Summary

These notes cover topics in special pedagogy, including the history of the field, the importance of language in education, the ICF, and disability rights. They mention key figures and concepts like inclusion, integration, and the distinction between deficit and handicap. The document also highlights the need for educators to understand personal resources and possibilities for individuals deemed vulnerable.

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PEDAGOGIA SPECIALE 20/11/2023 MAIL: [email protected] Esame a domande aperte. ARGOMENTI: - La nascita della pedagogia - L’importanza delle parole nelle professioni educative - ICF, Con...

PEDAGOGIA SPECIALE 20/11/2023 MAIL: [email protected] Esame a domande aperte. ARGOMENTI: - La nascita della pedagogia - L’importanza delle parole nelle professioni educative - ICF, Convenzione sui diritti delle persone con disabilità - Cura e relazione di aiuto - Famiglia e disabilità - Disagio, disadattamento, devianza Libri: L’inclusione educativa. Indicazioni pedagogiche Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee d’intervento. Lettura di un testo di narrativa sulla disabilità e/o sul disagio e relazione scritta da inserire in piattaforma (riflettere su come la testimonianza letta può contribuire a sviluppare un nuovo modo di accogliere la differenza e quali sollecitazioni può offrire all’educatore sociale). - Collego teoria e lettura. - Incontro con GUIDO MARANGONI (18/12) INTRODUZIONE ALLA PEDAGOGIA SPECIALE La pedagogia speciale ha come suo obiettivo prioritario di favorire l’integrazione delle persone con bisogni specifici e particolari nel loro contesto sociale e culturale e, quindi, di prepararli ad una vita che, seppur problematica e complessa, ha necessità di essere pienamente vissuta con gli altri (L. D’Alonzo, 2006, p. 11) Luigi D’Alonzo è prof dell’università di Milano. Nella sua definizione dice di favorire inclusione e integrazione delle persone con bisogni specifici e particolari, quindi non solo disabili, nel loro contesto specifico, senza nascondere i problemi e limiti ma aiutandoli a vivere la miglior qualità di vita. Il compito più delicato e sottile della Pedagogia speciale non è tanto quello di trovare le risposte ma di identificare i problemi. Identificare i problemi è di gran lunga più difficile di risolverli perché si tratta di mettere in atto una competenza percettiva e interpretativa che solo una mente acuta e sensibile può possedere […] Identificare il problema, riconoscere una richiesta di rilievo là dove sembrano mancare le indicazioni palesi costituisce dunque il segno concreto della competenza pedagogica speciale […] il compito della Pedagogia Speciale è dunque di rendere sempre più speciale ogni forma di intervento educativo facendo diventare patrimonio comune la capacità di cogliere i problemi, la competenza nell’affrontarli, la padronanza nell’ipotizzare opzioni nelle risposte educative (F. Montuschi, 1997, pp. 162-164 “Fare ed essere il prezzo della gratuità in educazione”). Identificare il problema significa accogliere la persona e cercare di capire che bisogni ha, cosa chiede all’educatore. La competenza della pedagogia speciale, unita a quella tecnica e a quella relazionale, sono le tre dimensioni che un educatore deve possedere. Ferdinando Montuschi: Pedagogista, sul piano della ricerca si occupa dei processi di apprendimento, delle relazioni interpersonali e sociali, del rapporto tra affettività e intelligenza. Ha fatto parte di commissioni di studio sui temi della disabilità e della lotta alla droga. Cosa fa la pedagogia speciale nel momento in cui incontra la persona che vive in una situazione problematica (disabilità, pluridisabilità)? Claudio Imprudente → uno dei fondatori di Marana-tha, centro di educazione hanidcap. È una persona in conia il carrozzina che usa una tavoletta in plexiglass con l’alfabeto. Punta con gli occhi le lettere e c’è una persona termine che si occupa di tradurre quello che vuole dire. Quando si presenta si definisce un “geranio” perché veniva diversa mente visto come un vegetale ma in realtà ha trovato un suo progetto e una sua qualità di vita. abili Nella relazione c’è bisogno di DOPPIA FIDUCIA. L’educatore deve trovare le risorse da cui partire. Ognuno al di là della sua storia di vita ha delle risorse da cui partire, “prova in altro modo”. Nelle situazioni problematiche devo intrecciare le relazioni, c’è bisogno di tempo e di una doppia fiducia in me e nella persona che sto aiutando. POSSIBILITA’ ed EDUCABILITA’. Lo sguardo sulle potenzialità dei soggetti considerati più fragili, li considera attori-autori del proprio percorso di sviluppo/apprendimento e protagonisti attivi del sociale. Da un lato vi è la volontà a fare attenzione ai bisogni dei diversi con più conoscenza, sensibilità e rispetto mentre dall’altro vi è lo sforzo di trovare approcci nuovi, più avanzati e modelli alternativi adeguati. compiti della pedagogia speciale: - Si occupa di persone con bisogni specifici. - Individua e offre risposte speciali a bisogni specifici in contesti ampi, nei territori di appartenenza di tutti e non segreganti. - Ha il compito di intravedere, riconoscere, puntualizzare anche in situazioni altamente problematiche la possibilità dell’educabilità dell’uomo. posto inesprolato non si limita alle cose educative tradizionali - Si muove in un ambito di frontiera, svolge una funzione trasgressiva e utopica verso l’esistente, effettua un percorso euristico. approccio basato su tentatici ed errori, cose pratiche e risolvere problemi L’educatore deve trovare le potenzialità latenti e residue. Potenzialità che di primo attrito non vengono percepite. Deve essere in grado di modificare la realtà con potenziamento e strumenti critici da un lato e strumenti produttivi dall’altro. Il progetto che metto a punto deve essere sempre un progetto realizzabile nei territori di appartenenza. Devo dare strutture e disponibilità dentro il proprio contesto di vita perché c’è chi non può usufruire ad esempio di mezzi di trasporto idonei a spostarsi per chilometri. Le attività non devono essere pensate solo per persone con disabilità ma si vuole lavorare con tutto per favorire inclusione e integrazione. Uno dei compiti della PS è quello di distinguere nei soggetti le componenti legate al disturbo clinico ricercando tutte le condizioni utili ad annullare le barriere, cioè lo svantaggio, la difficoltà conseguente alla relazione con il contesto di vita sociale e culturale. cosa fare nel caso specifico per la disabilità della persona Anche per i soggetti con difficoltà severe, dunque, il progetto educativo è sempre possibile qualunque sia la situazione di partenza individuale. in se ha il desiderio di essere educato ed è aperto - Per educabilità si intende l’apertura alla possibilità di orientarsi verso una propria meta; questa capacità di essere educati implica la disposizione personale a sviluppare continuamente l’insieme delle potenzialità, essa si manifesta, seppure con determinazioni del tutto particolari in presenza della minorazione, su due dimensioni: o una è quella del tempo, rappresentata dal futuro che prevale rispetto al passato su cui pure si innerva; la persona deve credere di poter vivere meglio e di avere un futuro costruito sul passato o l’altra metodologica consiste nella dilatazione ed espansione dell’esperienza esistenziale dell’educando ed è orientata a sempre nuovi traguardi verso l’autonomia personale e sociale. Perseguire il cambiamento educativo significa sollecitare le potenzialità comunque presenti e incrementare risorse, accompagnare e sostenere la persona nella sua traiettoria esistenziale, alimentata da un divenire simbolico di incapacità, competenze, stati d’animo, relazioni, che costituiscono il suo mondo vitale. Credere nell’educabilità del soggetto implica uscire dalla chiusura, aprirsi, non creare situazioni di dipendenza e di assistenzialismo. L’educabilità ammette alla cura di diverse competenze, crea un contesto di collegamenti e di inclusione con diverse figure professionali. Per educare qualcuno bisogna credere che egli sia educabile, accettare di correre il rischio e la sfida di contribuire a fare evolvere l’umanità della persona positivamente. È importante, dunque, rivolgersi alla persona considerandola non come individuo chiuso in sé stesso ma come sistema complesso, aperto ai cambiamenti per quanto piccoli e lenti, come interlocutore con cui tenere viva la comunicazione, capace di modificarsi e di condividere le tappe del cammino. SCRIVI SOLO PERSONE CON DISABILITA' , usa solo ed unicamente questo termine DISTINZIONE TRA DEFICIT E HANDICAP DEFICIT HANDICAP Irreversibile, perdita di funzioni e capacità operativa Persona + contesto (barriere architettoniche e (limitazione o perdita delle capacità di compiere pregiudizio). È esterno alla persona, lo creiamo noi una attività nel modo o nell’ampiezza ritenuti nell’incontro con l’altro. Condizione di svantaggio normali per un essere umano). Non possiamo vissuta da una persona a causa della menomazione intervenire ma c’è un percorso di accettazione del o disabilità che limita o impedisce la possibilità di deficit creando contesti educativi inclusivi partendo ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella dalla quotidianità. persona. ci nasci o ti tocca e devi solo accettarlo è la persona in un contesto o luogo Andrea Canevaro → Professore di pedagogia speciale dell’università di Bologna, autore di studi innovativi sull’integrazione scolastica e sociale degli studenti con disabilità. È coinvolto in progetti di ricerca in Cambogia, Bosnia e Rwanda. Diceva che possiamo al massimo la parola “portatore di deficit” perché appunto l’handicap non riguarda lo stesso soggetto ma l’esterno. Scrive la “difficile storia degli handicappati” dimostrando come questi libri siano scritti sempre da altri. Ad oggi invece ci sono testimonianze vive che aiutano a capire come la persona con disabilità vive l’incontro con il deficit. COSA DEVE FARE L’EDUCATORE DI FRONTE A QUESTE DUE CONDIZIONI? non posso Da un lato comprendere e studiare il deficit come Dall’altro bisogna studiare e comprendere interv variabile oggettivabile (non possono intervenire, è l’handicap: incontro tra una persona con un deficit enire qualcosa che va accettato). È un percorso di e il contesto, l’ostacolo sociale (come le barriere continuo adattamento dove devo capire che non architettoniche). ostacolo sociale esempi: lavoro, istruzione posso intervenire e molto spesso in realtà sfocia in ( dislessia) , stereotipo, accesso limitato ai rassegnazione o ricerca di interventi miracolosi. servizi sanitari, mancanza di supporto sociale o isolamento Nonostante questo grande passo che ha portato a comprendere che il deficit ha anche origini sociali e a maturare consapevolezza dei doveri di responsabilità da parte dei settori della società a intervenire per garantire pari diritti di accesso ai servizi sul piano esistenziale, anche questo modello ha delle inadeguatezze. ® In particolar modo l’inadeguatezza sta sull’uso del termine “handicappato” che continua ad alimentare l’immagine di un soggetto fragile, con potenzialità diminuite, l’etichetta della persona che si concentra sulla patologia anziché le caratteristiche del singolo. - Si passa da persona con handicap a “diversamente abile” per intendere persone dotate di capacità “altre” mettendo in luce le potenzialità anziché le incapacità. alla nascita della pedagogia speciale L’ostacolo più grande oggi è il PREGIUDIZIO: mentre un tempo ci si approcciava alla differenza oggi pensiamo che finché non mi riguarda direttamente è qualcosa da ignorare. La parola Handicap viene dalla classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute (ICF). L’ICF ha rivoluzionato il modo in cui dobbiamo guardare alla persona con un deficit perché pone in relazione le condizioni di salute di ognuno di noi con il società maggiormente individualista contesto (condizione di salute + contesto sfavorevole= disabilità). Tutti possono incorrere in una disabilità di fronte ad un contesto sfavorevole (servono contesti inclusivi). È un sistema di classificazione proposto nel 2011 dall’OMS che ha cambiato il modo di vedere la disabilità. TORNA AD APPROFONDIRE anche una persona normale in un contesto sfavorevole può essere considerato in disabilità. es. persone incinta e parcheggi non disponibili se il contesto è favorevole l' handicap si annulla COSA DOBBIAMO CAPIRE COME PROFESSIONISTI? - Variabili che possono aggravare il deficit (ad esempio, la mancanza del lavoro collegiale e di equipe perché dobbiamo metterci in gioco e riuscire a dire il nostro punto di vista oppure l’iperprotezione che viene accentuata con il disabile), - Evoluzione di una persona con disabilità. Se non si parte da quando si è piccoli diventa difficile che il ragazzo con disabilità visiva diventa autonomo ® se non aiuto il bambino ad esplorare l’ambiente in cui vive è difficile che la famiglia porti il bambino all’asilo nido per esempio. (Se dai il bastone bianco per la prima volta ad un adolescente non lo accetterà mai) Bisogna lavorare nell’aver cura della persona e nella costruzione di un suo progetto di vita. Esempio: nella disabilità visiva se non si parte fin da piccoli è difficile che poi diventi autonomo. Bisogna che fin da piccoli ci sia un progetto e l’educatore è fondamentale. Bisogna aiutare il bambino ad esplorare l’ambiente in cui è inserito. Fin da piccolo bisogna accompagnarlo anche nello scegliere il cane o un bastone per accompagnarlo nella sua quotidianità. Bisogna considerare tutte le variabili e tutti gli aspetti che non aggravino il deficit. La persona con disabilità deve essere vista anche come inserita nella realtà degli adulti se no non crescerà mai. Quanto influisce lo stile educativo familiare, scolastico e le relazioni con i coetanei per l’evoluzione di una persona con disabilità? Un deficit può aggravarsi a causa di vari fattori, sia interni che esterni alla persona. Ecco alcuni esempi: Mancanza di interventi tempestivi: Se un deficit non viene identificato e trattato precocemente, può peggiorare nel tempo. Ad esempio, un problema di vista non corretto può portare a ulteriori complicazioni visive. Barriere ambientali: La presenza di barriere architettoniche, come edifici non accessibili, può limitare ulteriormente la mobilità di una persona con disabilità motoria, aggravando il suo deficit. Pregiudizi e discriminazione: L'isolamento sociale e la mancanza di opportunità a causa di pregiudizi e discriminazione possono influire negativamente sul benessere psicologico e sociale della persona, peggiorando il deficit. Mancanza di supporto: L'assenza di un adeguato supporto familiare, educativo o sanitario può impedire alla persona di sviluppare le proprie capacità e di gestire il deficit in modo efficace. Condizioni di salute: Altri problemi di salute, come infezioni o malattie croniche, possono interagire con il deficit esistente e peggiorarlo. Stress e traumi: Eventi stressanti o traumatici possono avere un impatto significativo sul deficit, aggravandolo. Ad esempio, lo stress cronico può peggiorare i sintomi di un disturbo mentale. Mancanza di adattamenti: La mancanza di adattamenti ragionevoli, come strumenti tecnologici o modifiche ambientali, può limitare ulteriormente le capacità della persona e aggravare il deficit. Questi fattori possono essere mitigati attraverso interventi mirati, politiche inclusive e un supporto adeguato per garantire che le persone con deficit possano vivere una vita piena e soddisfacente. LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA SPECIALE - La provocazione di Comenio - 1627: didattica magna, messaggio rivoluzionario - Il ragazzo selvaggio Fin dall’origine l’ambito di studio della PS si è indirizzato all’educazione e alla scolarizzazione dei minori con disabilità, lasciando in secondo piano altre categorie di soggetti con difficoltà, oltre che orizzonti di vita più ampi. Il suo focus pedagogico si è ampliato a comprendere la fascia di popolazione con BES ® soggetti a rischio di marginalità con disturbi evolutivi, per problemi di apprendimento, o per ragioni di ordine psicosociale o socioculturale. - L’allungamento delle aspettative di vita per tutti hanno avuto, come ricaduta positiva, l’universalizzazione - La maggiore visibilità sociale conquistata dalla folla dei delle questioni relative alla lifelong learning. diversi Secondo Canevaro, la PS non può che aderire alla prospettiva inclusiva. Nonostante le aperture ufficiali a promuovere assetti sempre più umani e umanizzanti, la finestra sul reale presenta uno scenario denso di contraddizioni: soprattutto rimane ancora troppo ampia la forbice tra la pronuncia dei principi di uguaglianza nelle differenze e la loro conquista effettiva da parte di chi vive una condizione di “alterità”. Infatti, si segnalano difficoltà a dare vita a nuove idee di cittadinanza, caratterizzate dal riconoscimento reciproco tra individui e collettività, all’interno di un tessuto dialogico ricco di connessioni multiple, alimentato dal fatto che ciascuno, mettendo da parte gli stereotipi, si percepisca come identità plurale e sia disponibile a percepire gli altri come identità altrettanto plurali. L'approdo a una Convenzione internazionale, esaustiva rispetto alla affermazione del diritto alle pari opportunità (ONU, 2006), è un'occasione strategica per apportare un contributo significativo al riequilibrio dei gravi svantaggi sociali subiti e per promuovere la partecipazione delle persone con disabilità alla sfera civile, politica, economica, sociale e culturale, sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo. Il lento ma costante processo di inclusione dei diversi da una parte tes2monia la possibilità di uscire dai limi2 impos2 dalla natura e dalla società, dall'altra indica che i traguardi raggiun2 a favore di chi vive esperienze di fragilità rivelano nuove vie per l'emancipazione e l'evoluzione umana in generale. La pedagogia speciale, si è proposta come un modello a vocazione interdisciplinare che intercetta la pedagogia generale, la sociologia, la psicologia, il diritto, la medicina, la didattica speciale e generale, la pedagogia interculturale, l’antropologia culturale, la tecnologia dell’istruzione. 21/11/2023 Cannavaro scrive: “la difficile storia degli handicappati” e ci fa osservare come la storia di queste persone è sempre stata una storia scritte da altri. La storia delle persone con disabilità è sempre stata scritta dagli altri e per questo era difficile trovare documentazione e tracce delle persone con disabilità, vi era lo “sguardo di altri” (operatori…) La storia della disabilità oggi invece viene recuperata dalle testimonianze in prima persona dei soggetti con disabilità. Oggi è cambiato anche il MODO di lasciare le tracce (ad esempio: l’ANFAS porta con sé molti progetti differenti lavorando con persone che hanno disabilità complessa attraverso l’arte). Anche i termini grave e gravissimo possono essere inappropriati e ferire i genitori, quindi, sarebbe meglio parlare di complessità. Noi adesso poniamo l’attenzione nell’incontro tra Itard e Victor del 700/800 ma già nel 600 c’era un pedagogista che poneva attenzione sulla disabilità → COMENIO. Comenio era un vescovo della Moravia, persona molto religiosa ma che subisce l’esilio. Era lontano dalla sua patria e traduce nel 1600 “la didattica magna” la sua opera principale. Fa questo perché vuole poter fare qualcosa che vada bene per tutti. La didattica magna è attraversata da un sentimento religioso, universale. Comenio in questa sua opera prospetta una educazione per tutti e per tutta la vita al dì là delle differenze etniche, sessuali, sociali e personali. Lui prospetta una educazione per tutti e che vada bene anche per le donne. Comenio apre il nostro sguardo alle persone con disabilità per far sì che possano essere educate. PRIMA: Pedagogia speciale = assistenzialismo. La pedagogia speciale è una disciplina giovane nata nel corso del 900 mentre prima esisteva ma veniva chiamata con altri termini occupandosi di persone alle quali per i medici bisognava trovare percorsi educativi per rendere i soggetti socialmente accettabili ma spesso erano di tipo assistenziale. L’assistenzialismo è pericoloso perché non porta alla crescita della persona. L’attuale denominazione della pedagogia risale al diciottesimo secolo quando si comincia a guardare in modo nuovo le persone “diverse”, non solo con curiosità ma considerando questi come soggetti ai quali è possibile garantire educazione. Le radici remote della pedagogia speciale vengono riconosciute in Francia tra la fine del 700 e metà dell’800 con le esperienze educative rivolte a disabili ad opera di Itard e Seguin. ITARD ha indicato la strada maestra da seguire: quella di accompagnare la cura medica alla cura educativa nel trattamento dei minori insufficienti mentali; su questa rotta sono stati declinati tutti gli interventi successivi, pur con degli adeguamenti imposti dall’evoluzione storico-culturale. La “vicenda del ragazzo selvaggio” è la storia del ritrovamento di un bambino “selvaggio” trovato alla fine del 700 e il suo accompagnamento all’educazione. Inizialmente viene messo in un istituto per sordomuti (concetto non più adatto perché la sordità non preclude l’essere muto) ma poi Itard lo accoglie nella sua casa e nella sua famiglia. Itard invita ad accogliere questo bambino in famiglia, in un contesto aperto e starà con lui e la sua donna. Itard cercherà mezzi di comunicazione per dare educazione a questo bambino e ragazzo selvaggio. La realtà dei bambini selvaggio non era tipica solo del 700 ma questa figura trova le radici storiche già ai tempi dell’Impero Romano e dell’illuminismo. È proprio il movimento culturale dell’epoca che porta alla conoscenza di questi ragazzi dove l’immaginario collettivo comincia a dargli una nuova immagina → il ritrovamento di un grande numero di bambini selvaggi porta a vedere la diversità non più come qualcosa da nascondere ma almeno da STUDIARE. ITARD E VICTOR - XVIII secolo è il secolo della classificazione e delle differenze in campo naturalistico - 1656-1789/90 Grande Internamento (problema della povertà e accattonaggio) I bambini selvaggi sono sempre esistiti ma cominciano a destare curiosità alla fine del 700 (nel diciottesimo secolo sono importanti illuminismo e Rivoluzione francese). Nel diciottesimo secolo vengono catturati diciotto bambini selvaggi in tutto il nord Europa. Non + qualcosa da nascondere ma qualcosa su cui riflettere. Victor → preso da Itard per un progetto educativo. Nel diciottesimo secolo si parla di classificazioni e differenze anche in campo naturalistico. Vi erano rigide classificazioni e tassonomie per controllare, neutralizzare ed eliminare le differenze. trova esempio Foucault: Tanto più una cosa era dettagliata quanto più era classificata. Si comincia ad aprirsi alla alterità (non più solo classificazioni) e si comincia ad interessarsi ai bambini selvaggi e ci si chiede se si può fare qualcosa di fronte a questi soggetti nel caso in cui la natura abbia fatto dei danni. Apertura all’educabilità nella letteratura. bambini selvaggi: figli illegittimi buttati a morire nella natura e Ci sono aspetti conflittuali: magari qualcuno si salvava - Da un lato si vuole capire la diversità - Dall’altro si vuole annullarla per andare verso una accettata normalità. In Francia tutte le persone con un deficit o pericolose socialmente venivano poste tutte insieme in istituti enormi (alienazione sociale) ® cechi, sordi, malati sono tutti internati allo stesso modo. Si comincia pian piano con una legge che dava solo ai medici la possibilità di decidere chi dovesse entrare all’interno di queste strutture ma all’indomani della Rivoluzione francese ci si chiede se sia giusto mantenere questi internati tutti insieme indipendentemente dalle problematiche che presentano all’interno degli istituti (GRANDE INTERNAMENTO). Ad esempio, a Parigi c’erano diverse strutture per l’internamento e si comincia a comprendere l’importanza di dividere le persone internate: Hospital General comprende gli Asyles di Bicetre, Salpetriere (luoghi in cui lavora Pinel). quello che lo trova PINEL → psichiatra che si occuperà di Victor. Diventato direttore delle strutture riesce a migliorare la condizione di vita di queste persone. Pinel porta la grande riforma della psichiatria … libera i pazzi dalle catene… Non c’è una liberazione dall’internamento ma si iniziano ad osservare queste persone, li libera in uno spazio dove poterli osservare. Li degna di interesse, li osserva e soprattutto osserva i ragazzi che devono partire per il servizio militare. Spesso la pazzia è dovuta a lacerazioni della vita psichica delle persone (perché la persona può aver vissuto un evento che ha inficiato il suo equilibrio psichico) e quindi può essere possibile un intervento educativo. L’apporto teorico di Pinel si fonda sull’osservazione. Pinel ci fa riflettere anche sulla nozione della FOLLIA COME INCIDENTE → la follia può colpire ognuno di noi di fronte ad un lutto o esperienze laceranti. La follia, Pinel, la riconduce ad un momento di diversa economia delle passioni e per questo per lui può essere guarita. Ø Ph. Pinel: diagnosi per similitudine Ø Ipotesi di Itard sullo stato del sauvage: Isolamento socio-culturale e impedimento ai processi sociali e imitativi. INCONTRO DI ITARD CON IL SAVAUGE E SUA EDUCAZIONE 1801-1806 Victor viene catturato nelle foreste dell’Aveyron. Pinel nel momento in cui incontra il ragazzo selvaggio lo definisce come un idiota (giudizio negativo) e dice che non c’è possibilità di educazione. Non è la società ma è la natura stessa ad essere la causa del deficit. Pinel fa si che il ragazzo venga inserito in un primo momento in un istituto per sordomuti dove ITARD con passione vuole occuparsi di lui. La relazione tra Itard e Victor è il paradigma di un incontro pedagogico privilegiato (incostante ma che rappresenta la ricerca reciproca dell’identità). victor cambia la vita di itard e viceversa J.M. GASPARD ITARD E IL SELVAGGIO DELL’AVEYRON Ø Paradigma di un incontro pedagogico privilegiato Ø Ricerca reciproca dell’identità (Itard è divenuto qualcuno, aiutando un essere che non era nessuno a diventare qualcuno) Non dobbiamo porci con indifferenza nel rapporto educativo, la relazione è educativa quando c’è INTENZIONALITA’. La persona disabile non deve essere vista con inferiorità ma è importante sempre la reciprocità. Non al “Ruolo del salvatore” ma ricerca di identità nel confronto e nella relazione capendo chi si vuole essere e diventare. La persona con disabilità capisce se lo stiamo ascoltando e cosa stiamo provando. Comprende se siamo lì per entrare in relazione con lei o se siamo lì solo per questioni lavorative. L’incontro con l’altro deve sempre portare alla ricerca reciproca di identità. Itard tra il 1789 e il 1800 si occuperà di Victor nell’istituto per sordomuti e ipotizza che sia un bambino il cui sviluppo si sia fermato all’età dei 10 e 12 mesi. Itard dice anche che Victor è così per le abitudini antisociali che ha vissuto per parecchi anni. Dice di poter far evolvere questa personalità e mettere a punto un progetto per questo bambino e farlo maturare dal punto di vista affettivo e intellettuale. Itard a differenza di Pinel capisce che il deficit sia legato ad una mancanza di partecipazione ai processi sociali accentuata dal fatto che il bambino selvaggio non ha potuto vivere quelli che sono i modelli ultimi per la costruzione dei comportamenti educativi/imitativi. Itard progetta quindi la sua recuperabilità e prospetta per lui una educazione elaborando un primo progetto educativo (1801). OBIETTIVI del progetto per la recuperabilità: - Inserimento nella vita sociale, - Sviluppo e stimolazione delle sue capacità e della sua sensibilità nervosa, - Ampliamento della sfera delle idee (bisogni relazionali), - Approdo all’uso della parola (legge della necessità) e sviluppo di qualche operazione intellettuale partendo dalla realtà concreta. Itard in itinere riesce a rivedere il suo progetto e lo restringe ai primi tre obiettivi. Oltre a questi elementi c’è anche un’altra persona a cui porre attenzione MADAM GUERIN: (relazione materna con la governante). Itard sottolinea i progressi sociali e affettivi legati alla governante che accompagna nella quotidianità il ragazzo selvaggio. Lo aiuta nei processi di socializzazione. È grazie a lei se Victor riesce a stabilire una relazione con la figura materna. Ha la possibilità di osservarlo quotidianamente non in una struttura fittizia e laboratoriale ma nella quotidianità. Madam Guerin integra quelli che sono gli obiettivi di Victor e lavora su aspetti di accudimento chiamandola madre e maestra illuminata. Riesce a integrare la comunicazione verbale con quella non verbale avvicinandosi a Victor. È come se: - Itard rivestisse il ruolo paterno - Madam Guerin il ruolo materno ed è colei che umanizza i rapporti con Victor. LA VALUTAZIONE Itard usa metodi per segnare i traguardi e insuccessi di Victor. Nel 1800 Itard pone attenzione alla valutazione. Quando cerca di fare un bilancio dell’esperienza con Victor non lo colpevolizza mai. Itard mostra come lui si metta in gioco e si sente responsabile cercando di individuare strategie differenti più opportune per raggiungere gli obiettivi fissati nel progetto educativo. Il progetto educativo si caratterizza con elementi educativi che superano la medicalizzazione poiché si impegna a non rifiutare o negare il deficit. Itard parte dall’accettazione di una ipotesi e non dal rifiuto come ha fatto Pinel. Di fronte alla persona con disagio devo capire risorse, potenzialità, punto da cui partire dal punto di vista educativo. Ci si impegna ad agire, non ci si ferma ad una diagnosi ma si accetta questa e si va oltre. Si capiscono desideri, relazioni del ragazzo selvaggio. Itard accetta, accoglie e attraversa il soggetto in tutte le sue sfaccettature e dimensioni di sofferenza. Riesce a scindere e integrare l’approccio medico con quello educativo. È nell’incontro tra Itard e Victor che c’è l’integrazione tra questi due approcci. Itard considera Victor suscettibile di sviluppo e cambiamento, capace di vivere un divenire variabile di bisogni. Questo richiede relazioni flessibili e aperte, richiede il protagonismo della persona che sto aiutando. Itard manifesta sempre l’idea della dimensione dialogica, Itard deve aiutarci a cogliere l’importanza della relazione. Queste competenze sono essenziali. Non basta attività laboratoriale ma sono importanti anche competenze complementari e integrative. Madam Guerin riesce a dare vita allo sfondo affettivo da cui parte l’apprendimento del ragazzo selvaggio. Guerin umanizza il soggetto e la relazione. Quanto definito da Itard funziona perché vede Victor come suscettibile di cambiamento e di educazione. 27/11/2023 Come può un caso come quello del selvaggio essere tanto interessante per noi che viviamo in un’epoca e in un mondo completamente diverso? Che cosa può offrire alla nostra sensibilità e alla nostra professionalità educativa? Film del 69, l’obiettivo nostro è di far emergere l’attualità di questa vicenda, ossia aspetti e avvenimenti che possiamo considerare a distanza di due secoli. da una svolta Questa vicenda dà il via alla pedagogia speciale. Bisogna sempre intravedere un’educabilità anche nelle situazioni più complesse. Qual è la ricchezza di questo medico? ITARD è espressione dell’approccio integrato alla persona con disabilità, cioè Itard riesce ad unire un interesse medico con gli aspetti pedagogici e educativi ed è, dunque, espressione di questa integrazione tra le diverse visioni disciplinari. Questa è una integrazione necessaria tra le diverse visioni disciplinari che hanno cura della persona con disabilità. PRIMA PARTE Il primo momento del film è rappresentato dalla cattura e della restrizione di questo ragazzo selvaggio nell’istituto. Questa parte del film recupera una tematica attuale, cioè, rappresenta quella curiosità morbosa che porta le altre persone ad andare a vedere Victor considerato non come una persona ma come un mostro, un animale da circo. L’interesse che hanno gli altri nei confronti di Victor è momentaneo, è spesso distratto e privo di attenzione e rispetto nei confronti dell’altro ed è alimentato dalle voci e dalle dicerie di quell’epoca, cioè dalla stampa (diede risalto al ritrovamento di questo ragazzo selvaggio). Possiamo recuperare questo aspetto perché richiama il tema ancora attuale dei pregiudizi e degli stereotipi. È la tematica delle interpretazioni distorte e parziali della realtà che non influenzano solo l’opinione pubblica ma le stesse figure che si dovrebbero prendere in carico il soggetto perché il pregiudizio penetra nelle nostre conoscenze, nel modo di essere e di pensare del nostro essere educatore. Vanno ad influenzare le relazioni e spesso il pregiudizio è molto più convincente di ricerche fatte nella letteratura, riesce ad essere persuasivo nei nostri confronti poiché penetra nelle coscienze e nei nostri modi di fare e pensare dei professionisti. Non interessa la persona ma suscita interesse il “mostro”. SECONDO ASPETTO L’approccio clinico e il momento della diagnosi sono momenti di responsabilità e impegno perché è sulla base della diagnosi che si può ipotizzare un intervento di qualsiasi natura: intervento riabilitativo, farmacologico, assistenziale, educativo. Fino a pochi anni fa c’era la dicitura di diagnosi funzionale, oggi non si parla più di questa poiché le leggi nuove prevedono il profilo di funzionamento. Attualmente vige la legge 104 del 1992 (LEGGE QUADRO) la quale afferma che per ogni persona con disabilità è necessario fare una diagnosi funzionale, cioè un documento che accanto a quelli aspetti clinici individua tutti quegli ambiti e le risorse disponibili per mettere a punto la nostra progettualità. Dunque, individuare quelle risorse sulle quali andare ad agire, cioè quelle che andiamo a chiamare aree dello sviluppo potenziale. È una diagnosi funzionale perché è elaborata in funzione dello sviluppo massimo possibile della persona. Questa diagnosi non deve però essere solo descrittiva delle strutture e dimensioni più o meno compromesse. Pinel dà una sentenza inappellabile definendo Victor un idiota non educabile e irrecuperabile e ciò viene tenuto in considerazione perché egli è una persona molto stimata in quell’epoca e viene considerato il maggior esperto delle malattie mentali, il più grande psichiatra che libera i pazzi dalle catene. Il giudizio che dà Pinel riveste un’importanza decisiva. Per fortuna questo ragazzo selvaggio viene affidato a Itard che valuta lo stato fisico e mentale di Victor ed evidenza il presunto primato medico su quello pedagogico. Itard non era convinto di voler fare il medico, lo fece solo per evitare il servizio militare ma poi si interesserà del ragazzo selvaggio. Però Itard capisce che il ragazzo è più prossimo allo stato animale che umano ma riesce a credere nell’educabilità, a vedere una possibilità, cioè, riesce a trovare un equilibrio tra la medicina e la pedagogia speciale. Quindi, Itard nonostante faccia questa valutazione, riesce a far sì che abbia rilievo anche il punto di vista pedagogico-educativo e ha un nuovo sguardo rispetto al ragazzo selvaggio, non più totale dipendenza o supremazia della medicina. ® È quello che dovremmo portare avanti facendo sentire la nostra voce considerando un insieme di aspetti: sociali, relazionali che dovrebbero aprirci a un insieme sistemico più articolato. I primi passi per l’integrazione della persona con disabilità iniziano negli anni 70, in particolare con la legge 517/77. DUE RIFLESSIONI Per capire questo approccio integrato alla persona con disabilità si individuano due riflessioni rispetto ai limiti delle categorie diagnostiche: 1. VALORE FUNZIONALE: le categorie sono senza senso se non si indicano le aree funzionali su cui agire, cioè se non sono funzionali/potenziali allo sviluppo della persona. Dunque, rispetto a cosa possiamo lavorare? Sui tempi di reazione, capire come acquisiscono le informazioni trovando degli strumenti compensativi, ad esempio. Ecco che quindi è necessario cercare ed acquisire strumenti utili per la progettazione dell’intervento educativo. 2. STORICITÀ DELLE CATEGORIE DIAGNOSTICHE: idiozia e imbecillità sono classificazioni di quell’epoca, oggi invece abbiamo ICF, DSM-5 (manuale per i disturbi mentali), ICD (classificazione delle cause e delle malattie), scheda SVAMDI e scheda SVAMA (schede di valutazione multidimensionale). La storicità delle categorie diagnostiche ci fa riflettere che ogni momento storico ha le proprie classificazioni ed ognuno di noi è portato a informarsi degli strumenti che si hanno a disposizione quando ci occupiamo con persone con disabilità. L’educatore quindi si deve continuamente documentare e aggiornare rispetto ai diversi metodi ma anche rispetto agli strumenti per fare diagnosi. Gli strumenti fanno sempre riferimento a quel momento storico e non possono essere considerati definitivi. CAMBIO DI PROSPETTIVA ITARD Itard attua un cambiamento di prospeiva: - lascia spazio alla possibilità (cosa che Pinel non ammette perché è ineducabile, il deficit è inscritto nella persona), - si passa dalla negazione al riconoscimento (riconosce la persona prima del deficit), - la regressione lascia spazio a una prospettiva futura (Pinel è rassegnato mentre Itard si apre alla speranza). Itard si domanda: “perché non provo a sporcarmi le mani?” Dunque, accetta la sfida con la consapevolezza delle difficoltà morali e materiali, prima ancora di capire la valenza pedagogica. Accetta e accoglie, dunque, il ragazzo selvaggio nella propria casa. Itard quindi ribalta la prospettiva di Pinel perché distingue tra l’idiozia dovuta da motivi congeniti e quella derivante dalla prolungata e severa privazione (dovuta allo stare per molti anni nei boschi). Itard è consapevole che il selvaggio ha un grande ritardo dello sviluppo sensoriale, motorio, linguistico e sociale ma ritiene che il ritardo sia recuperabile mettendo al centro il concetto di educabilità e apertura alla possibilità. EDUCABILITA’ L’educabilità richiede una grande fiducia nell’educando e questo vale per qualsiasi persona; è un concetto pedagogico che si forma in una duplice fiducia: - nell’educando in cui riconosciamo delle risorse potenziali e quindi non vediamo solo i limiti invalicabili ma riusciamo a vedere delle risorse; - l’altra fiducia è quella nell’educatore quando mette a punto un’azione intenzionale. L’intenzionalità consiste nel selezionare quelli che sono gli obiettivi, i traguardi dell’azione educativa, sono l’espressione dell’intenzionalità dell’educatore di educare. Gli obiettivi possono essere a breve, medio e lungo termine ma è importante che siano raggiungibili. Quelli a breve termine sono fondamentali per far sì che non si vivano condizioni di frustrazione. L’educabilità, oltre a richiedere la doppia fiducia, deve assumere una valenza educativa progettuale (operatività), cioè, deve essere un’azione mirata. Ø Itard cerca di mettere insieme le sue competenze progettuali, organizzative e didattiche per rispondere ai bisogni di Victor. Itard crede nell’educabilità e non si ferma a questa affermazione di principio ma riesce ad essere progettuale e quindi gli obiettivi che si pone Itard traducono l’educabilità in intenzionalità, non si traduce in una mera retorica ma riesce a selezionare quelli che per lui sono gli obiettivi da porre. Dopo la progettazione dobbiamo passare alla pianificazione: creare i materiali, predisporre l’ambientazione e per farlo bisogna documentarsi e capire quali sono i supporti che possono darci un aiuto. Itard mette nel dettaglio minuziosamente tutti i tentativi che fa con Victor nei suoi diari. Emerge che Itard somministra una serie di esercizi e questa sua modalità di far fare questi esercizi testimonia un atteggiamento ossessivo e maniacale. Itard nel momento in cui opera sul campo, ha un atteggiamento di accanimento e quindi sembra che Itard pur di raggiungere i propri obiettivi sia disposto a far vivere delle umiliazioni a Victor. Madame Guerin rispetto a questo atteggiamento rimprovera Itard per questa sua ambizione smisurata quasi ossessiva e questo ci deve aiutare nella nostra pratica educativa per evitare di “stressare” l’educando. Madame Guerin è la portavoce del mondo interno di Victor, diviene archetipo di una modalità formativa che non può prescindere dalla soggettività e dall’affettività. ® Ecco che Itard apprezzerà anche l’errore. Itard non riesce mai comunque a confrontare Victor ai suoi coetanei. OBIETTIVI DI ITARD - Vita desiderabile, - Sviluppo della capacità sensibile e nervosa (educazione sensibile), - Uso accennato della parola utilizzando la legge della necessità. L’unico successo non deriva dalla legge della necessità ma è legato all’uso della parola “LATTE”. Lo stile che usa Itard è sperimentale, non si accontenta delle ricette educative perché non ci sono delle soluzioni preconfezionate. Itard è colui che si pone con un animo curioso, un’intelligenza aperta agli sviluppi dei processi, sta attento ai segnali, le sfumature, quanto previsto e gli imprevisti per vedere in itinere di aggiustare la progettazione. Non possiamo mai partire da certezze ma da ipotesi. Allo stile sperimentale appartiene la logica della verificabilità, cioè il progetto non può attenersi alla progettazione operativa ma dobbiamo riservare alla progettazione un’analisi critica avendo una flessibilità, un adattamento progressivo e continuo e la valutazione di progresso (no valutazione standardizzata). Itard valuta un punto di partenza e di arrivo della persona che sta educando, valuta la situazione iniziale, i processi individuali e finali di quella persona. INDIVIDUALIZZAZIONE: tentativo che fa Itard di calibrare le proposte in funzione delle possibilità di apprendimento del piccolo Victor e della possibilità di modificare il percorso. Vuol dire rispettare la persona che ho di fronte con le sue fragilità. Itard cerca di essere coerente a questi suoi criteri (ascoltare, osservare…) ma il limite maggiore consiste nel fatto che Itard pretende di risocializzare il piccolo Victor alla vita di comunità prevalentemente con un rapporto duale. Itard ripropone un modello casa-scuola nel rapporto medico-maestro e allievo. Le piccole passeggiate e momenti del genere evidenziano il rapporto duale. Manca un aspetto: manca l’incontro con i pari e la dimensione dei coetanei. Perché ricordiamo Itard? Perché nell’isolamento individua l’origine del mancato sviluppo di Victor e l’handicap deriva da questo isolamento ma non riesce a far sì che il piccolo Victor lo super completamente. Per Itard non ci sono i risultati che sperava e la vicenda è triste perché i progressi sono lenti, rimangono distanti dalla progettualità che aveva messo a punto e si dichiara sconfitto per quanto riguarda lo sviluppo del linguaggio. L’affetto Victor lo dimostra quando si porta la mano di Itard verso la faccia, riesce a sviluppare questa affettività. Itard porta avan2 ques2 tenta2vi di educare Victor per circa 5 anni e quando non trova soddisfazione e risulta2 nei confron2 di Victor decide di rimandarlo nell’is2tuto per sordomu2 e nel 1828 Victor morirà. QUESTIONI RILEVANTI (RIASSUNTO): - Si parte da una curiosità morbosa, momentanea e distaccata tipica di quando si guarda alla disabilità e alle minorazioni; questo sguardo è accompagnato anche da disgusto e dal negare il problema. Agiamo quindi emarginando la persona ed escludendole. Le isoliamo in luoghi altri. - Il secondo tema è l’influenza esercitata da stereotipi e pregiudizi nei nostri contesti e ognuno di noi è chiamato a decostruirli attraverso un impegno educativo importante che parte dai nostri contesti quotidiani di vita. Vi è passaggio dall’handicap come iscritto nel soggetto a handicap come incontro del soggetto con il contesto. - Vi era il presunto primato della medicina che poi verrà sostituito con un approccio integrato alla persona con disabilità. La medicina comunque deve mantenere il suo compito ma non deve avere il primato poiché dobbiamo guardare la persona nella sua globalità. - Estensione del principio dell’educabilità che non riguarda una categoria ma ogni persona. - Doppia fiducia: deve accompagnare qualsiasi relazione autenticamente educativa. Fiducia nel soggetto (individuando delle risorse, no assistenzialismo) e fiducia nella propria professionalità educativa che non si ferma nel momento in cui non riesco a vedere subito la risorsa (“prova in un altro modo”) - Riconoscimento dell’intenzionalità educativa che ci accompagna per definire i fini e gli obiettivi. - Necessità della pianificazione che impedisce di affidarci alle scorciatoie dell’improvvisazione. - Adozione di uno stile sperimentale, bisogna comprendere le modalità di intervento più pertinenti per la persona e per il contesto di vita. - Da Itard ci portiamo a casa la verificabilità, flessibilità, individualizzazione e valutazione di progresso (elementi da richiamare sempre nella nostra attività educativa). La verifica spesso è anche un momento burocratico dove i PEI sono sempre riproposti di anno in anno. - In ultima Itard cerca di renderci consapevoli dei rischi della rinuncia (non voler sporcarsi le mani) e ci mette in guardia nei confronti dell’accanimento. Itard a volte non riesce a sottrarsi all’ambizione di voler raggiungere i suoi obiettivi. 28/11/2023 NORMALITA’ Possesso degli stessi diritti degli altri e delle stesse opportunità. Voglio fare come gli altri perché ho gli stessi diritti e lo stesso valore. Ho un bisogno. Le parole sono il primo biglietto da visita quando noi professionisti dell’educazione ci relazioniamo con l’educando, con la famiglia perché le parole possono diventare delle pietre. Ci baseremo su tre studiosi per parlare di normalità: - Andrea Canevaro: pedagogista che fonda la pedagogia speciale in Italia. Cosa sia normale e cosa non è una questione filosofica di non facile soluzione. Normale non implica giusto. - Franco Bomprezzi: persona con disabilità motoria che scrive “io sono così” - Giuseppe Pontiggia: Giornalista, papà di Paolo, bambino che a causa dell’uso del forcipe nel momento del parto ha avuto lesioni permanenti. Scrive “nati due volte” Questi autori ci danno sfumature differenti sul concetto di normalità e per comprendere la relatività del concetto. CANEVARO: “Cosa sia normale e cosa no, è una questione filosofica di non facile soluzione. Normale non implica giusto. Tra i militari delle SS, durante la Seconda guerra mondiale, era normale vessare e bruciare gli ebrei. Questo significa che fosse anche giusto? In uno sperduto villaggio turco, al confine con la Siria, vivono uomini quadrupedi, afflitti dalla Sindrome di Uner Tan, dal nome del professore che li ha scoperti. Nella loro famiglia, loro sono certamente normali. È dunque giusto che se ne vadano in giro a quattro zampe? Se avessero figli che camminano eretti, dovrebbero considerarli anormali? Spesso le anomalie nascondono una chiave evolutiva vincente. L’uomo di Neanderthal aveva il naso grosso. Poteva disperdere il calore più velocemente. Questo lo rendeva estremamente adatto a vivere nell’Europa dell’Era Glaciale. Se disperdi il calore in fretta, è meno probabile che tu possa sudare. Credetemi: quando fuori fa un freddo cane, se avete il sudore che vi si ghiaccia addosso avete un problema! La scuola ha il compito di educare. Educare significa far venire alla luce qualcosa che è nascosto. Ognuno nasconde il suo tesoro in un luogo diverso. Per questo non può esistere una scuola che si prefigge di uniformare i bambini. Quello che funziona per me non funziona per te, addirittura può essere controproducente. Qualsiasi scienziato vi spiegherà che alla base della vita si pone il concetto di diversità. La diversità degli individui di un gruppo è la sola strategia possibile per allontanare la fine. E’ solo attraverso il continuo sacrificio del diverso che la vita trova nuovi sentieri da battere. La diversità è un valore cui dedicare tutta la nostra attenzione. Ci sono bambini con Bisogni Educativi Speciali. Non devono essere isolati, ma integrati. Educare la società all’integrazione significa iniziare dai nostri figli, insegnando loro a vivere in una realtà variegata e multicolore. Quando saranno cresciuti, sapranno rispettare tutti i modi in cui si esprime la vita. Anche se faranno i fotografi per conto della Disney al Carrefour di Assago.” Il messaggio è che normale non implica giusto. PONTIGGIA (nati due volte: perché il papà si trova a dover ricominciare a vivere per il figlio) “Chi è normale? Nessuno. Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non esiste. Il lessico che la riguarda diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico. Si usano, nel linguaggio orale, i segni di quello scritto: "I normali, tra virgolette". Oppure: "I cosiddetti normali". La normalità - sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversità - rivela incrinature, crepe, deficienze, ritardi funzionali, intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile dalla finestra. Si finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo. non è negando le differenze che lo si combatte, ma modificando l'immagine della norma. Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde "razza umana", non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. È questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza.” Non è negando le differenze che si combatte ma modificare l’immagine della norma. BOMPREZZI (dedica un capitolo all’elogio della normalità) “Anche non volendo, fra barba, pancia e carrozzina, la gente (tranne i bambini) nota subito la carrozzina. E vengo catalogato, etichettato, inserito in un "insieme". Faccio parte della tribù dei "portatori di handicap". "Disabili" lo diciamo tra di noi, iniziati, addetti ai lavori, persone fini ed educate. [..] (La gente) Adesso ha appena recepito il messaggio lanciato nel 1992, quando la legge quadro parlava appunto di portatori di handicap, per difenderne e tutelarne i diritti fondamentali. Forse è per questo che io ho anche la tessera del Wwf, mi sento una specie protetta, anche se non in via di estinzione. [..] Io sono ciò che sembro. Io appaio per ciò che si vede, e vengo rappresentato dai simboli che porto sempre con me, e non sono soltanto la barba e la pancia, ma anzi, sono soprattutto i simboli della disabilità, le ruote, le rotelle, i raggi, i cerchioni, i manubri. La parte per il tutto. Io sono la mia carrozzina. [..] (La normalità) quella cosa che non c'è e che tutti, ma proprio tutti, credono di rappresentare e di vivere. [..]Nessuno infatti, a parole, ammette che sia giusto ritenere "diverso" di per sé un uomo perché ha una caratterizzazione fisica, o perfino mentale. L'etica imperante è quella dei buoni sentimenti, della condivisione, della serena comprensione. Peccato che parte sempre da uno che si sente più normale di me, che mi accetta nel suo mondo, nei suoi valori, nella sua scala di compatibilità ambientale. Tutti sono convinti di essere normali e che dunque vada tutelata e protetta la "diversità", ossia le minoranze. [..]Per fortuna che esistono le diversità e le minoranze, perché questo consente ai migliori e ai più sagaci di dimostrarsi tali, ossia portatori di condiscendente larghezza di vedute, e disponibilità ad aiutare, a comprendere a solidarizzare. Che senso ha difendere il mio diritto a una banale, stupida, deplorevole, normalità? Ha un senso preciso, che nasce dall' evidenza delle cose. Se finalmente davvero io venissi considerato "normale", ossia una persona qualsiasi, più o meno intelligente, più o meno bella, più o meno ricca, ma comunque banalmente normale, questo significa che finalmente non sarei valutato e "segnato" per quel simbolo vivente che mi porto appresso. Normalità non significa identità. Non vuol dire omologazione su misure standardizzate. E' l'esatto contrario, è la constatazione che nel nostro orizzonte di umani è normale, essere ognuno a modo suo, senza etichette, senza definizioni ulteriori. […] La massima sensazione di normalità la provo quando uso la carta di credito.” La normalità è quella cosa che non c’è ma che tutti pensano di vivere. Normalità non significa identità e omologazione. Nel nostro orizzonte è normale essere ognuno a modo suo senza etichette. Le parole più adeguate a riferirsi a una persona che hanno disabilità: v handicap: hand-in-cap, letteralmente “mano nel berretto” (affare concluso), un gioco d’azzardo che consisteva nell’estrarre monete da un cappello. Successivamente viene utilizzato per scommettere durante le corse ippiche. Più recentemente veniva utilizzato nelle competizioni sportive per pareggiare gli svantaggi (questo perché handicap veniva usato verso la persona che aveva di più e fare in modo che si potessero pareggiare i conti). A partire dagli anni 60 è stato utilizzato per descrivere le difficoltà che una persona incontrava nella propria vita e quindi per anni il termine handicappato è andato a indicare chi era svantaggiato. Il termine, quindi, indica proprio la persona disabile è un termine pietistico. Negli anni ‘60 l’idea di handicappato ha portato alla creazione di servizi segregativi ed emarginanti ideati per le persone disabili. La relazione con le persone handicappate c’è sempre stata con una differenza tra chi educa e chi soffre e riceve. v disabilità: dis + abile. Il dis lessicalmente posto davanti a un nome ha una valenza negativa. C’è sempre un legame oppositivo tra chi aiuta e chi riceve. Riflette un aspetto clinico e diagnostico che non pone l’attenzione alle deficienze con l’ambiente ma si concentra sulle deficienze della persona. È legata a una classificazione del 1980 elaborata dall’OMS con il nome ICIDH, “classificazione internazionale dei danni della disabilità e handicap”. L’OMS fa una distinzione tra danno, disabilità e handicap. - Nell’ICIDH il termine handicap viene definito come la condizione di svantaggio vissuta da una persona a causa della disabilità che è determinata da una menomazione. Si comincia a riflettere sul fatto che la disabilità è originata da una menomazione ma non coincide con l’handicap. Anche se l’OMS pensa di far chiarezza, in realtà fa ancora più confusione. v diversamente abile: in ambito accademico non è condiviso l’utilizzo di questo termine che è stato coniato nel 2003, anno europeo delle persone con disabilità. Claudio Imprudente conia questo termine “diversabilità” per ri-cercare di affermare la disabilità e allo stesso tempo diversità e abilità. Egli voleva agire a livello di cultura cercando di modificare la logica nei confronti della diversità: diversabilità sembra una parola positiva, ci porta a vedere l’altra persona in maniera differente e ponendo l’accento sulle diverse abilità. Questo termine coincide con un momento storico particolare: nel 2001 viene pubblicato l’ICF. Sono anni in cui si sta cambiando l’approccio nei confronti della differenza e si comincia a conoscere l’ICF, ad utilizzarlo e i concetti che fanno da sfondo iniziano ad avere una forte valenza. Il termine coniato da Imprudente viene fortemente criticato da: - Matilde Leonardi, la studiosa che ha partecipato alla stesura dell'ICF, - ma anche da persone disabili che non riconoscono la "potenzialità" di questo nuovo termine, che viene usato in maniera irresponsabile che non aggiunge niente al dibattito ma aggiunge un significato discriminatorio (disabilità come diversa abilità). L'ICF, invece, voleva fare in modo che si vengano a creare delle situazioni in cui siamo tutte persone, dove non si guarda al deficit ma si guarda prima di tutto alla persona nella sua globalità e la disabilità si incontra quando una condizione di salute incontra un ambiente sfavorevole. v persona con disabilità: un nuovo punto di partenza. Le parole che hanno dato avvio a questa nuova espressione sono funzionamento e salute, parole chiave dell’ICF che cambia il modo di pensare alla disabilità. Disabilità = il risultato di una complessa relazione tra lo stato di salute di una persona e i fattori ambientali e personali che rappresentano il contesto in cui la persona vive. Disabilità diventa una parola con connotazione neutra, centrata sulle capacità residue della persona, oltre a quelle mancanti. La disabilità sarà una delle prospettive dell’ICF la quale afferma che non è una condizione di salute ma una condizione ordinaria di ciascuno di noi. La persona non è disabile ma può avere o sperimentare disabilità. È il passaggio dall’essere all’avere, si è cambiato l’approccio, la presa in carico della persona. Si passa da un approccio medico a un approccio sociale basato sui diritti umani. Si ripensa al linguaggio, si comincia a parlare di autodeterminazione, di non discriminazione, di società inclusiva. Ecco che la relazione tra la condizione di salute e l’ambiente sfavorevole rimette al centro la persona. Noi tutti professionisti dobbiamo cercare di pensare alla qualità di vita della persona e non solo quella che si pensa di dovergli attribuire. 29/11/2023 ICF (INTERNATIONAL CLASSIFICATION OF FUNCTIONING, DISABILITY AND HEALTH) a) La prima classificazione che l’OMS mette a punto è del 1893 ed è la classificazione delle cause di morte (ICD). b) Nel 1946 aggiorna la classificazione delle malattie (ICD) per poi arrivare al 1992 con ICD-10. c) Nel 1980 c’è una classificazione dei danni, della disabilità e dell’handicap (ICDH). d) Dl 1980 l’OMS lavorerà a classificazioni successive fino ad arrivare nel 1999 alla cosiddetta ICDH bozza beta 2 che corrisponde all’ICF del 2001. e) Nel 2007 è stata fatta una classificazione apposita per i bambini e ragazzi (ICF-CY). Oggi noi stiamo utilizzando l’ICD 10, “classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati alla salute” che è il modello eziologico, cioè quella classificazione attraverso la quale viene fatta la diagnosi delle condizioni di salute degli adulti. In parallelo, si utilizza l’ICF, classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute che rappresenta il modello funzionale. icf-10: adulti icf-cy: bambini Perché arriviamo all’ICF? A partire dalla seconda metà del secolo scorso, l’OMS elabora una serie di strumenti di classificazione perché vuole iniziare ad analizzare e ad osservare le patologie che potevano essere organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni. Vuole osservare e analizzare le patologie delle popolazioni perché vuole migliorare la diagnosi di queste patologie. Inizialmente lo fa con questo scopo e quindi mette a punto la “classificazione internazionale delle malattie” che risponde all’esigenza di cogliere le cause delle patologie. Per ogni disturbo, la classificazione fa una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e delle indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea come una classificazione causale perché pone l’accento sul modello eziologico, sulla causa della patologia e l’OMS cerca di tradurre le diverse malattie in codici numerici per memorizzarli facilmente. Questo primo modello dell’OMS è eziologico: la causa porta a una patologia che a sua volta porta a una manifestazione clinica. eziologico: L’OMS vede che l’ICD mostra dei limiti di applicazione e quindi cerca di elaborare un nuovo manuale di classificazione che deve essere in grado di focalizzare l’attenzione non tanto sulle patologie ma sulle loro conseguenze. Ecco che, nel 1980 viene elabora ICDH (classificazione internazionale delle menomazioni, della disabilità e degli handicap). Con l’ICDH si comincia a porre attenzione all’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICDH non si parte più dal concetto di malattia intesa con menomazione ma dal concetto di salute: come benessere fisico, mentale, sociale, relazionale; si comincia, quindi, a guardare la persona nella sua globalità attraverso la relazione con il suo ambiente di vita. 1994-2001 L’OMS nel 1980 afferma che è importante utilizzare l’ICD-10 ma allo stesso tempo dobbiamo utilizzare l’ICDH in modo complementare (ICD10+ICDH) perché dobbiamo favorire l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute del soggetto in una prospettiva più ampia. àbisogna usare entrambi I dati eziologici, quindi le cause devono essere integrate dall’analisi: icd10 - dell’impatto che quella patologia ha sull’individuo e icdh - dall’impatto che quella patologia ha sul contesto ambientale in cui l’individuo si trova a vivere. ICDH è composta da tre elementi: - menomazione à il danno organico/funzionale; - disabilità à la disabilità è la perdita di capacità operative che subentrano nel soggetto a causa della menomazione; - handicap (tradotto come svantaggio)àdifficoltà che l’individuo incontra in relazione con l’ambiente a causa della menomazione. La presenza di limiti concettuali dell’ICDH porta l’OMS a elaborare un ulteriore strumento che è la classificazione internazionale del funzionamento e delle disabilità nel 1999 (ICDH-2), che è l’embrione dell’ICF del 2001. Nel 2001 l’OMS perviene alla stesura di uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale, l’ICF. Alla stesura partecipano 192 paesi, tra cui l’Italia. ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (ambito familiare, sociale, lavorativo…) con l’obiettivo di cogliere le difficoltà che nel contesto socioculturale di riferimento possono causare una disabilità (limitazione nell’attività o restrizione alla partecipazione). Tramite l’ICF non si vogliono descrivere le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale. Si vuole sottolineare come l’individuo non sia una persona che abbia una malattia, ma guarda la persona nella sua globalità e alla sua unicità. L’ICF descrive le situazioni adottando un linguaggio standard e unificato per evitare i fraintendimenti semantici e per consentire la facilitazione della comunicazione in tutto il mondo. Quali sono gli aspei innovativi di questa classificazione? Il primo emerge già dal titolo, a differenza delle precedenti classificazioni a cui veniva dato ampio spazio alle malattie delle persone, questa classificazione utilizza termini che guardano la salute delle persone in maniera positiva (elementi chiave: funzionamento e salute). L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute delle persone ponendo attenzione alla correlazione tra salute e ambiente e arriva a dare una definizione di disabilità intesa come condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Il concetto di disabilità introduce altri elementi che evidenziano la valenza innovativa di questa classificazione: 1. L’applicazione universale (UNIVERSALISMO): emerge nella misura in cui la disabilità non viene più considerata un problema di un gruppo minoritario di persone in una comunità. Nel momento in cui si comprendere che la disabilità non è un problema di un gruppo minoritario in un contesto di vita, comprendo che è invece un’esperienza che tutti possono sperimentare. àmodello di disabilità universale applicato a qualsiasi persona. 2. L’approccio integrato della classificazione si esprime tramite l’analisi dettagliata di tutte le dimensioni esistenziali dell’individuo che vengono poste sullo stesso piano senza distinzioni sulle possibili cause. 3. Il modello multidimensionale del funzionamento e della disabilità pone il concetto di disabilità che vuole evidenziare non i deficit e gli handicap, ma vuole essere uno strumento inserito in un continuum multidimensionale, cioè ognuno di noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e questo può causare una disabilità. L’ICF diventa un classificatore della salute prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità. L’ICF correlando le condizioni di salute con l’ambiente, promuove un metodo di misurazione della salute e delle capacità e delle difficoltà nella realizzazione di attività che ci permette di individuare gli ostacoli da rimuovere o gli interventi che possiamo fare in modo che la persona possa raggiungere il massimo della sua autorealizzazione. FUNZIONAMENTO: L’ICF ha organizzato le informazioni secondo tre dimensioni: Risponde alle funzioni e strutture corporee. Funzione corporee = funzioni fisiologiche dei diversi sistemi corporei, comprese le DIMENSIONE funzioni psicologiche. CORPOREA Esse possono potare a una menomazione, cioè a una perdita rispetto a una struttura o funzione corporea, comprese le funzioni mentali. Riguarda l’attività, cioè l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo (prospettiva individuale del funzionamento). DIMENSIONE La persona può sperimentare una limitazione nello svolgimento di un’attività: le PERSONALE difficoltà che la persona incontra nello svolgere un’attività. Riguarda la partecipazione, cioè il coinvolgimento in una situazione di vita. Le persone possono incontrare dei problemi nell’essere coinvolte nelle situazioni di vita quotidiana, quindi la presenza in una restrizione nella partecipazione, viene individuata paragonando la partecipazione che una persona con quella condizione DIMENSIONE di salute sperimenta rispetto a chi invece nella stessa situazione di vita senza SOCIALE quella condizione di vita può avere. Quindi si paragona la partecipazione dell’individuo con quella che ci si aspetta da una persona che non ha quella condizione di salute nella stessa cultura e nello stesso contesto sociale. La parola partecipazione, quindi, sostituisce la parola handicap. Cosa va incidere sulla prospettiva individuale e sociale del funzionamento? I faori contestuali che sono quelli ambientali e personali: 1. Fattori ambientali sono classificati e sono tutti quegli aspetti del mondo esterno che vano a formare il contesto di vita della persona, che hanno un impatto sul funzionamento della persona, funzionamento individuale e sociale. Esempio: ambiente fisico, atteggiamenti, valori del contesto di vita della persona, politiche, servizi che vengono pensati, i sistemi sociali e leggi. 2. Fattori personali non sono classificati perché sono individuali/dipendono dal soggetto e quindi riguardano il sesso, l’età, la classe sociale, le esperienze di vita, il carattere, modelli di comportamento. Tutti questi fattori personali possono avere un ruolo fondamentale nella disabilità in qualsiasi livelli. Dunque, l’ICF dovrebbe proprio aiutarci a cambiare questo nostro modo di guardare alla persona che sperimenta una condizione di salute sfavorevole perché l'ambiente non è accogliente. PAROLE CHIAVE DELL’ICF? o fattori - FUNZIONAMENTO: un termine ombrello che va a d individuare le funzioni corporee, le attività e la partecipazione e va ad indicare gli aspetti positivi dell’interazione tra una persona con una condizione di salute e i fattori contestuali (personali e ambientali). - DISABILITA’: fa riferimento alle menomazioni, alle limitazioni delle attività e alle restrizioni della partecipazione. Si vanno a indicare gli aspetti negativi dell’interazione tra una persona con una condizione di salute e i fattori contestuali (ambientali e personali). Riguarda il coinvolgimento nelle attività della vita quotidiana. Le persone possono avere difficoltà a partecipare a queste attività a causa delle loro dimensione condizioni di salute. Per capire se c'è una restrizione nella partecipazione, si sociale: confronta la partecipazione della persona con quella di chi non ha la stessa condizione di salute, ma vive nella stessa cultura e nello stesso contesto sociale. In pratica, si vede se la persona con la condizione di salute riesce a fare le stesse cose che fa una persona senza quella condizione. La parola " partecipazione" viene usata al posto di "handicap" Esempi che ci sono all’interno dell’ICF: ü Una menomazione che non porta a limitazioni nella capacità né a restrizione nella partecipazione: un bambino nasce privo di un’unghia in una mano. Questa malformazione è una menomazione strutturale, ma non interferisce con la funzionalità della mano né con le azioni che il bambino può compiere con essa, pertanto, non sono ravvisabili limitazioni nella capacità. Allo stesso modo, può non verificarsi un problema di partecipazione sociale – come, ad esempio, subire derisioni o essere esclusi dal gioco con gli altri bambini – a causa di questa malformazione. Il bambino, quindi, non ha limitazioni di capacità o problemi nella partecipazione. ü Una menomazione che non porta a limitazioni nella capacità ma provoca problemi di partecipazione: un bambino diabetico ha una menomazione funzionale: il pancreas non produce insulina. Il diabete può essere controllato con la somministrazione di farmaci (cioè, di insulina). Quando le funzioni corporee (i livelli di insulina) sono sotto controllo, alla menomazione non viene associata alcuna limitazione della capacità. Tuttavia, il bambino diabetico può sperimentare un problema di partecipazione nel socializzare con amici o compagni in situazioni che coinvolgono la sfera dell’alimentazione, dato che dovrà limitarsi nell’assunzione di zuccheri. L’assenza di cibo adatto a lui può creare una barriera alla piena partecipazione sociale. Per questa ragione il bambino non riuscirà a socializzare a pieno nell’ambiente attuale, a meno che non vengano presi dei provvedimenti per assicurare che gli venga fornito cibo appropriato, nonostante l’assenza di limitazioni nella capacità. ü Una menomazione che porta a limitazioni nella capacità e, a seconda delle circostanze, può produrre o no problemi di partecipazione: una variazione significativa nello sviluppo intellettivo rappresenta una menomazione mentale (ritardo), che può portare a una certa limitazione in varie capacità della persona. I fattori ambientali, tuttavia, possono influire sul grado di partecipazione dell’individuo in diverse sfere di vita. Ad esempio, un bambino con una menomazione mentale potrebbe sperimentare uno svantaggio ridotto in un ambiente in cui le aspettative non sono elevate per tutta la popolazione in generale e in cui viene dato al bambino un insieme di semplici compiti da portare a termine. In questo ambiente il bambino avrà buone performance in diverse situazioni di vita (cioè, avrà buona partecipazione sociale). Un bambino con una menomazione simile, che cresce invece in un ambiente competitivo e con aspettative di rendimento scolastico elevate e rigide, potrebbe sperimentare maggiori problemi di partecipazione in varie situazioni di vita rispetto al bambino la cui condizione è stata esaminata precedentemente. Qualsiasi persona può sperimentare una condizione di disabilità se incontra un ambiente sfavorevole. - Funzionamento: prospettiva positiva - Disabilità: prospettiva negativa 3 dicembre: giornata internazionale della persona con disabilità 4/12/2023 CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’ - Essa rappresenta il primo accordo sui diritti umani del ventesimo secolo; - È composta da 50 articoli; - È stata discussa e completata in 9 sessioni e in cinque anni di lavoro; - La convenzione prevede il coinvolgimento di 192 paesi; - Essa riguarda più di 650 milioni di persone al mondo; - È stata approvata dal Comitato ad hoc dell’ONU il 25 agosto 2006 e dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 dicembre 2006; - Il 30 marzo 2007 è stata firmata dai rappresentanti di 73 paesi, tra cui l’Italia - È entrata in vigore il 3 maggio 2008 dopo la ratifica da parte di 20 paesi del mondo (ratificata dall’Italia con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009) In questa convenzione ci sono sia articoli sui bambini ma anche sulla famiglia, e sottostante vediamo l’art.3 della Convenzione che detta i principi fondamentali della stessa: L’art.8 della Convenzione riguarda il fatto che ciascuno di noi può cercare di fare in modo di accrescere la consapevolezza sulla disabilità. Grazie a questa convenzione si è arrivati a quella che è il termine da utilizzare attualmente in riferimento all’individuo disabile: PERSONA CON DISABILITÀ = per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura (barriere sociali ad esempio) HANDICAP PERSONE CON DISABILITA’ possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri (ONU, Convenzione Internazionale sui diritti della persona con disabilità, 2006). Il sistema italiano ha pensato di aggiungere altri acronimi, tra cui: - BES (bisogni educativi speciali) - DSA (disturbi specifici dell’apprendimento). Prima bisogna vedere la persona e poi il suo deficit, non il contrario. Il “progetto consideraMi, verso una società inclusiva per bambini e adolescenti con disabilità” declina la teoria nella pratica, entra nell’operatività. Questo progetto fu sottoscritto da associazioni e cooperazioni del territorio creando una rete. I BES (Bisogni Educativi Speciali) sono difficoltà evolutive, BES (BISOGNO EDUCATIVO SPECIALE) permanenti o transitorie, che richiedono supporti e strategie personalizzate per garantire l'inclusione e il successo scolastico. = una qualsiasi difficoltà evolutiva, permanente o transitoria, in ambito educativo e/o di apprendimento, espressa in un funzionamento problematico (D. Ianes, 2005). Con una direttiva del 2012 il Miur ha definito il bisogno educativo speciale. L’OMS nel 2011 nel cosiddetto World report on disability definisce I BES: “Includes children with other needs – for example, through disadvantages resulting from gender, ethnicity, poverty, learning difficulties, or disability – related to their difficulty to learn or access education compared with other children of the same age. In high- income countries this category can also include children identified as “gifted and talented”. Also referred to as special needs education and special education needs” (OMS, World report on disability, 2011) Si fa riferimento anche a persone superdotate. Da un lato i BES possono essere dovuti sia a problematiche interne alla persona ma possono collocarsi anche in riferimento all’ambiente, e dall’altra parte anche coloro che sono talentuosi e superdotati sono inclusi in questa “categoria”. Sono ragazzi che a scuola si annoiano e non ricevono le giuste attenzioni, vengono presi in giro dagli stessi compagni. Coloro che possono avere un disturbo speciale sono le persone con disagio socioculturale, persone che hanno disturbi specifici dell’apprendimento non ancora certificato e persone che vivono svantaggi socioeconomici. Per questi soggetti è necessario attuare un piano didattico individualizzato. > La legge 104 del 1992 prevede che coloro che hanno uno o più BES abbiano un piano educativo personalizzato. Per quanto concerne i DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), essi sono: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Per coloro che hanno uno o più DSA, è previsto il piano didattico individualizzato. Saranno gli insegnanti a fare il piano specifico di apprendimento. Qualora le persone con questo disturbo non siano ancora state diagnosticate in realtà hanno diritto al PDP (Piano Didattico Personalizzato). Gli step che sono stati attraversati negli anni in riferimento alle persone con disabilità: Si passa dalla medicalizzazione, dove si guarda al deficit del soggetto (malattia sociale) all’inserimento. 1. INSERIMENTO: a cominciare dagli anni ’70 vengono inserite all’interno delle classi normali persone con disabilità ma Andrea Canevaro, fondatore della pedagogia speciale in Italia, afferma “tutti insieme confusamente” (mettere le persone con disabilità accanto alle altre). Questo è avvenuto in ambito scolastico, il documento Falcucci del 75 ha portato nel 77 alla prima legge sull’inserimento scolastico. Si passa dall’esclusione all’inserimento, da ghetti e ambienti segregati al mettere insieme. I DSA (Disturbi Specifici dell'Apprendimento) sono difficoltà che riguardano specifiche abilità scolastiche, come la lettura, la scrittura e il calcolo. Questi disturbi includono dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Gli studenti con DSA necessitano di strategie e supporti personalizzati per favorire il loro apprendimento e il successo scolastico. Assicurare a tutti l’educazione all’apprendimento è difficile perché non si considerano i bisogni specifici di ogni individuo. La didattica si basa su ciò che c’è, non su ciò che manca, concentrandosi sulle potenzialità e cercando di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo della persona. 2. INTEGRAZIONE: in questo periodo si ponevano tutte le persone sia quelle con disabilità che quelle senza all’interno della medesima classe ma non per cercare di perseguire una presunta normalità ma si cerca di mettere le persone insieme per sviluppare le proprie potenzialità e quindi togliere tutti gli ostacoli che impediscono lo sviluppo di tutte le persone. “separati per categorie” > assicurare a tutti l’educazione all’apprendimento ma si fa fatica a considerare il singolo con i suoi specifici bisogni. Si fonda la didattica su ciò che c’è e non su ciò che manca, si fa attenzione alle potenzialità e si cerca di rimuovere gli ostacoli dallo sviluppo della persona. 3. INCLUSIONE: Slogan-“domani nella comunità sociale”, inclusione come processo che è partito negli anni 2000 e mai concluso. A tal proposito l’UNESCO parla di inclusione come un processo che risponde alle diversità (differiences) di tutti coloro che apprendono e stila un manifesto della pedagogia inclusiva secondo il quale tutti i bambini possono imparare, tutti sono differenti, la differenza è un punto di forza e l’apprendimento si intensifica con la cooperazione tra famiglia, educatori e società. § DIVERSITA’: o questo o quello § DIFFERENZA: guarda a più opzioni Oltre all’UNESCO, nel 2001 l’OMS ha redatto l’ICF, cioè “Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute”. ICF è l’espressione di un approccio inclusivo alla disabilità perché è il risultato delle interazioni tra le condizioni di salute e i fattori ambientali. Quindi qualsiasi persona può sperimentare una condizione di salute che, se incontra un contesto sfavorevole può diventare una disabilità, ecco perché dovremmo creare contesti inclusivi. L’obiettivo della Pedagogia speciale è creare contesti inclusivi, partendo dall’inserimento per arrivare all’inclusione indipendente dal deficit o dalla difficoltà che si presenta. Il passaggio dall’integrazione all’inclusione si realizza e diventa autentica nel momento in cui è accompagnata da quello che Ferdinando Montuschi chiama PENSARE SPECIALE. Modo di pensare che guida e favorisce l’elaborazione di un progetto di vita personalizzato, un modo di pensare che vede le strategie e le metodologie pensate per le persone con disabilità come risorse da utilizzare per l’educazione e l’apprendimento di TUTTI. CURA E RELAZIONE DI AIUTO Le relazioni sono educative quando c’è intenzionalità. È la relazione educativa che può diventare relazione di aiuto e “avere cura” Non tutte le relazioni sono educative. Come educatori siamo chiamati ad avere cura dei nostri educandi. La cura, per i greci e latini, indicava la sollecitudine nei confronti dell’altra persona. Poi ha preso un’accezione per lo più medica, senza preoccuparsi di guardare al processo. La cura non ha guardato più all’incontro con l’altra persona e al contesto in cui si svolgeva l’incontro, ma l’attenzione era posta ai medicamenti, con lo scopo di arrivare alla guarigione. Heidegger ha descritto la cura come relazione di prossimità e di incontro con l’altra persona. Egli, afferma che, quando la relazione è con le cose, si dovrebbe parlare di prendersi cura; quando invece, la cura è con le altre persone si dovrebbe parlare di avere cura. Secondo Heidegger ci sono due modalità estreme: - Modalità difettive - Modalità autentiche Le prime possono essere chiamate modalità difettive dell’aver cura. Rispetto alle modalità difettive sostiene che le assumiamo quando solleviamo gli altri dalla cura, sostituendoci a loro: facciamo noi al loro posto (sostituirsi dominando). Le altre persone ricevono da parte nostra, ciò di cui hanno bisogno. È un modello di cura violento, perché l’altra persona viene degradata e si nega l’alterità di quella persona, che non viene riconosciuta come tale, viene visto come cosa e oggetto manipolabile. Con questa modalità gli altri diventano dipendenti e dominanti, estrometto l’altro, lo rendo dipendente a me e la pratica diventa violenta (“lo faccio per te”, “lo faccio per il tuo bene”, chiudendosi in situazioni stagnanti e simbiotiche). Questa modalità riguarda l’eterno presente, e porta a trattare l’altro come una cosa. Le seconde sono chiamate modalità autentiche dell’aver cura. Queste modalità presuppongono gli altri nel loro poter essere, quindi io cerco di far sì che la persona possa prendere parte al proprio progetto esistenziale (anticipare liberando). Si vede un soggetto in grado di partecipare al progetto di cura, una persona quindi in grado di aver cura di sé. Questa dimensione apre al futuro, perché si parla di progettualità educativa che evolve in autoeducazione, si fa sì che l’altra persona sia protagonista del proprio progetto di cura. Queste modalità autentiche richiedono un grosso autocontrollo perché le modalità autentiche possono sempre trasformarsi nel prendere cura. La relazione di aiuto, in situazioni problematiche, si attua attraverso la sollecitudine e la preoccupazione, si deve focalizzare sul singolo e anche sul contesto e deve partire stando presso l’altro. La cura ha dei limiti spaziali e temporali, così da non creare dei legami troppi stretti e vincolanti. 6/12/2023 Il bambino deve essere pensato nel mondo dei grandi da parte dei genitori e da parte di noi educatori. Se non lo inseriamo nel mondo dei grandi lo vediamo come un bambino da proteggere per tutta la vita. Le persone con disabilità nei centri diurni vengono chiamati “ragazzi” evidenziando quindi la difficoltà nel farla crescere. Si tende a proporre solo terapie alla persona con disabilità perché consideriamo questa persona come una persona da curare in senso medico. Ma in realtà la persona con disabilità potrebbe avere piacere di andare a cavallo anche non solo per l’ippoterapia. La relazione di cura si focalizza su: - Singolo - contesto in cui la persona vive per avviare una integrazione proficua. Il primo approccio alla cura in senso educativo si concretizza stando presso l’altro e anticipando liberando. Il lavoro di cura richiede introspezione e auto riflessività. CRITERI Alcuni criteri che dovrebbero aiutare a declinare la relazione di cura: 1. Il primo criterio: “chi aiuta non può approfittare del bisogno di aiuto dell’altro”. Bisogna fare attenzione a non usare quanto viene detto per un saccheggio nei confronti della persona, per evitare di infierire sulla persona. Come educatori abbiamo il compito di aiutare le famiglie alle spinte emancipative (muoversi autonomamente), bisogna proteggere i genitori e fare in modo che si sentano al sicuro a confidarsi con noi. 2. Il secondo criterio “chi aiuta è tenuto a sospendere il giudizio sull’altro”. Questo criterio non dice che dobbiamo eliminare i nostri giudizi (ognuno di noi ha un proprio percorso di vita e si è costruito delle proprie idee) ma se si vuole incontrare l’altra persona, bisogna sospendere il proprio giudizio per far sì che l’altro non si senta minacciato e possa essere incontrato così com’è per mettere a punto una propria progettualità. Un approccio incentrato sul giudizio non permette di vedere la persona. Se riusciamo a sospendere il giudizio, dovremmo essere in grado di vedere un “poter essere” ad altri non manifesto, quindi riusciamo a individuare quella risorsa da cui partire per stendere il progetto educativo. Questo criterio dice di incontrare la persona. 3. Il terzo criterio “nessuno viene sconfitto”. Questo perché ciascuno deve avere la sua parte di ragione, questo vale molto nell’ambito di disabilità: questo perché spesso ciascuno ritiene che il proprio metodo (come, ad esempio, la comunicazione facilitata dove la persona con disabilità viene accompagnata nella scrittura al computer per poter comunicare con gli altri quello che non riesce a dire a voce. Ci sono idee distinte sull’adeguatezza di questo metodo per questo non devo mai fermarmi ad una sola realtà) sia il metodo migliore, in realtà noi dobbiamo conoscere più approcci possibili per poi declinare quello migliore e più adeguato alla persona che ho di fronte. La famiglia conosce meglio di qualsiasi altro proprio figlio. aperti a tutti i tipi di metodologie 4. Il quarto criterio “chi viene aiutato può (deve) misurarsi nel ruolo di aiutante”. Chi viene aiutato può aiutare a sua volta perché in questo modo si evita di perpetuare la relazione di aiuto, quindi di dipendenza. La reciprocità viene colta molto nella relazione tra Itard e Victor, Victor restituisce sempre qualcosa a Itard e sarà molto spesso lui stesso ad aiutare Itard nei suoi interventi educativi. 5. Il quinto criterio “un aiuto offerto non può essere né diventare l’aiuto: esistono gli aiuti”. Questo perché, se non ci convinciamo di questo criterio, si rischia di evitare il confronto con le altre persone. Esistono gli aiuti riferiti a contesti specifici e avviati attraverso il lavoro di équipe (confrontarsi dei diversi operatori). Questo criterio dovrebbe evitare l’onnipotenza di chi aiuta, esistono gli aiuti e non l’aiuto con la A maiuscola. gli aiuti arrivano da tutta un equipe 6. Il sesto criterio “chi aiuta intravede nell’altro un’identità multiforme: credere per vedere”. Chi aiuta deve andare oltre l’identità della persona; bisogna credere per vedere, nel senso che con fiducia e attesa bisogna accettare la sfida educativa. Altrimenti si rischia di vedere solo che già conosciamo o che risulta familiare. Bisognerebbe cercare di promuovere le relazioni interpersonali, che mettano in luce le molteplici identità della persona, quindi alla sua identità multiforme. Quello che pensiamo per la persona deve sempre attuarsi rispetto alla storia della persona, deve essere specifica della realtà nella quale si trova il soggetto. vedere di più l' educabilità Cosa vuol dire vedere una identità multiforme di fronte ad un traumatizzato cranico? Guardo tutte le dimensioni dell’identità della persona. Non bisogna incasellare la persona che ho di fronte all’interno di una specifica identità. 7. Il settimo criterio “la relazione di aiuto si muove con dinamiche di complementarità”. La relazione di aiuto non si deve muovere con dinamiche di assolutezza perché essa è perfezionabile: ci può essere il contributo e il sostegno della persona che necessita del mio aiuto, ecco che chi viene aiutato non è più confinato in una identità passiva (chi necessita di aiuto aiuta a sua volta). È la persona che aiuto che mi dice se sto andando nella direzione giusta. LA RELAZIONE DI AIUTO: - Si attua attraverso l’aver cura dell’altro. - Si svolge rispetto alla singola persona e al contesto che incontriamo. - Richiede un costante stato di vigilanza e una severa auto-osservazione e auto-riflessività - Riguarda momenti specifici dell’età evolutiva ma può riguardare anche situazioni complesse o problematiche. - L’obiettivo è sempre duplice: § offrire un sostegno, § creare una relazione, sempre con l’idea di far crescere la persona. Creare una relazione dovrebbe ridurre l’onnipotenza, che riguarda l’acquisizione del ruolo del salvatore. essa contiene una valenza positiva,, presente nella motivazione a farsi prossimo, ad aiutare, ad occuparsi dell' altro; ed u

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