Psicologia: Evoluzione di una Scienza PDF
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Questo documento esplora le radici e l'evoluzione della psicologia, analizzando le diverse teorie e figure chiave che hanno contribuito alla sua nascita e sviluppo moderno. Il testo esamina le influenze filosofico-scientifiche e le tappe fondamentali che hanno portato alla comprensione della mente e del comportamento umano.
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CAPITOLO 1 PSICOLOGIA: EVOLUZIONE DI UNA SCIENZA LE RADICI DELLA PSICOLOGIA: VERSO UNA SCIENZA DELLA MENTE La psicologia è lo studio della mente e del comportamento. La mente riguarda la nostra personale esperienza interiore di percezioni, pensieri ricordi e sentimenti; il comportamento...
CAPITOLO 1 PSICOLOGIA: EVOLUZIONE DI UNA SCIENZA LE RADICI DELLA PSICOLOGIA: VERSO UNA SCIENZA DELLA MENTE La psicologia è lo studio della mente e del comportamento. La mente riguarda la nostra personale esperienza interiore di percezioni, pensieri ricordi e sentimenti; il comportamento riguarda le azioni osservabili. I primi a farsi domande sulla mente furono Platone e Aristotele. Il primo sosteneva l’innatismo, cioè la credenza che certi tipi di conoscenza siano innati all’uomo, mentre il secondo supportava l’empirismo filosofico, cioè quella corrente secondo cui la conoscenza si acquisisce solo tramite l’esperienza. Ad oggi si crede che la verità non si trovi esclusivamente da una parte. Dal cervello alla mente: la pattuglia francese Durante il Cinquecento, pensatori come Renè Descartes sostenevano un rigido dualismo tra corpo, la parte materiale, e la mente, la sostanza incorporea e spirituale definita come anima. Tuttavia, sempre in quel periodo, già alcuni ritenevano evidente una connessione tra queste due entità, come Hobbes, che sosteneva che la mente è ciò che il cervello fa. Tra il ‘700 e l’800, Gall iniziò ad esaminare cervelli di animali ed essere umani morti, arrivando ad affermare che l’abilità mentale cresce di pari passo con l’aumentare delle dimensioni del cranio e che a specifiche aree del cervello corrispondessero specifiche facoltà mentali. Tuttavia Gall spinse questa teoria, detta frenologia, troppo oltre, arrivando a vedere nelle protuberanze del cranio il riflesso di particolari caratteristiche psicologiche quali la personalità. Anche Flourens, nello stesso periodo, condusse esperimenti in cui asportava chirurgicamente parti del cervello di animali, concludendo in modo simile a Gall che i loro movimenti differivano da quelli di animali con l’intero cervello. Paul Broca, nell’Ottocento, condusse studi su un paziente denominato ‘tan tan’ che in seguito ad una lesione all’area ad oggi denominata di Broca, riusciva a capire ma non a comunicare a parole. Da questo risultò che il danno subito in una specifica area del cervello comprometteva una specifica funzione mentale. Questa fu un’ulteriore prova del nesso tra corpo e mente. Lo strutturalismo: il primo passo verso il metodo scientifico Nel 19º secolo l’arrivo della fisiologia diede modo di usare nuovi metodi per misurare le capacità mentali nella ricerca in psicologia. Helmotz sviluppò un metodo per misurare la velocità degli impulsi nervosi, che prima di allora si credevano istantanei, misurando i tempi di reazione a degli input sensoriali in diverse parti del corpo. Wundt, nello stesso periodo, tenne il primo corso di psicologia fisiologica e aprì il primo laboratorio interamente dedicato alla psicologia, all’Università di Lipsia. Wundt riteneva che gli studi scientifici della psicologia dovessero concentrarsi sull’esperienza soggettiva che la persona fa del mondo e della mente e adottò un approccio detto strutturalismo, ossia l’analisi degli elementi fondamentali che costituiscono la mente. Il metodo impiegato nel laboratorio prevedeva un approccio di analisi sistematica attraverso l’introspezione e la riduzione dell’esperienza ai minimi termini e a percezioni elementari. Sulla base degli studi sui tempi di reazione, inoltre, Wundt indagò la distinzione tra percezione e interpretazione di uno stimolo (nei soggetti che dovevano interpretare uno stimolo, il tempo di reazione era maggiore di quello dei soggetti che dovevano solo percepirlo). Successivamente Tichner portò avanti lo strutturalismo, sta volta però concentrandosi sugli elementi fondamentali in quanto tali (e non sulle relazioni tra essi), identificandone circa 44 000. Tuttavia, nonostante l’utilizzo di nuove tecniche scientifiche, il metodo introspettivo si rivelò ben presto poco affidabile: il primo a metterlo in discussione fu William James. 1 Il funzionalismo: i processi mentali come adattamenti Per James scomporre ed isolare gli elementi della coscienza portava a perdere l’essenza del suo flusso continuo, così sviluppò la corrente del funzionalismo, che piuttosto si concentrava sullo studio di come i processi mentali consentano alle persone di adattarsi al proprio ambiente. Il pensiero di James fu in parte ispirato da Charles Darwin e dalla sua teoria sulla selezione naturale, secondo cui le caratteristiche utili a sopravvivenza e riproduzione hanno più probabilità di essere ereditate in quanto adattive; James cercò di capire quali fossero queste funzioni. Sotto l’influenza di Darwin, anche Stanley Hall sviluppò la propria teoria, secondo cui i bambini durante lo sviluppo passano attraverso fasi ce ricapitolano la storia evolutiva del genere umano. LO SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA CLINICA Le lezioni emerse dal lavoro con i pazienti I medici Charcot e Janet iniziarono a lavorare con pazienti affetti da isteria (condizione caratterizzata dalla perdita temporanea di funzioni cognitive in seguito a esperienze sconvolgenti). Attraverso l’ipnosi, i pazienti sembravano temporaneamente guariti dalla propria condizione, per poi dimenticare cosa fosse successo una volta usciti dallo stato di trance. Questo fece pensare che nell’esperienza conscia siamo in grado di percepire un solo ‘io’ o ‘sé’, tuttavia il cervello è capace di generare molti ‘sé’ consci inconsapevoli dell’esistenza degli altri. Freud elabora la teoria psicoanalitica Con l’aiuto di Breuer, anche Freud condusse studi su pazienti isterici e teorizzò che all’origine dei loro problemi ci fossero esperienze infantili dolorose dimenticate. Secondo Freud questo dimostrava l’esistenza di una mente inconscia, che opera fuori dalla consapevolezza cosciente ma che influenza il conscio. Sulla base di questo elaborò la teoria psicoanalitica, che sottolineava proprio l’importanza dei processi mentali inconsci, attraverso i quali potevano essere chiariti e curati i disturbi psicologici. Il movimento della psicoanalisi fu seguito poi anche da Jung e Adler, sebbene Freud ben presto troncò i rapporti e finì per allontanarsi dal dibattito scientifico per via della sua convinzione sull’importanza della sfera sessuale. La nascita della psicologia umanistica Inoltre, in questo periodo storico, la visione negativa che poneva l’accento su limiti e problemi e l’idea che l’uomo fosse ostaggio di esperienze infantili e impulsi sessuali, non rispecchiava la positività del dopoguerra, né poteva essere oggetto di verifica scientifica; dunque si iniziarono a nutrire forti perplessità. Allora, negli anni Sessanta, Maslow e Rogers fondarono il movimento della psicologia umanistica, un approccio che poneva l’attenzione sulle potenzialità della natura umana. I terapeuti umanistici, inoltre, chiamavano i pazienti ‘clienti’ per mantenere un rapporto paritario. La corrente umanistica determinò il declino dell’influenza freudiana. LA RICERCA DI MISURE OGGETTIVE: IL COMPORTAMENTISMO Tutte le scuole di pensiero all’inizio del XX secolo avevano un problema, ovvero l’inaffidabilità della metodologia. Per questo motivo si sentì l’esigenza di un nuovo approccio basato sullo studio del comportamento oggettivamente osservabile: il comportamentismo. Watson e la nascita del comportamentismo Watson fu il primo a comprendere la soggettività dell’esperienza individuale e a proporre di analizzare il comportamento, con l’obbiettivo di prevederlo e controllarlo per scopi vantaggiosi alla società. Di grande influenza fu il lavoro di Pavlov, che notò durante un esperimento che uno stimolo (o input sensoriale) proveniente dall’ambiente era capace di influenzare la salivazione dei cani, che costituiva una risposta fisiologica evocata dallo stimolo. 2 Skinner e lo sviluppo del comportamentismo Skinner si chiese se fosse possibile sviluppare dei principi comportamentali in grado di spiegare come gli animali apprendono ad agire i certe situazioni. Egli costruì una camera di condizionamento (skinner box), all’interno della quale un topo, premendo una leva riceveva un pezzo di cibo. Dopo la prima volta il topo aumentava notevolmente il numero di pressioni sulla leva, un meccanismo che Skinner chiamò principio del rinforzo, secondo cui le conseguenze di un comportamento determinano le sue maggiori o minori probabilità di essere riprodotto. Sulla base di questo Skinner sviluppò delle macchine da insegnamento, che ponevano domande a dei bambini e gli fornivano una valutazione: secondo lui la soddisfazione di sapere di aver dato la risposta giusta avrebbe avuto funzione di rinforzo e aiutato ad imparare. Skinner espose poi la sua visione di una società utopistica controllata dal rinforzo e avanzò l’idea che la nostra sensazione di libera volontà non fosse che un’illusione basata su modelli di rinforzo presenti e passati. Questo creò non pochi fraintendimenti e critiche. IL RITORNO DELLA MENTE: LA PSICOLOGIA SI ESPANDE Nonostante il grosso contributo scientifico che il comportamentismo diede alla psicologia, questo ignorava totalmente i processi mentali e non teneva conto della storia evolutiva e per questo fu presto soppiantato. Nuove pionieristiche idee portano alla nascita della psicologia cognitiva Come la mente organizza ciò che vediamo Wertheimer si concentrò sullo studio delle illusioni, cioè quegli errori di percezione, memoria o giudizio in cui realtà soggettiva e oggettiva differiscono. In uno dei suoi esperimenti Wertheimer mostrava al soggetto due luci lampeggianti che, ad un intervallo lungo venivano percepiti come separati, ad un intervallo breve venivano percepiti come un’unica luce in movimento. Secondo lo psicologo, questo accade perché la mente impone un’organizzazione a quello che percepisce portando il soggetto a pensare ad un tutt’uno invece che ad una somma delle due parti. Da questa interpretazione nacque la psicologia della Gestalt, che poneva l’attenzione proprio su questo insieme unitario. Come la mente organizza ciò che ricordiamo In passato Bartlett condusse esperimenti sulla precisione e il tempo in cui dei soggetti ricordavano delle sillabe senza significato, ma Ebbinghaus volle riprodurli facendo ricordare delle storie sensate. Da qui emerse che i partecipanti ricordavano quello che sarebbe dovuto succedere o che si aspettavano succedesse, anziché quello che era realmente successo e ne convenne che i ricordi sono fortemente influenzati dai contenuti della mente. Prime scoperte sullo sviluppo evolutivo Piaget si dedicò allo studio degli errori percettivi e dai suoi esperimenti ne risultò che i bambini più piccoli mancano di una particolare abilità cognitiva, che consente ai bambini più grandi di capire che la massa di un oggetto resta tale anche se suddivisa. L’importanza dell’esperienza sensoriale Lewin affermò che è possibile prevedere il comportamento di una persona se si conosce la sua esperienza soggettiva. Questo perché, secondo lui, il comportamento è determinato dall’interpretazione (construal) dello stimolo e non allo stimolo stesso. L’arrivo del computer e la guerra Durante la guerra, i tentativi degli psicologi (come Broadbent) di migliorare le prestazioni dei militari, rivelarono i limiti dell’attenzione umana, capace di gestire un limitato numero di informazioni nello stesso momento. Inoltre, l’emergere del computer diede vita all’idea che esso potesse essere un modello della mente umana, vista come flusso di informazione che può essere studiato scientificamente. Si iniziava a pensare al cervello come ad un hardware e a cercare tipi di software che potessero imitare comportamento e linguaggio. Chomsky scoprì che il linguaggio si basa su regole mentali che ci consentono di comprendere e produrre parole e frasi nuove, dimostrando che i bambini possiedono capacità non acquisite tramite un apprendimento. 3 La nascita delle neuroscienze cognitive Sebbene si studiasse la mente, gli psicologi non sapevano quasi nulla del cervello, nonostante ormai fosse evidente l dipendenza l’uno dall’altro Lashley iniziò ad addestrare ratti a percorrere un labirinto prima e dopo la rimozione di parti del cervello e notò nel dopo una riduzione nelle capacità cognitive. Da qui nacque la psicologia fisiologica, ad oggi chiamata neuroscienze del comportamento, un approccio che collega i processi psicologici alle attività del sistema nervoso. Un grande sviluppo nella materia fu dato soprattutto negli anni Ottanta con la tecnica del neuroimaging, che permette di osservare il cervello in azione e da cui nascono le neuroscienze cognitive, il campo di ricerca che tenta di comprendere i nessi tra processi cognitivi e attività cerebrale. La mente adattiva: la nascita della psicologia evoluzionistica In esperimenti condotti dagli anni Sessanta, lo psicologo Garcia dimostrarono che i ratti imparavano ad associare la nausea più in fretta all’odore del cibo che ad una luce lampeggiante; questo perché l’evoluzione aveva predisposto il loro cervello ad apprendere l’associazione naturale più velocemente di quella artificiale. Da qui nasce la psicologia evoluzionistica, che spiega mente e comportamento sulla base del valore adattivo delle abilità conservate nel tempo ad opera della selezione naturale. OLTRE L’INDIVIDUO: LA PSICOLOGIA SOCIALE E QUELLA CULTURALE Lo sviluppo della psicologia sociale La psicologia sociale è lo studio delle cause e delle conseguenze della socialità. Nel 1895 lo psicologo Triplett osservò che i ciclisti pedalavano più in fretta se in compagnia, così condusse un simile esperimento sui bambini. Egli dimostrò che la semplice presenza di altre persone può influenzare prestazione persino in compiti banali. Negli anni Trenta Asch e Lewin, influenzati dalla Gestalt, iniziarono a studiare la relazione tra gruppi sociali e individui. Lewin propose la ‘teoria del campo’ secondo cui il comportamento è il prodotto di forze interne (es. personalità) ed esterne (es. cultura). Con l‘Olocausto, alcuni psicologi, come Asch cercarono di indagare quali condizioni potessero portare le persone ad agire in modo disumano e irrazionale. Allport, nello stesso periodo, dichiarò che il pregiudizio è il risultato di un errore percettivo. La nascita della psicologia culturale La psicologia culturale è lo studio del modo in cui le culture rispecchiano e plasmano i processi psicologici dei loro appartenenti. Secondo la corrente dell’assolutismo, la cultura incide poco e niente sui fenomeni psicologici, mentre, secondo il relativismo, i fenomeni psicologici tendono a variare notevolmente tra una cultura e l’altra. Attualmente la maggior parte degli psicologi ritiene che alcuni fenomeni siano completamente determinati, altri completamente indipendenti dalla cultura. LA PSICOLOGIA COME PROFESSIONE Nel 1892 James e altri 5 psicologi fondarono l’American Psychological Association (APA). Nel 1988, nacque l’American Psychological Society, he si concentra di più sull’ambito di ricerca rispetto a quello clinico. 4 CAPITOLO 2 I METODI DELLA PSICOLOGIA L’EMPIRISMO: COME CONOSCERE LE COSE L’empirismo è la posizione filosofica secondo cui il modo migliore per acquisire conoscenze sul mondo consiste nell’osservazione diretta. Solo negli ultimi secoli gli esseri umani hanno iniziato a raccogliere e a valutare evidenze in maniera sistematica, al fine di verificare l’accuratezza delle proprie convinzioni sul mondo. L’osservazione non significa semplicemente ‘guardare’, ma richiede che si usi un metodo. Il metodo scientifico implica: elaborare una teoria che genera un’ipotesi falsificabile e condurre osservazioni che permettono di sottoporre a verifica quelle ipotesi. Benché queste evidenze possano provare che una certa teoria sia falsa, non possono dimostrare con certezza che sia vera. I metodi della psicologia sono particolarmente sofisticati perché gli esseri umani sono più complessi, variabili e reattivi di praticamente qualsiasi altro oggetto di studio. L’OSSERVAZIONE: COSA FANNO LE PERSONE? La misurazione implica (a) definire una proprietà in termini di una condizione concreta, misurabile e (b) servirsi di uno strumento in grado di rilevare quella condizione. Una buona definizione è dotata di validità (ovvero, la condizione concreta misurata è concettualmente correlata con la proprietà che interessa) e un buono strumento è sia affidabile (produce la stessa misura ogni volta che viene usato per misurare la stessa cosa) che sensibile (è in grado di rilevare una specifica condizione concreta quando essa è effettivamente presente). Quando sanno di essere osservate, le persone possono comportarsi nel modo in cui pensano che dovrebbero comportarsi. Le caratteristiche della domanda sono quelle caratteristiche di un setting che suggeriscono alle persone di tenere quel comportamento che ci si aspetta da loro. Gli psicologi cercano di ridurre o eliminare le caratteristiche della domanda osservando i partecipanti nei loro ambienti naturali, oppure nascondendo loro le proprie aspettative. Il bias dell'osservatore è la tendenza degli osservatori a vedere quello che si aspettano di vedere, o a indurre gli altri a comportarsi come loro si aspettano che gli altri si comportino. Gli psicologi cercano di eliminare il bias dell'osservatore mediante osservazioni in doppio cieco. Gli psicologi spesso descrivono le loro misure mediante una rappresentazione grafica, detta distribuzione di frequenza, che spesso ha una forma particolare, detta curva o distribuzione normale. Gli psicologi inoltre descrivono le loro misure mediante statistiche descrittive, le più comuni delle quali sono le descrizioni della tendenza centrale (come la media, la mediana e la moda) e le descrizioni della variabilità (come l'intervallo di variazione o range, e la deviazione standard). LA SPIEGAZIONE: PERCHE’ LE PERSONE FANNO QUELLO CHE FANNO? Per determinare se tra due variabili esiste una relazione di causalità, occorre innanzitutto determinare che tra di esse esista una relazione. Questo può essere fatto misurando ciascuna variabile, quindi confrontando i pattern di variazione entro ciascuna serie di misure. Se i pattern sono sincronizzati, cioè covariano, allora le due variabili si dicono correlate. L'esistenza di una correlazione ci consente di prevedere il valore di una variabile conoscendo il valore dell'altra. La direzione e la forza di una correlazione sono espresse dal coefficiente di correlazione (r). Anche quando si osserva una correlazione tra due variabili, è impossibile trarre da ciò la conclusione che tra queste variabili esista una relazione causale, in quanto innumerevoli terze variabili potrebbero essere la causa di ciascuna delle due variabili esaminate. Gli esperimenti risolvono il problema della terza variabile tramite la manipolazione di una variabile indipendente, tramite l'assegnazione casuale (randomizzata) dei partecipanti ai gruppi sperimentale e di controllo generati dalla manipolazione, e tramite la misurazione di una variabile dipendente. Si procede poi a confrontare le misure di questa seconda variabile nei due gruppi. 5 Se il calcolo delle statistiche inferenziali dimostra che l'assegnazione casuale è riuscita, allora i risultati ottenuti dovrebbero verificarsi per caso solo il 5% delle volte, il che significa che le differenze tra gruppi rispetto alle misure della variabile dipendente sono state causate dalla manipolazione. Un esperimento dotato di validità interna stabilisce una correlazione causale tra le variabili per come sono state definite dalla nostra definizione operativa, e relativamente ai partecipanti che sono stati esaminati. Quando un esperimento riproduce la realtà concreta, si dice che ha validità esterna. La maggior parte degli esperimenti psicologici, tuttavia, non cerca di riprodurre la realtà esterna ma di verificare ipotesi derivate da particolari teorie. PENSARE IN MODO CRITICO ALLE EVIDENZE Il pensare criticamente alle evidenze risulta difficile perché le persone hanno una naturale tendenza a vedere quello che si aspettano di vedere, a vedere quello che vogliono vedere e a prendere in considerazione solo le cose che vedono, ignorando quelle che non vedono. Chi sa fare uso del pensiero critico va in cerca di evidenze che contraddicano le sue opinioni, inoltre tiene in considerazione le evidenze non presenti, oltre a quelle presenti. Ciò che rende la scienza un'impresa umana diversa dalle altre è che la scienza cerca attivamente di scoprire i propri difetti ed errori e di porvi rimedio. L’ETICA DELLA SCIENZA: CHE COSA E’ GIUSTO? I comitati etici (N.d.T.: negli Stati Uniti, IRB da Institutional Review Boards) garantiscono che i diritti degli esseri umani che partecipano alle ricerche scientifiche siano rispettati, e che i ricercatori agiscano in base ai principi etici di rispetto, beneficio e giustizia per i partecipanti. Gli psicologi hanno l'obbligo, nel condurre le proprie ricerche, di attenersi a tali principi etici, ottenendo il consenso informato dei partecipanti, evitando ogni forma di coercizione, proteggendoli da ogni possibile danno fisico o psicologico, valutando se i rischi della ricerca sono controbilanciati dai vantaggi, evitando di ingannare i partecipanti e inoltre mantenendo strettamente confidenziale ogni informazione personale che li riguarda. Gli psicologi hanno l'obbligo di rispettare i diritti degli animali di laboratorio e di trattarli con umanità. La maggioranza degli americani è favorevole all'utilizzo degli animali nella ricerca scientifica. Gli psicologi hanno l'obbligo morale di dire la verità sui loro studi, di condividerne il merito con gli altri collaboratori, e di garantire libero accesso ai loro dati da parte degli altri ricercatori. 6 CAPITOLO 3 NEUROSCIENZE E COMPORTAMENTO I NEURONI: L’ORIGINE DEL COMPORTAMENTO I neuroni sono le cellule del sistema nervoso che comunicano tra loro per elaborare le informazioni. Nel 1880 circa Ramon y Cajal scoprì le tre componenti del neurone: Il corpo cellulare (o soma), che coordina i compiti di elaborazione delle informazioni, mantiene in vita la cellula e contiene il nucleo. I dendriti, che ricevono informazioni da altri neuroni e le trasmettono al corpo cellulare. L’assone, che trasmette informazioni ad altri neuroni, muscoli o ghiandole. Esso può essere rivestito da una guaina mielinica, una sostanza isolante grassa composta di cellule gliali, le cellule di supporto del sistema nervoso. Tra un neurone e l’altro vi è la sinapsi, la giunzione o regione compresa tra l’assone di un neurone e i dendriti o il corpo cellulare di un altro, che permette la comunicazione neurale. Specializzazione in base alla funzione I neuroni possono essere suddivisi in tre categorie rispetto ala funzione: Neuroni sensoriali, che ricevono informazioni dal mondo esterno e le trasmettono al cervello tramite il midollo spinale; Motoneuroni, che trasmettono segnali neurali dal cervello ai muscoli per generare movimento; Interneuroni, che connettono neuroni sensoriali, neuroni motori o altri interneuroni. Specializzazione in base alla posizione Inoltre, i neuroni possono essere specializzati in base alla loro posizione. Ad esempio le cellule di Purkinje veicolano informazioni tra il cervelletto e il cervello; le cellule piramidali si trovano nella corteccia cerebrale; le cellule bipolari nella retina dell’occhio. 7 LE AZIONI ELETTROCHIMICHE DEI NEURONI: L’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI I neuroni sono cellule eccitabili e la comunicazione tra loro avviene mediante segnali elettrici in un processo chiamato azione elettrochimica, che si divide in conduzione e trasmissione. Il segnale elettrico: la conduzione dell’informazione all’interno del singolo neurone La membrana cellulare del neurone possiede dei canali che consentono il flusso di ioni dentro e fuori, che genera un potenziale di riposo (cioè una differenza tra cariche interne ed esterne alla cellula, pari a -70 mV). In questa situzione l’interno della cellula è carico negativamente, mentre l’esterno è carico positivamente. Le pompe chimiche presenti sulla membrana fanno in modo che all’interno della cellula si accumulino ioni K+ in eccesso e che all’esterno si accumulino ioni Na+, questo scaturisce un accumulo di energia che sarà poi liberata in seguito ad uno stimolo durante il potenziale d’azione. Durante il potenziale d’azione i canali voltaggio-dipendenti si aprono, Na+ fluisce nella parte interna della cellula, che diventa positiva, liberando un segnale elettrico pari a +40 mV, che si propaga lungo tutto l’assone fino a raggiungere una sinapsi. Questo è un processo ‘tutto o niente’ poichè non si genera prima di una certa soglia e ha sempre la stessa ampiezza indipendentemente dal fatto che lo stimolo sia pari o sopra soglia. Dopodichè inizia la fase del periodo refrattario, in cui non è possibile generare un nuovo potenziale d’azione. In questa fase gli ioni K+ fluiscono all’esterno attraverso i loro canali, riportando la faccia interna della membrana ad un valore negativo. Nel frattempo le pompe fanno si che le concentrazioni di ioni tornino alla condizione del potenziale di riposo. Il potenziale d’azione si sposta lungo il neurone provocando un effetto domino Il potenziale d’azione si propaga per una parte dell’assone, producendo un altro potenziale della stessa identità in una regione adiacente. La guaina mielinica, che si avvolge lungo l’assone lasciando delle interruzioni dette nodi di Ranvier, facilita la conduzione del potenziale, in una modalità chiamata conduzione saltatoria. 8 La generazione di segnali chimici: la trasmissione dell’informazione tra neuroni La parte finale di un assone è costituita da un bottone sinaptico, in cui vi sono vescicole contenenti neurotrasmettitori, cioè sostanze chimiche che trasmettono l’informazione dal neurone presinaptico, attraverso le sinapsi, fino ai dendriti del neurone post sinaptico, dove sono presenti i recettori, componenti della membrana che possono avviare o inibire la genesi di un nuovo segnale elettrico. I neurotrasmettitori, poi, lasciano la sinapsi mediante tre processi: la ricaptazione (assorbimento), la disattivazione enzimatica (degradazione) e il legame ad autorecettori, che segnalano al neurone di smettere di rilasciarlo. Tipi e funzioni di neurotrasmettitori - L’acetilcolina (Ach) è un neurotrasmettitore coinvolto in numerose funzioni, fra cui il controllo motorio volontario; - La dopamina regola il comportamento motorio, la motivazione, il piacere e l’attivazione emozionale; - Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello; - L’acido gama-aminobutirrico (GABA) è il principale neurotrasmettitore inibitorio (firing) del cervello; - La noradrenalina è coinvolta negli stati di vigilanza o in una più intensa consapevolezza dei pericoli presenti nell’ambiente (umore e arousal); - La serotonina è coinvolta nella regolazione del sonno e della veglia, dell’alimentazione e del comportamento aggressivo (umore e arousal); - Le endorfine sono sostanze chimiche che agiscono sulle vie del dolore e sui centri cerebrali delle emozioni. Alcune sostanze psicotrope possono imitare i comportamenti di certi neutrasmettitori, fungendo da agoniste (ne intensificano l’azione) o da antagoniste (ne bloccano il funzionamento). - Amfetamina e cocaina sono agoniste di noradrenalina e dopamina, inibinendone la ricaptazione; - La metanfetamina ha effetti agonisti e antagonisti su dopamina, serotonina e noradrenalina; - Il Prozac è un farmaco inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (agonista); - I beta-bloccanti bloccano i recettori della noradrenalina a livello del cuore, rallentando il battito. L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA NERVOSO Le divisioni del sistema nervoso Il sistema nervoso si divide in centrale e periferico. Il sistema nervoso centrale (SNC) comprende cervello e midollo spinale e riceve tutta l’informazione sensoriale, la elabora e invia segnali a muscoli e scheletro controllandone l’azione. Il sistema nervoso periferico (SNP) collega il SNC agli organi e ai muscoli del corpo. Esso a sua volta si divide in somatico (l’insieme di nervi che media la trasmissione delle informazioni tra i muscoli volontari e il SNC) e autonomo (l’insieme di nervi che veicola i comandi involontari e automatici da cui dipende il controllo dei vasi sanguigni, degli organi interni e delle ghiandole. Il sistema nervoso autonomo comprende due sottodivisioni: il sistema nervoso simpatico, contenente i nervi che preparano il corpo per l’azione nelle situazioni minacciose; e il sistema nervoso parasimpatico, che aiuta il corpo a tornare al normale stato di riposo. 9 IL MIDOLLO SPINALE Senza il midollo spinale il cervello non sarebbe in grado di tradurre in azione nessuna delle sue elaborazioni superiori. Inoltre il midollo è la sede dei riflessi spinali, semplici vie del sistema nervoso che generano rapidamente contrazioni muscolari, senza l’aiuto del cervello, attraverso poche e rapide sinapsi. Una via neurale che controlla un’azione riflessa è detta arco riflesso. LA STRUTTURA DEL CERVELLO Il cervello ha tre principali divisioni: rombencefalo, mesencefalo e prosencefalo. Rombencefalo Il midollo spinale forma un continuum con il rombencefalo, un’area che coordina le informazioni verso e dal midollo spinale. È composto da: Midollo allungato o bulbo, un’estensione del midollo spinale all’interno del cranio, dalla quale dipende il controllo del battito cardiaco, della circolazione e della respirazione. Formazione reticolare, che regola il sonno, la veglia e i livelli di attivazione fisiologica (arousal). Cervelletto, che controlla le abilità motorie fini, cioè rifinisce l’esecuzione delle azioni. Ponte, una struttura che trasmette le informazioni dal cervelletto al resto del cervello. Mesencefalo Il mesencefalo è composto da: Tetto, che orienta l’organismo nell’ambiente Tegmento, coinvolto nel movimento e nell’attivazione fisiologica (arousal). 10 Prosencefalo Il prosencefalo è responsabile delle più complesse funzioni cognitive, emozionali, sensoriali e motorie. Si suddivide in due sezioni: la corteccia cerebrale, che è lo strato più esterno del cervello, e le strutture sottocorticali, localizzate sotto la corteccia, vicino al centro del cervello. Le strutture sottocorticali Talamo: riceve e filtra le informazioni provenienti dai sistemi sensoriali e le ritrasmette alla corteccia cerebrale. Ipotalamo: regola la temperatura corporea, la fame, la sete e il comportamento sessuale. Sistema limbico: è un sistema di strutture (ipotalamo, ippocampo e amigdala) coinvolte nella motivazione, nell’emozione, nell’apprendimento e nella memoria. L’ippocampo è essenziale per la generazione di nuovi ricordi e per la loro integrazione in una rete di conoscenze, consentendone l’immagazzinamento a tempo indefinito in altre parti della corteccia cerebrale. L’amigdala è coinvolta nei processi emozionali, in particolare nella formazione dei ricordi emozionali e nella codifica degli eventi spaventosi. Gangli della base sono un insieme di strutture che dirige i movimenti intenzionali. Ricevono input dalla corteccia e inviano segnali ai centri motori del tronco encefalico. Sistema endocrino, una rete di ghiandole che producono e secernono ormoni, che influenzano molte funzioni, come metabolismo, crescita, sviluppo sessuale. È distinto dal sistema nervoso, con cui collabora. Il funzionamento complessivo del sistema è orchestrato dall’ipofisi, o ghiandola pituitaria, che rilascia ormoni che dirigono le funzioni di molte altre ghiandole. La corteccia cerebrale La corteccia è responsabile degli aspetti più complessi del cervello. È formata da parti in rilievo (circonvoluzioni o giri) e da solchi, che permettono di concentrare una grande superficie all’interno del cranio. Il primo livello di organizzazione consiste nella divisione in emisferi destro e sinistro, quasi simmetrici e con controllo controlaterale. I due emisferi sono collegati tramite commessure, fasci di assoni che permettono la comunicazione. La più importante è il corpo calloso. Il secondo livello di organizzazione riguarda le funzioni di diverse regioni, dette lobi (quattro per ciascun emisfero). Il lobo occipitale elabora le informazioni visive e ci permette di comprenderle. Il lobo parietale si occupa dell’elaborazione delle informazioni tattili. Esso contiene l corteccia somatosensoriale, all’interno del quale è rappresentata ciascuna area dell’epidermide (in maniera controlaterale). Il lobo temporale è responsabile dell’udito e del linguaggio. La corteccia uditiva primaria riceve info sulla frequenza dei suoni, quella secondaria le elabora e ne attribuisce significato. Nel lobo temporale vi sono anche le aree visive di associazione, responsabili del riconoscimento degli oggetti. Il lobo frontale contiene la corteccia motoria, che avvia i movimenti volontari e invia messaggi ai gangli della base, al cervelletto e al midollo spinale. Altre aree del lobo frontale coordinano i processi cognitivi. 11 Il terzo livello di organizzazione è entro i singoli lobi. All’interno di essi l’informazione passa dalle aree primarie, che rilevano gli stimoli, alle aree secondarie, che li interpretano, fino alle aree associative, che danno senso e significato alle informazioni ricevute permettendoci la comprensione degli stimoli. I neuroni delle aree primarie sono meno specializzati e più flessibili, così che possano essere plasmati tramite l’apprendimento (plasticità cerebrale). Grazie a questa qualità la corteccia è in grado di adattarsi agli stimoli e alla modificazione dei segnali e può estendersi se stimolata. SVILUPPO ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA NERVOSO Ontogenesi (sviluppo prenatale) Il sistema nervoso è il primo apparato a formarsi nell’embrione. Si origina da un profondo solco, la doccia neurale, i cui margini si sollevano a formare due pieghe, le creste neurali, che successivamente daranno origine al tubo neurale. Alla quarta settimana sono già visibili i tre livelli fondamentali; alla quinta si specializzano le sottodivisioni di rombencefalo e prosencefalo. Alla settima settimana si dividono i due emisferi. Filogenesi (evoluzione) I primi neuroni fecero la loro comparsa in vertebrati semplici, come le meduse, ma il primo sistema nervoso vero e proprio nacque nei platelminti. Successivamente avvenne una distinzione tra il sistema nervoso degli invertebrati e quello dei vertebrati, gli animali che ad oggi si sono evoluti in in una maggiore complessità. Oltre ai normali adattamenti avvenuti nel corso dell’evoluzione, i geni del cervello umano hanno tratto particolare vantaggio da una varietà di specifiche mutazioni (modificazioni del DNA dei geni) durante il percorso evolutivo. I geni, l’epigenetica e l’ambiente Il gene è l’unità della trasmissione ereditaria, un segmento di filamento di DNA contenuto in un cromosoma. Noi abbiamo 23 coppie di cromosomi e ognuno di noi eredita un cromosoma da ogni coppia dal padre e uno dalla madre in modo del tutto casuale. La probabilità di condividere geni è chiamata grado di parentela. La costituzione genetica di un individuo può contribuire allo sviluppo o all’insorgenza di una grande varietà di tratti, ma bisogna prendere in considerazione anche il contesto ambientale, visto che i geni si esprimono nel contesto di un ambiente e non nell’isolamento. L’epigenetica è lo studio delle influenze ambientali che determinano il fatto che i geni siano espressi o no, e il grado in cui lo sono, senza che vi sia l’alterazione della sequenza del gene. I segni epigenetici sono modificazioni chimiche del DNA che possono attivare o disattivare geni. Tra questi ci sono: la metilazione del DNA, cioè l’addizione di un gruppo metilico sulla sequenza di basi di DNA, che fa diventare inattivo il gene; la modificazione degli istoni, che implica l’addizione di modificazioni chimiche agli istoni, che possono attivare o disattivare il gene. Queste modificazioni hanno un ruolo chiave nell’apprendimento e nella memoria e negli effetti al lungo termine delle prime esperienze. Oltre che da questo, le caratteristiche individuali sono determinate da fattori ambientali e dall’esperienza. L’ereditabilità è una misura della variabilità tra individui relativa ai tratti ambientali che può essere ricondotta a fattori genetici. Bisogna però tener presenti alcuni punti fondamentali sull’ereditabilità: - è un concetto astratto; - è un concetto he si applica sulla popolazione, non sugli individui; - dipende dall’ambiente; - non è un destino ineluttabile. 12 COME SI STUDIA IL CERVELLO Il cervello può essere studiato: Studiando le lesioni cerebrali o imitandole con la stimolazione magnetica transcranica. Attraverso l’elettroencefalogramma (EEG): la registrazione, mediante l’elettroencelografo, dell’attività elettrica cerebrale. Questa tecnica dà una registrazione visiva dell’attività elettrica della corteccia e attraverso essa può essere misurata la quantità di attività cerebrale durante diversi stati di coscienza. Attraverso le tecniche di neuroimmagine. L’imaging strutturale fornisce informazioni sulle strutture fondamentali del cervello, l’imaging funzionale fornisce informazioni sulle attività del cervello durante compiti cognitivi o motori. - Imaging strutturale: La tomografia assiale computerizzata (CT) è una tecnica strutturale che fornisce immagini ai raggi X della densità dei tessuti cerebrali ed è usata per localizzare lesioni o tumori. La risonanza magnetica (MRI) sfrutta l’azione di un campo magnetico per orientare i nuclei atomici di particolari molecole, che allineandosi lasciano tracce energetiche usate per rivelare strutture cerebrali con differente composizione molecolare. La risonanza magnetica con tensore di diffusione (DTI) è usata per visualizzare i fasci di fibre mieliniche e quindi valutare l’integrità di un dato tratto di sostanza bianca. - Imaging funzionale: Nella tomografia a emissione di positroni (PET) una sostanza radioattiva innocua viene iniettata nel circolo sanguigno di un soggetto mentre svolge un compito. Le aree coinvolte nel compito richiederanno energia e avranno un aumento di radioattività, permettendo di produrre un’immagine computerizzata delle aree attivate. La risonanza magnetica funzionale (fMRI) sfrutta la differenza tra emoglobina ossigenata e deossigenata quando sono esposte a impulsi magnetici, poiché l’emoglobina ossigenata si concentra nelle zone attive del soggetto mentre svolge un compito, dunque l’fMRI ci fornisce un’immagine del livello di attivazione di ogni area cerebrale rivelando l’emoglobina ossigenata. L’fMRI può essere usata anche per l’analisi della connettività funzionale a riposo per identificare networks o circuiti cerebrali. 13 CAPITOLO 4 SENSAZIONE E PERCEZIONE LA SENSAZIONE E LA PERCEZIONE SONO DUE COSE DISTINTE La sensazione è la semplice stimolazione di un organo di senso. La percezione, che ha luogo a livello cerebrale, è l’organizzazione, l’identificazione e l’interpretazione di una sensazione in modo da formare una rappresentazione mentale. Dunque sensazione e percezione sono due eventi distinti ma collegati attraverso la trasduzione, che ha luogo quando i sensori corporei convertono i segnali fisici provenienti dall’ambiente in segnali neurali codificati, che sono poi inviati al sistema nervoso centrale. La psicofisica e la misurazione dei livelli soglia La psicofisica è un metodo che misura l’intensità di uno stimolo e la sensibilità del soggetto a tale stimolo, cioè la sua percezione di esso. La soglia assoluta è l’intensità minima necessaria perché uno stimolo risulti appena rilevabile nel 50% delle prove. Risulta anche che l’uomo tende ad essere più sensibile (e quindi avere una soglia assoluta più bassa) ai toni che corrispondono alla conversazione umana, mentre suoni troppo bassi o troppo alti non vengono percepiti. L’uomo però eccelle nel rilevare le variazioni di uno stimolo: la differenza appena rilevabile (JND) è il più piccolo cambiamento di intensità che il soggetto riesce a rilevare. Essa non è una quantità fissa, ma dipende dall’intensità dello stimolo e dal soggetto che la percepisce. Per misurarla viene mostrato al soggetto uno stimolo di intensità fissa, detto standard (S) accanto ad uno stimolo di minore o maggiore intensità. Secondo la legge di Weber, la differenza appena rilevabile di uno stimolo rappresenta una proporzione costante, indipendentemente dalle variazioni d’intensità (ad esempio noteremmo la differenza tra il sollevare una busta di 30 grammi e una che ne pesa il doppio, ma non noteremmo alcuna differenza tra una busta di 3 chili e una di tre chili e mezzo). La rilevazione del segnale I segnali sensoriali devono far fronte al ‘rumore’, cioè l’insieme di tutti gli stimoli presenti nell’ambiente, che ci impedisce di focalizzare perfettamente la nostra attenzione su un solo stimolo. La conseguenza del rumore è che possiamo anche non percepire tutto quello che cade sotto i nostri sensi, o anche percepire cose che i nostri sensi non hanno rilevato. Secondo la teoria della rilevazione del segnale, la risposta ad uno stimolo dipende sia dalla sensibilità del soggetto allo stimolo, sia dal suo personale criterio di risposta. In alcuni esperenti viene chiesto al soggetto di decidere se ha rilevato uno titolo oppure no e può avere quattro risultati: - Hit: il soggetto percepisce correttamente che lo stimolo è stato presentato - Miss: il soggetto non percepisce che lo stimolo era stato presentato - Falso allarme,: il soggetto percepisce uno stimolo che non era stato presentato - Correct rejection: il soggetto non percepisce uno stimolo che effettivamente non era stato presentato. La teoria della rilevazione del segnale consente quindi di tenere in conto anche degli errori percettivi e delle conseguenze di hit, miss, falsi allarmi e correct rejection. Adattamento sensoriale L’adattamento sensoriale è il fenomeno per cui una stimolazione prolungata porta la sensibilità a declinare col tempo, perché l’organismo si adatta alle condizioni in cui si trova. I nostri sistemi sensoriali rispondono con più forza ai cambiamenti nella stimolazione che alla stimolazione costante, poiché un cambiamento spesso segnala la necessità di agire. 14 LA VISIONE I: GLI OCCHI E IL CERVELLO CONVERTONO LE ONDE LUMINOSE IN SEGNALI NEURALI L’acuità visiva è la capacità di vedere dettagli fini, che nell’uomo è possibile grazie a dei recettori sensoriali situati negli occhi che reagiscono alle diverse lunghezze d’onda dell’energia luminosa. La sensazione della luce La luce visibile è semplicemente la porzione dello spettro elettromagnetico che siamo in grado di vedere. Le onde luminose possiedono tre proprietà, ciascuna delle quali ha una dimensione fisica che produce una corrispondente dimensione psicologica: la lunghezza d’onda, che percepiamo come tinta (hue), ovvero il colore; l’intensità o ampiezza, che percepiamo come luminosità; la purezza, che percepiamo come saturazione o intensità del colore. L’occhio rileva e focalizza la luce La luce che raggiunge l’occhio innanzitutto passa attraverso il tessuto esterno detto cornea, che imprime una curvatura al raggio luminoso e lo invia attraverso la pupilla, un’apertura che si dilata o restringe grazie all’iride. Dietro l’iride si trova il cristallino, che in base alla sua curvatura è in grado di deviare i raggi e concentrarli sulla retina, un tessuto fotosensibile sul fondo del bulbo oculare. I muscoli cambiano la curvatura del cristallino per mettere a fuoco oggetti posti a distanze diverse, in modo tale che l’occhio formi sulla retina un’immagine chiara dell’oggetto (processo di accomodazione) Nella retina la luce viene convertita in impulsi nervosi Due tipi di fotorecettori retinici contengono pigmenti sensibili alla luce e trasducono i raggi luminosi in impulsi neurali. I coni rilevano il colore, operano in condizioni di luce normali e consentono la messa a fuoco dei dettagli fini. I bastoncelli si attivano solo in condizioni di luce debole, quindi sono deputati alla visione notturna e possono percepire solo sfumature i grigio. I bastoncelli sono distribuiti in tutta la retina, tranne che nella regione della fovea, un’area dove sono presenti solo coni e dove la visione è in assoluto più nitida. I coni, invece, si trovano quasi tutti nella fovea e sono praticamente assenti nelle altre regioni. Questo spiega perché la visione periferica sia meno nitida: la luce riflessa degli oggetti nella periferia del campo visivo ha meno probabilità di cadere nella fovea e, quindi, sui coni. Nella retina coni e bastoncelli formano lo strato più interno, ma negli strati più esterni vi sono altri tipi di neuroni: Le cellule bipolari raccolgono segnali da coni e bastoncelli e li trasmettono allo strato più esterno. Le cellule gangliari della retina (RGC) formano lo strato più esterno della retina, organizzano i segnali e li inviano al cervello. I fasci degli assoni delle RGC formano il nervo ottico e, poiché è priva di coni e bastoncelli, quest’area è detta punto cieco, cioè non produce alcuna sensazione sulla retina. 15 Il nervo ottico trasporta gli impulsi neurali al cervello Il nervo ottico trasporta gli impulsi nervosi generati dalla retina al cervello. Le fibre nervose codificano informazioni provenienti da ciascun campo visivo: metà degli assoni delle RGC trasportano informazioni dal campo visivo destro, l’altra metà dal campo visivo sinistro (per ciascun occhio). Questi fasci di fibre si incrociano nel chiasma ottico e raggiungono in modo controlaterale gli emisferi destro e sinistro. Il nervo ottico arriva da ciascun occhio al nucleo genicolato laterale (LGN) nel talamo, da cui il segnale visivo viene inviato l’area V1 nella corteccia visiva primaria del lobo occipitale. La percezione del colore Il colore non è altro che la nostra percezione delle differenti lunghezze d’onda dello spettro della luce visibile. Percepiamo lunghezze corte come viola, lunghezze medie come verde, quelle lunghe come rosso. Ogni tipo di cono contiene uno specifico pigmento sensibile a una particolare lunghezza d’onda e i tre primari sono il rosso, il verde e il blu. La nostra percezione dei colori dipende quindi dalla combinazione dell’attività di questi coni principali. Fissare tropo a lungo affatica i coni che rispondono a quel colore, producendo una forma di adattamento sensoriale detta immagine postuma, un effetto spiegato dall’esistenza dei sistemi cromatici antagonisti, in cui coppie di neuroni visivi funzionano in maniera antagonista. Ad esempio, dopo aver guardato a lungo qualcosa di verde i coni si affaticheranno e quando sposteremo lo sguardo su una superficie bianca i coni del rosso scaricheranno con forza, creando un’immagine postuma in cui vedremo il rosso. Il cervello visivo L’area V1 è specializzata nella codifica dell’orientamento spaziale dei margini. Qui, varie popolazioni di neuroni sono sintonizzate nel rispondere a margini orientati secondo una specifica direzione. Ci sono due vie distinte che proiettano dalla corteccia occipitale alle aree visive in altre regioni: La via ventrale dal lobo occipitale attraversa il lobo temporale e l are coinvolte nel riconoscimento della forma e dell’identità di un soggetto (via del what) La via dorsale va verso il lobo parietale collegandosi alle aree corticali che identificano la posizione e il movimento di un oggetto (relazioni spaziali e come orientarsi: via del where o dell’how). Queste sono due vie separate ed una lesione ad una non compromette le funzioni dell’altra. Ad esempio una lesione alla via ventrale può provocare agnosia per la forma, cioè l’incapacità di riconoscere gli oggetti mediante la vista, ma non compromette l’orientamento nello spazio. LA VISIONE II: IL RICONOSCIMENTO DI CIÒ CHE PERCEPIAMO L’attenzione: il collante che unisce le singole caratteristiche in un tutto integrato L’elaborazione in parallelo è la capacita del cervello di eseguire simultaneamente molteplici attività. Il binding problem è il problema di come il cervello riesca a collegare tra loro le singole caratteristiche in modo tale che il nostro mondo visivo risulti composto da oggetti unitari, anziché da collezioni di caratteristiche mutevoli o combinate in modo errato. La congiunzione illusoria è un tipo di errore di percezione in cui il cervello combina in modo scorretto caratteristiche appartenenti in realtà a più oggetti. Secondo la teoria dell’integrazione delle caratteristiche, questi errori si verificano quando il soggetto ha una ridotta attenzione focalizzata, che non è necessaria a rilevare le singole caratteristiche ma è indispensabile per legarle insieme. La formazione dei legami associativi sfrutta l’informazione relativa alle caratteristiche, elaborata in strutture della via ventrale, ma dipende anche dalla via dorsale e da strutture del lobo parietale, che ne codificano la specifica localizzazione spaziale. 16 Il riconoscimento degli oggetti tramite la vista I rilevatori di caratteristiche permettono al sistema visivo la percezione accurata anche in circostanze diverse e i ricercatori hanno ipotizzato due teorie per spiegare questa abilità. Secondo la teoria della visione modulare esistono delle aree o moduli cerebrali specializzate nel riconoscere e rappresentare facce, case o persino parti del corpo. Secondo la teoria della rappresentazione distribuita è il pattern dell’attività neurale in molte aree del cervello ad identificare qualunque oggetto che viene visto, compresi i volti. Il principio della costanza percettiva, dimostrato da molteplici esperimenti, ci dice che la percezione degli oggetti resta costante, anche quando gli aspetti dei segnali sensoriali cambiano. La percezione è sensibile ai cambiamenti degli stimoli, ma le costanze percettive ci permettono di notarne le differenze. I principi dell’organizzazione percettiva I principi sviluppati dalla Gestalt caratterizzano molti aspetti della percezione umana. Tra questi ci sono le regole di organizzazione percettiva, cioè i criteri per l’integrazione delle caratteristiche elementari e delle parti degli oggetti. a) Semplicità: il sistema visivo sceglie l’interpretazione più semplice b) Chiusura: tendiamo a inserire elementi mancanti, cosi i contorni interrotti da sazi vuoti sembrano appartenere a oggetti completi c) Continuità: raggruppiamo insieme margini che hanno stesso orientamento d) Somiglianza: aree che si assomigliano vengono percepite come appartenenti allo stesso oggetto e) Vicinanza: oggetti vicini tendono ad essere raggruppati insieme f) Movimento comune: gli elementi che si muovono insieme vengono percepiti come un’unica unità in movimento. Distinguere la figura dallo sfondo L’organizzazione percettiva implica separare visivamente un oggetto da ciò che lo circonda, cioè una figura dallo sfondo. Le dimensioni e il movimento ci forniscono degli indizi per farlo, ma un passaggio cruciale è l’attribuzione del contorno. Nell’illusione di Rubin (relazione reversibile figura-sfondo) il margine non può essere assegnato con certezza, dunque il cervello oscilla tra il vedere un vaso e il vedere due volti. Le teorie sul riconoscimento degli oggetti Secondo le teorie del riconoscimento degli oggetti in base all’immagine mentale, un oggetto visto in precedenza viene conservato nella memoria sotto forma di template, cioè una rappresentazione mentale che può essere confrontata direttamente con la forma di un oggetto nella sua immagine retinica. Secondo le teorie del riconoscimento degli oggetti in base alle loro parti, il cervello deostruisce gli oggetti osservati, scomponendoli in un insieme di parti e di relazioni spaziali tra di esse. Entrambe le teorie hanno limiti e punti di forza, dunque gli scienziati stanno cercando di formulare una nuova teoria sulla base di entrambe. La percezione della profondità e della grandezza Gli oggetti sono organizzati in tre dimensioni: lunghezza, larghezza e profondità, ma nell’immagine retinica sono solo due: lunghezza e larghezza. Il nostro cervello dunque percepisce distanza e profondità tramite gli indizi di profondità, che cambiano mentre ci spostiamo nello spazio. Indizi monoculari di profondità Gli indizi monoculari di profondità sono gli elementi di una scena che forniscono informazioni sulla profondità quando sono osservati con un solo occhio. Il cervello sfrutta le differenze di grandezza nell’immagine retinica negli oggetti vicini o lontani (grandezza relativa) per percepire la distanza. Questo meccanismo funziona particolarmente bene con la grandezza familiare, per cui il nostro cervello corregge automaticamente le differenze di grandezza attribuendole a differenze di distanza. 17 Altri indizi monoculari sono: - La prospettiva lineare: le linee parallele sembrano convergere all’ aumentare della distanza - Il gradiente di tessitura: la grandezza degli elementi di un pattern pare diminuire all’aumentare della distanza - La sovrapposizione: l’oggetto bloccante è percepito come più vicino dell’oggetto bloccato - L’altezza relativa: gli oggetti più vicini si trovano più in basso nel campo visivo, gli oggetti lontani in alto. Indizi binoculari di profondità Indizi sulla profondità ci vengono forniti anche dalla disparità binoculare, ovvero la differenza tra le immagini retiniche dei due occhi, che è fonte ddi informazioni sulla profondità. La percezione del cambiamento e del movimento Per percepire il movimento, il sistema visivo deve codificare informazioni riguardanti sia lo spazio che il tempo. I circuiti neurali riescono a individuare i cambiamenti di posizione nel tempo o e rispondono a specifiche velocità e direzioni del movimento. La regione MT (middle temporal) nel lobo temporale è specializzata in questo. Il sistema per la percezione del movimento deve tener conto della posizione e del movimento degli occhi, e inoltre della testa e del corpo, per riuscire a percepire correttamente e lo fa monitorando i movimenti di occhi e testa ‘sottraendoli’ al movimento dell’immagine retinica. I neuroni sensibili al movimento sono specializzati in direzioni opposte. Se un gruppo di rilevatori del movimento risulterà affaticato dall’adattamento al movimento in una data direzione, allora prenderà il sopravvento il gruppo dei sensori antagonisti, come per l’immagine postuma. Un’altra illusione di movimento è il moto apparente, cioè la percezione del movimento in conseguenza di segnali intermittenti che appaiono in rapida successione in posizioni diverse. La cecità al cambiamento e la cecità da inattenzione La cecità al cambiamento è un fenomeno che si verifica quando le persone non riescono a rilevare i cambiamenti nei particolari di una scena visiva. La cecità da inattenzione è l’incapacità di percepire gli oggetti su cui non è focalizzata l’attenzione. 18 L’UDITO: PIÙ DI QUELLO CHE COLPISCE L’ORECCHIO La sensazione del suono Il senso dell’udito riguarda le onde sonore, ovvero le variazioni della pressione che si trasmettono attraverso l’aria in un certo arco di tempo. La frequenza dell’onda sonora, che è misurata in hertz (Hz), è percepita dall’uomo come tono, cioè quanto acuto o grave è un suono. L’ampiezza di un’onda sonora, misurata in decibel (dB), corrisponde al volume o intensità del suono. Le differenze di complessità delle onde sonore corrispondono alla nostra percezione del timbro, l’esperienza che chi ascolta fa della qualità del suono o risonanza. La maggioranza dei suoni consiste di varie di onde sonore ma di molte frequenze differenti. La prima cosa che fa l’orecchio è scomporre un suono individuando tutte le distinte frequenze di cui è composto. Il tono, il volume e il timbro sono rappresentazioni psicologiche al livello dell’orecchio intorno. La collocazione delle orecchie ai due lati opposti della testa ci consente di avere un udito stereofonico, cioè a localizzare il suono, attraverso la differenza di volume e la differenza tra i due tempi di ricezione. L’orecchio esterno convoglia le onde sonore all’orecchio medio L’orecchio umano si divide in tre parti distinte. L’orecchio esterno raccoglie le onde sonore e le convoglia verso l’orecchio medio, che trasmette le vibrazioni all’orecchio interno, racchiuso ne cranio, dove queste vengono trasdotte in impulsi neurali. L’orecchio esterno comprende il padiglione, il canale uditivo e il timpano, una membrana a tenuta d’aria che vibra in risposta all onde sonore. L’orecchio medio contiene gli ossicini: martello, incudine e staffa, che formano una leva che trasmette meccanicamente le vibrazioni dalla membrana timpanica all’orecchio interno. 19 Nell’orecchio interno i suoni sono convertiti in impulsi neurali L’orecchio interno contiene la coclea, un canale pieno di liquido che è l’organo della trasduzione uditiva. Lungo la coclea si trova la membrana basilare, una struttura che dà origine a ondulazioni in risposta alle vibrazioni trasmesse dagli ossicini al liquido cocleare. All’interno di questa membrana sono presenti le cellule ciliate, recettori uditivi che, stimolati da questo movimento, rilasciano neurotrasmettitori che danno inizio ad un segnale neurale che sarà trasmesso al cervello tramite il nervo acustico. Il nervo acustico trasmette gli impulsi neurali al cervello I potenziali d’azione dal nervo acustico raggiungono il talamo e infine l’area A1 della corteccia cerebrale, una porzione di lobo temporale contenente la corteccia uditiva primaria. Le caratteristiche spaziali sono elaborate da aree nella porzione posteriore (caudale), le caratteristiche che ci consentono di identificare il suono sono elaborate nella porzione inferiore (ventrale) della corteccia uditiva. La percezione del tono L’area A1 elabora i toni semplici, mentre alle aree superiori elaborano suoni di maggiore complessità attraverso due meccanismi principali che collaborano: Il codice di posizione, usato per altre frequenze, è il processo per cui frequenze differenti sono codificate in base a posizioni differenti sulla membrana basilare: per le basse frequenze vibra maggiormente l’apice della membrana, per le alte frequenze vibra la base. Il cervello dunque si serve dell’informazione relativa agli assoni più attivi per determinare il sono che udiamo. Il codice temporale registra le frequenze relativamente basse tramite la frequenza di scarica dei potenziali d’azione generati dalle cellule ciliate, che sono sincronizzate con i picchi delle onde sonore in ingresso. Questo ci dà informazioni molto precise sul tono. Le perdite uditive Le perdite uditive possono essere addebitate a de cause principali: - Le perdite di udito conduttive hanno causa meccanica e si verificano quando il timpano o gli ossicini hanno subito un danno tale da non riuscire più a trasmettere efficacemente alla coclea le onde sonore. - Le perdite uditive neurosensoriali sono causate da un danno alla coclea, alle cellule ciliate o al nervo acustico. 20 I SENSI SOMATICI: NON SOLO EPIDERMIDE La sensazione del tatto La percezione tattile scaturisce dall’esplorazione attiva dell’ambiente fatta toccando e afferrando gli oggetti con le mani. Il senso del tattoo ha inizio con la trasduzione in segnali neurali delle sensazioni raccolte dalla pelle. Recettori localizzati sotto la superficie dell’epidermide ci permettono di sentire dolore, la pressione, la tessitura degli oggetti, pattern di vibrazioni sulla nostra pelle, il caldo o il freddo (termorecettori). Tre principi importanti regolano la rappresentazione neurale della superficie corporea: l’organizzazione controlaterale (la parte sinistra è rappresentata nell’emisfero destro e viceversa) la maggior parte delle aree cerebrali deputate al tatto sono dedicate alla sensazione proveniente dalle superfici corporee più sensibili le evidenze raccolte con studi fMRI indicano l’esistenza di vie del what e del where del tatto, corrispondenti rispettivamente alle porzioni inferiore e superiore del lobo parietale. La sensazione e la percezione del dolore Il danno ai tessuti viene trasdotto dai nocirecettori, che si distinguono in fibre A-delta ad azione rapida, le quali trasmettono il dolore acuto, e fibre C, che trasmettono il dolore sordo che dura a lungo e persiste. I segnali neurali per il dolore viaggiano attraverso due aree distinte: - una via va verso la corteccia somatosensoriale, identifica la localizzazione e il tipo di dolore, - la seconda via manda i segnali ai centri cerebrali coinvolti nella motivazione e nell’emozione, come ipotalamo, amigdala e il lobo frontale, in modo da conferire al dolore il carattere di esperienza spiacevole, al fine di evitarlo. A volte, ad esempio quando il dolore è interno, avvertiamo una sensazione detta dolore riferito, che si verifica quando le informazioni sensoriali provenienti da aree esterno o interne convergono sulle stesse cellule nervose del midollo spinale. Questo accade, ad esempio, quando durante un attacco di cuore viene percepito dolore al braccio sinistro anziché al petto. Secondo la teoria del gate-control o teoria del cancello, i segnali che arrivano dai recettori del dolore nel corpo possono essere fermati, o bloccati al ‘cancello di ingresso’ da interneuroni presenti nel midollo spinale tramite il feedback provenienti da due direzioni. Il feedback neurale proviene da una regione situata nel mesencefalo detta sostanza grigia periacqueduttale (PAG), che in condizioni estreme invia segnali inibitori a neuroni del midollo spinale, i quali a loro volta bloccano i segnali del dolore inviati al cervello e in questo modo controllano l’esperienza del dolore. Un diverso tipo di feedback può anche far aumentare la sensazione del dolore, un sistema probabilmente evolutosi per motivare chi è malato a dedicarsi al riposo e alla guarigione. Questa teoria si basa sul concetto del controllo bottom-up e top-down, secondo cui i recettori inviano info al cervello, ma anche il cervello invia informazioni percettive ai recettori sensoriali. Posizione del corpo, movimento ed equilibrio Le sensazioni collegate alla posizione, al movimento e all’equilibrio dipendono da stimolazioni che si producono all’interno del nostro corpo. Recettori localizzati nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni segnalano la posizione del corpo nello spazio. Il mantenimento dell’equilibrio, invece, dipende dal sistema vestibolare, costituito da tre canali semicircolari pieni di liquido e dagli organi ad essi adiacenti, situati nei pressi della coclea in ciascun orecchio interno. I canali semicircolari sono orientati in tre direzioni e contengono le cellule oliate, che rilevano i movimenti del fluido e ripiegandosi generano impulsi nervosi nel nervo vestibolare, che li trasmette poi al cervello. 21 I SENSI CHIMICI: OLFATTO E GUSTO I sensi chimici dell’olfatto e del gusto rispondono alla struttura molecolare delle sostanze che raggiungono le cavità nasali quando inviamo l’aria, o che sono disciolte nella saliva. Olfatto e gusto si combinano a produrre l’esperienza percettiva del sapore. La sensazione e la percezione dell’odorato L’olfatto è l’unico senso ad avere connessioni dirette con il prosencefalo senza passare per il talamo, mediante proiezioni che raggiungono il lobo frontale, l’amigdala e altre strutture prosencefaliche. Le molecole odoranti raggiungono l’epitelio olfattivo, una membrana mucosa che contiene milioni di recettori olfattivi (ORN), cioè i neuroni da cui ha inizio il senso dell’odorato. Le molecole odoranti si legano a questi recettori specializzati con un meccanismo chiave- serratura e, se il numero di legami formati è sufficiente, i recettori inviano i potenziali d’azione al nervo olfattivo. Dall’epitelio olfattivo gli assoni degli ORN raggiungono il bulbo olfattivo, una struttura cerebrale situata sopra le cavità nasali e sotto i lobi frontali, che poi invierà i segnali ai vari centri del cervello. La percezione degli odori coinvolge sia l’informazione relativa all’identità di un odore sia la nostra risposta emozionale, cioè il fatto di trovarlo piacevole o spiacevole. Secondo l’approccio centrato sull’oggetto, l’informazione relativa all’oggetto odore viene recuperata dalla memoria e innesca una risposta emozionale. Secondo l’approccio centrato sulla valenza, viene prima la risposta emozionale, che costituisce poi la base per determinare l’identità dell’odore. L’olfatto può avere un ruolo importante anche nel comportamento sociale. Infatti animali ed esseri umani riescono a individuare gli odori dei feromoni, odoranti chimici emessi dagli altri membri della specie e capaci di influenzare il comportamento e la fisiologia di un animale. La sensazione e la percezione del gusto Il senso chimico del gusto ci permette di identificare se quello che ingeriamo può essere nocivo. La lingua è ricoperta da protuberanze dette papille, al cui interno si trovano centinaia di calici gustativi, che sono gli organi di trasduzione del gusto. Esistono 5 tipi principali di recettori gustativi, che corrispondono alle cinque sensazioni gustative primarie: il salato, l’acido, l‘amaro, il dolce e l’umami (saporito, ancora oggetto di discussione). Ogni calice gustativo contiene vari tipi di recettori, che portano alla loro estremità apicale prolungamenti detti microvilli i quali reagiscono con le molecole gustative (tastants) presenti nei cibi. Le esperienze gustative presentano un’ampia varietà individuale. Esistono, per esempio, tre categorie di persone che riferiscono una diversa sensibilità all’amaro: i tasters sono sensibili, i nontasters insensibili e i supertasters sono iper sensibili all’amaro. Alcune prove indicano che sia fattori genetici che cognitivi possono influire sull’esperienza del gusto e sull’attività nervosa ad essa associata. 22 CAPITOLO 6 LA MEMORIA CHE COS’È LA MEMORIA? La memoria è la capacità di immagazzinare informazioni e di recuperarle nel corso del tempo ed implica tre funzioni chiave: 1. La codifica, il processo con cui trasformiamo in un ricordo persistente ciò che percepiamo o sentiamo; 2. L’immagazzinamento, il processo che permette di conservare le informazioni nella memoria per lungo tempo; 3. Il recupero, il processo che riporta alla mente le informazioni in precedenza codificate immagazzinate. LA CODIFICA: LE PERCEZIONI SONO TRASFORMATE IN RICORDI Costruiamo i ricordi combinando insieme informazioni che già possediamo ne nostro cervello con informazioni nuove che recepiamo attraverso i sensi. I ricordi sono dunque costruzioni, non registrazioni, e la codificazione è il processo con cui trasformiamo in un ricordo duraturo quello che percepiamo, pensiamo o sentiamo. Esistono tre tipi diversi di codifica: semantica, visiva e organizzativa. La codifica semantica La codifica semantica è il processo che mette in relazione tramite il significato nuove informazioni con conoscenze già immagazzinate in memoria. Durante uno studio dei ricercatori chiesero a dei soggetti di analizzare delle parole secondo il loro significato (analisi semantica), suono (analisi della rima) oppure aspetto (analisi visiva). I risultati furono che i partecipanti che avevano effettuato analisi semantica riuscivano a ricordare molto meglio le parole. Gli studi hanno rivelato che la codifica semantica è associata ad un aumento dell’attività neurale nella regione del lobo frontale sinistro e nella regione interna del lobo temporale sinistro. Maggiore è l’attività di queste aree, maggiore è la capacità di una persona di ricordare degli item. La codifica visiva La codifica visiva consiste nell’immagazzinare nuove informazioni trasformandole in immagini mentali, un processo che può migliorare la memoria in misura sostanziale. Questo succede perché associando una parola ad un’immagine mentale, finiamo per avere due informazioni sull’item, quella visiva e quella verbale, e quindi abbiamo più probabilità di ricordarlo rispetto a quando abbiamo solo l’informazione verbale. Durante questa codifica attiviamo effettivamente le regioni dell’elaborazione visiva nel lobo occipitale. La codifica organizzativa La codifica organizzativa comporta di classificare in categorie una serie di item in base alle relazioni esistenti tra loro. Questo processo, che può aumentare la capacità di ricordare più item, attiva la regione superiore del lobo frontale sinistro. La codifica dell’informazione legata alla sopravvivenza Secondo la prospettiva evoluzionistica, i meccanismi della memoria in grado di favorire la sopravvivenza e la riproduzione dovrebbero essere conservati dalla selezione naturale. I nostri sistemi di memoria dovrebbero essere costruiti in modo da ricordare con particolare precisione soprattutto le informazioni importanti per la nostra sopravvivenza. La codifica collegata alla sopravvivenza fa infatti aumentare le capacità di ricordare, attingendo dagli elementi della codifica semantica, visiva e organizzativa. Inoltre, anche la pianificazione del futuro, che implichi la sopravvivenza o meno, produce prestazioni nettamente superiori nella capacità di ricordare. 23 L’IMMAGAZZINAMENTO: LA RITENZIONE DEI RICORDI NEL TEMPO Mentre la codifica è il processo di trasformazione della percezione in ricordi, l’immagazzinamento nella memoria è il processo mediante il quale le informazioni si conservano nella memoria nel corso del tempo. La memoria sensoriale La memoria sensoriale è il deposito dove l’informazione sensoriale viene conservata per pochi secondi o anche meno. Possediamo più di un tipo di memoria sensoriale: - La memoria iconica è il deposito a rapido decadimento delle informazioni visive. - La memoria ecoica è il deposito a rapido decadimento delle informazioni uditive. La memoria a breve termine e la memoria di lavoro La memoria a breve termine è un deposito in cui le informazioni non sensoriali vengono trattenute per più di qualche secondo ma meno di un minuto. Per questo processo è necessario prestare attenzione, ma non appena l’attenzione si sposterà su qualcos’altro, l’informazione andrà rapidamente perduta, dopo circa 15/20 secondi. La ripetizione e il raggruppamento rafforzano la memoria La ripetizione è il processo mediante il quale manteniamo le informazioni nella memoria a breve termine ripetendole mentalmente. Questo ha un ruolo fondamentale sull’effetto della posizione seriale, il fenomeno per cui i primi e gli ultimi item di una serie hanno più probabilità di essere ricordati rispetto agli item centrali. L’effetto primacy o effetto di prima posizione dipende dal fatto che questi item vengono ripetuti più spesso rispetto a quelli successivi. L’effetto recency o effetto di ultima posizione dipende soprattutto dal fatto che questi item sono ancora ‘freschi’ nella memoria a breve termine e non vengono confusi con altri. La memoria a breve termine è dunque limitata rispetto alla quantità di tempo in cui può mantenere le informazioni, ma anche rispetto alla quantità di informazioni stesse che può trattenere, all’incirca sette. Un modo per aumentare i contenuti memorizzati può essere il raggruppamento o chunking, che consiste nel combinare unità di informazioni in chunk più grandi, che la memoria a breve termine riesce a trattenere più facilmente. La memoria di lavoro conserva ed elabora l’informazione La memoria di lavoro (working memory) si riferisce al mantenimento attivo delle informazioni nel deposito a breve termine. Questo sistema consiste di un esecutivo centrale, che controlla il flusso dell’informazione attraverso l’intero sistema; due sottosistemi, il taccuino visuo-spaziale e il ciclo fonologico, trattengono temporaneamente le informazioni rispettivamente visuo-spaziali e uditive/ verbali. Inoltre, un buffer episodico integra i due tipi di informazioni presenti nei sottosistemi. Il buffer episodico ha anche un ruolo fondamentale nell’apprendere il riconoscimento delle parole, un compito che richiede di abbinare informazioni visive e verbali. 24 La memoria a lungo termine La memoria a lungo termine è il deposito in cui le informazioni possono essere mantenute per ore, giorni, mesi o anni. A differenza della memoria sensoriale e a breve termine, non ha limiti di capacità ed è possibile richiamare da essa informazioni a cui non pensiamo da anni. L’ippocampo come indice: collegare i singoli elementi memorizzati Nel 1953 un uomo noto come H.M. Fu sottoposto ad asportazione chirurgica di parte dei lobi temporali, tra cui l’ippocampo e alcune regioni circostanti. In seguito all’operazione l’uomo non riusciva a ricordare nulla di ciò che gli era accaduto dopo l’operazione, non appena l’informazione lasciava il magazzino a breve termine. Questo suggerisce che l’ippocampo ha un ruolo fondamentale nell’introdurre nuova informazione nella memoria a lungo termine. Pazienti come questo soffrono di amnesia anterograda, cioè l’incapacità di trasferire nuove informazioni dal deposito a breve termine a quello a lungo termine. Alcuni pazienti soffrono anche di amnesia retrograda, cioè l’incapacità di recuperare le informazioni acquisite prima di una certa data, che di solito coincide con una lesione o intervento. Il fatto che in H.M. L’amnesia anterograda fosse molto peggiore di quella retrograda, suggerisce ce l’ippocampo non sia la sede della memoria a lungo termine. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che aspetti diversi di un singolo ricordo vengono immagazzinati in siti diversi della corteccia, e che l’ippocampo funzioni come una sorta di indice, che unisce insieme tutti questi pezzi separati cosi da farli apparire nella nostra memoria come un unico ricordo. Dunque, sebbene sia cruciale per la formazione di nuovi ricordi, l’ippocampo diventa meno importante quando il ricordo è già consolidato. Un’altra possibile spiegazione è che l’ippocampo sia coinvolto a lungo solo per alcuni ricordi, mentre non mantenga lo stesso coinvolgimento per ricordi meno dettagliati e più generali. Il consolidamento rende stabili i ricordi L’idea che col tempo l’ippocampo diventi meno importante è legata al concetto di consolidamento, il processo con cui i ricordi diventano stabili all’interno del cervello. Dopo la codifica i ricordi esistono in forma fragile e soggetta a disgregazione, ma una volta avvenuto il consolidamento diventano molto più resistenti. Questo probabilmente implica il trasferimento dei ricordi dall’ippocampo ad una sede più permanente all’interno della corteccia e spiega come pazienti con amnesia retrograda dovuta a un danno all’ippocampo riescano a ricordare eventi dell’infanzia ma non eventi più recenti. Il ricordo può essere consolidato richiamandolo alla memoria, ripensando lo, parlandone e attraverso il sonno. Esprimenti hanno però dimostrato che anche se apparentemente consolidati, i ricordi possono diventare vulnerabili alla disgregazione quando vengono richiamati, perciò devono essere consolidati nuovamente (processo di riconsolidamento). Degli studi hanno persino dimostrato che impedire il riconsolidamento può eliminare il ricordo di un evento spaventoso in una struttura cerebrale detta amigdala, che ha un ruolo fondamentale nella memoria delle emozioni. Sembra dunque che il riconsolidamento sia essenziale per la memoria e abbia implicazioni importanti. 25 Ricordi, neuroni e sinapsi Gli studi mostrano che l’immagazzinamento dei ricordi dipende dalle sinapsi, spazi attraverso i quali i neuroni comunicano inviando neurotrasmettitori. Questo processo rafforza la connessione tra neuroni, rendendo più facile la comunicazione successiva, ed è alla base della memoria a lungo termine. Gran parte di ciò che sappiamo deriva dagli studi sull’Aplysia californica, una lumaca marina con un sistema nervoso semplice. L’esperimento consisteva nel somministrare una scossa elettrica ala lumaca, che, in risposta, ritirava le branchie. Quando la scossa veniva ripetuta subito dopo, la reazione era più veloce (memoria a breve termine), tuttavia, dopo un’ora la lumaca reagiva con la stessa lentezza della prima volta (il ricordo non era stato trasferito alla memoria a lungo termine). Continuando a somministrare scosse ripetute l’Aplysia sviluppava un ricordo che durava giorni o settimane. Questo comportamento suggerisce che il ricordo a lungo termine richieda la formazione di nuove connessioni sinaptiche tra neuroni. L’apprendimento della lumaca si basa su cambiamenti che coinvolgono le sinapsi sia per la memoria a breve termine (maggiore rilascio di trasmettitori) sia per la memoria a lungo termine (formazione di nuove sinapsi). Anche in animali più complessi, come gli esseri umani, avviene il rafforzamento sinaptico. Questo processo, che avviene nell’ ippocampo, è fondamentale per l’immagazzinamento a lungo termine. Negli anni Settanta si scoprì che una stimolazione elettrica in una via neurale dell’ippocampo rafforzava le connessioni sinaptiche per ore o settimane. Questo fenomeno, il potenziamento a lungo termine (LTP), facilita la comunicazione da neuroni ed è considerato essenziale per la memoria. Bloccare l’LTP può inoltre causare gravi difficoltà di memorizzazione. IL RECUPERO: RIPORTARE ALLA MENTE I RICORDI Indizi per il recupero: ripristinare il passato L’indizio per il recupero è un’informazione esterna associata all’informazione immagazzinata e che serve a riportarla alla mente. Studi su questo hanno dimostrato che a volte l’informazione è disponibile nella memoria persino quando è momentaneamente inaccessibile, e che gli indizi per il recupero ci aiutano a riportare alla mente informazioni inaccessibili. Inoltre, il ricordo è migliore quando il contesto di recupero corrisponde a quello dello della codifica (principio della specificità della codifica). Ad esempio, se vedi la parola ‘cervello’ e fa un’analisi sul suo significato, di solito ricorderai meglio rispetto a chi farà un’analisi della rima. Tuttavia, se durante il recupero ti chiedono ‘qual era la parola che fa rima con cancello?’, chi aveva pensato prima alla rima ricorderà meglio. Questo riflette il principio dell’elaborazione appropriata per il trasferimento, secondo cui il ricordo è più efficace se i processi di codifica e di recupero coincidono. Anche gli stati interiori possono fornire indizi per il recupero: il recupero stato-dipendente è la tendenza a ricordare meglio un’informazione quando il suo recupero avviene mentre si è nello stesso stato in cui ci si trovava durante la codifica. Questo accade perché lo stato psicologico o fisiologico in cui la persona si trova al momento della codifica resta associato all’informazione codificata. Le conseguenze del recupero Il recupero modifica lo stato del sistema della memoria in molti modi importanti. Ad esempio, il recupero delle informazioni dalla memoria rafforza il ricordo più dello studio ripetuto, specialmente a lungo termine. Esperimenti hanno dimostrato che test di recupero migliorano significativamente la memoria dopo giorni o settimane, rispetto al semplice ripasso, sia in adulti che in bambini. Non sempre, però, il recupero aiuta la memoria: la dimenticanza indotta da recupero (retrieval- induced forgetting) è il processo per cui il recupero di un contenuto dalla memoria a lungo termine può compromettere la successiva capacità di richiamare contenuti correlati. Questo fenomeno è stato dimostrato in un esperimento nel quale ai partecipanti vennero fornite coppie di parole categoria-item (es. frutta-arancia, frutta-mela) e si chiese loro di praticar il richiamo di alcune parole (es. arancia) tramite un indizio (es. frutta-ar_). Nel test finale, le parole praticate, come arancia, furono ricordate meglio di quelle categorie non praticate (es. olmo). Tuttavia, le parole non praticate ma correlate agli argomenti praticati, come ‘mela’ furono ricordate meno di tutte, dimostrando che il richiamo di un item (arancia) aveva soppresso gli item correlati (mela). 26 Il recupero può anche modificare il ricordo. In un esperimento, i partecipanti visitarono un museo e scattarono foto automatiche di ciò che vedevano. Dopo due giorni, durante una ‘seduta di riattivazione’, rivedevano le foto dei punti visitati e valutavano quanto fossero vividi i loro ricordi. Successivamente vennero mostrate anche foto di oggetti che non avevano visto, e alcuni partecipanti ricordarono erroneamente che questi avessero fatto parte della loro visita. I partecipanti con ricordi più vividi tendevano a commettere questo errore, che il recupero può rendere un ricordo vulnerabile a modifiche, un processo legato al riconsolidamento. Separare le componenti del recupero Il processo di recupero coinvolge diverse aree del cervello. Lo sforzo per cercare un ricordo attiva il lobo frontale sinistro, mentre il successo festivo nel ricordare qualcosa si associa a un aumento dell’attività dell’ippocampo. Inoltre, il recupero riattiva le aree sensoriali specifiche legate all’esperienza originale (es. corteccia visiva per le immagini). Durante il recupero, il lobo frontale sopprime gli elementi in competizione per facilitare il richiamo del target. Questo avviene riducendo l’attività neurale dell’ippocampo legata ai ricordi indesiderati, permettendo un recupero più efficace dei ricordi desiderati. Questo meccanismo spiega anche la dimenticanza indotta dal recupero, dove la soppressione di ricordi in competizione facilita il richiamo del target, ma rende meno accessibile i ricordi soppressi. LE FORME DELLA MEMORIA A LUNGO TERMINE: NON UN UNICO TIPO Si possono distinguere due tipi generali di memoria: si parla di memoria esplicita quando le persone consciamente o intenzionalmente recuperano dalla memoria il ricordo di specie se passate; si parla di memoria implicita quando le esperienze passate influenzano il comportamento e le prestazioni successive, anche se non si sta cercando di ricordarle né si è consapevoli di ricordarle. La memoria implicita Un caso emblematico di memoria implicita riguarda Greg, un paziente amnesico a causa di un tumore, seguito dal neurologo Sacks. Sebbene Greg non fosse in grado di formare nuovi ricordi, mostrava cambiamenti comportamentali duraturi: dopo aver appreso della morte del padre, Pur non ricordando consapevolmente l’evento, restò per anni triste e chiuso in sé stesso. Un fenomeno simile si trovò nel caso di H.M., che migliorava progressivamente in un gioco di abilità manuale, pur non ricordando di averlo mai svolto prima. Questi casi illustrano come la memoria implicita possa manifestarsi attraverso diversi meccanismi, come la memoria procedurale e il priming. La memoria procedurale riguarda l’acquisizione graduale di abilità attraverso la pratica e il fatto che H.M. possedesse questa capacità suggerisce che tale processo dipenda da aree cerebrali esterne all’ippocampo (come la corteccia motoria). Il priming invece si riferisce alla maggiore capacità di pensare ad un item in seguito ad una recente esposizione ad esso, anche senza ricordarla esplicitamente. Il priming ha mostrato di essere presente anche in pazienti amnesici, che reagivano a stimoli con un miglioramento nelle prestazioni, pur non ricordando gli stimoli stessi, indizio che suggerisce che neanche il priming sia un processo con sede nell’ippocampo. Gli esperimenti hanno rivelato, infatti, che il priming si associa ad una riduzione dell’attività cerebrale in varie regioni della corteccia coinvolte nella percezione, facilitando di fatto il riconoscimento degli stimoli già visti. Gli studi di neuroimmagine o con fMRI indicano inoltre l’esistenza di de sistemi cerebrali diversi coinvolti in due tipi di priming: - Il priming percettivo, che riflette la memoria delle caratteristiche sensoriali di un item, dipende principalmente da regioni posteriori del cervello, come la corteccia visiva; - Il priming concettuale, che riflette la memoria del significato o del concetto di un item, dipende da regioni anteriori del cervello, come i lobi frontali. 27 La memoria esplicita: semantica ed episodica Esistono due tipi di memoria esplicita: La memoria semantica è la rete di fatti e conoscenze associati che formano la nostra conoscenza generale del mondo. Studi su tre adulti con danni all’ippocampo dalla nascita hanno potato alla conclusione che l’ippocampo non è necessario per l’acquisizione di nuovi ricordi semantici. La memoria episodica è invece l’insieme delle passate esperienze personali, avvenute in un tempo e in un luogo ben precisi. Una rete di regioni cerebrali note per essere coinvolte nella memora episodica, tra cui l’ippocampo, mostra aumenti dell’attività molto simili sia quando le persone ricordano il passato sia quando ricordano il futuro. Immaginare il futuro attraverso la ricombinazione degli elementi delle esperienze passate è un processo noto come pensiero creativo divergente, che può essere misurato tramite un test AUT (test degli usi alternativi). Studi su soggetti sottoposti a test AUT durante fMRI evidenziano un aumento dell’attività nella rete cerebrale che sostiene la memoria episodica; questo dato suggerisce che la memoria episodica contribuisca al pensiero creativo divergente. La memoria collaborativa: il ricordo è soggetto ad evidenze sociali Le modalità con cui le informazioni sono ricordate all’interno dei gruppi riguardano quella che gli psicologi chiamano memoria collaborativa. Dagli esperimenti emerge che un gruppo di persone che collaborano riesce a ricordare più item rispetto a quanti ne ricordi ciascun singolo membro (recupero collaborativo). Tuttavia, un gruppo nominale, cioè l’insieme di diversi individui che lavorano per conto proprio, riesce a ricordare più item di un gruppo collaborativo. Questo effetto negativo è chiamato inibizione collaborativa e si ipotizza che avvenga per due motivi: uno è il cosiddetto ‘ozio sociale’ (social loafing), il secondo è che le strategie di recupero dei diversi individui possono differire tra loro, compromettendo la memoria complessiva. L’inibizione collaborativa può inoltre produrre un effetto duraturo di riduzione dell’accessibilità ai ricordi individuali. I GUASTI DELLA MEMORIA: I SETTE “PECCATI” DELLA MEMORIA 1. Labilità La labilità si riferisce alla dimenticanza che si verifica col trascorrere del tempo. La curva dell’oblio, sviluppata da Ebbinghaus, mostra come la memoria decada rapidamente nelle prime ore o giorni dopo l’apprendimento, con una significativa perdita iniziale. Dopo quest’atto rapido calo, la perdita di memoria rallenta e si stabilizza nel tempo. Inoltre, con il tempo, i ricordi diventano più generici e meno dettagliati, un fenomeno che porta spesso a distorsione dei ricordi, come ricordare ciò che è probabilmente accaduto anziché ciò che è effettivamente successo. Alcuni fattori che comportano distorsione possono essere: - Interferenza retroattiva, il fenomeno per cui informazioni apprese in un momento successivo compromettono il ricordo di informazioni acquisite in precedenza; - Interferenza proattiva, il fenomeno per cui informazioni apprese in precedenza compromettono il ricordo di informazioni acquisite successivamente. 28 2. Distrazione La distrazione è una causa comune di dimenticanza, dovuta al non prestare attenzione. La distrazione può manifestarsi in diversi modi, come la distrazione da attenzione divisa, quando si svolgono più compiti contemporaneamente, o la distrazione da memoria prospettica, che riguarda il dimenticare azioni future. Studi hanno mostrato che, quando l’attenzione è divisa, l’attività nelle aree cerebrali responsabili della codifica, come il lobo frontale e l’ippocampo, diminuisce, rendendo più difficile ricordare le informazioni. 3. Blocco Il blocco consiste nell’incapacità di recuperare informazioni nonostante siano presenti in memoria, pur avendo la sensazione di ‘averle sulla punta della lingua’. Questo fenomeno è comune quando si cerca di ricordare persone o luoghi, che spesso hanno legami con concetti o significati più deboli. Sebbene sia un fenomeno raro, diventa più frequente con l’età e può essere persistente in persone con lesioni cerebrali, specialmente nel lobo temporale sinistro. 4. Attribuzione erronea del ricordo L’attribuzione erronea del ricordo si verifica quando si attribuisce un ricordo o un’idea alla fonte sbagliata. Questo tipo di errore è anche l’ala base del déjà vu, in cui una situazione presente viene erroneamente percepita come familiare, nonostante non ci siano ricordi associati ad essa. La memoria della fonte è la capacità di ricordare quando, dove e come abbiamo acquisito certe informazioni e quando non funziona correttamente andiamo in contro ad attribuzione erronea del ricordo. Il falso riconoscimento è un altro errore di memoria, in cui la persona riconosce qualcosa che non ha mai visto prima. Questi errori sono comuni e anche le persone con memoria autobiografia superiore non ne sono immuni. Studi hanno dimostrato che questi errori sono legati all’attivazione di aree cerebrali simili a quelle coinvolte nel riconoscimento vero e proprio, come l’ippocampo. 5. Suggestionabilità La suggestionabilità è la tendenza a incorporare nei ricordi personali informazioni fuorvianti provenienti da fonti esterne. Le cause dello sviluppo di falsi ricordi sono le stesse elle attribuzioni erronee: non immagazziniamo nella memoria tutti i dettagli delle nostre esperienze e questo ci rende vulnerabili ad accettare suggerimenti su cosa dovrebbe o potrebbe essere accaduto. 6. Distorsione La distorsione (bias) consiste nelle influenze che le conoscenze, le convinzioni e le sensazioni del presente esercitano sui ricordi di esperienze passate, alterandoli. Talvolta ciò che le persone ricordano del proprio