La Macchia di Lutero, Racconto di Andrea Vitali (PDF)
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2024
Andrea Vitali
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This is a novel by Andrea Vitali published by Garzanti in 2024 and details a historical tale regarding the story of Luther.
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ANDREA VITALI LA MACCHIA DI LUTERO Natale 2024 il sito di chi ama leggere © 2024, Garzanti S.r.l., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.garzanti.it LA MACCHIA DI LUTERO L’oste Perin era noto così, Oste Perin. Per tutti, ormai, era quello il suo nome. Ne e...
ANDREA VITALI LA MACCHIA DI LUTERO Natale 2024 il sito di chi ama leggere © 2024, Garzanti S.r.l., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.garzanti.it LA MACCHIA DI LUTERO L’oste Perin era noto così, Oste Perin. Per tutti, ormai, era quello il suo nome. Ne era convinto pu- re lui, che rispondeva al volo quando lo chiamava- no in quel modo piuttosto che Antonio, come ri- sultava all’anagrafe. L’Oste Perin era gestore del Circolo dei Lavora- tori, tra i vari locali del paese quello che godeva di maggior fama quanto a degustazione a prezzo mo- dico dei cosiddetti prodotti tipici del lago, in realtà un’accozzaglia di cibi mutuati da questa o quella gastronomia dei territori limitrofi: pochi i piatti davvero autoctoni, forse anzi uno soltanto, i missoltini, che peraltro con questa storia non c’en- trano niente. Classe 1903, aveva scapolato dalle due guerre mondiali. Troppo giovane per la prima, troppo vecchio per la seconda. Non lo si poteva accusare di vigliaccheria o di essersi imboscato, il destino aveva voluto così. Tuttavia, aveva avuto un fratello, ragazzo del ’99, caduto sull’Isonzo nel corso della prima, e uno zio, lo zio Gusto, classe 1919, che era 5 tuttora dato per disperso sul fronte russo. Forte della sua incolpevole assenza in qualsivoglia teatro di guerra, quando nella sua osteria il discorso ver- teva su quest’ultima si sentiva in diritto di dare pa- reri. Sosteneva la tesi che la guerra allungava le sue zampe anche su chi non l’aveva fatta, indebo- lendone lo spirito. Bastava pensare a coloro che avevano avuto un morto, un disperso, che avevano patito la miseria e ancora la pativano, agli orfani, alle vedove. Quelli erano i mali che la guerra, pur se finita da tempo, s’era lasciati dietro. Mali inguaribili? chiedeva con una certa enfasi. Certo che sì! si rispondeva. E non si poteva fare niente per lenirli almeno un poco? Di nuovo rispondeva lui per conto dell’uditorio: Sì, certo che si poteva! Guardare al futuro, quella la medicina, senza di- menticare le brutture del passato. Bisognava rico- struire non solo edifici, strade e ponti, che tuttavia in paese non avevano subito danno alcuno, ma an- che le amicizie e tutto ciò che univa le persone. Fu quindi tra i primi a lodare l’iniziativa pro- mossa dall’amministrazione comunale nel settem- bre 1948 volta a riportare agli antichi splendori la festa che più di ogni altra rappresentava l’anima del paese, anima sacra e pagana insieme: quella che movimentava la notte della vigilia dell’Epifa- nia, con la tradizionale sfilata dei Re Magi che di- 6 stribuivano doni ai bambini. Le edizioni belliche, così come quelle dei due anni precedenti, l’aveva- no infiacchita. Consapevole del fatto che andando avanti così la festa si sarebbe persa, l’allora sindaco Attilio Fumagalli, al pari del Perin elusore suo malgrado della guerra, aveva sottoposto la que- stione alla giunta e deciso infine di costituire un comitato che se ne prendesse cura. L’incarico ven- ne affidato a: Egidio Fioravanti, merciaio, vedovo; Giambo Primo Coiatti, calzolaio, medaglia d’ar- gento al valore civile; Fisetta Tantini, maestra elementare, coreografa della filodrammatica; Ebe Ebenice, amica della Tantini, costumista della stessa filodrammatica; Orco Filarete, gestore della latteria sociale e af- fabulatore di conio; Mirabello Pisticchio, ferroviere potentino, padre di cinque figli. Oculata fu la gestione delle nomine: due com- mercianti, una maestra coreografa, la costumista, il gestore della latteria, che aveva contatti quoti- diani con i frazionisti: grazie a costoro, la voce che fosse necessario per il bene di tutti ripristinare la festa si sparse in men che non si dica, riaccenden- do l’entusiasmo sopito. Non si mancò di chiedere i necessari contributi in denaro, anche minimi, per finanziare l’affitto 7 dei tre cavalli per i Re Magi, dei costumi d’epoca e di qualche elemento coreografico. Il ferroviere Mirabello Pisticchio dimostrò dop- piamente la sua utilità in seno al comitato: oltre a fornire i cinque figli, ricci e scuri di pelle, quindi ideali per interpretare i moretti al seguito dei tre Re, mise a disposizione le numerose amicizie con i colleghi della linea Lecco-Sondrio, garantendo una capillare distribuzione dei manifesti, stampati a titolo gratuito dal tipografo Berebelli, che an- nunciavano la festa e che finirono in bella vista sui muri di quasi tutti i paesi della sponda orientale del lago. L’esito dell’iniziativa andò oltre le aspettative del comitato, dell’amministrazione comunale, del- lo stesso Oste Perin, che aveva generosamente contribuito in linea con le sue convinzioni. La no- tizia che quella festa, le cui radici si perdevano nel- la notte dei tempi, addirittura nel Seicento, quan- do sul lago vigeva il dominio spagnolo, avrebbe ri- preso vigore si sparse un po’ ovunque e non mancò di giungere alle orecchie di coloro per cui fiere, mercati o feste erano occasioni di guadagno. Nel corso del mese di dicembre all’assessore per il commercio Giulio Imbevuti giunsero numerose ri- chieste di ambulanti e venditori delle più varie merci che chiedevano piazza per disporre le pro- prie bancarelle a partire già dal pomeriggio del 5 gennaio. Durante un’informale riunione di giun- 8 ta, l’amministrazione decise di non ostacolare nes- suno, offrì spazi a tutti, così che il lungolago, i giardini pubblici, perfino il piazzale esterno della stazione, si sarebbero animati come mai era acca- duto prima. Tra le tante domande depositate in municipio una si distingueva per la sua singolarità e anche per qualche scusabile errore grammaticale. Il fir- matario era infatti tale Eberhard Kanaus, svizzero tedesco, originario del cantone Appenzell In- nerrhoden. Ma a suscitare curiosità non fu certo la sua origine bensì la specialità per cui si propone- va: illusionista. Toccò al sindaco Fumagalli chiarire all’Imbevu- ti, che non aveva idea di cosa fosse, che un illusio- nista era una specie di mago, un prestigiatore in- somma. E sempre il Fumagalli, di fronte alla per- plessità del suo assessore, spiegò sorridendo che nella trama della festa un soggetto simile ci stava più che bene, anzi, benissimo. «Per una notte potrà illuderci che tutto va bene, che non è successo niente di brutto, che la vita scorre serena. Ci farà sognare un po’. Non è mica un male. Non crede?» Che l’Imbevuti si fosse lasciato convincere o no, anche il Kanaus ottenne il permesso di sistemare il proprio rideau nientemeno che nell’ambitissimo Circolo dei Lavoratori, accolto con orgoglio dall’Oste Perin. 9 Venne il giorno tanto atteso. Fin dalle ore della tarda mattinata le vie del pae- se si animarono di indigeni e foresti che respirava- no un’aria di allegria arricchendola vieppiù con la propria. Un’aria che però si andava via via satu- rando di un altro sentore, molto più corposo e pe- netrante: quello della trippa, o busecca, nel verna- colo locale, il piatto principe della serata. Piatto di tradizione, di cucina povera, ma arricchito nel tempo dalla fantasia di questo o quel cuoco. Piatto che per l’occasione nessun ristorante, dal nobile Cavallo Bianco all’altrettanto esclusivo Hotel Tommaso Grossi, si rifiutava di cucinare, sebbene fosse il pezzo forte delle varie trattorie, dalla Pra- degiana all’Osteria del Ponte fino al Trani della Lena, e naturalmente del Circolo dei Lavoratori, che la forniva anche da asporto, anticipando una modalità che avrebbe impiegato ancora anni pri- ma di divenire pratica abituale. Non tutti la gradi- vano. Certi palati aristocratici la rifuggivano altez- zosi. Ma pur schifandola, anche costoro non pote- vano negare che quel profumo che impregnava l’aria, oltre a far miagolare i gatti, segnalava il ri- torno di una festa che ridava anima al paese. L’illusionista Eberhard Kanaus del cantone Ap- penzell Innerrhoden non conosceva la busecca. Mai sentita nemmeno nominare. Ne annusò l’esi- stenza, e non avrebbe potuto evitarlo, quando fece il suo ingresso nei locali del Circolo dove il lavoro 10 preparatorio aveva preso il via già dal giorno pre- cedente. Non fu per nulla sconcertato da quell’o- dore in cui si inseriva una traccia che definire d’a- nimale non è esagerato. Anzi, vuoi per la curio- sità, vuoi per la fame, all’Oste Perin, che intanto gli mostrava a gesti dove avrebbe potuto piazzarsi godendo così della maggior visibilità, chiese in un faticoso italiano infarcito di tedesco cosa bollisse in pentola da impregnare l’aria in quel modo. «È la busecca», rispose l’Oste Perin d’istinto. E, «trippen», disse poi pensando di farsi capire me- glio. Fu così che, nonostante la perplessità linguistica, il Kanaus conobbe la trippa. «Kutteln!» esclamò quando infine capì di cosa si trattava. In verità non solo la conobbe ma l’apprezzò sin dal primo assaggio. Dopo una mezza scodella di prova, infatti, ne chiese subito un’altra però ben piena per tacitare la fame. E, sedata l’urgenza, una terza che, come disse, gli avrebbe permesso di gu- starne ogni… ogni… E, la bocca aperta a cercare la parola, sfregò le dita in aria per far intendere che si riferiva alle sfu- mature. L’Oste Perin gongolò per la soddisfazione. Eh be’, bisogna capirlo: un ospite straniero che si beava della sua cucina era pur sempre un bel ri- conoscimento, un vanto che non avrebbe dimen- 11 ticato di dichiarare davanti alla sua clientela abi- tuale. Poi, notando come il viso del Kanaus, la pancia piena, avesse assunto un roseo colorito, sorridendo e con in mano la scodella vuota com- mentò che, pur felice di averlo soddisfatto, prega- va il cielo di aver calcolato in modo corretto la quantità di trippa e verdure, perché se tutti i suoi clienti si fossero presentati armati di un tale appe- tito in quattro e quattr’otto sarebbe rimasto a sec- co, col rischio certo di creare più di un malumore e guadagnare una cattiva fama alla sua gestione del Circolo. Il Kanaus, non disdegnando l’offerta di un grap- pino, sorrise a sua volta e levò l’indice verso l’alto, richiamando l’attenzione dell’Oste Perin. «Foi ancora credete che ogni coza di qvesto mondo finirà», disse. Perché? Non è forse così?, chiese la muta espres- sione dell’Oste Perin. «Nein, nein. Absolut», dichiarò l’illusionista agi- tando il capo. «Non è possibile», affermò deciso l’Oste Perin, forte dell’esperienza e con il pensiero rivolto al pentolone dove la trippa continuava a borbottare. «Per un illuzionizta infece ja!» asserì il Kanaus. L’Oste Perin, che pensava di potersi permettere qualche confidenza con il suo ospite, dondolò la testa. «Mi state prendendo in giro?» chiese con cautela. 12 «Io non permettere mai», ribatté l’illusionista. E per dimostrargli che non si stava burlando di lui dis- se che glielo avrebbe spiegato meglio. «Azcoltate!» L’Oste Perin sapeva qualcosa della macchia di Lutero? «Lutero?» sorse sulle labbra dell’oste. Il nome… quel nome l’aveva sentito a proposito di una storia, verità o leggenda che fosse, secondo la quale un tale che si chiamava così aveva rischia- to la pelle in quel di Menaggio. «Ai tempi di carlocodega, eh!» precisò l’Oste Pe- rin. Ma chi fosse, cosa facesse e soprattutto perché, sempre che fosse vero, avesse rischiato di finire male in quel paese, lo ignorava del tutto. «Era un teologo di Germania», spiegò il Kanaus, vissuto parecchi secoli prima, e portatore di idee religiose non molto ortodosse. Ma ciò che più contava adesso, proseguì, era sapere che la vita er- rabonda dell’illusionista cui lui era costretto gli aveva fatto fare incontri a volte di estremo interes- se, grazie ai quali aveva molto imparato sull’uma- nità e sulle sue stranezze. Cosa che avevano arric- chito assai la sua arte. Un insegnamento sopra tut- ti gli altri era stato di estrema utilità: è facile illu- dere chi abbia voglia di farsi illudere. L’Oste Perin fece un cenno del capo come a vo- ler far capire di avere compreso, nonostante la fa- tica di intendersi col suo ospite. 13 In realtà non aveva capito un accidente. Non aveva parlato di una macchia poco prima? Che fi- ne aveva fatto? «Uno zolo momento», fece l’illusionista quasi gli avesse letto nel pensiero. Perché una cosa molto simile era accaduta con la macchia di Lutero, della cui esistenza era venu- to a conoscenza durante un giro di spettacoli in Turingia, passando nei pressi di Eisenach, ap- prendendo che nel castello di Wartburg quel tal Lutero… «Martin Luther», precisò il Kanaus. …già condannato per le sue idee teologiche ma vivo grazie a un falso rapimento organizzato dal principe Federico il Saggio, aveva trascorso una decina di mesi iniziando a tradurre in tedesco la Bibbia, in particolare il Nuovo Testamento nella versione latina di Erasmo da Rotterdam… L’Oste Perin contrasse il viso in una maschera interrogativa e guardò l’illusionista sbattendo le palpebre, come chi, davanti a più strade, non sia in grado di scegliere quella giusta. «Ma tutto qvesto non è importante», spazzò via con un gesto della mano il Kanaus mandando l’o- ste ancora più in confusione: perché diavolo glielo aveva raccontato, allora? «Eigen, esatto, il diafolo!» esultò l’illusionista meravigliato dall’acume dell’oste. Il punto era proprio quello. 14 L’Oste Perin si massaggiò il mento mormoran- do parole tra sé. Cosa c’entrava il diavolo, adesso? C’entrava eccome! Perché, a quanto si narrava, durante l’impegnativo lavoro di traduzione, Mefi- stofele, Belzebù o qualche altro diavolaccio del- l’inferno era andato a trovare più volte Lutero per distrarlo dal suo impegno. E lui, travolto dall’ira, desideroso di restare solo e proseguire, al fine di allontanarlo non aveva trovato di meglio che sca- gliargli contro la boccetta d’inchiostro in cui in- tingeva la penna. «E… e lui?» chiese l’Oste Perin a mezza voce perché non era sicuro di aver inteso. «Lui chi?» ribatté il Kanaus. «Il demonio, no?» fece l’Oste Perin. «Ah, certo, certo! der Teufel!» Insomma, il ma- ligno probabilmente lo lasciò in pace a un certo punto, proseguì il Kanaus, stufo di subire quegli attacchi. Il viso dell’Oste Perin assunse una maschera di delusione, avendo forse sperato in chissà quale tra- gedia, densa di colpi di scena. E poi c’era la fac- cenda della macchia! Che fine aveva fatto? Boh! Sembrava essersi persa nella narrazione dell’illu- sionista. Ma quello, come se avesse intuito un’altra volta dubbi e domande: «Fengo al punto», disse. Il risultato di questa battaglia era facile da im- maginare: schizzi d’inchiostro dappertutto, sui 15 muri della stanza, sul pavimento, sul tavolo di la- voro. Macchie che poi qualcuno avrà lavato via, mentre la storia di quei duelli, invece… «Nachtaktiv», precisò il Kanaus. «Come?» fece l’Oste Perin. «Ti puio», cercò di spiegare il Kanaus. «Notturni», accorse il Perin. «Ja», approvò l’illusionista. …la storia di quei duelli, riprese, tra il teologo e il maligno si andava gonfiando passando di bocca in bocca, acquisendo via via i contorni della verità e attraversando i secoli. Ora, in tempi più moder- ni, più razionali forse, passate in giudicato le dia- tribe eretiche e le apparizioni infernali, il castello di Wartburg è diventato meta turistica proprio per via di quella lotta, spiegò l’illusionista. «E la macchia?» chiese l’Oste Perin, soddisfatto, a un cenno del Kanaus, di aver compreso. «Ezatto!» I turisti perlopiù ignoravano le vicende umane e intellettuali di Lutero, ma erano avvinti dalla fac- cenda misteriosa dell’apparizione di un diavolac- cio, ed erano perciò curiosi di poter ammirare al- cune macchie di quell’inchiostro, segno e prova inconfutabile del combattimento. Una macchia soprattutto aveva resistito al tempo e ai lavaggi, ma aveva rischiato anche lei di scomparire, cosa che avrebbe sottratto al castello il suo richiamo più at- traente, provocando un danno economico di non 16 poco conto visto che l’ingresso era consentito solo con l’acquisto di un biglietto. A quel punto il Kanaus fece una pausa a effetto. «Foi cosa afreste fatto?» chiese poi all’Oste Pe- rin. «Be’…» borbottò questi, «ci dovrei pensare… mi farei venire un’idea…» «Appunto», confermò l’illusionista. Ci voleva un’idea, un colpo di genio. E così fu, ma non grazie alla mente di qualche scienziato, sottolineò il Kanaus. Piuttosto quella pragmatica di uno dei custodi del castello che, senza dir nien- te a nessuno, di tanto in tanto rinfrescava quel se- gno così ambito dalla curiosità dei visitatori con una passatina di volgare inchiostro di tipografia. «Capito?» chiese il Kanaus. In quel modo la macchia non sarebbe mai svanita, soddisfacendo per sempre la curiosità di chi passa dal castello per vedere il punto esatto in cui quel frate eretico lottò col diavolo. Lui pure, proseguì l’illusionista, davanti alla macchia era rimasto avvinto per qualche istante dal mistero di ciò che poteva essere accaduto in quella stanza, subendone la suggestione. Quando poi si fece conoscere dal custode di- chiarandogli la sua professione, quello si ritenne quasi in dovere svelargli l’arcano, forse perché si sentiva fra colleghi. E risero insieme poi, proprio con quella macchia sotto gli occhi, perché in fon- 17 do altro non era che un gioco di prestigio, un’illu- sione. «Ora è più chiaro?» chiese ancora il Kanaus. «In verità…» principiò a rispondere l’Oste Perin fermandosi subito, perché gli sfuggiva il nesso con la sua trippa. «Zemplice», gli venne in aiuto l’Illusionista. Temeva che in quella sera di festa la sua trippa avrebbe potuto non accontentare tutti i clienti, l’a- veva detto, no? «Ja!… cioè, sì» confermò l’Oste Perin. Ecco, avrebbe potuto imitare il custode del ca- stello di Wartburg, aiutare la trippa a non finire mai, concedere a tutti di gustarne un piatto o una scodella ben colmi usando, anziché inchiostro, ac- qua per allungare il brodo. Un espediente che, vo- lendo, poteva essere applicato a qualunque tipo di minestra. «Acqua», compitò l’Oste Perin come se pronun- ciasse una parola mai sentita prima. «Acqva», confermò il Kanaus con un sorriso. Semplicissima acqua. Un elemento di cui, aggiunse, non gli pareva che da quelle parti ci fosse carenza. 18 I libri di Andrea Vitali nel catalogo Garzanti Una finestra vistalago La signorina Tecla Manzi Un amore di zitella La figlia del podestà Il procuratore Olive comprese Il segreto di Ortelia La modista Dopo lunga e penosa malattia Almeno il cappello Pianoforte vendesi La mamma del sole Il meccanico Landru La leggenda del morto contento Zia Antonia sapeva di menta Galeotto fu il collier Regalo di nozze Un bel sogno d’amore Di Ilde ce n’è una sola Quattro sberle benedette Biglietto, signorina La ruga del cretino (con Massimo Picozzi) Le belle Cece La verità della suora storta Le mele di Kafka Viva più che mai A cantare fu il cane Bello, elegante e con la fede al dito Nome d’arte Doris Brilli. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò Gli ultimi passi del Sindacone Certe fortune. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò Sotto un cielo sempre azzurro Un uomo in mutande. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò Nessuno scrive al Federale. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò La Zia Ciabatta Un bello scherzo. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò La gita in barchetta Cosa è mai una firmetta Il maestro Bomboletti e altre storie Cosa è mai una firmetta Sua Eccellenza perde un pezzo. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò Il sistema Vivacchia. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò