Laboratorio di Biochimica Clinica PDF

Summary

Questo documento fornisce informazioni sul laboratorio di biochimica clinica, descrivendone la struttura, le diverse tipologie e i compiti assegnati. Si focalizza sulle varie figure professionali coinvolte e sui processi analitici, compresi i controlli di qualità. Include un'introduzione ai diversi tipi di laboratori, come quelli di reparto e quelli specialistici.

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Lezione 1 – 07/03 clinica Il laboratorio (cap 1, pag 3) Il laboratorio di biochimica clinica fa da aiuto al medico, per scoprire ad esempio se un paziente è affetto da una malattia o ha una predisposizione ad una determinata patolo...

Lezione 1 – 07/03 clinica Il laboratorio (cap 1, pag 3) Il laboratorio di biochimica clinica fa da aiuto al medico, per scoprire ad esempio se un paziente è affetto da una malattia o ha una predisposizione ad una determinata patologia, in base ai sintomi che gli riferisce. Serve al medico nel momento in cui egli ha già un’ipotesi diagnostica. Quindi il paziente viene indirizzato ad un laboratorio di biochimica clinica per effettuare i vari esami di cui necessita. In base ai risultati dell’analisi si conferma o meno l’ipotesi diagnostica. Il laboratorio di biochimica clinica serve anche al medico per decidere la terapia, oppure per vedere se la terapia sta funzionando o meno. Quindi il laboratorio di biochimica clinica ha il compito di assistere il medico nelle seguenti azioni: - Scoperta della malattia o predisposizione alla malattia; - Conferma dell’ipotesi diagnostica; - Scelta e monitoraggio della terapia: in base al risultato delle analisi, si sceglie la terapia e si monitora se è efficace o meno; - Definizione della prognosi: è la previsione del decorso della patologia, soprattutto in base all’esito delle analisi che vengono fatte periodicamente. Struttura del laboratorio È un laboratorio multidisciplinare: abbiamo biologi, chimici, fisici e personale tecnico specializzato nelle macchine. Quindi c’è un’integrazione di discipline diverse. C’è un laboratorio di microbiologia, di analisi delle urine, di ematologia ecc. Ciò fa si che ci sia un’integrazione di strutture diverse all’interno di un’unica grande struttura. Quindi il laboratorio si può suddividere in: - Struttura: il suo staff, l’impianto e i compiti assegnati sono strutturati in base alle analisi cliniche che devono essere effettuate. Perciò avrò un personale specializzato in base alle analisi che bisogna fare, macchinari adeguati ecc. Quindi la struttura è costituita dai: ▪ Compiti assegnati ▪ Staff = deve essere presente personale in possesso di titoli di studio congrui con la posizione rivestita ▪ Impianto = la tipologia dell’impianto utilizzato è caratterizzato da una serie di requisiti impiantistici e di sicurezza obbligatori e regolamentati per legge e da una serie di apparecchiature, in parti comuni a qualsiasi laboratorio e in parte invece specificatamente correlate con le misure effettuate - Processo: con questo termine ci si riferisce a tutti i pannelli di prestazioni cliniche che vengono effettuate all’interno del laboratorio. Rispetto al pannello di prestazioni (il prodotto dell’impianto), vengono attivati procedure e controlli che caratterizzano e definiscono la qualità del dato prodotto: infatti il referto laboratoristico ha un peso in termini di qualità ed affidabilità. Questo peso gli viene conferito da una serie di valori aggiunti quali: ▪ Un pannello dei controlli di qualità ▪ Dei protocolli di comunicazione con l’esterno = se il paziente riscontra una carenza o una mancanza deve poter ricevere supporto ▪ L’archiviazione dei dati = per effettuare il follow-up ▪ Ricerca e innovazione = per migliorare le prestazioni delle analisi che vogliamo effettuare ▪ Valutazione dei costi per il mantenimento e l’efficacia Abbiamo diversi tipi di laboratori di analisi cliniche: - Laboratorio di reparto (point of care testing): è il laboratorio più piccolo, si trova nelle vicinanze di un reparto e ha come obiettivo quello di ridurre al minor tempo possibile il tempo intercorso tra le analisi e il referto. Sono piccoli laboratori indipendenti, a cui hanno accesso solo biologi e medici. Valutano pochissimi parametri, ovvero quelli necessari per il reparto a cui sono affiancati. Sono dotati di attrezzature altamente tecnologiche, che consentono di fare accettazione, validazione e refertazione del campione. Hanno anche dei calibratori interni. - Laboratorio generale (core laboratory): è il laboratorio di analisi ospedaliero. Prevede molti processi analitici, effettua analisi di ogni tipo e qui ha accesso tutto il personale medico, infermieristico, biologi e tecnici. Le apparecchiature usate sono molto automatizzate ma richiedono una serie di protocolli di validazione interna e esterna. - Laboratorio specialistico: raccoglie un bacino di utenza molto ristretto, perché fa solo un particolare tipo di analisi. Un esempio è il laboratorio di analisi citogenetiche, che effettuano test del DNA. Effettuano test quantitativi, con apparecchiature automatizzate e anche qui ci possono accedere biologi, tecnici e personale medico. Motivazioni per la richiesta delle analisi Il medico circa una volta l’anno ci richiede delle analisi, e queste analisi hanno dei possibili obiettivi: - Controllare i miei valori attuali; - Screening per vedere se ho patologia comune in famiglia; - Confermare o escludere dubbio diagnostico; - Per verificare il follow-up, sia di una malattia che di una terapia - Gestire delle emergenze: ad esempio in pronto soccorso, non appena si entra si fanno delle analisi per vedere dove bisogna andare ad agire. È necessario specificare sulla prescrizione delle analisi il motivo per cui si devono fare, in modo tale che il laboratorista decida l’urgenza di quella analisi, quindi se metterla come primo campione o in coda. 2 In questa tabella vediamo i più comuni pannelli analitici per organo o malattia. Ciclo analitico Tutti i laboratori seguono lo stesso ciclo analitico, e il tempo che percorre tra l’accettazione e il referto è il TAT (turn around time). In pronto soccorso il TAT deve essere molto breve. Questo è il ciclo analitico. In rosso vediamo le “macro fasi”. In blu ci stanno le sotto fasi. Andiamo a vederle nel dettaglio. 1) Fase pre analitica (accettazione): o Accettazione alla cassa: con visione del codice fiscale, stampa dell’etichetta per il campione ecc; o Verifica campione: viene fatto il prelievo sul paziente e si vede se è stato fatto correttamente; 3 o Centrifugazione del campione; o Suddivisione caricamento: il campione viene diviso in più parti (in più aliquote) per fare più analisi con meno campione possibile. 2) Fase analitica (analisi, valutazione del dato): o Analisi: vengono effettuate le analisi sul campione in una macchina; o Validazione del dato: viene validato in base a se i controlli interni della macchina sono corretti o meno; o Eventuale ripetizione: se i controlli interni della macchina sono sballati, il campione va rimandato 3) Fase post analitica (referto): o Creazione del Referto Tutto questo deve funzionare alla perfezione, perché ogni fase è essenziale per dare un referto corretto. L’automatizzazione delle macchine al giorno d’oggi è diventata fondamentale: nella fase dell’accettazione non è troppo essenziale, ma nelle fasi subito dopo è necessaria per ridurre il tempo. Già nella media automazione questa tante fasi sono ridotte ad una sola. Inoltre serve a proteggere sia l’operatore da un campione potenzialmente infetto o a proteggere il campione stesso. Negli ospedali troviamo procedure di alta automatizzazione. Ogni fase deve essere meticolosa perché ogni errore può sballare il quadro clinico. Nella tabella vediamo tutta la differenza tra bassa automazione ad alta automazione, e come varia il numero di fasi. Si passa da 17 fasi a solamente 7. Controllo del processo e del prodotto (cap. 2 pagina 21; cap. 4 pag 86) Concetto di controllo e assicurazione della qualità Bisogna valutare la qualità del controllo finale, ma anche la qualità del processo analitico che mi ha portato ad avere quel numero. I giapponesi hanno inventato il ciclo di Deming, un metodo di gestione iterativo in quattro fasi utilizzato per il controllo e il miglioramento continuo dei processi e dei prodotti. Le fasi del ciclo sono: 4 1) Plan: avere in mente come si vuole migliorare il processo produttivo o il nostro prodotto finale, quindi bisogna elaborare delle strategie per ottenere gli obiettivi che ci prefissiamo; 2) Do: a questo punto metto in opera ciò che ho progettato; 3) Check: controllo ciò che ho fatto e di aver raggiunto il risultato che volevo raggiungere; 4) Act: metto in opera ciò che ho progettato, e in più implemento la fase che è andata peggio. Con questo processo si migliora il processo produttivo. In mezzo a questo processo ho dei punti di verifica, dove controllo che tutto stia andando bene. Questi punti di verifica li ho dopo la fase pre-analitica (ho rispettato i tempi di consegna? L’accettazione è andata a buon fine?), dopo la fase analitica (ho rispettato il TAT? Il numero uscito dalla macchina è corretto? La macchina si è fermata? Il magazzino ha abbastanza campioni?), e dopo la fase post analitica (è stato rispettato il tempo di consegna? Ci sono reclami da parte dei clienti? Si effettua anche il reflex test, se ho trovato parametri alterati nel paziente). Ho anche una terminologia specifica: VEQ = valutazione esterna della qualità; CQ = valutazione della qualità interna. Retta di taratura Ma noi come facciamo ad essere sicuri che la macchina ci dia un risultato affidabile? Lo sappiamo perché le macchine vanno incontro ad una calibrazione, detta anche RETTA DI TARATURA. Questa viene fatta con dei calibratori interni che vengono forniti dal produttore della 5 macchina stessa. Ad esempio, la Siemens produce la macchina per il dosaggio del colesterolo, e l’azienda ogni tot al mese manda al laboratorio un tot di calibratori utili a fare una retta di taratura. I calibratori, per esempio nel caso del colesterolo, sono delle aliquote a concentrazione nota di colesterolo, che una volta inserite in macchina, la macchina terra per ciascuna un risultato (facciamo in termini di assorbanza) linearmente dipendente alla concentrazione del colesterolo: quindi maggiore sarà la concentrazione del colesterolo, maggiore sarà l’assorbanza che ricavo. Da ciò tiro fuori una retta di taratura. La curva di calibrazione, detta retta di lavoro o retta di taratura, costituisce un metodo indispensabile nell'ambito della chimica analitica per la determinazione della concentrazione o della massa di un campione incognito per interpolazione. La retta di taratura deve avere una pendenza di 45 gradi, linearmente dipendente. Vediamo l’immagine del grafico: sulla retta delle Y vedo i valori dell’assorbanza, su quella delle X dei valori della concentrazione di colesterolo. Matematicamente si fa una regressione lineare: nel primo punto che incontriamo, abbiamo 0,25 di assorbanza e 0,1 di colesterolo. Quando porto il colesterolo a 0,3, ho triplicato l’assorbanza, che mi diventa 0,7. Questo mi permette di tracciare una retta che mi va ad interpolare quasi tutti i punti. La pendenza della retta deve essere =1. Una volta che ho fatto questa retta, sapendo che il campione 1 ha concentrazione=0,1, il campione 2 ha concentrazione=0,2 ecc, e sapendo che a questi campioni corrisponde una determinata assorbanza, quando andrò a leggere un campione di cui ho solo l’assorbanza (che è ad esempio 0,55), riuscirò a trovare qual è la sua concentrazione, proprio grazie alla retta di taratura. Questo mi assicura che la macchina ha letto il valore corretto del mio campione. Quindi gli strumenti del Laboratorio di Analisi Cliniche richiedono una calibrazione (taratura) per ogni analita, effettuata mediante campioni di misura definiti "calibratori", con quantità note dell'analita in relazione alla risposta dello strumento, Esattezza. Però io devo essere sicuro che, durante la giornata, la macchina sia rimasta calibrata correttamente senza che i valori si siano sballati. Per questo devo effettuare un controllo di qualità interno Controllo di qualità interno Il controllo di qualità interno si effettua con l’inserimento di un campione a concentrazione nota (tra i campioni a concentrazione nota che derivano dai pazienti), che so che deve ricadere in un determinato intervallo. Il risultato che ottengo mi dà un indice della precisione della macchina in quel momento. Normalmente questi intervalli di riferimento seguono una distribuzione gaussiana: il valore che ottengo si distribuisce in un range che va dalla media del valore con + o - 3 deviazioni standard. Per 6 cui si dice che l'ambito (range) della distribuzione normale è μ+3 oppure μ-3. Questo è il range di valori che viene ritenuto accettabile. Quindi spiegato meglio: un valore è ritenuto accettabile se ricade nell’intervallo tra il suo valore medio + 3 deviazioni standard oppure se ricade nell’intervallo tra il suo valore medio -3 deviazioni standard. II 99,73% dei campioni ricade in questo range. Ogni giorno si analizzano due o più campioni di controllo interno prima dei campioni dei pazienti per verificare che ricadano nel range. Carta di Levey Jennings La carta di Levey Jennings è certamente la più usata per descrivere l’andamento della qualità analitica nel laboratorio. Costituisce una registrazione fedele e continuata della qualità del prodotto e dell’eventuale presenza di errori casuali o di errori sistematici, con il vantaggio di dimostrarne immediatamente l’entità e il decorso in caso di fuori controllo. Possiamo dire che va tutto bene finché non si trova un punto molto esterno rispetto agli altri. Questo però potrebbe essere un errore casuale. Si blocca comunque la macchina. Dobbiamo iniziare a porci il problema quando l’errore diventa ripetitivo: ad esempio, nella seconda carta, abbiamo un progressivo aumento dei valori del controllo, che si ripete per ben sette volte. Questo vuol dire che ci sta davvero un errore nella macchina, ed è un errore sistematico. La probabilità che un numero significativo di campioni sia sempre dallo stesso lato della linea mediana non è elevata e deve far sospettare che il metodo controllato sistematicamente sovrastimi o sottostimi il valore reale. A questo punto la macchina viene fermata. LCL è il valore più basso che si può ottenere; UCL è il valore più alto di riferimento che si può tenere. Il controllo interno deve rimanere sempre all’interno di questa gaussiana. Le regole da seguire per stabilire se è il caso o meno di sistemare la macchina sono definite regole di Westgard. Sostanzialmente ci dicono se l’errore è casuale o meno. Le possiamo vedere in questa tabella (lei non le ha dette in realtà). 7 Questo è un controllo di qualità interno che è stato fatto sulla fenilalanina durante lo screening neonatale fatto sui bambini appena nati. Viene prelevata una goccetta di sangue dal tallone, viene fatta essiccare su uno spot e si fa uno screening contro una serie di malattie metaboliche, tra cui la fenilchetonuria. Per verificare se è affetto da fenilchetonuria, si va ad usare la fenilalanina. In questo grafico vediamo come si distribuiscono i controlli di qualità interna della fenilalanina durante la stessa giornata e le giornate successive. Una volta che abbiamo stabilito che la nostra macchina funziona bene e che il risultato ottenuto è affidabile perché rientra nei parametri della retta di taratura ecc, mi devo assicurare che le analisi che faccio in laboratori diversi mi diano comunque dei risultati simili e affidabili. Per questo si fa la valutazione esterna della qualità. Valutazione esterna della qualità (VEQ) (Proficiency Test, PT) È un sistema di controllo che fa si che i vari laboratori abbiano i valori di quel parametro nello stesso range. La VEQ presuppone che ci sia un organismo strutturato al di fuori dei laboratori di analisi, che a cadenza mensile invia ai laboratori dei campioni in cieco. L’ente di controllo invia mensilmente ai diversi laboratori dei campioni di controllo, che simulano i campioni dei pazienti, su cui dovranno essere eseguite determinazioni analitiche che successivamente saranno valutate esternamente in base ai risultati. Permette il confronto delle analisi eseguite con quelle eseguite dagli altri laboratori. Quindi sostanzialmente l’ente di controllo invia mensilmente ai laboratori dei campioni di controllo, di cui il laboratorio può sapere solamente la sostanza che ci sta al suo interno. In base all’autoimmunità, bisogna dire se sono positivi o negativi, e anche quanto lo sono. Dopodiché vengono mandati i risultati all’ente, che deciderà se sono accettabili o meno. Il risultato di questo controllo di qualità esterno viene espresso come differenza in termini di numeri di deviazioni standard da quello che loro hanno come risultato. Quindi se il risultato è =0, il match è perfetto, cioè la deviazione standard dell’istituto che ha fatto questo campione e quello che l’ha misurato. Uguale o inferiore a due deviazioni standard è considerata accettabile. 8 Uguale o superiore a 2 deviazioni standard è considerata inaccettabile, perché vuol dire che quel laboratorio mi da dei risultati che non sono in linea con quelli degli altri laboratori. Fonti della variabilità in medicina di laboratorio In ognuno di noi ci sta una grande variabilità per quanto riguarda i parametri, perché possono dipendere dalle nostre abitudini, dal nostro sesso, dalla nostra età ecc. Ad esempio il colesterolo varia tantissimo tra uomini e donne. Quindi questo diventa problematico per costruire gli intervalli di riferimento. Come si stabiliscono questi intervalli? Tramite questi step, che vengono seguiti dagli statisti: 1. Individuo di riferimento: si sceglie un soggetto per effettuare una comparazione secondo criteri definiti. Questi criteri devono essere più precisi possibile: ad esempio l’età (per esempio compresa tra i 20 e i 60 anni); le abitudini (si sceglie se fumatori e non fumatori); il sesso (ho solo maschi o solo femmine) 2. Gruppo campione di riferimento: il numero di individui di riferimento deve essere adeguato a rappresentare la popolazione di riferimento. In caso si possono fare anche delle partizioni 3. Analisi del parametro: si effettua un’analisi del parametro 4. Distribuzione di riferimento: si effettua una distribuzione di tutti questi valori, e si fissano i limiti superiori e inferiori 5. Osservazione del valore: in base al valore che osservo del mio paziente, posso dire se si trova o no all’interno dell’intervallo di riferimento. Questo è l’algoritmo generale per la definizione dei valori di riferimento. Anzitutto si definisce un gruppo campioni di numerosità adeguata; su questi soggetti si misura il parametro in esame e attraverso gli opportuni metodi si escludono gli eventuali outliers (cioè misurazioni dovute a errore della misura). La valutazione della distribuzione dei valori assume un’importanza centrale nella scelta del metodo per la valutazione dell’intervallo e dei limiti di riferimento: i metodi non parametrici possono essere applicati a tutte le distribuzioni (gaussiane, logaritmiche ecc), mentre quelli parametrici sono preferibilmente utilizzati per le distribuzioni gaussiane o trasformabili in gaussiane. 9 La valutazione parametrica dei valori di riferimento è basata sul controllo della normalità della distribuzione, la trasformazione dei dati in caso di non normalità della distribuzione con la sul seguente definizione dei limiti di riferimento. Se la distribuzione dimostra una forma gaussiana, il 95% della popolazione è individuato in base alla formula: media +/- 1,96 SD I limiti si fissano, convenzionalmente, in maniera da escludere porzioni del 2,5% dalla coda di distribuzione inferiore o superiore (quinid non vengono considerati nei limiti di riferimento). Di conseguenza la popolazione di riferimento comprendere il 95% delle osservazioni fatte sul gruppo campione. La valutazione non parametrica dell’intervallo di riferimento può essere applicata a qualsiasi distribuzione di valori poiché non fa alcuna presunzione sul tipo di distribuzione e non effettua alcuna stima dei parametri di distribuzione ma si limita a determinare i percentile superiore e inferiori dopo aver ordinato i valori osservati, assegnando dessi un numero di rango e quindi enumerato ed escluso i valori situati al di sotto e al di sopra del percentile definito. Sia la stima parametrica che quella non parametrica forniranno comunque un intervallo di riferimento e dei limiti di riferimento per dei limiti di probabilità P convenzionalmente prestabiliti. L’ideale sarebbe avere un valore preciso che ci consenta di discriminare in pazienti malati e pazienti non malati. Tuttavia questo ancora non esiste. Gold standard Il gold standard è un test per un determinato parametro che ci dà il risultato più affidabile in assoluto. È un test caratterizzato da maggiore sensibilità e specificità. Degli esempi sono: - Emoglobina glicata per il diabete - Biopsia epatica per la cirrosi - Troponine per l’infarto del miocardio 10 Sensibilità del test È la capacità del test diagnostico di individuare i malati. Per noi sarebbe comodo individuare i malati abbassando la soglia del valore del parametro. Tuttavia così si rischia di includere delle persone sane che hanno un valore sfalsato di quel parametro, e vengono chiamate falsi positivi. Specificità del test La specificità è la capacità del test diagnostico di individuare solo gli individui sani, non malati. In questo caso ci piacerebbe alzare la soglia del valore per individuare gli individui sani, però c’è il rischio di comprendere dei falsi negativi, ovvero quelle persone malate che hanno dei valori normali del parametro che stiamo misurando. Quindi ciò che bisogna fare è individuare un valore soglia che sia in grado di ridurre al minimo i falsi positivi e i falsi negativi. Da questo dipenderà la qualità del nostro test diagnostico. 11 Quindi: VERI NEGATIVI: Soggetti con valore che rientra nell'ambito della popolazione sana, NON affetti dalla malattia FALSI NEGATIVI: Soggetti con valore che rientra nell'ambito della popolazione sana, AFFETTI dalla malattia VERI POSITIVI: Soggetti con valore fuori dall'ambito della popolazione sana, AFFETTI dalla malattia FALSI POSITIVI: Soggetti con valore fuori dall'ambito della popolazione sana, NON affetti dalla malattia La sensibilità diagnostica (SE) di un test è definita come la percentuale di test positivi che si osserva applicando un determinato test a soggetti affetti dalla malattia bersaglio. È la percentuale dei test positivi che si ottiene applicando un test ad una popolazione di 100 soggetti malati. Veri positivi è falsi negativi rappresentano i gruppi malati. Se su 100 soggetti malati il test da 100 risultati positivi, la sua sensibilità è al 100%. Se sugli stessi soggetti è positivo per il 75% e negativo per il 25%, la sua sensibilità è del 75%. Viene calcolata utilizzando la formula: La specificità diagnostica (SP) è definita come la percentuale di test negativi che si ottiene applicando un determinato test di laboratorio ad una popolazione di soggetti sani, non affetti dalla malattia che si sta cercando di diagnosticare. È la percentuale di test negativi che si ottiene applicando un test ad una popolazione di 100 soggetti non malati che si vuole diagnosticare. Veri negativi e falsi positivi rappresentano i gruppi non malati. Se su 100 soggetti non malati il test da 100 risultati negativi, la sua specificità è del 100%. Se sugli stessi soggetti è negativo per il 75% e positivo per il 25%, la sua specificità è del 75%. Terminologia Anamnesi: la raccolta delle informazioni sul paziente; Diagnosi: individuazione di una patologia; Prognosi: previsione sul decorso e sull’esito di un quadro clinico; 12 Follow-up: fase di controllo continuo o periodico e programmato, raccolta di dati clinici dell’ammalato nel periodo successivo alla diagnosi e alla terapia; Programma di screening: strategia sanitaria volta di individuare un’eventuale malattia nelle sue fasi iniziali. 13 Lezione 2 – 08/03 clinica Interpretazione del segnale di laboratorio (cap 4, pagina 86) Ciclo analitico In questa immagine possiamo rivedere tutte le fasi del ciclo analitico. Analizziamole piano piano. Fase pre-analitica Le richieste delle esecuzioni delle analisi possono essere indirizzate a: - controllo del mantenimento dello stato di salute - Screening per la prevenzione di patologie - Completamento diagnostico nel sospetto di una patologia - Monitoraggio di una malattia durante trattamento farmacologico - Nella gestione di uno stato di emergenza/urgenza - Monitoraggio in fase pre- e post-operatoria La variabilità della fase pre analitica dipende maggior parte dei casi esclusivamente dall’operatore. La variabilità pre analitica è relativa ai fattori che condizionano la concentrazione dell’analita o comunque la sua misura, dal momento del prelievo fino all’analisi propriamente detta. Fattori tipici della variabilità pre analitica sono le modalità del prelievo, del trasporto, della centrifugazione, e la conservazione del campione. La richiesta al laboratorio degli esami di biochimica clinica deve contenere ove necessario: - L’ipotesi diagnostica, motivazione della richiesta; - Ragguaglio su eventuali terapie in corso: potrebbero alterare i parametri clinici - Ora in cui effettuare il prelievo - Tipo di indagine (basale, test da carico, test di soppressione o stimolazione) Fase pre analitica 1: preparazione del paziente - Accertamento dell’identità; - Paziente riposato, a digiuno da almeno 6-8 ore - Firma del contratto informato: si autorizzano gli operatori ad effettuare quel tipo di analisi e viene garantita la riservatezza - Alimentazione del giorno precedente - La postura: alcuni valori degli analiti cambiano a seconda se il paziente si trova in posizione orizzontale o eretta - Attività fisica: evitare sforzi troppo intensi il giorno prima - Stato di idratazione: evitare di bere eccessivamente Fase pre-analitica 2: raccolta del campione C’è una standardizzazione delle metodologie di prelievo del campione, in modo che in tutte le strutture venga fatto correttamente il prelievo. È stato fatto un insieme di linee guida seguite mondialmente. La scelta del campione biologico dipende dalle indagini da eseguire. I campioni più utilizzati sono: - Sangue, che si divide in: ▪ Sangue venoso: per indagini ematologiche e biochimico cliniche di routine; ▪ Sangue arterioso: per misurare i parametri dell’equilibrio acido-base. - Urine, che si dividono in: ▪ Campione della mattina; ▪ Campione della raccolta delle 24 ore. Altri esami possono essere effettuati su: - Feci - Fluido cerebrospinale (LCS, liquido cerebrospinale) - Biopsie di tessuto - Materiale aspirato (liquidò pleurico, fluido sinoviale, liquido amniotico) - Calcoli - Capello - Saliva Vediamo il sangue più nel dettaglio. - Prelievo venoso: viene fatto molto spesso nella vena mediana, che si trova davanti l’articolazione del polso - Prelievo arterioso: fatto dall’arteria radiale, molto doloroso - Prelievo capillare: fatto dal polpastrello L’errore più comune è l’emolisi: è dovuta al fatto che il sangue viene prelevato troppo velocemente, l’ago troppo piccolo ecc… Questo favorisce una rottura dei globuli rossi. Ciò fa si che i globuli rossi rilascino delle sostanze (enzimi, fosforo, potassio…) che vanno ad alterare le analisi. Ci si accorge subito che il sangue è emolizzato perché assume una colorazione aranciata. Un’altra problematica riguarda i campioni lattescenti: sono i campioni molto opachi. Questo succede se ci sono troppi trigliceridi. Questo comporterà un’alterazione di tutti quei parametri clinici la cui misurazione si basa sul loro valore di assorbanza. Il sangue si può utilizzare sotto diverse forme: - Sangue intero o eritrociti: non viene fatto nessun tipo di manipolazione, viene usato così come prelevato. Usato per analisi ematocitometriche, per valutare la morfologia delle cellule. Non bisogna sottoporlo a sedimentazione, perché altrimenti gli eritrociti vanno a fondo (e a noi ci serve tutta la componente cellulare). - Leucociti: usato per analisi genetiche, perché sono cellule nucleate (eritrociti no), per cui contengono il DNA di cui noi abbiamo bisogno 2 - Plasma: contiene i fattori della coagulazione del sangue. Per ottenerlo bisogna aggiungere delle sostanze anticoagulanti al sangue prelevato, per bloccare il processo coagulativo e mantenere presenti tutti i fattori. - Siero: privo dei fattori di coagulazione. Il siero si ottiene lasciando coagulare il campione di sangue prima della centrifugazione. Viene centrifugato per separare e scartare la parte corpuscolata. Contiene tutte le proteine tranne i fattori della coagulazione. Naturalmente, per effettuare un’analisi su come funziona la mia coagulazione, non posso usare il siero perché è privo dei fattori della coagulazione e quindi chiaramente risulta che la mia coagulazione non funziona. Per alcuni parametri clinici è possibile utilizzare sia siero che plasma, per altri devo per forza utilizzare il plasma. Uso di coagulanti: per ottenere il plasma che contiene i fattori della coagulazione del sangue In questa tabella possiamo vedere le differenze di concentrazione di alcuni analiti tra il plasma e il siero. Cambia soprattutto per la creatina kinasi, per il glucosio, per il fosforo, per il potassio ecc. Le provette in cui viene raccolto il sangue vengono identificate in base ai Chelante = un composto chimico o tappi: una miscela di composti chimici in - tappo lavanda: contiene EDTA, cioè acido diamminotetracetico. È grado di formare per chelazione un chelante del calcio. L’EDTA è una polverina che si trova sulla complessi più o meno stabili con parete della provetta. atomi o ioni. Normalmente più sono - Tappo blu chiaro: contiene il citrato di sodio. Viene usato per i legami che si formano tra il l’analisi dei fattori della coagulazione. Si utilizza il citrato di sodio chelante e il metallo, più è stabile il (o sodio citrato) perché è un chelante reversibile: io devo bloccare complesso che si forma. la coagulazione del sangue che avverrebbe non appena ne La chelazione è una reazione chimica provoco la fuoriuscita, ma poi per valutare i parametri devo in cui alcune molecole si legano ad liberare tutti i fattori della coagulazione. Si usa nel rapporto di 1:1 atomi di metallo (come calcio, rame, con il sangue. Se si sbaglia il rapporto, avremo un risultato ferro o piombo). sbagliato del nostro parametro - Tappo rosso: il campione coagula e si ottiene soltanto il siero Un esempio è l’EDTA, un chelante in - Tappo verde: è presente un gel che separa siero e plasma e le grado di legarsi a ioni Ca2+ o Mg2+. cellule dopo centrifugazione - Tappo grigio: contiene il floruro, un inibitore della glicolisi e quindi viene utilizzato per la misurazione della glicemia - Tappo giallo: contiene acido citrico citrato destrosio. Inibisce la coagulazione del sangue 3 - Tappo blu scuro: non ci sta niente al suo interno, serve solo alla valutazione dei metalli pesanti Diluizioni: 1:10 -> 9 parti solvente, 1 della sostanza che voglio diluire Il secondo numero (in questo caso 10), sono le parti in cui devo suddividere il mio volume finale. Se il mio volume finale è 10 ml, devo fare 10/10 = 1 ml per ogni parte. Quindi se devo diluire una sostanza 1:10, vuol dire che di quelle 10 parti nove saranno di solvente, uno della sostanza che voglio diluire. 1:5 -> 4 parti solvente, 1 sost In questo caso 10 ml come volume finale, divido i miei 10 ml in cinque parti, quindi faccio 10/5 = 2 ml. Quindi ogni parte corrisponde a 2 ml. Quindi devo mettere 4 parti del solvente (8 ml) e una parte della sostanza che voglio diluire (2 ml) 4x -> sostanza la cui concentrazione è 4 volte maggiore rispetto a quella da utilizzare. Quando la dovrò utilizzare, la dovrò diluire 4 volte. Ad esempio mi servono 20 ml come volume finale: divido il mio volume in 4 parti quindi 20/4= 5 ml, per cui dovrò mettere 15 ml del solvente e 5 ml della sostanza che voglio diluire. Quindi 3 parti solvente + 1 parte sostanza da diluire 10x -> sostanza la cui concentrazione è 10 volte maggiore rispetto a quella da utilizzare quando la dovrò utilizzare, andrà diluita 10 volte Se voglio un volume finale di 100 ml, devo fare 100/10 = 10 ml per parte. quindi per diluire la mia sostanza 10 volte, avrò 9 parti di solvente (quindi 900 ml) e una parte di sostanza da diluire (quindi 100 ml). Quindi 9 parti solvente + 1 parte di sostanza da diluire Preparare una soluzione al 4% -> se è una POLVERE: o Vuol dire 4 gr in 100 ml o Poi posso fare le proporzioni: 0,4g in 10 ml ; 40 mg in 1 ml Se è un LIQUIDO: o 4 ml in 100 ml o Anche qui posso fare le proporzioni scritte Nella tabella sottostante possiamo vedere quali sono gli analiti che richiedono speciali procedure di raccolta, trasporto e conservazione. Alcuni per la conservazione necessitano il congelamento, altri la temperatura ambiente, altri ancora l’aggiunta di qualche sostanza. Alcuni necessitano di di un anticoagulante, come l’eparina o il citrato. 4 Fase pre-analitica 3 - Trasporto del campione: bisogna controllare dei fattori, come la luce, l’aria, le vibrazioni (potrebbero causare emolisi), le sostanze volatili, le contaminazioni chimiche-microbiche (anche se ormai per quanto riguarda il sangue sono rare perché ad oggi i prelievi avvengono sottovuoto, discorso diverso per le urine in cui si possono trovare dei corpuscoli); - Consegna del campione ; - Centrifugazione: non ci possono essere errori troppo assurdi; - Separazione siero/plasma: il plasma va aliquotato; - Conservazione +4°C/-20°C: va fatto per evitare che il campione sia inutilizzabile. Errori che possono avvenire nella fase pre-analitica nella raccolta di sangue venoso Prima del prelievo - Prescrizione di analisi errata - Scambio di persona: ad oggi ciò si evita grazie alla presenza di un codice a barre che è associato ad ognuno di noi - Errore nella preparazione del paziente (es paziente non è a digiuno) Durante il prelievo - Errore nella tenuta del laccio emostatico, che provoca emolisi 5 - Provetta sbagliata - È sbagliato il rapporto tra l’anticoagulante e il mio campione - Emolisi dovuta ad un ago troppo sottile Dopo il prelievo - Mescolamento sbagliato: bisogna mescolare il contenuto della provetta con il campione, e per farlo bisogna agitare la provetta per circa cinque volte - Etichetta sbagliata - Il campione è stato portato al laboratorio sbagliato - Errata conservazione - Errato trattamento in laboratorio: ad esempio viene fatta un’aliquotazione sbagliata, l’immagazzinamento è sbagliato ecc Piccola parentesi sulla strumentazione del laboratorio Vetreria Ampolle, boccette, baker, beute, cilindri ecc sono tutti sterilizzabili. Per sterilizzarle vanno messe in autoclave, dove raggiungono la pressione di 1 barr e 120 °C. In autoclave possono sterilizzare anche acqua, solventi, ecc Abbiamo le provette: - Eppendorf: contengono micro volumi fino a 500 microlitri. Possono andare in centrifuga e raggiungono le 13mila rotazioni per minuto - Corex: di vetro, vanno in centrifuga - Falcon: da 15 ml e 50 ml, di plastica. Vanno in centrifuga. Arrivano fino a 3000/5000 rotazioni per minuto 6 Le pipette: - Gilson: per la manipolazione dei piccoli volumi. Possono pescare 10/100/200 microlitri. Ogni volta si deve inserire un puntale di plastica - Pipette sierologiche: raccolgono volumi più grandi - Pipettatrici automatiche Rotori di centrifughe: Ne esistono tantissimi tipi. Le loro dimensioni variano sia per il raggio che per la dimensione degli alloggi, in base a quello che devo centrifugare. La centrifuga deve essere calibrata bene, perché altrimenti si storce l’asse. Possono essere di tre tipologie: - Ad angolo fisso: mantengono un’inclinazione della provetta da 14 a 40 gradi. Alla fine della centrifugazione abbiamo il pellet nel fondo della provetta - Ad alloggiamento verticale: la provetta sta dritta. In questo rotore abbiamo il pellet che si trova al lato della provetta. - A bracci oscillanti: la provetta è messa in orizzontale (posizione di 90 gradi rispetto all’asse), e il pellet lo troviamo nel fondo della provetta. La preparazione del campione del sangue Si mette il campione di sangue dentro la provetta , che poi andrà in centrifuga. Quindi avviene la centrifugazione a 150 x g (g=gravità) per 10 minuti. In un campo centrifugo applicato (maggiore del campo gravitazionale terrestre) le particelle possono essere separate poiché sedimentano con velocità diversa a seconda delle diverse caratteristiche di densità, dimensione e forma. In campo chimico-clinico è impiegata soprattutto per la separazione di solidi da liquidi (es. parte corpuscolata del sangue dal plasma, cellule o microcristalli delle urine, ecc.). Quello che otteniamo è questo: 7 Trattato con sostanze anticoagulanti e lasciato sedimentare all’interno di una provetta, il campione mostra la seguente stratificazione visibile ad occhio nudo: - 44% Ematocrito: dove vanno gli eritrociti, è la porzione in basso della provetta - 1% Buffy coat: ci sono globuli bianchi e piastrine, sta al centro. Con questa parte si fanno le analisi genetiche - 55% Plasma: composto da H2O, proteine (tra cui anticorpi e fattori della coagulazione), glucosio, ioni, metaboliti di scarto. È la parte in alto della provetta Vediamo il plasma più nel dettaglio. Il plasma contiene più di 300 proteine diverse. Molte sono permanenti e hanno un ruolo specifico: o Mantenimento della pressione osmotica colloidale (albumina) o Trasporto (trasportatori di lipidi, ormoni, birilubina, ferro) o Difesa immunitaria: immunoglobuline, sistema del complemento o Coagulazione e fibrinolisi (proteine della coagulazione) Altre proteine invece compaiono nel plasma solo quando abbiamo una condizione patologica (enzimi di provenienza tissutale e marcatori tumorali). Motivi per cui il campione viene rifiutato quando arriva in laboratorio: - Sbagliato codice a barre (etichettazione) - Emolizzato o coagulato - È arrivato troppo tardi e alcune componenti sono deperite - Conservato male - La richiesta è di un tipo ma la provetta è di un altro Riduzione degli errori in fase pre-analitica Le etichette sulle provette devono: - Non essere facilmente asportabili: cioè non si devono staccare dalla provetta - Permettere identificazione inequivocabile del paziente (nome, cognome, codice fiscale, codice a barre) - Presentare almeno un doppio codice di identificazione (consigliato dalle linee guida internazionali) - Utilizzo di strumenti sterili (es. provette ed aghi monouso e chimicamente inerti) - Rispettare la tempistica della processazione del campione Raccolta delle urine Si può fare una raccolta: - Qualitativa: comune analisi delle urine, si fa con le urine della mattina. Usata per esami microbiologici - Quantitativa: usata per vedere la funzionalità renale. Precisa quantificazione del campione urinario, perché in base a questa è valutata la concentrazione dei metaboliti. Non è richiesta la sterilizzazione del campione. 8 Protidogramma sierico e urinario (cap. 8 pagina 240) Metodi per la misurazione delle proteine sieriche: protidogramma Noto anche come elettroforesi proteica, il protidogramma costituisce la tecnica più utilizzata in laboratorio per analizzare la composizione proteica dei liquidi biologici quali siero, urine, liquor (liquido cerebrospinale). È usato per identificare la presenza di proteine anomale, l’assenza di proteine normali e per determinare se un gruppo di proteine sia presente in quantità minore, o maggiore, rispetto alla norma. Le tecniche di separazione elettroforetiche sono: - Elettroforesi zonale - Elettroforesi capillare (CE) - Tecniche di immunosottrazione (ISE) - Elettroforesi/immunofissazione (IFE) Questa metodica è stata introdotta nel 1937 da Tiselius, e veniva chiamata elettroforesi in base libera. Consiste nel movimento di particelle cariche all’interno di un mezzo percorso da un campo elettrico. Si genera un campo elettrico omogeneo, che induce la mobilità di una molecola avente una carica Q verso l’elettrodo di carica opposta. La velocità con cui migra è chiamata ni, e dipende dalla dimensione della molecola, dalla forma della molecola e dalla dimensione dei pori del supporto. Ci sarà anche una forza che si oppone al movimento della molecola, chiamato coefficiente di frizione, esercitato dal supporto. La mobilità elettroforetica, cioè la sua capacità di muoversi, è data da mi= ni/E. La mobilità è indipendente dal campo elettrico, direttamente proporzionale alla carica netta della molecola, inversamente proporzionale alla dimensione della molecola. I supporti possono essere inerti (carta e acetato di cellulosa) o setacci molecolari (gel di agarosio e gel di poliacrilammide). In questa immagine vediamo un esempio di quadro elettroforetico delle proteine. Vediamo ora i vari supporti dell’elettroforesi. Setaccio molecolare: agarosio Cella per la corsa del gel di agarosio: i pozzetti sono posti in orizzontale, e caricati in orizzontale. I pettinini che occorrono a formare i pozzetti vengono inseriti verticalmente. Agarosio: è usato per separare gli acidi nucleici. Polisaccaride naturale lineare isolato da alghe, 9 formato da unità di D-galattosio e 3,6-anidro-L-galattosio, legate alternativamente da legami glicosilici. È una polvere insolubile in acqua, a 100 °C viene sciolto, versato nella vasca per ottenere il gel, quando si solidifica è lattescente. Si aspetta che si raggiungano i 40 °C per versarlo nella cella elettroforetica. I pori del setaccio sono inversamente proporzionali alla concentrazione di agarosio utilizzata. Una concentrazione dello 0,25% di agarosio, con dei pori molto grandi, mi consente di discriminare delle molecole di acido nucleico caratterizzati da un elevato peso molecolare. Quando avrò dei pori piccoli, le proteine o gli acidi nuclei di grandi dimensioni non riusciranno neanche ad entrare nella corsa, ma rimarranno confinate nel pozzetto, per cui potrò distinguere un range di pesi molecolari molto più basso. All’interno della cella elettroforetica troviamo anche il tampone di corsa. Il tampone di corsa (che consente passaggio di corrente) è o il tris-acetato (TAE), con potere tamponante più basso o Tris- borato-EDTA (EDTA è importante perché assicura il passaggio di corrente) (TBE). Il tampone di corsa contiene degli ioni che trasportano la corrente generata dagli elettrodi. A questo punto: - Sul gel vengono creati dei pozzetti fatti con dei pettinini - Viene caricato su un solo pozzetto un marcatore di peso molecolare, che è una miscela contente proteine a peso molecolare noto (immagine). Questo ci serve come riferimento per determinare le dimensioni delle altre molecole di DNA degli altri pozzetti, di cui noi non siamo a conoscenza. - La soluzione di DNA/RNA viene miscelata ad un colorante blu di bromofenolo, per poterlo seguire nella corsa su gel - All’interno del pozzetto viene messo il nostro campione colorato. - Il DNA carico negativamente migra verso l’anodo (carico positivamente: ricorda che nel caso delle celle elettrolitiche l’anodo è positivo e il catodo è negativo) (differenza con le proteine: devono essere caricate negativamente, non lo sono naturalmente come il DNA). La sua velocità di migrazione dipende dalla sua dimensione e dalla sua conformazione: ▪ Se è superavvolto: corre velocissimo perché è compattato ▪ Circolare: migrazione più lenta perché occupa più spazio ▪ Lineare: velocità media La colorazione del gel di agarosio può essere fatto con questi coloranti: - Bromuro di etidio: molecola planare che si intercala al DNA, è cancerogeno per cui non si usa più. - Blu di metilene: usato al posto del primo, composto organico della classe di eterociclici aromatici con proprietà riducenti - Gelred, gelGreen: intercalante degli acidi nucleici. È rosso o verde. È formato da due subunità di etidio (rosso) e arancio-creatina (green). Da cosa dipende velocità di migrazione del DNA: 10 - Concentrazione del DNA: Superavvolto: più veloce perché compatto Circolare: più lenta perché ingombrante e fatica a muoversi tra i pori Lineare: velocità media (prodotti da PCR) - Dimensione DNA: 1 Kb. Plasmidi ricombinanti 500 kbs. - Concentrazione di agarosio: più alta è la concentrazione di agarosio, più migra lentamente Poliacrilammide Il gel di poliacrilammide viene usato per separare le proteine. È una neurotossina. È formata da acrilammide + bisacrilammide, legati da un gruppo metilene. È usato come agente in grado di formare legami cross-linking. TEMED è il catalizzatore, cioè quello che fa partire la co-polimerizzazione di acrilammide e bisacrilammide. Deve essere aggiunto alla soluzione allo scopo di accelerare i tempi di questo meccanismo. In questo modo si forma il setaccio. Le proteine che hanno un peso tra i 5 e i 250 KDa possono essere facilmente discriminate tramite corsa elettroforetica su gel di poliacrilammide. Maggiore è la % acrilammide, minore sarà la grandezza pori (adatta per separazione piccole proteine). Minore è la % acrilammide, maggiore sarà la grandezza pori (adatta per separazione grandi proteine). Riescono a rimanere intrappolate solo le proteine con un peso compreso tra i 250 e i 75 kD. PAGE su gel discontinuo in presenza di sodio-dodecil-fosfato (SDS page) L’SDS page è l’elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecil fosfato. È una tecnica analitica che permette l’analisi di estratti proteici. Preparazione del gel Il gel di poliacrilammide per effettuare l’SDS page (e in generale il gel per l’elettroforesi su gel di poliacrilammide) si prepara in questo modo: 1) Stacking gel: parte superiore del gel. È la parte di gel in cui la concentrazione di poliacrilammide è fissa, cioè è al 4%. È fondamentale per garantire l’impacchettamento delle proteine: cioè le proteine devono partire tutte dallo stesso punto di partenza, e per garantire questo dobbiamo utilizzare un gel con dei pori molto larghi. Poi quando arriveranno al punto di incontro tra i due gel le proteine cominceranno a dividersi, ma l’importante è che partano tutte nello stesso punto. 2) Resolving/separating gel: parte inferiore del gel. È la parte di gel in cui avviene la separazione delle proteine in base al loro peso molecolare. È la parte di gel in cui la concentrazione di poliacrilammide varia, per cui noi dobbiamo decidere se vogliamo questo gel al 12%/15% ecc. In base alla concentrazione di poliacrilammide, avremo la discriminazione di proteine con un range di peso molecolare diverso. 11 Il tampone utilizzato per la cella elettroforetica è un tris-HCl contenente glicina, a pH 8,3. È ottimale per mantenere il passaggio della corrente. Preparazione campione per SDS page: A differenza del DNA o RNA, che sono naturalmente negativi e non hanno bisogno di alcun tipo di preparazione per farli migrare verso il polo positivo, le proteine ne necessitano dato che sono caratterizzate da diversi punti isoelettrici con cariche diverse. Per fare una corsa di elettroforesi in poliacrilammide e discriminare le proteine solo in base al peso molecolare, io devo far si che queste abbiano tutte carica netta negativa, in modo tale che migrino tutte verso il polo positivo. Per fare questo necessito di SDS. L’SDS è un denaturante che mettiamo nel sample buffer, ovvero nella provetta in cui abbiamo i nostri campioni di proteine. L’SDS denatura le proteine, quindi ne rompe la struttura articolata e gli conferisce una struttura lineare. Per denaturarle l’SDS si lega alle proteine, per evitare che vadano nuovamente incontro a folding. Inoltre, l’SDS è dotato di carica negativa: essendo attaccato alle proteine, gli conferisce una carica negativa. Nel sample-buffer deve essere inserito anche un agente riducente, come il DTT o il beta-mercapto-etanolo. Infatti, l’SDS non è in grado di rompere i legami disolfuro che mantengono la struttura delle proteine: per questo motivo devono intervenire degli agenti riducenti. Per completare la la denaturazione, è necessario bollire i campioni a 100 °C per cinque minuti. In questo modo la proteina perde in modo irreversibile la sua struttura. Viene utilizzato il blu di bromofenolo come colorante per poter visualizzare la corsa del nostro campione. Viene utilizzato anche il glicerolo, che serve a far andare il campione giù nel pozzetto, cioè lo fa precipitare. Infatti, se il campione pesasse come il tampone di corsa, rimarrebbe fluttuante e uscirebbe dal pozzetto. In questo modo invece il campione risulterà più pesante del tampone di corsa. Funzionamento Il gel viene inserito in una cella elettroforetica, che viene riempita dalla soluzione tamponante di tris- HCl. Il campione con le proteine viene messo all’interno dei pozzetti formati dei pettini. Gli elettrodi vengono agganciati alla loro fonte di energia elettrica. Quando viene fatto partire il voltaggio, le proteine cariche negativamente migrano dal catodo negativo all’anodo positivo. Le proteine si muoveranno più o meno velocemente in base alla loro dimensione. Le proteine più grandi rimarranno indietro, mentre quelle più piccole andranno avanti. 12 Lezione 3 – 15/03 clinica Elettroforesi capillare (CE) L’elettroforesi capillare serve a separare sistemi complessi di molecole grandi e piccole. Si può effettuare per le proteine del plasma. Consente di usare una quantità minima di campione per analizzare gli analiti. È un metodo molto rapido, perché la durata della corsa dura circa 5 minuti, ed è ad alta risoluzione. L’apparato è formato da due contenitori (reservoir) in cui è immerso il tampone che servirà per avere la riserva del potenziale e favorire la generazione del campo elettrico. In ciascuno di questi due contenitori è inserito il catodo o l’anodo. È presente un lungo capillare che connette i due contenitori. Una delle due estremità del capillare è flessibile, e gli consente di passare dalla vaschetta in cui è inserito il tampone di corsa all’autocampionatore (ovvero dove si trova il siero). Il siero, per capillarità, entra nel capillare e viene sottoposto ad analisi. La presenza dell’analita di interesse viene rilevato tramite un detector UV. Solitamente, alla lunghezza d’onda di 200 nM, il segnale viene acquisito da un pc e si forma un elettrofenogramma. La principale differenza con l’elettroforesi in agar è che in quella capillare abbiamo le proteine che migrano dal polo positivo a quello negativo, ovvero il contrario di quella su agar. Quindi migrano dall’anodo al catodo. ATTENZIONE: RICORDA CHE QUI IL CATODO è NEGATIVO E L’ANODO è POSITIVO Altre caratteristiche sono: - La corsa deve essere effettuata a 24°C; - Il volume di siero usato è in ordine di microlitri. - Non c’è bisogno di nessuna colorazione. Il capillare deve avere delle particolari caratteristiche: o Il diametro compreso tra i 20 e 70micron (più è grande, più è grande la quantità di materiale veicolata attraverso il capillare), e la lunghezza deve essere dai 20 fino ai 100 cm; o Chimicamente ed elettricamente inerte (non deve interagire in alcun modo con nessuno degli analiti che deve analizzare; non deve essere modificato quando si aziona la corrente elettrica); o Non deve assorbire le lunghezze d'onda UV visibile; o Flessibile e robusto (deve essere in grado di spostarsi senza rompersi); o Silice fusa al suo interno (serve a conferire flessibilità e robustezza). Il tempo di permanenza del soluto nel capillare è: t= L^2/ mi V t = tempo di permanenza del soluto nel capillare L= lunghezza del capillare Mi = mobilità elettroforetica del soluto V = differenza di potenziale (ddp) applicata Come fanno le molecole cariche negativamente a migrare verso il polo negativo (catodo)? È garantito dalla generazione del flusso elettroendosmotico. Abbiamo detto che all’interno del capillare si trova la silice. La silice viene modificata (fusa) in modo che vi siano legati dei gruppi silanolici (Si-OH). Questi gruppi vengono deprotonati (quindi assumono carica negativa) e interagiscono con gli elettroliti positivi che costituiscono il tampone di corsa. Tutto ciò avviene in ambiente acquoso a pH = 3. Anche le molecole polari di acqua interagiscono con gli elettroliti positivi del tampone circondandoli. Quando applico la corrente (quindi la differenza di potenziale), le molecole d’acqua vengono trascinate dagli ioni positivi verso il catodo, generando un flusso di solvente dall’anodo al catodo. Le proteine presenti nel campione, che in base alla carica elettrica negativa dovrebbero muoversi verso l’anodo, vengono trascinati dal flusso elettrolitico verso il catodo. Tamponi per elettroforesi capillare o I gruppi silanolici acidi sono gruppi ionizzabili, aventi un pKa compreso tra 4.0 e 9.0 (più il pKa è basso, più l’acido è forte, quindi qua i gruppi silanolici sono forti e mediamente forti). Il valore della carica negativa aumenterà quindi all'aumentare del pH del tampone (quindi più il pH sarà basico, più sarà negativa la carica dei gruppi e quindi saranno più basici). o L'utilizzo di tamponi neutro o basici rende il flusso elettroendosmotico più forte del campo elettrico così da trascinare tutte le sostanze verso il catodo (-). o L'applicazione del campo elettrico rende la forza di spinta del flusso elettroendosmotico uniforme su tutto il diametro del capillare. Velocità di migrazione La velocità e la direzione di migrazione dell' analita o degli analiti da separare (in caso di una miscela) dipende da: o La massa; o La carica; o Il flusso elettroendosmotico (EOF). Da questo ne deriva che: o CATIONI (+) = Sono facilitati e vanno più facilmente verso il polo negativo, e sono le molecole che rileveremo per prime. La loro velocità è data da: mobilità ionica + EOF. o Componenti NEUTRI = la velocità a cui correranno è data solamente da EOF o ANIONI (-) = la loro velocità è fortemente contrastata dalla loro carica, quindi la loro velocità di migrazione è data dalla differenza tra: EOF - mobilità ionica. Al termine della corsa otteniamo un elettrofenogramma, un grafico in cui viene rilevata l’assorbanza UV in funzione del tempo di migrazione. Le prime specie rilevate sono le specie cationiche, poi le neutre e le anioniche. L’intensità del picco dell’ assorbanza dipende dalla quantità di molecola rilevata. 2 Questa metodica della CE viene usata per l’analisi delle proteine sieriche. Infatti il plasma, o anche il siero, può essere sottoposto ad analisi elettroforetiche (sia agar che CE) per vedere la concentrazione di componenti proteiche al suo interno. II SIERO deriva dal sangue coagulato ed è quindi privo dei fattori della coagulazione. Si può sottoporre ad analisi elettroforetica per separare e quantificare le diverse frazioni proteiche che lo compongono: protidogramma. IMPORTANTE: DA ADESSO IN POI, TUTTI I VALORI SCRITTI CON QUESTO COLORE DEVONO ESSERE IMPARATI A MEMORIA Ps: quelli in nero sono stati scritti appositamente in nero Protidogramma - nefelometria perché non vanno imparati, non ti preoccupare Il protidogramma può essere richiesto dal medico curante per: - Controllo di routine Perdita di peso Affaticamento Screening e supporto alla diagnosi di patologie epatiche e renali Analisi complementari di un quadro infiammatorio Ricerca monitoraggio e quantificazione di componenti monoclonali TIPI di ANALISI che ci permettono di avere un quadro delle proteine nel nostro corpo: - Protidemia totale (néfelometria): la concentrazione totale delle proteine, fatta con una metodica chiamata nefelometria - Elettroforesi delle proteine sieriche PREPARAZIONE del PAZIENTE Paziente a digiuno da 8-12 ore Sconsigliata in caso di trattamento con antibiotici/cortisonici/aspirina per possibile alterazione parametri Protidemia (cioè la concentrazione delle proteine nel sangue): valore di riferimento

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