Trascrizione Slide Esame Glottodidattica PDF
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Prof. P.E. Balboni
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Le slide trattano di glottodidattica, definendola come la scienza che studia l'educazione linguistica. Vengono presentati diversi approcci e metodi per l'insegnamento delle lingue, partendo dalla tradizione classica fino ai metodi naturali. Si menziona la distinzione tra apprendimento e acquisizione, nonché l'importanza del filtro affettivo nel processo di apprendimento.
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Trascrizione slide esame Lezione 1 Terminologia di riferimento Uso del termine “glottodidattica” La scienza che studia l’educazione linguistica, chiamata fino agli anni Settanta del secolo scorso «pedagogia delle lingue» o «linguistica applicata», ha in Italia varie denominazioni, frutto di un corpo...
Trascrizione slide esame Lezione 1 Terminologia di riferimento Uso del termine “glottodidattica” La scienza che studia l’educazione linguistica, chiamata fino agli anni Settanta del secolo scorso «pedagogia delle lingue» o «linguistica applicata», ha in Italia varie denominazioni, frutto di un corposo dibattito all’interno della comunità scientifica. Tali denominazioni fanno riferimento a universi epistemologici diversi: Didattica delle lingue moderne; Didattica delle lingue straniere; Glottodidattica; Linguistica educativa. Secondo la terminologia adoperata da Paolo Balboni, appartenente alla scuola veneziana, “glottodidattica” è il termine più adeguato a designare la disciplina che si occupa di insegnamento/apprendimento linguistico. La natura di questa scienza è di carattere interdisciplinare, in quanto essa si nutre degli apporti di altre discipline o meglio ancora sarebbe dire transdisciplinare, ovvero trasversale. La costellazione disciplinare della glottodidattica è costituita infatti dalle scienze del linguaggio, dell’educazione, della pedagogia, dalle scienze psicologiche, della comunicazione, della neurolinguistica. Sebbene il termine glottodidattica faccia riferimento alla didattica dell’intero spettro delle lingue (materne, seconde, straniere, etniche, classiche), per comodità Balboni nel suo manuale “Le sfide di Babele” lo utilizza, a suo dire, con una licenza (box 1, pag.10), ovvero al posto di didattica delle lingue straniere, visto che queste sono l’oggetto principale del suo volume. Glottodidattica – Origine Nonostante la conoscenza delle lingue straniere sia stata un’esigenza sentita in ogni epoca, solo di recente la glottodidattica si è imposta come disciplina indipendente all’interno del panorama scientifico. La glottodidattica si pone oggi come una disciplina di studio indispensabile per chiunque voglia insegnare una lingua, sia essa una LS o L2. Accanto alla pratica didattica messa in atto in classe è infatti necessario che l’insegnante conosca i principali presupposti teorici alla base dei più importanti metodi glottodidattici che si sono susseguiti nel corso degli anni, in modo che i materiali didattici e le metodologie di insegnamento proposte siano scelti da parte del docente con consapevolezza, in base a criteri fondati. Glottodidattica – Origine e definizione Il termine glottodidattica, di derivazione greca, è stato usato in Italia a partire dal 1961 dallo psicologo e pedagogista Renzo Titone, per indicare la didattica della lingua in generale, comprendendo sia il campo della lingua prima (nativa e ufficiale) sia il campo delle lingue seconde (nazionali e/o straniere). La glottodidattica tratta in generale dello sviluppo delle abilità linguistiche fondamentali (capire, parlare, leggere, scrivere) e dell'apprendimento dei mezzi di espressione e comunicazione verbale a livello fonetico-fonologico, morfosintattico, semantico-lessicale e stilistico. In numerose nazioni, la glottodidattica è disciplina universitaria e materia di specializzazione in vista della professione docente; frequentemente essa fa parte dei programmi speciali di linguistica applicata (Treccani.it). Glottodidattica – Definizioni Paolo E. Balboni insieme a Fabio Caon (2005) amplia ulteriormente il concetto di glottodidattica, definendola come "la disciplina che studia i processi di insegnamento/apprendimento delle lingue in contesti istituzionali, con l'obiettivo di migliorare l'efficacia e l'efficienza di tali processi". Massimo Vedovelli (2010) offre una definizione che si concentra sull'integrazione della glottodidattica con le tecnologie digitali e i nuovi media. Vedovelli descrive la glottodidattica come "la disciplina che si occupa dell'insegnamento delle lingue tenendo conto delle nuove tecnologie e dei media digitali, analizzando come questi strumenti possano essere utilizzati per facilitare e migliorare l'apprendimento linguistico". Questa definizione riflette l'evoluzione della glottodidattica in risposta ai cambiamenti tecnologici e alle nuove esigenze degli apprendenti. L2 o LS? Un’altra distinzione importante è quella tra lingua straniera (LS) e lingua seconda (L2). La LS non è presente nell’ambiente in cui viene studiata: ad esempio, l’inglese studiato a scuola in Italia. In questo caso è l’insegnante a cui è affidato il processo di apprendimento e rappresenta per il discente la figura modello di parlante della LS. E’ l’insegnante che sceglie i materiali, fissa gli obiettivi da raggiungere, le metodologie didattiche, le strategie, gli strumenti, ecc. La L2 è invece presente nell’ambiente di apprendimento: ad esempio l’inglese studiato da una persona italiana in Inghilterra o ad esempio la lingua di accoglienza per gli immigrati. In questo caso il discente vive immerso nella L2 stessa e la apprende spontaneamente nella vita quotidiana, eventualmente con l’ausilio di appositi corsi di lingua L2 per facilitare il processo di acquisizione (come avviene in Italia in determinati contesti con i Laboratori di Italiano L2 per stranieri). Lo strumento concettuale di fondo: approccio, metodo, metodologia L’obiettivo della glottodidattica non è solo esaminare, proporre, valutare modelli appropriati per l’insegnamento linguistico, ma anche interpretare e adattare tali modelli alle esigenze particolari dei propri studenti. Possiamo quindi definire l’insegnamento come un costante processo decisionale in una situazione articolata, costituita da molte variabili più o meno prevedibili, spesso difficilmente interpretabili e controllabili. La scelta dei metodi e materiali da usare dipende direttamente dal contesto di apprendimento. Ogni metodo implica un insieme di assunzioni implicite o esplicite che ne fanno una sorta di riferimento per l’insegnante fino a toccare i problemi della scelta, articolazione e progressione dei materiali didattici da utilizzare. Terminologia In glottodidattica, l’approccio è la filosofia di fondo: l’idea che si ha di lingua, di cultura, di comunicazione, di studente, di insegnante, di insegnamento. Il metodo invece è la traduzione dell’approccio in procedure operative, per mezzo delle quali organizzare e realizzare le indicazioni dell’approccio stesso. Per trasformare il metodo in azione, gli insegnanti selezioneranno delle tecniche didattiche adeguate al metodo e coerenti con l’approccio, all’interno di una vasta gamma di tecniche. Queste fanno parte del grande patrimonio di attività proposte dalla metodologia didattica, che comprende l’insieme di strategie volte a favorire l’apprendimento. Come vedremo, le metodologie didattiche più efficaci sono quelle che mettono l’alunno al centro del processo di apprendimento/ acquisizione. Differenza tra apprendimento e acquisizione (Teoria di S.Krashen 1981, S.L.A.T. = Second Language Acquisition Theory) MLT = memoria lungo termine L'obiettivo dell'insegnamento linguistico è quindi l'acquisizione. L'acquisizione linguistica è un processo inconscio complesso, su cui sono state elaborate numerose teorie, a partire da come effettivamente acquisiamo una prima lingua (Chomsky, Piaget, Skinner). Da bambini ascoltiamo dei suoni, produciamo prima parole singole, poi parole combinate, e piano piano iniziamo ad utilizzare morfemi, a imparare la sintassi, ad ampliare e raffinare il vocabolario e la grammatica, ecc. Secondo Krashen l'acquisizione della L2 progredisce automaticamente nello stesso modo e nello stesso ordine dell'acquisizione della L1, ma questa si produce soltanto se vengono rispettati i seguenti tre principi (La teoria di Krashen): 1)L’input deve essere comprensibile, deve cioè avere una difficoltà poco superiore al grado di competenza linguistica posseduto. L’acquisizione avviene quando l’allievo focalizza la sua attenzione sul significato dell’input e non sulla sua forma; se l’input è troppo difficile, ovvero non è comprensibile, l’input non sarà assimilato e genererà frustrazione. 2) L’input deve seguire un ordine naturale, deve cioè essere situato al gradino immediatamente successivo all’input acquisito fino a quel momento (principio identificato dalla formula krasheniana i+1, dove i sta per intaken, ovvero acquisito); se si insegna la nozione “i + 3”, che nell’ordine naturale si colloca 3 passi avanti rispetto ad “i”, essa non sarà acquisita stabilmente, ma sarà soltanto appresa e collocata nella memoria a breve-medio termine (ad. Es. si inizia dal presente, non dal passato). 3) Non basta che venga offerto un input comprensibile al livello giusto nell’ordine naturale perché si abbia acquisizione, serve una terza condizione. Perché l’acquisizione avvenga, deve essere disattivato il filtro affettivo, ovvero l’insieme delle barriere psicologiche che impediscono l’acquisizione. Il filtro viene attivato da situazioni di ansia, stress, vergogna ed altre emozioni negative che generano la produzione di neurotrasmettitori che ostacolano la memorizzazione a lungo termine. Esempio: eccesso di ormone Cortisolo Attenzione: il filtro affettivo non va infranto o forzato, ma gradualmente (e dolcemente) affievolito! Video riepilogativo: https://www.youtube.com/watch?v=6AA1t0YObVI Prof. P.E. BALBONI, Coordinate epistemologiche della linguistica educativa Lezione 2 Come nasce la glottodidattica Approcci e metodi della tradizione Nel mondo classico, nel Medioevo e nel primo Rinascimento, l'insegnamento linguistico era essenzialmente "comunicativo", basato sull'uso, più che sulla forma. Esso era affidato all'interazione con un madrelingua (solitamente uno schiavo o una schiava) e come modelli non c'erano grammatiche, ma i testi classici. Nel secondo Rinascimento e nel Seicento nascono le prime accademie che studiano la lingua come oggetto e vengono creati i primi dizionari e le prime grammatiche (Scuola di Port Royal 1636; Royal Society 1660). L'italiano e il francese si affiancano al latino come strumenti di comunicazione internazionale nelle corti e nei quartieri commerciali. Il latino diventa lingua veicolare prettamente del mondo ecclesiastico e fulcro dell'educazione linguistica delle scuole gestite dagli ordini religiosi (gesuiti, barnabiti ecc.). La tradizione formalistica e il metodo grammatico-traduttivo Dal Seicento in poi è l'approccio formalistico che domina in Italia. Tale approccio focalizza l'attenzione sulla grammatica (intesa come morfologia e sintassi), con la fonologia intesa come "regole di pronuncia" e il lessico appreso con liste di parole (l'influenza di questo approccio è ancora presente nella prassi didattica). Le regole sono considerate stabili, immutabili. L'unica varietà di registro è quella formale; i testi classici fungono da modello (per l'italiano LS: Dante, Petrarca, Boccaccio). Contemporaneamente si delinea un concetto di traduzione coma abilità che deve rendere il più fedelmente possibile il testo originario, rispettando prima di tutto le regole grammaticali, morfosintattiche. Lo studente è una tabula rasa su cui incidere paradigmi, regole ed eccezioni, lo studio è un dovere, il docente è un sacerdote incontestabile o un pedagogo che possiede la verità. Gli studenti imparano a tradurre testi scritti da e verso la lingua di destinazione, concentrandosi sulla sintassi e sul vocabolario piuttosto che sulla comunicazione orale. Gli studenti spesso acquisivano una conoscenza passiva della lingua, senza essere in grado di usarla attivamente. Gli approcci “naturali” L'approccio formalistico viene messo in discussione nell'Ottocento negli Stati Uniti, dove le lingue non vengono studiate solo dalle ragazze di buona famiglia, ma nasce la necessità di apprenderle per rispondere a reali esigenze comunicative di una società sempre più multiculturale. Nel 1872 il tedesco Maximillian Berlitz fonda nel Rhode Island la prima scuola di tedesco (brevettata poi dall'omonimo nipote) basata sull'approccio "naturale" o metodo "diretto". Le caratteristiche del metodo sono: insegnante madrelingua approccio basato su ascolto e conversazione comprensione scritta a livello globale, senza tradurre parola per parola uso esclusivo della lingua target senza passare per la L1 grammatica per scoperta (metodo induttivo) autonomia di studio esiste un sillabo, ma le lezioni non si basano sull'uso del manuale, quanto piuttosto sulla lingua "viva", parlata. Nel secondo Novecento viene molto utilizzato nelle scuole di lingua private. Il Reading Method Nella prima metà del Novecento, negli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, i viaggi e il commercio internazionale si riducono drasticamente. Con le politiche isolazionistiche portate avanti dalle grandi dittature, le lingue non servono più a scopi comunicativi. Nasce così il Reading Method, basato principalmente sull'insegnamento della lettura e della comprensione dei testi nella lingua straniera. Questo approccio è stato progettato principalmente per studenti universitari e accademici che necessitavano leggere testi in altre lingue per scopi di ricerca. Caratteristiche: Gli studenti apprendono il vocabolario e le strutture grammaticali attraverso la lettura di testi autentici e letterari, spesso senza un'enfasi sulla pronuncia o sulla conversazione. Questo approccio si focalizza quindi esclusivamente sull'abilità di lettura e comprensione scritta. La glottodidattica scientifica di Robert Lado Negli anni Sessanta del Novecento, Robert Lado, massimo esponente della nuova branca della linguistica detta linguistica "contrastiva", pubblica il testo Language teaching, a Scientific Approach (1964), che fu una vera e propria rivoluzione copernicana in ambito glottodidattico. Uno degli aspetti fondamentali del lavoro di Lado è l'idea che le difficoltà nell'apprendimento di una lingua straniera derivino dalle differenze tra la lingua madre dello studente e la lingua target. Lado sosteneva che analizzando queste differenze, fosse possibile prevedere quali errori gli studenti avrebbero commesso e preparare materiali didattici che potessero affrontare questi problemi in modo efficace. Approccio strutturalista Lado era un sostenitore dell'approccio strutturalista, che vedeva la lingua come un sistema di strutture che devono essere apprese in modo sistematico e ordinato. L'insegnamento della lingua, secondo questo approccio, dovrebbe concentrarsi sull'acquisizione delle strutture grammaticali e fonologiche fondamentali attraverso esercizi di ripetizione e pratica intensiva. L'approccio strutturalistico si sviluppò negli anni '50 e '60, influenzato dalla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure e successivamente dalla linguistica comportamentista di Leonard Bloomfield. Questo approccio si basa quindi sull'idea che la lingua è un sistema di segni che possono essere analizzati in unità discrete (come fonemi, morfemi e sintagmi) e che l'apprendimento linguistico consiste nell'acquisizione di queste unità e delle loro regole di combinazione. L'insegnamento si concentra su pattern ricorrenti e drills, esercizi ripetitivi volti a memorizzare le strutture linguistiche. Gli studenti ripetono frasi e costruiscono frasi nuove utilizzando pattern predefiniti, con poca attenzione alla creatività o all'espressione personale. Metodo Audiolinguale Robert Lado è stato poi sostenitore del metodo audiolinguale, che è emerso negli Stati Uniti negli anni '50. Questo metodo si basava su teorie comportamentiste dell'apprendimento e sottolineava l'importanza della ripetizione, della memorizzazione di frasi modello e della pratica orale intensiva. L'obiettivo era quello di creare abitudini linguistiche attraverso l'esposizione e la pratica continua. Si tratta di esercizi che trovano il loro ambiente naturale d'uso dapprima nei "giradischi" e successivamente nei laboratori linguistici. Anche qui i pattern drill sono costituiti da serie di sequenze stimolo-risposta- conferma, presentate con un ritmo incalzante, al fine di privilegiare non la riflessione consapevole, ma la memorizzazione forzata di sintagmi e paradigmi. A partire dagli anni Settanta questo approccio mnemonico viene abbandonato. Approccio comunicativo L'approccio comunicativo nasce negli anni '70 come reazione ai limiti dei metodi tradizionali e strutturalistici. Influenzato dalle teorie di Dell Hymes e dall'etnografia della comunicazione, questo approccio mette al centro del processo di apprendimento l'uso reale della lingua in contesti comunicativi. L'approccio comunicativo si basa sull'idea che la competenza linguistica non consiste solo nella conoscenza delle regole grammaticali, ma anche nella capacità di usare la lingua per comunicare efficacemente in situazioni reali. La competenza comunicativa comprende inoltre la capacità di usare la lingua in modo appropriato rispetto al contesto sociale e culturale. L'insegnamento è orientato verso attività comunicative autentiche, come simulazioni, giochi di ruolo, discussioni, e risoluzione di problemi. Gli errori sono considerati parte naturale del processo di apprendimento e vengono corretti in modo che non ostacolino la comunicazione. L'input è spesso contestualizzato in situazioni significative e reali. La competenza comunicativa Lo scopo dell’insegnamento di una lingua straniera non è più il raggiungimento da parte dell’alunno della semplice competenza linguistica (che riguarda l’insieme delle regole e delle conoscenze che rendono fattibile il significare, il comunicare e l’esprimersi con un linguaggio verbale), ma il raggiungimento della ben più complessa ed articolata competenza comunicativa, che interessa tutti gli aspetti di una comunicazione in grado di veicolare un significato, e che comprende: 1)la competenza linguistica, che si occupa di tutti gli aspetti strettamente legati alla lingua, al linguaggio verbale, quali: la fonetica, la grafemica, la morfosintassi, il lessico e la testualità; 2)la competenza sociolinguistica, che si occupa delle varietà della lingua: varietà geografica (diatopica), temporale (diacronica); dei registri linguistici (diafasica); degli stili linguistici (diastratica); dei mezzi di comunicazione (diamesica); 3)la competenza paralinguistica, che si occupa degli elementi prosodici non pertinenti al piano strettamente linguistico: velocità di eloquio, tono della voce, uso delle pause → Componenti usate al fine di modificare il significato; 4)la competenza extralinguistica, che si occupa dei significati non veicolati dal linguaggio verbale e comprende le competenze: cinesica; prossemica; sensoriale. La pragmatica è messa sullo stesso piano della correttezza: si mette cioè sullo stesso piano la correttezza formale e la capacità di perseguire scopi e sortire effetti tramite atti linguistici: in quest’ottica, la correttezza formale è funzionale alla pragmatica. Una lingua straniera può essere usata solo se è conosciuta la cultura del paese (o dei paesi) in cui si parla: lingua e cultura sono quindi strettamente correlate. Questo approccio è tuttora uno dei più utilizzati in glottodidattica. Metodo Situazionale a base sociolinguistica Un altro metodo molto utilizzato a partire dagli anni '70 è il Metodo Situazionale: esso reagisce al meccanicismo del metodo audio-orale mettendo in primo piano il concetto di situazione, ripreso dalla sociolingiuistica: la lingua viene presentata non in maniera asettica, non focalizzata solo sui contenuti linguistici da imparare, ma è inserita in una situazione comunicativa: ogni lezione inizia con la presentazione globale di un dialogo contestualizzato, attento alle reali condizioni comunicative all’interno delle quali si svolge. Nei primi metodi situazionali, anche se la situazione è definita da specifiche coordinate spazio-temporali (una mattina al mercato, una sera al bar, ecc.), l’apprendimento della lingua in essa contenuta viene condotto con tecniche tipiche dell’approccio strutturalista, con pattern drills ed esercizi di ripetizione dello stimolo iniziale, tecniche finalizzate ad aiutare l’allievo nel suo processo di formalizzazione grammaticale. Metodo Funzionale a base pragmalinguistica Successivamente i metodi situazionali di seconda generazione estendono il concetto di situazione anche alle esercitazioni e al testing, dando loro un carattere dinamico e vivo, che rendono il metodo tuttora valido e utilizzato. L’impianto dei manuali rimane tuttavia basato sempre sostanzialmente sulla sequenza presentation, practice, production. L'insegnamento avviene attraverso la presentazione di situazioni realistiche, come "in un negozio" o "al ristorante", in cui vengono introdotti nuovi vocaboli e strutture grammaticali. Gli studenti imparano a usare la lingua per raggiungere obiettivi specifici in contesti definiti. Nelle versioni più recenti del metodo, soprattutto quelle con approccio di tipo funzionale, per stimolare la comunicazione si impostano anche attività di problem solving, task based learning, ci si affida anche al peer tutoring, al cooperative learning, ecc. →Scompare la traduzione. Glottodidattica umanistica/affettiva La glottodidattica umanistica si sviluppa negli anni '70 e '80 come una reazione ai metodi più rigidi e meccanici dell'insegnamento linguistico. È influenzata dalle teorie psicologiche umanistiche, in particolare dal lavoro degli psicologi Rogers, Maslow, Gardner e alle teorie pedagogiche costruttiviste di Vygotskji e Bruner. Questo approccio pone l'accento sull'importanza di considerare lo studente come un individuo completo, con bisogni emotivi, motivazioni personali e un potenziale di crescita. L'apprendimento è visto come un processo olistico che coinvolge non solo l'aspetto cognitivo, ma soprattutto quello affettivo. La motivazione, il piacere di apprendere, la riduzione dei fattori stress, il rapporto con l'insegnante e con i compagni, perfino il layout grafico del manuale (come vedremo in seguito), sono fattori essenziali nel processo di acquisizione. Tra i metodi umanistici più efficaci ricordiamo la Suggestopedia, sviluppata inizialmente dal Dott. Georgi Lozanov come metodo «clinico» e portata avanti in Italia dagli anni duemila da Roberta Ferencich. Questo metodo utilizza la musica, l'arte, l'atmosfera rilassata, l'uso della drammatizzazione per creare un ambiente positivo, in grado di favorire l'apprendimento a lungo termine. La dimensione ludica Un'altra tecnica glottodidattica umanistica efficace è la cosiddetta Ludodidattica o Glottodidattica ludica o Edulinguistica ludica (Caon 2004). Questa tecnica non consiste ovviamente nel fare dei giochi in modo autotelico, ma praticare delle attività giocose che possano stimolare l'acquisizione linguistica attraverso la motivazione, la sfida, la cooperazione. Freddi (1990) indica come nel gioco si integrino le componenti: 1)Cognitive (elaborazioni di strategie, comprensione delle regole) 2)Linguistiche (la lettura, la spiegazione delle regole, gli scambi comunicativi necessari al gioco) 3)Sociali (l'interazione con la propria squadra) 4)Motorie e psicomotorie (ad esempio nei giochi di movimento) 5)Emotive (il divertimento, il piacere, il rilassamento). La Ludodidattica è adatta non solo ai bambini, ma può essere utilizzata anche con adolescenti e adulti, utilizzando ovviamente differenti strategie adatte alla tipologia di discenti (cruciverba, gioco dell'oca, memory, ecc). Neurolinguistica, psicolinguistica, psicologia dell'apprendimento Sono le discipline che hanno influenzato maggiormente la nascita e lo sviluppo delle metodologie umanistico/affettive. La Neurolinguistica studia il funzionamento del cervello in ordine al linguaggio. Le sue principali applicazioni riguardano i disturbi del linguaggio, ma in glottodidattica ha avuto un ruolo essenziale nell'indicare la funzione diversa dei due emisferi cerebrali, rilevando che entrambi cooperano alla produzione e alla comprensione linguistica, ma solo in una determinata sequenza/direzione (emisfero destro -> emisfero sinistro), che va assecondata per favorire un apprendimento significativo e duraturo. La Psicolinguitica nasce come psicologia del linguaggio, ma si evolve poi in direzione delle scienze del linguaggio. Gli psicologi e i linguisti che lavorano in questo campo cercano di capire come il cervello elabora il linguaggio, come apprendiamo a parlare e comprendere una lingua, e come queste abilità linguistiche sono collegate a processi cognitivi come la memoria, l'attenzione e il pensiero. Un aspetto particolare riguarda l'ipotesi di una Grammatica Universale come parte del patrimonio genetico dell'homo sapiens (Noam Chomsky). La Psicologia dell'apprendimento e la psicodidattica studiano infine (rispettivamente dal punto di vista dell'allievo e del docente) i meccanismi mentali che presiedono all'acquisizione, linguistica e non. Queste discipline si basano in parte sulle neuroscienze e in parte sulle ricerche sul funzionamento della memoria e studiano in particolare gli stili cognitivi e quelli di apprendimento. Per quanto riguarda la formazione scolastica, si interessano anche del ruolo delle emozioni nell'apprendimento, della motivazione e del rapporto tra docente e studente nel favorire (o ostacolare) il processo di apprendimento/acquisizione. Conclusione La varietà di metodi e approcci nell'insegnamento delle lingue riflette la complessità del processo di apprendimento linguistico e la diversità delle esigenze degli studenti. Nessun singolo metodo può essere considerato il migliore in assoluto, poiché ognuno ha i suoi punti di forza e debolezza e può essere più o meno efficace a seconda del contesto di insegnamento, degli obiettivi di apprendimento e delle caratteristiche degli studenti. Negli ultimi decenni, si è sviluppata una tendenza verso l'integrazione di diverse metodologie (eclettismo), cercando di sfruttare i vantaggi di ciascun approccio per creare un'esperienza di apprendimento più completa e adattabile al contesto. La soluzione migliore sarebbe quindi, secondo Danesi (2001), quella di superare i concetti espressi dai vari approcci e avanzare verso un approccio integrato, in cui utilizzare gli spunti teorici e pratici dei vari metodi, coordinando quindi le loro componenti, favorendo e rispettando i diversi stili di apprendimento degli allievi. L'ottica dell'approccio integrato non è quella di abbandonare le tecniche dei metodi principali, bensì quella di selezionarle e integrarle sincreticamente. La teoria dell’interlingua L'interlingua (oggetto di studio della linguistica acquisizionale) è la lingua usata da una persona che sta apprendendo una lingua e che rappresenta una porzione dell'intero sistema linguistico posseduto da un nativo (Selinker 1992). L'interlingua non è una competenza "sbagliata", quanto piuttosto una competenza parziale, ridotta, ma con una sua struttura e dei suoi meccanismi definiti. Nella cosiddetta piramide acquisizionale non è possibile acquisire una sezione centrale senza aver acquisito le sezioni precedenti, si deve necessariamente partire dal punto 0 costruendo in maniera progressiva la propria competenza. I livelli di competenza linguistica secondo il Consiglio d'Europa I livelli individuati dal Consiglio d'Europa nel European Language Portfolio descrivono la competenza linguistica suddividendola in sei livelli omogenei (CEFR Levels) per tutte le lingue coinvolte, noti come A1 e A2, B1 e B2, C1 e C2. La certificazione di questi livelli non fa riferimento specifico al programma svolto in un determinato contesto d'apprendimento, ma rimanda agli indicatori stabiliti dal Consiglio d'Europa stesso. Riportiamo a seguire la loro enunciazione sintetica: A1 (elementare) - Comprende e usa espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare se stesso/a e gli altri ed è in grado di fare domande personali e rispondere su particolari personali come dove abita, le persone che conosce e le cose che possiede. E’ in grado di interagire in modo semplice purché l’altra persona parli lentamente e chiaramente e sia disposta a collaborare. A2 (pre-intermedio) - Comprende frasi isolate ed espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza (ad es. informazioni personali e familiari di base, fare la spesa, la geografia locale, l’occupazione). Comunica in attività semplici e di routine che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti familiari e abituali. Sa descrivere in termini semplici aspetti del suo vissuto, dell’ambiente circostante, sa esprimere bisogni immediati. B1 (intermedio) - Comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo libero ecc. Sa muoversi con disinvoltura in molte situazioni che possono verificarsi mentre viaggia nel paese in cui si parla la lingua. E’ in grado di produrre un testo semplice relativo ad argomenti che siano familiari o di interesse personale. E’ in grado di descrivere esperienze ed avvenimenti, sogni, speranze e ambizioni e spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei suoi progetti. B2 (intermedio-alto) - Comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che astratti, comprese le discussioni tecniche nel suo campo di specializzazione. E’ in grado di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono possibile un’interazione naturale con i parlanti nativi senza eccessivo sforzo per l’interlocutore. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato su un’ampia gamma di argomenti e spiegare un punto di vista su un argomento fornendo i pro e i contro delle varie opzioni. C1 (avanzato) - Comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi e ne sa riconoscere il significato implicito. Si esprime con scioltezza e naturalezza. Usa la lingua in modo flessibile ed efficace per scopi sociali, professionali e accademici. Riesce a produrre testi chiari, ben costruiti, dettagliati su argomenti complessi, mostrando un sicuro controllo della struttura testuale, dei connettori e degli elementi di coesione. C2 (completa padronanza) - Comprende con facilità praticamente tutto ciò che sente e legge. Sa riassumere informazioni provenienti da diverse fonti sia parlate che scritte, ristrutturando gli argomenti in una presentazione coerente. Sa esprimersi spontaneamente, in modo molto scorrevole e preciso, individuando le più sottili sfumature di significato in situazioni complesse. CEFR = Common European Framework In classe, esercizio con: Esprimere il fatto di avere caldo (A1, A2, B1, B2, C1, C2) Ricerca mia: Il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER) – in inglese Common European Framework of Reference for Languages (CEFR) è un sistema descrittivo impiegato per valutare le abilità conseguite da chi studia una lingua straniera europea, nonché allo scopo di indicare il livello di un insegnamento linguistico negli ambiti più disparati. È stato messo a punto dal Consiglio d'Europa come parte principale del progetto Language Learning for European Citizenship (apprendimento delle lingue per la cittadinanza europea) tra il 1989 e il 1996. Il suo scopo principale è fornire un metodo per accertare e trasmettere le conoscenze che si applichi a tutte le lingue d'Europa. Nel novembre 2001, una risoluzione del Consiglio d'Europa ha raccomandato di utilizzare il QCER per costruire sistemi di validazione dell'abilità linguistica. Lezione 3 L’hardware dell’acquisizione linguistica: il cervello Per capire come migliorare l’apprendimento linguistico, è fondamentale conoscere i meccanismi cerebrali che lo regolano. L’insegnamento deve infatti rispettare i processi neurofunzionali caratterizzanti l’apprendimento → PRINCIPIO DI NEUROFUNZIONALITA’ (Danesi 1986). Il nostro punto di partenza è quindi una discussione generale sulle strutture cerebrali implicate in tale processo: Il segnale linguistico è prodotto e percepito dal sistema nervoso, che al tempo stesso è la sede del pensiero e provvede al controllo delle funzioni corporee, raccogliendo informazioni di senso da tutto l’organismo e trasmettendole mediante vie nervose (sistema nervoso periferico) al midollo spinale e al cervello (sistema nervoso centrale). Sia l’encefalo che il midollo spinale sono costituiti da tessuto nervoso che presenta due tipi fondamentali di cellule: i NEURONI, che conducono i segnali alle varie parti del corpo, e le cellule di sostegno metabolico ai neuroni, dette GLIALI. Anatomia di un neurone La cellula nervosa (neurone) è costituita da un grande corpo cellulare, contenente un nucleo, e da fibre nervose, tra cui un prolungamento allungato detto assone, che serve a inviare gli impulsi, e varie diramazioni dette dendriti, che hanno invece la funzione di riceverli. Gli impulsi provenienti dall’assone attraversano una sinapsi (la giunzione tra due cellule nervose) e giungono al dendrite di un’altra cellula. Neuroplasticità Durante l’acquisizione di una LS/L2 avviene una riorganizzazione della struttura neuronale del cervello. La capacità delle cellule nervose di rimodellarsi, adattando la propria funzione agli stimoli ambientali, viene detta neuroplasticità o plasticità neuronale. Questa è particolarmente attiva nell’infanzia (fino ai 6 anni il periodo di massima plasticità) e ancora abbastanza attiva nell’adolescenza (età dello sviluppo), ma è dimostrato che una certa plasticità è presente anche in età adulta. Struttura del cervello Il cervello è un organo diviso in due emisferi uniti dal corpo calloso, che comunica con il midollo spinale attraverso il tronco encefalico. Il suo strato più esterno è la corteccia, mentre al suo centro si trovano i gangli basali e alla sua base, in posizione posteriore, il cervelletto. Nel cervello si trova anche l’ipotalamo, struttura che riceve e gestisce le informazioni che giungono dal sistema nervoso autonomo e che regola funzioni come il movimento, l’alimentazione, il comportamento sessuale, il controllo della temperatura corporea, il riposo e la produzione di ormoni. L’ipotalamo, insieme all’ippocampo – attraverso cui il cervello riceve nuove informazioni – e all’amigdala – che regola i ricordi associati a eventi emotivi – fa parte del sistema limbico, quello che ha la funzione di regolare le emozioni. LEFT-MODE: le modalità di pensiero associate all’emisfero Sx RIGHT-MODE: le modalità di pensiero associate all’emisfero Dx Principio di complementarità emisferica e implicazioni glottodidattiche Le ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che, sebbene i due emisferi svolgano ruoli di processamento diversi, essi siano componenti complementari della cognizione, intesa in senso globale. Questo vuol dire che i due emisferi funzionano INSIEME (e non separatamente). I primi neuroscienziati erano invece convinti che il linguaggio fosse localizzato in gran parte nell’emisfero sinistro, considerato emisfero «dominante». Il principio di complementarità emisferica vale indistintamente per ogni persona, sia per le persone con uno stile cognitivo che propende più per il Left-Mode (più analitico, razionale), sia per quelle che propendono invece per il Right-Mode (sintetico, intuitivo). In glottodidattica il principio di complementarità ha delle implicazioni notevoli. Questo implica infatti che le lezioni e i materiali didattici devono essere strutturati in modo complementare. Modello bimodale (o interemisferico) Marcel Danesi (1998) ha studiato empiricamente questi fenomeni, traendone delle implicazioni glottodidattiche che sono contenute in due concetti fondamentali: BIMODALITA’ e DIREZIONALITA’. Secondo il modello bimodale di Danesi (attualmente dominante in glottodidattica), entrambe le modalità del cervello, ovvero quella analitica dell’emisfero sinistro e quella globale dell’emisfero destro, sono coinvolte nella comunicazione linguistica e di conseguenza devono essere integrate affinché l’intera mente dell’allievo venga coinvolta nel processo di acquisizione linguistica. Il principio di direzionalità stabilisce poi che l’uso bimodale del cervello avviene secondo una direzione ben precisa: dall’emisfero destro a quello sinistro, quindi dall’input sensoriale, alla rielaborazione formale. Durante l’acquisizione di una seconda lingua bisogna rispettare questi processi neurofunzionali attivando prima l’emisfero destro, attraverso le emozioni positive, la motivazione, la curiosità, la creatività (input multisensoriale) per poi passare all’emisfero sinistro, ovvero alla parte logica, alla rielaborazione formale, in modo da favorire la memorizzazione a lungo termine (MLT) dei nuovi input linguistici. Come vedremo dettagliatamente nel corso, all’interno del contesto di apprendimento è fondamentale quindi la componente emotiva, affettiva, che al contrario viene a mancare in situazioni di ansia e di stress in cui l’organismo produce cortisolo e altri neurotrasmettitori nocivi che ostacolano il processo di acquisizione. La memoria È la capacità del soggetto di conservare nel tempo le informazioni apprese, di recuperarle quando servono in modo pertinente e di apprendere nuove informazioni integrandole con quelle già acquisite. È un sistema dinamico in continuo divenire: Non è la fotografia del passato Prevede anche elaborazione e ricostruzione Può avere un certo grado di distorsione La struttura di base del sistema di memoria è formata da 3 tipi di memoria: 1) MEMORIA SENSORIALE o MEMORIA DI LAVORO: trattiene l’informazione per massimo 2 secondi. Quanto elaborato qui viene collocato poi nella MBT. 2) MEMORIA A BREVE TERMINE (MBT): trattiene l’informazione per 15- 20 secondi (massimo 30). 3) MEMORIA A LUNGO TERMINE (MLT): trattiene l’informazione in modo relativamente permanente. LA MEMORIA A LUNGO TERMINE (MLT) si suddivide in: memoria esplicita, o dichiarativa: comprende tutto ciò che può essere descritto consapevolmente dal soggetto ed è a sua volta suddivisa in memoria episodica, semantica e autobiografica memoria implicita, o procedurale: al contrario, contiene abilità motorie, percettive e cognitive. Conoscenza legata al saper fare. Il software dell’acquisizione linguistica: il LAD (Language Acquisition Device) Se il cervello è considerato l’hardware dell’acquisizione linguistica, vediamo ora qual è il software che utilizzano gli esseri umani per imparare una L1 o L2. La prima teoria è quella del LAD, o Language Acquisition Device, un ipotetico dispositivo di acquisizione della lingua, un meccanismo del cervello che N. Chomsky postula per spiegare l'innata capacità umana di apprendere le strutture sintattiche del linguaggio. Questa è una componente della teoria generativista della linguistica, che sostiene che gli esseri umani siano nati con l'istinto, o la "capacità innata", di acquisire la lingua. Questo riflette il presupposto di fondo di Chosmky secondo cui molti aspetti del linguaggio siano universali, comuni cioè a tutte le lingue (Grammatica Universale). Il LAD Esempio: intorno ai 36 mesi i bambini italiani, sulla base dell’osservazione delle desinenze verbali di prima persona singolare in –o, come «parlo, mangio, canto, salto», cominciano a formulare verbi come io «ando» (invece che io «vado»), oppure participi passati come io ho «aprito», così come i bambini inglese iniziano a generare il «goed» invece di «went», e così via. Il LAD è quindi un meccanismo generatore di ipotesi sulla base dell’input osservato. N.B. Negli ultimi cinquanta anni, la ricerca nell'ambito delle neuroscienze e dell'acquisizione del linguaggio non è riuscita a fornire evidenze scientifiche a supporto dell'esistenza di un dispositivo di acquisizione delle lingue come descritto da Chomsky. Il software dell’acquisizione linguistica: il LASS (Language Acquisition Support System) Altra teoria è quella del LASS acronimo di "Language Acquisition Support System". Il LASS si riferisce all'insieme di fattori ambientali, sociali e culturali che supportano e facilitano l'acquisizione di una lingua, in particolare per i bambini. È un concetto sviluppato da Bruner, come complemento al concetto di LAD (Language Acquisition Device) di Chomsky. Mentre il LAD si riferisce alle capacità cognitive innate che permettono di acquisire una lingua, il LASS si concentra sugli aspetti esterni che supportano questo processo, come: Interazione sociale: Comunicazione e interazione con adulti e coetanei. Strumenti culturali: Libri, giochi, canzoni, e altri materiali educativi che facilitano l'apprendimento della lingua. Routine e contesti familiari: Attività quotidiane che offrono opportunità per praticare e imparare la lingua. In breve, il LASS è l'ambiente di apprendimento linguistico che aiuta i bambini (e gli studenti in generale) a sviluppare competenze linguistiche attraverso l'interazione sociale e culturale. La teoria delle intelligenze multiple L’attitudine alla lingua è un tema molto dibattuto e non tutti gli studiosi sono d’accordo sul fatto che esista una vera e propria attitudine. Sicuramente esistono degli stili cognitivi d’apprendimento che possono essere più o meno dominanti, ma tutte le nostre le intelligenze sono migliorabili e perfezionabili. Secondo Gardner, psicologo di Harvard, ogni individuo possiede molteplici forme di intelligenza, localizzate in parti specifiche del cervello. Queste intelligenze sono parzialmente innate, ma non sono statiche, possono essere quindi sollecitate e migliorate attraverso attività mirate. Si potrebbe quindi potenzialmente raggiungere dei buoni livelli in tutte le intelligenze. Gardner (1983) nella sua MIT (Multiple Intelligences Theory) individua almeno sette macro-gruppi, successivamente ampliati a nove: 1) Intelligenza linguistica: è la capacità di usare le parole, di saper trasmettere informazioni, stimolare, convincere in maniera chiara ed efficace. Gli individui dotati di tale intelligenza possiedono una notevole capacità di ragionamento astratto e di produzione linguistica, inclusa la capacità di variare registro in base ai contesti e alle necessità; 2) Intelligenza logico-matematica: è la capacità di saper risolvere problemi di logica e di matematica, conducendo ragionamenti molto lunghi e riuscendo a ricordare e coordinare i diversi passaggi di cui si compongono. Le persone dotate di tale intelligenza prediligono il ragionamento deduttivo e la schematizzazione; 3) Intelligenza musicale: è la capacità di riconoscere i suoni e di articolarli tra loro in un linguaggio armonico. Chi è dotato di un’intelligenza di questo tipo è abituato ad apprendere attraverso il canto e la musica e a trasformare il tutto in schemi frazionati; 4) Intelligenza visivo-spaziale: è la capacità di percepire le forme e i colori, lo spazio, il senso visivo ed estetico. È l’abilità di chi predilige le arti visive, di chi ha un buon senso dell’orientamento, di chi non ha difficoltà nella realizzazione di mappe, diagrammi, disegni, carte geografiche; 5) Intelligenza cinestetica: è la capacità manuale e fisica, si manifesta attraverso esperienze concrete che interessano tutto il corpo. Chi privilegia tale intelligenza ama fare sport, agire, muoversi, toccare ed è dotato di grande abilità di equilibrio e controllo posturale; 6) Intelligenza interpersonale: è la capacità di saper costruire relazioni, comprendere gli altri, fare da mediatore in dispute. In questi individui prevale il desiderio di socializzazione, di stringere legami manifestando empatia e ascolto; 7) Intelligenza Intrapersonale: è la capacità di comprendere la propria individualità, di riflettere con relativa facilità sui propri sentimenti, umori e stati mentali. Chi possiede una sviluppata intelligenza intrapersonale ha una forte personalità e conosce bene se stesso, i propri bisogni e i propri limiti; Nel corso dei suoi studi Gardner riconoscerà e aggiungerà altre due tipologie di intelligenze: 8) Intelligenza naturalistica: che riguarda la sensibilità al mondo della natura; 9) Intelligenza esistenziale: che è invece la capacità di riflettere su questioni esistenziali ed etiche. In conclusione, l’insegnante deve cercare di provvedere a offrire attività adeguate ad ogni tipo di intelligenza, stimolando ognuna di esse il più possibile! (Solitamente a scuola si lavora molto su quella linguistica e logico-matematica, trascurando spesso le altre). Implicazioni educative Intelligenza linguistica: gli studenti in cui predomina questa intelligenza apprendono meglio ascoltando presentazioni verbali, leggendo, scrivendo e discutendo. Hanno un buon vocabolario, comunicano efficacemente, parlano speditamente, scrivono in modo chiaro e pensano con le parole. Gli insegnanti possono rafforzare l’intelligenza linguistico-verbale negli studenti chiedendo loro di: creare presentazioni orali, saggi scritti e poesie, dibattiti e dialoghi su temi giornalistici, riassunti di letture. Inoltre, gli studenti possono essere stimolati attraverso l’apprendimento di lingue straniere e l’affinamento della propria lingua migliorando la sintassi, il vocabolario, la grammatica e i vari generi di scrittura. Intelligenza logico-matematica: gli studenti che prediligono l’uso di questa intelligenza apprendono più facilmente utilizzando la logica, risolvendo problemi e analizzando opportunità. Essi trovano vantaggioso fare domande, fare esperimenti e analizzare i risultati nel tentativo di risolvere i problemi e comprendere la realtà. Gli insegnanti possono rafforzare l’intelligenza logico-matematica negli studenti proponendo loro indovinelli, problemi da risolvere, quiz, giochi didattici. Intelligenza musicale: gli studenti che prediligono questa intelligenza apprendono e ricordano con più facilità attraverso stimoli quali: canzoni, rap, musica di sottofondo. Le loro capacità di apprendimento sono valorizzate quando hanno la possibilità di esprimersi musicalmente attraverso prodotti ritmici e musicali. Gli insegnanti possono rafforzare l’intelligenza musicale negli studenti mettendo musica di sottofondo (a un volume consono) durante alcune fasi della lezione, proponendo canzoni da analizzare, analizzando le rime nelle poesie. Intelligenza visivo-spaziale: gli studenti che prediligono l’uso di questa intelligenza apprendono più facilmente attraverso stimoli quali: grafici, disegni, fotografie, animazioni al computer, film e video. La loro capacità di apprendere è valorizzata dall’opportunità di svolgere compiti attraverso forme visive e di rappresentare i contenuti attraverso la creazione di figure. Gli insegnanti possono rafforzare l’intelligenza visivo-spaziale negli studenti abbinando testo e immagine, proponendo mappe colorate da completare, analizzando immagini di riviste, pubblicità, video. Intelligenza interpersonale: gli studenti in cui predomina questa intelligenza apprendono meglio attraverso l’interazione con gli altri sui contenuti. L’apprendimento è facilitato quando trovano l’opportunità di interagire con punti di vista diversi dai propri. Gli insegnanti possono rafforzare l’intelligenza interpersonale negli studenti proponendo lavori di coppia, di gruppo, il cooperative learning. Intelligenza intrapersonale: gli studenti in cui predomina questa intelligenza apprendono meglio attraverso l’introspezione, la riflessione e un tempo di pensiero individuale. Hanno bisogno di tempo per elaborare le informazioni, hanno convinzioni e opinioni radicate, pensano con la propria testa. Questa intelligenza aiuta l'alunno a stabilire un rapporto affettivo con ciò che studia a scuola. Gli insegnanti possono rafforzare l’intelligenza intrapersonale negli studenti abituandoli all’ascolto, al confronto, al ragionamento, al dibattito costruttivo. Intelligenza naturalistica: gli studenti in cui predomina questa intelligenza apprendono meglio attraverso: presentazioni che coinvolgono fenomeni naturali, la riproduzione di fenomeni naturali nella classe, l’interazione con la natura in ambienti naturali. Hanno buone capacità di osservazione, sono abili nel discriminare, elencare e classificare, comprendono fenomeni naturali. L'intelligenza naturalistica può essere stimolata in classe con attività inerenti l’ambiente, la biologia, la natura, la flora, la fauna, mentre fuori dall’aula si possono organizzare giornate ecologiche, gite, escursioni nella natura. Intelligenza esistenziale: gli studenti in cui predomina questa intelligenza sono solitamente persone sensibili e profonde, si domandano spesso il senso delle cose e della vita. Gli insegnanti possono rafforzare questo tipo di intelligenza abituandoli all’ascolto, al ragionamento, trattando temi filosofici, etici, morali, aiutandoli e guidandoli nell’ osservare i fenomeni da diversi punti di vista. Da un sito dei test dati dalla professoressa per scoprire a quale intelligenza siamo portati: “Tutti gli esseri umani hanno un profilo di intelligenze diverso, in quanto non tutti hanno le stesse esperienze di vita” L’intelligenza può essere definita come la capacità di comprendere il mondo in cui viviamo e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali che ci sono posti in ogni momento della nostra esistenza. Video: GARDNER HOWARD Intelligenze Multiple https://www.youtube.com/watch?v=1Wnqhtgekps Lezione 4 Nella lezione precedente abbiamo visto come funziona il cervello durante l’acquisizione linguistica. Il cervello è (metaforicamente) il nostro hardware biologico, costituito da un’enorme e fitta rete neurale (e relativi processi), mentre il LAD (Language Acquisition Device) o il LASS (Language Acquisition System Support) è il software che ci permette di codificare e decodificare tali impulsi e tali processi linguistici. L’energia che mette in moto hardware e software: la motivazione Acquisire richiede uno sforzo: la mente deve accomodare le nuove informazioni integrarle nella nuova architettura neurale trasferirle nella memoria a breve o lungo termine Ciò comporta un ridisegno delle sinapsi, cioè dei collegamenti chimico-elettrici tra i neuroni del cervello. L’energia che mette in moto questo processo è principalmente la MOTIVAZIONE. La motivazione: definizione Definendo in maniera generale la motivazione, possiamo affermare che essa è «una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo» (De Beni, Moè, 2000). Studiando i diversi contributi sul tema, il dato che colpisce è la complessità di tale concetto che, come afferma Rheinberg (1997) è da considerarsi come una «categoria collettiva, entro la quale sono riassunti molti processi parziali e fenomeni diversi tra loro». Basandoci sulla definizione di De Beni e Moè, possiamo dire che uno studente “motivato” è un soggetto che si attiva per un bisogno, un desiderio, un interesse particolare o una causa esterna e compie un determinato percorso per raggiungere una meta. Tradizionalmente si distinguono diversi tipi di motivazione, spesso presentate come coppie antinomiche: intrinseca/estrinseca, strumentale/integrativa, ecc. La prima grande distinzione krashenina è proprio tra motivazione integrativa, mossa dal desiderio di integrarsi in una comunità linguistica diversa dalla propria e motivazione strumentale, mossa dal desiderio di imparare una lingua per scopi di carattere pratico e utilitaristico. La prima è sicuramente più auspicabile in termini di raggiungimento di competenza comunicativa, mentre la seconda rischia di cessare una volta raggiunto il proprio scopo e di limitarsi solo agli aspetti strettamente necessari nell’immediato. Tuttavia, la distinzione che più ci interessa nell’ambito del contesto scolastico in cui lo studente è tenuto a imparare una lingua straniera per “dovere”, è quella più generica tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Motivazione intrinseca: L’apprendimento è piacevole e gratificante di per sé. L’apprendimento genera nello studente interesse, desiderio, curiosità. Motivazione estrinseca: Lo scopo dell’apprendimento è legato a fattori esterni. Lo scopo è superare un esame, ottenere un diploma, ottenere un buon voto, un premio. Il Rinforzo Il RINFORZO (positivo) da parte dell’insegnante è lo strumento capace di potenziare e conservare la motivazione dell’allievo. In questo caso il limite è la difficoltà di svincolare l’apprendimento dalla dipendenza dal rinforzo, tanto da farlo divenire attività motivante e gratificante di per sé. Come afferma Cardona (2010): «In un ambiente sereno in cui si instaura reciproca fiducia, gli allievi possono essere orientati a recepire il rinforzo dell’insegnante più come informativo che controllante. In questo modo si può scongiurare l’innalzamento della barriera del filtro affettivo ed il rischio della demotivazione, così come può avvenire in presenza di un rapporto conflittuale tra docente e discente». Ovviamente il controllo di tipo informativo può stimolare lo sviluppo della motivazione intrinseca, che è quella più auspicabile in qualsiasi contesto di apprendimento. Secondo Cardona (2010) tuttavia, nel campo della glottodidattica l’approccio che sembra essere più efficace è quello che si rifà all’attivazione congiunta di entrambi i tipi di motivazione, estrinseca ed intrinseca. Nelle prossime lezioni verranno analizzate tecniche e strategie che possono essere utilizzate per mantenere alta la motivazione degli alunni e delle alunne. Come vedremo, il ruolo dell’insegnante è infatti fondamentale in tale processo. Intensità e persistenza della motivazione Due ulteriori variabili da considerare sono infatti l’intensità e la persistenza della motivazione. Esse rimandano a fattori che determinano l’impegno nel perseguire un obiettivo e la capacità di mantenere nel tempo la motivazione. Ogni studente ripone nella scuola, nella singola disciplina, motivazioni proprie che attivano delle emozioni e processi cognitivi differenti che, di conseguenza, influenzano l’apprendimento in generale (e quello linguistico nel nostro ambito). Quanto all’intensità, essa può esser generata da: fattori interni al soggetto: necessità di superare una prova, di far bella figura o non sfigurare a un’interrogazione ecc.; fattori relazionali con il docente o la famiglia: desiderio di non deludere le aspettative, senso di competenza rispetto a quell’argomento della disciplina, paura di fallire, desiderio di dimostrare le proprie competenze ecc.; fattori esterni alla scuola: per esempio, in ambito linguistico, la motivazione legata allo studio dell’inglese rispetto al francese, al tedesco o a un’altra lingua straniera è spesso differente in quanto si pensa che l’inglese offra maggiori possibilità di interazioni all’estero, o maggiori possibilità di inserimento lavorativo, ecc. Quanto invece alla persistenza, le risorse che possono aiutare il docente di lingue a modificare i “naturali” orientamenti motivazionali degli apprendenti sono innanzitutto: la qualità della relazione instaurata la metodologia didattica utilizzata Infatti, la possibilità di far scoprire forme di “piacere” emotive, cognitive e relazionali che traguardino gli orizzonti iniziali degli studenti è insita nel modo in cui si può sviluppare la didattica in classe (la metodologia appunto), nella capacità del docente di coinvolgere gli studenti in un percorso di partecipazione attiva (come indicano gli studi sul costruttivismo che vedremo nella lezione successiva) e di corresponsabilizzazione nel processo d’insegnamento/apprendimento. Modello tripolare – Balboni Balboni (2002) a sua volta, riconduce l’analisi della motivazione a tre macrocategorie di base: Il dovere, ossia l’obbligo ad apprendere (ad esempio in ambito scolastico) che se non supportato da effettivo interesse, produce apprendimento ma non acquisizione: i contenuti vengono infatti immagazzinati nella memoria a breve termine (MBT) e ben presto dimenticati. Il bisogno, motivazione legata all’emisfero cerebrale sinistro, in cui il discente è razionalmente consapevole di avere bisogno di sviluppare delle conoscenze specifiche per raggiungere uno scopo. Il piacere, "motivazione essenzialmente legata all’emisfero destro, ma che può coinvolgere anche il sinistro divenendo, in tal modo potentissima" (Balboni 2002). Ovviamente in un contesto reale non sono possibili distinzioni categoriche poiché i diversi tipi di motivazione non hanno confini netti, bensì sfumati e sovrapponibili e possono coesistere in uno stesso individuo. Il ruolo delle emozioni nell’apprendimento In relazione alla creazione di un ambiente di apprendimento gradevole, è indispensabile parlare anche del ruolo che le emozioni svolgono in tale processo. Le emozioni possono essere classificate sinteticamente in emozioni positive, piacevoli e benefiche per l’individuo, ed emozioni negative, considerate spiacevoli e dannose per l’individuo, anche se non è sempre facile tracciare un confine così netto tra le due. Questa distinzione viene effettuata infatti in base alle esperienze pregresse del singolo, in maniera quindi soggettiva. Esistono diverse teorie delle emozioni, tra le più recenti quella che è stata recepita maggiormente in glottodidattica è la Cognitive theory of emotions, detta anche input appraisal (in italiano appraisal = stima, valutazione). Cognitive theory of emotions La teoria di Magda B. Arnold si può definire una teoria “cognitiva”, poiché presuppone un giudizio razionale su un evento che ha prodotto un’emozione. Nello specifico questo processo avviene in tre fasi: 1) avviene un evento che genera un input (ad esempio un’attività didattica di ascolto o di lettura); 2) l’evento viene valutato intuitivamente, su una base di parametri che verranno spiegati successivamente. Questa fase di valutazione viene definita appraisal; 3) dalla valutazione, la mente attiva una reazione psicologica e fisiologica per la gestione dell’evento, che può essere di accettazione o di rifiuto. Questa reazione viene definita arousal. Come anticipato, l’evento viene valutato intuitivamente sulla base dei seguenti parametri: a) la novità: l’input deve essere presentato come nuovo, poiché un evento già vissuto non stimola emozioni nuove, ma viene identificato come routine, scaturendo quindi l’emozione definita noia; b) l’aspetto estetico dell’input: come si presenta la pagina (una fotocopia in bianco e nero è meno attrattiva di una a colori), con che strumento viene riprodotto un file audio (un vecchio stereo è meno attrattivo di una lavagna multimediale collegata ad internet), ecc.; c) la rilevanza funzionale: la sensazione che l’input recepito possa servire a qualcosa, ovvero possa rivelarsi utile in futuro; d) la fattibilità del compito: la sensazione che l’attività proposta sia realizzabile, sulla base delle proprie conoscenze pregresse. Un compito troppo difficile genera immediatamente una sensazione di rifiuto; e) la sensazione che la propria immagine e la propria autostima non siano a rischio, ovvero che non si corra il pericolo di fare brutta figura con i propri compagni, evento che genererebbe un senso di imbarazzo o vergogna. La valutazione dell’evento viene infine immagazzinata nella memoria andando a creare ciò che viene definito “esperienza” (secondo la Teoria delle intelligenze multiple di Gardner, questa operazione viene compiuta dall’intelligenza detta intrapersonale). Numerosi altri studi hanno indicato che non solo l’emozione è una dimensione fondamentale nell’attivazione delle memorie, ma anche che essa agisce più in generale sulla solidità dei processi di memorizzazione, facendo sì che alcune esperienze vengano ricordate in maniera più duratura quando sono accompagnate da un’attivazione emotiva. Senza addentrarci nei meccanismi di funzionamento della memoria, possiamo ad ogni modo affermare che “cognizione ed emozione non sono separate né dal punto di vista dei loro singoli significati né da quello delle strutture nervose che lo sostengono, ma sono strettamente interconnesse dal punto di vista funzionale e strutturale” (Scaglioso 2008). In questo contesto appare evidente quanto il compito di suscitare nel discente emozioni positive sia uno degli ardui compiti dell’insegnante! Lo stress e le emozioni negative Le emozioni negative, la scarsa motivazione, le barriere suggestive sono tutti fattori che, come abbiamo visto finora, ostacolano il processo di acquisizione. Si ritiene opportuno accennare anche da un punto di vista neurobiologico cosa avviene nel cervello del discente in tali situazioni di stress. La sede del controllo delle emozioni prende nome di sistema limbico, che comprende una serie di strutture cerebrali tra cui l’amigdala, l’ipotalamo e l’ippocampo. Come suggerisce Cardona (2010), quando si verifica una situazione di eccitazione positiva, le ghiandole surrenali producono e rilasciano adrenalina e noradrenalina, due ormoni/neurotrasmettitori potenzialmente benefici. Questi neurotrasmettitori, in dosi moderate, svolgono infatti un ruolo consolidante per la memoria, favorendo i processi di acquisizione/apprendimento. Se invece lo stress non è positivo, ma legato ad emozioni negative come ansia, paura, nervosismo, la memoria ne risulta fortemente indebolita. In questo caso le ghiandole surrenali producono infatti cortisolo, detto anche ormone dello stress, che ha la funzione di predisporre il corpo a reagire alla situazione di difficoltà. In un contesto di stress prolungato, come ad esempio durante una verifica scritta o un’interrogazione a scuola come nel nostro caso, si viene a creare un forte contrasto tra amigdala e ippocampo, in quanto la prima richiede una maggiore produzione di cortisolo per far fronte alla situazione, mentre il secondo cerca di regolarne e limitarne la quantità. Se la situazione di stress si protrae, l’ippocampo, che è l’area deputata alla memoria a lungo termine, non è più in grado di svolgere le sue funzioni di controllo e come risultato si avrà un vero e proprio blocco della memoria e del recupero delle informazioni. Come afferma Cardona (2010): «Questo fa sì che nelle normali attività della didassi quotidiana o nelle fasi di testing prevalga uno stato di eccitazione negativo, un innalzamento del filtro affettivo e la percezione di disagio, sarà a lungo andare il sistema emotivo a prevalere su quello cognitivo e l’allievo non sarà più in grado di offrire la prestazione che magari la sua competenza linguistica gli consentirebbe in condizioni diverse, non ansiogene». Le suggestioni negative sono dunque delle vere e proprie barriere che impediscono di apprendere e ricordare. Esse possono scaturire da situazioni esterne, ma non solo. Da un punto di vista psicologico, infatti, anche la percezione di sé può costituire una suggestione. Se l’allievo è convinto di non essere bravo, di non essere capace, di non essere all’altezza, avendo quindi una percezione negativa di sé stesso, è molto probabile che questo influenzi i suoi risultati e in un certo modo la “profezia” si avveri, mettendo in modo la produzione degli ormoni dello stress che impediscono i processi di acquisizione. Allo stesso modo, anche il ricordo di esperienze passate può influire negativamente o positivamente sull’apprendimento. Se le esperienze passate sono positive, l’allievo sarà portato a ricrearle nella propria mente in maniera positiva. In caso invece di eventi registrati nella mente come negativi, il discente sarà portato ad associarle ad uno stato d’ansia e di rifiuto, producendo cortisolo e altri ormoni che impediscono alla sinapsi di processare correttamente le informazioni. In questi casi si possono verificare i cosiddetti “vuoti di memoria”. Slide 23 = Trailer Inside Out 2 Le barriere di apprendimento Come accennato uno degli scopi principali dell’insegnamento è quello di rimuovere le suggestioni negative che costituiscono una barriera (o filtro affettivo usando la definizione krasheniana) che impedisce all’allievo di apprendere e ricordare. Lozanov (1978) individua tre tipi di barriere psicologiche che ostacolano il processo di acquisizione: la barriera logico-critica, che porta a rifiutare tutto ciò che sembra non esser motivato in modo logico secondo i propri schemi mentali; la barriera affettiva-emozionale, che porta a respingere tutto ciò che non suscita fiducia e sicurezza; la barriera etico-morale, che deriva dalle proprie credenze, dalle convenzioni sociali e da tutto ciò che non rientra nei propri principi morali. Queste barriere sono insite nell’essere umano e sono necessarie per difendersi dall’ambiente, pertanto non vanno forzate, ma piuttosto affievolite attraverso la creazione di un’atmosfera positiva, allegra e fiduciosa. Per abbattere le barriere di apprendimento Ferencich (2010) propone di attuare le seguenti strategie: per la barriera logico-critica, si possono argomentare le proprie scelte didattiche apportando materiali, studi empirici, prove concrete; per la barriera affettiva-emozionale, si possono sottolineare i successi del discente con entusiasmo, dimostrando fiducia e comprensione; per la barriera etico-morale si può mostrare tolleranza, rispetto, accettazione e proporre sempre delle varianti alternative ad attività che possono essere percepite al di fuori dalla propria zona di comfort. Tecnica del Reframing Un’altra tecnica proposta da Ferencich è quella del Reframing (o Riformulazione), molto utilizzata nella Programmazione Neurolinguistica (PNL). Consiste nel cambiare il modo di percepire una situazione ribaltando prospettiva o punto di vista. Se ad esempio un allievo afferma: “io non sono portato per le lingue”, l’insegnante capovolge l’affermazione rispondendo: “ma se parli già benissimo l’italiano!” o “la lingua in cui stai parlando è già una lingua!” o “per imparare una lingua basta avere un cervello e una bocca, tu ce li hai?”. La reazione dell’allievo a questo tipo di riformulazione positiva è solitamente un sorriso o comunque una sensazione di maggiore leggerezza e distensione! Tecnica della nuova identità Un’ulteriore strategia usata per abbassare il filtro affettivo e le altre barriere di apprendimento è infine quella del cambiamento d’identità. Per tutta la durata del corso o della lezione, i discenti possono scegliere a proprio piacimento un nuovo nome, un nuovo cognome, una nuova città di provenienza, una professione e si presentano al gruppo-classe con la loro nuova identità, ovviamente nella lingua che stanno studiando. Si possono anche mettere in scena dei role-play, come ad esempio una festa in cui si conoscono nuove persone o altre situazioni di vita quotidiana come fare la spesa al mercato, prenotare un tavolo al ristorante, andare dal medico, etc. Questa tecnica permette di dissociarsi in parte della propria persona perdendo ansie, paure e insicurezze, in quanto se si commetterà qualche errore, psicologicamente sarà il personaggio ad aver “sbagliato” e non l’allievo. Video: Umberto Galimberti – Il ruolo delle emozioni https://www.youtube.com/watch?v=nVEMsuHHwZA Lezione 5 Il Costruttivismo Il Costruttivismo in pedagogia è un approccio teorico che si basa sull'idea che l'apprendimento sia un processo attivo, in cui gli allievi costruiscono nuove conoscenze integrando le esperienze e le informazioni acquisite con le conoscenze preesistenti. Teorie costruttiviste Secondo Jean Piaget, uno dei più influenti psicologi nel campo dello sviluppo infantile e della pedagogia, i bambini costruiscono la loro comprensione del mondo attraverso processi di assimilazione e accomodamento, adattando le loro conoscenze man mano che incontrano nuove informazioni. Nello specifico: L’assimilazione: è il processo mediante il quale un individuo integra nuove informazioni nelle strutture cognitive esistenti. L’accomodamento: è il processo di modifica delle strutture cognitive esistenti per incorporare le nuove informazioni provenienti dall’esterno. Qualsiasi azione che agisce per l’acquisizione di nuove informazioni è assimilazione. Ad esempio, se entriamo in un gruppo nuovo e ne impariamo le regole, la nostra conoscenza si amplia e stiamo assimilando. Se queste regole cambiano gli schemi che avevamo in precedenza, ecco che le nuove informazioni si sono “accomodate” e hanno modificato i nostri schemi preesistenti. I costruttivisti sostengono quindi che la conoscenza è il risultato dell’attività di costruzione dell’individuo che apprende nell’ambito del contesto socioculturale in cui è inserito. Secondo Vygotskij in particolare, lo sviluppo cognitivo va ricondotto alle interazioni sociali dell’individuo con l’ambiente circostante. Il ruolo degli adulti nello sviluppo dei giovani è dunque quello di guidare l’apprendimento al livello delle capacità potenziali di sviluppo. La cosiddetta area di sviluppo potenziale vygotskijana (nota anche come zona di sviluppo prossimale o ZSP) rappresenta la distanza tra ciò che un individuo è in grado di eseguire autonomamente e il livello potenziale che può raggiungere grazie all’aiuto di una persona esperta. In altre parole, lo sviluppo mentale è dato dalle interazioni sociali dell’individuo e da una corretta organizzazione guidata dell’apprendimento. Vygotskji (1987) Bruner, psicologo statunitense che ha ampliato le teorie costruttiviste, enfatizzando l'importanza dell'apprendimento attivo e della scoperta, ha integrato poi le teorie di Piaget e Vygotskij con il concetto di scaffolding, strettamente legata all’idea di zona di sviluppo prossimale. Lo scaffolding è letteralmente “l’impalcatura” fornita dall’adulto per compensare il dislivello tra abilità richieste e capacità possedute. L’impalcatura consente di operare ad un livello poco superiore a quello del suo sviluppo effettivo (Bruner, 1996) In prospettiva costruttivista, dunque, la scuola non è più il luogo in cui si trasmettono le conoscenze, ma un ambiente di apprendimento significativo. Il processo di insegnamento-apprendimento non è più centrato sull’insegnante e sul prodotto dell’insegnamento, bensì sullo studente e sul suo processo di apprendimento. La conoscenza assume anche un valore sociale, poiché è frutto della condivisione di esperienze e dell’interazione di diverse conoscenze. Ausubel (1968) introduce poi il concetto di apprendimento significativo, in contrapposizione al concetto di apprendimento meccanico. Per imparare in modo significativo, lo studente deve poter collegare la nuova informazione a concetti e proposizioni rilevanti già posseduti e la conoscenza avviene mediante l’elaborazione di significato (nell’apprendimento meccanico invece il contenuto è già definito dal docente o dal materiale di studio e l’allievo deve solo impararlo mnemonicamente). Un’altra distinzione che fa Ausubel è tra apprendimento per ricezione e apprendimento per scoperta. Nel primo caso l’allievo recepisce passivamente l’informazione già strutturata da altri, mentre nel secondo caso, quello più auspicabile, è l’alunno che viene a contatto con la nuova informazione per scoperta personale, in maniera attiva. Il presupposto per creare un ambiente di apprendimento che facilita la costruzione significativa di conoscenza, secondo le teorie costruttiviste, è quindi dare la possibilità di apprendere in modo (Jonassen, 2007): Attivo Costruttivo Cooperativo Autentico Intenzionale L’apprendimento cooperativo o Cooperative Learning Il Cooperative Learning è una metodologia didattica che si basa sulla collaborazione tra studenti per raggiungere obiettivi comuni. In questo approccio, gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per risolvere problemi, completare progetti o comprendere nuovi concetti, supportandosi a vicenda e condividendo responsabilità. Vantaggi del Cooperative Learning Migliora l'apprendimento: Gli studenti che partecipano a gruppi cooperativi spesso comprendono meglio i concetti, poiché se li spiegano a vicenda integrando diverse prospettive. Sviluppa abilità sociali: Il lavoro di gruppo aiuta a sviluppare abilità di comunicazione, risoluzione dei conflitti e collaborazione, che sono essenziali sia nella vita scolastica che in quella professionale. Aumenta la motivazione: Lavorare in gruppo può rendere l'apprendimento più coinvolgente e motivante, poiché gli studenti si sentono parte di una comunità e si sostengono a vicenda. Favorisce l'inclusione: Il cooperative learning può aiutare a integrare studenti con diverse abilità, background culturali e livelli di rendimento, poiché ognuno può contribuire al gruppo in base alle proprie capacità. Riduce l'ansia: In un ambiente di apprendimento cooperativo, gli studenti possono sentirsi meno ansiosi riguardo agli errori, poiché il gruppo offre supporto e incoraggiamento. La centralità dello studente Nel corso del XX secolo si sono affermate diverse metodologie glottodidattiche, in cui lo studente ha assunto ruoli differenti: da discente inteso come tabula rasa da plasmare fino ad arrivare a discente inteso come soggetto da aiutare ad apprendere e a costruire le proprie conoscenze. Nei metodi strutturalistici skinneriani gli allievi venivano visti come esseri da indirizzare verso la produzione di risposte corrette, soffermandosi quasi esclusivamente sulla forma e non sul contenuto o sulla comprensione dei significati, almeno nei livelli iniziali. Nei successivi approcci comunicativi invece il discente inizia ad assumere un nuovo ruolo, non è più un contenitore da riempire e forgiare. La lingua non è più forma, ma comunicazione: lo studente deve interagire con i compagni, con l’insegnante, partecipando attivamente allo scambio comunicativo. I materiali da utilizzare devono essere selezionati in base a funzioni o atti linguistici, vale a dire in base agli usi della L2/LS, che non deve essere analizzata grammaticalmente, ma appunto in termini di funzioni comunicative. Danesi (2015) A partire dagli anni Settanta si è evidenziato poi l’emergere di nuovi metodi, che volevano dare ulteriore priorità agli affetti, ai bisogni, alla creatività e alla personalità del discente. In Italia nello specifico, il tema dell’emozionalità declinata alla dimensione affettiva dell’apprendente è stato oggetto di studi da parte di Titone a partire dal 1987. Titone propose un modello noto come “modello egodinamico”, un modello motivazionale basato sul ruolo attivo e partecipativo dello studente che diventa protagonista del suo successo e del suo apprendimento. Il modello attribuisce fondamentale importanza alla componente sensoriale-affettiva che si crea all’interno del contesto d’apprendimento, in cui il discente deve sentirsi a suo agio e deve poter esprimere le sue emozioni e la propria identità mediante il linguaggio, riflettendo il nesso che collega l’esperienza vissuta alle parole che la esprimono. Questo principio implica quindi la possibilità di esprimere i propri interessi in ottica ego-riferita, mediante il nuovo codice linguistico. Sempre in Italia, è stato poi Gianfranco Porcelli (1994) il primo a usare il termine “umanistico-affettivo”, per indicare i metodi caratterizzati dalla valorizzazione dei meccanismi cognitivi inconsci alla base dei processi di apprendimento e dall’attenzione per la componente emotivo-affettiva. Numerosi altri studiosi si sono interessati al ruolo delle emozioni in glottodidattica: Abbaticchio (2002) ha curato l’aspetto emozionale nell’insegnamento letterario; Mazzotta (2003) ha inquadrato l’emozionalità da una prospettiva psicopedagogica; Borello (2005) ha introdotto il concetto di “competenza emozionale”, mentre Landolfi (2008) ha collegato emozioni e visualità; Cardona (2002) ha analizzato il ruolo della dimensione emotiva nella memorizzazione sostenendo l’approccio cognitivo-emozionale (2010) Caon ha centrato i suoi studi sulla didattica ludica, sul piacere nell’apprendimento linguistico (2006) e sulle attività che possono accrescerlo. In ogni caso, la priorità assoluta di questi modelli e approcci viene data ai bisogni dello studente, che viene posto al centro del processo edulinguistico. I bisogni del discente Ferencich dedica poi un lungo approfondimento ai bisogni del discente: partendo dai bisogni maslowiani (Maslow, psicologo del Novecento: teoria dei bisogni), l’autrice sostiene che l’obiettivo dell’insegnante è quello di soddisfare il più possibile i seguenti bisogni dei discenti di qualsiasi fascia d’età: il bisogno di agio e benessere fisico; il bisogno di sicurezza; il bisogno di unità/comunione con il gruppo; il bisogno di stima e consapevolezza; il bisogno di soddisfazione/autorealizzazione; il bisogno di serenità; il bisogno di affetto; il bisogno di provare piacere di apprendere; il bisogno di fare attività; il bisogno di avere un obiettivo. Secondo Ferencich più uno studente soddisfa questi bisogni, più velocemente apprende. La grande capacità che un bravo docente deve possedere è quindi l’empatia, ovvero la capacità di riconoscere e interpretare i messaggi emotivi che ci inviano gli studenti. Certamente non è sempre possibile soddisfare tutti i bisogni dei discenti, ma si può contribuire significativamente a cambiare la percezione di ascolto nei loro confronti. Il ruolo dell’insegnante Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, siamo stati abituati a riconoscere la figura del docente come figura autoritaria, di stampo gentiliano (che segue le opinioni di Gentile e la sua riforma della scuola), il magister inteso come colui che è superiore, appunto “Maestro”. Il vecchio professore era l’esperto della materia, portatore del sapere, guida spirituale e morale, colui che valuta e giudica ex cathedra, colui che rimarca l’asimmetria del suo potere gerarchico rispetto agli studenti. A partire dagli Settanta, con il diffondersi dei nuovi approcci e metodi didattici basati sui più recenti studi di neurolinguistica, psicolinguistica e di glottodidattica umanistica, appare chiaro che la figura dell’insegnante non possa più essere quella del maestro onnisciente e onnipotente della tradizione, ma che debba invece essere molto più simile a quella di facilitatore, consigliere, maieuta, tutore. Egli rimane innegabilmente il capogruppo, l’esperto della materia, ma allo stesso tempo diventa lui stesso il responsabile del raggiungimento degli obiettivi prefissati, colui che decide la sequenza delle varie fasi e dirige il processo di apprendimento, che gestisce il gruppo-classe dal punto di vista dell’attenzione, della motivazione, delle dinamiche di gruppo, della gestione dei conflitti, dei bisogni degli allievi. Balboni (2015) Come afferma R. Ferencich (2010): «Cambia allora l’asimmetria della relazione: l’insegnante afferma sì la sua presenza, ma riconosce quella di ciascuno studente; la comunicazione diventa simmetrica e dinamica; ciò comporta il confronto, lo scambio, il dialogo, la sperimentazione, lo sviluppo di competenze sociocognitive e relazionali, la libertà comunicativa. Dal punto di vista pratico, nel lavoro di gruppo diventano rilevanti i processi di sperimentazione, di applicazione, formulazione e riformulazione, costruzione e ricostruzione della materia, dove, oltre a imparare, si sviluppano quelle competenze sociali così importanti in ogni età». Le competenze di un insegnante di lingue capace sono dunque molteplici: deve innanzi tutto conoscere perfettamente la lingua che insegna, essere madrelingua o possedere preferibilmente una certificazione di livello C2 del QCER. Oltre all’ottima conoscenza della lingua, è fondamentale anche l’aspetto della cultura e quindi degli aspetti sociolinguistici, che solo chi ha vissuto per diversi anni nel Paese di riferimento conosce veramente a fondo. La formazione continua o lifelong learning, è particolarmente importante per i docenti di lingue straniere, in quanto permette di rimanere sempre aggiornati sul linguaggio utilizzato dalle nuove generazioni, sulle nuove metodologie, strumenti, tecnologie informatiche in continuo mutamento. Oltre alla padronanza linguistica e sociolinguistica, vi sono numerose altre competenze specifiche che un docente deve possedere: Utilizzando la metafora freddiana, l’insegnante deve essere il REGISTA che dirige gli studenti-attori dall’esterno, o meglio da dietro le quinte, con l’ausilio di un copione da lui stesso preparato e facendo attenzione a tutte le dinamiche di gruppo, mantenendole il più possibile in equilibrio. Deve essere un bravo facilitatore, in grado di accompagnare i discenti nel processo di apprendimento, ma anche un presentatore carismatico, un bravo mediatore, attento agli aspetti emozionali del gruppo, pronto a intervenire durante i conflitti, ma anche in grado di prevenirli. Deve essere spesso anche l’animatore creativo, capace di mettere a proprio agio gli allievi, inserendo nella lezione attività ludiche in grado di abbassare il filtro affettivo. Deve avere infine capacità di comprensione, di ascolto, di osservazione. Freddi (1994) Caratteristiche dell’insegnamento a adulti Chi sono gli adulti? Chi è un adulto oggi? Come lo si definisce tale? Esiste un significato universale di essere adulto o varia secondo fattori ambientali, culturali e sociali? Il professor Duccio Demetrio (1990) afferma che difficilmente si può fornire una definizione precisa e universale dell’adulto perché il concetto di adulto è caratterizzato da instabilità temporale e geografica, e cambia nel tempo in base alle necessità della comunità umana che lo adotta al fine di contraddistinguersi dalle altre comunità. Il professor Balboni (2015) afferma che “Il concetto di «adultità» rimanda sia a un fattore personale, l’età e la conseguente maturazione psicologica e relazionale, sia a elementi sociali”. Descrive poi alcune caratteristiche dello studente adulto, che però non corrispondono alle caratteristiche di tutti gli studenti ammessi all’istruzione degli adulti in Italia. Scrive Balboni che: l’adulto è fuori dal percorso formativo di base che termina intorno ai 18 anni; è maggiorenne e quindi vuole decidere autonomamente e può assumersi le responsabilità conseguenti alle proprie decisioni; il rapporto docente/studente non è più educativo, ma prevalentemente istruttivo, l’insegnante non forma, ma è semplicemente un tecnico che conosce la lingua e la glottodidattica; l’adulto paga il corso con l’iscrizione e quindi segue il corso non per il piacere di crescere ma perché deve portare risultati; i risultati perseguiti devono essere raggiunti nel minor tempo possibile; anni prima l’adulto ha già imparato una lingua e quindi è convinto di saper come si impara una lingua, ma spesso si tratta di ricordi basati su metodologie obsolete; quindi, le sue idee possono essere in conflitto con le metodologie più recenti e minare la fiducia nella competenza glottodidattica dell’insegnante. sebbene la psicolinguistica ritenga che la capacità di apprendere una lingua non venga mai meno, sappiamo comunque che la rapidità e la stabilità dell’acquisizione muta con l’età. Questa «lentezza» va spiegata allo studente. la necessità metalinguistica di un adulto è ben superiore a quella di un bambino o di un adolescente. Lo studente adulto richiede una riflessione esplicita maggiore. L’insegnante deve integrare i materiali in base alle necessità. ATTENZIONE: Il sistema di istruzione degli Adulti in Italia considera adulti coloro che hanno compiuto i 16 anni (fine scuola dell’obbligo). A conclusione del periodo di istruzione obbligatoria, solitamente previsto al termine del secondo anno di scuola secondaria di secondo grado, in caso lo studente non prosegua gli studi, viene rilasciata una certificazione delle competenze acquisite (Decreto ministeriale 139 del 2007). Lifelong Learning Il concetto di "Lifelong Learning" (apprendimento permanente) è centrale nelle politiche educative dell'Unione Europea. Questo termine si riferisce all'idea che l'apprendimento dovrebbe continuare per tutta la vita di una persona, non limitandosi al periodo dell'istruzione formale durante l'infanzia e la giovinezza, ma estendendosi a tutta l'età adulta, per rispondere alle esigenze in continua evoluzione del mercato del lavoro, della società e della crescita personale. Principi Chiave del Lifelong Learning secondo l'Unione Europea: 1) Apprendimento in tutti i contesti della vita: L'Unione Europea promuove l'idea che l'apprendimento debba avvenire in una varietà di contesti, tra cui l'istruzione formale (scuole, università), l'istruzione non formale (corsi, seminari) e l'apprendimento informale (esperienze di vita, lavoro, attività quotidiane). 2) Accesso Universale e Inclusività: L'apprendimento permanente deve essere accessibile a tutti, indipendentemente dall'età, dal background sociale, dalla situazione economica o dal livello di istruzione pregresso. Le politiche europee mirano a ridurre le barriere all'apprendimento e a garantire che tutti abbiano l'opportunità di aggiornare le proprie competenze. 3) Sviluppo di Competenze Chiave: L'UE ha identificato otto competenze chiave per l'apprendimento permanente, tra cui la competenza alfabetica funzionale, la competenza multilinguistica, la competenza digitale, la competenza matematica e la competenza imprenditoriale. Queste competenze sono considerate essenziali per la cittadinanza attiva, l'occupabilità e lo sviluppo personale. 4) Flessibilità e Riconoscimento delle Competenze: È fondamentale che il lifelong learning sia flessibile per adattarsi ai diversi ritmi e percorsi di vita delle persone. L'Unione Europea sostiene sistemi che riconoscano e convalidino le competenze acquisite attraverso l'apprendimento non formale e informale, come il programma EQF (European Qualifications Framework, Quadro Europeo delle qualificazioni), che facilita il riconoscimento delle qualifiche a livello europeo. Ricerca mia: L'UE ha sviluppato il Quadro europeo delle qualificazioni (EQF) come strumento di "traduzione" per facilitare la comprensione e la comparabilità delle qualificazioni nazionali. L'EQF cerca di sostenere la mobilità transfrontaliera di studenti e lavoratori, di promuovere l'apprendimento permanente e lo sviluppo professionale in tutta Europa. 5) Adattamento al Cambiamento e Innovazione: L'apprendimento permanente è visto come uno strumento chiave per aiutare le persone a rispondere ai cambiamenti tecnologici e sociali, e per sostenere l'innovazione e la competitività economica in Europa. In un contesto di rapidi cambiamenti nel mercato del lavoro, la capacità di adattarsi e acquisire nuove competenze è essenziale. 6) Collaborazione e Partenariato: L'Unione Europea incoraggia la collaborazione tra diversi attori, come governi, istituzioni educative, imprese e organizzazioni della società civile, per promuovere il lifelong learning. Questa collaborazione è necessaria per creare sistemi di apprendimento integrati e per condividere le migliori pratiche. 7) Sviluppo Personale e Cittadinanza Attiva: Oltre a migliorare l'occupabilità, il lifelong learning è visto come un mezzo per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva alla vita civile. Le politiche dell'UE riconoscono che l'apprendimento può contribuire alla coesione sociale, all'inclusione e al benessere individuale. Iniziative e Strumenti dell'Unione Europea: Erasmus+: Un programma che supporta l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport in Europa, facilitando lo scambio di esperienze e la mobilità internazionale. Europass: Un insieme di strumenti per aiutare i cittadini a presentare le proprie competenze e qualifiche in modo comprensibile in tutta Europa (mia aggiunta: una sorta di creatore di CV) European Qualifications Framework (EQF): Un sistema che aiuta a rendere le qualifiche nazionali più leggibili e comprensibili in tutta Europa. Ultima slide c’è il link di Kahoot: è uno strumento della metodologia Gamification. Possiamo definire la Gamification come un insieme di regole mutuate dal mondo dei videogiochi, che hanno l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco; in questo modo è possibile influenzare e modificare il comportamento delle persone, favorendo la nascita ed il consolidamento di interesse attivo da parte degli utenti coinvolti verso il messaggio che si è scelto di comunicare, sia questo relativo all’incremento di performance personali o più in generale alle performance d’impresa. Lezione 6: La Lingua e i linguaggi non verbali La Comunicazione Insegnare a comunicare significa insegnare a scambiare messaggi efficaci. «Scambiare»: la comunicazione non è mai mono-direzionale, anche quando il destinatario è solo fittizio o virtuale; «Messaggi»: la comunicazione avviene attraverso lo scambio di messaggi, che includono un testo verbale e una componente non verbale (non solo singole parole o singole frasi); «Efficaci»: si comunica per convincere, per ottenere qualcosa, per stimolare sentimenti. La comunicazione non avviene nel vuoto, ma si situa in un evento comunicativo. Essa deve essere anche appropriata al contesto situazionale in cui avviene. Lingua straniera, seconda, etnica, franca Solitamente si sente parlare genericamente di lingue «straniere»; occorre tuttavia specificare che questo aggettivo può indicare quattro realtà ben diverse: la lingua straniera propriamente detta, la lingua seconda, di cui abbiamo accennato, la lingua etnica e la lingua franca. Lingua straniera: studiata dove essa non è presente se non nella scuola, l’input è fornito dall’insegnante; Lingua seconda: prevede che l’input linguistico provenga dall’esterno, dal mondo extrascolastico; la motivazione è immediata, strumentale, quotidiana, e mira all’integrazione; Lingua etnica: lingua della comunità d’origine di una persona quando essa non è la sua lingua materna, ma è comunque presente nell’ambiente delle persone immigrate (ad es. i figli di immigrati in Italia, che sono italofoni ma entrano in contatto con la lingua etnica in casa, tra gli amici dei genitori, ecc.); Lingua franca: lingua usata in maniera abbastanza semplificata (senza sconfinare nel pidgin) per facilitare la comunicazione internazionale (lo è l’inglese oggi, lo fu il latino per oltre mille anni). La trasformazione dell’inglese in lingua franca sta cambiando completamente la natura dell’insegnamento di questa lingua, costringendo i madrelingua a ridurre la gamma delle varietà di registro per rendersi comprensibili alla maggior parte delle persone. Il lessico si riduce, la consecutio temporum si semplifica, non si mira a una pronuncia e a un’intonazione vicine a quelle dei madrelingua. Ma come vedremo è proprio sul piano della comunicazione in inglese lingua franca tra persone di culture diverse che si annidano i principali problemi di comunicazione interculturale (sull’insegnamento dell’inglese come lingua franca si veda McKay, 2002). Competenza linguistica (lingua come codice) Esistono vari modi di considerare la lingua: come un mezzo per raggiungere degli scopi, uno strumento pragmatico (pragmalinguistica); come espressione di un rapporto di ruolo sociale (sociolinguistica); come forma: forma sonora (fonologia), forma scritta (grafemica), insieme di forme (morfologia) e relazioni (sintassi), corpus di parole (lessico), si presenta in un testo avente un genere e meccanismi logici e formali (linguistica testuale); tutto ciò riguarda la competenza linguistica (componente della competenza comunicativa); espressione di una cultura e strumento per tramandarla (etnolinguistica); strumento del pensiero, della concettualizzazione: la lingua è struttura portante del pensiero, ma ne è anche la gabbia; strumento di espressione oltre che di comunicazione: l’espressione in questo senso, diviene una comunicazione fine a se stessa, per scopi estetici. Per espletare queste funzioni, la lingua usa le parole (composte da fonemi) e delle regole di combinazione nelle frasi e nei testi. La competenza linguistica è composta da “grammatiche” che riguardano i vari livelli: i fonemi (fonologia), la parte grammaticale delle parole (morfologia), la combinazione di parole in frasi e periodi (sintassi) e la loro inclusione in testi (grammatica testuale). La componente significante delle parole fa parte della semantica. Nella definizione del curricolo di un corso, tutti questi aspetti vanno tenuti in considerazione, pur sapendo che non tutte le grammatiche potranno essere inserite, e non di tutte si darà una visione completa; inoltre verranno affrontate con un procedimento a spirale che ritorna continuamente su quanto già acquisito, aggiungendo ogni volta elementi in più. Competenza extralinguistica (linguaggi non verbali) Accanto alla competenza linguistica, per comunicare è necessario possedere la competenza extralinguistica. Le principali competenze sono: competenza cinestetica: riguarda la capacità di comprendere e utilizzare i gesti, le espressioni, i movimenti; uno stesso gesto può assumere significati differenti nelle varie culture; competenza prossemica: è relativa alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore, cui sono spesso legate le scelte di registro; competenza oggettuale: rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status sociale; un aspetto particolare è costituito dalla vestemica (capacità di padroneggiare il sistema della moda). Per quanto riguarda l’inclusione della competenza extralinguistica in un curricolo, bisogna valutare la necessità in un determinato gruppo di studenti; sul piano didattico le risorse sono l’uso di video e il contatto reale o virtuale. Competenza socio-pragmatica (la lingua in uso) Per descrivere la competenza socio-pragmatica, partiamo dal modello antropologico delle relazioni umane, secondo cui ogni persona è in contatto con se stessa (io), gli altri e il mondo. La lingua serve per stabilire e mantenere queste relazione: all’io corrisponde una funzione personale, a io e l’altro corrisponde una funzione interpersonale e una regolativa, a io e il mondo corrispondono una funzione referenziale (riguarda il mondo reale), poetico-immaginativa (mondo fantastico/immaginario) e metalinguistica (mondo della lingua). Possedere la competenza socio-pragmatica significa saper realizzare le seguenti sei funzioni: 1)personale: si realizza quando lo studente rivela la propria soggettività (atti comunicativi: chiedere/dire il nome, parlare dello stato fisico, dei propri gusti, ecc.); 2)interpersonale: si realizza quando la lingua serve a stabilire, mantenere o chiudere un rapporto di interazione (atti comunicativi: salutare/congedarsi, offrire/accettare, rifiutare, ringraziare, scusarsi, ecc.); 3) regolativo-strumentale: consiste nell’usare la lingua per agire sugli altri (atti comunicativi: dare/ricevere istruzioni, consigli, ordini, disposizioni, chiedere/obbligare/impedire, ecc.); 4)referenziale: si manifesta quando la lingua viene usata per descrivere o spiegare la realtà (atti comunicativi: descrivere cose, azioni, persone, eventi, chiedere/dare informazioni e spiegazioni, ecc.); 5)metalinguistica: si realizza quando ci si serve della lingua per riflettere sulla lingua stessa (atti comunicativi: chiedere come si chiama un oggetto, creare perifrasi per sostituire parole ignote, comprendere/fornire spiegazioni sulla lingua, ecc.); 6)poetico-immaginativa: si realizza quando si usa la lingua per produrre particolari effetti ritmici, suggestioni musicali, associazioni metaforiche, ecc. La linguistica funzionale di Jackobson La linguistica funzionale è un approccio che si concentra sull'uso effettivo della lingua nel contesto della comunicazione, analizzando come le strutture linguistiche servano a realizzare scopi comunicativi. Jakobson ha identificato sei funzioni principali che la lingua può assumere in un atto di comunicazione, ognuna delle quali è associata a un diverso elemento del processo comunicativo: 1. Funzione emotiva (o espressiva): esprime l'atteggiamento del mittente rispetto a ciò di cui si parla. 2. Funzione referenziale: si concentra sul contenuto del messaggio, cioè sul contesto o oggetto a cui si riferisce il messaggio. 3. Funzione poetica: riguarda l'enfasi sulla forma del messaggio, tipica della poesia o della retorica. 4. Funzione fatica: verifica che il canale di comunicazione sia aperto e funzionante, come in espressioni di saluto o controllo del contatto ("Pronto?"). 5. Funzione metalinguistica: riguarda il codice stesso, cioè quando si parla del linguaggio ("Cosa significa questa parola?"). 6. Funzione conativa: rivolta al destinatario, spesso manifesta in imperativi o comandi. La linguistica funzionale di Jackobson e Halliday Jakobson (1958;1960) ha sottolineato che questi aspetti non sono esclusivi, ma coesistono in ogni atto comunicativo, con una funzione che generalmente predomina. Secondo Halliday (1970), il linguaggio funziona inoltre attraverso tre metafunzioni principali: 1. Metafunzione ideazionale: riguarda l'espressione dei contenuti esperienziali, cioè come rappresentiamo il mondo e le nostre esperienze attraverso il linguaggio. Questa metafunzione include la rappresentazione di azioni, eventi, processi e relazioni. 2. Metafunzione interpersonale: riguarda l'interazione tra i parlanti, ovvero come i parlanti negoziano le loro relazioni sociali, esprimono attitudini, assegnano ruoli e instaurano rapporti di potere attraverso il linguaggio. 3. Metafunzione testuale: si concentra su come il messaggio sia organizzato in un testo coerente e coeso. Include aspetti come la struttura dell'informazione, l'ordine delle parole e le risorse coesive che tengono insieme un testo. Le abilità linguistiche La trasformazione delle rappresentazioni mentali in comunicazione avviene attraverso la padronanza delle abilità linguistiche, che hanno una duplice dimensione: cognitiva, costituita dai processi di comprensione, produzione, selezione (es. fare un riassunto, prendere appunti); sono processi che si presuppongono sviluppati/insegnati nella lingua materna, e semiotica, quando questi processi si realizzano attraver