Riassunto Agire in L2 PDF
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Questo documento presenta concetti di linguistica generale, come l'arbitrarietà, la distintività e la classificazione delle lingue. Esplora anche l'apprendimento della seconda lingua (L2) e i diversi contesti e modalità di apprendimento. Inoltre, tratta temi come il monolinguismo, il bilinguismo e il plurilinguismo. Include anche distinzioni tra apprendimento spontaneo e guidato, nativo e non nativo. Il documento copre anche abilità linguistiche e il processo di sviluppo della L1 e L2.
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DIDATTICA DELLE LINGUE MODERNE Concetti di Linguistica Generale La linguistica è la disciplina che studia le lingue e il linguaggio con l’obiettivo di descrivere: - Come funzionano le lingue del mondo - Come cambiano le lingue del mondo - Nel TEMPO (diacronia): storica - Nello SPAZIO (diatopia):...
DIDATTICA DELLE LINGUE MODERNE Concetti di Linguistica Generale La linguistica è la disciplina che studia le lingue e il linguaggio con l’obiettivo di descrivere: - Come funzionano le lingue del mondo - Come cambiano le lingue del mondo - Nel TEMPO (diacronia): storica - Nello SPAZIO (diatopia): sincronica - In relazione alla SOCIETÀ: sociolinguistica ⁃ Come si imparano le lingue (linguistica acquisizionale e linguistica applicata) Concetti base - Arbitrarietà: sia la forma del significato sia quella del significante dei segni non dipendono da alcuna ragione di tipo naturale ma solo dalla relazione che i parlanti stabiliscono tra i diversi significati e i diversi significanti della lingua (es. che sedia si chiami sedia non ha un motivo). Sono arbitrari anche i rapporti tra significanti diversi e significati diversi (es. lat. Dīco “dire” e Dĭco “dedicare”). Esistono parole che richiamano un suono e sono meno arbitrarie (come le onomatopee) - Distintività: la differenza crea significato ⁃ Asse Sintagmatico: come dispongo le cose insieme ⁃ Asse Paradigmatico: è l’asse delle scelte, vedo tutto ciò che può stare al posto di altro. Esempio: Le compagne di Roma tre (sintagma nominale) stanno aggiustando il computer (s. verbale) asse paradigmaticoà al posto di “compagne” potevamo mettere “amiche”, “Virginia ed Elisa”, ecc; al posto di “stanno aggiustando”, poteva esserci “stanno cantando”, “stanno pulendo”, ecc… Come classifichiamo le lingue? - Classificazione genealogica (discendenza): si utilizza un METODO COMPARATIVO, si compara il lessico legato alla famiglia, i numeri, le parti del corpo. - Classificazione tipologica (somiglianze /affinità): - Tipologia Morfologica (morfologia=forma delle parole) - Tipologia Sintattica (sintassi=come si dispongono le parole) Definizioni L1: lingua della socializzazione primaria L2: lingue apprese dopo la L1 In che CONTESTO si impara la lingua? - L2 (contesto di lingua seconda): seconda lingua che si apprende nel contesto in cui la si parla; Nicole è andata in Francia a studiare il Francese - LS (contesto di lingua straniera): seconda lingua che si apprende in un contesto in cui la lingua di comunicazione quotidiana non è la lingua studiata; Alejandro ha imparato l’inglese a scuola in Colombia. Con quali MODALITÀ si impara la lingua? - Acquisizione/Apprendimento spontaneo: quando impari la lingua interagendo con i nativi. - Apprendimento/Apprendimento guidato: impari la lingua seguendo corsi di lingua, nell’educazione scolastica, all’università e in altri ambiti formativi. mono-, bi-, pluri-, multilinguismo - Monolinguismo: con monolinguismo si intende la conoscenza e l’uso di una sola lingua da parte di una persona/di un gruppo - Multilinguismo: indica la compresenza di più varietà di lingue in uno stesso spazio geografico, quando esistono comunità linguistiche che coesistono (esempio: A New York, che conta quasi 20 milioni di abitanti, si parlano circa 800 varietà linguistiche; inglese e varietà di spagnolo, cinese, russo, lingue dell’India…) Il multilinguismo però non è solo sinonimo di presenza delle lingue degli immigranti: per esempio in Italia esistono innumerevoli varietà linguistiche, cioè i dialetti. Il concetto di multilinguismo può essere esteso anche alla dimensione testuale, quando un autore usa più di una varietà linguistica nei suoi testi (es. Tolstoj ha scritto Guerra e Pace in russo, con grandi porzioni di francese), oppure anche in altre situazioni (a Bolzano la segnaletica stradale è sia in tedesco che in italiano; in Canada tutte le comunicazioni con i cittadini devono essere sia in inglese che in francese…) - Plurilinguismo: Rispetto al monolinguismo si passa a una visione più generale, non si guarda più la società dall’esterno, ma si sposta sui singoli individui e vede la società come l’insieme di singoli soggetti. Essere plurilingue significa conoscere più lingue straniere oltre che la propria lingua madre, con un grado di competenza che può variare. - Bilinguismo: un parlante bilingue è colui che conosce due lingue (e perciò è anche plurilingue) - Bilinguismo precoce o tardivo: entro i primi 6 anni di vita - Simultaneo: entro i primi tre anni, entrambe le lingue sono definite materne (L1) - Sequenziale: tra i 3 e i 6 anni si osserva un bilinguismo precoce ma sequenziale e dà vita a una L1 e una L2 - Compatto: precoce e simultaneo - Bilanciato: stessa competenza in entrambe le lingue - Dominante: competenza superiore in una delle due lingue - Verticale: una delle due lingue è un dialetto - Ricettivo: parlante è in grado solo di comprendere - Produttivo: in grado di comprendere, parlare e/o scrivere Come gestiscono la comunicazione con i cittadini i governi di comunità multilingui? - Monolinguismo istituzionale completo: l’identità nazionale è vista come un blocco omogeneo e si vogliono eradicare le altre lingue, obbligando i cittadini a comunicare con lo Stato attraverso una sola lingua (es. Italia e spagna franchista durante il ventennio) - Monolinguismo istituzionale parziale: tendenzialmente si usa una sola lingua ufficiale per la comunicazione con i cittadini, ma ci sono eccezioni come per esempio in documenti di servizio o con l’ausilio di mediatori linguistico-culturali che facilitano la comunicazione in posti come tribunali e presidi medici - Monolinguismo istituzionale a livello locale abbinato a un multilinguismo istituzionale a livello superiore: aree monolingui che si trovano sotto una lingua ombrello nazionale; tutela le minoranze. - Multilinguismo completo con traduzione multidirezionale per tutti: è un’utopia, poiché non è possibile rendere disponibili le comunicazioni istituzionali in tutte le lingue presenti sul territorio Un parlante può essere: - NATIVO: ha appreso la L1 in maniera involontaria durante la socializzazione primaria - NON NATIVO: apprende la L2 - QUASI NATIVO: ha imparato una lingua come L2, ma ne ha sviluppato una competenza molto progredita, assai vicina a quella di un parlante nativo - EX NATIVO: non parla più la lingua nativa* - HARITAGE SPEAKER: hanno appreso una lingua nel contesto familiare, con ridotti ambiti d’uso al di fuori della famiglia; si parla di più la L2 acquisita più tardi e raramente/ in determinati contesti la lingua madre. La competenza del parlante non nativo tende verso il parlante nativo e analogamente possiamo descrivere la situazione di quei parlanti nativi che si trovano a usare sempre meno la loro lingua madre, con una serie di fenomeni di *attrito linguistico, che portano a un’erosione della competenza. Ovviamente questa schematizzazione ha dei limiti: ciò che avviene alla nascita non può essere cambiato: l’ex nativo, per esempio, pur non usando più la lingua a cui era stato esposto nella prima infanzia, essa rimarrà sempre la sua lingua materna e non smetterà di essere nativo. Abilità linguistiche Le attività in cui si usa la lingua sono fondamentali e ogni attività comunicativa può essere definita in base ad alcuni aspetti principali della comunicazione: - CANALE DI TRASMISSIONE → in base al canale di trasmissione possiamo distinguere tra comunicazione parlata (in cui vengono utilizzati il canale fonico-uditivo e il canale gestuale-visivo) e comunicazione scritta (canale grafico-visivo). Il canale orale è decisamente più diffuso tra i parlanti, però esistono delle lingue che sfruttano il canale visivo-corporeo, come le lingue segnate (es. LIS) - TIPO DI PROCESSO: distinguiamo due processi (produzione e ricezione); la produzione consiste nella realizzazione di un segnale che può essere percepito attraverso i sensi. La ricezione avviene invece tramite l’udito che distingue tutti i segnali sonori, la vista i segni grafici della scrittura o della comunicazione segnata e il tatto la scrittura il braille. - Parlare e scrivere sono abilità produttive - Leggere e ascoltare sono abilità ricettive - MODALITÀ DI COMUNICAZIONE → la modalità di comunicazione può essere sincrona (quando lo scambio tra parlante e ascoltatore avviene in tempo reale) o asincrona (quando per esempio un messaggio scritto viene ricevuto tempo dopo). - LA RELAZIONE TRA I PARTECIPANTI → fornisce informazioni collegate al tipo di processo (chi ha il ruolo dell’emittente o ricevente / se la comunicazione è monologica o dialogica) e altre informazioni riguardante il registro (formale o informale) - ABILITÀ INTEGRATE → oltre alle quattro abilità primarie (ascoltare, parlare, scrivere e leggere) esistono altre abilità, appunto integrate, che comportano l’integrazione di più abilità primarie, e per questo sono più complesse e trasversali. Le abilità integrate non sono il semplice risultato di addizione di due abilità, perché comportano molti passaggi (es. per prendere appunti non basta sommare l’ascolto e la scrittura, bisogna comprendere, rielaborare in tempo reale, riassumere, e forse anche schematizzare). Abbiamo tra le abilità integrate: - Manipolazione di un testo (presa di appunti, riassunto, parafrasi, scrittura sotto dettatura) - Interazione - Mediazione/riformulazione del testo scritto o orale (traduzione, parafrasi, riassunto) Processo di sviluppo della L1 e della L2 I due processi condividono alcuni fattori, ma presentano anche numerose differenze. Condividono sicuramente il fatto di essere legati agli aspetti della socializzazione; sia il neonato sia l’adulto sono mossi dal desiderio e dal bisogno di comunicare. In entrambi i processi possiamo identificare delle fasi di sviluppo ricorrenti. Per capire le peculiarità di ciascun processo occorre sfatare una serie di falsi miti, come per esempio il fatto che i bambini imparano la lingua materna velocemente e senza sforzo. Pur essendo un processo naturale non bisogna sottovalutarne la complessità. Il bambino infatti raggiunge un livello completo di apprendimento di una L1 intorno ai 5- 6 anni, dopo circa 12.000-14.000 ore di apprendimento. Ci sono 3 aspetti principali che ci servono per distinguere lo sviluppo della L1 da quello della L2: - La cronologia: la L2 si impara dopo la L1; questo comporta che generalmente la L2 si apprende in età adulta, quando è completato lo sviluppo cognitivo e già si conosce una lingua. Invece la L1 si apprende di pari passo con lo sviluppo cognitivo, e questo porta indubbiamente a dei vantaggi nell’acquisizione. Ci sono però delle eccezioni legate al bilinguismo precoce. - La competenza: in L1 si raggiunge un livello di competenza alta, mentre in L2 la competenza è inferiore. Bisogna però prendere in considerazione diversi fattori: per esempio, se la L2 è appresa in età postpuberale l’esito sarà completamente diverso. C’è poi chi arriva a un livello di competenza vicino a quello del PN e chi invece non lo raggiunge mai. - L’uso: La L1 risulta utilizzata più spesso dai parlanti rispetto alla L2. Ci sono però delle situazioni in cui la L2 domina nell’uso quotidiano al punto che la L1 può subire fenomeni di erosioni e essere dimenticata. Il processo di acquisizione della L1 è implicito, inconsapevole e focalizzato sulla comunicazione; quello della L2 invece è in genere più consapevole, comporta una scelta volontaria e comporta un apprendimento esplicito. A volte però la L2 può essere appresa senza insegnamento, nel luogo in cui si parla, seguendo perciò un percorso più simile a quello della L1. Interlingua → L’interlingua (IL) è il sistema linguistico utilizzato da qualsiasi apprendente di una qualsiasi L2, per agire nella/e comunità in cui quella lingua è usata. Durante il processo di apprendimento, l’apprendente sviluppa una specie di lingua personalizzata, fatta d’ipotesi che vengono verificate e messe alla prova. Alcune delle caratteristiche fondamentali dell’interlingua: - Si tratta di una “competenza transitoria”; L’IL ha un carattere mutevole, si presenta instabile e dinamica, perché in continua evoluzione verso la lingua d’arrivo. - Sistematicità dell’IL --> “un sistema linguistico separato che risulta dai tentativi, da parte di un apprendente, di produrre una norma della lingua d’arrivo” - si tratta di un vero e proprio sistema dotato di regole. Questa sistematicità si presenta a livello intrasoggettivo, in quanto ogni apprendente formula delle ipotesi sulla lingua d’arrivo che hanno una logica (es. se un apprendente di italiano L2 dice “prenduto” invece di “preso”, è perché probabilmente ipotizza che il participio di “prendere” si formi come gli altri verbi; a livello intersoggettivo invece l’IL è sistematica perché è costituita da regole comuni a tutti gli apprendenti. L’IL è organizzata in tre stadi: - Stadio 1 (SILENZIO): all’inizio l’apprendente tende a non parlare, si limita a raccogliere dati e informazioni sulla lingua per cominciarne a capire i meccanismi - Stadio 2 (FORMULE e PAROLE): l’apprendente inizia a fare qualche tentativo di produzione, delle ipotesi che sottopone a verifica. In questa fase l’IL è costituita prevalentemente da singole parole e formule fisse - Stadio 3 (GRAMMATICALIZZAZIONE): l’apprendente inizia a far ricorso a informazioni di tipo morfosintattico Il termine IL è usato in riferimento alla L2 degli apprendenti, essendo comunque un termine nato dagli studi sull’acquisizione dell’L2, ma anche perché presenta dei tratti che non sono presenti nell’acquisizione della L1. In primo luogo l’IL è soggetta al processo del transfer, cioè è permeabile alle altre conoscenze linguistiche pregresse e ovviamente la L1 non può esserlo, essendo la prima lingua che acquisiamo. La L1 però può essere influenzata da altre lingue, come avviene per esempio in casi d’emigrazione, in cui si usa sempre meno la propria L1 a favore di un’altra lingua, tanto da interferire con la prima. L’errore → L’analisi dell’IL non può prescindere dal concetto di errore: a differenza degli sbagli, gli errori sono sistematici e in quanto tali possono indicare il livello della competenza nella L2. Possiamo ricondurre gli errori a quattro meccanismi che l’apprendente usa nel tentativo di riprodurre la lingua target: - SEMPLIFICAZIONE: La semplificazione porta alla riduzione di elementi nelle produzioni dell’apprendente rispetto a quelli richiesti dalla LT. Es. “Vi consiglio di andare li primavera o l estate, perché lo so che avete paura di freddo pero, secondo me, la Russia anche è bellissima inverno” → in questo caso vediamo diverse omissioni, in particolare quella dell’articolo, perché per esempio nella lingua russa non ci sono gli articoli - SOVRAESTENSIONE: si tratta dell’applicazione di regole in contesti diversi rispetto quelli richiesti dalla LT. Es. X: adesso cosa fai? Y: adesso? adesso fai… à sovraestende la forma della domanda senza, in questo caso, coniugare il verbo. - REGOLARIZZAZIONE: quando si mettono nella stessa categoria due parole di categorie diverse, ma con somiglianze dovute ai modelli delle forme regolari. Es. “la problema” al posto di “il problema” à “a” nella lingua italiano si trova spesso alla fine delle parole femminili - TRANSFER: errori che dipendono dall’influenza della L1 (o da altre lingue già acquisite). L’interlingua perciò interpreta l’errore, trascendendolo e spostando l’attenzione dal prodotto al processo. L’errore rappresenta il punto di partenza per modellare l’intervento didattico, senza guardare a cosa l’apprendente non sa/non sa fare, ma a cosa sa/sa fare, portando l’attenzione su ciò che è pronto ad imparare grazie al suo repertorio linguistico. Ruolo della L1 → Il bambino impara la L1 senza poter fare riferimento ad altri sistemi linguistici, mentre gli apprendenti di una L2 fanno ricorso alle conoscenze linguistiche pregresse. Questo fenomeno prende il nome di transfer, che Selinker ha definito come “una classe di comportamenti, processi e condizionamenti, ciascuno dei quali ha a che fare con l’influenza translinguistica, cioè l’influenza e l’uso di conoscenze linguistiche precedenti, solitamente ma non esclusivamente della madre lingua”. Le somiglianze e le differenze tra le lingue influiscono sul tipo di transfer, che può essere positivo, se l’influenza costituisce una facilitazione dell’apprendimento, o negativo, quando rappresenta un ostacolo all’apprendimento. Per chi possiede un repertorio linguistico ricco e vario le possibilità di trasferire in maniera positiva elementi da una lingua all’altra sono più numerose. Il transfer avviene in maniera marcata a livello fonetico ed è ben presente a livello lessicale e pragmatico; è meno evidente invece a livello sintattico e morfologico → questo avviene soprattutto perché noi siamo abituati a una serie di suoni tipici della nostra lingua, che possono essere anche molto diversi dai suoni di un’altra e questo può renderne difficile l’apprendimento. Es. “cappuccino losso tu andale dove?” “cappuccetto rosso e c’era rupo” à in questi due esempi va osservato l’effetto del transfer fonetico nella realizzazione in italiano della “l” e della “r”, allofoni in cinese. In genere il transfer negativo si riduce con l’aumentare della competenza linguistica del parlante, anche se tende a permanere nella pronuncia. Ruolo del contesto → il contesto in cui si apprende una lingua influenza molto l’apprendimento in sé. Se il contesto d’apprendimento è quello della lingua seconda l’apprendente, trovandosi nella comunità in cui è parlata la LT è costantemente sposto e deve produrre in LT per comunicare (+può succedere però che l’apprendente si trovi comunque a svolgere in L1 alcuni compiti comunicativi) Se invece è la L1 dell’apprendente la lingua di comunicazione della comunità in cui vive, non sarà immerso nel contesto in cui si usa la L2, che verrà appresa nel contesto del corso di lingua (+può succedere però che al di fuori dall’aula ci si trovi a svolgere dei compiti comunicativi in LT). Esistono anche situazioni intermedie molto diffuse: oggi grazie a piattaforme online si è più facilmente esposti al parlato spontaneo delle lingue straniere, e al contrario chi si reca in un paese per studiare una lingua può trovarsi circondato da persone parlanti la propria L1. Le competenze metalinguistiche (analitiche e intenzionali) Quando gli apprendenti entrano in contatto con una L2, l’input linguistico entra in un sistema complesso e dinamico. Generalmente l’obiettivo primario è la comprensione, per cui si mettono in moto processi come la memoria, le conoscenze pregresse e insieme a ciò si avvia un qualche tipo di riflessione sul funzionamento della lingua target, sui suoi aspetti formali e strutturali (riflessione metalinguistica) → la consapevolezza di come si organizzano le lingue è la consapevolezza metalinguistica (CML). La CML è definita come l’abilità di riflettere sulla lingua e manipolarne i traṄ strutturali, trattando la lingua stessa come un oggetto del pensiero, in opposizione all’utilizzazione della lingua per comprendere e produrre frasi. La consapevolezza metalinguistica può riguardare vari livelli di analisi linguistica, dividendosi perciò in consapevolezza metafonologica, metalessicale, metasintattica, metapragmatica e metatestuale. Alcuni studiosi operano una distinzione tra l’attività epilinguistica (intuitiva e meno consapevole) e l’attività metalinguistica (che attiva processi focalizzati, analitici e intenzionali); altri invece tra consapevolezza implicita (quando il parlante manifesta un comportamento linguistico senza essere in grado di spiegarne le regole) e consapevolezza esplicita (quando il parlante è in grado di verbalizzare una regola). La capacità di riflettere sulla lingua è fondamentale; una buona CML a livello fonologico, morfologico, sintattico e discorsivo va di pari passo con una migliore comprensione allo scritto. Nei bilingui si è notato come la maggior facilità nell’imparare un’altra lingua sia collegata al grado maggiore di CML, grazie alla capacità di saper cogliere le caratteristiche strutturali di lingue sconosciute. Input, output e interazione L’input, l’output e l’interazione sono tre fattori fondamentali che promuovono l’apprendimento di una L2. Input l’input è l’insieme degli stimoli costituiti da tutto il materiale linguistico a cui è esposto l’apprendente.A questi stimoli è necessario aggiungere anche un intento comunicativo al quale deve reagire all’apprendente. L’input può essere puro, cioè quando è richiesto l’ascolto o la lettura e l’apprendente non ha la possibilità di modificare l’input, se non, quando consentito dalle circostanze, andare avanti e indietro, riascoltare/rileggere; oppure può essere negoziabile, cioè quando l’apprendente si trova nel contesto di una conversazione e il significato dell’input può essere negoziato con l’interlocutore e può essere modificato qualora l’apprendente manifesti difficoltà. Possiamo individuare quattro fasi di elaborazione dell’input: 1. Noticing → quando l’input viene notato 2. Comprehension → fase di comprensione dell’input 3. Intake → fase di elaborazione, in cui l’apprendente formula generalizzazioni sul funzionamento della L2 4. Integration → fase di integrazione dell’intake nel sistema interlinguistico; è avvenuto l’apprendimento Krashen: - l’ipotesi dell’input: secondo questa ipotesi ogni essere umano può acquisire una lingua solose esposto a input almeno in parte comprensibile - l’ipotesi del filtro affettivo: esiste un filtro di natura psicologica che promuove o ostacola l’elaborazione dell’input e questo giustifica il fatto che due persone che ricevono gli stessi identici input possano avere risultato di apprendimento completamente diversi. Per rendere possibile l’acquisizione l’input deve essere abbondante; gli stimoli linguistici sono diversi sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo e più sono più facilmente l’apprendente imparerà la lingua. Però l’input non è sufficiente all’apprendimento e ciò ci viene mostrato dal paradosso di Klein:si immagina un individuo chiuso in una stanza per anni, al quale viene proposto quotidianamente un input sonoro in una lingua che non conosce affatto e molto distante dalla sua L1. L’individuo non riuscirà ad imparare la lingua solo con questi input, probabilmente imparerebbe solo alcuni suoni, blocchi di parole ricorrenti e qualche melodia, ma non sarebbe capace di comunicare in quella lingua. Klein perciò suggerisce che l’apprendente avrebbe bisogno di informazioni parallele, cioè dovrebbe vedere e sentire che cosa fanno le persone mentre producono determinati suoni: perciò immaginando che questa volta l’individuo riceva gli input da un televisore, allora sì, potrebbe imparare la lingua facendo ipotesi a partire dalle immagini e dalle situazioni → il processo di apprendimento è perciò un’interazione dinamica tra input e processi cognitivi dell’apprendente. La seconda caratteristica dell’input ideale, dopo l’abbondanza, è la comprensibilità: Krashen ha enunciato il principio dell’input comprensibile usando la formula i+1, in cui i sta per input e +1 sta ad indicare il grado di difficoltà appena superiore rispetto al livello di interlingua dell’apprendente. La comprensibilità dell’input dipende da vari fattori, quali: - Il lessico - Aspetti morfosintattici / pragmatici / fonologici - Informazione contestuale: il tipo di situazione comunicativa, l’ambiente culturale, i partecipanti, l’argomento, lo scopo - La relazione con la propria L1 o altre L2 già apprese: ogni apprendente sarà naturalmente incline a cercare nel materiale linguistico indizi sul modo in cui la lingua target è strutturata, facendoanche ricorso alle conoscenze pregresse - La modificabilità dell’input: chi produce l’input può modificarlo in base alle esigenze dell’apprendente Esistono degli elementi che l’apprendente privilegia nell’acquisizionedell’input: - Frequenza → si imparano prima gli elementi più frequenti nell’input - Salienza → gli elementi salienti vengono notati più facilmente dall’apprendente; per esempio molti elementi grammaticali come gli articoli o gli ausiliari hanno una bassa salienza percettiva e verranno notati poco all’inizio dell’apprendimento. Invece l’apprendente tenderà a notare di più anche gli elementi pertinenti alla comunicazione; per esempio tenderà a notare di più il numero rispetto al genere (è più importante sapere se sto parlando di una sedia o di più rispetto al sapere se sedie è femminile o maschile) - Trasparenza → gli elementi trasparenti sono quelli in cui il rapporto tra forma e funzione è biunivoco (es. in italiano sedia sappiamo che è un mobile, su cui ci si siede ecc.); è più complesso invece quando uno stesso elemento è usato per più funzioni oppure più elementi sono usati per la stessa funzione (es. “a” può introdurre più complementi, si può usare in locuzioni avverbiali, può collegare due frasi – ugualmente il complemento di luogo, oltre che con “a”, può essere svolto anche da “in”) Modi per facilitare l’input: La didattica per favorire l’acquisizione può compiere degli interventi sull’input, per esempio esponendo a grandi quantità di input significativo, cioè tramite testi che possano alimentare la motivazionedell’apprendente; oppure, per facilitare la comprensibilità, mettere in atto la semplificazione (lessicale,morfosintattica, fonetica), senza però usare testi input semplificati in modo innaturale, poco verosimili rispetto al vero uso linguistico. Si può adoperare anche sulla salienza percettiva, rendendo nello scritto più visivi gli elementi sui quali si vuole richiamare l’attenzione (sottolineando, evidenziando, con il grassetto), oppure, nell’input audiovisivo, si può intervenire sulla ridondanza, inserendo nei video i sottotitoli in lingua. Interazione e Output Partecipare a un’interazione con altre persone significa scambiare informazioni veicolate dal codice linguistico e da elementi paralinguistici. Il primo aspetto che rende l’interazione importante per l’apprendimento di una L2 riguarda il fatto chel’input che viene dato in un’interazione è un input generalmente prodotto per il destinatario, calibratoperciò appositamente per il suo livello di competenza linguistica → input modificato. Quando interagiamo con una persona valutiamo automaticamente una serie di fattori, quali: che tipo di relazione si ha con l’altro, l’età, qual è il suo status sociale, se capisce la mia varietà regionale… In una comunicazione faccia a faccia si usano perciò degli indizi a disposizione e nel corso dell’interazione si cerca di raccoglierne altri: il parlante nativo valuterà gli indizi dati dall’interazione con il parlante non nativo così da calibrare la complessità linguistica degli enunciati da produrre. foreigner talk → si parla di foreigner talk per indicare un registro rivolto allo straniero, semplificato in base alla valutazione che il nativo fa usando sia gli aspetti paralinguistici (aspetto fisico, gesti, ecc) sia gli indizi linguistici che offre il PNN stesso. Viene generalmente usato quando il PNN ha una competenza nella lingua target molto bassa. Un’altra forma semplificata dell’input, questa volta negli insegnanti, si chiama teacher talk: eloquio più lento, molte ripetizioni, meno subordinate, chiarezza sintattica, ecc. Nel registro del foreigner talk possiamo trovare diversi tipi di modifiche, che riguardano tutti i livelli d’analisi linguistica: - Fonetica: ritmo rallentato, maggior enfasi e pause, volume alto, articolazione sorvegliata, modulazione dell’intonazione, utilizzo di forme estese e non contratte - Morfologia e sintassi: enunciati più brevi, complessità minore, ridondanza, relazioni grammaticali messe in evidenza, forme basiche del verbo, più domande - Semantica: relazioni semantiche messe in evidenza, minore varietà lessicale, meno espressioniidiomatiche, molti nomi e verbi, alta percentuale di copule, generalismi, elementi lessicali trasparenti, più nomi completi e meno pronomi, parafrasi per parole difficili - Contenuto: gamma di argomenti ristretti, trattazione coincisa di argomenti, ripetizioni Le strategie che il PN adopera perciò facilitano la comprensione da parte degli apprendenti, però a volte può costituire un input troppo sgrammaticato per aiutare il reale sviluppo linguistico del PNN. L’interazione offre all’apprendente la possibilità di produrre output: attraverso questo verifica le sue ipotesi e automatizza così le strutture che già ha appreso o notato, grammaticalizza l’interlingua(produce enunciati comprensibili all’interlocutore). In più nell’interazione l’apprendente può verificare le sue produzioni grazie a un feedback da parte del suo interlocutore, e il feedback spinge l’apprendente a produrre output modificato. Dalla prospettiva acquisizionale, nell’interazione si realizzano due tipologie di eventi: - Negoziazione del significato → i parlanti per superare delle difficoltà nella comunicazione, modificano la forma linguistica, la struttura conversazionale, il contenuto (o tutti e tre questi livelli simultaneamente), finché non si raggiunge un livello di comprensione adeguato. - Negoziazione della forma → il PNN può avere la conferma se ciò che ha formulato è corretto oppure no. L’interlocutore, come detto precedentemente, da dei feedback al PNN, che possono essere positivi (quando le forme usate dall’apprendente sono conformi nella LT, e spesso per dare un feedback positivo basta semplicemente non dire niente, rispondendo al principio del silenzio assenso) o negativi (quando le forme usate dall’apprendente non sono accettabili. Il problema del feedback positivo è che spesso, fuori dal contesto didattico, la segnalazione degli errori di natura formale è molto rara e per questo l’apprendente non può avere la certezza che ciò che ha detto sia effettivamente accettabile nella lingua target, anche se non ha avuto segnalazioni di errori. Le discipline che si occupano delle L2 La linguistica acquisizionale osserva il processo attraverso il quale gli uomini arrivano ad essere in grado di usare un’altra lingua rispetto alla loro L1 – osserva perciò lo sviluppo della L2 in assenza di un intervento didattico La didattica delle lingue moderne invece si chiede quali caratteristiche deve avere un intervento didattico per far sì che uno studente sia in grado di usare un’altra lingua – indaga perciò il rapporto tra sviluppo della L2 e intervento didattico. Che senso ha insegnare le lingue se queste possono essere imparate senza studio? L’insegnamento può essere un fattore determinante nello sviluppo delle competenze in L2 perché aiuta a migliorare l’accuratezza formale e pragmatica: in aula i docenti possono esporre gli apprendenti a un input mirato, ricco di forme che invece si trovano difficilmente in un input spontaneo e con accorgimenti che gli permettono di notare i tratti poco salienti e capire meglio quelli meno trasparenti. Ascoltare L’ascolto è un’abilità ricettiva e come tale ha diversi aspetti in comune con la lettura; in oltre essendo un’abilità che riguarda la ricezione orale, ha anche alcuni aspetti in comune col parlato. Il processo di produzione è in gran parte esterno, visibile, percepibile, mentre il processo di ricezione orale è invece un processo interiore, invisibile e sfuggente – posso vedere chi parla, ma non posso vedere l’ascolto; posso percepire i movimenti dell’apparato fonatorio, ma non quelli dell’apparato uditivo. Possiamo percepire i suoni linguistici anche involontariamente, parlare invece implica produrre volontariamente dei suoni. Proprio perché l’ascolto può essere non intenzionale ed è impercettibile, spesso si parla di abilità passiva; l’ascolto in realtà è molto attivo e per questo lo definiamo ricettivo. La competenza che abbiamo nell’ascolto è generalmente maggiore rispetto a quella nella produzione orale: c’è asimmetria tra ciò che siamo in grado di comprendere in una linguae ciò che siamo in grado di esprimere. Viene definita un’abilità primaria, per due ragioni: - È l’abilità che si sviluppa prima: impariamo prima a udire, ascoltare e capire e poi parlare, leggere e scrivere. Questo vale nella maggior parte dei casi, ma esistono anche forme di apprendimento che non passano per l’ascolto, come nelle lingue segnate o nelle lingue morte. - Noi ascoltiamo attraverso l’apparato uditivo, la cui funzione primaria è appunto quella di udire; invece noi parliamo attraverso un apparato la cui funzione primaria non è il parlato, ma la nutrizione e la respirazione. La lingua inglese fa una distinzione tra hearing “udire”, l’atto involontario di percepire suoni e listening “ascoltare”, che implica la volontà dell’ascoltatore di udire un suono → questa distinzione, che può essere utilizzata anche in italiano, ci fa intuire che l’ascolto implichi un’attenzione e un interesse per l’eventuale messaggio. Il processo di ascolto Nell’ascolto linguistico possiamo distinguere tre fasi: 1.UDIRE. il suono è la sensazione percepita dall’orecchio; l’udito si realizza quando le onde sonore, prodotte dalle oscillazioni di un corpo vibrante, arrivano all’orecchio che capta il suono e lo trasmette tramite il nervo acustico al cervello. Nel caso specifico dell’ascolto linguistico, perciò dell’ascolto del parlato, le oscillazioni sono prodotte dalle corde vocali in movimento. Gli impulsi delle onde sonore sono captati dal padiglione auricolare e vengono trasmessi attraverso il canale uditivo alla membrana timpanica e agli ossicini ad essa legati (martello, incudine e staffa). Questi propagano la vibrazione amplificata verso l’orecchio interno (canali semicircolari, coclea, nervo acustico, tromba di Eustachio).Le vibrazioni meccaniche stimolano le ciglia delle cellule e la loro reazione converte il movimento meccanico in impulsi elettrici nervosi che vengono trasmessi dal nervo acustico alla corteccia uditiva. Il suono è la somma del segnale dovuto alle vibrazioni delle corde vocali e delle frequenze di risonanza generate all’interno della cavità orale e nasale. Il parlato è costituito da una serie di impulsi intensi (segmenti vocalici) e impulsi meno intensi ma percettivamente ben differenziati (segmenti consonantici). Gli impulsi che costituiscono il parlato possono essere distinti in tre parametri: altezza, durata (a cui è legato anche il ritmo) e intensità: - Altezza → la sensazione di altezza di un suono dipende dalla frequenza(misurata in Hz) della vibrazione delle corde vocali; maggiore è la frequenza di vibrazione, maggiore è l’altezza del suono. Nella percezione dell’altezza l’orecchio si concentra sulle vocali e in particolare sulla frequenza più bassa che iene chiamata frequenza fondamentale (fo); la variazione della fo determina l’intonazione dell’ enunciato - Durata → le componenti del parlato possono avere durata misurabile in secondi o in millisecondi. La durata è connessa a fattori quali la struttura della lingua, l’intento comunicativo, il tipo di parlato (letto, recitato, spontaneo, ecc.), l’età dell’interlocutore, la competenza linguistica, ecc. La durata di una vocale può determinarne la natura accentata o tonica. - Ritmo → il ritmo è legato alla durata delle singole parole nell’enunciato.Sul piano ritmico le lingue sono divise in lingue isoaccentuali (intervallotendenzialmente costante tra una vocale tonica e la successiva), lingue issosillabiche (durata sillabica più o meno costante) e lingue isomoraiche(presenta un’unità subsillabica, la mora, che mantiene durata costante). - Intensità → l’intensità di un suono è direttamente proporzionaleall’ampiezza dell’onda acustica: maggiore è l’ampiezza, maggiore sarà l’intensità. Gli elementi vocalici, essendo caratterizzati da un canale libero e privo d’ostacoli, in cui quindi l’aria circola senza ostacoli, risultano essere più intensi; invece gli elementi consonantici, caratterizzati da minore flusso d’aria a causa di ostruzioni lungo il canale, risultano d’intensità minore. 2. DECODIFICARE. L’orecchio umano è in grado di distinguere un numero elevato di suoni, tuttavia, le lingue scelgono un numero limitato di suoni linguistici (foni) con funzione significativa e distintiva (fonemi). L’ascoltatore per decodificare deve ricondurre ogni suono a una categoria pregressa (segmentiamo il parlato avendo una conoscenza delle strutture, della morfologia) in modo da poter distinguere i suoni linguistici da semplici suoni/rumori. Per decodificare, le parole all’interno della frase vengono segmentate in base alle conoscenze pregresse, in gruppi sintattici e semantici; infine tutti i suoni vengono poi ricombinati. 3.COMPRENDERE. chi ascolta normalmente ha l’obiettivo di comprendere.L’obiettivo iniziale della comprensione è quello di costruire rappresentazioni mentali coerenti a partire dai concetti. Per arrivare alla comprensione l’uditore si rifà a degli schemi, cioè a delle strutture cognitive esistenti nella nostra memoria che ci consentono di assimilare e interpretare nuove conoscenze alla luce del nostro bagaglio culturale e in generale in base alle nostre conoscenze pregresse. Lo schema comprende dei concetti e i legami tra questi concetti – ci consente di categorizzare oggetti e situazioni, che entrano nella memoria e diventano strutture cognitive che si aggiungono a schemi pre-esistenti o ne creano di nuovi. L’attivazione degli schemi è fondamentale per richiamare tutto ciò a cui non si fa esplicitamenteriferimento in un testo/in un discorso. Es. schema “cinema” → noi tutti sappiamo che il cinema è costituito da una sala oda più sale in un edificio; in ogni sala ci sono una serie di poltrone, uno schermo grande dove verranno proiettate delle immagini; si va generalmente al cinema per vedere un film, film che ha un orario di inizio e di fine. La sala, durante la proiezione, è buia, ecc. Perciò se qualcuno ci chiede “andiamo al cinema” possiamo rispondere per esempio“che cosa andiamo a vedere” proprio perché si conosce lo schema cinema – schema pag. 63 Rost (2011) riunisce in 4 gruppi concettuali le definizioni correnti di ascolto e comprensione, mettendo insieme diverse correnti di pensiero (per una piena comprensione del processo di ascolto bisognerebbe considerare i vari aspetti portati avanti dalle diverse correnti di pensiero): - La comprensione intesa come ricezione comporta cogliere le idee e il messaggio che il parlante vuole trasmettere - La comprensione orale intesa come costruzione implica la costruzione del significato; il ricevente individua nel messaggio ciò che è rilevante, nota l’implicito e confronta ciò che ascolta con ciò che sa. - La comprensione orale intesa come processo collaborativo implica il rapportarsi con chi parla, rispondendogli, ma anche negoziando e condividendo le informazioni - La comprensione orale intesa come trasformazione è la creazione del significato tramite il coinvolgimento e l’immaginazione. Per l’ascolto e la comprensione non esiste solo il processo sequenziale che passa dall’udito, alla decodifica alla comprensione – per indicare gli altri percorsi possibili si ricorre a due metafore: top-down e bottom-up: - Bottom up: è un processo di decodifica “dal basso”, che parte dal dato linguistico e cerca di identificare sillabe e suoni, seguendo frasi, morfemi e parole. Questo processo in L1 è talmente automatizzato che sembra non avere un ruolo, mentre inL2 risulta spesso necessario identificare le unità dell’input in maniera efficiente per poter riconoscere le parole - Top-down: gli ascoltatori usano il contesto e le conoscenze pregresse per costruire un quadro concettuale per la comprensione. Il grado per cui degli ascoltatori useranno un processo piuttosto che l’altro dipenderà dallo scopo, dalle caratteristiche dell’ascoltatore e dalle sue competenze linguistiche. La massima comprensione del parlato si avrà quando si dispone sia della massima informazione fonetica (signal dependent) sia della massima informazione contestuale (signal independet) Rapporto tra ascolto e parlato Un’abilità non esiste senza l’altra: le nostre capacità uditive e vocali sono in stretta correlazione sia funzionale sia neurologica. Se non c’è la capacità di udire, non si sviluppa la capacità di parlare; così come se nessuno parlasse, non ci sarebbe ascolto linguistico. Chi è sordo dalla nascita generalmente non parla e se impara a parlare ha una voce mal impostata e una velocità irregolare, dato che non riesce a sentirsi. Anche chi diventa sordo subirà dei cambiamenti nella propria voce. Questo legame si estende anche alla decodifica e alla comprensione del discorso dell’altro: per esempio una persona che ha un’alta velocità di eloquio, tende a comprendere enunciati rapidi più facilmente rispetto a chi parla lentamente. Rapporto tra ascolto e vista La percezione del parlato prevede un’elaborazione di elementi acustici e visivi: la visione integra l’informazione acustica e aiuta a elaborare il dato linguistico. Effetto McGurk → l’esperimento mostra che lo stesso suono viene percepito diversamente a seconda dei gesti articolatori a cui viene associato; l’ascolto pure dà esiti diversi dall’ascolto del segnale vocale integrato con il segnale visivo. Effetto cocktail party → in una situazione di forte rumore siamo in grado di selezionare la voce del nostro interlocutore e ciò è in parte agevolato dall’integrazione visiva. Box 4 pagina 67 Percezione del parlato Sono stati fatti svariati esperimenti che mettono in evidenza le differenze tra la percezione del parlato concatenato e di parole isolate. Crystal 1987 → sono state presentate a degli ascoltatori parole in isolamento e parole in un contesto e è stato notato che le parole isolate venissero identificate con minore facilità rispetto a quelle inserite in un contesto. In un altro esperimento sono state estratte, da un parlato spontaneo chiaro e comprensibile, singole parole; quando queste parole venivano fatte sentire ai soggetti, avevano grandi difficoltà a identificarle - ciò avviene perché il parlato spontaneo viene enunciato con scarsa accuratezza e rapidamente. Allucinazioni uditive --> sentire suoni che non sono stati effettivamente pronunciati Il parlato spontaneo presenta spesso delle disfluenze (interruzioni, riprese, auto- correzioni,ripetizioni): vengono spesso considerate come segni di scarsa qualità, ma è stato dimostrato che possono facilitare la comprensione per l’uditore. Situazioni e obiettivi L’ascolto puro è molto raro, esistono piuttosto situazioni molto varie di ascolto, nelle quali gli ascoltatori possono avere obiettivi diversi e perciò attuare strategie diverse. Per individuare la situazione, possiamo distinguere: - Tipo di comunicazione in cui avviene l’ascolto → può essere interattiva (es. in una conversazione) o unidirezionale (es. in una lezione) - Modalità di tale comunicazione → se in presenza (faccia a faccia) o in assenza del parlante (al telefono) - Ruolo dell’ascoltatore nella comunicazione --> interlocutore (es. in una conversazione in cui interviene) o ricevente (es. mentre ascolta la radio) - Il canale → solo uditivo (es. trasmissione alla radio, telefonata senza video), anche visivo (es. se il parlante è presente o durante la visione di un documentario) o multi modale (es. se l’audio è accompagnato da immagini e testo) - Il contesto → il luogo, la situazione, la relazione dei parlanti, ecc. - Il mezzo di comunicazione → dal vivo, telefono, radio, televisione, ecc. Possiamo distinguere anche i vari tipi di ascolto, in genere in relazione all’obiettivo dell’ascoltatore: - Ascolto estensivo → l’ascoltatore presta attenzione a quanto viene detto, ma senza particolare sforzo, per un lungo periodo di tempo, concentrandosi sul significato e cercando di comprendere tutto ciò che viene detto - Ascolto attento → l’ascoltatore presta una maggiore attenzione ed è molto concentrato sul significato. Si pratica quando si ascolta qualcosa di molto importante, che ci interessa molto o i cui contenuti dobbiamo riutilizzare - Ascolto interattivo → anche qui l’ascoltatore presta attenzione a quanto viene detto, senza particolare sforzo. Cambia però la situazione, ci troviamo infatti in una conversazione in cui parlante e ascoltatore si alternano. Può essere un ascolto più facile, dato che generalmente contestualizzato e gli ascoltatori possono negoziare il significato o chiedere di rallentare o ripetere; dall’altra parte però gli ascoltatori non solo devono elaborare gli input in tempo reale, ma anche rispondere in modo pertinente. - Ascolto selettivo → è l’ascolto di chi vuole fare attenzione solo a ciò che interessa, escludendo il resto. Questo ascolto si attiva quando stiamo in attesa di un’informazione precisa. - Ascolto intensivo → ascolto molto attento con l’intenzione di decodificare l’input; di solito l’obiettivo è l’analisi e per questo si presta attenzione a suoni, parole, frasi, aspetti grammaticali o pragmatici – coinvolge soprattutto processi bottom e un è scarsamente usato in L1 - Ascolto “in modalità di attesa” → è un ascolto involontario, in cui l’ascoltatore non presta attenzione a quello che sente. Si chiama ascolto “in modalità di attesa” perché comunque c’è un audio di sottofondo e in qualsiasi momento qualcosa potrebbe attirare l’attenzione dell’ascoltatore e trasformare il tipo di ascolto. Ascolto in L2 Come detto precedentemente l’input è fondamentale per l’apprendimento delle lingue – dato che la maggior parte dell’input è orale, di conseguenza l’ascolto riveste una grande importanza. Nella L1 la capacità di ascolto si sviluppa automaticamente con la consuetudine di udire suoni abituali, a cui l’orecchio è abituato sin dallo stato prenatale. Nella L2 invece sono presenti maggiori difficoltà nell’ascolto. - Udire in L2 → la percezione dei suoni dovrebbe dipendere dall’orecchiodell’uditore, che è ovviamente lo stesso sia se ascolti in L1 sia in L2, però il processo è comunque più complesso in L2. Per esempio possiamo notare come guardando un film nella nostra L1 possiamo tenere un volume più basso, mentre per un film in una lingua straniera avremo bisogno di un volume più alto. Minore è la competenza in L2, maggiore sarà il bisogno di informazione linguistica e contestuale - Decodifica in L2 --> l’essere umano già dalla nascita comincia a selezionare e a filtrare i suoni, sviluppando una sensibilità per i suoni del proprio sistema linguistico - Noi nasciamo con un orecchio aperto a tutti i suoni ma il nostro orecchio con il tempo si abitua ai suoni della nostra L1. Il fenomeno Mondegreen → una scrittrice, evocando la sua infanzia, racconta che quando la madre le leggeva la poesia Reliques of Acient English Poetry, nel verso finale lei capiva “and lady mondegreen” invece di “and laid him on the green” –questo avviene per un errore di segmentazione, presente anche in L1, ma più frequente in L2 dove si applicano le procedure dei segmentazione usate per la propria lingua e si ha problemi nel riconoscere come distintivi alcuni fonemi che non sono distintivi nella L1. - Comprendere in L2 → la comprensione implica l’attivazione delle conoscenze pregresse e la capacità di creare inferenze logiche – in L2 la capacità di inferenza è minore, come anche la capacità di cogliere aspetti del contesto. Le difficoltà possono stare nella fase di percezione (es. non riconoscere parole che già si conoscono, difficoltà nella concentrazione, trascurare elementi successivi a un elemento di cui si cerca di capire il significato, ecc.), altre riguardano l’analisi sintattica delle frasi (dimenticare subito ciò che è stato ascoltato, non riuscire ad elaborare parti dell’input per problemi precedenti, ecc.), altre ancora riguardano l’utilizzo delle informazioni per attivare i processi di interpretazione (capire le parole ma non l’insieme del messaggio, non avere le idee chiare sulle idee centrali del messaggio, ecc.). La didattica dell’ascolto in L2 Negli ultimi anni la didattica dell’ascolto ha fatto notevoli progressi: veniva dato maggiore peso alle attività produttive come la scrittura o al parlato, o a competenze ricettive come la lettura, ma non all’ascolto – oggi invece l’ascolto non viene più considerata un’abilità passiva, ma anche essa ricettiva e per questo gli insegnati devono dedicarle del tempo e attenzione in classe. Oggi la didattica propone compiti che preparino alla comunicazione reale – i materiali d’ascolto autentici sono più adatti per preparare l’apprendente di una L2 a capire la lingua target nelle situazioni quotidiane e sono più motivanti e interessanti per questo. Per apprendere e insegnare ad ascoltare in maniera efficace è importante: - Attivare lo schema di riferimento prima dell’ascolto - Imparare a fare previsioni e inferenze - Aiutare gli studenti a sviluppare i differenti tipi di ascolto Parlare L’abilità di parlare è strettamente connessa a quella dell’ascolto – noi impariamo a parlare proprio perché impariamo ad ascoltare (ascoltare tanto significa parlare sempre meglio) – insieme costituiscono la comunicazione orale, la forma primaria di comunicazione umana. Il parlato è un’abilità prioritaria rispetto alla scrittura: - FILOGENETICAMENTE: tutte le popolazioni del mondo hanno l’oralità, ma non tutte hanno la scrittura; inoltre anche nelle comunità che utilizzano la scrittura ci sono persone analfabete (che non sanno né leggere né scrivere) o bambini prima di andare a scuola (che non hanno ancora imparato a leggere e scrivere) o analfabeti di ritorno (che hanno dimenticato come si fa e hanno poca dimestichezza con la letto-scrittura) - ONTOGENETICAMENTE ogni essere umano inizia a parlare prima che a scrivere.Inoltre l’acquisizione del parlato avviene in maniera involontaria, si impara a parlare la propria L1 sin dai primi giorni di vita con l’esposizione alla lingua; la scrittura invece si impara in maniera volontaria, attraverso insegnamento esplicitonei primi anni di scolarizzazione. Quando ricorriamo al parlato piuttosto che alla scrittura? - Basso dispendio energetico – è meno faticoso parlare e preferiamo dire a vocedelle cose che devono essere più immediate - L’interlocutore può controbattere e discutere, chiedere chiarimenti - Si può comunicare facendo altro (passeggiare, correre, scendere le scale, mangiare, guidare…) - Si può parlare senza vedere l’interlocutore o essere visti - Si può modulare la voce in base alla distanza dell’interlocutore - La voce è un carattere distintivo dell’individuo – la voce aiuta a veicolare per esempio un messaggio più affettuoso o più aggressivo, può trasmettere le nostre emozioni. - Si può parlare a una persona o simultaneamente a molte Scrivere però ci permette di pensare bene a quello che vogliamo dire, ci può lasciare il tempo di scegliere con cura le parole e/o organizzare il discorso. Ricerca lessicale L1 Può, tuttavia, accadere di non trovare le parole adatte a esprimere un concetto o a designare un oggetto anche nella nostra L1; generalmente però sappiamo gestire queste situazioni: - Generalizzare, se il contesto lo permette (es. fisarmonicista – musicista/suonatore) - Cercare sinonimi o altri modi per dire ciò che si voleva dire (es. fisarmonicista– suonatore di fisarmonica) - Spiegare ciò che si vuole dire (es. levapunti - non una spillatrice, ma quell’attrezzo che serve per togliere i punti) - “mi manca la parola”, “come si dice?”, “ce l’ho sulla punta della lingua…”continuare a cercare la parola che si ha in mente L2 L’assenza di pianificazione, che normalmente in una lingua nativa invece è propria anche del parlato, in L2 può rendere il parlato più difficile rispetto alla scrittura (nella L2 abbiamo difficoltà nella ricerca lessicale immediata) – nello scritto abbiamo tempo per trovare un modo di formulare una frase, con l’oralità no. Quando accade di non trovare parole che ci servono ad esprimere un concetto in una L2, è sicuramente più complesso rispetto che in L1; sicuramente cambia molto la situazione in base al livello di competenza che abbiamo di quella lingua. Le strategie possibili sono quasi le stesse che abbiamo in L1 (perifrasi, descrizione, illusione, ricorso a vaghezza e generalizzazione, oppure ricorso alla mimica, a un’altra lingua o alla nostra) o l’uso del dizionario. Organi di produzione orale La produzione del parlato avviene attraverso la fonazione, processo a cui prendono parte diversi organi (laringe, faringe, lingua, velo palatino, palato duro, naso, denti e labbra) che costituiscono l’apparato fonatorio e moltissimi muscoli controllati dal sistema nervoso e attivati molto rapidamente – non ci sono organi preposti unicamente alla fonazione, in quanto è un adattamento secondario dell’apparato respiratorio e degli organi coinvolti nelle prime fasi della digestione. Il cervello invia ai muscoli coinvolti una serie di impulsi nervosi, che danno l’istruzione di contrarre o di rilassare. La voce nasce dal respiro e quando parliamo aumenta la durata dell’espirazione e si riduce quella dell’ispirazione. Questo perché noi parliamo utilizzando principalmente l’aria polmonare egressiva, tranne quando si parla affannati o emozionati, oppure quando si conta in maniera continuativa per una lunga serie di numeri senza prendere fiato. Durante il parlato il percorso dell’aria viene interrotto e modulato: il primo strumento di modulazione sono le corde vocali, che vibrano al passaggio dell’aria producendo così il suono → quando il flusso d’aria è ostruito (dalla lingua, dalle labbra, dai denti o dal velo palatino) si generano le consonanti; mentre nel caso delle vocali il flusso d’aria non è mai ostruito. Prosodia (parte della linguistica che studia il ritmo, l’accettazione e lintonaione del linguaggio parlato) Il parlato non è costituito unicamente da un’alternanza di vocali e consonanti; infatti noi, modulando gli organi dell’apparato fonatorio, possiamo intervenire sull’altezza, sulla durata e sull’intensità del segnale acustico: - Altezza → il tono è dato dalla frequenza (misurata in Hertz-Hz) della vibrazione delle corde vocali (frequenza fondamentale / f0), per cui più alta è la frequenza di vibrazione, maggiore è l’altezza del suono che risulterà più acuto. Noi possiamo variare la velocità di vibrazione delle corde vocali e tale variazione modifica l’altezza tonale e di conseguenza l’andamento melodico; è grazie alle variazioni dell’altezza tonale che possiamo produrre enunciati con funzione interrogativa, affermativa, sospensiva ecc. - Durata → la diversa velocità dell’eloquio determina variazioni di durata dei singoli segmenti e ne modifica la loro natura articolatoria: per esempio un parlato molto accelerato tenderà verso una ipoarticolazione dei singoli elementi, fino alla loro riduzione o scomparsa; invece in un parlato più lento i singoli segmenti potranno essere meglio articolati, perché il parlante dispone di un tempo sufficiente per compiere adeguatamente i movimenti articolatori necessari. La velocità di articolazione rappresenta il rapporto tra il numero di sillabe prodotte e la durata media delle catene foniche (porzioni di parlato precedute e seguite dal silenzio): in Italia una velocità di articolazione di 3 sill/s costituisce un parlato lento, 4-5 sill/s un parlato di media velocità, 6-8 sill/s un parlato veloce e 9 sill/s un parlato velocissimo, prodotto artificialmente. De Meo e Vitale, 2016 – studio che, prendendo in esame il parlato di 12 politici, maschi e femmine, con età da 38 a 66 anni, ha evidenziato alcune differenze di velocità di articolazione riconducibili a tre varianti: - La tipologia testuale (comizio, discorso alla camera/al senato, intervista) - Età e/o genere: Durante il comizio le donne sono tutte accurate nel gesto articolatorio e perciò sono più lente; gli uomini più giovani parlano in maniera significativamente più rapida rispetto agli uomini anziani (che comunque parlano più velocemente della donna). Nel caso del discorso politico (tendenzialmente letto e controllato) la velocità di articolazione non presenta differenze tra uomo e donna, se non nei politici maschi più giovani. Nell’intervista la velocità risulta essere più alta in tutti, ma maggiormente negli uomini di ogni età e nelle donne più giovani. - Intensità → l’intensità di un suono è direttamente proporzionale all’ampiezza dell’onda acustica: maggiore è l’ampiezza, maggiore sarà l’intensità del suono Questi tre parametri concorrono a formare l’accento tonico: una sillaba accentata è una sillaba che è messa in rilievo e perciò ha una maggiore salienza percettiva rispetto alle altre. Il ritmo è legato alle durate delle singole componenti di un enunciato ed è dato dalla successione regolare nel tempo di elementi salienti o prominenti e dalle pause. La voce la voce è la manifestazione sensibile per eccellenza, che dà corpo e consistenza fisica alla lingua e al parlato. La voce trasmette anche moltissimi indizi su chi parla (sulla corporatura, sullo stato d’animo, sullo stato di salute). Le corde vocali vibrano in maniera diversa nell’uomo (f0 di 70-150 Hz), nella donna (150-250 Hz) e nei bambini (250-350 Hz) in ragione della loro diversa conformazione fisica; più è alta la frequenza della vibrazione più il suono sarà percepito come acuto. Con l’avanzare dell’età la voce e il parlato di una persona cambiano considerevolmente: potrebbe presentarsi un rallentamento articolatorio, pause silenti più frequenti e più lunghe, una f0 più alta e più variata, un aumento della porzione vocalica. Ogni parlante però ha delle peculiarità articolatorie che anche con l’avanzare degli anni restano poi, in buona misura, immutate. La voce perciò può identificare univocamente una persona. Rapporto tra scritto e parlato Tradizionalmente il parlato veniva considerato meno influenzato da norme grammaticali rispetto allo scritto; veniva perciò associato di più a registri bassi, forme gergali, errori. La tradizione della grammatica si è sempre concentrata sullo scritto (es. Dante nel de vulgari eloquentia fa una differenziazione tra le regole del volgare, lingua parlata e la grammatica del latino, lingua scritta); le prime riflessioni che analizzano le regole del parlato sono circa degli anni 70 à i primi studi sul parlato facevano una sorta di difesa della dignità del parlato, che poteva essere studiato nelle sue regole grammaticali, esattamente come lo scritto; da quegli anni gli studi sul parlato sono stati sempre più frequenti e più dettagliati (es. studi sulla prosodia). Una svolta importante per gli studi sul parlato è costituita dalla diffusione degli strumenti per la registrazione sonora, che hanno permesso di fissare il parlato consentendone la trascrizione, l’analisi e lo studio dettagliato al di fuori dell’immediato contesto comunicativo. In Italia c’è una specificità storico-linguistica che influenza il rapporto fra scritto e parlato (a partire almeno dall’Italia unita). Nella realtà italiana lo scritto per un periodo è stato l’unico portatore della norma della lingua nazionale, mentre la pervasività delle varietà dialettali non permetteva il costituirsi di una norma del parlato unitaria. 1989, Joseph Vachek propone di considerare le realizzazioni del parlato e dello scritto come governate da due norme (la norma parlata e la norma scritta) che in maniera complementare realizzano una norma superiore. 1991, Claire Blanche-Benveniste afferma che è inutile distinguere scritto e parlato, poiché gli studi condotti rivelano meccanismi linguistici generali e non individuano caratteristiche specifiche dell’orale rispetto allo scritto Differenze tra scritto e parlato: - Materia diversa per la produzione: la voce per il parlato; tracce su un supporto, per lo scritto. - Canale: il parlato dipende dal canale uditivo/orale/gestuale; lo scritto dal canale visivo/ grafico/motorio. - Il parlato è un’abilità primaria, mentre lo scritto è un codice secondario, al pari del linguaggio mimico, gestuale, prossemico. A differenza dei codici non verbali, però, lo scritto non è ausiliare al parlato, ma lo sostituisce. - + come già abbiamo detto il parlato è universalmente diffuso, invece esistono molte comunità e parlanti che non usano la scrittura. - Contesto: una comunicazione orale è per natura contestualizzata e si può evidenziare il ruolo tra gli interlocutori, quando c’è un’interazione e comprendere gli atteggiamenti emotivi del parlante. - I testi scritti sono generalmente consultabili da più persone e contengono una carica minore di valore relazionale. Lo scritto è più svincolato da qualsiasi situazione. - Pianificazione: il parlato avviene in tempo reale e non si può cancellare quanto detto, ma solo ripetere, riformulare o aggiungere. La scrittura permette invece di tornare più volte sul testo dando il modo a chi scrive di curare maggiormente la coerenza e l’accuratezza, di sorvegliare lo stile in modo da conformarsi con la lingua standard, censurando le varianti regionali che inevitabilmente affiorano nella produzione orale. - Il parlato risulta effimero, provvisorio e temporaneo; invece lo scritto fissa le parole, rendendo il messaggio duraturo e permanente. - Dinamicità: La produzione orale è più dinamica, essendo prodotto in tempo reale e in contemporanea con la ricezione (ci possono essere auto-correzioni, cambiamenti nella pianificazione, riparazioni…); lo scritto invece è stabile e solo in partenza chi scrive può tenere conto di possibili reazioni del/dei ricevente/i. Queste differenze non vanno intese in maniera assoluta poiché esistono delle situazioni intermedie, a cavallo tra scritto e parlato: un attore che recita un copione scritto e imparato a memoria, un professore che parla seguendo le tracce delle slide… L’opposizione tra scritto e parlato viene messa ulteriormente in discussione dall’avvento delle tecnologie digitali (chat, messaggi, videochiamate, messaggi vocali ecc.). Le differenze tra scritto e parlato perciò non devono far pensare che ci sia una lingua scritta e una lingua parlata che seguono regole diverse → la lingua è uno strumento flessibile che ha diverse manifestazioni; la grammatica e il lessico di una lingua sono gli stessi sia nel parlato che nello scritto, però la lingua si adatta al contesto e viene influenzata dalle condizioni e dalla modalità di produzione. Comunque il parlato ha delle caratteristiche proprie; per analizzare/studiare il parlato è necessario trascriverlo. Produzione del parlato L1 Modo di produzione → il parlato è in genere prodotto in tempo reale e in presenza, perciò mentre qualcuno ascolta ha di fronte l’interlocutore; questo comporta che raramente le produzioni orali siano finite, e che invece mostrino tracce delle fasi della costruzione del messaggio. Non linearità → Spesso gli enunciati non sono prodotti seguendo una sequenza lineare, ma il loro svolgimento può essere discontinuo, frammentato, interrotto a più riprese. Le cause di queste interruzioni sono varie: - Disfluenze di carattere testuale: esitazione, riformulazione, ricerca di lessico, pianificazione, autocorrezione, co-costruzione di significato con l’interlocutore, desiderio di espressività… - Disfluenze di carattere fonetico: allungamenti (soprattutto vocalici), vocalizzazioni, pause… - Ripetizioni: le ripetizioni possono essere dovute alla ricerca lessicale, alla riformulazione, ma possono avere anche funzione espressiva (di intensificazione – es. continuava a fissarmi, a fissarmi, a fissarmi) o funzione stilistica e retorica (es. tu vuoi stare al mare, io voglio andare a casa; io vado a casa, tu te ne stai al mare) Le ripetizioni conferiscono al parlato la ridondanza, molto importante nella comunicazione orale, poiché agevola la memoria e facilita la comprensione. Queste ripetizioni creano a volte lo sviluppo epicicloidale dei testi orlai → una costruzione verbale inizia con la ripetizione parziale della costruzione che la precede (es. questa festa è durata per cento giorni. E durante questi cento giorni sarebbero stati uccisi 5000 animali) Eteroripetizioni → ripetizioni della parte finale della sequenza dell’altro interlocutore Il parlato tende alla discontinuità anche a livello di argomenti – certamente la conferenza di un relatore sarà più coerente e mostrerà maggiore continuità rispetto a una conversazione tra amici. L’andamento del parlato è sommativo, non si ho tornare indietro o cancellare ugello che abbiamo detto per correggerci, per farlo aggiungiamo invece altre parole. Parlare la propria lingua Lo sviluppo linguistico del bambino prende avvio durante l’ultimo trimestre di gravidanza, quando i feti mostrano la capacità di riuscire a riconoscere gli stimoli uditivi dall’esterno. Lo sviluppo linguistico del parlato del bambino si muove insieme a tutto lo sviluppo psico- motorio del bambino. Alcune ricerche, che si sono basate sulla frequenza del battito cardiaco, hanno dimostrato che i feti sono appunto già in grado di distinguere i suoni e la voce della madre → 28 donne francesi, alla 35esima settimana, hanno recitato una filastrocca per 3 volte al giorno, tutti i giorni, 4 settimane al proprio feto; quando letta un’altra filastrocca da un’altra persona il bambino non reagiva come faceva con la madre. Anche la produzione dei suoni dei neonati è molto presto influenzata dalla lingua alla quale sono esposti (es. è stato mostrato che i bambini francesi producono pianti con contorno intonativo ascendente, mentre quelli tedeschi contorni intonativi discendenti. Baby talk L’acquisizione del linguaggio comincia con quella che viene definita baby talk: - A livello prosodico si osserva un tono molto più alto, articolazione lenta e accurata delle sillabe. - A livello fonetico si rileva una riduzione dei nessi consonantici e vocalici, la tendenza all’uso di sillabe semplici e l’utilizzo di parole monosillabiche e bisillabiche (es. bau bau per cane, ciuf ciuf per treno; servono al bambino per iniziare a collegare i suoni con le parole). Anche osservare l’acquisizione di linguaggio ci aiuta ad osservare l’apprendimento guidato del linguaggio: per esempio le parole che usa il bambino all’inizio sono legate a qualcosa di circostante e quotidiano. Nello sviluppo della lingua materna possiamo individuare una sequenza tipica di fasi, associate a diverse fasce d’età: - Fase prelinguistica (2-10 mesi): - Nelle prime settimane il bambino comunica prevalentemente attraverso il pianto; - Intorno ai due mesi comincia a produrre dei suoni vocalici allungati, denominati cooing (ooh e aah); - Verso i quattro mesi comincia a produrre singole sillabe con allungamento vocalico e consonantico; - Verso i sei mesi si osserva l’emergere della lallazione (ripetizione di singole sillabe con un controllo sempre maggiore sulla struttura articolatoria dei foni della lingua – bababa, mamama, nanana – inizia a sviluppare i suoi muscoli, anche per la masticazione). - Fase olofrastica e monorematica (12-18 mesi): - Enunciati costruiti da una sola parola (olofrasi), con elementi lessicali che svolgono più funzioni. - Verso i 18 mesi il numero delle parole è di circa 50 e il bambino tende a ripetere quello che ascolta (ecolalia) - Fase bimembre (18-24 mesi) - Verso i 18-24 mesi il bambino arriva a circa 150-200 parole e forma un parlato telegrafico, con combinazione di alcune parole (es. no bau-bau, paura) - Sviluppo grammaticale: dopo i due anni si comincia ad avere uno viluppo sempre maggiore anche della morfosintassi (articoli, congiunzioni…) - Dopo i 3 anni: sviluppo della coordinazione e subordinazione e ampliamento del lessico - 10-11 anni: competenza comparabile a quella adulta, il resto sarà solo esposizione continua alla varietà della lingua; continuiamo ad imparare in fase adulta anche la nostra stessa lingua, ma le competenze linguistiche sono già state apprese. Parlare una L2 Le caratteristiche di una produzione orale di un PNN dipendono da numerosi fattori, come il livello di competenza raggiunto, il modo in cui è stata appresa la lingua, il contesto dell’apprendimento, la vicinanza tra la L1 e la lingua target. L’insieme delle caratteristiche acustiche di un enunciato è alla base della percezione dell’accento → l’obiettivo dei parlanti è quello di capire e farsi capire, cioè la priorità è la comprensibilità; l’accento però svolge comunque un ruolo importante nel giudizio di inclusione in una comunità di parlanti. La competenza fonetico-fonologica è il livello più complesso dello sviluppo dell’interlingua e difficilmente gli adulti riescono a raggiungere risultati comparabili a quelli di un parlante nativo. Le variabili che incidono sull’accento straniero sono variabili e spesso combinate tra loro: - Età di apprendimento della L2 → Eric Lenneberg nel 1967 introduce il concetto di età critica, età oltre la quale si completa il processo di lateralizzazione del cervello, ossia la specializzazione dei due emisferi nel recepire informazioni diverse, nell’elaborare input sensoriali in modo diverso e nel controllare diversi tipi di comportamento motorio. Gli adulti mostrano una ridotta sensibilità all’input rispetto ai bambini. Per quanto riguarda la pronuncia, un problema potrebbe essere collegato al fatto che l’articolazione dei suoni linguistici si basa su una capacità neuromuscolare che si lateralizza durante il primo anno di vita. - Durata del soggiorno nel paese in cui si parla la L2 - Apprendimento formale - Motivazione dell’apprendimento - Attitudine all’apprendimento delle lingue - Frequenza d’uso della lingua materna Le prime produzioni in L2 Quando l’apprendente inizia a parlare la L2, dopo la fase del silenzio, inizia a fare tentativi usando parole e formule e a vedere se questi tentativi funzionano. Nelle fasi iniziali dell’interlingua si osservano delle tendenze generali; per esempio negli apprendenti d’italiano compaiono prima: - le parole di alto grado di generalità (cosa, fare, bello, brutto, lavorare, venire, via…) - alcuni pronomi personali (io, tu, lui, lei) - i deittici (questo, quelli, lì) - parole per gestire la conversazione (sì, no, capito, come…) - parole contenuto: parole piene (cane, negozio, pane…) rispetto a parole grammaticali Oltre alle parole nella fase iniziale di acquisizione di una lingua ci rifacciamo a delle formule (costruzioni composte da più parole), come per esempio how are you?, I don’t know, auf wiedersehen. Le formule che impariamo sono riconoscibili grazie ad alcune caratteristiche: - sequenze fisse - riproduzioni di una complessità maggiore rispetto a quella della competenza sintattica che ha in quel momento l’apprendente (per questo le formule non ci dicono molto della competenza linguistica del parlante) - parole non usate inizialmente in altre combinazioni - il parlante le tratta come blocco unico, che tende a rimanere non analizzato - servono come base per uno sviluppo successivo, quando l’apprendente scomporrà la formula → man mano che l’apprendente progredisce nella competenza linguistica, iniziano a comparire nelle sue produzioni informazioni di tipo morfosintattico, dove l’uso delle formule è accompagnato a tentativi di flessione e accordo. Dall’analisi delle interlingue di apprendenti con diverse L1, è emersa una sequenza acquisizionale di tipo implicazionale, cioè un ordine di acquisizione costante, per cui se c’è C vuol dire che ci sono per forza A e B; se c’è B c’è per forza A. Analisi dell’interlingua Nell’analisi dell’interlingua bisogna tener conto delle peculiarità della produzione orale, che non possono essere imputate alla scarsa competenza linguistica – perciò dobbiamo analizzare le cose in base alla tipologia testuale, la contestualizzazione (es. una frase può essere accettabile in un parlato informale, ma non in uno scritto o in un parlato formale). Bisogna anche ricordare che l’interlingua è un concetto positivo: nella pedagogia tradizionale c’era un giusto e un sbagliato, invece la didattica delle lingue moderne deve dare conto delle ipotesi dell’apprendente, valorizzando quello che sa fare. Mentre si sta imparando una L2 ci si può trovare nella situazione di non saper esprimere quello che si vuole dire o spiegare ciò di cui si ha bisogno; in questi casi l’apprendente può fare ricorso a delle strategie comunicative per ovviare il problema: - strategie di conseguimento --> il parlante cerca in vario modo di risolvere un problema linguistico, mantenendo sempre l’obiettivo comunicativo. L’informante può: - invocare indirettamente l’aiuto dell’interlocutore - richiedere l’aiuto dell’interlocutore - fornire una descrizione strumentale dell’oggetto (es. è per usarlo quando estudi – nel caso di una parlante nativa spagnola che sta apprendendo l’italiano e cerca la parola evidenziatore) - fornire una descrizione strumentale che si concentra su chi normalmente usa l’ogetto - si avvicina alla parola proponendo un termine non esatto, con il quale però condivide alcuni tratti semantici precedendolo da una negazione; in questo modo, tramite associazione analogica, il destinatario capirà che la parola cercata è vicina a quella negata - fornisce una descrizione - ricorre alla propria L1 (es. subrayador – evidenziatore) - ricorrere a un’altra L2 che il destinatario potrebbe conoscere - pronunciare una parte della parola, pur non riuscendo a enunciare l’intera parola - trovar un’approssimazione della lingua target - ricorrere a iperonimi o termini generali (es. dire albero al posto di abete) - uso di termini vaghi (cosa...) - spiegazioni di componenti (es. pezzi di frutta per dire macedonia) - uso di una lista formata da co-iponimi per approssimarsi al significato generale (forchette, coltelli, cucchiai per dire posate) Le strategie di conseguimento possono essere usate anche da PN per la ricerca lessicale, facendone ovviamente un uso più disinvolto. strategie di elusione → sono più difficili da individuare (rispetto a quelle di conseguimento che determinano produzioni linguistiche evidenti che si sviluppano in tempo reale) perché consistono nel “non dire”. L’elusione può portare il parlante a limitare/ridurre la sua produzione per evitare funzioni della lingua/argomenti/generi testuali/registri complessi, perché sa di non esserne in grado. Anche i parlanti nativi possono trovarsi a dover eludere qualcosa dal loro discorso; per esempio un PN potrebbe dichiarare che evita di usare in una narrazione il passato remoto, tempo verbale di cui non si sente sicuro. Guardare bene i vari esempi a pag 124-134 Didattica del parlato in L2 La didattica comunicativa ha messo al centro la comunicazione parlata. Per apprendere e insegnare la comunicazione parlata in maniera efficace sono fondamentali degli aspetti, considerati tra i principali assunti della didattica comunicativa e degli studi della didattica acquisizionale: - Attenzione all’uso linguistico → le forme e le espressioni linguistiche non vanno presentate solo in base al loro aspetto sistematico, ma anche in relazione alla funzione che svolgono, adattandole alle circostanze e ai bisogni comunicativi dell’apprendente. - Produzione linguistica → con l’output gli apprendenti sono spinti a produrre enunciati grammaticalizzati e automatizzano così le loro conoscenze - Focalizzazione sulla forma → con la didattica gli apprendenti beneficiano dell’accuratezza grazie al feedback correttivo - Verosimiglianza degli usi linguistici nei materiali didattici --> la didattica dovrebbe portare l’apprendente a usi verosimili della lingua, non usi semplificati e stereotipati (perciò anche spesso anomali) - Apprendere come agente sociale → la didattica deve considerare la natura sociale dell’apprendente, prestando attenzione allo sviluppo della competenza interazionale, che riguarda perciò aspetti come l’uso appropriato delle regole di cortesia, la gestione di argomenti nella conversazione, la presa del turno di parola, ecc. - Comunicazione linguistica come azione → l’apprendimento è più efficace se inquadrato in una serie di compiti realistici e di attività di interazione con il mondo reale; la didattica ve perciò integrata con dei compiti o con dei progetti, che mettono l’apprendente a confronto con le attività in cui la lingua è inserita - Sviluppare un ricco repertorio di formule Scrivere Si tratta di un’abilità produttiva, come il parlato e rispetto le altre abilità richiede anni di allenamento e i risultati, che dopo un lungo percorso, possono non essere soddisfacenti. Noi siamo esposti alla lingua orale in maniera costante e continua prima ancora della nascita, invece iniziamo il processo di apprendimento della (letto)scrittura solo verso i 5 anni, con l’insegnamento formale a scuola. → scrittura come prodotto I sistemi di scrittura Il termine scrittura ha due accezioni, la prima riguarda il prodotto – in questa prima accezione la scrittura è considerata ciò che ha permesso all’uomo di superare i limiti spazio-temporale della comunicazione orale, fissando la produzione linguistica attraverso segni e grafemi. Secondo questa prima accezione la scrittura può essere definita come una serie di lettere, o grafemi, che rappresentano i suoni della lingua parlata, vengono disegnati sulla carta, in successione lineare, creando delle unità, nella direzione da sinistra verso destra della pagina, formando delle righe che vanno dall’alto verso il basso. -GRAFEMI E LETTERE → il grafema è l’unità grafica minima, non suddivisibile ulteriormente; in linguistica è indicata tra parentesi uncinate (< >). Speso è sinonimo di lettera e l’insieme dei grafemi costituisce l’alfabeto. Il sistema alfabetico utilizza una serie di grafemi per rappresentare i suoni della lingua (fonemi); la maggior parte delle volte però il numero dei fonemi non coincide con il numero dei grafemi: - Lo stesso grafema è utilizzato per rappresentare fonemi diversi: la in italiano in cara / kara/ e in cera /tʃera/ - Una combinazione di grafemi rappresenta un solo fonema: trigramma dell’italiano in scialbo - Un grafema non ha un corrispondente fonico: in italiano hanno - Fonemi resi da più grafemi diversi: diagramma in easy /i:zi/, in see /si:/, o in scene /si:n/ Oltre al nostro alfabeto latino esistono molti altri alfabeti (greco, turco, cirillico, buginese, copto, ebraico, arabo…). Nel corso dei secoli ogni lingua ha adattato il sistema di base dei grafemi alle proprie necessità; queste modifiche sono avvenute attraverso diverse strategie, una delle quali è rappresentata dai segni diacritici (es. il Tilde (~) in portoghese então e in spagnolo caña) IPA – international Phonetic Alphabet → è un alfabeto speciale, creato in laboratorio, a cui a un suono corrisponde un segno grafico. - Sistemi fonologici e non fonologici → nei sistemi fonologici a ogni grafema corrisponde tendenzialmente un fonema (come nei casi alfabetici) o una sillaba (come nei casi dei sillabari – oggi è usato dall’aramaico e da due dei tre sistemi di scrittura del giapponese, lo hiragana e il katakana – le unità dei sillabari sono superiori a quelli dei sistemi alfabetici e arrivano anche a parecchie centinaia). I sistemi non fonologici invece, tendenzialmente, non presentano un’evidente relazione tra i simboli e i suoni della lingua. Un esempio di scrittura non fonologica sono i pittogrammi, in cui l’unità grafica corrisponde a un’immagine identificabile con entità esistenti; oggi è in uso per i segnali stradali. Esiste poi la scrittura ideografica, come per esempio quella nel segnale stradale del divieto di inversione ad U, in cui l’unità significante è un’astrazione dell’entità significata. Gli ideogrammi evocano sempre entità del mondo reale ma in cui il legame con il referente non è più così esplicito, come per esempio la scrittura egizia. L’ultimo tipo di sistema non fonologico è quello logografico, che si basa su delle unità, chiamate logogrammi, che rappresentano una parola o un morfema; le lingue con sistema di scrittura logografico a noi più note sono il giapponese kanji e il cinese hanzi. Anche il sistema di scrittura dei numeri, e in generale della matematica, è un sistema logografico. Anche i sistemi fonologici possono ricorrere a grafemi che non rappresentano singoli suoni, ma delle unità di significato. Es. % (per cento), $ (dollaro), m2 (metri quadri), ecc. Pure il sistema musicale ha un doppio valore, perché le note possono essere lette ad alta voce con il loro nome, ma possono anche essere eseguite con la voce o con uno strumento attraverso le frequenze che rappresentano. - SUPPORTI PER LA SCRITTURA → nella definizione generale della scrittura abbiamo detto che i grafemi vengono disegnati sulla carta, ma questo non è l’unico materiale su cui viene eseguita la scrittura. La scrittura può essere eseguita per sottrazione attraverso il graffio o l’incisione o per aggiunta di inchiostro o altro materiale (metalli, materiali di origine minerale, vegetale e animale); in epoca recente scriviamo anche in byte su un supporto elettronico. - ORIENTAMENTO DEL SEGNO GRAFIO → nella descrizione iniziale della scrittura abbiamo detto che la successione va da sinistra verso destra della pagina, formando delle righe che vanno dall’alto verso il basso e ciò vale per la maggior parte delle lingue che hanno adottato l’alfabeto greco o latino; tuttavia, queste lingue non usano esclusivamente questo orientamento: in liste, elenchi, tabelle, matrici, grafici, mappe concettuali, diagrammi, calligrammi, ecc.; nei fumetti siamo costretti a ricostruire l’ordine delle scene e i turni delle conversazioni, i logo giocano con la dimensione e la disposizione dei caratteri… Alcuni sistemi, come l’arabo e l’ebraico, hanno adottato la direzione da destra verso sinistra. In alcune testimonianze di scrittura antica sono state scoperte alcune lingue che alternavano la scrittura da sinistra a destra e poi, nella riga successiva da destra a sinistra → scrittura bustrofedica. Un sistema di scrittura che può comprendere tutte le variabili appena dette potrebbe essere quella di Coulmas (1999), secondo cui un sistema di scrittura è un insieme di segni visibili o tangibili usato per rappresentare unità di lingua in un modo sistematico. Il testo scritto I testi sono artefatti che permettono agli uomini di trasferire la memoria e di elaborare su un supporto fisico esterno le informazioni, rendendole disponibili agli altri. La comunicazione umana è governata da un principio fondamentale per cui il lavoro dell’enunciazione è a carico dell’emittente, mentre la ricostruzione del significato è a carico del destinatario. Chi scrive deve sapere quanto e su cosa essere esplicito, invece il lettore deve ricostruire i contenuti impliciti. L’autore di un testo ha a disposizione due meccanismi: - Gli attivatori di presupposizione → sono elementi lessicali e morfo-sintattici che veicolano informazioni che il lettore può ricavare partendo dai processi bottom-up. Sono per esempio attivatori di presupposizione le descrizioni precedute dall’articolo determinativo, come in questo titolo di giornale: l’ingorgo lista d’attesa sta colpendo i più poveri, dove il lettore deve presupporre’che ci sia effettivamente un ingorgo senza dover scrivere si è creato un ingorgo nelle liste d’attesa, che sta colpendo i più poveri. Anche verbi che esprimono un cambiamento come “nascere”, “smettere”, “continuare”, “iniziare” sono attivatori di presupposizione. - Le implicazioni → l’informazione implicita viene ricavata viene ricavata attraverso un’inferenza, grazie a processi top-down e conoscenze extralinguistiche. Per esempio dal titolo di giornale strade a pezzi, locali e cantine allagate. La pioggia dà tregua, la conta dei danni bisogna fare diverse inferenze: ha piovuto molto negli ultimi giorni, la pioggia sta causando tanti danni, fino a ora non è stato possibile fare un conto dei danni. È stato notato come entrambi questi meccanismi possano essere utilizzati per trasferire al destinatario contenuti che sarebbero ritenuti non veri se esplicitati. Per garantirne la natura unitaria, i testi devono essere coesi e coerenti: - La coesione è la caratteristica attraverso la quale parti di un testo sono collegate esplicitamente. I segnali coesivi sono quegli elementi che servono per richiamare il già detto e quello che si dirà. Possono essere segnali coesivi i pronomi, la concordanza dei tempi, i connettivi. Dal punto di vista delle deissi (in linguistica, il piano della comunicazione relativo agli elementi che non si concretano in parole, ma consentono un riferimento diretto alla situazione del discorso nello spazio e nel tempo) gli elementi coesivi sono dei rinvii testuali e possono appunto rimandare a qualcosa già detto o che si deve ancora dire. Parole vaghe, per esempio, come “cosa” o “fatto” possono sostituire una frase intera (es. non posso andare a cena da Luca stasera, ma sono convinta che accetterà la cosa tranquillamente – invece di dire – non posso andare da Luca stasera, ma sono convinta che accetterà che non posso andare a cena da lui). Fondamentali per la coesione del testo sono la deissi personale (in riferimento al ruolo del parlante/ ascoltatore), la deissi temporale (al tempo) e la deissi spaziale (allo spazio). - Anche la coerenza è una caratteristica del testo che collega le diverse parti, ma in questo caso il collegamento non è di natura lessicale e morfosintattica (come nella coesione), ma di natura semantica, cioè sul piano del senso. Un testo è unitario se è dotato di continuità, se ogni enunciato si collega a ciò che precede e contribuisce alla progressione tematica e se le parti che lo compongono non si contraddicono. Per esempio nella frase domenica si eleggono i sindaci. Le scuole riaprono mercoledì si può individuare un’unità testuale, mentre nella frase domenica si eleggono i sindaci. I cani mangiano i calzini non possiamo vedere l’unitarietà poiché manca la continuità e la progressione tematica. Il testo quando è più lungo di qualche riga, spesso viene diviso in paragrafi. Dal punto di vista del contenuto in ogni paragrafo è riconoscibile uno sviluppo tematico ben preciso. Grazie al paragrafo l’autore può distribuire le informazioni in progressione e offrire indicazioni al lettore per individuare le unità di pensiero. Scrittura come processo Dagli anni 80 alcuni psicolinguisti hanno cominciato ad esaminare la scrittura non solo in quanto prodotto finale, ma in quanto processo che porta all’elaborazione dei testi. Le fasi della scrittura: - Pianificazione → prodotto. Stabilito il tipo di testo e l’obiettivo, lo scrivente deve definire il contenuto. Spesso nella fase di pianificazione lo scrivente crea un tipo di testo che contiene i punti salienti di ciò che dovrà scrivere, cioè fa una scaletta. Chi scrive deve essere a conoscenza delle norme linguistiche (convenzioni ortografiche e di scrittura, registro linguistico adeguato) in uso nella comunità in cui agisce. Quando si scrive a mano bisogna anche stare attenti della leggibilità della propria grafia. - Stesura → la fase della stesura riguarda la scrittura vera e propria. Se si tratta di un testo di una lunghezza superiore a una pausa lo scrivente definisce una prima bozza dei paragrafi e tramite una serie di domande monitora l’elaborazione; queste domande che l’autore si fa con sé stesso monitorano vari aspetti (chiarezza e comprensibilità, completezza, registro, coerenza, accuratezza formale). La rilettura è una fase importante durante la stesura di un testo, perché permette di capire come portare avanti il testo e di modificare ciò che non funziona. Le autocorrezioni avvengono quando si verifica una discrepanza tra le intenzioni dello scrivente e ciò che effettivamente scrive, e possono riguardare i vari livelli (ortografico, grafico, morfosintattico, pragmatico, semantico e testuale). - Revisione → nella fase di revisione lo scrittore rilegge quanto ha scritto; porta a migliorare il testo, cambiandolo e potenziandolo in vari aspetti, verificandone la correttezza nell’uso della lingua, la chiarezza, la coesione, ecc. La revisione può essere effettuata anche da un’altra persona, come per esempio i revisori di bozze. Gli aspetti che caratterizzano il processo di scrittura sono la ricorsività, cioè il fatto che l’autore non percorre le fasi in modo lineare ma passa attraverso uno stesso punto più volte e la simultaneità, nelle fasi di elaborazione dell’output i processi possono procedere parallelamente. Scrittura e parlato La scrittura è sempre stata ciò su cui si è basata la tradizione normativa e prescrittiva dell’insegnamento della lingua. La scrittura è duratura e permanente e questo permette ai testi di essere consultabili; proprio la necessità di tornare sui testi è stata probabilmente la spinta maggiore per l’invenzione della scrittura. Il tempo a disposizione dell’autore gli permette di fare più attenzione a diversi aspetti come la coerenza e l’accuratezza nella formulazione dei periodi. La scrittura deve avere un grado di ridondanza minore rispetto al parlato, che non è sempre lineare. Chi parla aggiunge ridondanza per rendere chiari i collegamenti tra i contenuti, invece nello scritto è il lettore che deve recuperare i collegamenti tra le diversi parti e ciò gli è permesso dalla fissità della scrittura. La scrittura permette di procedere a più riprese, attraverso una prima stesura e successive integrazioni e modifiche. Questi processi sono invisibili una volta giunti alla versione finale del testo, mentre nel caso del testo orale tutto ciò avviene in diretta. La scrittura ha dotato alla lingua la visibilità e la permanenza, trasferendo sulla pagina il fluire della produzione linguistica. prima di scrivere qualcosa lo scrivente deve identificare lo scopo e il destinatario. Più sono chiari lo scopo della scrittura e le caratteristiche del destinatario, più efficace sarà il testo prodotto. Stabilito il tipo di testo e l’obiettivo, lo scrivente deve definire il contenuto. Spesso nella fase di pianificazione lo scrivente crea un tipo di testo che contiene i punti salienti di ciò che dovrà scrivere, cioè fa una scaletta. Chi scrive deve essere a conoscenza delle norme linguistiche (convenzioni ortografiche e di scrittura, registro linguistico adeguato) in uso nella comunità in cui agisce. Quando si scrive a mano bisogna anche stare attenti della leggibilità della propria grafia. Scrittura e ascolto Il modo in cui queste abilità si condizionino a vicenda ancora non è molto chiaro. è stato notato nei bambini che apprendono la loro L1, che la capacità di abbinamento fonema- grafema potrebbe essere un predittore del successo nella scrittura. Il rapporto tra scrittura e ascolto è dimostrato anche dall’importanza che viene attribuita alla lettura ad alta voce dei propri testi. Clark (1981) sostiene che questo esercizio permette di effettuare un miglioramento nella qualità del testo. Si distingue tra i testi orientati allo scrittore (una versione non rivista dei pensieri dell’autore, caratterizzata da un’assenza di rapporti casuali e in cui l’autore inesperto non esplicita molte delle informazioni necessarie per la comprensione) e i testi orientati al lettore (mostrano un chiaro tentativo di comunicare con il lettore, ricreando il contesto necessario ed esplicitando le informazioni che potrebbero non essere conosciute). Secondo Clark rileggendo i propri testo, l’autore riesce a notare problemi di formulazione, di punteggiatura, di scelte lessicali e di esplicitazione di contenuti. Scrittura in L1 Anche in L1 la scrittura è un’attività complessa. Uno dei primi elementi di difficoltà è l’apprendimento dell’alfabeto. Per gli apprendenti di alcune lingue ciò è particolarmente difficile a causa del grado di trasparenza fonologica. La trasparenza fonologica è il rapporto tra fonema e grafema. In italiano per esempio il sistema di scrittura ha un alto grado di trasparenza fonologica, poiché in generale, eccetto alcune eccezioni, si può ricostruire la grafia di una specifica parola a partire dalla conoscenza delle norme di scrittura, anche se non è mai stata incontrata prima quella parola. L’inglese invece è una lingua con una scrittura con un basso grado di trasparenza fonologica; questo perché in questa lingua uno stesso grafema corrisponde spesso a fonemi diversi in parole diverse. Il compito dell’apprendente in una lingua con un basso grado di trasparenza fonologica è notevolmente complicato e gli errori di tipo ortografico tendono a persistere anche in età adulta. I sistemi di scrittura non alfabetici richiedono forme di consapevolezza metalinguistica ancora diverse: per esempio gli apprendenti cinesi devono essere consapevoli dei morfemi piuttosto che delle unità fonologiche. Nel cinese la stessa sillaba corrisponde a molti grafemi con significati diversi. Scrittura in L2 Per l’acquisizione linguistica non bastano gli input, ma sono fondamentali anche gli output; è necessario produrre per poter mettere alla prova le ipotesi sulle forme linguistiche e automatizzarle. Le occasioni per produrre output scritto però non sono uguali per tutti i soggetti e per questo anche in L2 lo sviluppo dell’abilità della scrittura dipende dai contesti di uso spontaneo e dai percorsi di apprendimento formale. DIFFICOLTÀ DELLA SCRITTURA IN L2 - Conoscenza delle norme linguistiche → lessicali, morfosintattiche, pragmatiche e sociolinguistiche - Padronanza del sistema di scrittura → le diverse comunità linguistiche hanno adottato o sviluppato sistemi di scrittura molto diversi tra loro; un apprendente avrà maggiore o minore difficoltà in base alla distanza del sistema di scrittura della L1 dell’apprendente rispetto alla LT. Un apprendente di L2 può dover apprendere un nuovo sistema di scrittura con unità linguistiche diverse da quelle rappresentate dalla scrittura della propria L1; un nuovo alfabeto per lo stesso sistema di scrittura (es. russo e italiano), un nuovo livello di trasparenza fonologica per la stessa scrittura (es. inglese e italiano) - I contenuti (qualità delle idee da trattare e delle incoscienze extralinguistiche) → si fa riferimento all’enciclopedista dell’apprendente e al suo background culturale. La didattica della scrittura in L2 La ricerca sulla scrittura in L2 parte dal principio di trasferibilità delle competenze dalla L1 alla L2; un individuo competente nella scrittura in L1 che scrive nelle due mostrerà competenze simili ai nativi competenti di questa L1 in termini di organizzazione del testo, qualità delle idee e adeguatezza del testo. Studi sulla scrittura come processo → si occupano dell’analisi delle strategie di composizione, dello sviluppo del processo di scrittura nel tempo e delle differenze individuali.gli studi orientati al processo vedono l’apprendimento delle scritture nelle due come l’acquisizione di strategie di scrittura efficaci: si possono acquisire macro strategie (relative alle tre fasi: pianificazione, stesura e revisione) i micro strategie (risoluzione di problemi nel testo, come consultazione di fonti, dubbi lessicali o morfosintattici, monitoraggio costante del contenuto e della forma…). L’apprendente deve acquisire diversi comportamenti strategici, quali: capacità di gestire rappresentazioni mentali complesse, costituire un piano retorico e un filo argomentativo da Atene idealmente durante tutta la composizione, l’uso di procedure di problem solving, distinguere tra revisione e stesura, l’uso dei dispositivi retorici. Studi sulla scrittura come prodotto → sono orientati dall’analisi degli errori e del testo.essere in grado di scriverli nelle due in modo efficace implica imparare l’ortografia, la morfologia, il lessico, la sintassi, le convenzioni retoriche della L2. Gli apprendenti devono sviluppare la capacità di produrre dei testi che abbiano caratteristiche testuali appropriate, un ampio lessico, strutture sintattiche sofisticate. Il feedback correttivo Nella produzione di un testo scritto l’apprendente riceve dal lettore un’informazione sulla sua esecuzione. In assenza di segnalazione si da per scontato che sia avvenuto un feedback positivo, cioè che non ci sono state violazioni di regole e convenzioni linguistiche. Quando invece l’apprendente commette un errore, il lettore può dare un feedback correttivo, in modo diretto (se fornisce la versione corretta all’apprendente) o indiretto (l’errore viene indicato ma non corretto). Il feedback correttivo può essere fornito tra pari (quando tra compagni si esamina il lavoro reciprocamente e si da un feedback / da parlanti nativi della LT, ma non docenti) oppure dall’insegnante (alla classe o ai singoli studenti). Il FC nello sviluppo dell’interlingua e della scrittura in L2 è molto utile: essere in grado di notare il divario tra le proprie produzioni scritte e le forme accettabili nella LT ha un ruolo facilitante nell’apprendimento. Le ricerche sul FC hanno dimostrato che non sempre i risultati sono uguali, questo perché varia in base alla complessità del FC, al contest