Summary

Lezione di Antropologia del 10/01/2024. L'obiettivo è comprendere la natura biologica dell'umanità e il suo posto nella natura, usando la paleoantropologia come strumento principale per lo studio delle origini. Si analizza il pensiero scientifico e l'evoluzione dell'antropologia, mettendo in evidenza le differenze tra antropologia fisica e culturale.

Full Transcript

ANTROPOLOGIA LEZIONE 10/01/2024 REVISIONATORE: LAVINIA LORETI Sbobinatrice--> Alice Gasparotti Perché studiare l’antropologia? L’obiettivo del corso è far sì che i futuri medici, grazie allo studio dell’antropologia, abbiano un’idea di chi siamo e da dove veniamo. Essa infatti cerca di comprender...

ANTROPOLOGIA LEZIONE 10/01/2024 REVISIONATORE: LAVINIA LORETI Sbobinatrice--> Alice Gasparotti Perché studiare l’antropologia? L’obiettivo del corso è far sì che i futuri medici, grazie allo studio dell’antropologia, abbiano un’idea di chi siamo e da dove veniamo. Essa infatti cerca di comprendere: ▪ La natura biologica dell’umanità ▪ Il posto dell’essere umano nella natura ▪ La relazione che l’umanità ha con gli altri esseri viventi Per capire tutto questo, uno dei canali informativi più importanti è quello della paleoantropologia: lo studio del nostro passato. Ritrovare le nostre origini nel tempo profondo ci consente di comprendere i nostri legami con gli altri esseri viventi. Sotto questo punto di vista, è interessante citare una frase del fisico Stephen W. Hawking: “Siamo solo una varietà evoluta di scimmie su un pianeta minore di una stella media, ma possiamo capire l’universo. Questo ci rende qualcosa di davvero speciale.” Qui l’autore tocca tutti quei punti che Sigmund Freud definì dei drammatici colpi al nostro narcisismo (circa nel 1916) alludendo ai tempi in cui, con Galileo e Newton, il nostro pianeta perse il primato di un tempo, in virtù di un maggiore realismo: ora era visto semplicemente come un pianeta piccolo, orbitante attorno ad una stella non grande. La nostra specie che si trova su un pianeta minore di una stella media, quasi un puntino minuscolo, oltre ad essere una varietà delle scimmie, è anche una creatura che aspira a capire l’universo e in qualche misura ci riesce. Steven Hawking ci rende una specie speciale, ossia una specie compresa tra le altre specie viventi, che possiede le proprie caratteristiche, tra cui quella di cercare di capire l’universo, la natura e noi stessi all’interno della natura. Molto spesso abbiamo provato a raccontarlo come ci sembrava possibile: con storie, miti, e altro. Da qualche secolo a questa parte il pensiero scientifico ci permette di capire l’universo in maniera più concreta: aiuta a capire meglio la natura e noi stessi all’interno della natura, basandosi su dati sperimentali riproducibili. Storia e sviluppo dell’antropologia L’antropologia è una scienza che negli ultimi decenni ha galoppato moltissimo: nata a metà dell’800, con la scoperta del primo fossile, ha 150 anni di vita e, se consideriamo più in generale l’antropologia fisica, possiamo dire che ha poco più di 200 anni di storia, ma soprattutto negli ultimi decenni l’antropologia ha fatto straordinari passi in avanti, sotto molti punti di vista: ⮚ Dal punto di vista metodologico: nuovi metodi di studio ⮚ Dal punto di vista della quantità di evidenze che abbiamo a disposizione ⮚ Dal punto di vista della capacità di rispondere a una serie di domande. Insomma, lo sviluppo dell’antropologia è stato graduale, come anche l’iter evolutivo. Il processo evolutivo dell’uomo è chiaramente un processo graduale, scandito da tutta una serie di passaggi: nessuna scimmia ha dato alla luce un cucciolo uomo. Vi è piuttosto un lungo e complesso percorso che oggi ricostruiamo anche in dettaglio e che è l’oggetto dell’indagine antropologica. L’oggetto di studio dell’antropologia è di interesse universale: capita spesso che i nuovi reperti fossili finiscano sulle pagine delle più importanti riviste scientifiche internazionali rimbalzando su tutti gli organi di stampa; è quindi sbagliato pensare che l’antropologia riguardi pochi. Antropologia Fisica vs Antropologia Culturale Quando si parla di antropologia usiamo una parola difficile, con molti significati, ed è quindi necessario comprendere la distinzione, risalente all’800, tra: antropologia fisica e antropologia culturale, due traiettorie distinte. ⮚ Antropologia fisica: si intende l’antropologia bio-naturalistica, che si occupa della biodiversità umana, dei rapporti di questa biodiversità con il resto della natura e della nostra storia naturale che, grazie a Darwin, sappiamo essere dovuta all’evoluzione. ⮚ Antropologia culturale: si intende l’etnologia, ovvero lo studio dei costumi, degli usi e delle tradizioni dei popoli esotici, provenienti da terre lontane. Oggetto di studio dell’antropologia culturale è il diverso, che è alla base del cosiddetto relativismo culturale. Statuetta di Venere (esempio antico del nostro linguaggio che è simbolico) Il nostro lavoro punta a noi stessi come obiettivo finale. Nel paleolitico iniziano a produrre il mondo che ci circonda attraverso un sistema di simboli. Produssero anche oggettinon necessariamente utilizzabili per qualche fine, ma che fossero espressione di un mondo che sta dentro la testa e che è costituito da simboli: si vuole dare significato agli oggetti. La statuetta è una figura femminile: presenta caratteristiche che vogliono evocare simboli legati a maternità, benessere o forse anche a un determinato tipo di status sociale (retina sulla testa). Questa figura rappresenta aspetti reali tramite simboli. Il nostro linguaggio articolato, che ci contraddistingue dalle altre specie, è determinato da un insieme di simboli vocali che danno poi la possibilità di raccontare e narrare: ▫ Sia la realtà ▫ Sia qualcosa che in realtà non esiste e che costruiamo con la nostra mente. È un mondo di simboli che serve per rappresentare altri simboli. Scheletro Lucy (una delle icone della scienza) Il nostro obiettivo è non perdere la nostra specie. Noi cerchiamo di spiegare l’evoluzione, i passaggi che portano sino al giorno d’oggi attraverso l’evoluzione. Lo scheletro Lucy è stato scoperto in Etiopia nel 1974 e rappresenta l’emblema di un passato che passa attraverso i resti fossili. I resti fossili sono parti di organismo. Le parti dello scheletro sono come un libro che racconta la nostra storia. Noi lavoreremo su ossa rotte e frammentarie provenienti da tempi lunghi e anche da spazi vasti. Manufatti I manufatti del paleolitico (che non sono altro che sassi rotti) si accompagnano alla nostra storia evolutiva, e sono il risultato delle nostre capacità manuali e encefaliche. Dna È importante anche utilizzare le molecole, come il dna, per riscoprire tratti del passato e del presente. Possiamo studiare sia il nostro passato che il genoma di specie estinte, come l’uomo di Neandertal (creature che non ci sono più ma le cui ossa hanno conservato tracce di dna). I denti per esempio sono importanti perché ci mostrano informazioni su infanzia e sul resto del percorso di vita. Ritaglio di giornale Scoperte importanti legate al nostro passato di solito finiscono in prima pagina. Noi antropologi abbiamo la fortuna che le scoperte sono visibili sulle varie fonti di divulgazione, questo perché viene raccontata la nostra storia su basi scientifiche: vengono ricostruite vicende del nostro passato. Il mito delle origini diventa sempre più concreto. Trattare l’evoluzione umana è qualcosa che dobbiamo fare anche con il linguaggio di altri: andiamo a intercettare credenze, convinzioni, aspetti che hanno a che fare con la religione, la filosofia e anche scelte politiche... per cui si tratta di un’attività delicata. Antropocene Termine che indica che noi come umanità stiamo modificando l’ambiente. L'uomo ha abbandonato l’Olocene ed è entrato nell’”Antropocene”: l’era dell’uomo; è un periodo in cui gli esseri umani hanno un impatto enorme su tutto l’ecosistema terrestre. Si parla di pianeta dominato (e peggiorato) dall’uomo: noi siamo la causa di moltissime modifiche che la terra ha subito negli ultimi anni come riscaldamento degli oceani, erosione del suolo, cambiamenti climatici, scomparsa di specie animali... Stiamo imponendo al pianeta di venirci incontro, a tal punto da subirne le conseguenze. Charles Darwin: padre teorico dell’evoluzione Come scrisse un famoso genetista “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione” --> l’idea di Darwin ( e non solo perché vi partecipò anche Wallace) fu quella di capire la variabilità e il percorso genealogico ed evolutivo. Questa comprensione sta alla base della biologia. Non avremmo capito così velocemente il coronavirus se non avessimo avuto in mente alcuni criteri preesistenti, anche legati al concetto di evoluzione: in particolare al fatto della presenza di varianti periodiche che determinano una selezione naturale, che seleziona favorevolmente alcune caratteristiche e sfavorevolmente altre. Chiunque si occupi di biologia deve fare riferimento a Charles Darwin, inteso come colui che ha modificato la storia del pensiero biologico dando una chiave di lettura metodologica interpretativa a un fenomeno fondamentale, ovvero quello dell’evoluzione. L'evoluzione era un fatto evidente agli occhi di tutti: era chiaro che nel tempo le forme di vita fossero cambiate e si fossero evolute; ma come questo fenomeno fosse avvenuto divenne materia di indagine. Darwin e Wallace capirono il meccanismo alla base del fenomeno dell’evoluzione e il primo la chiamò selezione naturale, che consiste nella variabilità casualmente offerta all’ambiente, il quale seleziona gli organismi più adatti a reagire a tale variabilità. Il pensiero darvinista è sintetizzato nell’opera L’origine delle specie (1859)* e sottotitolata: “ad opera della selezione naturale). Tuttavia, l’obiettivo originale di Darwin era quello di scrivere un’opera in 4 volumi che si chiamasse proprio “Selezione naturale”, che è di fatto la chiave interpretativa del fenomeno di evoluzione. La cosa peculiare è che in questo libro di 500 pagine sull’origine della specie l’essere umano viene menzionato soltanto nella penultima pagina del libro, laddove dice “Light will be thrown on the origin of man and his history”. Darwin, nella sua opera, non vuole affrontare il caso particolare dell’uomo, per diversi motivi: ⮚ La sua natura: la ritrosia a esporsi su temi scottanti ⮚ Calcolo preciso: evitare che il timore relativo all’origine dell’uomo sviasse il pubblico dal mantenere il focus sull’obiettivo della sua speculazione: definire i meccanismi dell’evoluzione. Egli parla dell’origine delle specie in generale (e non quella umana), comprendendo lo sviluppo di organismi, tra cui piante, con la loro variabilità nel tempo. “Luce si farà sull’origine dell’uomo e la sua storia” indica che se tutto ciò che si è trattato fino a quel punto è corretto, allora si potrà capire anche la storia e l’origine dell’uomo. È una sorta di auspicio --> (in questo corso vedremo la dimostrazione di questo auspicio) *Precisazione sul 1859: L’opera di Darwin risale al 1859. Si tratta di quasi esattamente un secolo dopo la decima edizione del “Systema Naturae” di Linneo (1758), nel quale Linneo pone le basi per la moderna classificazione zoologica e botanica, e in particolare, nella decima edizione, viene battezzata la specie Homo Sapiens e inserita all’interno dell’ordine Primates. Novità del pensiero darwinista Il fenomeno dell’evoluzione era davanti agli occhi di tutti già da un secolo: che le forme di vita nel corso del tempo cambiassero era sostanzialmente un’ovvietà;questo infatti lo si capiva dai sedimenti geologici o anche dalla sistematica che Linneo, a meta del 700, aveva fondato. Insomma, che l’evoluzione fosse un fatto era chiaro, quello che invece non era chiaro ai tempi di Darwin era quale fosse il meccanismo che produce il fenomeno dell’evoluzione. Trovare il meccanismo alla base dell’evoluzione: fu questa la grande novità di Darwin. Storia dell’evoluzione: il mondo dei primati Nello studio delle nostre origini è stata fondamentale la scoperta del DNA. Infatti, da una cinquantina d’anni, siamo in grado di studiare le relazioni tra noi e le scimmie e tutti gli altri esseri viventi, tramite il materiale genetico. Tra l’uomo e le grandi scimmie ci sono forti parentele, sotto due punti di vista: ⮚ Morfologico ⮚ Genetico Il dato molecolare, inoltre, ci dice che ci sono dei gradi precisi di affinità genetica tra noi e le grandi scimmie antropomorfe. In particolare, le distanze genetiche tra gli scimpanzé, gli umani e i gorilla sono piccole, mentre sono più grandi quelle rispetto all’orangotango, contrariamente a quello che uno a prima vista direbbe. Le maggiori affinità che l’uomo ha sono con gli scimpanzé; non a caso il biologo Jared Diamond definisce l’uomo come il terzo scimpanzé; del resto, con lo scimpanzé l’uomo condivide il 98,5% del genoma. La domanda, dunque, è: cosa definisce quel 1,5% di differenza tra l’uomo e lo scimpanzé? Di questo si occupa Marks nel libro “Che cosa significa essere scimpanzé al 98%”. Noi condividiamo con gli scimpanzé il 98,5% del genoma. Ci sono somiglianze con l’uomo, che sin dal 600 con Linneo, che ci attribuisce il nome “homo sapiens”, ci inserisce all’interno dei mammiferi in cui sono compresi umani, scimpanzé e con il senno di poi anche 400 specie viventi di scimmie. Non esiste LA scimmia ma esistono LE scimmie; tra tutti i tipi di scimmie, gli scimpanzé sono quelli più simili a noi, infatti possiedono solo l’1,5% di diversità. L’orologio molecolare Già dalla metà degli anni 60 i genetisti insegnano che le distanze genetiche si traducono in termini di tempi evolutivi. È importante inoltre sottolineare che le relazioni genetiche possono essere ricondotte al tempo trascorso a partire dall’antenato comune: ⮚ molto simili geneticamente (piccola distanza genetica) significa antenato comune recente ⮚ distanti geneticamente (ampia distanza genetica) significa antenato comune remoto Tale nesso logico si concretizza nella cosiddetta tecnica dell’orologio molecolare: si tratta di una tecnica che riconduce la diversità genetica che c’è nel presente tra più specie in tempo trascorso a partire dall’antenato comune, come a dire che nel tempo si accumulano mutazioni, e tante più mutazioni si accumulano, tanto più tempo è passato. Attenzione però, l’orologio molecolare è impreciso, in quanto all’interno di questo calcolo si deve inserire una cifra, detto tasso di mutazione (ritmo con cui si accumulano le mutazioni) che non sempre è un valore univoco e certo. Questo meccanismo, rilevante anche dal punto di vista della paleoantropologia, consente di trovare gli antenati esclusivi dell’uomo. Rispetto agli scimpanzé la distanza biologica molecolare è stimata circa 5 milioni di anni fa; di più è il tempo che ci separa dai gorilla (6-8 milioni di anni); mentre, ancora più distante è il tempo dagli orangotanghi, che in tempi cronologici temporali dista da noi circa 15 milioni di anni fa. Dal punto di vista genetico il più strano è l’orangotango, perché è il più distante rispetto agli altri. Il rametto (quello che nell’immagine si distacca dal ramo più grande e conduce all’uomo) è quello che noi definiamo evoluzione umana, che di fatto è sicuramente qualcosa di più vasto. Alla fine, siamo tutti fratelli, non solo con gli scimpanzé ma anche con lo stesso coronavirus per esempio. Siamo simili noi viventi e potremmo dire che l’evoluzione umana inizi molto prima. Sbobinatrice: Annachiara Mastria Inizio dell’evoluzione umana L'evoluzione del corpo umano è iniziata molto prima, è iniziata ai tempi del “brodo primordiale” quando si sono formate le prime macromolecole. Eppure, per convenzione con il termine “evoluzione umana” intendiamo soltanto quel rametto che si separa dalla forma vivente a noi più prossima. Tra tutti i viventi la creatura a noi più vicina corrisponde allo scimpanzé. La nostra storia evolutiva si è separata dalla loro intorno a 5 milioni di anni fa. A partire da 5 milioni di anni fa inizia il percorso autonomo della nostra evoluzione che si separa da quella degli altri esseri viventi. Solitamente l’evoluzione umana viene rappresentata come una sequenza di antenati, da quello più scimmiesco a quello più umano, che si succedono in modo continuo uno dopo l’altro con una sequenza evolutiva. In realtà sappiamo che la nostra storia non è andata così, la nostra storia non è una successione evolutiva lineare. Questa è un'idea vecchia, ormai superata, che fa parte dell'infanzia della paleontologia, oggi abbiamo delle conoscenze tali per definire la storia dell’evoluzione umana in maniera più complicata e corretta. Di fatti la storia dell’evoluzione umana è da considerarsi complicata, e non come una sequenza lineare bensì come un'arborizzazione. Da molti anni, viene utilizzata la parola “cespuglio”, si parla di “cespuglio dell’evoluzione umana” proprio per dare l’idea di una storia complessa e articolata. Osserviamo l’immagine Nell’immagine la storia dell’evoluzione umana è rappresentata con una scala del tempo e delle barrette che rappresentano le specie estinte che erano i nostri antenati/parenti estinti. La differenza tra antenati e parenti estinti è che: - Gli antenati sono in sequenza con un filo rosso che collega il più antico di loro al più recente, che siamo noi (homo sapiens) - I parenti estinti, invece, si separano su traiettorie distinte, più vicini a noi di quanto sia uno scimpanzé ma comunque distinti da noi a tal punto da appartenere a specie diverse come Homo Neanderthalensis, per gran tempo nostro contemporaneo (non nello stesso luogo), oppure Australopithecus Afarensis (specie di Lucy) copre circa un intervallo compreso tra 3/4 milione di anni fa … Anche all’interno dei nostri antenati/parenti estinti ci sono vari generi e all’interno dei generi ci sono varie specie. Il pupazzetto sulla sinistra vuole indicare che tutte queste specie e generi estinti furono e siamo bipedi. Caratteristiche dell’uomo Il bipedismo è una specie di “conditio sine qua non” per diventare umani, è la definizione del modello di locomozione particolare dell’uomo, infatti non conosciamo alcun mammifero bipede; il più simile è lo scimpanzé (a volte si alza in piedi) ma non è il suo modello di locomozione. La creatura che ha il modello da bipede siamo noi e, grazie alle ossa e alle impronte lasciate sul terreno, sappiamo che anche tutti i nostri antenati e parenti estinti furono bipedi. Un’altra caratteristica è determinata dai denti. Una nostra stranezza e di tutti i bipedi è quella di avere dei denti “strani”, noi rispetto a tutti gli altri primati, non abbiamo il "complex hominis” ovvero il complesso canino-premolare che funzionano come a forbice tra di loro con il canino sporgente. Sono queste tutte caratteristiche che sono sparite con la comparsa del bipedismo consentendo nel tempo una serie di adattamenti ambientali nuovi, rappresentando il concetto di “exaptation”, che Darwin chiamava “preadattamento”, ovvero caratteristiche che vengono acquisite per qualche motivo e poi tornano utili per qualche altro fine. Un esempio è il nostro grande cervello che si pensa sia 3/4 volte più grande di quello che dovrebbe essere, prendendo come riferimento le scimmie. L’importanza dei modelli iper realistici Altre immagini rappresentative sono le costruzioni dei paleoartisti che sono artisti che si occupano di paleontologia che sono in grado di riprodurre in qualche modo la storia passata che nessuno conosce realizzando figure in taglio naturale di silicone chiamate “modelli iperrealistici”. In queste figure sono racchiuse tutte le informazioni che oggi possediamo e sono basate sui resti fossili. Alcune caratteristiche non si possono osservare ma le rilevano tramite delle deduzioni fatte grazie alle evidenze fossili o ai confronti. Ritorniamo all’immagine [Leggenda per capire l’immagine: abbiamo barrette di diversi colori; quella in blu rappresenta il genere homo, quella arancione i parantropi (infatti per iniziali notiamo le P); In basso abbiamo curvature che indicano il clima, quando abbiamo picchi questi sono le glaciazioni; Il tempo va dal basso verso l’alto nelle barrette, a sinistra abbiamo gli anni (milioni) e le diverse barrette possono intrecciarsi tra loro.] La comparsa del genere homo rappresenta un nuovo inizio caratterizzato dalla crescita del cervello in dimensioni. Nello sfondo dell’immagine sono presenti due mappe geografiche, una che riguarda la sola Africa e l’altra che riguarda il vecchio mondo ovvero Africa e Eurasia insieme. La nostra storia per circa due terzi (da 5 milioni a circa 2 milioni) si è svolta solo in Africa orientale e in sud Africa, lungo l’asse della rift valley. Circa 2 milioni di anni fa sorge il genere homo che si sviluppa anche nel resto dell’Africa e nelle altre parti del mondo, come se dall’Africa zampillassero sempre novità evolutive che si trasmettevano a raggiera in tutto il contesto euroasiatico. l’Europa fa un po’ da protagonista perché vi erano concentrate la maggior parte delle ricerche fossili. In questo contesto si sono sviluppate svariate forme di homo, qui rappresentate dalle creazioni di due paleoartisti famosi, i due gemelli olandesi Kennys. L’evoluzione del genere homo, rappresentate dalle barrette blu, potrebbe sembrare a prima vista una sequenza evolutiva ma in realtà sono un intreccio di qualche filo. Nell’immagine il tempo va dal basso verso l’alto quindi molte specie si sovrappongono cronologicamente. In un quadro geografico più ampio, però limitato solo al genere homo, possiamo notare che la storia inizia un po’ prima di 2 milioni di anni fa. Una prima diffusione geografica è avvenuta intorno a due milioni di anni fa, prima verso l’Asia e poi Europa. Da entrambe derivano dei discendenti che arrivano a tempi molto vicini a noi e discendono dalla prima diffusione detta “Out of Africa”. Come una irradiazione dall’Africa verso l’Eurasia. Il triangolo arancione dell’uomo sapiens è iniziato 200 mila anni fa e poi si espande a livello planetario. Ce n’è anche un’altra di storia: noi homo sapiens siamo entrati in contatto con forme umane diverse da noi che pur essendo umane hanno caratteristiche biologiche e culturali diverse. Si tratta di un incontro tra una specie homo sapiens e altre specie come tra homo sapiens e homo neanderthalensis, è quindi una storia interspecie. Homo Heidebergensis C’è poi un punto interrogativo che è un’ipotesi su una possibile origine intorno a 800-900 mila anni fa di una nuova specie che si diffonde geograficamente out of Africa che molti chiamano Homo heidebergensis, una specie che si è iniziata a studiare bene 20/30 anni fa. È una specie molto importante che rappresenta una sorta di umanità di mezzo. Il punto interrogativo rappresentato nell’immagine, oggi , può essere tolto perché, a settembre 2023 fu pubblicato un articolo scientifico, scritto dal prof. Manzi e da alcuni genetisti e bioinformatici cinesi, in cui si dimostra che 800-900 mila anni fa ci fu la probabile origine in africa di Homo heidebergensis e che esso proviene da una profonda strozzatura genetica e demografica, che interessò alcune popolazioni del continente africano, da cui è emersa questa specie, più encefalizzata, più capace di affrontare contesti ambientali sempre più difficili che sono descritti dalla curva climatica rappresentata qui sotto. Si può notare infatti che a partire di un milione di anni fa il clima va frequentemente sotto un certo livello climatico, verso un freddo secco. Questi picchi sono quelli che chiamiamo le glaciazioni, fenomeni glaciali ricorrenti dell’ultimo milione di anni, l’ultimo picco glaciale è stato intorno a 25 mila anni fa. Alla fine dell’ultima glaciazione siamo andati verso climi sempre più accettabili e temperati. Come studiamo la morfologia? La scienza che chiamiamo “paleontologia” è una scienza che ha avuto notevoli progressi negli ultimi decenni, uno di questi riguarda la paleogenetica e ha avuto come esito il premio nobel assegnato a Svante Pääbo, che ha portato un importante riconoscimento a questa disciplina. Questo però non è l’unico grande cambiamento degli ultimi decenni come ad esempio l’antropometria; infatti, da fine ‘700 gli antropologi hanno cercato di misurare la variabilità degli esseri viventi e le forme dei fossili; questa misurazione andava a occuparsi di oggetti parziali, segmentando un oggetto tridimensionale complesso. L’alternativa era quella di descrivere a parole la forma delle parti corporee, ma anche questo non soddisfaceva perché erano descrizioni soggettive. Tra la fine degli anni ‘80 e ‘90 siamo passati a nuove modalità di studio della morfologia, modalità che sono chiamate morfologia geometrica, non ci si interessa più delle misure ma iniziano ad essere di rilievo i punti e la loro posizione nello spazio. Grazie al nuovo sistema di riferimento x,y,z si è potuto mettere insieme una serie di dati che analizza quantitativamente le forme biologiche. Tutto questo si è combinato con degli straordinari progressi in quella che viene comunemente chiamata digital imaging, cioè immagini digitali, quindi la possibilità di eseguire delle tac per visualizzare ad esempio un cranio fossile oppure delle scansioni laser, tutti sistemi che consentono di acquisire attraverso un computer la forma biologica e analizzarla dentro un sistema controllato utilizzando i metodi di geometria. SVANTE PAABO Sbobinatore: Luca Thotta Importanza del DNA Uno dei progressi più importanti è quello della paleogenomica che ci ha dato delle informazioni importanti, in quanto nel 1997, quando è uscita la prima pubblicazione dell'estrazione di DNA, è diventato possibile estrarre il genoma di specie dai reperti fossili non troppo antichi (perché il DNA si degrada) e che sono conservati a livelli bassi di temperatura. Quindi Questa tecnica si presta molto per specie settentrionali come furono i Neanderthal durante alcune glaciazioni (in Europa, nel vicino Oriente e in parte nell’Asia). Ed è proprio dai Neanderthal che è cominciata questa estrazione di Dna, con piccoli frammenti di genoma mitocondriale, nel 1997. Ai giorni nostri siamo riusciti a ottenere praticamente l'intero genoma, possedendo quindi il genoma completo non di una specie viva, ma estinta. Sono presenti al nostro interno geni di Neanderthal che favoriscono o sfavoriscono, l’insorgenza del covid. La notizia cominciò a circolare pubblicamente qualche tempo fa, quando alcuni ricercatori (tra cui Svante Paabo e vari ricercatori italiani come Mario Negri) hanno scoperto che vi sono alcuni frammenti di Dna ereditati dai Neanderthal che favoriscono l’insorgenza di forme gravi di coronavirus. Tuttavia, vi è un altro segmento del Dna neanderthaliano che sfavorisce e protegge dall’aggressione del virus. Questo perché? Tra le tante cose che si sono scoperte da quando abbiamo imparato a estrarre il Dna dai fossili, è che, per quanto noi e i Neanderthal fossimo specie diverse (Homo Sapiens noi e Homo Neanderthalensis loro), siamo stati in grado in certi momenti, in un periodo limitato di tempo e in un’area geografica abbastanza limitata anch’essa (per lo più vicino Oriente) di ibridazioni interspecifiche. noi conosciamo il concetto biologico di specie, le quali sono geneticamente chiuse, ma esse occasionalmente possono aprirsi ad ibridazioni (asino+ cavallo = mulo) non fertili. In realtà vi sono ibridazioni specifiche fatte tra animali che in natura non si incontreranno mai (tigre e leone), ma che vengono generate in ambienti specifici (zoo). Allo stesso modo tra uomo e Neanderthal, in certi momenti di contatto tra le due specie e in certe aree geografiche, sono avvenute ibridazioni interspecifiche che hanno visto prevalere la nostra specie, pur portando nel proprio genoma alcuni segmenti del Dna Neanderthaliano. Questo fenomeno prende il nome di “introgressioni genetiche”, le quali sono riscontrabili in ognuno di noi in maniera diversa. Se noi tiriamo una linea verso 0.1, noteremmo che 100.000 anni fa c’era già un sapiens, che quindi era gia comparsa la nostra specie e si era già diffusa a livello geografico, occupando territori in cui ha incontrato altre specie umane : Heidelbergensis in Asia (che poi prendono il nome di Denisova), i Neanderthal in Vicino Oriente, in Siberia e in Europa, gli ultimi Homo Herectus in Indonesia, Malesia, Cambogia, Isola di Giava, Laos ecc., gli Homo Floresiensis, creauture molto simili ai nani, (rimpicciolitisi per un fenomeno noto come nanismo insulare )in un’isoletta tra l’Asia e l’Australia. La scoperta dei denisova L’Homo Sapiens ha effettuato ibridazioni interspecifiche con alcune di queste specie, in rari casi capaci di produrre un ibrido fertile, dotato della capacità di trasmettere quindi un genoma ibrido, che si è via via frantumato in particelle sempre più piccole, tanto che oggi noi abbiamo residui nel nostro genoma di queste remote inclinazioni interspecifiche. Una di queste ibridazioni è quella con i Denisova, che fanno parte degli ultimi Heidebergensis asiatici ed è una specie che fino al 2010 non conoscevamo affatto. Ne abbiamo avuto conoscenza grazie alla paleogenomica: infatti proprio nel laboratorio di Svante Paabo, è stato possibile sequenziare il genoma estratto da un frammento d’osso trovato in una grotta (chiamata Denisova) in Siberia, sui Monti Altaj a confine con la Mongolia. Era stato quindi trovato un frammento d'osso, non decifrabile dal punto di vista anatomico, è stato mandato a Lipsia in Germania, dove si sapeva che erano capaci di estrarre il DNA e una volta estratto è venuto fuori l'intero genoma di una specie sconosciuta fino a quel momento, ma che poi conosceremo come Denisova. Non abbiamo ancora attribuito un nome latino a questa specie poiché, nonostante possediamo l’intero genoma, non siamo in grado di collegarlo a un fossile che sia diagnostico dal punto di vista morfologico, dato che il Dna è stato estratto da pochi piccoli frammenti sparsi (sia appunto in Siberia, ma anche una mandibola in Nepal e alcuni crani in Cina); di conseguenza non è stato fino ad ora possibile fare una diagnosi tassonomica. Comunque, è molto attendibile il fatto che abbiamo il genoma di una specie che non è dei Neanderthal e ciò è qualcosa che, come si capisce anche da questo grafico, anche se impreciso, è molto schematico. Infatti, origina dallo stesso punto interrogativo da cui siamo originanti noi e i Neanderthal ed è per questo che, se torniamo all’immagine, prima vediamo un punto interrogativo di circa 800/900.000 anni e i raggi che si dipartono da lì e che arrivano alle linee verdi, le quali sono le tre diramazioni di questa specie (Heidelbergensis originaria dell’Africa, dei Neanderthal in Europa e dei Denisova in Asia). Homo Sapiens Ciò che noi sappiamo abbastanza bene ormai, sia per dati fossili che genetici, è che Homo Sapiens compare e si diffonde in Africa circa 200/250.000 anni fa ed è una specie anatomicamente e culturalmente moderna, con genoma e caratteristiche fisiche come le nostre (cranio molto grande, rotondeggiante). Come vediamo dal grafico, soltanto 100.000 anni dopo incominciano ad affacciarsi al Vicino Oriente, cioè dall'unico passaggio di terra che c'è tra l’Africa e l’Eurasia (Israele, Palestina ecc.), ed è da lì che una frazione della variabilità africana inizia a diffondersi a livello planetario (evento mai visto prima) in Eurasia, Australia e Americhe. Questo, come accennato in precedenza, è una novità poiché nessuna forma umana lo fece mai in precedenza (si limitarono alla sola Eurasia) e ciò principalmente sia per una repulsione nei confronti dell’acqua del mare, sia per incapacità di costruire anche piccole imbarcazioni. Homo Sapiens giunge quindi in Australia circa 60.000 anni fa e parecchio tempo dopo nelle Americhe, partendo dal nord e arrivando fino alla punta sud del Sud America. Questo viaggio, costituito da tante migrazioni, corrisponde ad una vera e propria diffusione geografica: non è stato uno spostamento ma un vero e proprio gas che si è diffuso dove poteva. Come si vede dalle cifre qui riportate, l'Europa è anche colonizzata da Homo sapiens, intorno a 45.000 anni fa, periodo in cui c’erano ancora i Neanderthal classici, i quali però, dopo alcune ibridazioni interspecifiche, si estinguono (intorno a 40.000 anni fa). Perché si estinguono Homo Neanderthalensis e Denisova? Una delle cause indirette è sicuramente l’Homo Sapiens con la loro presenza ecologica e competitiva nello sfruttamento delle risorse ambientali. Se ritorniamo al grafico delle glaciazioni, vedremo che l’ultimo picco glaciale è stato 25.000 anni fa e questo vuol dire che nel contesto dell’Europa, e della Siberia soprattutto, c’era ghiaccio e freddo e quindi un contesto ambientale difficile, in cui i Neanderthal stentavano a sopravvivere, e il successivo arrivo di una popolazione più ‘’smart’’ come quella dei Sapiens, porta al crollo del loro vivere ecologico. Questo fenomeno si basa su un principio noto come ‘’esclusione competitiva’’, cioè non possono esistere due specie nello stesso territorio che occupino la stessa nicchia ecologica (N.B. per nicchia ecologica non si intende solo lo spazio fisico, ma soprattutto le modalità di vita di una specie), poiché una tenderà ad estinguersi. Homo Sapiens, in grado di escludere competitivamente Homo Neanderthalensis, è una specie del tutto nuova, una terza nascita (la prima sono i primi ominidi bipedi 5-6 milioni di anni fa, in Africa, la seconda è la comparsa in Africa del genere Homo circa 2-3 milioni di anni fa). Questa comparsa è altrettanto importante come le prime due, perché, come afferma anche Hawkins, l’Homo Sapiens è una specie speciale, che ha capacità cognitive nuove che portano a meccanismi di interazione con l’ambiente e con sé stessi talmente efficaci che, pochi millenni dopo, siamo arrivati ad essere più di 8 miliardi (nel 2050 saremo 10 miliardi). Questo è potenzialmente un disastro (oggi preannunciato dalla crisi climatica, dall’inquinamento, dall’estinzione di molte altre specie) che può paragonarsi solo all’asteroide che colpì il pianeta 66 milioni di anni fa e portò all’estinzione dei dinosauri. Dunque, nel momento in cui Homo Sapiens compare è possibile che fosse composto da un piccolo gruppo, da una piccola popolazione anche isolata, che poi si diffonde in Africa e successivamente addirittura fuori continente e nel resto del mondo, portando con sé le caratteristiche di quella prima popolazione ancestrale. Dopodiché si va via via ad ibridare o con popolazioni appartenenti alla specie madre o con quelle delle specie sorelle (Neanderthal e Denisova). Porta con sé queste nuove caratteristiche: la testa grande e soprattutto rotonda. Anche i Neanderthal avevano la testa di notevoli dimensioni e il loro cervello era genericamente più grande di quello del Sapiens, ma era organizzato in maniera differente: era infatti oblungo, allungato anteroposteriormente e ciò comportava differenze a livello cognitivo, encefalico, neurologico e quindi di connessioni sinaptiche e di sviluppo in certe aree della neocorteccia ecc., tali da portare nei Neanderthal capacità cognitive elevate ma diverse dalle nostre. E uno degli effetti di questa testa grande e rotonda e di altre caratteristiche che queste popolazioni in crescita e in diffusione portano in giro per il mondo è il cosiddetto pensiero simbolico, che vediamo rappresentato nelle veneri paleolitiche o in queste opere (vedi immagine) che non a caso prendono il nome di Cappelle Sistine della Preistoria, le quali in sintesi sono grotte con pareti rocciose, situate principalmente nella Francia meridionale e in Spagna settentrionale, in Indonesia (ma in generale in tutto il mondo) in cui troviamo rappresentazioni di arte rupestre incredibilmente bella e raffinata, con immagini capaci di trasmettere il movimento e la tridimensionalità delle faune dell’epoca. Molto probabilmente la causa di queste opere sono credenze religiose, visioni del mondo, interazioni con il mondo spirituale e in fin dei conti è proprio in queste espressioni artistiche che riscontriamo la nostra natura profonda di esseri pensanti attraverso i simboli. Dunque comparsa dell’ Homo Sapiens, la sua espansione e l’estinzione di altre specie umane è rappresentabile come il cono di una clessidra, ed è il momento in cui un’eredità remotissima si viene a raccogliere (dai primi vertebrati, dai primati, dai mammiferi, dai primi Homo) in un’unica popolazione in Africa, nella quale compaiono le unità evolutive fondamentali (mento sporgente, rapporto bacino-statura, il cranio rotondeggiante). Tutto ciò significa che da quel momento in poi inizia una nuova ‘’storia’’ e quella precedente viene definita macroevolutiva, essendo stato un periodo caratterizzato da grandi cambiamenti, dalla comparsa di nuove specie, nuovi ordinamenti ecc.. Dopodiché comincia una storia che noi definiamo microevoluzione sempre basata su un meccanismo di selezione naturale, ma all’interno della stessa specie, andando quindi ad escludere la formazione di nuovi generi o famiglie; vi è quindi una variabilità che si imposta all’interno della stessa specie. Gli uomini, infatti, adattandosi ai diversi contesti ambientali (dalle zone tropicali a quelle più deserte, da quelle più montuose a quelle in riva al mare, da zone calde a zone fredde ecc.) e per isolamento geografico sono diventati diversi, sia dal punto di vista culturale (linguaggio e culture diverse) sia per caratteristiche biologiche. Sbobinatore: Alice gasparrotti (vai alla prossima pagina) Ciò significa che siamo razionabili in razze? L’Antropologia (nata tra la fine del 700 e gli inizi del 800) ha cercato di mettere ordine in questa variabilità bioculturale delle popolazioni umane, provando a razionarla in entità discrete che hanno preso il nome di razze. Tuttavia, il termine ‘’razza’’ è sbagliato, essendo le razze varietà di una stessa specie (in questo caso, nell’immagine, canis lupus). Trasformati in creature più o meno felici con caratteristiche bizzarre (muso troppo corto che non permette la respirazione o l’assenza di orecchie che impedisce la comunicazione). I tempi della selezione artificiale scorrono abbastanza velocemente e includono qualcosa di artificiale prodotto dall’uomo; è una selezione assomigliante a quella naturale, ma deliberata da una mente esterna con richieste specifiche (siamo noi ad aver “creato” il cane da salvataggio, il cane da guardia o semplicemente da compagnia). La prima specie che è stata addomesticata è il lupo, ancora prima di quando l’uomo ha iniziato a diventare allevatore, agricoltore (ecc..), attività in cui il fatto di addomesticare presenta scopi di lavoro (si pensi alle pecore, galline, api..). Il lupo è stato il primo ad essere addomesticato e, di lì in poi, qualsiasi razza è stata frutto di diverse selezioni degli ultimi secoli. Mescolando le varie razze e selezionandone le migliori si sono ottenute ulteriori razze, come quella del dobermann. Il termine razza, quindi, non è zoologico ma zootecnico, nel senso che sfrutta la selezione artificiale a partire dall’uomo, che, a differenza di quella naturale prevede un progetto e un obiettivo specifico. Al posto di razza sarebbe più corretto utilizzare la parola sottospecie o variabilità geografiche di homo sapiens, per identificare una variabilità discontinua dall’interno della variabilità umana. Noi, di fatto, non abbiamo variabilità discontinua; la nostra variabilità non si presta a nessun tipo di classificazione. Dal punto di vista culturale si creano barriere Dal punto di vista biologico non si creano barriere, razze o varietà di sottospecie; perché la nostra variabilità è graduale e non discontinua. Darwin stesso si accorse che tutti coloro che provavano a realizzare classificazioni razziali, cercando di distinguere in razze l’umanità, si accorgevano che qualcosa non funzionasse; questo è spiegato proprio dal fatto che la variabilità umana non sia discontinua, poiché siamo molto mobili e interfecondi (se facessimo un viaggio da Dublino al fiume Congo potremmo osservare diverse sfumature di pelle mescolate tra di loro). Il colore della pelle cambia da nord a sud, o il taglio degli occhi cambia da est a ovest: sono caratteristiche razziali con inclinazioni diversi; sono variabilità interconnesse tra di loro tanto da rendere impossibile il lavoro dei vari antropologi e genetisti nella realizzazione di classifiche. Questo si è appreso attorno alla metà del 900, anno in cui la parola razza era diventata importantissimo: per molto si è cercato di distinguere razze migliori da peggiori, razze schiave da nobili, per giustificarne lo sterminio di alcune in tempi nazifascisti. Come l’homo sapiens ha cambiato stili di vita Pochi millenni fa è avvenuto il passaggio da cacciatori raccoglitori ad agricoltori e allevatori: è un passaggio molto importante che prende il nome di rivoluzione neolitica (siamo ancora nell’era dell’età della pietra). Il termine homo appare 2/3 milioni di anni fa; insieme a questo, compaiono molti referti archeologici del paleolitico. Per i successivi 2 milioni di anni, siamo sempre di fronte a popolazioni paleolitiche (noi stessi homo sapiens abbiamo vissuto per il 95% della nostra esistenza nel paleolitico). A questo periodo si possono ricollocare creazioni quali sassi rotti, scheggiati, schegge variopinte. L’homo sapiens è associato al termine “paleolitico “ Sbobinatore: Annachiara Mastria Gli uomini del paleolitico Intorno a diecimila anni fa, in alcune aree della terra gli uomini smettono di essere uomini del paleolitico ed iniziano ad essere uomini del neolitico, trattano la pietra in maniera diversa, levigandola anziché scheggiandola ma soprattutto cessano di sopravvivere facendo i cacciatori raccoglitori. Gli uomini del paleolitico cacciavano la selvaggina e raccoglievano i vegetali che avevano a disposizione nelle varie aree che frequentavano di stagione in stagione. Quindi erano piccoli gruppi, 20/30 individui che si muovevano su un territorio abbastanza ampio per sfruttare le risorse che la natura offriva loro di stagione in stagione. Erano nomadi a ciclo annuale nel senso che ogni anno tornavano negli stessi posti. (Questi cacciatori sono ancora presenti e gli etnologi tra fine 800 e inizio 900 hanno avuto la fortuna di studiare gli ultimi gruppi di cacciatori) Questi gruppi erano ugualitari, formati da maschi e femmine con una vaga distinzione di ruoli tra essi, non c’era un capo, al massimo uno sciamano che interagiva con gli dèi. All’interno del gruppo c’erano delle coppie che dovevano essere abbastanza unite per accudire i bambini e farli crescere. Nel momento in cui questo gruppo cresceva in quantità di persone, alcuni dovevano separarsi e spostarsi da un’altra parte; quindi, da un gruppo ne nascevano due e così via, da due quattro, da quattro otto ecc… Il cambiamento Ad un certo punto il sistema terra si è saturato di popolazione e non ci si è più potuti spostare perché ovunque c’era già qualcuno. Inoltre, le condizioni climatiche avevano favorito il diffondersi della popolazione perché era finita l’ultima glaciazione, siamo intorno a 10000 anni fa. In alcuni punti della terra, separatamente e quasi contemporaneamente, compaiono i primi centri di agricoltura e allevamento in cui le popolazioni diventano stanziali e iniziano ad allevare il bestiame e ad addomesticare le piante, trasformando le piante incolte in piante buone. Esempio: delle arance selvatiche che sono immangiabili perché amare, se selezionate e curate diventano gustose. Si trasformano così da cacciatori e raccoglitori di cibo, ovvero sfruttatori del cibo naturale, in produttori del cibo di cui si nutrono. Questo cambiamento dello stile di vita avviene quasi contemporaneamente in varie parti del mondo separate tra loro: nella parte mediterranea è avvenuto nella mezzaluna fertile, tra Tigri ed Eufrate; un altro centro vi fu in Cina, due altri in Mesopotamia e sud America e un altro in Indonesia. È probabile che proprio in queste zone si fosse addensata la popolazione umana che capì che vivere da cacciatori era diventato impossibile e dunque dovevano cambiare stile di vita. Si adattano dunque culturalmente, non biologicamente. Gli aspetti biologici come, ad esempio, la convivenza con gli animali, il dover digerire il lattosio anche da adulti, le malattie del cavo orale come, ad esempio, le carie legate all’uso dei cereali e così via, subentreranno dopo. Dunque, durante il neolitico tutto cambia (si può anche parlare di RIVOLUZIONE AGRICOLA). Da questi centri di origine gli uomini del neolitico si diffondono ovunque, questa volta non dall’Africa in altre parti, come era successo agli albori, ma dai centri di origine in altre aree. La mummia O La mummia Otzi, la mummia dei ghiacci, trovata una trentina di anni fa, rappresenta un uomo vissuto all’incirca 3500 anni prima di cristo che viveva di caccia e raccolta ma era entrato ampiamente in contatto con l’agricoltura e l’allevamento tanto che anch’egli le praticava. Era nella fase a contatto tra gli ultimi cacciatori agricoltori autoctoni dell’Italia settentrionale e i nuovi agricoltori e coltivatori che si stavano diffondendo a partire dalla mezzaluna fertile. Sbobinatore: Luca Thotta Conseguenze del cambiamento Questi cambiamenti socioeconomico-culturali e con effetti biologici hanno avuto come risultato un’espansione ulteriore dal punto di vista demografico. Questo nuovo stile di vita comporta infatti la stabilità, che porta le persone ad accrescersi localmente per arrivare a comunità sempre più grandi, cambiando quindi totalmente il tipo di struttura sociale: si passa infatti da una struttura egualitaria priva di gerarchie (l’unica distinzione sostanziale era tra uomo e donna) ad una con ruoli sociali (pescatori,allevatori,pastori,agricoltori e soldati). Ciò porta ovviamente alla creazione di gerarchie tra le varie classi e un fenomeno del genere lo possiamo riscontrare ad esempio nei poemi epici come l’Odissea. In questa troviamo due mondi in evoluzione: l’epoca del regno di Ulisse, in cui il re è capo di una comunità di eguali e i Proci, che insidiano il potere del re proponendo una società oligarchica. Ciò porta anche ad una ristanzione popolazionistica, cioè il fatto che stanziandoci e strutturandoci in società sempre più complesse ed estese, anche se in certi momenti veniamo spazzati via da pestilenze e carestie, comunque poi cresciamo. Questa crescita è diventata esponenziale in un tempo brevissimo, che corrisponde a quello degli ultimi secoli se non degli ultimi decenni; La popolazione sta ancora crescendo difesa da risorse straordinarie di cui disponiamo come civiltà e disponibilità per popolazioni in difficoltà, e lo sta facendo soprattutto in determinate aree geografiche come la Cina (che tuttavia sembra stia passando ad uno stile di vita talmente occidentale, da comportare una diminuzione delle nascite). Tutto ciò porta ad effetti negativi sull’ambiente e sull’ecosistema terra, che è stravolto da questa quantità di umani che popola il pianeta. Paul Crutzen 20 anni fa propose la parola antropocene quasi con intento provocatorio, per affermare che facevamo parte di una nuova era geologica che doveva prendere il nome della creatura che l’ha prodotta, poiché vi sono segni e strati geologici che segnano un cambio di marcia totale dal punto di vista delle caratteristiche ambientali. Questa parola è entrata quindi nell’uso comune, ma non è stata accettata dalla comunità degli geostrateghi e non è quindi ancora formalizzata come un’era geologica vera e propria, anche perché si discute ancora se possa essere cominciata con: -Comparsa Homo Sapiens -Neolitico -Prima rivoluzione industriale (fine 700) -Seconda rivoluzione industriale (inizi 800) -Terza rivoluzione industriale (i nostri giorni) -Comparsa dei primi test nucleari nel 1945 negli Stati Uniti, poi durati un ventennio in mezzo agli Oceani. Le scorie radioattive rilasciate rimarranno in circolazione per millenni e contribuiranno ad un catastrofico inquinamento insieme a tanti altri fattori come: le isole di plastica che, diventando microplastiche, verranno ingerite dai pesci e poi di conseguenza da noi stessi, gli inquinamenti atmosferici e quindi con l’innalzamento dei livelli di Co2, con conseguente effetto serra, e metano a causa degli allevamenti intensivi (questo spinge molti tra coloro interessati a preservare l’economia dell’ambiente ad adottare diete vegane o vegetariane). Antropologia Lezione 2: 17/01/2024 Sbobinatori: De Bernardi Grazia, Menesello Elisa, Valenti Gaia Revisionatrice: Pizzato Martina Nella lezione precedente il tema affrontato è stato quello dell’antropologia bionaturalistica; argomento di questa lezione sarà la biologia evoluzionistica: un tema vasto che tratteremo mediante una digressione tra ‘700 e ‘900. “Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Non possiamo intendere la tematica delle origini, dell’evoluzione e della natura umana senza avere un quadro chiaro di ciò che è la biologia evoluzionistica. Benedetto Croce: non la pensava allo stesso modo. Egli si discosta dall’interpretazione scientifica della realtà perché non vuole legare la biologia e l’evoluzione alla conoscenza dell’uomo. Sono stati tanti i personaggi di impostazione enciclopedica a schierarsi contro Benedetto Croce, nelle loro trattazioni enciclopediche: dimostrano al mondo che il quadro naturale non è fisso e che esiste una scienza chiamata biologia evoluzionistica. Nata nel 700, durante il secolo dei lumi e degli enciclopedici come Linneo e Buffon (il più importante naturalista francese), è la disciplina scientifica della biologia che analizza l'origine e la discendenza delle specie, così come i loro cambiamenti, la loro diffusione e diversità nel corso del tempo. LINNEO: nel 1735 decide di dare alle stampe la sua opera Systema Naturae, un’opera colossale in latino la cui decima edizione del 1958 è la più importante. E’ in quest’edizione che viene denominata la specie Homo Sapiens, che viene inserita all’interno dell’ordine Primates. Linneo era un fissista: credeva che la natura fosse sempre stata ferma e immutabile. Il suo motto era “Il compito del naturalista è quello di numerare le specie che furono create al principio dal padre eterno.” con cui egli allude al fatto che la variabilità sia stata creata dal padre eterno. Impostazione fissista ma organizzazione evoluzionista: per quanto fosse lontano dalla volontà di Linneo l’immaginare un’evoluzione, una genealogia, alla fine la sua classificazione è evoluzionistica. Quando classifica per le specie si accorge che ci sono affinità a grappoli e vede che c’è un raggruppamento che allude ad una genealogia: le varie specie dello stesso genere potrebbero derivare da uno stesso antenato. Dice che bisogna identificare ciò che ci circonda e descriverlo tramite una classificazione genealogica e identifica una gerarchia che traspare nella denominazione binomia, meglio conosciuta sotto il nome di denominazione linneiana. Ciascuna specie è caratterizzata da un binomio in latino, il nome del genere (ad esempio Homo) e un aggettivo specifico (Sapiens). (Il fatto stesso che ciascuna specie sia descritta da due nomi, il genere e l’appellativo specifico, (esiste una categoria descritta dal nome e una sottocategoria descritta da un aggettivo) ci fa capire che ci sono delle creature simili tra loro, separate geneticamente, tendenzialmente non interconnesse ma accomunate da una caratteristica.) Quindi esiste: La Specie Il Genere La Famiglia L’Ordine La Classe Il Phylum Il Regno Scaturisce da quest’analisi una vera e propria arborizzazione e l’esempio più evidente di ciò è il caso de “L’uomo e il pettirosso”. BUFFON: con Georges-Louis Leclerc de Buffon siamo di fronte a un’opera monumentale, un’unica edizione scritta in francese. Histoire Naturelle di 36 volumi, di cui uno interamente dedicato alla nostra specie, evidenzia la presenza di una variabilità tra gli esseri umani. C’è un fattore che distingue gli umani da tutti gli altri esseri viventi: le caratteristiche morali. Al contrario di Linneo, Buffon è tutt’altro che fissista; egli intuisce un qualcosa che ancora non ha un nome ma che ha un approccio ecologico e si chiamerà poi evoluzione. “Non c’e stata in origine che una sola specie di uomini, che ha subito differenti cambiamenti sotto l’influenza del clima, della maniera di vita, delle malattie epidemiche e anche del mescolamento.” Introduce poi il termine razza nel linguaggio dell’antropologia. La variabilità potrebbe avere una natura ecologica cioè di relazione tra gli esseri umani e l’ambiente. Evidenzia i cambiamenti in relazione all’ambiente. Diversità Esiste una grande varietà di esseri viventi Questa diversità può essere ordinata attraverso una scala gerarchica L’unità fondamentale è la specie Adattamento Tutti gli esseri viventi, dal più semplice al più complesso, sono mirabilmente coerenti con l’ambiente nel quale vivono. Nel 1800 si aggiungono alle conoscenze dei naturalisti i dati della paleontologia e allo stesso tempo si sviluppa l’anatomia comparata. CUVIER: Il padre di queste due discipline è Cuvier, uno dei primi a chiedersi come sia avvenuta l’evoluzione. Avendo tutte le informazioni in mano egli opta per un’idea catastrofista: pensa che in passato ci siano stati dei grandi cataclismi tali da azzerare le forme di vita precedenti e crearne di nuove. Anatomia comparata Omologia e analogia I fossili e la paleontologia Il principio di correlazione Nascono nuove idee che si aggiungono alle precedenti: con l’anatomia comparata nasce il concetto di omologia e analogia. L’ala di un uccello e dell’insetto sono analoghe (stessa funzione e stessa origine embriologica) ma non omologhe. L’ala dell’uccello e del pipistrello sono analoghe e omologhe perché sono costituite dalla stessa materia e stessi pezzi. Secondo la classificazione di Linneo gli organismi sono simili tra loro in base a certe affinità strutturali. Per esempio: Artropodi: costituiti da un esoscheletro e muscoli esterni che li muovono. Vertebrati: costituiti da una struttura di sostegno interna o notocorda e muscoli interni che li muovono. L’anfiosso è il cordato basale (cefalocordato): tutti i vertebrati si costruiscono attorno alla sua struttura; hanno queste caratteristiche e poi ognuno ne ha acquisite delle proprie in base al percorso evolutivo che hanno seguito o in base all’ambiente in cui hanno vissuto, in base alla loro storia. L’altra disciplina di cui si occupa Cuvier è la paleontologia: i fossili di creature esistite nel passato vengono ricercati negli strati geologici, si cercano le evidenze del passato. Si osservano sottoterra i resti delle creature che in passato esistevano e ad oggi non più - - > diretta conseguenza di un percorso storico. Tutto ciò è un’evidenza di come le intuizioni precedenti venivano man mano verificate. Una diretta conseguenza del catastrofismo di Cuvier (l’idea che nel corso della storia della terra ci siano stati momenti catastrofici che hanno azzerato la natura precedente e ne hanno create di nuove) è il pensiero Lamarckiano. LAMARCK (1744-1829): contemporaneo di Cuvier, il quale viene anche in parte affossato da Lamarck stesso. Ciò che Lamarck fa è limitarsi ad esprimere quello che molti naturalisti stavano incominciando a pensare. Philosophie zoologique scritto nel quale spiega la tendenza degli organismi a cambiare: 1- Anelito al cambiamento: tendenza e spinta interna al cambiamento, il corpo si modifica a causa dell’uso che ne faccio. 2- Ereditarietà dei caratteri acquisiti: trasmissione di questi cambiamenti alle generazioni successive (es: collo della giraffa). Le forme di vita si adattano completamente all’ambiente, acquisiscono nuove caratteristiche e quest’ultime vengono trasmesse alla generazioni successive. Quest’idea è evidentemente scorretta perché i caratteri adattativi (fenotipo) non vengono trasmessi ereditariamente, geneticamente ciò non avviene nella realtà viene trasmesso il genoma (genotipo). Attraverso una verifica sperimentale, l’ipotesi verrà smentita e sarà necessaria una nuova teoria che giungerà dal territorio inglese, più nello specifico da Charles Darwin. LAMARCK vs DARWIN L’idea di Lamarck dell’ereditarietà dei caratteri adattativi viene smentita da Darwin. DARWIN: Il suo percorso di formazione ha inizio dalle sue origini: figlio di un medico ricco di campagna proveniente dall’aristocrazia inglese agiata. Studia medicina ma ciò non lo appassiona veramente; inizia ad interrarsi alla natura assieme ad un suo zio. Compie un viaggio di 5 anni lungo le coste del Sud America, si concentra nelle Isole Galapagos dove costruisce un laboratorio dove sviluppa la sua teoria. Durante le lunghe soste del suo viaggio ha modo di raccogliere una grande quantità di animali, fossili e piante: sceglie alcuni semi, ne scarta altri. Raccoglie tutto ciò che gli racconti le storie della variabilità, dell’adattamento..in qualche modo egli ripercorre le tappe di cui avevano già parlato scienziati a lui precedenti. Nei taccuini su cui egli prende gli appunti e che son stati poi tradotti in italiano compare “my theory” e poi “I Think” e sotto un disegno: è la prima rappresentazione grafica (poi diventerà l’icona della biologia evoluzionistica) di come si sviluppa l’evoluzione a partire da un singolo antenato comune fino a tanti discendenti. Non c’è solo un antenato e i suoi derivati ma tanti “rami morti”, tante estinzioni e semplificazione dell’albero. Viene ispirato dai testi di: Lyell (1797-1895): vede l’evoluzione come fenomeni piccoli e graduali —> attualismo. La nuova geologia: “Principles of Geology”, 3 volumi (1830-1833). Ha un ruolo chiave nella formazione di Darwin: a differenza di Cuvier egli non pensa che la storia sia un susseguirsi di catastrofi; certamente, queste possono esserci state ma la storia del pianeta terra per Lyell è una storia che possiamo riferire al termine uniformitarismo o attualismo. Il presente è la chiave del passato..come costante e uniforma azione di forze “normali”, osservabili nell’attualità. La storia geologica della terra è un insieme di fenomeni piccoli e apparentemente innocui da cui, col passare del tempo, scaturiscono importanti cambiamenti. Malthus (1766-1834): è un demografo, non ha niente a che fare con i naturalisti, teorizza un contrasto tra la crescita della popolazione e la crescita della produzione del cibo: nel corso del tempo la popolazione cresce in maniera esponenziale; al contrario il cibo cresce in maniera lineare quindi le due curve ad un certo punto perdono il contatto causando guerre dovute alla scarsità del cibo e alla crescita della popolazione. Malthus nel suo “Principle of population” elabora un principio per cui le popolazioni a un certo punto arrestano la loro crescita perché si esauriscono le risorse alimentari. Wallace (1823-1913): Compie un viaggio intorno al mondo e quando è nelle Indie Orientali scrive una lettera a Darwin la quale descrive la teoria della selezione naturale. Aveva detto in maniera semplice ciò che Darwin pensava da 20 anni. Questi sono i tre elementi con cui Darwin decide di dare inizio alle sue trattazioni. In più c’è anche tutta l’esperienza dietro al viaggio in Sud America che egli decide di riunire nella trattazione “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”. Non si decide però, a trasformare i suoi appunti in un’opera da dare alle stampe. La sua idea era quella di scrivere e di pubblicare la sua teoria in un’opera da tre o quattro volumi dal titolo Natural selection. Ad un certo punto arriva nelle mani di Darwin una lettera da 12 pagine di Wallace da Ternate (isole Molucche) dal titolo On the Tendency of Varieties to Depart Indefinite From the Original Type: un vero e proprio riassunto di quello che lui stava pensando da vent’anni. LA SELEZIONE NATURALE Darwin voleva lasciare a Wallace la paternità di questa teoria ma altri si oppongono e propongono che nel 1858 vengano presentati congiuntamente alla Linnean Society sia la lettera di Wallace che uno degli ultimi manoscritti di Darwin dove viene spiegata la selezione naturale. Nasce così il darwinismo. (Il termine viene usato per la prima volta da Wallace). Ciò che però raggiunge il maggior successo è la pubblicazione un anno dopo On The Origin of species by means of natural Selection: l’origine della specie (1859). Light will be thrown on the origin of man and history. WALLACE E L’ORIGINE DELLA SPECIE DI DARWIN Nel 1858 Wallace manda a Darwin una lettera dalle isole Molucche dove riassume quello a cui Darwin stava pensando già da tempo, definendolo selezione naturale. Darwin voleva dare la priorità all’opera di Wallace poiché comunicato prima da lui, ma Lyell e Hooker gli consigliarono di non farlo e di presentare anche la sua opera. Nel 1858 vennero mandate entrambe le opere alla Linnean Society con il titolo di “comunicazione congiunta” ma nessuna delle due venne presa in considerazione. Ad avere molto successo fu invece la pubblicazione, un anno dopo, del ”L’origine delle specie “ di Darwin (1859) dove inquadra il fenomeno di evoluzione da lui definito come trasmutazione: da alcuni antenati deriva la variabilità successiva delle generazioni con modalità simili o diverse nel corso dell’evoluzione. Nel caso di A e di I ciò che prevale sono le potature che corrispondono ai rami morti. Non è l’ereditarietà dei caratteri naturali il meccanismo di evoluzione della specie, ma la selezione naturale. Un’opera di 500 pagine dove la specie umana viene citata solamente una volta, nella pagina finale. Non parla dell’uomo perché era un tema ancora troppo controverso. Anni dopo aggiungerà all’opera anche il meccanismo di selezione sessuale. OSSERVAZIONI E DEDUZIONI Wallace sarà il primo a riconoscere la priorità del maestro e il primo a usare l’espressione del Darwinismo per riferirsi a concetti che avevano concepito entrambi ma spiegati in modo più esaustivo e corretto da Darwin. In che cosa consiste la selezione naturale? È un’azione passiva degli organismi nell’adattarsi all’ambiente. Si basa su 3 osservazioni e 2 deduzioni: Osservazioni Tutti gli organismi tendono a moltiplicarsi con grande efficienza. Es: le uova fecondate di un pesce possono essere milioni in una sola stagione; la riproduzione degli elefanti è invece limitata sennò con le loro dimensioni avrebbero colonizzato la terra. Le popolazioni naturali tendono a essere relativamente stabili sul piano demografico nel corso del tempo Gli individui di una popolazione sono generi simili, ma allo stesso tempo differenti. È quella variabilità che aveva trascurato Linneo nella sua classificazione. Deduzioni Non tutti i membri di una nuova generazione possono riprodursi. Non tutta la potenzialità riproduttiva degli organismi si esplica. Gli individui con variabili favorevoli alla sopravvivenza si riprodurranno con più successo Da qui derivano due espressioni: Struggle for life: già presente nel sottotitolo del libro di Darwin. Survival of the fittest: inteso come il più adatto a quell’ambiente in quel momento (coniata da Spencer). Ora le giraffe di Lamarck assumono un altro aspetto: non è il collo che si allunga nel corso della vita ma invece c’è una variabilità rappresentata dalla curva/ campana di Gauss che rappresenta la variabilità per un certo carattere (sulle ordinate) e la numerosità degli individui che manifesta quelle variazioni del carattere (sulle ascisse). Di solito le cui code della gaussiana vengono eliminate per selezione naturale ma se l’ambiente cambia può darsi che siano favoriti gli esemplari delle code. JACQUES MONOD Questa immagine verrà ripresentata anche un secolo dopo quando si parlerà di genetica di popolazione: negli anni 70 del ‘900 Jacques Monod (famoso premio Nobel francese) conia i termini caso e necessità per parlare di come l’ambiente influisca nella casualità della variabilità evoluzionistica. HUXLEY (1825-1895) Scrive “Il posto dell’uomo nella natura” dove applica le leggi darwiniane all’uomo. Lo avevano già fatto altri in passato (Linneo, Buffon e altri scienziati di fine 700): trova nelle scimmie antropomorfe le maggiori affinità con la nostra specie. Le differenze che separano l’uomo dalle scimmie antropomorfe non sono così grandi, come le differenze che separano le scimmie tra di loro. Nel suo libro (pubblicato nel 1863), Huxley, cita il primo scheletro fosseo mai rinvenuto (1856) per parlare dell’evoluzione umana: scheletro individuato nella valle di Neander, vicino a Düsseldorf, pochissimi anni prima. Viene preso in esame per dire che si tratta di una forma umana diversa da noi ma che difficilmente può rappresentare l’anello mancante che può rinunciarci alle altre scimmie. Quel cranio grande, più che renderlo un nostro antenato, lo rende un parente estinto. L’anno (1964) dopo William King lo definisce homo Neandertalensis. Prima specie umana diversa dall’homo sapiens, una specie ormai estinta. Sempre nel 1864, Filippo De Filippi fu l’artefice dell’ingresso del Darwinismo in Italia, a Torino, con una conferenza. ERNST HAECKEL Siamo ormai nella seconda metà dell’800. Ernst Haeckel (divulgatore tedesco del darwinismo) fu il primo a parlare in modo esplicito di anello mancante: si andava alla ricerca di una forma di mezzo tra l’uomo e le scimmie antropomorfe. Lui lo definisce Pithecanthropus: specie che congiunge gli esseri umani agli altri esseri viventi ma che attualmente non esiste. È il passaggio tra l’uomo e le scimmie antropomorfe. Egli conia anche il termine ecologia: studio delle forme di vita che abitano il pianeta visto come casa comune. Altri due termini interessanti che introduce sono: Filogenesi: storia della vita (percorso evolutivo) Ontogenesi: storia degli esseri viventi. Percorso da una piccola cellula a tante cellule differenziate - Nelle prime fasi embrionali, gli embrioni di specie anche molto diverse di assomigliano tra di loro. - La legge biogenetica fondamentale: l’ontogenesi ricapitola la filogenesi (evodevo)-> il percorso evolutivo ricapitola la storia evolutiva attraverso cui tutti siamo passati. L’essere umano stesso ha avuto le branchie in una fase precoce della sua storia ontogenetica, e ciò serve per dimostrare come siamo legati ad animali che invece oggi le branchie le conservano SELEZIONE SESSUALE DI DARWIN Ne parla in 2 volumi del 1871: “l’origine dell’uomo” e “selezione sessuale”. Afferma che l’evoluzione dell’uomo e di altri animali può avere un altro meccanismo con differenti criteri che hanno a che fare con le relazioni tra individui della stessa specie. Tutto parte dal dimorfismo sessuale: esistono differenze evidenti tra i sessi come l’aspetto fisico o i colori. Esempi: ragni-> femmina più grande e colorata del maschio. Uccelli-> maschio più colorato della femmina per mettersi in mostra. Leoni-> branchi di leonesse con un solo esemplare maschio per la riproduzione. Ci sono due modalità di selezione sessuale : Lotta di individui dello stesso sesso (soprattutto maschi) per accedere al sesso opposto e quindi alla riproduzione. Individui di un certo sesso hanno peculiarità che servono per competere indirettamente nella scelta fatta dal sesso femminile-> la scelta delle femmine. Le femmine scelgono specie che hanno caratteristiche più seducenti. Esempio di megaloceros: vince il cervo con le corna più grandi, carattere che veniva poi trasmesso alla prole perché scelto dalla femmina. Queste corna erano tuttavia molto pesanti: ciò sarebbe stato un controsenso per la selezione naturale ma è utile nella selezione sessuale che dunque (a volte) è più potente della prima. Altro esempio è quello dei pavoni dove i maschi hanno un piumaggio più vistoso. PRIMATI Moderato dimorfismo sessuale Gibboni e scimpanzé hanno strutture sociali molto diverse ed entrambe hanno limitato dimorfismo sessuale. I gibboni sono monogami quindi per loro non c’è necessità di competere perché vengono scelti per la vita. Gli scimpanzé hanno struttura sociale diversa: sono sociali, vivono in branco e sono promiscui (si accoppiano tutti con tutti). Il tutto viene gestito a livello di gruppo come una piccola comunità. Alcune varianti degli scimpanzé, hanno fatto del sesso una forma di rappacificazione sociale: il sesso diventa una modalità di relazione sociale senza che ci sia dominanza di un maschio sull’altro. Elevato dimorfismo sessuale Gli orangotango hanno un elevato dimorfismo sessuale: le coppie sono molto solitarie e occupano uno specifico pezzo di foresta che i maschi devono difendere. Proprio per questo motivo i maschi si sono sviluppati in modo più massiccio e potente per proteggere la femmina e il territorio dalla presenza di altri maschi. Stessa cosa vale per i gorilla: sono animali molto sociali, vivono in branco ma non sono promiscui. A differenza degli scimpanzé, nei loro branchi c’è un solo maschio che viene condiviso tra più femmine, e lui deve competere con altri maschi per il predominio sulle compagne (diventando più grosso), come per i leoni. UOMINI Nel corso della nostra evoluzione si è manifestato un modesto dimorfismo sessuale. Come per i gibboni, gli uomini si stabiliscono in coppie più o meno stabile nel corso della vita (monogamia) e come per gli scimpanzé gli uomini vivono in gruppi (animale sociale). Questo fa sì che nella nostra struttura sociale ci siano pressioni sul piano cognitivo perché si devono gestire situazioni a livello privato e pubblico con altre coppie. Autori successivi hanno pensato che questo tipo di selezione sessuale venga gestita dall’uomo a livello cognitivo e che ciò abbia portato ad uno sviluppo maggiore del cervello. SPENCER Filosofo che sviluppa il Darwinismo sociale pensando di potere estendere il pensiero di Darwin alle altre specie non rendendosi conto che lo stava travisando. Tra gli umani non conta tanto la selezione in base a chi prevale sugli altri ma contano maggiormente le relazioni come la tolleranza, la diplomazia, la solidarietà. Il suo pensiero venne legittimato in molte società coloniali per giustificare la gerarchia razziale che sussisteva lì. GENETICA La genetica, definita come nuova scienza è nata nel 1866. Un monaco di nome Gregorio Mendel fa degli esperimenti su delle piante (piante di pisello), questi esperimenti li presenta alla Società di storia Naturale di Brno, nessuna li considera all’inizio. Bisognerà infatti aspettare fino al 1900 perché tre botanici (Tschermak, Correns e De Vries) riscoprano le leggi che già Mendel aveva scoperto 40 anni prima. Qualche anno dopo viene proposto che gli elementi fondamentali dell’ereditarietà si chiamano geni, e da qui il termine genetica (scienza che studia l’ereditarietà). Questo è un passaggio cruciale, è quello che mancava a Darwin, lui infatti parlava del caso e della necessità. Una variabilità su cui agisce l’ambiente selezionando una frazione di questa variabilità. Come si genera questa variabilità? Mendel, e poi tutta la genetica del 1900, ci ha spiegato che cosa c’è di nascosto. Come avviene la trasmissione su cui poi agisce la selezione naturale o la selezione sessuale. Nonostante Mendel facesse degli esperimenti molto semplici, sulle linee pure, capisce che dietro ai risultati c’è nascosto tutto quello che noi sappiamo essere alla base della genetica. Il materiale ereditario viaggia a coppie, con uno dei due geni che è dominante sull’altro che è recessivo, e che la loro combinazione può dare un fenotipo ibrido oppure due fenotipi distinti. Da questi incroci semplici lui capisce tutto, vede che gli scompare un fenotipo e poi incrociando gli ibridi ricompare (rapporto 3:1). Verranno poi fatti altri esperimenti, dove i genetisti si baseranno sempre sulla teoria di Mendel, vedranno caratteristiche simili a quelle che vedeva Mendel ma moltiplicate per n caratteri. Si passerà poi allo studio dei cromosomi, cariotipo: si può vedere il DNA raggruppato su dei “bastoncini” spesso a forma di X (cromosomi). Questi cromosomi li abbiamo dovuti “scogliere”, nel 1953 Watson e Crick hanno decifrato la struttura a doppia elica del DNA e abbiamo capito che dentro questi cromosomi c’è un filamento fatto da basi azotate avvitato su sé stesso a forma di doppia elica che nasconde al suo interno un linguaggio fatto da quattro lettere che si ripetono, in modo tale da poter trasmettere un significato. Dentro questo codice di 4 lettere, c’è il segreto della vita. Abbiamo appena visto che c’è una differenza tra la linea somatica e quella germinale e abbiamo capito il perché avesse torto Lamarck: il corpo è l’espressione del materiale genetico e all’interno del corpo viaggia una linea a sé stante (gonadi) che producono i gameti che sono poi il materiale genetico. All’interno di queste gonadi, nel momento in cui si formano i gameti si possono verificare degli errori di trascrizione del DNA, che solitamente chiamiamo mutazioni, talvolta possono produrre delle varianti interessanti dal punto di vista della selezione naturale. Quindi attraverso la riproduzione abbiamo una ricombinazione del materiale genetico, ma questa è solo una ricombinazione. Tutto questo letto in termini di popolazioni ci fa tornare a quelle gaussiano che avevamo visto parlando di Darwin, dove la variabilità genetica ci offre un fenotipo variabile che viene di solito tenuto dentro certi margini da quella che viene chiamata selezione stabilizzante (dove le frecce tendono a smussare la variabilità stessa oppure diventare direzionale (come spostare la curva verso una delle curve). Tutto questo negli anni ’30/’40 diventa quello che viene chiamato neodarwinismo, anche se la terminologia più giusta sarebbe teoria sintetica delle evoluzioni = darwinismo combinato con le leggi della genetica, come se Darwin e Mendel si unissero per formare una cosa unica. Mendel fornisce la spiegazione di come avviene questa variabilità e Darwin continua a raccontarci come avviene che la selezione naturale selezioni/guidi il percorso della variabilità. Tutto questo era buono ma incompleto, tende a far vedere l’evoluzione come qualcosa di simile a questo: Ossia un percorso graduale di spostamento di gaussiana, queste variabilità si spostano nello spazio o nel tempo. In questo grafico si può vedere come popolazioni nel tempo cambiano da rosse a gialle (ampia sovrapposizione di variabilità), ed è quello che è stato chiamato gradualismo filetico (idea che l’evoluzione abbia un graduale cambiamento e spostamento di queste curve. MICROEVOLUZIONE E MACROEVOLUZIONE MICROEVOLUZIONE = variabilità all’interno della specie, il colore della pelle può essere anche molto diverso ma se io faccio un viaggio graduale trovo tutte le sfumature. All’interno della specie la microevoluzione è qualcosa di graduale. Nella MACROEVOLUZIONE i piccoli fenomeni diventano grandi fenomeni, ma non è tutto qui, c’è qualcosa di più e questo qualcosa di più lo si capisce quando si va a studiare i fenomeni di speciazione, nuove specie e non di variabilità all’interno della specie. Una modalità di speciazione è la speciazione allopatrica, quando da una specie se ne formano 2 per separazione. Per comprendere meglio la speciazione allopatrica, facciamo questo esempio con delle piante: 1) Viene raccontata la storia di una pianta distribuita in una pianura fra 2 catene montuose e possiamo immaginare varie popolazioni di questa pianta fra loro variabili (3 in questa immagine): quelle verso ovest avranno delle caratteristiche legate all’insolazione diverse da quelle spostate ad est e ancora diverse da quelle più protette (centrali). Quindi ci sarà una variabilità, frutto del caso della necessità, della variabilità genetica e della selezione naturale che favorisce certe zone. La specie rimane però unita perché i geni vengono scambiati liberamente tra le varie popolazioni (c’è un continuo rimescolamento). 2) Si viene ad impostare una barriera geografica (in questo caso un braccio di mare) che porta la specie originaria a frazionarsi in due: non c'è più contatto genetico tra le popolazioni: le caratteristiche fenotipiche che vengono favorite ad ovest non si mescolano più con le caratteristiche che vengono favorite ad est. Ai 2 lati di questo braccio di mare si crea una frattura e le 2 varianti principali (quella ad ovest e quella ad est) tendono a differenziarsi di più. La barriera geografica non è relazionabile né al caso e né alla necessità, ma c'entra con la contingenza (la storia). Si crea così un isolamento geografico. 3) Poi presumiamo che le 2 varianti si ritrovino ad occupare l'area originaria, ma ormai sono geneticamente diverse, non si riconoscono più come membri della stessa specie e non si rimescolano più. La radicalizzazione della differenza genetica è stata tale da creare una barriera genetica, creandosi così due specie diverse. Entra un terzo fattore oltre al caso e alle contingenze: le circostanze (come le cose avvengono nel tempo, e come intervengono delle relazioni tra gli organismi e l’ambiente e come mutano nel tempo secondo un certo andamento storico). Di questo si accorgono in due paleontologi: Stephen Jay Gould (nuovo Darwin, grandissimo divulgatore scientifico, scriveva regolarmente sulla “Newsweek” e ha scritto “The structure of evolutionary theory”) e Niles Eldredge. Insieme i due si rendono conto guardando i fossili, che evoluzione era una espressione di quello che veniva chiamato gradualismo filetico. L’evoluzione non sembra andare avanti in maniera graduale e costante, ma invece qualcosa di più discontinuo. La loro teoria andrà verso una “sintesi estesa”, dove alla microevoluzione si aggiunge la macroevoluzione, questa teoria la chiamiamo “teoria degli equilibri intermittenti o punteggiati”. Guardando questo grafico, vediamo da un lato una rappresentazione visiva di come potrebbe essere andato secondo il GRADUAISMOE FILENICO (spostamento graduale) e dall’altro invece uno schema di come potrebbe essere andato in base alla teoria degli EQUILIBRI INTERMITTENTI (lunghi periodi di stasi intervallati da fenomeni rapidi e puntiformi, localizzati nello spazio, di cambiamento). Competizione tra noi e i Neanderthal, deriviamo da una stessa specie ancestrale in modo allopatrico, in aree geografiche distinte abbiamo assunto caratteristiche diverse e quando noi abbiamo incominciato a diffonderci geograficamente (quindi da allopatria a simpatria, abbiamo occupato gli stessi territori dove c’erano anche i Neanderthal) nel tempo i Neanderthal hanno iniziato a diminuire sempre di numero fino ad estinguersi. PENNACCHI = strutture che si vengono a creare tra l’incontro di due archi. Non nasce per essere tale ma è una conseguenza della presenza dei due archi. In quella struttura qualche artista va a realizzare qualche opera che sembra fatta apposta per stare in quella posizione, come se quella struttura fosse stata creata per quel quadro anche se non è così. Si collega alla critica che S.J. Gould e R. Lewontin fecero alla corrente “adattazionista” = critica al fatto che tutto fosse rivolto all’adattamento, a volte invece (sostengono loro) capita che non sempre le caratteristiche mirino all’adattamento ma sono caratteristiche che compaiono e che poi si rivelano adattative. Non c’è un finalismo, la visione adattazionista è una visione quasi finalista, come se tutte le caratteristiche nascessero per un motivo, ma in realtà nascono e poi dopo diventano utili per qualche cosa. EXAPTATION / PRE – ADATTAMENTO = qualcosa che compare prima e che ha una funzione dopo, non necessariamente servono subito, non compaiono per essere quello. Questa idea di sintesi estesa che ci ha portato dalla microevoluzione alla macroevoluzione, vede anche altri componenti, di cui alcuni proposti da Richard Dawkins nel “Il gene egoista”, nella “Sociobiologia” di O. Wilson o anche il neutralismo di Kimura. DERIVA GENETICA = si verifica nelle piccole popolazioni, si vengono a selezionare le caratteristiche che non necessariamente sono adattative, ma sono neutrali (come diceva Kimura), caratteristiche che vengono fuori per caso. Esempio: calpestiamo delle formiche, le formiche che rimangono sul piede non sono più o meno adatte delle altre ma sono quelle che per caso sono finite in quella strozzatura genetica/demografica. Tutto questo prende il nome o di collo di bottiglia (crisi ambientale) oppure di effetto del fondatore (un piccolo gruppo si separa e va a fondare una nuova comunità, in quel piccolo gruppo non necessariamente ci sono delle caratteristiche adattative, ma casuali che si trasmetteranno alla generazione successiva). Lezione 3 antropologia; Sbobinatore: Ginevra Tagliani Revisionatore: Rebecca Giuliani Oggi ci concentreremo su una prima fase dell’evoluzione che si svolge in Africa soprattutto di ominidi bipedi non encefalizzati. Ominidi vuol dire che sono scimmie antropomorfiche, è infatti un rango tassonomico di famiglia che include anche le altre scimmie antropomorfiche come scimpanzé, gorilla, orango tango. “Bipedi” vuol dire che sono dotati di quel modello di locomozione di cui parleremo in seguito e “non encefalizzati” vuol dire che siamo nel periodo storico precedente al fenomeno dell’encefalizzazione (il cerchio sulla slide si riferisce a questa categoria). (il cerchio sulla slide successiva si riferisce a ciò che staremo per dire) questo cerchio si riferisce invece agli ominidi bipedi encefalizzati, cioè quelli in cui invece si sviluppa un cervello che nel corso del tempo diventa più grande (non è solo una questione di dimensioni ma anche di altri aspetti studiati dalla paleo- neurologia). È una storia interessante quella dell’encefalizzazione che riguarda il genere homo e riguarda uno scenario geografico che si estende dall’Africa all’Eurasia. Non sono comprese né l’Australia né le Americhe perché verranno colonizzate solo successivamente dall’Homo sapiens. La volta scorsa facevamo una distinzione tra macro e micro evoluzione, la macro evoluzione è la distinzione tra tante specie, la micro evoluzione avviene all’interno di ciascuna specie. Questo aspetto, la micro evoluzione, lo conosciamo poco per le altre specie mentre per l’uomo sappiamo più dettagli. Nel caso di Homo sapiens il processo evolutivo porterà anche alla diffusione nelle Americhe, nei casi precedenti invece queste zone non saranno toccate, mentre il genere umano si diffonde in Africa ed Eurasia. Come vedete da questo grafico tutta la storia del genere homo è caratterizzata da un altro fenomeno, ossia il paleolitico e tutti i manufatti di pietra rinvenuti dal mondo antico. Possiamo quindi distinguere una prima parte della storia caratterizzata dalle scimmie antropomorfe bipedi, con la presenza dell’australopiteco, e una seconda parte in cui queste si encefalizzano producendo manufatti, con la presenza del genere homo. Prima dobbiamo però fare passi indietro in una storia che riguarda un po’ tutti i primati. Linneo in pieno 700 denomina l’homo sapiens e lo introduce all’interno di un ordine tassonomico a cui lui stesso da il nome di primates, mettendo in evidenza che qui c’è la specie umana. Siamo nel 700 quindi dobbiamo considerare che risente dell’influenza dell’antropocentrismo. Non esiste una sola scimmia ma 400 specie tutte con caratteristiche differenti e noi siamo solo una di quelle 400 specie. Le altre specie si raggruppano in quelle categorie non formali che vedete scritte in cima a questa slide: cioè i lemuri, sono primati che ricordano altri tipi di mammiferi: il muso, le orecchie mobili, una stereoscopia relativa e troviamo i lemuri solamente in Madagascar. Oltre i lemuri ci sono anche i ???? Sono forme anfibie che non vivono in Madagascar ma fanno parte dello stesso gruppo. Poi ci sono tarsi, che sono delle piccole scimmie che vivono nel sud-est asiatico e che rispetto ai lemuri hanno una maggiore stereoscopia (hanno grandi occhi rotondi), fanno parte di un piccolo gruppo. Ci sono poi tutte le scimmie del nuovo mondo … e del vecchio mondo di Africa ed Asia …che sono circa 150 ciascuno. Ora possiamo osservare il grafico sottostante dove le scimmie del vecchio mondo sono le scimmie vere e proprie. Tutte queste scimmie derivano da una storia evolutiva che va fino al mesozoico, svariate decine di milioni di anni fa. Circa 80 milioni di anni fa è quando pensiamo che siano comparsi i primi primati. Poi succede qualcosa di significativo circa 66 milioni di anni fa: l’evento catastrofico del famoso asteroide che cade sulla terra che provoca un cambiamento ambientale tale da eliminare moltissima della diversità: tutti i dinosauri e gli esseri più piccoli di un gatto scompaiono. Dei dinosauri rimangono solo come “lascito” gli uccelli, per il resto si estinguono tutti liberando quindi delle nicchie ecologiche e questo da origine alla variazione adattativa di molti gruppi di mammiferi e di uccelli. Animali diversi tra loro ma accomunati dal fatto di essere a sangue caldo. Quella che c’è alle mie spalle è tra le principali traiettorie evolutive della radiazione adattativa dei primati. Vuol dire che da una o poche specie vi è una diversificazione che porta a tanti adattamenti diversi all’ambiente: ci sono primati che vivono in foresta, o i babbuini che vivono all’esterno della foresta o noi stessi anche o babbuini che vivono sugli altopiani. Non tutti i primati quindi vivono in foresta ma la maggior parte si. La storia dei primati ha avuto 2 grandi momenti: l’esplosione di diversificazione che più o meno si può collocare nell’Eocene, intorno a 50 milioni di anni fa; successivamente la diversità tende a diminuire e vi è un rastrellamento della diversificazione e della distribuzione geografica e questo da origine alla diversificazione delle scimmie propriamente dette, cioè quelle del vecchio e nuovo mondo. Ora ci concentreremo sul Miocene un’epoca collocabile tra 20 e 25 milioni di anni fa, in cui vediamo una diversificazione abbastanza importante di scimmie antropomorfe perché questo è proprio il periodo in cui si diversificano le scimmie simili a noi. Ora ci sono al massimo una ventina di specie ma all’epoca erano molte di più e tutt’ora prendono i nomi più disparati in base ai fossili. Nel Miocene inoltre le foreste tropicali avevano un’estensione molto maggiore, erano molto più a nord e a sud. Per esempio nel territorio dell’attuale Parigi o Grosseto c’erano le scimmie antropomorfe (Homepitecus: è una scimmia italiana i cui resti sono stati trovati a Grosseto e in Sardegna). Di queste Dryopithecinae, noi ne conosciamo molte caratteristiche che poi riscontriamo anche nella nostra specie, per esempio la tendenza ad una verticalità del corpo, l’ortogradia, qualcosa di molto diverso da un quadrupede. Questo in rapporto ad un modello originario di locomozione che chiamiamo sospensione o brachiazione, alcune scimmie antropomorfe di oggi lo hanno mantenuto: sono i gibboni. Un’altra caratteristica di questo modello di locomozione con conseguente ortogradia è la presenza di scapole posteriori. Un quadrupede tipico come un cane o un babbuino ha le scapole di lato, cioè ha la schiena orizzontale e le scapole lateralizzate per mettersi in rapporto con gli arti (le zampe). Noi scimmie antropomorfe, quindi non solo noi umani ma anche gli orangotanghi, gli scimpanzé, i gorilla, i gibboni, presentiamo delle scapole

Use Quizgecko on...
Browser
Browser