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Questo documento fornisce una panoramica della psicologia sociale, coprendo concetti come la definizione del campo, le sue origini e le metodologie di ricerca utilizzate. Il documento discute anche diverse teorie chiave e figure storiche nel campo.

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PSICOLOGIA SOCIALE COS’È LA PSICOLOGIA SOCIALE - CAP 1.1, 1.5 G. Allport de nì la psicologia sociale come una scienza che ha l’obiettivo di comprendere e spiegare come i pensieri, sentimenti e comportamenti delle persone vengono...

PSICOLOGIA SOCIALE COS’È LA PSICOLOGIA SOCIALE - CAP 1.1, 1.5 G. Allport de nì la psicologia sociale come una scienza che ha l’obiettivo di comprendere e spiegare come i pensieri, sentimenti e comportamenti delle persone vengono in uenzati dalla presenza e ettiva, immaginaria o implicita degli altri Questa de nizione sottolinea come siamo animali sociali e le importanti connessioni tra persona e mondo sociale. Inoltre non è necessario che il qualcosa che in uenza sia presente, ma spesso possono essere state precedentemente interiorizzate (come le norme sociali). Inoltre ci permette di capire che studieremo le connessioni tra cognizione (processi di pensiero), stati a ettivi (sentimenti ed emozioni), e i comportamenti. In ne la psicologia sociale non vuole solo descrivere un fenomeno, ma soprattutto vuole descrivere il perché esso accada. Una delle critiche fatte a questa de nizione di G.Allport è quella che sembra ridurre la psicologia sociale solamente all’in uenza sociale. La seconda riguarda il fatto che assume che siano gli altri intesi come a livello delle persone importanti per noi, il gruppo sociale di cui sentiamo di far parte e la società che in uenzano gli individui, dimenticandosi che anche noi come singoli individui andiamo a in uenzare sia gli altri individui, sia che tutti insieme andremo poi a creare la società. I temi principali in psicologia sociale sono: Percezione sociale Auto-presentazione In uenza sociale Atteggiamenti e cambio di comportamento Performance e decision making di gruppo Relazioni inter-gruppo ORIGINI DELLA PSICOLOGIA SOCIALE La prima gura che parlò di come i problemi sociali dovrebbero essere esaminati accanto alle scienze naturali fu Comte negli anni 30 del 1800, seguito da LeBon, che pronunciò la sua Theory of Crowd Behaviour. Né Comte né LeBon erano però psicologi, ma questi furono i semi della psicologia sociale, da cui gli autori successivi iniziarono i loro studi. All’inizio del 1900 un altro passaggio venne fatto grazie alla pubblicazioni di due libri di McDougall (uno psicologo) e di Ross (un sociologo), ovvero rispettivamente “An introduction to social psychology” e "Social psychology”: questo ci permette di capire che iniziarono ad esserci sempre più psicologi/sociologi che volevano approcciare a fenomeni sociali. Il vero primo passo che sancisce la nascita della psicologia sociale come la intendiamo ora è stato fatto da Floyd Allport: egli de nisce la psicologia sociale su una base più immediata delle relazioni tra individui e società, c’è un rapporto più interpersonale, che non tiene conto dell’interiorizzazione delle norme come fece G.Allport. Dopo questa de nizione, dopo la prima guerra mondiale, iniziarono a nascere le prime teorie e ricerche importanti: Thurstone propone un’idea e un metodo su come misurare gli atteggiamenti LaPierre si accorse di come spesso ci comportiamo in modo diverso da quello che diciamo Sherif fece i primi studi sull’in uenza sociale e il conformismo La prima fase di maturazione iniziò ad esserci dopo la seconda guerra mondiale, che ebbe un grosso impatto anche sui ricercatori e gli psicologi sociali: Alcuni ricercatori e psicologi sociali europei ma di origine ebrea dovettero emigrare negli Stati Uniti, come ad esempio Lewin: egli fondò il Research Centre for Group Dynamics, MIT; una sua teoria importante fu quella secondo la quale il comportamento è funzione della persone, dell’ambiente e della loro interazione, dove per ambiente si intende quello sico e psicologico, oggettivo e soggettivo; C=f(P,A). Ci fu un interesse particolare per capire come un avvenimento del genere potesse essere successo, quindi ci fu un grande impatto sulle tematiche: Adorno e Frenkel-Brunswick riguardo alla personalità autoritaria G.Allport sui molti elementi che portano al pregiudizio Pagina 1 di 47 ff fl  fi fi ff fl  fi fi fl fl fl fi fi fi fl fi fl Asch riguardo al conformismo e ai fattori che portano le persone ad esso e sulla percezione delle persone A partire dalla metà del 1900 ci fu la oritura de nitiva della psicologia sociale, dove emersero anche nuovi argomenti: Festinger sulla teoria della dissonanza cognitiva e sul confronto sociale Zimbardo sul conformismo Muzafer and Carolyn Sherif sullo studio dei comportamenti dei bambini Stanley Milgram sull’obbedienza Negli anni ’60, ovvero durante l’era dell’attivismo, nacquero nuovi temi: la desegregazione razziale negli Stati Uniti portò a ri ettere sulla stereotipizzazione e sul pregiudizio, studi sul Weapon E ect, sull’aggressione e sull’altruismo Dagli anni ’70 entra nei temi e nelle metodologie la cognizione con gli studi di Heider sulla teoria delle attribuzioni causali per capire i comportamenti altrui, considerando gli uomini come scienziati ingenui (The Naive Scientist). Negli anni ’80 le sue teorie vennero parzialmente superate in quanto si pensava che non abbiamo risorse cognitive per acquisire tutte le informazioni, e perciò introduciamo schemi e pregiudizi per prendere decisioni abbastanza corrette che permettono di farci funzionare dell’ambiente sociale (teoria dell’avaro cognitivo, The Cognitive Miser). Questa visione è stata evoluta nuovamente con la teoria del Motivate Tactician (il tattico motivato), ovvero che non sempre abbiamo le risorse cognitive ma quando siamo motivati a fare qualcosa riusciamo a trovarle e ad avere giudizi più elaborati senza ricadere nell’uso di schemi in modo automatico All’inizio c’era una dominanza degli Stati Uniti in psicologia sociale, e c’erano diversi approcci e temi che distinguevano la psicologia sociale statunitense (stereotipizzazione e cognizione sociale) da quella europea (identità sociale e comportamenti intergruppo). Questa dominanza nel tempo si è per lo più ridotta, grazie al fatto che Serge Moscovici fondò un’associazione europea della psicologia sociale (oggi EASP) Oggi i protagonisti della psicologia sociale sono: Susan Fiske, che portò un’evoluzione del modello di Asch che riguarda gli stereotipi Mahazarin Banaji, riguardo agli atteggiamenti impliciti e sui bias non-consci METODOLOGIA DELLA RICERCA IN PSICOLOGIA SOCIALE - CAP 1.2, 1.3 1. LOGICA DELLA RICERCA EMPIRICA La psicologia sociale è considerata una scienza a causa del metodo che si pone di utilizzare, ovvero il metodo scienti co. I sistemi di conoscenze sono organizzati in teorie, ovvero una serie di principi correlati tra loro che vanno a spiegare un fenomeno. Dalla teoria, quando i ricercatori approcciano ad essa, traggono delle ipotesi, ovvero delle previsioni speci che. I ricercatori, per capire se le loro teorie sono giuste o sbagliate, valutano se le loro ipotesi sono veri cabili empiricamente conducendo delle analisi statistiche: si guarda molto il P Value, ovvero il numero che indica la probabilità di errore dovuta al caso. Per confermare le ipotesi il P Value deve essere sotto il 0.05%: Se il numero è e ettivamente più piccolo inizia ad aumentare la ducia nella teoria, che aumenta ancora di più se riusciamo a replicare più volte lo stesso e etto, in laboratori diversi e anche con strumenti e metodologie diverse (pluralismo metodologico). Se il P Value è maggiore di 0.05% lo sperimentatore deve accostare la teoria. In questo momento egli ritenta la stessa ipotesi cercando di migliorare il materiale o l’approccio metodico utilizzato. Se l’e etto continua ad essere non signi cativo serve una revisione della teoria, che porta alla formazione di nuove ipotesi. Se anche dopo la revisione i risultati rimangono invalidi c’è una de nitiva s ducia nei confronti di questa teoria. Quando si parla di testare empiricamente, ci sono molti studi diversi che si possono avere: Studi sperimentali Studi non sperimentali, che comprendono ad esempio gli studi correlazionali La scelta di quale metodologia usare dipende dal tipo di ipotesi che abbiamo formulato, ovvero se è un ipotesi di causa-e etto oppure se è un ipotesi generale che si focalizza nel vedere se c’è una relazione tra i due fenomeni, ma non è interessata a un rapporto causale. La scelta dipende molto anche delle risorse in termini di tempo e denaro disponibili, e inoltre dipende dal tipo di partecipanti che vogliamo testare. Pagina 2 di 47  fi  ff ff fi ff fl fi fi fi fi ff fi fi fi ff I ricercatori devono inoltre operazionalizzare i costrutti astratti che derivano dalla teoria (es. aggressività) in una variabile misurabile (l’aggressività la misuriamo con un test di personalità, scala di probabilità, oppure posso osservare direttamente i comportamenti del partecipante). Per misurare un costrutto posso avere diverse variabili, che si scelgono a seconda di quello che si vuole misurare e a seconda del materiale disponibile. 2. STUDI CORRELAZIONALI E LIMITI È il metodo non sperimentale più usato in psicologia sociale. Vuole stabilire se c’è una correlazione tra due variabili, che può essere un’associazione positiva (all’aumentare di x aumenta y) o negativa (all’aumentare di x diminuisce y). R di Pearson, … (uguale a psi generale). I metodi correlazioni hanno dei limiti, ovvero che non possiamo trarre delle conclusioni causali: a volte può succedere, ma non si può dare per scontato, in quanto il legame potrebbe essere inverso, potrebbe essere y che causa x e non il contrario, perché l’unica cosa che sappiamo è che c’è una semplice correlazione. La correlazione potrebbe anche essere causata da variabili minori che non abbiamo misurato, e che quindi stiamo traendo delle conclusioni erronee dicendo che una causa l’altra. 3. STUDI SPERIMENTALI Questo limite negli studi correlazioni si può superare solo portando avanti un esperimento: l’obiettivo di esso sarà quindi di stabilire una relazione causale. Abbiamo una VI=variabile indipendente che manipoliamo (esempio: ipotizziamo che se dico alle ragazze che sono donne prima di un compito di matematica esse prendono voti più bassi. Quindi manipolo la variabile dicendo questa cosa ad un gruppo di ragazze e non dicendolo alle ragazze di un altro gruppo), e una VD=variabile dipendente, ovvero la variabile misurata per la quale pensiamo che vi siano degli e etti (guardo gli errori del compito di matematica e vedo se conferma la mia ipotesi). Per fare un e etto fatto bene dobbiamo manipolare solo 1 elemento, ovvero variare solo 1 cosa e tutto il resto tenerlo uguale: aumento così la variabilità interna, ovvero la mia variabile che ho manipolato io, e riduco la variabile di confound (confusione). Il secondo aspetto è che devo cercare di mantenere altre variabili individuali dei partecipanti il più simile possibile (es. i due gruppi dove ho sperimentato la mia ipotesi sui compiti di matematica devo essere tutte brave uguali e tutte della stessa età). Questo lo si fa con la randomizzazione, ovvero l’assegnamento casuale dei partecipanti nelle condizioni sperimentali. In alcuni esperimenti abbiamo il fattore tempo manipolato entro i soggetti, ovvero quando gli stessi partecipanti rispondono due volte alla stessa domanda, e tra il prima e il dopo abbiamo una manipolazione: il chiedere due volte la domanda e nel mezzo fare una manipolazione è una variabile indipendente che viene appunto manipolata, ma esso non è un fattore tra soggetti - in quanto ogni partecipante risponde due volte e non una - ma è un fattore entro i soggetti (ad esempio viene fatta misurare l’autostima di una persona con alcune domande o con una scala, dopo le si fa vedere un pro lo Facebook con pochi like/tanti like e poi rifaccio la domanda sull’autostima). Se invece prendo due gruppi e gli faccio fare due cose diverse (a uno faccio vedere una pagina con tanti like e all’altro quella con tanti like), allora è una manipolazione tra soggetti. 4. POTENZIALI ERRORI NELLA SPERIMENTAZIONE 4.1. Mancata randomizzazione dei partecipanti 4.2. Variabili di confusione (confounding variables): Esse si hanno quando si manipola erroneamente qualche altra variabile a parte quella che bisogna e ettivamente manipolare: bisogna quindi controllare la validità interna, ovvero devo manipolare un solo fattore alla volta. Si deve inoltre prestare attenzione alla validità esterna (ecologica): i risultati dell’esperimento dovrebbero essere il più possibile generalizzabili ad altri contesti più “naturali” che avvengono nella vita di tutti i giorni. Le variabili di confusione si possono avere anche se vengono usate due diverse versioni del test che si sta somministrando: se ciò viene fatto sicuramente una delle due versioni sarà più di cile, e quindi l’ipotesi non può valere. Se ad esempio mostro ad una persona due curriculum uguali tranne che per il nome (1 maschio e una femmina) e il candidato deve scegliere quale dei due secondo lui è più adatto a un ruolo di leadership, ho due confounding variables: se mostro prima uno poi l’altro vede che è lo stesso cv, quindi per forza devo avere due gruppi separati e inoltre, Pagina 3 di 47 ff  ff ff  fi ffi se la donna è straniera, si potrebbe essere in uenzati della nazionalità. In questo caso hanno quindi manipolato due cose, in quanto il nome della donna è un nome straniero mentre quello maschile è italiano, quindi se lei è valutata come meno competente non sappiamo se è perché è donna o perché è ipoteticamente straniera. 4.3. Caratteristiche della richiesta (demand characteristics): elementi di un esperimento che sembrano richiedere una certa risposta, quindi si riesce ad indovinare dove vuole arrivare l’esperimento e ci si adegua inconsciamente a queste richieste e le risposte non sono del tutto libere da bias. Per evitarlo posso celare i veri scopi della ricerca (cover-story, ovvero si fa una storia di copertura). Alla ne devo indagare se il partecipante ha capito che è stato ingannato o se ha capito il vero scopo della ricerca (debrie ng per capire se la cover story ha funzionato). 4.4. Problema della compiacenza: un altro problema è che lo sperimentatore non deve far capire qual è la risposta che si aspetta, in quanto poi il partecipante potrebbe o compiacerlo o no e quindi non rispondere sinceramente. Questo tipo di errore viene superato ancora di più se viene fatto tutto online. 4.5. Cieling or oor e ect (e etto so tto o pavimento): creare manipolazioni o misure in cui tutte le risposte si collocano dalla stessa parte/dare contributi se uno partecipa ad un esperimento (e etto so tto) oppure creare un esperimento così impegnativo che nessuno lo farà (e etto pavimento): non c’è variabilità delle risposte se formulo male le domande o se favorisco la partecipazione o non partecipazione dei partecipanti. 4.6. Desiderabilità sociale: se faccio una domanda in cui si può rilevare una certa in uenza sociale, le persone posso essere portate a rispondere in modo da compiacere la società e non su come si sentono davvero. Il comportamento è quello quindi di conformazione ad atteggiamenti socialmente accettabili, e per ridurne l’e etto si deve cercare di rendere la misurazione discreta usando degli strumenti di misura non intrusivi, come le misure implicite, che vanno a misurare i tempi di reazione per andare ad indagare gli atteggiamenti (tra 300millisec e i 600millisec sono, si pensa, reazioni che non riesco tanto a controllare, e quindi sono quelle più spontanee, e perciò c’è un’in uenza minore della desiderabilità sociale). Un altra cosa che aiuta è rendere tutta la procedura anonima (di solito se uno fa un test online tende ad essere più sincero e a tenere meno conto della desiderabilità sociale). 5. ALTRI METODI NON SPERIMENTALI Ricerca di archivio = analizza dati che esistono già, ad esempio nel banche dati. C’è poco controllo in questo metodo. Una forma di ricerca di archivio è la metanalisi. Ricerca sul campo = osservazione nel contesto più naturale del comportamento. Essa è utile per la validità ecologica, ma se si utilizza una tecnica descrittiva ci sono tutti i bias dati dalla presenza di un ricercatore che può in uenzare le persone coinvolte e i loro comportamenti. Inoltre c’è sempre la lente dell’osservatore che codi ca lui il comportamento e quindi sarà tentato un po’ inconsciamente di manipolarli con delle sue ipotesi precedenti. Questo si può diminuire registrando la conversazione e poi chiedendo ai codi catori di valutarla. 6. ETICA DELLA RICERCA L’associazione americana APA nel 1972 introdusse dei principi per regolare cosa si può fare e cosa non si può fare ai partecipanti degli esperimenti, in quanto dopo l’esperimento di Zimbardo diverse persone subirono dei danni psicologici. L’etica della ricerca comprende 5 principi fondamentali: 1. Il partecipante non deve subire nessun danno sico e psichico quando esce dal laboratorio 2. Tutela della privacy, e quando si può si garantisce anche l’anonimato 3. Si cerca di non ingannare il partecipante, anche se spesso è necessario avere una storia di copertura. Quando viene fatta una cover story è necessario fare un 4. Debrie ng, ovvero un rapporto dettagliato dove si spiegano gli obiettivi della ricerca e si risponde ad ogni domanda del partecipante, così se prima c’è stato l’inganno si può rimediare 5. Consenso informato, il partecipante non deve partecipare sotto la costrizione di qualcuno e può abbandonare la ricerca in qualunque momento Prima di mettere in atto una ricerca si deve chiedere al comitato etico l’approvazione. Pagina 4 di 47 ff fi  fl  ff fl fi ff ffi ff ffi fi ff fl fl fi fi fi fl COGNIZIONE SOCIALE: FORMAZIONE DI IMPRESSIONI - CAP 2.1, 2.3 La cognizione sociale è una sottobranca della psicologia sociale che è emersa dagli anni 70. Essa si occupa dei processi cognitivi che avvengono quando entriamo in contatto con il mondo sociale. Come la psicologia generale, da cui è molto in uenzata, essa va a studiare i processi attraverso i quali le persone acquisiscono e organizzano le informazioni provenienti dall’ambiente sociale, le interpretano, le ricordano e che forniscono la base per le proprie azioni. Studiamo quindi come la percezione può essere diversa quando ciò che percepiamo è uno stimolo sociale. Teorie del doppio processo: Processi automatici / Top-down: sono quell’insieme di processi per cui, negli anni 80, si parlò di avaro cognitivo, ovvero di una persona che ha a disposizione risorse limitate. Questi processi sono incoscienti, veloci, automatici, intuitivi, utilizzano scorciatoie, stereotipi e schemi, e richiedono poche risorse cognitive. Si usa anche quando ci sentiamo minacciati e dobbiamo prendere una decisione veloce. Processi controllati / Bottom-up: sono quell’insieme di processi che, a partire dagli anni 90, caratterizzarono il tattico motivato, ovvero colui che usa tattiche per risparmiare energie, ma in determinate situazioni - quando la motivazione è alta - è capace di usare processi più lenti e più precisi. Questi sono processi lenti, deliberati, ponderati, analitici, sistematici, coscienti e che richiedono molte risorse cognitive. Questo processo parte dai dati per crearsi uno schema o una visione più accurata di una persona. 1. COME CI FORMIAMO IMPRESSIONI DI ALTRE PERSONE: SCHEMA GENERALE DELLA COGNIZIONE SOCIALE Usando dei principi di categorizzazione di base riusciamo a formarci delle impressioni anche se abbiamo poche notizie/informazioni di quello su cui ci stiamo formando un’impressione. Passaggi che facciamo quando incontriamo un nuovo stimolo: 1. Fase della percezione, che include la fase attentiva: questa persona quindi deve attrarre la nostra attenzione per poter attivare il resto del processo e la fase della categorizzazione 2. Farci delle inferenze e crearci un’impressione, trarre giudizi e prendere decisioni, e per farlo spesso usiamo degli schemi e conoscenze precedenti: come individui tendiamo a crearci degli schemi sulla personalità, pensando che ci siano delle caratteristiche che stanno bene con la personalità che ci piace e usiamo queste teorie per giudicare. Queste teorie di personalità sono largamente condivise dentro una data cultura, mentre solitamente ci sono di erenze tra una cultura e l’altra. A volte, invece che utilizzare schemi precedentemente introiettati facciamo degli up-date che vanno ad aggiornare le nostre teorie a seguito di esperienze: c’è quindi uno scambio tra i giudizi e le conoscenze precedenti. 2. COSA ATTRAE LA NOSTRA ATTENZIONE Per prima cosa dobbiamo notare un nuovo stimolo, una persona: questo perché il nostro sistema cognitivo è sempre bombardato da informazioni, e l’attenzione focalizzata entra in gioco per porre attenzione sugli stimoli - stimoli salienti - sono importanti per noi. Uno stimolo saliente è quindi uno stimolo che ha delle caratteristiche che lo fanno emergere rispetto agli altri stimoli: essi vengono da noi visti come i più importanti da analizzare, e sono quelli che riusciamo a ricordare meglio; gli altri stimoli o non vengono processati, o sono meno interessanti. Esempi di stimoli salienti: Stimoli inusuali o inaspettati rispetto alle nostre aspettative in un determinato contesto, come ad esempio una persona che in un determinato contesto si veste in modo diverso dagli altri Stimoli in movimento, piuttosto che quelli fermi, Stimoli in entrata piuttosto quelli che in uscita in quanto sono degli stimoli nuovi - che possono essere interessanti/delle minacce Gruppi sbilanciati, come una donna in mezzo a un grande numero di uomini Stimoli che hanno per noi una rilevanza personale - e etto “cocktail party”: abbiamo una capacità di attivare un ascolto selettivo in una situazione di rumore ogni qual volta sentiamo Pagina 5 di 47   ff ff fl degli stimoli che sono personali, come quando qualcuno nomina il nostro nome o il nome di una persona non presente e a noi cara Gli stimoli sociali che attraggono maggiormente la nostra attenzione sono i volti umani, che vengono usati per formarci impressioni e ottenere informazioni. Del volto umano l’aspetto che attrae maggiormente la nostra attenzione è lo sguardo, e gli occhi umani rispetto a quelli animali hanno una parte bianca (sclera) più grande, che quando si ingrandisce comunica paura: con gli occhi siamo in grado di percepire e trasmettere delle informazioni, quindi è importante anche da un punto di vista evoluzionistico. Questa capacità che abbiamo di codi care negli altri delle emozioni primarie avviene in maniera immediata (17millisecondi per informazioni sulla paura). Un’altra informazione è anche la direzione dello sguardo: la nostra attenzione tende a seguire la direzione dello sguardo delle altre persone, in quanto potrebbe segnalarci minacce o stimoli interessanti per noi da processare. Alcuni studi hanno dimostrato come quando lo sguardo di una persona che sta parlando con noi si sposta da un’altra parte, questo ci comunica esclusione sociale. Ingaggiare con lo sguardo le altre persone è quindi un aspetto molto importante. Studi di Todorov: dai ai volti riusciamo inoltre a farci delle inferenze (impressioni) anche riguardo ai tratti di personalità: alcuni volti ci comunicano a dabilità e altri ina dabilità. Il giudizio precoce avviene di solito entro 100millisecondi. Altri tratti che vengono inferiti sono ad esempio la competenza o la dominanza. Queste inferenze guidano l’impressione più generale che mi formo di questa persona. L’aspetto sico: l’apparenza delle persone guida molto le nostre prime impressioni, ed esse spesso guidano anche i nostri comportamenti: Baby face: persone con volti tondi, fronte alta e mento piccolo, ovvero persone con volti simili a quelli dei bambini: chi ha questo genere di volto viene visto come meno competente ma più disponibile, a dabile e caloroso. Altezza: i professionisti più alti, nel 1978, guadagnavano il 10% di stipendio in più rispetto ai meno alti. È quindi come se l’altezza trasmettesse caratteristiche di dominanza e di competenza che danno un vantaggio implicito e inconscio alle persone più alte Attraenza sica: in uno studio del 1985 uomini più attraenti sono considerati più competenti di quelli meno attraenti, mentre per le donne è il contrario, in quanto si pensa che le donne attraenti sono arrivate in una posizione di potere solo grazie alla loro bellezza e non all’e ettiva competenza. Nell’ambito della persuasione, dei comunicatori meno attraenti che dovevano far rmare una petizione erano meno fortunati rispetto all’attrarre persone per rmare la petizione rispetto alle persone più attraenti Abbigliamento: un’intervistatore con la cravatta motiva di più alla risposta di un questionario, conferendo un’idea di professionalità. Anche le donne, quando sono truccate e vestite bene, erano più brave ad ottenere delle o erte per una donazione rispetto ad delle comunicatrici meno curate. Però un abbigliamento che include delle features che presentano una ragazza in modo sessualizzato le presenta come più attraenti ma questo non le aiuta ad avere buoni punteggi di laurea, in quanto venivano viste come meno competenti (studi di Fasoli). Sovrappeso: c’è uno stigma sociale particolarmente forte e di uso che troviamo già nei bambini, per cui una persona sovrappeso viene vista come più lenta, pigra, e con meno capacità e volontà. Tendenzialmente usiamo queste prime impressioni per guidare delle decisioni, e questo stigma ha un impatto sul lavoro, sull’istruzione e sull’accesso all’assistenza sanitaria. Rispetto all’istruzione, Canning e Mayer nel 1966 hanno guidato uno studio per vedere se c’era uno stigma sulle persone sovrappeso per entrare nelle università: hanno trovato come a parità di quoziente intellettivo e numero di domande di ammissione, molte meno domande in percentuale di donne in sovrappeso erano state accettate 3. PRIMI LAVORI SULLA FORMAZIONE DI IMPRESSIONI - ASCH, 1946 Non sempre siamo chiamati a formarci impressioni di prima mano sulla base di un contatto diretto con la persona, ma può essere che altre persone ci danno informazioni su qualcuno e noi successivamente ci formiamo un’impressione. È proprio sulle impressioni basate su informazioni di seconda mano che si basarono gli studi di Asch; egli voleva capire se ogni caratteristica ha lo stesso peso e formiamo un’impressione sulla base di tutti gli elementi - e quindi abbiamo un approccio più globale, oppure se uno/due elementi attirano la nostra attenzione di più rispetto agli altri. Pagina 6 di 47 fi  fi fi  ffi ff ff ffi fi fi ffi ff Egli condusse 12 studi con un approccio sperimentale: 1. Lo sperimentatore legge una lista di tratti che descrivono un target. Egli manipola la serie di tratti letti ad alta voce, che in generale avevano due condizioni: in una i tratti contenevano una lista di tratti speci ca e nella lista 2 veniva variato solo 1 tratto 2. I partecipanti scrivono una descrizione in una risposta aperta 3. I partecipanti selezionano dei tratti da una lista per descrivere il target Esperimento 1 - legge i tratti di un target e chiede ai partecipanti di scrivere una descrizione sulla base delle impressioni: Gruppo A: Tratti: Intelligente – competente – operoso – caldo – determinato – pratico – cauto Descrizione: Uno scienziato che esegue esperimenti e persevera dopo molti ostacoli. È spinto dal desiderio di realizzare qualcosa che possa essere di bene cio alle persone. È considerato una persona saggia. Gruppo B: Tratti: Intelligente – competente – operoso – freddo – determinato – pratico – cauto Descrizione: Una persona piuttosto snob che ritiene che il suo successo e la sua intelligenza lo distinguano dalle persone comuni. Calcolatore poco umano e antipatico. Da questo primo studio possiamo trarre più inferenze: Cambiando una singola caratteristica rispetto ad una persona, questo causa una notevole di erenza sulle inferenze che ci formiamo nella persona. Asch ha proposto che vi siano dei tratti centrali che sono più importanti e che guidano maggiormente la formazione di impressioni in quanto attivano una serie di caratteristiche che sono connesse ai network semantici e che guidano maggiormente la nostra impressione. Questi tratti sono centrali perché modi cano anche il signi cato degli altri tratti (gruppo A: intelligente e caldo > persona saggia, gruppo B: intelligente e freddo > persona poco empatica) In studi successivi al posto di manipolare caldo/freddo, Asch sostituì questi due termini con diplomatico e diretto, e c'era una di erenza tra le impressioni molto meno netta: questo va al sostegno del fatto che altri tratti sono più periferici che non sono fondamentali nelle impressioni che ci creiamo Da questi studi è emersa una grossa intuizione, ovvero che la dimensione del calore possa essere una dimensione centrale nella formazione di impressioni; questi studi sono stati alle base di studi più recenti che propongono che quando ci formiamo impressioni sulle persone ci sono due dimensioni: quella del calore (Asch) e quella della competenza (introdotta da Fiske). Da qui gli stereotipi del calore e della competenza sono quelli che guidano molte dinamiche intragruppo e intergruppo. Esperimento 2 - due descrizioni di una donna: Gruppo A: intelligente, operosa, impulsiva, critica, ostinata, invidiosa Gruppo B: invidiosa, ostinata, critica, impulsiva, operosa, intelligente Asch mette gli stessi tratti ma in ordine di erente, e trova due e etti: 1. Primacy e ect: il primo tratto incontrato modi ca il signi cato di quelli successivi. Quindi se troviamo per prima cosa un tratto positivo, tendiamo a vedere in modo più positivo anche il resto del target. Questo è l’e etto più comune. 2. Recency e ect: le ultime informazioni hanno un maggiore peso. Questo accade quando siamo distratti. COGNIZIONE SOCIALE: LA CATEGORIZZAZIONE - CAP 2.2 E STEREOTIPI CAP 4 La categorizzazione parte da un bisogno primario di organizzare gli stimoli di qualsiasi tipo a partire anche da concetti astratti - come il tempo che è stato diviso in minuti, ore, giorni, anni. Questo avviene anche quando incontriamo degli stimoli sociali: la categorizzazione è quindi questa tendenza innata a rendere delle variabili sociali che sono continue in variabili categoriche: è quindi come mettere le persone in scatole in modo da poterle organizzare meglio nella nostra memoria e per elaborare meglio gli stimoli che percepiamo. Questo accade ad esempio per l’etnia o per il colore della pelle: categorizziamo le persone come appartenenti al gruppo dei bianchi, dei multirazziali e di tutte le persone che facciamo rientrare nella Pagina 7 di 47 ff  ff ff  fi fi ff ff ff fi fi ff fi fi categoria asiatici. Questo è uno dei processi normali e innati che spiegano dei fenomeni che possono diventare problematici - come gli stereotipi. Tajfel ha creato un laboratorio per lo studio della categorizzazione, ed egli ci dice che la categorizzazione e l’applicazione egli stereotipi ci aiuta a ridurre la complessità dei nostri ambienti sociali: entrambe sono qualcosa di prevalentemente cognitivo e che quindi non ha una valenza né positiva né negativa. In seguito stereotipizziamo le persone per risparmiare energie cognitive e per non sentirci sopra atti ogni volta da nuovi stimoli. 1. FARE DIVENTARE CATEGORICO QUELLO CHE È CONTINUO 1.1: Principio di accentuazione di Tajfel e Wilkes: Mostrano ai partecipanti 6 linee di diversa lunghezza ma con un incremento del 5% costante. Ci sono 3 condizioni sperimentali: 1. Classi cazione: un gruppo vede le linee e una lettera, ed esse sono disposte in un modo che le 3 più corte sono A e quelle più lunghe B: A A A B B B 2. Controllo: nessuna lettera 3. Casualità: lettere casuali Quello che viene misurato sono le stime che facevano i partecipanti rispetto alla lunghezza delle linee, e nella prima condizione sperimentale trovarono che: Venivano accentuate le di erenze tra la linea più lunga del gruppo A e quella più corta del gruppo B: la di erenza veniva vista più del doppio della normale tendenza. Questo perché il cambio di lettera da A a B segna lo stacco tra due categorie diverse (le linee A e le linee B) Vedevano in modo più simile di quanto fossero realmente le linee entro i gruppi A e B Da questo esperimento si può concludere come c’è un’accentuazione della di erenza intercategoriale e una similazione all’interno dello stesso gruppo, quindi intracategoriale. Se astraiamo questo principio ai gruppi sociali, il principio di accentuazione si tende a usare, anche se inconsciamente, ogni qual volta si categorizza: si tende a vedere il gruppo uomini e donne come molto diverso e a vedere i membri dello stesso gruppo come più simili tra di loro. Con questo principio di accentuazione si spiega perché vi sia la perpetrazione di stereotipi negativi. 1.2 Who said what - categorizzazione automatica di Fiske e colleghi: In questo esperimento viene manipolato il genere oppure l’etnia: mostrano una discussione tra 3 partecipanti uomini e 3 donne e poi, chiedendo chi aveva detto quale frase, misurarono il tipo di errori che commettevano i partecipanti: volevano vedere se erano intercategoriali (se confondevano uomo con una donna) o oppure errori intracategoriali (ovvero donna confusa con un’altra donna). I risultati mostrano come ci sono più errori dell’ultimo tipo, e questo perché categorizziamo i due gruppi in uomini e donne, ma una volta che dobbiamo scegliere all’interno di una categoria ci confondiamo. Questo dimostra quindi come categorizziamo - anche per avere un vantaggio - in modo automatico anche in situazioni nelle quali non sembra utile. Le categorie sono impresse nella nostra memoria e in uenzano il modo in cui ricordiamo delle informazioni. 2. IMMAGINARE LE CATEGORIE ATTRAVERSO PROTOTIPI O ESEMPLARI Il primo approccio è che le categorie vengono organizzate attraverso un prototipo ideale che ha la funzione di rappresentante della data categoria (di una donna ad esempio), e il nuovo esempio con cui vengo in contatto lo categorizzo sulla base di quell’idea astratta (prototipo dello psicanalista come una persona astratta). Si usa questo approccio quando è la prima volta che entriamo in contatto con una certa categoria. Il secondo approccio è che, per categorizzare, utilizziamo degli esemplari reali della categoria (persone reali e non idee immaginarie) - che spesso però vengono un estremizzati. Si usa quando abbiamo già familiarizzato con quella categoria. Pagina 8 di 47 fi   ff ff fl ff ff 3. QUALE CATEGORIA VIENE ATTIVATA? - CATEGORIZZAZIONE INTERMEDIA Le categorie si possono attivare a diversi livelli di complessità (donna, oppure docente donna, oppure docente donna veneta, …). La domanda che si sono posti è quale utilizziamo mediamente in modo automatico. La categoria che viene attivata è quella più saliente, che quindi emerge maggiormente rispetto a quello speci co contesto (in questo caso docente donna, non donna veneta). Il contesto, quindi, guida la scelta della categoria. Inoltre in generale quello che accade è che tra tutti i livelli di categorie che possiamo usare tendiamo a usare un livello intermedio, e qui si parla di categorizzazione intermedia (studi di Rosh): una donna con un camicie tendiamo a categorizzarla come medico (intermedio), non come cardiologa (troppo speci co) o come professionista sanitaria (troppo generico). 4. CATEGORIZZAZIONE ASIMMETRICA La categorizzazione asimmetrica è legata all’e etto dell’ipodescenza, che ci accade quando veniamo a contatto con delle persone che hanno un’etnia mista - questo lo inferiamo dal colore della pelle o da alcuni tratti somatici - e quello che tendenzialmente facciamo è di categorizzarlo come appartenente all’etnia di minoranza. Ad esempio, se vediamo una persona appartenente ad un’etnia mista e siamo indecisi se categorizzarlo come nero o come bianco, tendiamo a dire che è nero, anche se si trova in mezzo tra i due e potrebbe benissimo essere entrambi (è il caso di Obama). Basta quindi che non notiamo subito una caratteristica saliente che ce lo fa riportare come appartenente all’etnia di maggioranza che lo categorizziamo come appartenente all’etnia di minoranza. Anche l’ipodescenza può avere una base cognitiva: essa può essere ricondotta a una teoria dell’attenzione, in quanto noi apprendiamo le categorie a partire dalle caratteristiche della maggioranza. La categoria della minoranza viene acquisita come di erenziazione della maggioranza: è quindi tutto quello che devia dalla maggioranza. In una situazione dove c’è un’ambiguità l’attenzione selettiva viene posta su quelle caratteristiche che distinguono la minoranza dalla maggioranza. Ecco perché viene resa più saliente la minoranza della maggioranza, e quindi una persona che è di etnia mista nisce per essere categorizzata come minoranza, in quanto le di erenze intercategoriali diventano più salienti. Degli studi hanno dimostrato come questo fenomeno sia una conseguenza della categorizzazione, e quindi è frutto di come noi apprendiamo le categorie e perciò anche di un comportamento di base senza accezioni negative e di cui tutti cadiamo vittime. 5. SCHEMI E SCRIPT Una volta categorizzato uno stimolo in modo automatico vengono attivati degli schemi, che a loro volta guidano le nostre decisioni e potenzialmente anche i comportamenti. Fiske e Taylor de niscono lo schema come un insieme coerente di cognizioni interconnesse (stereotipi, …) che ci consentono di comprendere velocemente una persona, una situazione, un evento o un luogo sulla base di informazioni limitate. Gli schemi sono basati su conoscenze che ho acquisito in passato venendo a contatto con quella categoria - e quindi si aggiornano. Essi ci permettono di interpretare una situazione o di colmare delle informazioni che ci mancano, soprattutto quando veniamo in contatto con uno stimolo o una persona nuova. Abbiamo diversi schemi: Schemi speci ci riferiti a persone speci che come amici e parenti, e ogni volta che li vediamo aggiungiamo informazioni che arricchiscono lo schema Schemi di ruolo, ovvero delle caratteristiche che di solito dovrebbe avere una persona che ha un certo ruolo (come mi aspetto che sia un medico), e questo guida anche le mie aspettative (come ad esempio sul tipo di domande che mi aspetto di ricevere da un medico) Pagina 9 di 47 fi  fi  fi fi ff fi ff fi ff Schemi di gruppo:, come ad esempio uno schema relativo alle caratteristiche di una classe. Se questo schema che mi creo dovesse diventare condiviso dalla mia cultura e società, allora esso diventa uno stereotipo: Gli stereotipi sono quindi schemi di gruppo condividisi da tutti. Schema di sé: schema più complesso, modo in cui rappresentiamo noi stessi a noi stessi Script: schemi riguardanti eventi o situazioni. Abbiamo uno script su come ci si comporta/cosa ci dobbiamo aspettare quando abbiamo a lezione, che è diverso da quello che facciamo a ristorante o a una festa. 6. SVILUPPO DEGLI SCHEMI E DELLE CATEGORIE Si sviluppano con le istanze con cui veniamo in contatto: Esperienza diretta: aggiorniamo sempre di più lo schema di una persona ogni volta che la vediamo Esperienza indiretta, da situazioni non vissute in prima persona ma lette/viste in internet ecc. Gli schemi che usiamo più spesso diventano cronicamente accessibili, ovvero sono disponibili nella nostra mente in modo più facilitato, tanto da essere attivati anche in modo incosciente e automatico, e tanto anche da guidare quello che noi vediamo come saliente in una stanza: gli schemi che usiamo molto spesso guidano quindi anche i nostri processi attentivi. 7. CAMBIAMENTO DEGLI SCHEMI Gli schemi sono piuttosto rigidi ed è abbastanza di cili cambiarli, e questo riguarda anche stereotipi negativi. Ci sono 3 principali modi per cambiare uno schema: 1. Bookkeeping: ogni volta entriamo in contatto con una persona o un evento che disconferma il nostro schema, piano piano il nostro schema muta e quindi è come se lo schema è in costante aggiornamento, e diventerà molto diverso quando saremo venuti a contatto con molte persone/eventi diverse 2. Conversione: le esperienze che di eriscono si accumulano e si arriva ad una disconferma massiccia del nostro schema originario; solo a quel punto c’è un drastico cambiamento dello schema 3. Subtyping / formazione di sottotipi: manteniamo il nostro schema originario ma creiamo delle eccezioni di cui fanno parte tutti i casi che di eriscono dal nostro schema. COGNIZIONE SOCIALE: LE EURISTICHE - CAP 2.4.2 Le euristiche sono delle scorciatoie cognitive che usiamo per prendere decisioni che sono - nella maggior parte dei casi - abbastanza corrette e molto veloci, quindi ci fanno risparmiare risorse cognitive (avaro cognitivo). Noi infatti abbiamo una memoria a breve termine piuttosto limitata, mentre quella che abbiamo potenzialmente illimitata è la memoria a lungo termine. Conviene quindi assimilare e memorizzare quanto più velocemente possibile dei pattern/esemplari con cui veniamo in contatto, in modo tale poi da organizzarli in schemi per poi riprenderli dalla nostra memoria in modo facilitato e usarli quando entriamo in contatto con una nuova persona o quando dobbiamo prendere una decisione. I più grandi studiosi delle euristiche sono Kahneman e Tversky - che hanno proposto le prime tre. 1. EURISTICA DELLA DISPONIBILITÀ Stima di frequenze / probabilità basate sulla facilità con cui gli esempi vengono in mente, in quanto più facilmente mi ricordo un esempio legato a quella cosa più penso che quell’esempio sia molto di uso (generalizzo), e quindi da lì baso la mia stima. Questa euristica segue il principio per cui se incontro più esempi nella mia vita di tutti i giorni di persone il cognome che inizia con la M, è più facile che abbia immagazzinato tutti questi esempi di cognomi, e se devo fare una stima se è più probabile incontrare cognomi con la M o con la N generalizzo e - sulla base della mia esperienza - dico M. L’euristica della disponibilità è quindi basata sul senso soggettivo di facilità di recupero di esemplari (accessibilità) per stimare la frequenza: essa però non sempre è determinata solo dalla frequenza reale, ma ci sono altri fattori che ci portano a richiamare alla memoria facilmente degli esemplari: Pagina 10 di 47   ff ff ff ffi 1. Salienza: ci porta a sovrastimare il rischio di morte dovuto a omicidi o tornadi a causa dell’impatto dei media, anche se è più probabile morire per il diabete o per un attacco d’asma: spesso sbagliamo le stime perché - a causa dei media - usiamo l’euristica della disponibilità. Inoltre, ad esempio, i media ci bombardano con casi di cronaca nera riguardanti i poliziotti e quindi pensiamo che il loro lavoro sia più pericoloso di quello dei taglialegna - per cui non vediamo mai nessuna notizia di cronaca - anche se non è così. 2. Rilevanza personale: ci ricordiamo molti più esempi di azioni che abbiamo fatto noi, e che hanno una rilevanza per noi, rispetto a quelle che hanno fatto gli altri. La rilevanza personale è usata in medicina: i medici tendono a sovrastimare la probabilità di morte nella propria disciplina e nel reparto in cui lavorano in quanto loro si ricordano maggiormente i pazienti che loro hanno visto morire in reparto e non pensano agli altri. Quindi la salienza e la rilevanza personale incidono sulla facilità di recupero delle informazioni - e quindi ci può portare, in alcuni casi, a fare degli errori. 2. EURISTICA DELLA RAPPRESENTATIVITÀ Si basa sulla a tendenza a giudicare la probabilità che un dato stimolo (persona) appartenga ad una data classe (categoria sociale) in base al giudizio su quanto lo stimolo sia rappresentativo/tipico/ assomigli a quella data classe. Spesso questo ci porta a ignorare la numerosità campionaria (baseline fallacy) e ci porta a s dare la probabilità: se diamo la descrizione di una persona fredda e molto studiosa e ci viene chiesto cosa pensiamo che studi, viene da dire economia - ignorando il fatto che gli studenti di economia sono molto minori di quelli di psicologia a Padova, e quindi è statisticamente molto più probabile che studi psicologia. Questa euristica è applicabile anche al caso: abbiamo l’idea che il caso sia una sequenza alternata, anche se non è assolutamente giusto pensare che sia sempre così: nessun caso è più probabile dell’altro visto che stiamo parlando - appunto - del caso. A volte però scegliamo secondo la nostra idea del caso, ovvero di qualcosa che fa cose alternate. 3. EURISTICA DELL’ANCORAGGIO Quando dobbiamo fare una stima ci viene naturale partire da un’ancora e da un dato che ci viene dato anche se esso è irrilevante, e ci facciamo in uenzare da esso per prendere una decisione. Studio di Englich e colleghi: viene inventato un caso di stupro molto realistico e viene chiesto ai partecipanti - divisi in due gruppi - secondo loro quanti anni sono stati dati allo stupratore. Al primo gruppo viene chiesto se saranno “superiore o inferiore a 1 anno” (ancora = 1 anno), e al secondo se saranno “superiori o inferiori a 3 anni” (ancora = 3 anni). I risultati dei due studi messi assieme mostrano che il gruppo che ha ricevuto l’ancora più bassa (1 anno) ha dato una risposta signi cativamente più breve di chi ha ricevuto l’ancora alta (3 anni). 4. EURISTICA DELL’AFFETTO Proposta da Slovic e colleghi, relativa alle nostre relazioni a ettive: ogni volta che veniamo a contatto con uno stimolo esso ha un impatto anche a livello emotivo/a ettivo, e questa reazione a ettiva ci guida spesso anche delle decisioni più complesse. Questo lo si può vedere con i rischi ambientali o con i bene ci/costi di una nuova tecnologia: nel primo caso la paura può portarci a sovrastimare la probabilità di un evento climatico che ci porti alla morte, mentre per il secondo esempio si mostra come persone che hanno una visione positiva della tecnologia vedessero come più probabili i bene ci che i costi di essa, mentre chi ha un’idea negativa della tecnologia proponeva stime che riguardavano più costi che bene ci. Studio di Strack e colleghi: per capire se quando richiamiamo degli stati a ettivi negativi (foto due) essi ci guidino anche nella percezione dell’evento successivo, chi tiene la Pagina 11 di 47 ff  ff fi fl  fi fi fi fi ff ff penna tra i denti attivando i muscoli facciali del sorriso e della positività vedeva come più divertenti i fumetti rispetto a chi teneva la penna con il muso e quindi con uno stato a ettivo più negativo. COGNIZIONE SOCIALE: ATTRIBUZIONI CAUSALI - CAP 2.5, 2.6 Sono quelle che facciamo ogni volta che cerchiamo delle spiegazioni a un comportamento o ad un evento esterno. 1. CONTRIBUTO DI HEIDER Cercare le cause del comportamento è un’azione innata e automatica che facciamo: questa è un’intuizione di Heider, ed egli partì dall’idea che noi come individui ci approcciamo a questa ricerca delle cause come degli scienziati ingenui, ovvero in modo ragionato, prendendo in considerazione vari fattori, e poi giungendo ad una conclusione. Le posizioni di Heider dopo sono state superate, ma a partire dalle sue intuizioni è partita una ricerca più speci ca sulle attribuzioni causali. Contributi di Heider: Intuire che noi assumiamo sempre che il comportamento degli altri non sia casuale ma sia motivato, e ricercarle ci rende poi l’ambiente più prevedibile e controllabile Dei comportamenti quello che ci interessa è trovare gli aspetti stabili e duraturi, che quindi si replicano Propone che noi tendiamo a darci due tipi di spiegazioni: o attribuiamo i comportamenti a una disposizione interna della persona (personalità, intenzioni, motivazioni interne) oppure il comportamento può essere causa del contesto/pressione sociale (motivazioni esterne) Quali eventi richiedono una spiegazione? Eventi inaspettati o sorprendenti, che contraddicono le nostre aspettative Eventi negativi Rilevanza personale (eventi che ci riguardano a livello della società, come eventi che riguardano il nostro paese, soprattutto se sono recenti) Eventi salienti: ci sono delle cose che diamo per scontato, come la pace, che per noi è solitamente uno sfondo e quindi non ci chiediamo come mai ci sia. Quando invece scoppia una guerra ci chiediamo come mai ci sia in quanto è un evento che si stacca dallo sfondo Cambiamenti, sia nella società sia che nella singola persona Gruppo di basso status, in quanto usiamo i comportamenti del gruppo ad alto status come una sorta di standard di confronto: tutte le persone che si comportano in modo diverso dal mio gruppo ci fanno chiedere il perché dei loro comportamenti. A causa di questo ci sono dei bias, come ci sono i “Women’s studies”, ma non ci sono gli studi riguardanti agli uomini: essi sono degli standard di confronto rispetto alle donne Potenziali di erenze culturali: le nostre spiegazioni cambiano da cultura a cultura e da momento storico a momento storico, ma quello che si suppone che rimanga stabile è il processo che ci porta a quell’intuizione. 2. IL MODELLO DI COVARIAZIONE DI KELLEY Riprende Heider per il fatto che ci comportiamo come scienziati ingenui e usiamo il buon senso nché non giungiamo ad una spiegazione. Il modello che propone Kelley è che per sviluppare delle teorie sul comportamento degli altri tendiamo a cercare degli elementi che covariano l’uno con l’altro; le domande che ci poniamo riguardando: Coerenza: ci chiediamo se la persona che sta agendo in quel momento agirebbe sempre nello stesso modo Distintività: ci chiediamo se questa persona agirebbe nello stesso modo in altre situazioni e con altri stimoli. Ci chiediamo quindi se quel comportamento si distingue o meno dal comportamento standard di quella persona Consenso: ci chiediamo come reagiscono le altre persone rispetto a quello stesso stimolo Pagina 12 di 47 fi  ff  fi ff Critiche al modello di Kelley: Modello estremamente logico: non è detto che mettiamo in atto tutta questa sequenza di domande e non è detto che prima di agire lo facciamo sempre consapevolmente e con uno scopo Abbiamo una limitata capacità di calcolare le covariazioni Ricerche mostrano che non andiamo sempre a calcolare il consenso Il modello sottovaluta delle distorsioni cognitive: spesso usiamo schemi che abbiamo acquisito invece di porci queste domande 3. ERRORI (BIASES) NELL’ATTRIBUZIONE CAUSALE Infatti questo modello prende come vero che agiamo sempre razionalmente, ma in realtà le attribuzioni causali non sono mai “neutre”, ma ri ettono distorsioni cognitive e motivazionali (incolpare, spostare la responsabilità, …). Bias nelle attribuzioni causali: 1. Errore fondamentale di attribuzioni (correspondance bias) di Harris e Jones: mostra come, quando osserviamo il comportamento altrui, guardiamo soprattutto le motivazioni interne. I due fanno un esperimenti: mostrano a un gruppo un discorso a favore di Castro e a un gruppo un discorso contro di lui; a un gruppo inoltre dicono che questo discorso era stato scritto per libera scelta, mentre all’altro dicono che chi ha scritto il discorso era stato obbligato a farlo pro oppure contro Castro. I partecipanti dovevano indovinare qual era la posizione dello scrittore. Quelli che sapevano che aveva preso quella posizione liberamente, dicevano che era favorevole se avevano letto il discorso pro e sfavorevole se avevano letto il discorso contro. Per quanto riguarda le persone che sanno che lo scrittore è stato obbligato, teoricamente essi dovrebbero mettersi in condizione a metà tra il pro e il contro, perché logicamente non avevano strumenti per valutare la vera posizione dello scrittore. Quello che trovano, però, è che quello che tendono a fare è comunque utilizzare le informazioni date e inferire qualcosa rispetto alle posizioni dello scrittore, anche se sapevano che egli era stato obbligato a farlo. Quindi anche se nel secondo caso non dovremmo usare il discorso per fare un’inferenza, abbiamo lo stesso questa tendenza a riferirci a disposizioni interne. 2. Bias attore-osservatore: evoluzione del primo bias. È la tendenza a vedere le azioni degli altri come causate da disposizioni interne e le proprie come causate dalla situazione (attribuzioni esterne), anche quando spiego le stesse azioni. Spiegazioni: Centro dell’attenzione: quando osserviamo gli altri, siamo attirati maggiormente dal comportamento delle persone, e lo sfondo su cui sta avvenendo quel comportamento è sfocato Asimmetria dell’informazione: rispetto a noi stessi abbiamo più conoscenza e sappiamo che i nostri comportamenti possono essere dovuti anche al contesto 3. Falso consenso: tendenza a considerare il nostro comportamento più di uso di quanto lo sia e ettivamente. Spiegazioni: Base line: tendiamo a circondarci di persone che la pensano come noi e si comportano come noi Salienza della propria opinione: il nostro sé e le nostre opinioni sono più importanti rispetto a quelle degli altri Motivazionale: è bello credere che anche altri siano simili a noi, in modo da pensare che viviamo in un mondo più stabile e prevedibile e per avere un consenso sulle nostre azioni 4. Self-serving biases: tendenze sistematiche a vantaggio del sé (bias motivazionale) 1. Self-handicapping (strategia auto-lesiva): fare un’attribuzione esterna pubblicamente per anticipare una prestazione scadente ancora prima che essa accada. Questo bias ha lo scopo di proteggere l’autostima, e in alcuni casi arriviamo addirittura a costruirci degli impedimenti apposta per riuscire poi a giusti care una prestazione scarsa. Questo bias è stato studiato da Berglas e Jones, in cui a un gruppo di partecipanti veniva dato un compito e gli veniva detto che aveva soluzione, all’altro gruppo che non l’aveva. Tutti dopo ricevevano un feedback che avevano fatto bene. Prima del secondo problema o con soluzione o senza, veniva data la possibilità di scegliere tra due medicine da prendere, anche se in realtà non aveva nessun principio attivo. Una pensavano fosse una medicina che aumentava le facoltà cognitive, l’altra che interferiva con le capacità cognitive. A chi viene dato l’esercizio dicendo che era risolvibile prendono la medicina che migliora la Pagina 13 di 47 ff   fi fl ff prestazione per riconfermare il loro successo, mentre quelli che erano nella condizione di non risolvibile hanno scelto di prendere la medicina che ostacolava la prestazione perché prevedevano che la prima volta erano stati fortunati mentre la seconda volta, per proteggere la loro autostima, sceglievano il medicinale che gli avrebbe permesso di giusti care il loro possibile fallimento. 2. Self-enhancing and self-protecting: I successi positivi vengono attribuiti a cause interne e disposizionali, mentre i fallimenti vengono attribuiti a cause esterne e situazionali per proteggere la nostra autostima. In questo sono emerse delle di erenze di genere, per cui gli uomini usano questi biases di più delle donne, e anche come le persone depresse tendono ad avere un’attribuzione più corretta e realistica 3. Ultimate attribution error: self-service bias a livello di gruppo, per proteggere l’immagine che abbiamo di noi, e che è molto collegata a quella del nostro gruppo: In-group: Comportamenti positivi dei membri del mio gruppo > disposizioni interne Comportamenti negativi del singolo > esternalizzato e causato da motivazioni esterne Out-group: facciamo il contrario rispetto all’in-group Comportamenti positivi > dovuti al contesto e a cause esterne Comportamenti negativi > comportamenti stabili di quel gruppo, li attribuiamo a cause interne 4. MODELLO TRIDIMENSIONALE DI WEINER Si rifà all’idea dell’individuo come scienziato ingenuo e prende in considerazioni tre aspetti per spiegare successi e insuccessi: Locus: motivazione interna/esterna Stabilità: se questo aspetto interno/esterno si ripete nel tempo o è un’eccezione Controllabilità: se questo aspetto è dovuto a una qualità innata della persona oppure se è dovuto al suo impegno per raggiungerlo È uno schema complesso ed è stato criticato in quanto la controllabilità è qualcosa non viene quasi mai controllato, e si suppone inoltre che ci sia un approccio del tutto razionale e deliberato, cosa che quasi mai accade in quanto abbiamo sempre i nostri schemi automatici di attribuzione che ci aiutano a intuire i potenziali perché dei comportamenti. Questo modello ci aiuta però a predire comportamenti futuri, e possiamo applicarlo anche a nostri successi o insuccessi: Se attribuiamo un nostro insuccesso scolastico ad una nostra mancanza di intelligenza, stiamo colpendo un aspetto interno e stabile: questo in futuro porterà ad arrenderci Se invece attribuisco un insuccesso a una causa di interna ma instabile, come al fatto di non aver studiato abbastanza, questo in futuro potrà portarmi a impegnarmi di più STEREOTIPI: CONTENUTI E ORIGINI - CAP 2.2 1. DEFINIZIONE DELLO STEREOTIPO Ci sono numerose de nizioni: Credenza esagerata associata ad una categoria Struttura cognitiva che contiene la coscienza, le credenze e le aspettative a proposito di un gruppo sociale Sono credenza circa gli attributi personali condivisi dagli altri individui che appartengono ad un particolare gruppo Le caratteristiche in comune degli stereotipi sono: Presenza di un consenso sociale, sono condivisi (si vengono a creare anche quando uno schema di gruppo viene condiviso da tutti): questa idea è stata studiata nel 1933 da Katz e Braly: gli viene chiesto si assegnare una serie di caratteristiche ad una serie di gruppi sociali. Hanno trovato come il 47% degli studenti concordava sul fatto che le persone turche fossero crudeli e spietate, anche se nessuno di loro aveva mai fatto conoscenza con una persone proveniente dalla Turchia. Visione sempli cata dei gruppi Pagina 14 di 47 fi   fi fi ff Valutativi (spesso dispregiativi) ma non completamente sbilanciati: lo stereotipo nero- americano viene visto come una persona con masse capacità intellettive ma bravo nella musica e atletico, oppure lo stereotipo tedesco è quello di persona rigida e militarista ma anche precisa e attenta all’ambiente Facciamo largo uso di questi stereotipi in quanto abbiamo risorse cognitive illimitate ed essi ci fanno risparmiare tempo - in quanto sono molto veloci - ed energie cognitive. Gli stereotipi ci aiutano anche a fare previsioni sul comportamento delle persone e ci aiutano a regolare il nostro comportamento. A volte essi sono e caci e ci fanno prendere delle decisioni corrette - e per questo continuiamo ad usarli - ma altre volte sono poco accurati. 2. LE DIMENSIONI FONDAMENTALI DEGLI STEREOTIPI Stereotipe Content Model di Fiske e colleghi: propongono che quando ci facciamo un’idea di qualcuno tendiamo a farlo considerando due dimensioni: Calore umano, in quanto ci chiediamo: è un amico o un nemico? Coopera o compete con il mio gruppo? Competenza, in quanto ci chiediamo: è in grado di danneggiarmi? È di alto o basso status? La dimensione di competitività e lo status sono quindi fondamentali per la valutazione di un certo gruppo. Trovano inoltre che tendiamo a creare 4 classi attorno alle dimensioni competenza e calore: Dimostrano che le diverse combinazioni predicono diverse reazioni emotive: HW(alto calore)-HC(alta competenza): li vediamo con ammirazione e orgoglio e predicono comportamenti di facilitazione attiva e passiva (li aiuto nel caso o non impedisco che questi gruppi chiedano nuovi vantaggi) LW-HC: li vediamo con invidia e predicono comportamenti di facilitazione passiva e danno attivo (gruppo di cui non ci si può dare, quindi aggressività in determinate situazioni o per quieto vivere non impedisco un loro obiettivo) LW(basso calore)-LC(bassa competenza): proviamo disprezzo / disgusto e predico un comportamento di danno sia attivo che passivo (comportamenti aggressivi o mi oppongo al raggiungimento di nuovi diritti) HW-LC: proviamo compassione e predico comportamenti di facilitazione attiva (li aiuto) e danno passivo (non c’è aggressività ma in modo indiretto ne impedisco il raggiungimento di un obiettivo o di un nuovo diritto) 3. ORIGINI COGNITIVE Principio di accentuazione: tendo a vedere due gruppi più diversi di quanto lo siano davvero e due membri di uno stesso gruppo più simili di quanto sono davvero Correlazione illusoria: tendiamo a fare inferenze basate su associazioni. Se abbiamo imparato dai media che le persone sovrappeso hanno una scarsa istruzione, se incontriamo una persona sovrappeso infereremo che ha una bassa istruzione. C’è inoltre una tendenza a vedere le minoranze come negative in quanto - in uno studio di Hamilton e Gi ord - sovrastimavano i comportamenti negativi del gruppi di minoranza. È più facile stereotipizzare in modo negativo e che ci sia una correlazione illusoria tra negatività dei comportamenti e numerosità del gruppo perché: Comportamenti negativi sono più salienti dei positivi Mantenimento di una buona percezione del proprio gruppo (i gruppi di minoranza sono visti come out-group e quindi come negativi in quanto si preferisce l’in-group) 4. ORIGINI SOCIALI Gli stereotipi vengono imparati n da piccoli a causa dell’in uenza della famiglia, il contesto scuola in cui cresce (pari e insegnanti), ma anche da libri, televisione, giochi e dai media. Rispetto a dove arrivano gli stereotipi di genere, Alice Eagly propone la teoria dei ruoli sociali, per cui gli stereotipi arrivano dai diversi ruoli che vengono assegnati agli uomini o alle donne nella società: impariamo gli stereotipi in quanto vediamo le donne che tendono a prendersi cura dei Pagina 15 di 47   fi fi ffi fl ff bambini, mente gli uomini tendenzialmente ricoprono luoghi più di leadership. Questo è quello che porta a considerare la categoria delle donne come più calorosa, socievole e un po’ meno competente degli uomini, che esprimono la competenza e le capacità, anche se non si occupano di badare ai bambini - e che quindi vengono visti come meno calorosi, meno socievoli e eventualmente meno morali e a dabili. Qua abbiamo un aspetto biologico da cui potrebbe essere partito lo stereotipo, in quanto le donne possono procreare ed allattare, quindi sono quelle che curano di più il bambino; l’uomo invece è più forte sicamente. Oggigiorno c’è stata una riduzione del gap dal punto di vista della competenza, mentre rimane molto quello nella dimensione del calore e quindi dei successivi comportamenti legati a quella dimensione. Studio condotto da Eagly e Sta en per capire i ruoli sociali. Ad un gruppo di uomini e a uno di donne viene descritto un target dove le uniche informazioni erano il sesso e il tipo di lavoro. 3 condizioni sperimentali: 1. Target casalingo 2. Target lavoratore 3. Viene detto solo il sesso del target I partecipanti dovevano attribuire dei tratti mascolini e femminili ai target; nella condizione dove c’era informazione solo sul sesso si sono basati sulle credenze di quali sono i tratti tipici dei maschi e delle femmine. È interessante quando invece viene detto il tipo di ruolo della società: il target maschile viene visto come più femminile quando descritto come casalingo, e abbiamo la di erenza contraria una donna - de nita più mascolina - quando de nita come lavoratrice al di fuori della casa. Questo dimostra come il ruolo che viene ricoperto nella società sposti lo stereotipo della persona. Un altro esperimento simile è stato condotto descrivendo un’isola dove esistevano due etnie - A e B - che contengono un numero uguale di maschi e femmine. Viene detto che l’etnia A si occupa di cura e quella B di agricoltura e caccia. Devono attribuire anche qua dei tratti sterotipici mascolini e femminili: hanno trovato che alle persone del gruppo A vengono attribuiti più tratti femminili mentre nel B più tratti maschili. STEREOTIPI: ACCURATEZZA, OMOGENEITÀ DELL’OUT-GROUP - CAP 3, 7.2, 5 1. GLI STEREOTIPI SONO ACCURATI? Studio di La Pierre negli anni 30, che si è so ermato sugli stereotipi relativi agli Armeni: vengono de niti come parassiti del welfare degli Stati Uniti e come sfaticati, senza un lavoro sso e dipendenti dallo stato per il loro sussidio. Egli ha interpolato questi stereotipi a ancandoli a dei dati veri, dove in realtà le banche si dano di loro e hanno un lavoro. La Pierre quindi conclude che gli stereotipi sono delle generalizzazioni semplicistiche per quanto riguarda soprattutto le caratteristiche negative. Abbiamo due tipi di tratti: 1. Stereotipici: aspetti che un gruppo possiede (italiani impulsivi e irrispettosi delle regole) 2. Contro-stereotipici: aspetti che un gruppo non possiede (italiani non taciturni) Ci sono state diverse ricerche riguardo all’accuratezza: Ci può essere un nocciolo di verità che ci consente di fare in modo veloce delle previsioni abbastanza accurate sul comportamento di un gruppo sociale Non possiamo applicare i tratti esagerati al singolo individuo del gruppo, in quanto questo ci porta a sbagliare e a prevedere dei comportamenti errati. Ci sono 3 potenziali errori che sono stati proposti rispetto alla visione dell’out-group: 1. Polarizzazione: tendenza a sovrastimare i tratti stereotipati rispetto ai tratti non stereotipici 2. Errore di valenza: sovrastimare i tratti negativi rispetto ai tratti positivi 3. Variabilità/dispersione: sottostimare quanto la popolazione si disperde lungo la media di questo tratto, bassa variabilità (tutti gli italiani vengono visti come irrispettosi delle regole) 2. OMOGENEITÀ DELL’OUTGROUP La bassa variabilità degli stereotipi ci porta quindi a considerare l’out-group come omogeneo, tutti gli individui sono molto simili tra loro e questo ha degli e etti anche nella memoria: ci è più di cile ricordare membri dell’out-group (other-race e ect) rispetto a quelli dell’in-group - che viene visto come molto più complesso e variegato. Pagina 16 di 47 ff ffi fi   ff ffi fi fi ff fi ff ff fi ffi fi Perché percepiamo l’out-group come omogeneo? 1. Diversa familiarità: idea che a causa di un minor contatto con diversi gruppi sociali ed etnie vediamo i gruppi come simili. A ermazione contraddetta dagli studi e abbastanza abbandonata, in quanto anche in una situazione di assenza di familiarità emergevano lo stesso e etti dell’omogeneità dell’out-group 2. Diversa categorizzazione: è dovuta da una diversa categorizzazione dell’in-group e dell’out- grup, dovuta a e etti di minore salienza e attenzione che prestiamo ai membri dell’out-group - oltre che a elementi di maggiore familiarità con l’in-group rispetto che con l’out-group. Tutti gli abitanti della Francia vengono categorizzati con il livello superiore di categorizzazione, ovvero come francesi, mentre per l’in-group degli italiani abbiamo molte più sottocategorie, come veneti, pugliesi, … 3. Coinvolgimento del sé: nell’in-group c’è anche lo schema del sé (ovvero lo schema più complesso che abbiamo). Quando incontriamo un altro individuo del nostro gruppo lo paragoniamo con il nostro sistema del sé - e quindi li consideriamo come molto più complessi rispetto a quando ci formiamo impressioni riguardo ai membri dell’out-group, con cui invece tendenzialmente non facciamo questo tipo di paragoni. COME MAI GLI STEREOTIPI SONO RESISTENTI AL CAMBIAMENTO? Per abbatterli bisogna attuare un cambiamento dei ruoli, come le donne nelle sfere più alte dei lavori, chiudendo e riducendo vari gap, come quello della competenza, anche se rimane quello delle più calorose (che devono occuparsi di altri e sono più brave a farlo). Gli stereotipi sono aspettative su come alcuni individui si possono comportare o sui loro tratti e sono resistenti al cambiamento grazie a vari meccanismi: BIAS DI CONFERMA Per una natura quasi cognitiva avendo gli stereotipi come guida, cerchiamo o interpretiamo informazioni a sostegno delle nostre aspettative che abbiamo. Quindi confermiamo il nostro schema iniziale e tutto ciò che potrebbe distruggerlo di solito non viene considerato. - Interpretazione in linea con lo stereotipo. Una delle prime strategie con cui interpretiamo le informazioni che riceviamo è interpretarle in linea con lo stereotipo. Esperimento: Condotto dallo studio classico di Duncan ha osservato lo stesso comportamento da parte di un ragazzo nero o bianco, in cui se era il nero era a farlo veniva descritto come violento invece se era un bianco veniva usato un aggettivo meno negativo, come aggressivo. Esperimento: Un altro esperimento condotto da Langer & Abelson e riguardante gli psicologi clinici. Dovevano ascoltare la registrazione di due colloqui uguali solo che ad alcuni veniva detto che era un colloquio di lavoro ed altre era stato detto che era un colloquio clinico Pagina 17 di 47  ff  ff ff sottoposto ad un paziente. In questo caso é emerso che per gli psicoanalisti che partivano con il presupposto che fosse un paziente, ricercavano solo le caratteristiche che gli permettevano di evidenziare un qualche disturbo, emettendo più giudizi negativi partendo da uno stereotipo. Esperimento: Studio più famoso quello di Rosenhan, che evidenzia le opinioni delle persone verso le persone con disturbi mentali. Mandò 8 collaboratori in ospedali psichiatrici, riuscendo a fare ammetterli tutti in quanto essi fecero nta di avere allucinazioni. Appena ammessi si comportarono però "normalmente" non mostrando sintomatologie legate alle allucinazioni, ma accadeva che venivano comunque diagnosticati come schizofrenici e non permettevano loro di uscire. Questo generò scalpore all'ambiente degli ospedali psichiatrici. Un ospedale però s dò Rosenhan a mandare dei suoi collaboratori nella propria struttura evidenziando che loro avrebbero potuto distinguere senza problemi i pazienti "normali" da quelli non, sdoganando questa opinione sui bias. Infatti gli operatori identi carono diverse persone come non-pazienti, ma in realtà Rosenhan non aveva mandato nessun pseudopaziente nella struttura. Tutto ciò quindi può essere interpretato come un bias di conferma. - Attribuzione tendenziosa: attribuire i comportamenti contro-stereotipici in modo tendenzioso, ovvero quando incontriamo degli esemplari che disconfermano lo stereotipo che abbiamo di un certo gruppo sociale, tendiamo ad attribuirli a cause esterne e situazionali, piuttosto che a tratti stabili di questo individuo e del suo gruppo sociale, in quanto sennò il nostro stereotipo generale che abbiamo per quel gruppo verrebbe messo in crisi. Un'esempio è quando si incontra una persona che non rispecchia l'idea di stereotipo che abbiamo di qualcosa (es. un ingegnere divertente e sbadato), un attribuzione esterna e situazionale. - Attenzione e memoria selettiva: Uno stereotipo può anche modi care il modo in cui memorizziamo nuove informazioni, quando ci formiamo delle aspettative stereotipiche rispetto ad un gruppo sociale, tenderemo a memorizzare meglio le informazioni che confermano le nostre aspettative. Esperimento: Condotto da Rothbart, Evans, & Fulero, consisteva in due fasi: una prima fase dove a delle persone veniva creata un’aspettativa su un gruppo di persone (tutte persone amichevoli o intelligenti). In una seconda fase dovevano descrivere ogni singolo membro del gruppo, ma in quest’ultimo erano presenti 3 condizioni: uno confermava le aspettative, uno le sfatava e un terzo aveva informazioni irrilevanti all'aspettativa. Quando poi veniva chiesto di ricordare le caratteristiche dei singoli, quelli meglio ricordati erano quelli che avevano caratteristiche che confermavano le aspettative, a cui è stata posta più attenzione e sono stati meglio ricordati. - Ricategorizzazione: se ricevo un feedback negativo, esso mina la mia autostima e quindi tendo ad attivare la categoria più negativa che trovo in quella persona, al contrario se invece ricevo un feedback positivo, esso non minaccia la mia autostima e quindi posso usare nei suoi confronti una categoria più positiva. Facciamo quindi una ricategorizzazione delle persone a supporto e a protezione del sé, in base a quello che ci fa più comodo in quel momento anche a seguito in un comportamento di quel singolo, in quanto tutti noi apparteniamo a più categorie, e tendiamo ad attribuire la categoria più negativa a qualcuno che mina la nostra autostima. Esempio: si incontra un uomo che fa il terapeuta e si rivela molto sensibile ed ascoltatore. Questa informazione contrasta lo stereotipo dell’uomo e quindi una diversa categorizzazione attiva diversi stereotipi, quindi lo si categorizza più come terapeuta che come uomo. Esperimento: Condotto da Sinclair e Kunda, componeva di una fase iniziale dove i partecipanti avevano un interazione con un medico bianco o nero che dava un feedback positivo o negativo del partecipante. I partecipanti poi svolgevano un compito di decisione lessicale, per testare con una misura indiretta quale delle due categorie era attiva nella mente del partecipante. Gli venivano mostrate parole, alcune legate a “medico” e altre legate a “nero” e dovevano riconoscere se una parola fosse vera o inventata. L’idea era che più veloce la risposta alle parole, più è attivata la categoria nella mente del partecipante. Con il dottore bianco non si evincono particolari maggioranze. Invece nel caso del dottore nero, per il feedback positivo i tempi di reazione per la categoria dottore sono velocissimi mentre per la categoria nero lentissimi. Quindi con feedback positivo viene categorizzato come medico. Per il feedback negativo invece i tempi di reazione sono lentissimi con la categoria medico e molto veloci con la categoria nero. Questa categorizzazione in base al feedback è volta a preservare la propria immagine di sé, categorizzando chi ci aveva dato un feedback negativo che sono legate a stereotipi che svalutano la persona, rendendo meno impattante il feedback negativo ricevuto, generando un circolo vizioso in cui uno stereotipo negativo di cilmente cambia. PROFEZIE CHE SI AUTO-AVVERANO/SELF-FULFILLING PROPECHY Persona A che ha aspettative o stereotipi verso un certo gruppo, che possono in uenzare il comportamento di B (minoranza) in modo da confermare lo stereotipo di A. È un caso particolare Pagina 18 di 47   fi fi ffi fi fl fi in cui le persone sono in uenzate da quello che gli altri si aspettano da loro e vanno a comportarsi in linea con le loro aspettative, andando a confermarle. Esempio: Condotto da Snyder et al. (1977), fu uno dei primi studi su questo argomento, e tratta di due persone che interagiscono al telefono senza potersi vedere: da un lato un uomo dall’altro una donna. All’uomo fanno vedere o una foto di una donna molto attraente o meno attraente, che non corrisponde alla vera identità dell’interlocutrice. Questo esperimento si basa sul fatto che di solito le persone che sono considerate più attraenti abbiano anche altri certi comportamenti, più socievoli o anche più bravi a svolgere il proprio lavoro (e etto alone, aspetto sico in uenza aspettative delle persone). Questa conversazione veniva registrata e in una seconda parte dell’esperimento dei “Raters”, valutatori che non sapevano nulla dell’esperimento né delle ipotesi, quindi “ciechi”, dovevano giudicare la socievolezza dell’interlocutrice. I risultati mostravano che se l’uomo pensava di interagire con una ragazza più bella, la ragazza si comportava in modo più socievole, confermando le aspettative stereotipie dell’uomo (bellezza associata alla socievolezza). I 3 passi della self-ful lling prophecy: 1. Aspettativa che portano a un cambiamento di comportamento del soggetto 2. In uenzano a sua volta il comportamento del target 3. Questo confermano le aspettative del soggetto, così all’in nito. Questo meccanismo per fortuna però non regge sempre, infatti funziona soprattutto in contesti dove il target non è al corrente dell’aspettative che ha il soggetto su di lui, e funziona particolarmente se il target è insicuro di sé o in situazione dove non si sente sicuro, o se il soggetto è particolarmente sicuro delle sue aspettative. Esempio: Condotto da Rosenthal & Jacobson, una preside di una scuola (1968). All’inizio dell’anno venne detto agli insegnanti che era prevedibile che, basandosi su un test di intelligenza, un certo gruppo di studenti avrebbe fatto un grande passo avanti durante l’anno scolastico (aspettativa). In verità i gruppi di studenti erano scelti a caso. 8 mesi dopo però facendo il vero test, somministrato da una persona esterna, non dall’insegnante, comunque l’aspettativa veniva confermata e per gli studenti che “erano andati meglio” nel primo test fasullo, avveniva veramente un aumento del QI. Ovviamente i bambini non sapevano nulla in merito. 4 fattori spiegano questo processo: - Clima migliore, come si pongono gli insegnanti (era più gentile con loro) sia in modo diretto che con la comunicazione non verbale - Gli insegnanti insegnava più cose ai bambini più “intelligenti”, più esercizi e anche più di cili - Erano più liberi di parlare, più tempo per esprimersi, parlano di più e di conseguenza più possibilità di ricevere complimenti. - Bambino elogiato in ma anche trattato diversamente quando sbagliava, con feedback più complessi volti a non far ripetere l’errore al bambino. COMPONENTE AUTOMATICA VS CONTROLLATA DEGLI STEREOTIPI Uno dei modelli più famosi per spiegare nello speci co gli stereotipi è il modello duale di Devine (1989), che individua due componenti dello stereotipo: - Un componente precoce che porta ad un apprendimento degli stereotipi durante la socializzazione che dopo ripetute esperienze diventa automatica e non intenzionale, che non riusciamo quasi a controllare. - Una componente più controllata che sorpassa le associazioni che abbiamo sempre fatto nella nostra vita, crescendo e iniziando a ri utare lo stereotipo, che è una componente invece intenzionale e controllata. La componente controllata, ovviamente intenzionale, entra in gioco e può portarci a sopprimere/ combattere gli stereotipi, ma solo se alcune condizioni sono rispettate, come la consapevolezza che lo s

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