PARODONTOLOGIA PDF - Anatomia dei Tessuti Parodontali
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Università di Bologna
2023
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Questo documento fornisce un'analisi dell'anatomia dei tessuti parodontali, includendo descrizione del parodonto, sviluppo dei tessuti, funzioni e tipologie di gengiva tra cui gengiva libera, interdentale e aderente. Il documento include anche una parte dedicata all'effetto ferula.
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PARODONTOLOGIA – Od. Riabilitativa 2°semestre 2022/23 ANATOMIA DEI TESSUTI PARODONTALI Il parodonto (o periodonto, da peri = intorno, odontos = dente) comprende una serie di tessuti che circonda...
PARODONTOLOGIA – Od. Riabilitativa 2°semestre 2022/23 ANATOMIA DEI TESSUTI PARODONTALI Il parodonto (o periodonto, da peri = intorno, odontos = dente) comprende una serie di tessuti che circondano e sostengono il dente, rappresentati da: GENGIVA (G) LEGAMENTO PARODONTALE (periodontal ligament, PL) CEMENTO RADICOLARE (root cementum, RC) OSSO ALVEOLARE PROPRIO (alveolar bone proper, ABP); il processo alveolare (AP) che origina dall'osso basale dei mascellari, è costituito dall'osso alveolare e dall'osso alveolare proprio. Il parodonto, chiamato anche "apparato di attacco" o "tessuti di supporto del dente", forma un'unità funzionale, biologica e di sviluppo che va incontro a determinati cambiamenti con l'età ed è soggetta ad alterazioni morfologiche che dipendono da alterazioni funzionali e dell'ambiente orale. Il parodonto svolge tre funzioni principali: 1.Sostegno dell’elemento dentario: il dente verrà articolato con l’osso alveolare e si formerà̀ un’articolazione chiamata gonfosi. 2. Protezione: il parodonto, infatti, attenua le sollecitazioni meccaniche che si sviluppano durante la masticazione, fungendo da cuscinetto durante il carico masticatorio. 3. Difesa dei tessuti profondi: garantendo l’integrità̀ della mucosa masticatoria. Lo sviluppo dei tessuti parodontali avviene durante lo sviluppo e la formazione dei denti. Questo processo inizia precocemente nella vita embrionale con la migrazione di cellule dalla cresta neurale all'interno del primo arco branchiale. Queste sono cellule ancora definite “uncommitted” e formano una banda di ectomesenchima sotto l'epitelio dello stomatodeo, la cavità orale primitiva, il quale libera alcuni fattori che danno inizio alle interazioni tra epitelio ed ectomesenchima. Dopo la formazione della lamina dentale ha inizio una serie di processi (stadio della gemma, stadio del cappuccio, stadio della campana con sviluppo della radice) che portano alla formazione del dente e dei suoi tessuti parodontali, incluso l'osso alveolare proprio. In particolare, dalla papilla dentale (dental pa- pilla, DP) avranno origine la dentina e la polpa, e dal follicolo dentale (dental follicle, DF), si avrà la formazione dei tessuti parodontali di supporto. Lo sviluppo della radice e dei tessuti di supporto parodontali segue quello della corona. Le cellule epiteliali dell'epitelio dentale interno ed esterno (organo dentale) proliferano in direzione apicale formando un doppio strato di cellule chiamato guaina epiteliale radicolare di Hertwig (Hertwig's epithelial root sheath, RS). Gli odontoblasti (OB), che formano la dentina della radice, si differenziano alle cellule ectomesenchimali nella papilla dentale sotto lo stimolo induttivo delle cellule dell'epitelio interno. Durante la formazione della radice si sviluppano i tessuti di sostegno parodontali, tra cui il cemento acellulare. La guaina epiteliale radicolare inizia a "fenestrarsi" e, attraverso queste fenestrazioni, le cellule ectomesenchimali provenienti dal follicolo dentale penetrano e giungono in contatto con la superficie radicolare. A contatto con le proteine dello smalto, le cellule ectomesenchimali si differenziano in cementoblasti e iniziano la formazione della sostanza cementoide. Questa sostanza rappresenta la matrice organica del cemento ed è costituita da sostanza fondamentale e da fibre collagene. La formazione del cemento cellulare, che copre il terzo apicale delle radici dentali, differisce da quella del cemento acellulare perché alcuni cementoblasti vengono inglobati nel cemento. Le restanti parti del parodonto sono formate dalle cellule ectomesenchimali provenienti dal follicolo dentale posto lateralmente al cemento. Alcune di loro si differenziano in fibroblasti parodontali e formano le fibre del legamento parodontale, mentre altre diventano osteoblasti che producono l'osso alveolare proprio nel quale si ancorano le fibre parodontali. “Effetto ferula” L’effetto ferula, come spiegato nel 1987 da Eismann e Radke un necessario requisito per realizzare restauri protesici totali, che consiste nell’abbraccio circonferenziale (a 360°) della corona in zona cervicale per almeno 2 mm apicalmente alla ricostruzione del moncone protesico in materiale composito. Quindi La corona ipoteticamente deve chiudere attorno al dente ma per almeno 2 mm sul tessuto dentale sano, poich quando si utilizza una protesi dentaria si prova ad avere sempre é è un margine ritentivo di almeno 2mm di tessuto dentale sano. L'effetto ferula nella preparazione circonferenziale influenza positivamente la resistenza alla frattura di denti. 1. GENGIVA Anatomia macroscopica: La mucosa orale (membrana mucosa) non ha soluzioni di continuità con la cute delle labbra e con le mucose del palato molle e della faringe. È costituita da: Mucosa MASTICATORIA, comprendente la gengiva e il rivestimento del palato duro; per poter differenziare le diverse tipologie di mucosa masticatoria si prendono in considerazione delle linee immaginarie: GIUNZIONE MUCO-GENGIVALE e SOLCO GENGIVALE LIBERO. Queste due linee evidenziano in senso corono-apicale quattro zone: gengiva interdentale, gengiva libera, gengiva aderente e mucosa alveolare. La mucosa alveolare o libera, di colore rosso scuro, situata in sede apicale rispetto alla giunzione mucogengivale, è scarsamente aderente all'osso sottostante. Mucosa SPECIALIZZATA, che copre il dorso della lingua e dalla parte di mucosa restante, chiamata mucosa di rivestimento. La gengiva è quella parte di mucosa masticatoria che ricopre il processo alveolare e circonda il colletto dei denti. È costituita da uno strato epiteliale e da uno strato sottostante di tessuto connettivo, chiamato lamina propria. La gengiva può essere differenziata in tre parti: 1. Gengiva LIBERA (free gingiva, FG); 2. Gengiva INTERDENTALE; 3. Gengiva ADERENTE (attached gingiva, AG). La gengiva libera è di colore rosa corallo, ha superficie opaca e consistenza compatta. Di essa fanno parte il tessuto gengivale presente sulle superfici vestibolare e linguale o palatale dei denti e la gengiva interdentale che forma le papille interdentali. Sulle facce vestibolare e linguale dei denti, la gengiva libera si estende dal margine gengivale in direzione dell'apice fino al solco gengivale libero, che è situato allo stesso livello della giunzione smalto-cemento (cementoenamel jun-ction, CEJ). La gengiva aderente è delimitata in direzione apicale dalla giunzione mucogengivale (muco-gingival junction, MGJ) da cui continua con la mucosa alveolare o di rivestimento (alveolar mucosa, AM). Il margine gengivale libero è spesso arrotondato ed è delimitata in direzione coronale dal solco gengivale (gingival groove, GG) libero. Ha consistenza compatta e colore rosa corallo, mostrando spesso piccole depressioni superficiali che, rendendo la superficie punteggiata, le conferiscono un aspetto a "buccia d'arancia". Si presenta saldamente fissata all'osso alveolare e al cemento sottostanti per mezzo di fibre connettivali che la rendono praticamente immobile rispetto al tessuto sottostante. La forma della gengiva interdentale (o papilla interdentale) è determinata dai rapporti di contatto fra i denti, dall'ampiezza delle loro superfici interprossimali e dal decorso della giunzione smalto-cemento. Nelle regioni anteriori le papille interdentali hanno forma piramidale, mentre nelle regioni dei denti molari sono più appiattite in direzione buccolinguale. Per presenza delle papille interdentali, il margine gengivale libero decorre sulla dentatura con un andamento festonato più o meno accentuato. Anatomia microscopica: Il tessuto parodontale è costituito da tessuto epiteliale e da tessuto connettivo. La gengiva libera comprende tutte le strutture tissutali epiteliali e connettivali (connective tissue, CT) situate coronalmente a una linea orizzontale che passa a livello della giunzione smalto-cemento (cemento-enamel junction, CEJ). L'epitelio che riveste la gengiva libera può essere differenziato in: ❖ epitelio ORALE (oral epithelium, OF), prospiciente la cavità orale; ❖ epitelio orale SULCULARE (oral sulcular epithelium, OSE), rivolto verso il dente ma non in contatto con la sua superficie; ❖ epitelio GIUNZIONALE (junctional epithelium, JE), attraverso cui si realizza il contatto fra gengiva e dente. Il confine fra l'epitelio orale (OE) e il sottostante tessuto connettivo (CT) ha un decorso ondulato. Le porzioni di tessuto connettivo che si proiettano nell'epitelio sono dette papille connettivali (connective tissue papillae, CTP) e sono separate le une dalle altre da creste epiteliali (epithelial ridges, ER), dette digitazioni epiteliali. Una caratteristica morfologica dell'epitelio orale e di quello sulculare orale è la presenza di digitazioni epiteliali, che sono invece assenti nell'epitelio giunzionale. L'epitelio orale, squamoso, stratificato, cheratinizzato, può essere diviso, sulla base del grado di differenziazione delle cellule che producono cheratina, nei seguenti strati cellulari: o strato basale; o strato delle cellule spinose; o strato delle cellule granulari; o strato delle cellule cheratinizzate. I cheratinociti sono sottoposti a un processo di continua differenziazione nel loro passaggio dallo strato basale alla superficie dell'epitelio. Quindi, una volta che il cheratinocita ha lasciato la membrana ba- sale, non può più dividersi, ma mantiene la capacità di produrre proteine (tonofilamenti e granuli di che- ratoialina). Nello strato granulare il cheratinocita non presenta più l'apparato per la sintesi delle proteine e la produzione di energia (probabilmente per una demolizione degli enzimi) e si trasforma improvvisamente in una cellula piena di cheratina che si desquama dallo strato corneo distaccandosi dalla superficie dell'epitelio. Quando i nuclei cellulari sono assenti negli strati cellulari più esterni questo tipo di epitelio è denominato ortocheratinizzato; spesso, però, le cellule dello strato corneo dell'epitelio della gengiva umana contengono residui dei nuclei. In tal caso l'epitelio è denominato paracheratinizzato. Oltre alle cellule produttrici di cheratina, che comprendono circa il 90% della popolazione cellulare, nell'epitelio orale si rinvengono i seguenti tipi di cellule: o melanociti; o cellule di Langerhans; o cellule di Merkel; o cellule infiammatorie; o cellule “chiare”. La lamina basale (lamina di attacco epiteliale, EAL) giace a stretto contatto con lo smalto attraverso dei sistemi di giunzione emidesmosomiali. Questo epitelio dentogengivale, cioè l’epitelio giunzionale, è in continuità con l’epitelio orale e fornisce stabilità tra dente e gengiva, arrivando ad avere una superficie libera sul fondo del solco gengivale. L'elemento tissutale predominante della gengiva è il connettivo (lamina propria). Componenti principali del tessuto connettivo sono: le FIBRE COLLAGENE (circa il 60% del volume del tessuto connettivo) i FIBROBLASTI (circa il 5%) i VASI e i NERVI (circa il 35%) una sostanza fondamentale amorfa (MATRICE). I diversi tipi di cellule presenti nel tessuto connettivo sono rappresentati da: fibroblasti, mastociti, macrofagi e cellule infiammatorie. I fibroblasti sono le cellule predominanti nel tessuto connettivo (65% della popolazione totale di cellule). Sono responsabili della produzione dei vari tipi di fibre che si trovano nel tessuto connettivo, ma anche di valido supporto alla sintesi della matrice del tessuto connettivo. Le fibre del tessuto connettivo sono prodotte dai fibroblasti e possono essere divise in: ▪ Fibre RETICOLARI, sono numerose nella zona di tessuto adiacente alla membrana basale e nel tessuto connettivo lasso che circonda i vasi sanguigni; sono quindi presenti nell'interfaccia tra epitelio e tessuto connettivo e in quella tra endotelio e tessuto connettivo. ▪ Fibre OSSITALANICHE, sono presenti in scarsa quantità nella gengiva, risultando invece numerose nel legamento parodontale, nel quale hanno un decorso prevalentemente parallelo all'asse lungo del dente. ▪ Fibre ELASTICHE, sono presenti nel tessuto connettivo della gengiva e del legamento parodonta-le soltanto in associazione con i vasi sanguigni. ▪ Fibre COLLAGENE, tendono a unirsi in gruppi di fasci con un orientamento ben distinto. Secondo la loro inserzione e il loro decorso nel contesto del tessuto, i fasci di fibre collagene gengivali possono essere divisi in quattro gruppi. ❖ Fibre circolari (circular fibers, CF): sono quei fasci di fibre che decorrono nella gengiva libera e circondano il dente a guisa di "polsino" o " anello"; ❖ Fibre dentogengivali (dentogingival fibers, DGF): sono contenute nel cemento della porzione sopralveolare della radice e dal cemento si proiettano a ventaglio nel tessuto gengivale libero delle superfici facciali, linguali e interprossimali. ❖ Fibre dentoperiostali (dentoperiosteal fibers, DPF): partono dalla stessa porzione del cemento da cui originano le fibre dentogengivali, ma decorrono apicalmente sopra le creste ossee vestibolari e linguali e terminano nel tessuto della gengiva aderente. Nell'area di confine fra gengiva libera e gengiva aderente l'epitelio manca spesso di un supporto di fasci di fibre collagene sottostanti con orientamento ben definito. In questa area è spesso presente il solco gengivale (gingival groove, GG) libero. ❖ Fibre transettali (trans-septal fibers, TF): visibili a destra nel disegno, si estendono fra il cemento sopralveolare di due denti adiacenti. Le fibre transettali partono dal cemento dei denti adiacenti e decorrono rettilinee attraversando il setto interdentale. La matrice del tessuto connettivo è prodotta principalmente dai fibroblasti, anche se alcuni costituenti sono prodotti dai mastociti e altri derivano dal sangue. Ha un ruolo essenziale nel mantenimento delle normali funzioni del tessuto connettivo, quali il trasporto di acqua, di elettroliti, di fattori nutritivi, di metaboliti…, da e verso le singole cellule connettivali. I principali costituenti della matrice del tessuto connettivo sono macromolecole di carboidrati e proteine. Grazie alla loro struttura e alle proprietà di idratazione, le macromolecole resistono alla deformazione. Agiscono quindi come regolatori della consistenza del tessuto connettivo. Se la gengiva viene compressa, le macromolecole si deformano; quando la pressione viene eliminata, le macromolecole ritornano alla loro forma originale. Le macromolecole sono perciò importanti per le caratteristiche di resilienza della gengiva. 2. LEGAMENTO PARODONTALE Il legamento parodontale è il tessuto connettivo molle, cellulare e riccamente vascolarizzato, che circonda le radici dei denti e congiunge il cemento radicolare con la parete dell'alveolo. Il legamento parodontale permette la distribuzione delle forze che si sviluppano durante la funzione masticatoria e altri contatti tra i denti, e il riassorbimento da parte del processo alveolare, attraverso l'osso alveolare proprio. È anche essenziale per la mobilità dei denti. (La presenza di un legamento parodontale slargato e aumentato di volume, che all’rx appare come un bianco diffuso e una linea nera molto marcata, è patognomonica di un trauma dentale da concussione). In direzione coronale il legamento parodontale prosegue nella lamina propria della gengiva ed è separato da quest'ultima attraverso l'interposizione dei fasci di fibre collagene che collegano la cresta dell'osso alveolare alla radice. Il legamento parodontale è situato nello spazio fra le radici dei denti e la lamina dura (LD) od osso alveolare proprio. L'osso alveolare circonda il dente dall'apice fino a un livello di circa 1 mm apicalmente alla giunzione smalto-cemento (cemento- enamel junction, CEJ). Il bordo coronale dell'osso è chiamato cresta alveolare (bone crest, BC). Lo spazio del legamento parodontale ha la forma di una "clessidra", con la parte più stretta situata circa a metà della radice. L'ampiezza del legamento parodontale è pari a circa 0,25 mm. Il dente è unito all'osso da fasci di fibre collagene che possono essere divisi, in relazione alla loro organizzazione, in quattro gruppi principali: ▪ fibre della cresta alveolare (alveolar crest fibers, ACF); ▪ fibre orizzontali (horizontal fibers, HF); ▪ fibre oblique (oblique fibers, OF); ▪ fibre apicali (apical fibers, APF). 3. CEMENTO RADICOLARE Il cemento è un tessuto calcificato specializzato che ricopre le superfici della radice dei denti; non contiene vasi sanguigni o linfatici, non è innervato, non va incontro al riassorbimento fisiologico e al ri- modellamento, ma è caratterizzato da una continua deposizione nel corso della vita. Come altri tessuti mineralizzati, è costituito da fibre collagene contenute in una matrice organica. Le fibre collagene principali del legamento parodontale (PDL) vanno dalla radice ricoperta dal cemento (C) fino al processo alveolare ricoperto dall'osso alveolare proprio (bundle bone, BB). Le porzioni delle fibre principali del legamento parodontale immerse nel cemento radicolare e nel bundle bone si chiamano fibre di Sharpey. Il contenuto minerale del cemento, principalmente idrossiapatite, corrisponde a circa il 65% del peso. Il cemento svolge varie funzioni: fissa le fibre principali del legamento parodontale alla radice e contribuisce ai processi di riparazione successivi a un danno della superficie radicolare. Sono stati descritti diversi tipi di cemento: cemento acellulare AFIBRILLARE (Acellular afibrillar ce-mentum, AAC), che si trova principalmente a livello della porzione cervicale dello smalto; cemento acellulare A FIBRE ESTRINSECHE (Acellular extrinsic fiber cementum, AEFC) che si si trova nelle porzioni coronale e intermedia della radice e che contiene principalmente fasci di fibre di Sharpey. Questo tipo di cemento rappresenta una parte importante dell'apparato di attacco e connette il dente all'osso alveolare proprio o bundle bone; cemento cellulare A STRATIFICAZIONE MISTA (Cellular mixed stratified cementum, CMSC), che si rileva nel terzo apicale delle radici e nelle forcazioni. Contiene fibre intrinseche ed estrinseche e cementociti; cemento cellulare A FIBRE INTRINSECHE (Cellular intrinsic fiber cementum, CIFC), che si riscontra soprattutto nelle lacune di riassorbimento e contiene fibre intrinseche e cementociti. È mostrata la presenza del cemento acellulare afibrillare (AAC) a livello della giunzione smalto- cemento. Il cemento acellulare afibrillare ricopre piccole porzioni dello smalto cervicale e non contiene cellule né fibre collagene. Può formarsi in macchie isolate sullo smalto o essere contiguo con il cemento acellulare a fibre estrinseche (AEFC). Il cemento acellulare afibrillare si può formare quando l'epitelio ridotto dello smalto recede o si disgrega focalmente in modo che la superficie esposta dello smalto viene in contatto con il tessuto connettivo circostante. 4. OSSO ALVEOLARE Il processo alveolare è quella porzione dell'osso mascellare e della mandibola che forma e sostiene gli alveoli dei denti. Il processo alveolare si estende dall'osso basale e si sviluppa in concomitanza con la formazione e l'eruzione dei denti. Il processo alveolare è costituito da osso formato sia da cellule provenienti dal follicolo dentale, le quali producono osso alveolare proprio sia da cellule indipendenti dal follicolo che, invece, producono osso alveolare. La principale funzione dell’osso è quella di distribuire le forze generate, per esempio, nel corso della masticazione o di altri contatti fra i denti. Esistono due tipologie di osso alveolare: ❖ COMPATTO o CORTICALE ❖ SPUGNOSO o TRABECOLARE Lo scopo biologico dell’osso alveolare viene meno quando si perde l’elemento dentario, ragion per cui in seguito alla sua perdita l’osso alveolare va in atrofia. L’osso che copre le superfici radicolari è considerevolmente più spesso sul versante palatale/linguale rispetto a quello vestibolare. (Un alveolo post-estrattivo si riassorbirà in senso corono-apicale e in senso vestibolo-linguale. La componente linguale/palatale è più rappresentata e residua più a lungo durante il riassorbimento in quanto è più trofica). Dal punto di vista anatomico le pareti degli alveoli (osso alveolare proprio), così come le pareti esterne del processo alveolare sono rivestite da osso compatto (corticale), mentre l'area compresa tra le pareti di osso compatto è occupata da osso spugnoso. Questo occupa la maggior parte dei setti interdentali ma solo una porzione relativamente piccola delle pareti ossee vestibolari e palatali. L'osso spugnoso contiene trabecole ossee la cui architettura e la cui grandezza sono in gran parte determinate geneticamente, mentre solo in parte sono il risultato delle forze a cui i denti sono sottoposti durante la loro funzione. Sulla superficie vestibolare del mascellare e della mandibola, in corrispondenza della porzione coronale della radice, il rivestimento osseo talvolta è estremamente sottile, o del tutto assente, con conseguente formazione di una cosiddetta deiscenza (D). Se invece l'osso è presente nella porzione più coronale di tale area, e il difetto localizzato apicalmente, si parla di fenestrazione (F). Questi difetti si verificano spesso quando un dente è situato al di fuori dell'arcata e più frequentemente sono a carico dei denti anteriori rispetto a quelli posteriori. In tali difetti la radice è coperta solamente da un attacco di tessuto connettivo e dalla gengiva soprastante. VASCOLARIZZAZIONE La vascolarizzazione del parodonto è data da alcune arteriole e arterie terminali. L'arteria dentale, che è un ramo dell'arteria alveolare inferiore o superiore, dà origine all'arteria intrasettale prima di entrare nell'alveolo del dente. I rami terminali dell'arteria intrasettale (rami perforantes) penetrano nell'osso alveolare proprio attraverso canali presenti a ogni livello dell'alveolo. Essi si anastomizzano, nello spazio del legamento parodontale, con i vasi sanguigni che originano dalla porzione apicale del legamento parodontale e con altri rami terminali dell'arteria intrasettale. L'arteria dentale, prima di entrare nel canale radicolare, dà origine ad altri rami che irrorano la porzione apicale del legamento parodontale. La gengiva è vascolarizzata principalmente dai vasi sopraperiostali che sono rami terminali dell'arteria sublinguale, dell'arteria mentoniera, dell'arteria buccale, dell'arteria facciale, dell'arteria palatina maggiore, dell'arteria infraorbitaria e dell'arteria dentale posteriore superiore. Dopo essere entrati nel legamento parodontale, i vasi sanguigni (rami perforanti) si anastomizzano e formano una trama poliedrica con un pattern a radici o ad albero, o detto anche random. La maggioranza dei vasi del legamento parodontale è reperibile in vicinanza dell'osso alveolare. Nella porzione coronale del legamento parodontale i vasi sanguigni decorrono in direzione coronale e, oltrepassata la cresta ossea alveolare, entrano nella gengiva libera. SISTEMA LINFATICO Si distinguono quattro diverse tipologie di linfonodi: ❖ I linfonodi sotto mentali: interessano la regione vestibolare e linguale degli incisivi inferiori. ❖ I linfonodi sottomandibolari: interessano la gengiva vestibolare mascellare e la regione vestibolare e linguale del premolare e del molare mandibolare. ❖ Il linfonodo giugulo-digastrico: interessa principalmente i processi infiammatori a carico della regione dei terzi molari. ❖ I linfonodi cervicali profondi: interessa la gengiva palatale e mascellare superiore. INNERVAZIONE Come altri tessuti corporei, il parodonto contiene recettori che registrano il dolore, il contatto e la pressione, cioè nocicettori e meccanocettori. I nervi che registrano dolore, contatto e pressione hanno il centro trofico nel ganglio semilunare e giungono al parodonto per mezzo del nervo trigemino e dei suoi rami terminali. La presenza di recettori nel legamento parodontale permette di rilevare anche piccole forze applicate sui denti; questi, infatti, insieme con i propriocettori muscolari e tendinei, svolgono un ruolo essenziale nella regolazione dei movimenti masticatori e delle forze masticatorie. I piccoli nervi del parodonto seguono quasi lo stesso decorso dei vasi sanguigni. I nervi diretti alla gengiva decorrono nel tessuto che si trova alla superficie del periostio ed emettono diversi rami diretti all'epitelio orale durante il loro percorso verso la gengiva libera. I nervi entrano nel legamento parodontale attraverso le perforazioni (canali di Volkmann) della parete dell'alveolo. Nel legamento parodontale i nervi si uniscono in fasci più grandi che assumono un decorso parallelo all'asse lungo del dente. AMPIEZZA BIOLOGICA GENGIVALE L’ampiezza biologica gengivale descrive le dimensioni dei tessuti molli che circondano l’elemento dentario; risulta costituito da due parti: attacco epiteliale e attacco connettivale. Talvolta si considera parte dell’ampiezza biologica anche il solco gengivale, che però, anatomicamente non ne fa parte, bensì rappresenta, insieme alle altre due componenti, la dimensione parodontale sopra-crestale. L’ampiezza biologica rappresenta il sigillo che naturalmente esiste intorno agli elementi dentari e nasce per proteggere l’osso alveolare da infezioni e patologie. È definita come la porzione dei tessuti molli giustapposta alla corona del dente fino a livello della cresta ossea ed ha un valore di 2-3 mm. La gengiva si unisce inoltre alla corona del dente attraverso un saldo “attacco epiteliale” di circa un millimetro che fa da barriera alla penetrazione dei microbi, principalmente batteri, che costituiscono la flora orale della bocca e che colonizzano il solco gengivale. Il solco gengivale uno spazio libero di circa 3 mm rivestito da epitelio che si estende dall’attacco epiteliale al margine gengivale. A garantire il sigillo, al di sotto dell’attacco epiteliale troviamo un insieme di fibre connettivali (attacco connettivale) che si estendono per circa 1-1,5mm fino a raggiungere la cresta ossea. è EPIDEMIOLOGIA DELLA MALATTIA PARODONTALE L’epidemiologia deriva da π (epi) «tra, sopra», δ µος (demos) «popolo», e λ γος (logos) «discorso, studio», lo studio della distribuzione della malattia o della condizione fisiologica nella popolazione e dei fattori ereditari, biologici, ambientali, sociali e culturali che ne influenzano la distribuzione. Serve a valutare: PREVALENZA della malattia parodontale, cioè la frequenza del suo verificarsi nelle diverse popolazioni; GRAVITA’ di tali condizioni, ossia il livello delle mutazioni patologiche occorse; EZIOLOGIA e FATTORI DI RISCHIO; EFFICACIA delle misure preventive e terapeutiche. Per quanto riguarda la diagnosi di una eventuale patologia all’interno della popolazione utile attuare metodiche di screening. Queste hanno varie caratteristiche e funzioni. Lo screening in ambito della parodontologia ha lo scopo di individuare nella popolazione i soggetti affetti da malattia parodontale ed escluderla nei soggetti sani. Le caratteristiche di un test di screening, affinché sia affidabile sono: Elevata SENSIBILITA’ ad una determinata patologia, cioè la possibilità̀ di identificare tutti i pazienti affetti dalla malattia; Buona SPECIFICITA’, quindi deve essere in grado di poter escludere con certezza la malattia nei risultati negativi; BASSO COSTO; ASSENZA DI RISCHI; RAPIDITA’; DEVE DARE LA POSSIBILITA’ DI POTER ESSERE RIPETUTO NEL TEMPO. Indici: È stata elaborata un'ampia gamma di sistemi di indicizzazione per annotare dei parametri utili durante l’esame della condizione parodontale di un dato individuo. Questi parametri valutano: ❖ La rilevazione clinica dell'INFIAMMAZIONE GENGIVALE; ❖ La registrazione delle PROFONDITA’ DI SONDAGGIO; ❖ Il livello di ATTACCO CLINICO; ❖ Il livello di OSSO ALVEOLARE DI SUPPORTO. Mentre i primi tre indici possono essere valutati clinicamente, l’ultimo può essere valutato solamente attraverso un esame strumentale, in questo caso di tipo radiografico. Secondo i principi dell'INDICE GENGIVALE (GI), descritti da Löe (1967), si valuta lo stato di salute gengivale da un punto di vista flogistico. In base a questo sistema, all'assenza totale di indicatori visivi di infiammazione nell'unità gengivale viene attribuito il valore 0, mentre a una lieve alterazione cromatica e strutturale di una piccola porzione di gengiva viene attribuito il valore 1. Il valore 2 è analogo al valore 1 ma generalizzato a tutta la gengiva. A un'infiammazione rilevabile a occhio nudo, abbinata alla tendenza al sanguinamento del margine gengivale subito dopo avervi fatto scorrere brevemente una sonda parodontale, viene attribuito il valore 3, mentre a un'infiammazione evidente con tendenza spontanea al sanguinamento viene attribuito il valore 4. L’ INDICE DI PLACCA (Plaque Index, PlI) valuta gli accumuli di placca, in scala da 0 a 3 (Silness e Lõe 1964): all'assenza di placca viene attribuito il valore 0, alla placca rilevata dopo aver fatto scorrere la sonda parodontale lungo il margine gengivale il valore 1, alla placca visibile il valore 2 e alla placca abbondante il valore 3. Il SANGUINAMENTO AL SONDAGGIO della base della tasca parodontale (Bleeding on Probing, BoP) ha costituito un metodo comune per valutare l'insorgenza di un'infiammazione gengivale, caratterizzata dalla presenza di un infiltrato infiammatorio adiacente all'epitelio della tasca ulcerato. In questa rilevazione dicotomica, ai casi in cui il sanguinamento si manifesti entro 15 secondi dal sondaggio si attribuisce il valore 1. Una sonda parodontale viene inserita fino al "fondo" della tasca gengivale/ è ἐ ί ῆ ό è parodontale imprimendo una lieve pressione (circa 25-30 g), e fatta scorrere dolcemente, con un “movimento a sega”, lungo la superficie dentale (radicolare). Se il ritiro della sonda provoca un sanguinamento (ulcerazione), il sito esaminato viene considerato positivo al BoP e, di conseguenza, infiammato. Uno dei primi indici a fornire informazioni indirette sulla perdita di supporto del tessuto parodontale fu l'INDICE PARODONTALE (PI), elaborato negli anni '50 del secolo scorso da Russell (1956). I suoi criteri si applicano a ogni elemento dentale e i valori che attribuisce sono i seguenti: un dente con parodonto sano equivale a 0, un dente con gengivite solamente su un tratto della circonferenza equivale a 1, un dente con gengivite su tutta la circonferenza equivale a 2, la formazione di tasche equivale a 6 e la perdita di funzionalità dovuta a un eccesso di mobilità dentale equivale a 8. Il PI è un sistema di rilevazione reversibile, vale a dire che, dopo il trattamento, un dente o un soggetto possono vedere l'indice diminuire, o ridursi a 0. Contrariamente al sistema PI, l'INDICE DI MALATTIA PARODONTALE (PDI), elaborato da Ramfjord (1959), è un sistema destinato a valutare la patologia distruttiva; esso misura la perdita d'attacco anziché la profondità della tasca ed è, dunque, un indice irreversibile. I valori, che oscillano tra 0 e 6, denotano salute parodontale o presenza di gengivite (valori tra 0 e 3), nonché vari livelli di perdita d'attacco (valori tra 4 e 6). Si definisce PROFONDITA’ DI SONDAGGIO DELLA TASCA (Probing Pocket Depth, PPD) la distanza fra il margine gengivale e la posizione apicale della punta di una sonda parodontale inserita nella tasca utilizzando una pressione moderata. La profondità della tasca dovrebbe essere valutata su ciascuna superficie di tutti gli elementi dentali ed ha un valore fisiologico che va da 1 a 3 mm. Una profondità di tasca maggiore di 3-4 mm costituisce una "pseudotasca". In altre situazioni, può verificarsi una perdita ovvia d'attacco parodontale in assenza di un aumento concomitante della PPD. Per riconoscere una pseudotasca è bene prestare attenzione anche agli elementi dentari adiacenti, i controlaterali e, in particolare, i 3°molari e 2° molari superiori sul loro versante palatale. In condizioni di malattia attiva dove c’ iperplasia, ipertrofia gengivale si determina un aumento di volume che porta al mascheramento della giunzione amelocementizia e alla formazione della pseudotasca. C’ un’altra situazione compatibile con la salute ma che frutto di uno degli inestetismi pi trattati che il gummy smile, cio il sorriso gengivale. In alcuni casi il gummy smile, che si pu correggere, ha proprio una migrazione in senso coronale del profilo gengivale, per si tratta di uno stato di salute, dove non si hanno manifestazioni di malattia. Si definisce LIVELLO DI SONDAGGIO DELL’ATTACCO (Probing Attachment Level, PAL) la distanza tra la giunzione smalto-cemento (cemento-enamel junction, CEJ) e il fondo sondabile della tasca gengivale/parodontale. L'accertamento clinico richiede, per ogni superficie dentale, la misurazione della distanza tra il margine gengivale libero (free gingival margin, FGM) e la CEJ. Dopo aver registrato questi dati, è possibile calcolare il PAL usando la scheda parodontale (PPD - distanza tra CEJ e FGM). In caso di recessione gengivale, la distanza FGM-CEJ è negativa e viene dunque aggiunta al PPD per determinare il PAL. Il LIVELLO DI ATTACCO CLINICO o PERDITA DI ATTACCO CLINICO (clinical attachment level/ loss, CAL) indicano, rispettivamente, il livello a cui posizionato l’attacco clinico, e la perdita di quest’ultimo, cioè̀ la differenza tra lo stato preesistente e quello nuovo. L’attacco clinico considera anche la recessione quindi su un parodonto che non necessariamente sano, il CAL un indice sicuramente pi completo perch da un punto di vista pratico corrisponde alla somma della profondit di sondaggio e della recessione. Nei denti a radice multipla, l'INDICE DI FORCAZIONE (Furcation Index, FI) viene valutato in corrispondenza di tutti i possibili accessi per le lesioni parodontali, vale a dire l'accesso buccale e/o linguale per i molari inferiori, mentre i molari e i premolari superiori sono esaminati dagli accessi buccale, distopalatale e mesiopalatale. L'FI è analizzato tramite una sonda parodontale curva e ù è è è è è è ò ò è ù à è è graduata a 3 mm (sonda di Nabers). In base alla profondità di penetrazione, l'indice di forcazione è classificato come "superficiale" o "profondo”. - Classe I, profondità di sondaggio orizzontale maggiore o uguale a 3 mm da uno o due accessi; - Classe II, profondità di sondaggio orizzontale >3 mm in massimo un accesso e/o in combinazione con un PI di classe I; - Classe III, profondità di sondaggio orizzontale >3 mm in due o più accessi. Normalmente rappresenta un livello di distruzione "totale" dei tessuti di supporto alla forcazione. Ovviamente 1 mm al sondaggio e 1 mm in forca hanno due prognosi diverse perch lo spazio della forca non detergibile, quindi quando si produce una lacuna ossea all’interno della forca c’ un intasamento, rappresenta dunque una nicchia perfetta. I difetti parodontali sono distinti in due categorie, sovraossei e sottossei; il difetto di forca sempre sovraosseo, cioè̀ si trova sul punto più̀ apicale, quindi a livello della cresta che si appiattisce. Si parlerà̀ del numero di pareti che può̀ avere un difetto cioè̀ quanto un difetto possa essere competitivo. Le superfici radicolari del dente non sono pareti di un difetto perché̀ sono biologicamente impermeabili al coagulo, questo il motivo per cui, anche se ci sono grandi perdite nella parodontite, non si può̀ fare rigenerazione ossea, infatti sulla superficie radicolare il coagulo non riesce ad essere stabile. L'aumento della MOBILITA’ DENTALE (Tooth Mobility, TM) può essere classificato attraverso la classificazione di Miller (1950): - Grado 0, mobilità "fisiologica" misurata a livello della corona, il dente si sposta di 0,1-0,2 mm circa all'interno dell'alveolo, in direzione orizzontale (i denti immobili si definiscono in anchilosi); - Grado 1, aumento della mobilità orizzontale della corona dentale, fino a un massimo di 1 mm; - Grado 2, aumento rilevabile visivamente della mobilità orizzontale della corona dentale, maggiore di 1 mm; - Grado 3, grave mobilità della corona dentale sia in direzione orizzontale sia verticale (a livello degli apici); la mobilità ostacola la funzione del dente stesso. Esiste anche la classificazione di Niemann, secondo la quale esistono diversi gradi: - Grado 0: il dente ha una mobilit fisiologica (fino a 0.2 una mobilit fisiologica); - Grado 1: il dente ha una mobilit leggermente aumentata compresa tra 0.2-1; - Grado 2: il dente ha una mobilit decisamente aumentata senza impedimento funzionale (minore di 1); - Grado 3: il dente ha una mobilit notevolmente aumentata con impedimento funzionale; l’impedimento funzionale può̀ essere verticale o orizzontale. Il problema della mobilit che quest’ultima può̀ essere giudicata in maniera molto soggettiva e personale e, per questo motivo, difficilmente obiettivabile. La mobilit molto spesso trattabile. Per ridurre la mobilit di un elemento dentale mobile, si può̀ effettuare lo splintaggio. Lo splintaggio consiste nell’andare ad ancorare il dente mobile agli elementi dentali adiacenti che hanno una mobilit limitata o non si muovono completamente; quindi, quello che si apprezzerà̀ non sarà̀ tanto la mobilit del singolo elemento dentale, quanto una mobilit di gruppo. Lo splintaggio si fa anche a scopo ortodontico. Spesso, nelle terapie parodontali chirurgiche e non chirurgiche, lo splintaggio un punto di partenza. Infatti, sin da subito si immobilizza il dente cosicché́ su di esso non insistano forze che non fanno altro che scompaginare le cellule che cercano di riorganizzarsi in un processo rigenerativo, quindi in un processo di guarigione. L’FMBS (Full Mouth Bleeding Score) è un valore percentuale dei siti sanguinanti; pertanto, si ottiene dal rapporto tra siti sanguinanti e siti totali, moltiplicato per cento. se il paziente ha un full mouth bleeding score superiore al 20% e non ha un buon controllo della placca, non un paziente candidabile alla chirurgia. L’FMPS (Full Mouth Plaque Score) è un indice percentuale di placca e si ottiene dal rapporto tra i siti con placca visibilmente apprezzabile e i siti totali, moltiplicato per cento. Se il risultato supera il 20% il paziente non è ritenuto candidabile alla terapia chirurgica. Il full mouth plaque score un indice dicotomico che non fornisce informazioni sulla natura della placca, bens fornisce due informazioni generali: − Da’ informazioni sulla suscettibilit in rapporto all’accumulo di placca e alla risposta del soggetto. è à à è à à à à è è à à è à è à è ì è è è è è à à D informazioni sulla compliance del paziente; cio indica quanto il paziente sia disposto a − prendersi cura della sua igiene orale. Le rilevazioni di perdita ossea dalle radiografie intraorali si effettuano solitamente valutando: Caratteristiche qualitative e quantitative dell'osso interprossimale; La presenza di una lamina dura intatta, cioè osso compatto che si trova sulla parete alveolare che prende contatto con il legamento parodontale; la larghezza dello spazio del legamento parodontale, la quale è indice di sofferenza del tessuto, in particolar modo di tipo bio-meccanico. La morfologia della cresta ossea, la quale può avere aspetto "piano" o "angolare"; La distanza fra la giunzione amelo-cementizia (CEJ) e la cresta ossea. La soglia di perdita ossea, cioè la distanza CEJ-cresta ossea che si ritiene indichi l'avvenuta perdita ossea, varia fra 1 e 3 mm ed è apprezzabile radiograficamente. Quando si eseguono indagini radiologiche si deve tener conto di due parametri importanti: l’incidenza e la prevalenza. La prima indica il numero di nuovi casi di una determinata patologia in una popolazione, in un determinato periodo di tempo; la seconda, invece, si riferisce al numero di tutti i casi vecchi e nuovi. La parodontite una malattia infiammatoria cronica multifattoriale, in cui vi sicuramente una componente infettiva, che “conditio sine qua non” per definire la parodontite, anche se la determinazione del danno e gli effetti prodotti dalla malattia non sono interamente a carico dello stato infettivo, ma hanno sicuramente un ruolo in cui l’ospite uno dei protagonisti. In termini epidemiologici, dal 20% al 50% della popolazione mondiale accusa la malattia parodontale, in paesi in cui lo sviluppo sufficientemente compatibile con quelli che sono le condizioni igienico- sanitarie della realtà̀ moderna. Gli effetti principali della malattia parodontale sono: - Perdita dentale, condizione che si presenta spesso, ma non sempre, non determina necessariamente la malattia parodontale. - Compromissione dell’apparato stomatognatico, in cui la funzione si altera perché́ tutti quelli che sono gli elementi dentali non funzionano più̀ come prima. Questo secondo effetto della malattia parodontale che si esprime attraverso una compromissione della masticazione, della fonazione e di tutte le funzioni stomatognatiche. Si passa quindi da aspetti funzionali ad aspetti di natura relazionale di carattere sociale. - Si riscontra quindi un peggioramento della qualità̀ della vita, questo scadimento ciò̀ che più̀ allerta il paziente. Le evidenze scientifiche del passato si basavano sul modello di Page e Schroeder, proposto nel 1976, che, anche se non l’ultimo aggiornamento scientifico, oggi ci d comunque idea di come la malattia parodontale possa stabilirsi e svilupparsi all’inizio, basandosi sull’esistenza di lesioni caratteristiche. Questo modello parla di quattro stadi, che partono da una condizione di salute fino ad arrivare ad una franca malattia parodontale. In questi quattro stadi si identificano quattro diversi tipi di lesioni: 1. La lesione iniziale non presenta nessun segno clinico di infiammazione, questo aiuta a capire che la patologia nelle sue fasi iniziali, appare solo una leggera modifica istologica. Non c’ possibilità̀ di intercettare la patologia fino a quando non si sviluppa una franca manifestazione parodontale. Si può̀ solo valutare il reclutamento linfocitario e segni istologici di infiammazione, ma non clinici. Non vi una modifica anatomica strutturale del sito, si parla quindi di lesione dal punto di vista clinico solo presuntiva. 2. La lesione precoce invece inizia con qualche segno di obiettività̀. Nella larga parte dei casi i pazienti affetti da malattia parodontale, che non sono ancora arrivati alla grave compromissione del parodonto, quindi con manifestazioni evidenti, hanno comunque sanguinamento gengivale, che spesso viene interpretata come errata tecnica di spazzolamento. I segni istologici diventano pi evidenti e ingravescenti rispetto la lesione iniziale, con aumento della quota leucocitaria, per diapedesi a seguito di vasodilatazione e aumento degli spazi extracellulari ed extravasali. La quota leucocitaria in termini parodontali riguarda tutte quelle cellule di interesse, in particolare i neutrofili, il cui squilibrio conduce verso la patologia parodontale. Si hanno delle modifiche a livello dell’epitelio parodontale, soprattutto quello del parodonto superficiale, dove si trova la gengiva marginale, ciò̀ che appare in porzione più̀ coronale del parodonto, a livello extraosseo. 3. Mentre nel secondo tipo si verificano delle modifiche, alterazioni istologiche che portano alla lesione precoce. La lesione franca, invece, secondo questo modello, ha le stesse caratteristiche della lesione precoce, ma peggiorate, nel senso che il segno clinico di à ù è è è è è è è è à è è è infiammazione sono sempre più̀ ingravescenti. La fragilità̀ capillare, dovuta all’aumento di questi spazi vasali ed extravasali, più̀ franca, per cui il sanguinamento potrebbe verificarsi sia in modo indotto che spontaneo. 4. Infine, se tutto questo fino alla lesione franca può̀ essere ascritto come gengivite, quindi un’infiammazione della mucosa marginale, l’ultimo stadio, con lesione avanzata, porta alla parodontite, che secondo questo modello caratterizzata da una perdita irreversibile di attacco clinico. Questo un aspetto abbastanza evidente a livello parodontale, come caratteristica patognomonica della malattia parodontale, in cui si verifica una perdita dell’osso. Questo modello del 1976, seppur di vecchia data, discute un concetto che ricompare anche 40 anni dopo, ovvero l’attacco clinico, che ha ritrovato recentemente importanza. Ai tempi del modello del 1976 invece la questione pi importante a livello parodontale riguardava un altro concetto, ovvero la cosiddetta tasca parodontale, che veniva misurata attraverso la profondit di tasca, quindi col sondaggio di tasca. Si arriva quindi ad una nuova condizione di equilibrio, in cui i batteri e i funghi che diventano più̀ forti e resistenti, erano comunque già̀ presenti prima. Il concetto di slatentizzazione può̀ , infatti, associarsi a molte condizioni patologiche, che spesso sembrano provocate da altri fattori, ma in realtà̀ sono già̀ presenti nell’organismo. Sono quindi meccanismi di successione allogenica e autogenica. I fattori di rischio nell’eziopatogenesi delle parodontopatie sono classificabili in: a) Fattori fondamentali NON MODIFICABILI o BIOLOGICI (età, razza/origine etnica, polimorfismi); b) Fattori AMBIENTALI (fattori socioeconomici); c) Fattori COMPORTAMENTALI (fumo, compliance); d) Fattori ACQUISITI (microbiota specifico, stress, diabete, osteoporosi, HIV, farmaci). Genetica Recentemente stato scoperto un importante marker genetico cio l’interleuchina-1. La presenza di questo marker individua soggetti ad alto rischio di sviluppare malattia parodontale grave. Inoltre, vi sono altri polimorfismi genetici, in particolare nei recettori chemiotattici dei fagociti, e un polimorfismo per il recettore anticorpale Fc che influenza la risposta ad alcune infezioni ed a malattie immunitarie. Succede spesso che visitando differenti pazienti con rapporti parentali presentino condizioni parodontali simili. Oppure, ad esempio, mutazioni sul cromosoma 6, che regola il MCHC (complesso maggiore di istocompatibilità), quindi larga parte della risposta immunitaria. Età L’et avanzata ha una buona correlazione con sviluppo di malattia parodontale, questo si nota in particolar modo nel paziente anziano. Studi pi recenti (1994) suggeriscono che la velocit di distruzione parodontale la stessa per tutta l’et adulta. Questo soggetto avr una mobilit ridotta, riuscir a prendersi cura di s stesso in maniera differente rispetto ad un paziente giovane. Avr una riduzione del flusso salivare, deterioramento della memoria, si associa anche demenza, depressione e assunzione di farmaci. Probabilmente la maggiore distruzione parodontale nei soggetti anziani conseguente alla sommatoria negli anni dei vari fattori di rischio. LA MALATTIA PARODONTALE ha una prevalenza maggiore nei maschi, forse per una probabile azione protettiva degli ormoni femminili. Nel bianco caucasico la distruzione parodontale risulta essere pi bassa rispetto ad un soggetto nero, ma probabilmente questo legato allo stato socioeconomico pi basso. Fattori socioeconomici Pazienti con un basso livello socioeconomico presentano spesso scarsa attitudine al mantenimento di un buon livello di salute generale ed odontoiatrica in particolare e trascurano la prevenzione. Spesso vi difficolt a percepire gli obiettivi del trattamento e quindi anche la cooperazione minore. Le problematiche economiche rendono spesso difficile eseguire trattamenti che comprendono ad esempio protesi, ortodonzia. Compliance Il soggetto deve essere motivato nell’igiene e nei trattamenti che sta andando ad effettuare. Questo, infatti, determinante per ottenere un buon risultato. Un paziente che non riesce a seguire le istruzioni impartite otterrà̀ risultati meno favorevoli. Fumo Si sa che l’effetto del fumo dose dipendente per quanto riguarda la progressione della malattia parodontale e che la cessazione del fumo ha effetti positivi sulla salute del paziente. Da un punto di vista biologico gli effetti del fumo sul tessuto parodontale sono legati alla presenza di nicotina, monossido di carbonio, cianuro di idrogeno, che possono agire come fattori tossici che agiscono sul connettivo determinando una degradazione del collagene e quindi un danno diretto al legamento parodontale; oppure agiscono come vasocostrittori producendo ischemia a livello dei tessuti molli à à è è è è è è è é è è ù è à à ù ù ù à è à à à à è evocando la risposta infiammatoria vascolare e cellulare. Da un punto di vista clinico in un paziente forte fumatore si noterà̀ che, nonostante la presenza di placca, difficilmente questi tessuti tendono a sanguinare (ritardo diagnostico), questo aspetto principalmente legato all’effetto ischemico causato dalle sostanze prodotte dal fumo. Inoltre, queste sostanze hanno un’azione diretta di inibizione sui macrofagi e fibroblasti, anche perché non avviene diapedesi di queste cellule a causa di un ridotto spazio extravasale, provocando un ritardo nella guarigione delle ferite (immunosoppressione). Il fumo, oltre che causare un peggioramento della malattia parodontale, a causa dell’effetto termico di riscaldamento e dell’acidificazione dell’ambiente orale influisce maggiormente sul danno a lungo termine dei tessuti orali. Stress Nello studio di Genco del 1999 si dimostrato che alti livelli di stress come ad esempio di natura lavorativa, familiare, economica si accompagnano alla perdita di osso alveolare. Non lo stress direttamente correlato alla salute parodontale, ma in alcuni soggetti lo stress pu andare ad alterare le normali abitudini di un individuo portando ad una ridotta igiene orale ed un digrignamento dentale. Inoltre, lo stress determina un abbassamento delle difese immunitarie (immuno-modulazione) e incide in termini di stress ossidativo producendo ROS (specie reattive dell’ossigeno). Diabete mellito è l’alterazione del metabolismo dei glucidi (glicemia > 126g/dl) e si divide in due tipologie distinte: diabete mellito di tipo I e di tipo II. La patologia può essere causata da un’insufficiente produzione di insulina (ossia l’ormone che regola il livello di glucosio nel sangue) o da una sua inadeguata azione. Il diabete di tipo 1 è caratterizzato dall’assenza totale di secrezione insulinica, mentre il diabete di tipo 2 è determinato da una ridotta sensibilità dell’organismo all’insulina, normalmente prodotta da parte dei tessuti bersaglio (fegato, muscolo e tessuto adiposo), e/o da una ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas (dalle cellule beta). Può progressivamente peggiorare nel tempo e si instaura sulla base di una condizione preesistente di insulino-resistenza. Si parla di insulino-resistenza quando le cellule dell'organismo diminuiscono la propria sensibilità all'azione dell'insulina; ne consegue che il rilascio dell'ormone, in dosi note, produce un effetto biologico inferiore rispetto a quanto previsto.Tutti i prodotti del catabolismo del glucosio con pathway alternativi possono portare ad un’alterazione del microambiente a livello del fluido crevicolare con acidificazione; inoltre, il diabete interferisce col sistema nervoso, con alterazione del microcircolo, provocando una neuropatia diabetica primaria. Esistono una serie di meccanismi per cui, anche solo per azione osmoticamente attiva di alcuni zuccheri che si formano, metabolicamente inerti, avviene la degenerazione balloniforme delle terminazioni nervose in porzioni terminali. Conseguentemente si perde la sensibilit ed insieme a questa potrebbe presentarsi la compromissione di un’altra funzione fondamentale che quella trofica; quindi, il trofismo cellulare mediato dal sistema nervoso, come avviene anche nel caso del piede diabetico. Vi un’evidenza positiva tra diabete mellito (insulino-dipendente o meno) e rischio di malattia parodontale infiammatoria, lo dimostra uno studio di Katz (1991). La correlazione tra diabete e malattia parodontale stata ampiamente dimostrata in letteratura e il rischio aumenta ulteriormente nei soggetti che non mantengono una buona igiene orale, che hanno una lunga storia di diabete, magari anche scarsamente controllato, che soffrono di patologie recenti o donne in gravidanza. Le complicazioni del diabete sono a carico del micro e macro-circolo. Il diabete presenta quindi una corrispondenza reciproca, intesa come associazione bidirezionale, con la malattia parodontale. Infatti uno degli effetti negativi della malattia parodontale nei confronti del diabete da ricercarsi nella compromissione funzionale e strutturale dell’apparato stomatognatico, in cui la perdita di pi elementi dentari incide sull’alimentazione del paziente; non avendo, ad esempio, elementi dentari posteriori sar difficile cibarsi di cibi a dura consistenza e fibrosi come la carne, motivo per cui la prima scelta del paziente sar rivolta verso carboidrati che contengono un elevato potere glicemico. Inoltre, la malattia parodontale una patologia infiammatoria che, pertanto, peggiora il controllo glicemico, anche se non in maniera incisiva. Di contro, il diabete riflette sulla componente neuro-vascolare, peggiorando il decorso della malattia parodontale. Il compenso metabolico in un diabetico valutato mediante l’emoglobina glicosilata: il rischio sopraggiunge per valori di Hb glicosilata < 6-6,5. Fattori dietetici Si tratta di quegli alimenti che possono determinare una modifica del pH; proprio alcuni tipi di specie batteriche hanno un’affinità̀ particolare verso un tipo di metabolita specifico, tipo lo Streptococco Mutans, che strettamente legato al glucosio, per questo viene suggerito l’uso di zuccheri semplici come il fruttosio, meno cariogenico rispetto al glucosio. Viene considerato anche il ù è à è à è è è è è ò à è è è tipo di alimento, oltre l’aspetto microbiologico, in particolare la consistenza degli alimenti, in particolare alcuni di questi ultimi si sposano meglio con l’azione dilavante della saliva e in generale dell’attività̀ masticatoria. Quindi gli alimenti più̀ “chewy” ovvero “masticabili”, con consistenza pi morbida, determinano un maggiore ingombro in termini di placca e quindi sono peggiori per la prognosi di disturbi parodontali. Osteoporosi L’osteoporosi provoca l’aumento della porosit ossea con diminuzione delle trabecolature e della corticale. In presenza di placca batterica questa situazione pu condurre ad un aggravamento della malattia parodontale. Inoltre, c’ una correlazione con la riduzione degli estrogeni, in particolare modo nel periodo post- menopausa nelle donne, che tende ad attivare gli odontoclasti. HIV Infezioni da HIV nelle sindromi da immunodeficienza possono contribuire nell’evoluzione della malattia parodontale. Contrariamente ai primi studi eseguiti in soggetti sieropositivi, i pi recenti non hanno documentato alcuna differenza nella prevalenza e nella gravit della malattia parodontale in individui sieropositivi quando sono paragonati a soggetti sani. possibile che i vecchi studiosi soffrissero di un vizio di selezione in quanto venivano considerati i soggetti sieropositivi che si presentavano all’osservazione per sintomi orali e non scelti a caso (Papapanou 1989). I soggetti presi in considerazione in alcuni studi dove veniva mostrata una correlazione fra HIV e malattia parodontale, spesso provenivano da condizioni socioeconomiche non positive e lo studio poteva essere influenzato anche da questo. Quindi recenti studi hanno poi ha dimostrato che in realt non cos forte la correlazione fra HIV e malattia parodontale. Farmaci Esistono categorie di farmaci che possono influenzare le condizioni della malattia parodontale, l’accumulo di placca o creare nicchie dentro la cavit orale. Infatti, numerosi medicamenti rappresentano fattori di rischio sia per la carie sia per la malattia parodontale. Essi possono interagire con la composizione della placca, con i tessuti gengivali, con l’osso alveolare, il fluido crevicolare e le procedure di igiene orale del paziente. In particolar modo si devono considerare: Farmaci che alterano le attitudini del paziente come antidepressivi (Xanax, Prozac), antiipertensivi (Capoten, Vasotec). Farmaci che alterano la composizione della placca ed il pH della bocca: compresse contenenti zucchero (sciroppi, antiacidi), che oltre ad alterare il pH alterano anche quella che la produzione (quantità̀ e qualità̀ ) della saliva per esempio gli ansiolitici, antidepressivi, antiepilettici, sedativi. Farmaci che possono andare ad alterare la condizione dei tessuti molli orali, in particolar modo anticoncezionali ed antiepilettici. Farmaci che creano conflitti, come gli antiacidi, che diminuiscono l’assorbimento della tetraciclina e delle benzodiazepine. Alcuni farmaci inducono le cosiddette DIGO (Drug Induced Gingival Overgrowth), ovvero gli aumenti gengivali indotti dai farmaci stessi. Tra questi farmaci sono annoverabili: o Fenitoina, anticonvulsivante per il trattamento dell’epilessia e nevralgia; o Ciclosporina-A, immunosoppressore che previene il rigetto post trapianto d’organo; o Nifedipina, calcio antagonisti. Sono i farmaci pi prescritti rispetto agli altri. Un aspetto peculiare associato, prevalentemente, all’assunzione dei calcio-antagonisti l’aspetto della gengiva che richiama la schiuma o bolle di sapone. Altri farmaci implicati nella malattia parodontale sono i bifosfonati, ovvero farmaci anti-riassorbenti che manifestano l’osteonecrosi dei mascellari come grave conseguenza del trattamento. I bifosfonati possono avere diversi regimi prescrittivi, infatti vengono utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi, delle metastasi ossee dei tumori solidi (quali carcinoma della mammella, polmone e prostata) e mieloma multiplo. Il bifosfonato pi utilizzato in passato era l’acido zoledronico, mentre adesso l’evoluzione terapeutica investe sugli anticorpi monoclonali, i quali hanno una farmacodinamica e farmacocinetica differente. Un grave effetto collaterale farmacologico associato ai bifosfonati la manifestazione di osteonecrosi dei mascellari, che si esprime maggiormente in zone ad elevato rimaneggiamento come a è ù È ù à à è ì à à ù è è è ò ù seguito di un’avulsione dentaria. Uno dei meccanismi ipotizzati alla base dell’osteonecrosi la citotossicit diretta dei bifosfonati nei confronti degli osteoclasti, dunque viene a mancare l’attivit di riassorbimento e, inoltre, inibisce la neoangiogenesi costituendo il motivo cardine della necrosi. Il tessuto osseo dei mascellari, in particolare l’osso alveolare e il parodonto, caratterizzato da un elevato turnover che l’espressione della reazione dell’organismo ai continui stress meccanici determinati dal movimento degli elementi dentari o alla perdita degli stessi. In risposta agli stress meccanici, gli osteociti e gli osteoblasti all’interno del tessuto osseo alveolare attivano il rimodellamento, liberando varie citochine che inducono la formazione e la maturazione di nuovi osteoclasti. Anche le cellule del legamento parodontale, inclusi i fibroblasti gengivali, hanno un ruolo nell’osteoclastogenesi attraverso l’espressione del RANK-L. È stato dimostrato che l’espressione di RANK-L da parte delle cellule del legamento parodontale aumenta in seguito a sollecitazione meccanica. Per la formazione degli osteoclasti da parte delle cellule mononucleate, necessaria l’interazione tra il recettore RANK, espresso dai precursori delle cellule osteoclastiche, e il ligando RANK-L. Le cellule del legamento parodontale e i fibroblasti gengivali possono produrre una certa quantità̀ di osteoprotegerina che in grado di legare RANK-L e quindi di inibire l’osteoclastogenesi. A livello dei mascellari il rimodellamento osseo aumenta a causa di processi flogistici determinati dalla malattia parodontale e da tutte le patologie sistemiche caratterizzate da un elevato turnover osseo. I BP, grazie alla struttura chimica che li rende analoghi sintetici del pirofosfato inorganico, hanno un’elevata affinità̀ per il tessuto osseo e si legano preferenzialmente ai siti in attivo rimodellamento. Dopo l’assorbimento da parte della superficie ossea, le molecole di BP sono incorporate nella matrice ossea in formazione e qui rimangono “dormienti” per un lungo periodo, senza interferire con il turnover osseo fino a quando il processo osseo di rimodellamento interesserà̀ nuovamente questa area. È il pH acido creato dall’attività̀ osteoclastica all’interno delle lacune di riassorbimento che determina la nuova liberazione di molecole di BP dalla superficie ossea e la loro endocitosi da parte degli osteoclasti spiegando in tal modo il mantenimento nel tempo degli effetti della terapia con BP. BIOFILM DENTALE La bocca è simile ad altri habitat del corpo in quanto possiede una comunità microbica caratteristica che fornisce benefici all'ospite. Questi microrganismi colonizzano le superfici mucose e dentali nella bocca formando comunità tridimensionali, multispecie e strutturalmente organizzate, denominate biofilm. I biofilm che si formano sui denti costituiscono la placca dentale. In generale, la desquamazione assicura che la carica microbica sulle superfici mucose sia mantenuta relativamente bassa. Al contrario, la bocca è l'unico sito del corpo che possiede superfici non desquamanti (denti, protesi) che favoriscono la colonizzazione microbica. La bocca si mantiene a una temperatura di circa 35-37 °C, adeguata alla crescita di un'ampia gamma di microbi. La temperatura aumenta nei siti subgengivali durante un'infiammazione, e ciò può alterare l'espressione genica dei batteri, modificandone la competitività nell'ambito della comunità microbica, favorendo la crescita e l'attività proteasica di alcuni patogeni parodontali specifici. Nonostante la bocca sia chiaramente un ambiente aerobico, la maggioranza dei batteri orali sono anaerobi facoltativi o obbligati. La distribuzione di questi anaerobi nella bocca è generalmente correlata al potenziale di ossidoriduzione, cioè la misura del grado di ossidazione-riduzione di un determinato sito. Nella bocca, il pH è uno dei principali determinanti della distribuzione e del metabolismo batterico. L'attività tampone della saliva gioca un ruolo fondamentale nel mantenere il pH orale attorno a valori neutri, che sono ideali per la crescita dei membri del microbiota orale residente. Frequentemente avvengono modificazioni del pH dell'ambiente, e ciò provoca importanti variazioni all'interno dei biofilm della placca dentale. Molti batteri predominanti della placca che sono associati con siti in salute possono tollerare brevi periodi a basso pH ma vengono inibiti o uccisi da più frequenti o prolungate esposizioni a condizioni acide. Tali modificazioni nella composizione batterica della placca predispongono una superficie a sviluppare la carie dentale. Anche un piccolo cambiamento del pH può alterare il tasso di crescita e il pattern di espressione genica dei batteri subgengivali, e l'aumento nella competitività di alcuni patogeni anaerobi specifici Gram-negativi a spese delle specie associate con la salute parodontale. Il fumo può selezionare potenziali patogeni parodontali nei biofilm dentali, e gli individui diabetici hanno una elevata frequenza di certi patogeni parodontali Gram-negativi nella placca. à è è è è è à La composizione del microbiota orale può anche modificarsi con l'età in conseguenza di una serie di eventi correlati all'ospite quali l'eruzione dentale in giovane età o il declino della risposta immune nell'anziano. In generale, una volta stabilitasi, la composizione microbica del biofilm in un sito rimane stabile nel tempo, finché avviene una forte perturbazione in un importante determinante ambientale, come una drastica modifica della dieta o un'alterazione nello stato immune dell'ospite. Tali perturbazioni possono causare modificazioni dell'equilibrio del microbiota, tali da aumentare il rischio di malattia. Nutrienti primari come aminoacidi, proteine e glicoproteine sono ottenuti da saliva e fluido crevicolare; la dieta ha un ruolo minore sul microbiota residente, principalmente attraverso le variazioni del pH dovute al catabolismo degli zuccheri. La bocca è riccamente fornita di componenti sia dell'immunità innata (per esempio lisozima, lattoferrina, sialoperossidasi, peptidi della difesa dell'ospite, neutrofili…) che della risposta immune specifica (IgA secretive, IgG). È anche presente il complemento, che fa da ponte tra la risposta immune innata e specifica. Lo stile di vita di un individuo può influenzare la distribuzione e il metabolismo del microbiota orale. Oltre che la composizione della saliva, gioca un ruolo molto importante anche il suo volume, data la sua azione dilavante (l’80% della secrezione salivare si deve alla ghiandola sottomandibolare). I biofilm sono stati definiti come popolazioni microbiche inglobate in una matrice, aderenti le une alle altre e/o alle superfici o interfacce. Questo stile di vita di comunità fornisce diversi potenziali benefici agli organismi partecipanti inclusi: Una più ampia varietà di habitat per la crescita; per esempio, il metabolismo dei colonizzatori precoci altera l'ambiente locale, rendendo le condizioni adatte per l'attacco e la crescita di specie più tardive (e talvolta più fastidiose). Aumentata diversità ed efficienza metabolica; molecole normalmente restie a essere catabolizzate dagli organismi singoli possono spesso essere degradate dai consorzi microbici. Maggiore tolleranza a stress ambientali, agenti antimicrobici e difese dell'ospite. Le cellule vicine di una specie differente possono produrre enzimi neutralizzanti (B-lattamasi, IgA proteasi, catalasi) che proteggono organismi suscettibili dagli inibitori. Maggiore abilità di causare patologie. Ridotta suscettibilità agli agenti antimicrobici. I biofilm dentali si formano attraverso una sequenza ordinata di eventi, che risultano in una pellicola microbica ricca di specie differenti, strutturalmente e funzionalmente organizzate. I distinti passaggi che portano alla formazione del biofilm comprendono: 1. ASSOCIAZIONE: assorbimento di un sottile strato condizionante (pellicola acquisita); 2. ADESIONE REVERSIBILE tra la superficie della cellula microbica e la pellicola condizionante; 3. ATTACCO PIU’ DURATURO che coinvolge interazioni tra molecole specifiche sulla superficie della cellula microbica (adesine) e molecole complementari (recettori) presenti nella pellicola condizionante; 4. COADESIONE, nella quale colonizzatori secondari aderiscono ai recettori su batteri già attaccati, che conduce a un aumento nella diversità delle specie batteriche; 5. PROLIFERAZIONE: moltiplicazione delle cellule adese, che conduce a un aumento della biomassa e alla sintesi di esopolimeri che formano la matrice del biofilm (maturazione della placca); 6. MICROCOLONIE: distacco selle cellule attaccate per promuovere la colonizzazione in altri siti; 7. FORMAZIONE DEL BIOFILM; 8. CRESCITA E MATURAZIONE. Formazione della pellicola condizionante: I batteri raramente colonizzano lo smalto "pulito"; entro pochi secondi dall'eruzione del dente, o dopo essersi lavati i denti, le superfici del dente vengono ricoperte da una pellicola condizionante di molecole (proteine biologicamente attive, fosfoproteine e glicoproteine) principalmente derivanti dalla saliva (ma anche dal fluido crevicolare e dagli stessi batteri). La pellicola condizionante altera le proprietà biologiche e chimiche della superficie, e la composizione della pellicola influenza direttamente lo schema della successiva colonizzazione batterica. I microrganismi interagiscono direttamente con tale pellicola condizionante. Attacco reversibile e più duraturo: Inizialmente, solo un numero limitato di specie batteriche è in grado di attaccarsi alla pellicola condizionante. I batteri possono essere trattenuti reversibilmente accanto alla superficie per mezzo di forze fisico-chimiche deboli, a lungo raggio, tra la carica elettrica delle molecole sulla superficie ricoperta dalla pellicola e quelle sulla superficie cellulare. Questa adesione reversibile crea l'opportunità che si stabilisca un attacco più forte e più duraturo. Questi colonizzatori batterici precoci (principalmente streptococchi, come lo Streptococcus mitis, Streptococcus sanguinis e Streptococcus oralis) possiedono molecole (adesine) in grado di legarsi a recettori complementari nella pellicola acquisita, per rendere più forte l'attacco. Co-adesione: Una volta attaccati, i primi colonizzatori iniziano a moltiplicarsi. Il metabolismo di questi batteri che si attaccano precocemente modifica l'ambiente locale, per esempio rendendolo maggiormente anaerobico a seguito del loro consumo di ossigeno e la produzione di prodotti terminali ridotti del metabolismo. Man mano che il biofilm si va sviluppando, le adesine sulla superficie cellulare di colonizzatori secondari, come gli anaerobi obbligati, si lega a recettori su batteri che si trovano già attaccati, per mezzo di un processo detto co-adesione o co-aggregazione, e la composizione del biofilm diventa più differenziata (un processo chiamato successione mi- crobica). Un organismo chiave nello sviluppo del biofilm della placca è il Fusobacterium nucleatum. Questa specie può co-aderire a molti batteri orali e rappresenta un importante organismo ponte tra le specie colonizzatrici precoci e tardive. Maturazione della placca: Alcuni dei batteri attaccati sintetizzano polimeri extracellulari (la matrice della placca) in grado di consolidare l'attacco del biofilm. Per un biofilm la matrice è più di una semplice impalcatura; essa può legare e trattenere molecole, inclusi enzimi, e anche ritardare la penetrazione di altre molecole. Nel contesto del biofilm, la stretta vicinanza di specie diverse fornisce l'opportunità di diversi tipi di interazioni. ▪ Sviluppo di catene alimentari (in cui i prodotti terminali del metabolismo di un organismo sono utilizzati come nutriente primario da organismi secondari) e cooperazione metabolica tra specie per poter catabolizzare macromolecole dell'ospite strutturalmente complesse. ▪ Comunicazione cellula-cellula. È stato dimostrato che i batteri della placca possono comunicare l'uno con l'altro attraverso piccole molecole diffusibili, per esempio tramite secrezione di piccoli peptidi da parte di batteri Gram-positivi per coordinare l'espressione genica tra cellule di specie simili. ▪ Difesa dai meccanismi di difesa dell’ospite. Questi ultimi sono rappresentati dalla saliva, dal fluido crevicolare, dal sistema immunitario… TARTARO Il tartaro, o calcolo dentale, rappresenta la placca batterica mineralizzata. Lo possiamo distinguere in SOPRA-GENGIVALE, quando situato coronalmente rispetto al margine gengivale e SOTTO- GENGIVALE si trova apicalmente ad esso. I due tipi di tartaro hanno delle caratteristiche peculiari proprie. Il tartaro sopragengivale è una massa di moderata durezza il cui colore può variare dal biancastro- crema al giallo scuro e perfino al marrone. Il grado di formazione del tartaro non dipende solo dalla quantità di placca batterica presente, ma anche dalla secrezione delle ghiandole salivari. Quindi il tartaro sopragengivale si trova soprattutto nelle adiacenze dei dotti secretori delle principali ghiandole salivari, per esempio sulla superficie linguale dei denti mandibolari anteriori e sulla superficie buccale dei primi denti molari superiori, dove i dotti della ghiandola parotide si aprono nel vestibolo orale. La presenza di tartaro sottogengivale può essere rilevata solo con l'esplorazione tattile, dato che la sua formazione avviene apicalmente al margine gengivale e, quindi, non è generalmente visibile a occhio nudo. Nel caso in cui fuoriesce dalla tasca, appare come una massa dura calcificata con una superficie ruvida di colore marrone o nero. Anche questa massa mineralizzata è soprattutto il risultato di accumuli batterici mischiati con i prodotti del fluido crevicolare gengivale (GCF) e del sangue. Di conseguenza, il tartaro sottogengivale si trova nella maggior parte delle tasche parodontali e in genere si estende dalla giunzione smalto-cemento fino a raggiungere quasi il fondo della tasca. La formazione del tartaro è sempre preceduta e accompagnata dallo sviluppo di un biofilm batterico. La matrice intermicrobica e gli stessi batteri costituiscono la matrice per la calcificazione, la quale è guidata dalla precipitazione dei sali minerali. La placca sopragengivale diviene mineralizzata a causa della precipitazione dei sali minerali presenti nella saliva, mentre la placca sottogengivale mineralizza per la presenza di sali minerali nell'essudato infiammatorio che passa attraverso la tasca gengivale. È evidente, perciò, che il tartaro sottogengivale rappresenta un prodotto secondario dell'infezione e non una causa primaria della parodontite. La mineralizzazione inizia in centri di cristallizzazione nella matrice intermicrobica (intercellulare) e sulle pareti batteriche, ed eventualmente procede all'interno dei batteri. Generalmente, il tartaro aderisce tenacemente alle superfici dei denti. La rimozione del tartaro sottogengivale può risultare quindi assai difficoltosa. La ragione di questa aderenza così salda alla superficie del dente risiede nel fatto che anche la pellicola posta sotto la placca batterica si calcifica. Questa, a sua volta, è in intimo contatto con i cristalli dello smalto, con il cemento o con la dentina. Inoltre, anche le irregolarità di superficie del dente sono penetrate dai cristalli di tartaro; quindi, esso tende a essere bloccato di fatto contro il dente. Ciò si verifica soprattutto per il cemento esposto, in cui esistono piccole fessure in corrispondenza delle zone in cui prima erano inserite le fibre di Sharpey. Il tartaro risulta essere costituito da: − Materiale inorganico: la componente inorganica varia dai 40% al 60% ed costituita da fosfato di calcio, carbonato di calcio e fosfato di magnesio. Il calcio arriva principalmente dalla saliva e, inoltre, lo smalto si demineralizza e rimineralizza ad ogni pasto. − Componente cellulare: batteri e funghi. − Matrice organica: costituita da proteine e lipidi. − possibile rinvenire alcuni residui alimentari. Il tartaro recente e quello maturo sono formati da quattro cristalli diversi di fosfato di calcio: brushite, fosfato otocalcico, idrossiapatite e whitelochite. Il tartaro sopragengivale si forma chiaramente in strati molto eterogenei gli uni dagli altri per quanto riguarda il contenuto minerale. Mediamente, il contenuto minerale è del 37%. Il tartaro sottogengivale sembra in qualche modo più omogeneo dato che si forma in strati aventi una pari densità di minerali. Mediamente la densità è del 58%. INFEZIONI PARODONTALI I principi alla base delle malattie infettive, inizialmente enunciati da Louis Pasteur e in seguito provati da Robert Koch, forniscono lo schema essenziale per l'identificazione dei microrganismi responsabili di malattie a eziologia monospecifica. I postulati di Koch forniscono quattro criteri che devono essere soddisfatti per identificare un agente infettivo come agente causa di malattia: 1. si ritrova in abbondanza in tutti gli organismi affetti dalla malattia ma non si trova negli organismi sani; 2. può essere isolato da un organismo malato e fatto crescere in coltura pura; 3. quando il microrganismo coltivato viene introdotto in un organismo sano, causa la malattia; 4. può essere nuovamente isolato dall'ospite che si è ammalato dopo essere stato inoculato sperimentalmente, e identificato come identico allo specifico agente causale originale. Se positivi, abbiamo la prova della patogenicità del microrganismo e della sua influenza in un determinato quadro patologico. Tuttavia, nel caso di malattie a eziologia microbica complessa, dove le basi fondamentali sono una disbiosi o una perturbazione del normale microbiota commensale, la descrizione della minaccia infettiva è più impegnativa. In tal senso, la nostra comprensione del microbiota parodontale è proseguita È è attraverso modifiche graduali e sequenziali nel tempo, a seguito dell'introduzione e dell'applicazione di metodi di indagine a resa elevata sempre più sofisticati per la caratterizzazione e identificazione batterica. Per evidenziare la presenza di un microrganismo rispetto a un altro all’interno della cavit orale vi sono molte tecniche diagnostiche: 1. Identificazione frammenti di DNA tramite DNA Probe: attraverso questa metodica si possono rilevare delle colonie batteriche di (10)3. Attualmente attraverso questo test si possono rilevare P. Gingivalis, P. Intermedia, A. actinomycetemcomitans etc... 2. PCR: amplifica il DNA presente, quindi con piccoli frammenti possibile non solo identificare la specie batteriche presente ma ci da una informazione anche di tipo quantitativo. 3. Tecniche di coltivazione: con tampone e coltivazione in vitro delle specie batteriche. Richiede parecchio tempo e alcune specie non sono coltivabili. Il vantaggio quello di valutare la resistenza batterica somministrando l’antibiotico in piastra e vedere come i batteri rispondono. In molte malattie infettive, l’agente patogeno può̀ infettare l’ospite, il quale non manifesta segni clinici di malattia per molto tempo. La malattia parodontale, prima di diventare una vera e propria patologia conclamata, si manifesta nella sua forma più̀ lieve, come una gengivite; la presenza di placca e microrganismi all’interno della cavit orale, non necessariamente determina un quadro patologico nell’immediato; infatti, ci sono una serie di fattori da considerare: − Il numero di patogeni − I loro fattori di virulenza: la formazione del biofilm un processo molto lento e progressivo che prevede la coesistenza di differenti microrganismi e man mano che il biofilm diventa più̀ complesso, il numero di batteri e la presenza di miceti si arricchisce sempre di più̀ e il loro metabolismo tende a modificarsi, entrando cos in gioco dei microrganismi che hanno una virulenza maggiore. − Suscettibilità̀ sistemica e locale dell’ospite: es. immunodepressi. Oggi si considerano due cause principali affinché̀ si arrivi ad una lesione parodontale franca: 1.Disbiosi della placca. 2.Risposta dell’ospite. Tutta la flora indigena del cavo orale rappresentata da una varietà̀ enorme di specie batteriche, per disbiosi della placca si intende lo shift metabolico, cioè̀ , cambia il metabolismo e l’ambiente extracellulare e per queste ragioni cambia l’ambiente cellulare, quindi la flora, di conseguenza gli equilibri fisiologici. La preminenza di una specie rispetto ad un’altra l’elemento più̀ interessante. Se si effettua uno striscio del cavo orale, non si ha una specie microbica soltanto, ma la specie più̀ rappresentata o la gamma di specie che sono più̀ rappresentate. Questo indice del fatto che gli equilibri cambiano, possibile che vi siano alterazioni dell’habitat che portano alla predominanza di una specie batterica parodontopatogena, in particolare una delle 4 specie che hanno quella virulenza più̀ interessante da un punto di vista parodontale. La virulenza di un patogeno microbico si definisce generalmente come il grado di patogenicità o l'abilità di un organismo di causare malattia. Essa dipende sia dal grado di infettività dell'organismo che dalla gravità della malattia prodotta. In ogni caso, tuttavia, questi due parametri di infettività e gravità della malattia sono fortemente influenzati dalla natura e dallo stato dell'organismo ospite o dal sito di colonizzazione nell'ospite. I passaggi chiave del ciclo vitale e della diffusione di un organismo parassita che ne infetta un altro sono: colonizzazione iniziale e attacco; moltiplicazione e nutrizione; evasione delle difese dell'ospite; invasione (in certi casi); uscita per la disseminazione verso un altro ospite. I determinanti di virulenza di un patogeno possono semplicemente definirsi come quei prodotti genici che facilitano colonizzazione, crescita e sopravvivenza all'interno dell'organismo malato e diffusione verso un nuovo ospite. Essi possono essere classificati in: ❖ Fattori che permettono l’adesione nei confronti dei tessuti dell’ospite: fimbrie e altre proteine di superficie come le adesine. ❖ Fattori che permettono la colonizzazione e la proliferazione: possibilità̀ dei microrganismi di scindere un substrato e produrre dei propri cataboliti (poter andare avanti con il loro è à è ì è è è è è à metabolismo); un esempio rappresentato dalle metalloproteasi, che riescono a scindere gli ioni Fe+. ❖ Fattori di danno tissutale diretti: produzione di enzimi tra cui metalloproteasi, collagenasi, condroitin-sulfatasi che danneggiano il tessuto alveolo-dentale. Possono indurre riassorbimento osseo tramite LPS e LPS. ❖ Fattori di danno tissutale indiretto: risposta infiammatoria dell’ospite alla presenza della placca. Fattori legati all’ospite come IL-1, IL-6, TNF. I microrganismi che più comunemente prendono parte alla formazione della placca sono i seguenti: ▪ Actinobacillus actinomycetemcomitans un batterio Gram -, anaerobio facoltativo (può̀ modificare il suo metabolismo, e quando ciò̀ avviene cambia la produzione di cataboliti) ed un coccobacillo. La maggior parte dei pazienti con MP presenta elevati titoli di Anticorpi anti-Actinomycetemcomitans; invece, nei soggetti trattati con successo diminuiscono sia il numero di batteri che il numero di Ac, quindi viene rispettato il postulato di Koch. I suoi fattori di virulenza sono: Endotossine: LPS Leucotossine, che uccidono i polimorfonucleati; Citotossine, che inibiscono la proliferazione dei fibroblasti; Collagenasi, che distruggono il collagene e contribuiscono, insieme alle citotossine, a ritardare la guarigione dei tessuti; Batteriocine: permette la competizione con gli altri batteri e determina la morte degli streptococchi e altri microrganismi; Pili e fimbrie. ▪ Porphyromonas Gingivalis un Gram -, anaerobio, non mobile e appartiene alla famiglia dei “black pigmentated bacteroides”, in quanto nelle colture in vitro tende a produrre una pigmentazione molto scura. La presenza di questo batterio può̀ determinare: 1. Elevata risposta anticorpale locale e sistemica in soggetti con varie forme di parodontite. 2. Produce collageni, proteasi ed endotossine. 3. capace di invadere l’epitelio gengivale in vivo. I suoi fattori di virulenza sono: Capsula, che lo protegge dalla fagocitosi; Endotossine, come LPS; Citotossine; Capacit di penetrare nei tessuti gengivali. un batterio caratterizza una fase successiva rispetto all’Actinobacillus actinomycetemcomitans, in quanto presenta dei fattori che aumentano la sua virulenza. ▪ Bacteroides Forsythus è un Gram-, anaerobio, molto più̀ frequente nella MP in fase attiva. ▪ Treponema denticola. ▪ Tannerella forsithya. ▪ Prevotella intermedia è un Gram -, anaerobio e pigmentato. La presenza un titolo anticorpale elevato nei confronti di questo microrganismo indice di una MP necrotico- ulcerativa. Altri microrganismi coinvolti sono: - Fusobacterium Nucleatum: Gram-, anaerobio. - Campylobacter Rectus: Gram-, anaerobio, produttore di leucotossine. - Eikenella Corrodens: Gram-. - Streptococcus Intermedius. - Spirochete: Gram-, anaerobi, a forma di elica, molto mobili. È È È È à è è è DIAGNOSI DI PARODONTITE Per fare una corretta diagnosi di parodontite importante raccogliere tutto il quadro anamnestico del paziente. L'anamnesi del paziente è uno strumento rivelatore, fondamentale per pianificare un trattamento completo e capire le necessità e la condizione sociale ed economica del paziente, così come le sue condizioni mediche generali. L'accertamento dell'anamnesi del paziente richiede la valutazione delle sei aree seguenti: o disturbi principali; o anamnesi familiare e sociale; o anamnesi dentale; o abitudini di igiene orale; o storia di abitudine al fumo; o anamnesi clinica, radiografica e cure mediche. I fattori di rischio sono individuabili su tre livelli: paziente, dente e sito. Bisogna analizzare i segni e i sintomi che interessano le varie componenti del parodonto (pag 7-9): a) Gengiva: Tra i segni clinici della gengivite si contano alterazioni cromatiche e di consistenza del tessuto molle gengivale marginale e BoP (Bleeding on Probing). Anche se la composizione dell'infiltrato infiammatorio può essere individuata soltanto attraverso sezioni istologiche, la corretta diagnosi clinica del tessuto gengivale infiammato viene emessa sulla base di una tendenza al BoP, dal momento che il sintomo "sanguinamento al sondaggio" sul fondo del solco/della tasca gengivale