Psicologia dello sviluppo tipico e atipico PDF

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Questo documento descrive la psicologia dello sviluppo tipico e atipico, dando un'analisi dettagliata su definizioni, diagnosi, e stadi evolutivi, oltre a eventuali disturbi. Copre anche la valutazione e l'intervento a diversi stadi cruciali della vita.

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Psicologia dello sviluppo tipico e atipico 1. Definire lo sviluppo La psicologia dello sviluppo studia i cambiamenti sistematici che caratterizzano l’evoluzione psicologica di ciascun individuo nel corso dell’intera esistenza. Si occupa quindi dei PROCESSI, non dei PRODOTTI. Fare diagnosi in età ad...

Psicologia dello sviluppo tipico e atipico 1. Definire lo sviluppo La psicologia dello sviluppo studia i cambiamenti sistematici che caratterizzano l’evoluzione psicologica di ciascun individuo nel corso dell’intera esistenza. Si occupa quindi dei PROCESSI, non dei PRODOTTI. Fare diagnosi in età adulta è facile, è più definito, nel caso di bambini e adolescenti fare diagnosi che sono in pieno processo di sviluppo e quindi il cambiamento è rapido, è difficilissimo, anche perché i sintomi mutano di significato in base all’età; quindi, qualcosa di atipico può essere una normale fase di sviluppo mentre in un’altra fase no. Quindi si complica la definizione della caratteristica psicologica o meno di un certo comportamento o sintomo. Sappiamo che è un processo e ciò implica che non c’è un prodotto, il processo si modifica nel tempo e dipende anche dal clinico che interviene accompagnando il bambino nello sviluppo. Dunque il cambiamento è sempre possibile. La visione è dinamica poiché considera l’effetto temporale dell’esperienza che modula il funzionamento psicologico di ciascun soggetto e che danno un senso al suo comportamento. Riguarda l’intero ciclo di vita. In età adulta c’è meno plasticità, mentre in età evolutiva c’è più margine di cambiamento visto proprio il cambiamento. Lo sviluppo è un fenomeno costituito dalla compresenza di NATURA e CULTURA, di dotazione innata ed esperienze di caratteristiche dell’organismo e caratteristiche dell’ambiente che però si diversifica in base all’età, ai domini, ai compiti. Dobbiamo capire se il problema è a maggiore appannaggio dell’ambiente o della sua predisposizione (es. una persona sorda dalla nascita, questo ha un effetto a domino sullo sviluppo), nel caso della predisposizione c’è sempre un limite biologico, dunque l’ambiente ha un ruolo, mentre se è maggiormente a carico dell’ambiente, come i disturbi del comportamento, qua si può fare tanto. Quindi è importante considerare il dominio maggiormente coinvolto: linguaggio, memoria, motorio, linguistico, morale, cognitivo, percezione, socio emotivo relazionali, ecc., non scadere solo nella socio emotiva, attenzione anche agli altri. Una volta definito, capire quali sono gli interventi. Va anche valutata l’età, è una variabile significativa. All’esito di tale “gioco relazione” corrisponde un risultato evolutivo, TIPICO o ATIPICO. Noi valutiamo proprio il risultato. es. noi dovremmo nascere con tutto il nostro corredo biologico normativo, siamo predisposti a comunicare, a muoverci, ecc, nasciamo con una dotazione che incontra l’ambiente, sin da subito c’è il pianto e incontro qualcuno che risponde al mio bisogno, se tutto va a buon fine seguo la mia traiettoria e tutto va bene (frecciarossa= predisposizione + ambiente positivo), se qualcosa non va a buon fine con una traiettoria atipica (regionale), dunque c’è un ritardo nello sviluppo, si arriva comunque all’obiettivo, anche se con difficoltà, con il supporto. E’ vero quindi che non c’è prima la nascita biologica e dopo quella psicologica, come si è creduto in passato, ma l’essere umano è un organismo psico biologico fin dall’inizio. Dimensioni di sviluppo In base all’età dividiamo lo sviluppo in fasi: Prima infanzia 0-3 → fase più delicata, entro i 3 anni vengono acquisite le competenze base del bambino, es. il linguaggio, competenza sociale ed emotiva a 2 anni è completa. Necessarie le tecniche di osservazione. Saper valutare tutte le dimensioni: fisico e cerebrale, percettivo e motorio, cognitivo, memoria, comunicativo e linguistico, sociale, morale. Tutte si perfezionano e ampliano. Età scolare 3-6 → dsa e disturbi del comportamento o cognitivo Preadolescenza Adolescenza Tipico e atipico Una volta individuata la traiettoria atipica, si procede alla valutazione fra lo scarto fra età mentale e cronologica. Una volta fatto questo si può accedere ai manuali diagnostici. Si procede con l’assessment, se i sintomi sono in numero sufficiente secondo i sistemi di classificazione per porre diagnosi, se non lo sono potremmo essere in una situazione borderline, potremmo dare al bambino il tempo per recuperare, non è nè nei parametri di normalità nè nella normalità, che poi non che sia semplice distinguere psicopatologico e normale, si tratta di un continuum, tutti abbiamo qualche sintomatologia, ma evidentemente mi sono adattata al contesto sociale e quindi sono nella “normalità”. Developmental Assessment In una sintesi puntuale, l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP, 1995, 1997), indica gli obiettivi specifici della valutazione in età evolutiva: Identificare le ragioni e i fattori che hanno portato il bambino alla valutazione. Capire punti di forza e di debolezza e comprendere quindi come strutturare un intervento. Ottenere un quadro del funzionamento evolutivo del bambino, sia in riferimento alla natura e al livello delle difficoltà comportamentali o disabilità funzionali (es., ha poche amicizie, picchia gli altri bambini, non legge, ecc…) sia in riferimento alle risorse e ai punti di forza in varie aree dello sviluppo cognitivo,emotivo, affettivo, relazionale Comprendere i fattori individuali, familiari e ambientali che possono influenzare le difficoltà del bambino o supportarle (es. presenza di fattori psicosiali specifici , come lutti- separazioni, o la presenza di una rete di supporto affettivo-sociale, famiglia, scuola, servizi per l’infanzia Stabilire se è presente una atipia dello sviluppo, e nell’eventualità fare una diagnosi differenziale → individuato il problema questo va differenziato rispetto altri, 1 sintomo più quadri diagnostici Valutare se è necessario un trattamento e, in caso, affermativo, sviluppare le linee guida di un percorso terapeutico. Necessarie le indicazioni oltre la diagnosi. Bisogna conoscere qual è il trattamento più adeguato per quel disturbo, il mio metodo può non andare bene per tutto, dunque si procede con un invio. Per i disturbi dello spettro autistico il ministero ha sviluppato delle linee guida tra cui ci sono delle indicazioni evidence based per il trattamento. Dal punto di vista operativo la valutazione dello sviluppo orientata alla diagnosi del bambino in età prescolare e scolare può essere schematizzata nelle fasi seguenti: 1. Segnalazione → Rappresenta il primo contatto per cui un bambino viene segnalato ad un servizio di salute mentale e di riabilitazione dell’età evolutiva. Il più delle volte sono i genitori, o il medico di famiglia, o gli educatori e gli insegnanti che interpretano come “problema” i segni di disagio del bambino. Può riguardare il comportamento del bambino, il suo rendimento scolastico, le sue relazioni con i genitori, insegnanti, i compagni. 2. Colloqui clinici con i genitori (comprensivi dell’anamnesi); possibile raccolta di informazioni attraverso incontri con educatori o insegnanti o psicologi che operano nella scuola, con il bambino c’è sempre il sistema famiglia ed eventualmente anche scolastico, visto che molte patologie si verifichino in un contesto piuttosto che in un altro, esempio i disturbi del comportamento o mutismo selettivo. Meglio avere più fonti. → Costituisce un contributo essenziale per la valutazione e la diagnosi del bambino in età prescolare e scolare. E’ costituita dall’anamnesi (raccolta di informazioni sulla storia reale delle tappe di sviluppo motorio, linguistico, cognitivo, affettivo) seguita dalla comprensione, attraverso il colloquio con i genitori, di come questi vivono il problema manifestato dal figlio. Il clinico raccoglie informazioni di dati oggettivi, cioè tutto ciò che può essere osservabile (temperamento, stili relazionali di comportamento del bambino, ecc.) e soggettivi, che comprendono gli stati emotivi e affettivi dei genitori. La finalità più ampia di questi colloqui focalizzati sulla storia del bambino e dell’anamnesi familiare, non è solo ottenere una descrizione del comportamento problematico del bambino, ma soprattutto comprendere il significato e l’impatto dei sintomi in relazione al bambino, al suo sviluppo, al suo ambiente familiare, perché ciò che si ascolta e si osserva nell’interazione con i genitori e con il bambino non si riduca a una semplice “raccolta” di informazioni. Schema-guida dell’anamnesi del bambino in età prescolare e scolare Storia del bambino Dati socio-anagrafici Nome, età, posizione della fratria, grado di scolarizzazione Anamnesi fisiologica Informazioni sulle prime fasi dello sviluppo: gravidanza, condizioni del parto, stato neonatale, tappe di sviluppo motorio, linguistico, affettivo, ritmi sonno-veglia, abitudini alimentari, controllo sfinterico Tempo libero Attività del tempo libero preferite dal bambino quando è solo o inserito in gruppi ricreativi, sportivi. Anamnesi patologica Malattie dell’infanzia, malattie con ospedalizzazioni o interventi chirurgici, ritardi di maturazione nelle linee dello sviluppo (linguaggio), reazioni di tipo regressivo, ecc… Scolarità del bambino Età di inserimento nella scuola ed eventuali difficoltà di apprendimento, nel comportamento individuale, e nelle relazioni interpersonali con gli insegnanti e con i compagni Dati socio-anagrafici Età, condizioni socio-culturali e socioeconomiche della madre e del padre. Condizioni fisiche e psichiche attuali e riferite alla propria infanzia e adolescenza. Adattamento e inserimento della famiglia nella rete di relazioni e di vita del quartiere, condizioni di vita materiali, eventuali cambiamenti di residenza Relazioni del bambino con fratelli Età, salute, scolarità dei fratelli, eventuali rivalità, conflitti, disaccordi Relazione dei genitori con bambino percezioni, distorsioni, atteggiamenti, aspettative del genitore sul bambino e suo sviluppo; stili educativi, accordo/disaccordo sul metodo educativo Storia familiare Informazioni sulla storia delle famiglie di origine dei genitori e del nucleo familiare attuale e relativamente a eventi stressanti e dolorosi (aborti, separazioni, divorzi, vedovanza, malatie gravi, lutti, ecc…) 3. Esame psicodiagnostico del bambino (osservazione del bambino, delle dinamiche interattive genitori bambino, colloquio clinico, somministrazione di test psicologici), scegliere lo strumento più adatto e soprattutto standardizzato. E’ la fase di valutazione psicologica dello sviluppo. In questa fase l’uso dei test è una pratica consolidata nella psicologia clinica per facilitare e approfondire l’assessment. L’uso psicologico dei test è finalizzato a raccogliere informazioni utili al processo di valutazione clinica. Psychological testing: insieme di metodi e misure psicometriche che il clinico applica per effettuare il psychological assessment. Psychological assessment: integra l’intero processo di valutazione psicologica, in quanto non solo si propone di rilevare le differenze individuali in riferimento a misure normative, ma ha anche l’obiettivo ultimo di fare una diagnosi e di comprendere il problema del bambino in rapporto a tutte le aree indagate (neuropsicologiche, cognitive, linguistiche, affettive, sociali). 4. Analisi della valutazione ed elaborazione della diagnosi → Lo psicologo clinico integra i risultati ottenuti dalla somministrazione dei test psicologici, dalle osservazioni e dai colloqui compiuti con i dati dell’anamnesi. Questa fase di analisi e interpretazione dei risultati emersi è volta alla comprensione articolata dei problemi del bambino. Questa fase comprenderà la diagnosi nosografica del disturbo, sulla base dei sistemi diagnostici più recenti e maggiormente condivisi dalla comunità scientifica (DSM-VICD-10; DC: 0-3R) e la formulazione di una diagnosi psicopatologica dello sviluppo. 5. Stesura del report psicologico-clinico e restituzione dei dati ai genitori → La stesura della relazione finale da parte del clinico, metterà in evidenza la diagnosi, l’organizzazione di personalità e il funzionamento del bambino, la presenza di eventuali problemi di adattamento, le sue risorse psicologiche e il progetto terapeutico. Nella fase della restituzione i risultati della valutazione vengono riferiti, condivisi, e discussi con i genitori, nonché con il bambino. In questa fase, lo psicologo clinico deve farsi carico della gestione emotiva della comunicazione ai genitori. La presa in carico del caso verrà effettuata secondo modalità specifiche dei servizi con cui il bambino e i genitori sono entrati in contatto. Si parla spesso di invio per il progetto terapeutico: psicoterapeutico, psicofarmacologico, riabilitativo, psico-educativo, di aiuto sociale. La diagnosi Fare diagnosi in età evolutiva è un’operazione complessa poiché il clinico si deve confrontare con un concetto che rende il bambino un soggetto di studio particolare: lo sviluppo. Quello che c’è in comune tra un bambino normale e un bambino in difficoltà è che ciascun bambino cresce ma, se vi è un’atipia, cresce con il bambino anche il disturbo. Si cerca di fare diagnosi più precocemente, così che l'intervento possa essere più tempestivo, evitando l’estensione della patologia. Quindi ciascun disturbo si trasforma e cambia in relazione ai passaggi di fase o di età; questa trasformazione in rapporto alla crescita è quello che rende molto difficile l’osservazione e la diagnosi in età evolutiva (Levi, 1993). Il non adattamento porta all’estinzione. Pertanto per poter inserire i dati ricavati dalle osservazioni o dalla somministrazione di test psicologici, in un percorso clinico volto alla diagnosi, è necessario conoscere: - Lo sviluppo normale - La psicopatologia dello sviluppo - La nosografia dei disturbi Pertanto la diagnosi deve fare riferimento alla classificazione nosografica, alla struttura di personalità del bambino, alla fase di sviluppo che sta attraversando e a quella che si appresta ad affrontare. La diagnosi in età evolutiva presuppone un primo criterio basilare: un chiaro rapporto tra età cronologica ed età di sviluppo, per cui ogni età ha una sua configurazione (un bambino di tre anni, gioca, parla e disegna in modo diverso da un bambino di quattro anni). Il concetto di sviluppo complica, nella diagnosi, l'inquadramento delle manifestazioni psicopatologiche perché crescere comporta rapidi e profondi cambiamenti nel funzionamento individuale e relazionale, diversamente dall’adulto che presenta un’organizzazione stabile del funzionamento personale. Inoltre, ragionare secondo un’ottica evolutiva implica considerare che comportamenti tipici hanno un significato evolutivo in determinate fasi, mentre assumono un significato psicopatologico se persistono o compaiono in altre fasi dello sviluppo. Ad esempio l’angoscia per l’estraneo che normalmente compare nel secondo mese di vita del bambino, è un indice di adeguato sviluppo affettivo; se però persiste in età di sviluppo successive, come l’età prescolare, sarebbe l’espressione di uno stato di ansia e di fobia sociale. Può essere fisiologico un sintomo di per sè patologico. Un secondo criterio nella clinica dell’età evolutiva riguarda l’uso della classificazione nosografica basata sui segni e sintomi, ovvero sulle manifestazioni osservabili, oggettive e riconoscibili da un osservatore esterno e sulle manifestazioni soggettive vissute dal soggetto che può descriverle. La complessità del sistema bambino, come oggetto di diagnosi, ha portato all’evoluzione dei sistemi diagnostici più recenti che propongono un sistema di classificazione multiassiale. Oltre al DSM-V (Americam Psychiatric Association, 2013), altri sistemi di classificazione multiassiale sono stati costruiti per la diagnosi in età evolutiva, quali la classificazione diagnostica 0-3R (Zero-tothree, 2005); e la classificazione dei disturbi psichici e comportamentali dell’ICD-10 nell’infanzia e nell’adolescenza (World Health Organization, 1996). La diagnosi quindi è un compito complesso. I problemi più rilevanti possono essere i seguenti: - Uno stesso sintomo può fare parte di quadri clinici diversi (es. un ritardo del linguaggio, è presente nel ritardo mentale, nel disturbo specifico del linguaggio, nel disturbo generalizzato dello sviluppo). - Un sintomo in età evolutiva ha caratteristiche ambigue: una balbuzie a due anni è fisiologica e indica una normale riorganizzazione delle competenze comunicative/affettive, ma può essere anche il segno di un problema dello sviluppo del linguaggio; a otto anni acquisisce ancora altro significato. - Un sintomo muta di significato, a seconda del contesto ambientale (casa, scuola), assume o meno un significato patologico, come per esempio il mutismo selettivo che viene segnalato dagli insegnanti e non dai genitori, perché il silenzio del bambino equivale per i genitori ad avere un figlio buono ed educato - Un sintomo si trasforma nel tempo e nel corso della crescita. Un’ansia da separazione può evolvere in fobia sociale. E’ quindi complesso stabilire il confine tra normalità e patologia soprattutto in età evolutiva: diverso è il valore del segno che la famiglia o la scuola colgono e trasformano in segnale attribuendogli un significato di indicatore di disagio… segno/segnale che noi, professionisti della psiche, trasformiamo in sintomo (Fava Vizziello,2003). In sintesi, il processo diagnostico in età evolutiva deve essere articolato al fine di formulare, in modo integrato, dinamico e flessibile: Una diagnosi nosografica che inserisce il “sintomo” all’interno di un quadro riconoscibile e confrontabile tra clinici. Pone prevalentemente problemi di diagnosi differenziale tra Disturbi Globali e Disturbi settoriali (per esempio, ritardo mentale, dislessia), e la valutazione della eventuale comorbidità con Disturbi Psicopatologici (es. disturbo d’ansia, disturbo ossessivo). Brutalmente parlando l’etichetta che si dà al bambino, caratterizzerà l’identità del bambino. Una diagnosi Funzionale o Profilo di sviluppo che costituisce il profilo dell’organizzazione delle diverse linee di sviluppo delle competenze e che descrive la tipologia del disturbo attraverso l’analisi dei rallentamenti e delle atipie, nonché dei compensi attivati. La diagnosi di sviluppo (profilo di sviluppo neuropsicologico), confronta il livello di maturazione raggiunto nelle diverse linee di sviluppo delle funzioni: motorio, percettivo, linguistico, cognitivo, comunicativo, simbolico. I sintomi associati ad una traiettoria specifica sono molto evidenti in una certa dimensione dello sviluppo, bisogna valutare lo scarto tra le competenze che ha e quelle attese per l’età. Le aree coinvolte possono essere più di una. Profilo di sviluppo neuropsicologico. Esempio. Nei bambini di 6 anni fa riferimento alle seguenti competenze o capacità (Levi, 1995): - Motoria, prassica, percettiva: organizzazione della motricità grossolana e fine, e della capacità di utilizzare gli oggetti; - Linguistica-comprensione/produzione: capacità di comprendere il linguaggio dell’altro e di farsi comprendere; - Simbolica-gioco/disegno: capacità di rappresentare la realtà, di inventare, di utilizzare la fantasia; - Logico-cognitiva: capacità di classificazione, seriazione, anticipazione/progettazione e di apprendimento; - Comunicativa e di relazione: capacità di costruire e di mantenere relazioni affettive Qua non posso usare elementi psicodiagnostici, ma posso usare l’osservazione. Si privilegiano alcune aree dello sviluppo, a 4 anni esprime maggiori competenze a livello cognitivo, così come la percezione e motricità, linguaggio, è importante includere lo sviluppo simbolico rappresentativo, espresso attraverso gioco e disegno esercitate classicamente a questa età. Già ho raccolto informazioni da genitori e insegnanti e poi osservo. Stereotipie mai positive, atipiche sempre, va capito a cosa sono afferibili. Disegno: importante per coordinazione oculomotoria, ma anche un tentativo comunicativo, non è solo una scarica motoria come dice Luchè. Dall’analisi dei dati presentati si evidenzia: - Un marcato décalage tra l’età cronologica e l’età mentale: il funzionamento cognitivo del bambino risulta nel complesso deficitario di 2 anni rispetto all’età cronologica - Una marcata disomogeneità nell’uso delle diverse competenze, esse variano infatti da un’età mentale di 16 mesi a una di 30 mesi; ci sono quindi alcune capacità maggiormente deficitarie e altre caratterizzate da un ritardo meno importante - L’area linguistica appare più compromessa sia in comprensione verbale sia in produzione verbale, tuttavia la produzione è più bassa - Un lieve ritardo nello sviluppo simbolico - Lo sviluppo motorio-prassico appare meno compromesso, se confrontato con le altre aree di sviluppo In conclusione: rispetto allo sviluppo delle funzioni cognitive, linguistiche e simboliche, il profilo di sviluppo neuropsicologico indica che i rischi evolutivi a cui va incontro il bambino non sono legati alla presenza di un ritardo in alcune linee di sviluppo, ma soprattutto al maturare in modo non integrato dalle diverse linee di sviluppo. Lo scarto di origine probabilmente neurobiologica si evidenzia in tutti i campi indicati. Indicare sempre limiti e potenzialità, qua ci sono solo limiti, che indicano che il bambino ha un ritardo dello sviluppo associato alla diagnosi di ritardo mentale, che coinvolge tutte le aree dello sviluppo, brutta perché si radica in tantissime competenze. Si procede con diagnosi differenziale e nosografica di ritardo mentale. Nel dsm 4 bastava solo quella nosografica, ora va indicata anche la gravità, in questo caso è abbastanza grave. Inoltre non possiamo solo dire che comportamento o sintomo c’è, ma deve sempre essere misurabile. Chiaramente va indicato il trattamento, accompagnare il genitore. Indicare anche l’esito, perchè il bambino crescerà, il genitore deve sapere cosa aspettarsi. Dall’analisi dei dati presentati in modo sintetico si evidenzia: Una disarmonia dello sviluppo, con competenze a diversi livelli l’una dall’altra; le cadute si collocano in alcune aree specifiche, ma all’interno di un funzionamento cognitivo adeguato. Il profilo di sviluppo appare adeguato nell’area motorio-prassica (ottenendo alle prove un’età mentale leggermente superiore a quella cronologica), mentre presenta un atipia nello sviluppo simbolico e un ritardo nell’area linguistica. In questo caso abbiamo uno sviluppo intellettivo nella norma, con un profilo che evidenzia una caduta in un’area specifica dello sviluppo: quella linguistica. La caduta nell’area del linguaggio sembra comportare uno sviluppo atipico e rallentato delle funzioni simboliche: gioco e grafismo. Si dovrà quindi fare un invio da un logopedista, senza dimenticare però l’intervento psicologico. Inoltre andrebbe approfondito quali aree del linguaggio sono deficitarie. C’è una naturale compensazione, molto spesso nelle psicopatologie se c’è una limitazione neurobiologica, l’organismo reagisce così, soprattutto se è coinvolta 1 o 2 aree. Mai intervenire solo nell’area deficitaria, ma anche nelle altre di potenziamento. Una diagnosi Psicopatologica che descrive i vissuti soggettivi tramite il profilo affettivo. Descrive quindi, in una prospettiva evolutiva, la progressiva trasformazione/riorganizzazione della personalità come esito dell’adattamento dinamico e continuo con l’ambiente affettivo. Si adatta alla realtà, fa una valutazione introspettiva associata alla diagnosi. (es. la lettura se sono dislessico, sbaglio, non sono veloce e accurato, quindi ciò ha un effetto nellautoefficacia, autostima, capacità di interazione sociale). Dipende anche come la diagnosi venga presa: se non accettata o con iperprotezione potrebbe essere un problema, quindi consideriamo anche l’influenza sui genitori e conseguentemente sui bambini. Ricapitolando………. All’interno del processo di valutazione diagnostica, la diagnosi nosografica consente di classificare il disturbo del bambino, il profilo di sviluppo descrive l’organizzazione delle diverse linee di sviluppo delle competenze del bambino e la diagnosi psicopatologica descrive la sua personalità in rapporto alle ansie, paure, angosce, difese. Un bambino può presentare una fobia (diagnosi nosografica), a essa si accompagnano ansie, conflitti, fantasmi (diagnosi psicopatologica), ma anche un disinvestimento delle funzioni cognitive che può condizionare il processo di apprendimento (diagnosi di sviluppo). 2. L’intervento preventivo, clinico e riabilitativo dello sviluppo Anche nella situazione più grave, sempre dare speranza e prospettive positive. Per capire gli interventi La psicopatologia dello sviluppo è nata intorno agli anni 70 dall'incontro di diverse aree di ricerca: psicologia generale dello sviluppo, psicologia cognitiva, psichiatria infantile, psicologia clinica, etologia. È stata definita come una disciplina che si occupa dello sviluppo e delle sue deviazioni, studiando l'origine e l'evoluzione dei pattern individuali di comportamento disadattato. Achenbach ne ribadisce i contorni, sottolineando l'importanza di studiare le diverse formazioni sintomatologiche in relazione ai cambiamenti più significativi che si determinano lungo le diverse fasi del ciclo di vita. L'evoluzione a lungo termine di un individuo dipende dall’interazione tra gli eventi sfavorevoli da un lato e favorevoli dall'altro, ossia tra i fattori di rischio e fattori protettivi. Fattori di rischio e fattori protettivi quindi non vanno considerati come fenomeni diversi ed eterogenei tra loro, ma come poli opposti di un processo di vulnerabilità-protezione, nel quale la persona oscilla in una direzione o nell'altra a seconda delle forze che entrano in gioco nel corso del ciclo della vita. La famiglia qui è importante, è la determinante per l’intervento, potrebbe essere un fattore di rischio, così come di protezione. La valutazione per l’intervento implica capire bene dove esiste la vulnerabilità e dove la protezione. A seconda del prevalere degli uni o degli altri il soggetto potrà presentarsi come un soggetto vulnerabile, non integrato, con manifestazioni di disadattamento di vario tipo, oppure come una soggetto resistente (al trattamento), scarsamente vulnerabile con un buon grado di integrazione e di adattamento sociale. Multifattorialità dei disturbi dello sviluppo Greenberg sottolinea che per la maggior parte dei disturbi non esista un'unica causa. Per cui anche quando sia fortemente implicata una causa biologica, come ad esempio nell’autismo, anche l'intervento sulla relazione genitore bambino può rappresentare un obiettivo importante di trattamento. La stessa Greenberg propone un modello che evidenzia quattro generali domini di rischio: caratteristiche interne al bambino: vulnerabilità biologica, funzioni neurocognitive, temperamento; qualità delle relazioni primarie di attaccamento; importante perchè contesto-ambiente è una componente fondamentale stile educativo parentale e strategie di socializzazione; ecologia familiare: eventi vitali critici, stress e traumi della vita familiare, risorse organizzative familiari, rete sociale. È raro che da solo, uno di questi domini di rischio, ad esempio un temperamento atipico o un ambiente familiare caotico, possa determinare direttamente un disturbo di evidenza clinica. Più si intrecciano i fattori, ad esempio un ambiente familiare caotico e un temperamento atipico, più sarà presente un’evidenza clinica. In alcuni noti studi su popolazioni ad alto rischio il pattern d’attaccamento disorganizzato è risultato chiaramente correlato con elevati livelli di ostilità e di aggressività in età prescolare e quindi con la categoria dei disturbi della condotta. Anche qui, tuttavia, è interessante notare che, mentre la combinazione tra attaccamento disorganizzato e temperamento difficile costituisce un potente predittore la presenza di uno solo di tali fattori correla con livelli di aggressività entro la norma. Continuare a immaginare che esistano uno sviluppo cognitivo, uno sviluppo affettivo sociale, ecc., ognuno con sue fasi specifiche e con sue regole distintive, e quindi che il bambino possa essere «fatto a fette», con tutti i vantaggi e il controllo delle diverse variabili in gioco che tali distinzioni possono aver offerto sul piano della ricerca, costituisce una pesante limitazione per chi si occupa del bambino reale in ambito clinico ed educativo. Il sistema conoscitivo umano è un insieme organizzato di «schemi». Ciò ci aiuta finalmente a ricomporre l'unitarietà del bambino e dei suoi processi di sviluppo. Un altro grande vantaggio di questa prospettiva integrata è quello di ragionare più in termini di «itinerari di sviluppo», piuttosto che di fasi evolutive. I sistemi di classificazione diagnostica I sistemi di classificazione attualmente in uso per la psicopatologia infantile sono il manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali DSM-V (American Psychiatric Association, 2013), e la classificazione delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali, ICD-10 (Word Health Organization, 1992) nella loro organizzazione puramente descrittiva non riescono a render conto adeguatamente delle implicazioni di carattere relazionale. Nell'assenza di prospettiva evolutiva e relazionale, la valutazione descrittiva categoriale non conosce o non sa interpretare la storia personale, familiare e sociale del bambino, né sa fare previsioni sulla possibile evoluzione di questa storia. Ciò che le manca è una teoria esplicativa dei rapporti che connettono e disconnettono nella storia la biografia familiare con la biografia del bambino. Definizione dei campi di intervento Il riferimento per definire i tipi di intervento è il modello medico: una patologia o una condizione anomala creano una sofferenza o altri tipi di problemi, e lo psicologo, una volta definito il problema con una procedura diagnostica, è chiamato a intervenire in termini preventivi, curativi o riabilitativi. Secondo la terminologia medica, questi tipi di intervento sono definiti nei seguenti modi. Intervento preventivo: viene distinto in diversi tipi, prevenzione primaria, secondaria, e addirittura terziaria che peraltro coincide con la riabilitazione. La prevenzione primaria è un tipo di intervento che si propone di proteggere i soggetti sani, annullando o riducendo il rischio di malattia. Alla base di un intervento di prevenzione primaria ci sono conoscenze riguardo alla causa di una malattia o ai fattori principali che ne influenzano il manifestarsi; sulla base di queste conoscenze, si potranno progettare e attuare azioni volte alla rimozione delle cause delle malattie e alla modifica dell'ambiente o delle abitudini di vita, in modo da annullare o attenuare le cause di malattia, o di modificare l'azione di fattori patogeni o protettivi. (per esempio alla regione vengono proposti interventi) Si va nella popolazione target a rischio. Questa prevenzione è possibile solo conoscendo i fattori di rischio. Inoltre se riesco ad annullare la malattia, evito dei costi al singolo, ma anche alla collettività. La prevenzione secondaria è il tipo di intervento che agisce su un processo patogeno già in atto, in cui i soggetti sono stati colpiti da un danno, che però non è ancora manifesto a livello clinico. La conoscenza dei processi mediante i quali dall'azione della causa si passa allo stato di malattia, con tempi a volte anche prolungati, apre la possibilità a interventi che, anche se non sono volti a curare una malattia, ne riducono la futura possibilità di insorgenza. Cruciale per l'attuazione di interventi di prevenzione secondaria è l'individuazione di quali sono i soggetti già interessati da un processo che aumenta le loro probabilità di andare incontro a una malattia: le indagini volte a effettuare questo tipo di selezione dei soggetti sono dette «screening». Intervento terapeutico (o clinico): un soggetto affetto da una malattia clinicamente evidente verrà trattato in modo da eliminare la causa di malattia oppure bloccarne l'effetto, attenuare il processo patologico e/o i suoi sintomi e limitare il danno da esso derivante. L'insieme di queste pratiche, effettuato su una malattia riconosciuta e distinta da altre grazie ad un attento lavoro di tipo diagnostico, configura l'intervento terapeutico. L'insieme delle pratiche diagnostiche e terapeutiche definisce l'attività di tipo clinico. Intervento riabilitativo o abilitativo: si effettua sulle situazioni in cui la malattia ha danneggiato il soggetto, sia in seguito a un decorso acuto, sia durante un decorso cronico. I soggetti danneggiati da un processo patologico acuto, o progressivamente limitati nelle competenze e nell'autonomia funzionale durante un processo patologico cronico, una volta che l'intervento terapeutico abbia arrestato il processo patologico, ne abbia ridotto l'impatto e ne abbia rallentato il decorso, si troveranno a dover affrontare un mutato livello di adattamento al proprio abituale contesto di vita. Quindi il soggetto non torna più da noi, possiede strategie che gli permettono di affrontare la situazione. Non si risolve la malattia, non sparisce clinicamente, ma risolve il problema causato nonostante persista la malattia. Attenzione a distinguere tra riabilitativo e abilitativo. Serve per rispristinare lo stato di benessere precedente. L’intervento della nostra specializzazione fa si che sia adatto a certe problematiche, non va bene per tutti. L’intervento implica sia la diagnosi che il trattamento. L'intervento volto a massimizzare il recupero delle autonomie e dei livelli di funzionamento premorbosi viene definito intervento riabilitativo (o anche prevenzione dell'invalidità, vale a dire prevenzione terziaria). Laddove non si possa parlare di malattia in senso stretto, perché la condizione del soggetto non è contraddistinta dall'azione di una causa che trasforma un soggetto sano in un soggetto malato, bensì il soggetto si trova in una condizione atipica statica (per esempio è portatore di un'anomalia cromosomica, di un ritardo mentale, o di un disturbo specifico dell'apprendimento, tutte condizioni che tendono a non modificarsi significativamente nel tempo), un intervento avente lo scopo di massimizzare il livello di funzionamento e di autonomia del soggetto viene definito abilitativo. In senso stretto, infatti, non si può mirare a ristabilire un livello di funzionamento che il soggetto non ha mai mostrato. Si può invece, agendo sulle abitudini di vita e sulle caratteristiche dell'ambiente, modificare i parametri rilevanti per il livello di abilità/inabilità del soggetto. Interventi consulenziali Nei servizi pubblici per l'età evolutiva, è in effetti assai più ampia l'attività cosiddetta di primo livello, ovvero di diagnosi e di consulenza, piuttosto che di terapie in senso stretto. Quello della consulenza è un atto molto complesso e particolarmente delicato, anzitutto, perché opera in uno spazio e in un tempo limitato, veicolando un concentrato notevole di messaggi; inoltre, muovendosi spesso su un campo vergine, giudicare emozionali critiche emergenti del bambino e nel suo sistema familiare, può avere effetti considerevoli nella definizione o con ridefinizione della situazione di crisi e nella sua futura evoluzione. In questo senso, i servizi di primo livello e la figura del counselor, che incontra i primi segnali di sofferenza, hanno un ruolo e una responsabilità notevole nell'avviare, nella relazione con la famiglia, una co-costruzione di significati che rechino in sé valenze generative ed evolutive piuttosto che di malattia e di sofferenza. Qualunque tipo di intervento dovrà ovviamente essere preceduto e informato da un'attenta fase di valutazione (assessment) o inquadramento diagnostico. Considerata la multifattorialità e l'intrinseca complessità della psicopatologia dello sviluppo, di norma, diverse figure professionali si trovano a operare in un lavoro di équipe allo scopo di inquadrare e gestire le varie situazioni cliniche in tutta la loro complessità. Sarà necessario pertanto un approccio globale integrato che comprenda un esame attento: ➔ del funzionamento psicologico del bambino, del ragazzo o dell'adolescente (delle sue caratteristiche individuali, di sviluppo, auto organizzative, emotive, cognitive e sociali); ➔ delle caratteristiche del sistema di accudimento-cure (il funzionamento psicologico dei genitori e le globali risorse del sistema familiare); ➔ dell'esperienza interpersonale e dei pattern interattivi tra il bambino e il caregiver nel loro specifico contesto di vita. La situazione problematica viene così considerata nel suo insieme come effetto di un gioco complesso di fattori biologici, socioeconomici, culturali e affettivo-relazionali, che assumono di volta in volta configurazioni diverse. In tal modo, la formulazione diagnostica si presenta come sintesi ragionata e complessa delle conoscenze acquisite sul caso dai diversi tecnici negli specifici campi e si configura come ipotesi atta a guidare la pianificazione di un adeguato intervento terapeutico. Per ogni area occorre trovare strumenti di valutazione affidabili, capaci di distinguere i comportamenti «normali» da quelli «devianti», in funzione dell'età. Aree dell’intervento clinico Le aree specifiche dell'intervento clinico seguiranno lo schema multiassiale del ICD-10 molto utilizzato nell'ambito dei servizi per l'età evolutiva e del DSM-V. Per quanto riguarda l’ICD-10 la suddivisione multiassiale ci aiuta a meglio comprendere il disturbo. asse I: è relativa alla distinzione tra i disturbi da internalizzazione (disturbi di ansia) esternalizzazione (disturbi oppositivi provocatori e della condotta e disturbi da deficit di attenzione iperattività (DDAI); asse II: disturbi dello sviluppo motorio, del linguaggio, dell'apprendimento, disturbi generalizzati dello sviluppo; asse III: ritardo mentale. Per ciascuna di queste tre aree psicopatologiche è necessario individuare l’area di intervento preventivo; le necessarie procedure e gli strumenti e relativi problemi diagnostici con i quali lo psicologo clinico deve confrontarsi e infine le linee essenziali del percorso terapeutico e riabilitativo. Asse I: i disturbi nello sviluppo emotivo, affettivo e relazionale In quest'area le principali problematiche (motivo più frequente di consultazione nei servizi dell'età evolutiva) possono essere raggruppate in due categorie fondamentali: disturbi da internalizzazione e i disturbi da esternalizzazione. Una delle caratteristiche distintive dei disturbi da internalizzazione è rappresentata dall'ipercontrollo sul comportamento e dalla prevalenza di modalità rappresentative distorte e disfunzionali, quali catastrofizzazione e autosvalutazione (distorsione cognitiva); mentre i disturbi da esternalizzazione si manifestano usualmente con un ipocontrollo, scarsa riflessività, carenza nelle abilità di problem solving, e di pensiero (selezione degli obiettivi, generazione di alternative possibili di soluzione, considerazione delle loro possibili conseguenze e successiva messa in atto) in grado di guidare in modo funzionale il comportamento (deficit cognitivo). La scala comportamentale più comunemente usata e scientificamente validata è la Child Behavioral Checklist (CBCL). La scala d'ansia per l'età evolutiva, il Children’s Depression Inventory o la Child Depression Scale. Al di là della funzione centrale comunque svolta dal colloquio, nella osservazione e valutazione della qualità dei legami di attaccamento in atto tra il bambino e i suoi caregiver, e dello stato mentale dei genitori (e quindi nell'analisi delle funzioni relazionali dei sintomi) potranno essere utilizzati strumenti diagnostici diversi a seconda dell'età del bambino e delle caratteristiche dei genitori. Diversi programmi di tipo cognitivo comportamentale hanno mostrato una buona efficacia del lavoro terapeutico con bambini e adolescenti con disturbi d'ansia. Tali programmi integrati di trattamento hanno come obiettivo principale quello di aiutare il bambino a riconoscere i segnali dell'impellente arousal ansioso, e fare in modo che questi servano come indicatori per l'utilizzo di adeguate strategie di gestione dell'ansia. Due tipi di intervento: uno più a orientamento pedagogico e di acquisizione delle abilità, in cui il bambino è aiutato in modo semplice ad identificare le varie componenti della propria reazione ansiosa (somatiche, cognitive, comportamentali) e successivamente a costruire efficaci abilità di coping riguardo a ciascuna di queste componenti. Il bambino è guidato nella messa in pratica delle abilità apprese, attraverso una graduale esposizione alle situazioni temute, prima immaginativa e poi in vivo. L'ampliamento del lavoro terapeutico con la coppia genitoriale o comunque con la madre, del lavoro terapeutico quando risulta possibile, consolidando la consapevolezza delle loro aree emozionali critiche, del loro modo di gestirle, di comunicarle all'interno della coppia, può consentire in alcuni casi una migliore stabilizzazione dei risultati: più stabile è la cornice rappresentata dalle possibili turbolenze emozionali che attraversano il sistema d'accudimento-cure del bambino, più i diversi tasselli del puzzle terapeutico, le diverse abilità di coping che il bambino stesso ha interiorizzato, saranno in grado di reggere l'impatto degli eventi critici futuri. Al di là della gestione del sintomo, dunque, uno dei problemi terapeutici principali che si pone in tali quadri clinici, sarà quello di aiutare madre e bambino a ripristinare un contesto di condivisione emotiva e di comunicazione sulle aree emozionali critiche e inespresse (connessa all’ansia di perdita del legame piuttosto che a qualcosa di esterno: usualmente la scuola) e sulla funzione svolta dal sintomo. Offrire al genitore la possibilità di riconoscere e di esprimere emozioni connesse ad alcune dolorose vicende nei legami primari di attaccamento, può restituirgli la propria capacità riconoscere e sintonizzarsi meglio sui bisogni emotivi e affettivi del proprio figlio, promuovendo la sicurezza. I disturbi da esternalizzazione: disturbi della condotta e disturbo oppositivo provocatorio I disturbi della condotta e il disturbo oppositivo provocatorio costituiscono un importante problema clinico nella consultazione presso gli ambulatori di neuropsichiatria infantile e psicologia dell'età evolutiva. Si tratta di disturbi relativamente stabili, che si possono porre in continuità con il disturbo antisociale di personalità nell'età adulta e il cui costo sociale, e tra i più elevati. L'ottica preventiva sembra risultare la più valida nell’ostacolare l'organizzazione in comportamenti aggressivi cronici, essendo stati ormai identificati con certezza alcuni fattori di rischio biologico, psicosociale, familiare. Le ricerche indicano l'importanza di diagnosticare precocemente i comportamenti aggressivi e i DC dal momento che gli interventi precoci si sono dimostrati più efficaci in questo ambito, mentre tali disturbi si sono rilevati estremamente resistenti al trattamento soprattutto in adolescenza. I bambini con diagnosi accertata di disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta hanno una probabilità 3-4 volte superiore alla norma di trovare elementi di rischio in tutti e quattro i domini definiti dalla Greenberg. La complessità dell‘eziopatogenesi nei DC, in cui i fattori socio familiari si connettono saldamente a fattori biologici e temperamentali, rende ragione dei fallimenti a cui spesso sono sottoposti gli abituali trattamenti psicoterapeutici sia individuali che di gruppo, della famiglia o cognitivo comportamentali. Nei DC, in effetti, è ormai indiscussa la maggiore efficacia terapeutica di interventi multimodali e multi sistemici, che tengano conto dell'origine complessa del disturbo, cercando di influire sui diversi fattori che contribuiscono all'emergere del comportamento deviante e prevedendo familiare, extra familiare un ed livello di intervento eventualmente anche individuale, un intervento psicofarmacologico condotti da una medesima équipe. Più che di intervento psicoterapeutico in senso stretto, in effetti, in questi quadri psicopatologici sarebbe più opportuno parlare di necessità di trattamento integrato. Nei primi anni di vita sarà più opportuno ed efficace centrare l’intervento terapeutico sulla relazione madre bambino e/o sulla coppia genitoriale. L'intervento potrà giovarsi, in questi casi, di una fase iniziale di assessment che ponga una particolare enfasi sul processo di conservazione della relazione genitore bambino e su un suo oculato utilizzo ai fini di un incremento di consapevolezza nel genitore delle proprie modalità di accudimento-cura e di responsività ai segnali d'attaccamento del figlio. Il bambino esprime un bisogno e lo fa piangendo/guardando, ma tale bisogno deve essere interpretato correttamente, dunque si necessita la sensibilità del genitore. In età prescolare anche successivamente, dovrà riguardare la gestione delle regole educative e nella negoziazione dei bisogni, tramite contrattazione delle contingenze di rinforzo. I genitori dei bambini con DC (soprattutto se è in comorbidità con un DDAI) hanno certamente bisogno di essere sostenuti insieme alla gestione delle regole educative quotidiane, sia in una maggiore comprensione delle motivazioni neurobiologiche e relazionali del comportamento del bambino. La ristrutturazione di tali aspetti può essere affrontata attraverso specifici percorsi psico educativi di parent training individuale o di gruppo: si tratta di programmi strutturati, volti alla promozione nei genitori di nuove competenze comunicative, educative, di gestione delle regole e del conflitto. Il programma prevede diverse unità di lavoro con lo scopo di aiutare i genitori su diversi aspetti della interazione con il figlio: comprensione della natura del problema ; preparazione al cambiamento e alla complessità del problema; imparare ad effettuare delle scelte educative che favoriscano l’autoregolazione; i individuare comportamenti negativi del bambino e ampliare il bagaglio delle strategie educative. Attraverso le tecniche di parent training, tendono a migliorare sia le abilità interpersonali del genitore che quelle del bambino, con un risultato di un comportamento sociale più efficace, soprattutto nei disturbi di tipo oppositivo provocatorio. Si prepara il bambino e i genitori al cambiamento ed eventualmente capire le difficoltà del bimbo. Autoregolazione: - comportamentale - emotiva → si parla di disregolazione, quando l’intensità non è gestibile. - cognitiva → funzioni psichiche di livello superiore e che coinvolge la motivazione, ad esempio quella ad apprendere. E’ molto complesso per questo ci vuole un parent training per aiutare il bambino a fronteggiare le situazioni. Il genitore spesso si autoregola, diventando più sensibile, allora si relazionerà in modo più adeguato e automaticamente si nota il cambiamento del bambino. Quindi non si può lavorare sul bambino, se non lavoro sul genitore. Con il passaggio all'età scolare il ragazzo comincia a giocare il proprio stile interpersonale su più fronti relazionali e su contesti diversi (scuola, gruppo dei pari e amicizie extrascolastiche). L'approccio cognitivo comportamentale classico ha messo a punto un insieme di procedure che si sono dimostrate piuttosto utili nella terapia dei DC e che hanno in sé le potenzialità per promuovere molti di questi obiettivi. Cominciare dai diversi programmi o training all'autocontrollo, nei quali i bambini vengono supportati nell'individuare le esperienze o le sensazioni cinestetiche o fisiologiche che segnano la comparsa di una reazione di rabbia, e incoraggiati a graduare i livelli di intensità dell'emozione avvertita. Inoltre, si può agire sul dialogo interno aiutando il bambino ad identificare pensieri che possono aumentare o ridurre l'attivazione emotiva della rabbia, come autoistruzioni, condizionando i comportamenti. Nel caso di questi disturbi esternalizzanti infatti il problema sta nella mancanza di controllo e gestione di emozioni, che vengono scaricate all’esterno. Al contrario dell’internalizzante che riflette molto, per diminuire ad esempio la preoccupazione. Pianificazione → monitoraggio → controllare il processo Anger Coping Program: è un programma che si prefigge i seguenti obiettivi: aumento della consapevolezza dei fenomeni neurovegetativi, affettivi e cognitivi legati all'attivazione della rabbia; → consapevolezza delle nostre emozioni e di quando si attivano, nei disturbi c’è una maggiore attivazione neurovegetativa. Dunque questa attivazione va riconosciuta a livello neurovegetativo, emotivo e cognitivo. potenziamento delle capacità auto riflessive e di autocontrollo; incremento dei repertori comportamentali dei bambini di fronte ai conflitti sociali, tentando di ridurre il loro deficit di abilità nel risolvere con successo i problemi interpersonali, supportandoli nell'identificare le situazioni conflittuali come problematiche e incoraggiandoli ad incrementare il loro repertorio di risposta a tali situazioni. I disturbi da esternalizzazione: disturbi da deficit di attenzione e iperattività. Vengono definiti disturbi del neurosviluppo. Per quanto riguarda il percorso diagnostico, lo psicologo ad un'attenta raccolta dei dati anamnestici personali e familiari, dovrà affiancare una raccolta di informazioni del contesto scolastico e sui livelli di apprendimento, insieme ad un accurato esame neuropsicologico del bambino che preveda quantomeno: le competenze di pianificazione, monitoraggio e controllo dell'azione, delle capacità di inibire la risposta anche se programmata (ad esempio, assenza di comportamenti di perseverazione), il grado di mobilitazione delle risorse attentive (compiti di vigilanza, mantenimento dell'attenzione su un compito). Bisogna capire se è un problema di iperattività, impulsività, disattenzione. Le cose si possono combinare in modo diverso. In base a questo cambia il trattamento. I modelli di trattamento più sperimentati sui problemi di inattenzione, impulsività e iperattività si focalizzano su 3 ambiti possibili di intervento: il miglioramento delle abilità autoregolative del bambino (training delle autoistruzioni verbali abbinato a problem solving e tecniche di rinforzo); il coinvolgimento delle figure genitoriali nel contenimento e della gestione educativa quotidiana del bambino (parent training); il sostegno agli insegnanti nel contesto scolastico, ambito entro il quale le risorse del bambino con DDAI mostrano più chiaramente i loro limiti (Teacher training). Il programma di parent training ha evidenziato cambiamenti significativi osservati nel comportamento del figlio all'interno della vita familiare, ma anche un miglior senso di competenza dei genitori in particolare delle madri. Freud → formazione reattiva Asse II: disturbi specifici dello sviluppo Questo asse comprende entità cliniche descrittivamente eterogenee: i disturbi della funzione motoria, i disturbi della funzione linguistica, i disturbi dell'apprendimento scolare, le sindromi d'alterazione globale dello sviluppo psicologico (autismi e sindromi correlate). Tuttavia questi disturbi di aree di sviluppo singole o multiple presentano caratteristiche biologiche ed evolutive simili: - hanno un esordio precoce dell'infanzia → si evidenzia subito la traiettoria atipica - hanno un decorso naturale che tende alla cronicizzazione con un lieve miglioramento spontaneo al crescere dell'età; ci sarà un livello di stop che ci permetterà di comprendere la severità - sono disturbi funzionali fortemente correlati alla maturazione biologica del sistema nervoso centrale e tuttavia non sono di solito correlati a una malattia neurologica né ad alterazioni macroscopiche del sistema nervoso centrale; - presentano una base familiare ereditaria per disturbi uguali o simili; - sono molto più frequenti nei maschi che nelle femmine. Come criterio dimensionale utile per distinguere un disturbo specifico di sviluppo da un ritardo o da una variazione fisiologica della funzione considerata, Rutter osserva che il ritardo di sviluppo della funzione è severo standard normativi, anomalo rispetto agli sul piano qualitativo, associato sempre ad anomalie comportamentali e a disadattamento sociale nel contesto di vita del bambino. Pertanto, per fare diagnosi di disturbo specifico dello sviluppo, occorre disporre di strumenti anamnestici, osservativi e testologici capaci di descrivere la severità del disturbo, la sua qualità intrinseca e in generare la sua indipendenza da malattie del sistema nervoso centrale. A questo scopo occorre disporre non solo di strumenti psicometrici standardizzati descrittivi della funzione in sviluppo (motoria, linguistica, scolare, psicologica), ma anche di strumenti qualitativi e interpretativi che in genere sono forniti da modelli teorici esplicativi di sviluppo di quella funzione. Spesso non basta un esame psicologico, ma bisogna escludere cause di ordine medico. Va fatto in generale, ma in questi casi è essenziale una risonanza, un controllo neurologico è la prima cosa che va fatta fare per escludere cause biologiche. Bisogna collaborare con altri professionisti. Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria Per diagnosticare tale disturbo, tuttavia, non vi deve essere una condizione neurologica diagnosticabile e non deve coesistere un ritardo mentale con un QI inferiore a 70, quindi si somministra una WPPSI o WISC, per essere certi di escludere tale condizione. Ne consegue che sul piano diagnostico lo psicologo deve disporre in prima battuta di strumenti psicometrici standardizzati che descrivano lo sviluppo della motricità grossolana, della motricità fine e della autonomia personale sociale e delle attività quotidiane del bambino. Tali strumenti sono rappresentati dalle scale di sviluppo psicomotorio infantile che in genere coprono la fascia di età 0-6 anni. Per rispondere alla definizione diagnostica lo sviluppo del bambino ai test deve risultare inferiore alle 2 ds (due deviazioni standard) nel settore motorio grossolano e/o fine e nell’autonomia personale e sociale. Per escludere una malattia neurologica diagnosticabile, ovviamente, il bambino con disturbo della funzione motoria deve sempre effettuare prima una visita medica neuropsichiatrica infantile per escludere la presenza all'anamnesi di crisi convulsive e all'osservazione di anomalie di sviluppo del cranio, di segni neurologici focali e di anomalie del tono muscolare. Anche perché spesso vi è una funzione medica associata. Per quanto riguarda l'intervento, vanno tenuti distinti gli interventi nel disturbo della funzione motoria grossolana e della funzione motoria fine in quanto funzioni con base biologica diversi e con modelli teorici di intervento diversi. Gli interventi sul bambino con disturbo motorio sono praticati dal fisioterapista o da un terapista della neuromotricità in età dello sviluppo. Parallelamente ai diversi interventi riabilitativi e abilitativi, è di importanza cruciale che nel trattamento del bambino con disturbo motorio (così come nei disturbi sensoriali: deficit uditivo o visivo) l’équipe curante ponga grande attenzione alle implicazioni relazionali ed emotive che tali problematiche inevitabilmente comportano. Si può pensare ad esempio anche a delle attività di gruppo. Anche perché la funzione motoria a questa età è una funzione fondamentale per la socializzazione, gli altri bimbi saltano, corrono. Inoltre tra 3-4 anni si sperimentano emozioni più complesse come la vergogna, ma anche la fierezza; per cui si lavora anche sull’autostima. Il fine è evitare l’esclusione e l’autoesclusione. Si cerca di aiutarlo a trovare delle modalità o strategie alternative, bisogna capire quali sono e come potenziarle. La condizione di vulnerabilità fisica del bambino, i limiti che determina nelle autonomie personali e sociali, l'esposizione a complessi seppur necessari percorsi sanitari, si riflette inevitabilmente in cospicue difficoltà nella regolazione delle emozioni e dei comportamenti. Tuttavia, anche il genitore più sensibile e responsivo, di fronte a un bambino con bisogni speciali dovrà essere adeguatamente supportato e contenuto nella propria funzione educativa e affettiva, così come nell’elaborazione delle aree emozionali critiche. Disturbo specifico del linguaggio Per diagnosticare il disturbo specifico di linguaggio, devono mancare: alterazioni neurologiche, sensoriali, anatomiche (che intaccano comprensione o produzione del linguaggio); una sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico; una intelligenza non verbale compromessa, ovvero se il QI non verbale del soggetto e inferiore a 70 non può essere fatta diagnosi di disturbo specifico del linguaggio. Pertanto lo psicologo, di fronte a un bambino di età prescolare che dopo due anni non parla o a un linguaggio incomprensibile, in prima battuta potrà utilizzare un test di linguaggio standardizzato per la comprensione dell'espressione verbale semantica (vocabolario) e sintattica (frasi). A 3 anni noi possiamo affermare se vi è l’acquisizione o meno, in quanto è la fase di acquisizione morfosintattica, che è l’ultima. Peabody Picture vocabulary test e il test di ricezione grammaticale Trog di Bishop sono i più utilizzati. Per escludere un disturbo della comunicazione associato a sindrome da alterazione dello sviluppo psicologico, lo psicologo dovrà verificare che il bambino utilizzi la comunicazione gestuale, il gioco simbolico e l'indicazione proto dichiarativa. Infine, per escludere alterazioni neurologiche sensoriali, sarà necessario un esame neurologico, della acuità visiva ed uditiva. Un importante studio di meta-analisi ha dimostrato che leggere libri al bambino da parte del genitore fin dai sei mesi di vita migliora significativamente il suo sviluppo linguistico, in particolare del vocabolario e delle competenze fonologiche. Inoltre il bambino sviluppa anche capacità attentive. Dunque scarsa stimolazione dall’ambiente → maggiore possibilità di ritardo dello sviluppo del linguaggio o disturbo In genere il trattamento riabilitativo del bambino con disturbo specifico del linguaggio è affidato alla figura professionale del logopedista. Meglio se l'intervento è precoce, perché se no potrebbe andare a svantaggio dello sviluppo socio-emotivo-relazionale. Proprio l'incertezza sull'efficacia di questo tipo di intervento, oltre alla difficoltà di differenziare tra i due e i tre anni di età, il disturbo specifico dal ritardo semplice di linguaggio, suggerisce di non effettuare uno screening dei disturbi del linguaggio nei primi tre anni di vita. Si ricorda infatti che lo screening di un disturbo, o di una malattia è così consigliabile solo quando siano soddisfatte tutte queste condizioni: - ci sono conoscenze precise sulla storia naturale del disturbo; - esiste un metodo per diagnosticare il disturbo specifico (pochi falsi positivi), sensibile (pochi falsi negativi) e non costoso; - esistono interventi terapeutici capaci di minimizzare o neutralizzare gli effetti del disturbo nei trattati rispetto ai non trattati. I disturbi specifici di sviluppo del linguaggio ben si prestano, per la loro natura, ad un ragionamento eziologico complesso e denso di più ricchi significati alla luce della psicopatologia dello sviluppo. Cominciano ad accumularsi prove interessanti sull'influenza che i legami affettivi primari possono esercitare sullo sviluppo e l'efficace utilizzo delle funzioni linguistiche e cognitive, in relazione ai livelli di sensibilità materna e dell'efficacia del suo ruolo tutoriale verso il bambino. Lo psicologo pertanto, nell'inquadramento diagnostico e nel trattamento di questi problemi, non potrà farsi carico anche del significato relazionale che il problema assume e del modo in cui viene gestito ed utilizzato dal bambino nelle sue relazioni significative. I processi linguistici e d’apprendimento possono organizzarsi e svilupparsi in maniera armonica solo all'interno di una relazione percepita come significativa, sicura e contenitiva. Viceversa, in contesti connotati da livelli più o meno elevati di insicurezza, discontinuità, distanza affettiva o addirittura pericolo, il deficit si inserisce inesorabilmente in un circolo vizioso di progressivo aggravamento delle performance linguistiche o di apprendimento del bambino e di resistenza al trattamento riabilitativo entro cui gli operatori stessi finiscono spesso per dibattersi impotenti. Dunque la famiglia ha un impatto importante nello sviluppo delle capacità linguistiche del bambino, per cui importante indagare il sistema di accudimento, qua il logopedista non c’entra nulla, bisogna lavorare con il genitore. Inoltre ristabilire la fiducia nel bambino. Il disturbo specifico di letto scrittura Questo disturbo non è precoce rispetto all'età, prima dei 6 anni non posso diagnosticare. Però ci sono indicatori comportamentali che poi faranno sì che il bambino manifesti il disturbo, si aspetta però l’età scolare per diagnosticare. Lo psicologo potrà ricorrere in prima battuta a strumenti standardizzati capaci di misurare la lettura delle abilità di accuratezza e velocità (numero di errori nel leggere le parole) e di comprensione del testo letto, il dettato nelle abilità di accuratezza (numero di errori di scrittura), e l'intelligenza (QI) e di mettere in correlazione i valori standard di lettura e dettato con i valori standard dell'intelligenza. La difficoltà è grafemica, non si discrimina visivamente, così come uditivamente. Associato anche al calcolo. Si utilizzano in genere strumenti compensativi (compensare difficoltà da un punto di vista di discriminazione, per esempio ingradire i grafemi, uso della calcolatrice, tempo aggiuntivo) e dispensativi (che dispensano il soggetto da particolari attività, per esempio non viene fatta fare la lettura in classe ad alta voce, si usa il tablet per scrivere, alle volte ci sono diffcioltà con le lingue straniere vista già la difficoltà con la lingua madre) che integrino le sue difficoltà. Per quanto concerne più specificamente il ruolo dello psicologo, occorre ribadire che le concezioni della psicopatologia dello sviluppo indicano un modello che permette di descrivere il significato funzionale dei comportamenti del bambino, dei suoi genitori di fronte al pericolo di fallimento costituito da particolari deficit cognitivi. Si pone come punto fermo l'idea del terapeuta base-sicura che declina il suo ruolo in sintonia con le caratteristiche particolari del DA del bambino e con lo stile proprio del funzionamento familiare. Attenzione al beneficio secondario della malattia, ne approfitto, evito di usare la strategia, non mi impegno; in alcuni casi viene fatto consapevolmente, in altri inconsapevolmente. A volte lo psicologo può assolvere già pienamente il suo ruolo esercitando un'attenta attività diagnostica e condividendo con il bambino e i genitori le basi di evidenza sulle quali si fonda uno specifico programma di trattamento e di abilitazione. Altre volte realizza il suo compito tentando di attenuare e gestire le condizioni aggiuntive di rischio familiare. Altre volte ancora il terapeuta è chiamato ad utilizzare concezioni e tecniche pertinenti ad un ben definito setting psicoterapeutico, laddove alla vulnerabilità neuropsicologica si sommino variabili specifiche di rischio nell'area della regolazione emozionale e comportamentale. Si sostiene la motivazione, l’autostima, e si dà supporto all’eventuale rifiuto scolastico, anche perché molto spesso non essendo molto bravo potrebbe non essere scelto dai compagnetti. A livello emotivo dunque avranno delle difficoltà, oltre che a livello sociale, fanno tanti errori, si isolano, non vengono scelti soprattutto magari per l’aspetto dei compiti, e avendo anche scarsa autostima i pari potrebbero pensare che non sia una buona compagnia. Si può fare prevenzione, facendo dei test dalla prima elementare, per individuare chi è a rischio, ma si aspetta il secondo anno monitorando i soggetti a rischio, magari alcuni potrebbero aver recuperato e altri no, allora al termine della seconda si procede alla diagnosi, così che inizino la terza con le misure dispensative. Comprendere anche i risvolti sul genitore. I disturbi generalizzati dello sviluppo Si parla di disturbo dello spettro autistico. E’ un disturbo grave e frequente, che colpisce l’1% della popolazione. L’età di esordio è molto precoce, tra i 18-24 mesi si può porre diagnosi, si manifesta subito il principale disturbo con un deficit della reciprocità emotiva, nell’interazione primaria e anche secondaria con l’oggetto, il bambino non interagisce, non c’è reciprocità emotiva. Si è già in una traiettoria atipica. Poi anche il criterio b con interessi ristretti e stereotipati. Dunque è facile accertare la compromissione. Per accertare la compromissione delle aree di sviluppo, lo psicologo dovrà ricorrere sia all'intervista ai genitori sia all’osservazione del comportamento del bambino. Oggi in questo ambito esistono alcuni strumenti standardizzati quali l’ADI per l'intervista semi strutturata ai genitori e l’ADOS per l'osservazione comportamentale del bambino. Strumenti diagnostici sul bambino sono complessi, solo con l’osservazione sistematica si possono ottenere informazioni. Per prevenire l’autismo occorrerebbe conoscere le cause. Ora, a parte una bassa percentuale di casi in cui si individua una malattia neurologica (spesso esposizione all’inquinamento, o al valproato, età avanzata dei genitori) o genetica, l’autismo resta a eziologia ignota. In questo stato delle cose infatti si parla di sindrome, e non di malattia, ovvero di un quadro comportamentale che potrebbe avere cause biologiche oggi non note o cause psico-sociali. Oggi gli esperti concordano piuttosto sulla necessità di programmi di screening o di diagnosi precoce dell'autismo per le seguenti ragioni: in primo luogo è disponibile uno strumento di screening assai affidabile rappresentato dalla CHATT di Baron-Cohen e coll. In secondo luogo la diagnosi precoce consenta una presa in carico tempestiva capace di migliorare la prognosi naturale del disturbo, soprattutto da un punto di vista linguistico. Inoltre oltre l’assenza di attenzione condivisa, spesso già a 18 mesi manca il gioco simbolico. Infine, in caso di figlio autistico, i genitori devono conoscere la diagnosi per poter effettuare una rapida consulenza genetica, dato che la probabilità che i figli successivi abbiano autismo è del 3-7% ossia 50 volte più alta del resto della popolazione. La chat è uno strumento semplice che consta di due parti: un questionario con 9 domande ai genitori e un'osservazione diretta del comportamento del bambino da parte dello psicologo che si basa su 5 item. Le domande e gli item critici per la diagnosi di sospetto autismo sono quelli relativi all'attenzione condivisa e al gioco simbolico. I bambini autistici non presentano una delle due attività descritte. Per quanto riguarda il trattamento vero e proprio i genitori devono sapere che non esistono cure, tantomeno farmacologiche, che guariscono dall’autismo. Il trattamento dell’autismo è finalizzato a ottenere miglioramenti nelle aree della comunicazione, dell'interazione sociale, degli interessi personali e degli schemi d'azione. Metodologie più conosciute: Metodo ABA (Applied Behavior Analysis): trattamento educativo basato sui principi della terapia del comportamento, organizzato per almeno 20 ore alla settimana in individuale o in piccolo gruppo, con il quale si tenta di insegnare al bambino comportamenti sociali, verbali, cognitivi e motori attraverso l'osservazione sistematica, il rinforzo positivo e l'incentivo all'apprendimento, passo a passo, di comportamenti specifici. Purtroppo spesso i bambini autistici non fanno queste venti ore. Metodo TEACCH (Treatment Education of Autistic and Related Communication Handicapped Children): apprendimento altamente strutturato e organizzato che prevede principalmente compiti visivi e visuo-motori. Programma complesso e articolato, basato sui principi dell’individualizzazione e della flessibilità. Obiettivo: la comunicazione spontanea, un aspetto tipicamente debole nei disturbi generalizzati dello sviluppo. Poi ci sono anche i training sulle social skills, ma l’ABA risulta essere quello più efficace. I risultati di questo programma sembrano particolarmente incoraggianti, ma strettamente dipendenti dalle effettive possibilità di coinvolgimento nel programma di genitori ed educatori. Lo psicologo ha qui il compito di orientare l'intervento dei genitori e degli insegnanti tenendo conto del livello di sviluppo raggiunto dal bambino, del suo contesto di vita quotidiano e delle sue propensioni. AAC (Augmentative and Alternative Communication): promozione della comunicazione con l'ausilio di strumenti visivi e tecniche comportamentali di rinforzo. Il trattamento dovrebbe prefiggersi: - degli obiettivi comportamentali e comunicativi nei contesti di vita del bambino che siano misurabili; - che presuppongano un ambiente strutturato e routine; - che prevedono tempi con un educatore adulto con un rapporto 1:1; - che siano individualizzati sull’osservazione e sulle caratteristiche personali del bambino; - che privilegino il canale visivo e visuo-motorio; - che prevedano una collaborazione continua tra genitori e professionisti fondamentale per l'educazione a casa, per discutere insieme obbiettivi e verifiche del trattamento, per discutere le terapie controverse e inutili di cui genitori vengono a conoscenza, per fornire comunque supporti e disponibilità anche quando i professionisti non condividono appieno le scelte fatte dalla famiglia. (I genitori potrebbero essere in negazione oppure iperprotettivi, e in entrambi i casi può essere lesivo) Dovremmo porre grande attenzione alle risorse educative e affettive presenti all'interno del sistema familiare. Un atteggiamento non giudicante, di piena e calda condivisione empatica del loro dolore da parte dell‘équipe curante, insieme a un supporto educativo sensibile e costante, rappresentano dunque il presupposto fondamentale per l'implementazione di qualunque programma terapeutico. Anche per questi autori elementi predittivi di un'evoluzione positiva sono la presenza del linguaggio comunicativo entro i cinque anni e capacità cognitive più elevate. I pazienti con più elevato funzionamento possono progressivamente migliorare le loro competenze cognitive e comunicative, ma restano generalmente più evidenti le difficoltà nell'interazione sociale. Il problema è molto spesso che non c’è una transizione dal massimo supporto da bambini all’età adulta. 17/10/2024 Il ritardo mentale La diagnosi di ritardo mentale è definita dal livello del quoziente intellettivo, misurato con una scala psicometrica standardizzata sulla popolazione di appartenenza del soggetto. Ritardo mentale lieve: QI 50-69 Ritardo mentale medio QI 35-49 Ritardo mentale grave QI 20-34 Ritardo mentale profondo QI

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