vs. Elèna). Noi abbiamo seguito le regole spiegate sopra, loro no. Oggi si ha un accento intensivo: la sillaba accentata riceve una maggiore forza articolatoria. DITTONGAMENTO TOSCANO. Fenomeno chiamato così perché: “toscano” → fenomeno tipico toscano e infatti dimostra come la nostra lingua derivi dal toscano “dittongamento” → perché porta un 1 unico fonema a diventare dittongo (ovvero a diventare due fonemi) Per cui la ŏ e la ĕ vengono trattate in modo diverso rispetto all’esito che dovrebbero avere. Nel passaggio al latino classico: ŏ → o aperta ĕ → e aperta Quello che si verifica è che queste due vocali possono avere due esiti diversi a seconda della posizione della base latina di partenza: ovvero se la sillaba è libera o implicata. DITTONGAMENTO TOSCANO SOLO IN SILLABA LIBERA Osserviamo i diversi esiti di E BREVE: 1. SILLABA LIBERA (termina per vocale) → jƐ La ĕ ha tutto lo spazio per espandersi ulteriormente e diventare dittongo. Esempio : PEDEM > PIEDE Veronica Trucco In questo caso osserviamo il dittongamento toscano: passaggio da ĕ breve in posizione tonica in sillaba libera al dittongo IE → formato dalla semiconosonante IOD + E accentata (aperta Ɛ) 2. SILLABA IMPLICATA (termina per consonante) → Ɛ La ĕ breve non ha lo spazio per diventare dittongo, quindi si trasforma semplicemente in E aperta. Esempio: SEPTEM > SETTE Passaggi: SEPTEM > SEPTE → apocope SEPTE> SEPTE → evoluzione vocalismo tonico (e breve > e aperta) SEPTE > SETTE → assimilazione consonantica regressiva Osserviamo i diversi esiti di O BREVE: 1. SILLABA LIBERA → wϽ Esempio: BONUM > BUONO Passaggi: BONUM > BONU → apoope BONU > BUONU → dittongamento toscano BUONU > BUONO → evoluzione vocalismo atono 2. SILLABA IMPLICATA → Ͻ Esempio: PORCUM > PORCO PORCUM > PORCU → apocope PORCU > PORCU → non si osserva il dittongamento toscano!! PORCU > PORCO → evoluzione vocalismo atono Quello che osserviamo è che entrambi i dittonghi che si vengono a formare IE e UO sono ascendenti → formato da semivocale + vocale, dove è accenata la seconda vocale. Quindi si passa da un vocalismo atono a tonico. LEGGE DEL DITTONGO MOBILE. Alcuni verbi con ŏ o ĕ nella radice osserviamo un’alternanza tra il dittongamento e forme senza dittongo. In particolare la regola dice che il dittongamento toscano si verifica solo nelle forme rizotoniche (=accentate sulla radice). Le parole con la stessa radice si dicono CORRADICALI. Distinguiamo: RIZOTONIA Quando una parola ha l’accento che cade sulla radice. ES: PIEDE (accento su piè-de) RIZOATONIA Quando una parola ha l’accento che non cade sulla radice. Es. PEDATA (pe-dà-ta). Non c’è dittongamento toscano in questo caso. In molti casi la regola del dittongo mobile si è andata a perdere: a) in alcuni casi le forme rizotoniche sono state abbandonate a causa dell’influenza delle forme rizoatone es verbo lĕvo : in un primo tempo ha dato liévo, poi è tornato lèvo a causa dell’influenza delle forme rizoatone non accentate b) in altri casi è avvenuto il contrario: il dittongo delle forme rzotoniche si è esteso per analogia alle forme rizoatone che non lo avevano es verbo sŏno : inizialmente le forme rizotoniche del verbo (es sŏno) ha dato il dittongamento (suonate), mentre le forme rizoatone (sŏnatis) hanno dato regolarmente sonate. Successivamente le voci non dittongate hanno sentito l’influsso di quelle dittongate e hanno preso anch’esse il dittongo: oggi si scrive comunemente suonate, suonava.. EVOLUZIONE VOCALISMO ATONO Non esistono vocali aperte. Come vedere se una vocale tonica è aperta o chiusa? Veronica Trucco

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