Neuroscienze Cognitive e Sociali 2 PDF

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Il documento fornisce un'introduzione alle neuroscienze cognitive e sociali, concentrandosi su concetti come la serendipità e la scoperta del neurone. Esplora anche l'importanza dello studio dei processi nervosi alla base della cognizione.

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NEUROSCIENZE COGNITIVE E SOCIALI MODULO 2 Introduzione L’organo oggetto di studio in ambito di neuropsicologia è il cervello umano. Il cervello è un ammasso gelatinoso contenente trilioni di cellule, che includono miliardi di neuroni. Esso costituisce circa il 2% del peso del corpo, ma nonostante ci...

NEUROSCIENZE COGNITIVE E SOCIALI MODULO 2 Introduzione L’organo oggetto di studio in ambito di neuropsicologia è il cervello umano. Il cervello è un ammasso gelatinoso contenente trilioni di cellule, che includono miliardi di neuroni. Esso costituisce circa il 2% del peso del corpo, ma nonostante ciò utilizza il 20-25% dell'ossigeno e del glucosio del corpo. I neuroni hanno in media 5000 connessioni con altri neuroni chiamate “sinapsi”, le quali garantiscono un continuo operato del cervello. Per questo motivo è possibile smentire il neuro-mito per cui useremmo solo il 10% delle nostre risorse cerebrali: il cervello è sempre attivo al 100% in quanto tutti i neuroni non si spengono mai, ma continuano ad operare. Serendipità Serendipità deriva dall’inglese Serendipity, coniato dallo scrittore Horace Walpole nel 1754, che lo trasse dal titolo della fiaba The three princes of Serendip: Serendip era l’antico nome dell’odierno Srī Lanka. Si riferisce alla capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, specialmente in campo scientifico, mentre si sta cercando altro. La scoperta del neurone nel 1873 fu un momento di svolta nella storia delle neuroscienze. Tutto ebbe inizio quando, per errore, un pezzo di cervello destinato a essere sezionato e studiato finì nella spazzatura di un laboratorio! La coincidenza volle che lo scienziato Camillo Golgi avesse gettato del nitrato d'argento nello stesso cestino qualche ora prima. La mattina successiva, recuperando il pezzo di cervello, Golgi rimase stupefatto nel vedere che il tessuto nervoso aveva assorbito perfettamente il colorante, rendendo i neuroni chiaramente visibili in nero. Questo episodio portò Golgi a scoprire un metodo di colorazione del tessuto nervoso, ancora in uso oggi, che gli permise di identificare per la prima volta il neurone. Tuttavia, commise un errore quando ipotizzò che i neuroni formassero una rete continua di fibre. In seguito, Santiago Ramón y Cajal fece una scoperta cruciale: ogni neurone rappresenta un'unità anatomica distinta, e tra due neuroni c'è sempre uno spazio vuoto. Questa rivelazione rivoluzionaria consolidò il nostro moderno concetto di neuroni come singole entità funzionali nel cervello. Nel 1906, Golgi e Cajal condivisero il premio Nobel per la loro straordinaria scoperta del neurone. Dal micro al macro È interessante valutare come dalla sfera micro (neuroni) è possibile riflettere più in generale su proprietà del sistema nervoso e infine sul comportamento. Sul piano puramente fisico, l’aspetto del neurone si può visualizzare nella suddivisione tra sostanza bianca (insieme di assoni -fibre- che connettono tra loro i neuroni) e sostanza grigia (insieme di corpi cellulari). Sul piano delle proprietà, è possibile, tramite apposite tecniche, evidenziare zone del cervello che presentano tipologie diverse di comunicazione. La comunicazione avviene tramite la propagazione di segnali che viaggiano lungo gli assoni come segnale elettrico e attraverso le sinapsi come segnale chimico. Origine delle Neuroscienze cognitive e sociali Per Neuroscienze cognitive e sociali s’intende lo studio dei processi nervosi che sottendono la cognizione, ovvero come i processi mentali possono emergere da caratteristiche strutturali. In particolare ci si pongono 3 domande: 1. DOVE? In quale zona del cervello si attivano i meccanismi cerebrali; 2. QUANDO? Quando nel tempo si attivano meccanismi o aree; 3. COME? In che modo l’attività cerebrale si traduce in comportamento. Si tratta di un approccio interdisciplinare che unisce: Neuroscienze: la scienza del neurone. Studio delle proprietà neuronali attraverso metodi invasivi in animali e osservazione dell’effetto della lesione cerebrale. Scienze Cognitive: la scienza della cognizione. Studio del comportamento per inferire le operazioni mentali non osservabili direttamente. Si tratta di una prospettiva nata grazie al comportamentismo e sviluppata dal cognitivismo. Studia il rapporto tra input e output con particolare attenzione ai processi intermedi e non osservabili (black box). 1. L’antenato più celebre della Neuropsicologia è Galeno (II secolo). Egli notò che i gladiatori che subivano ferite al braccio, alla gamba o al busto conservavano la capacità di pensiero, mentre quelli che avevano subito lesioni alla testa no. Ne dedusse che il cervello era collegato al pensiero, e come tale fu il primo ad utilizzare pazienti con danno cerebrale circoscritto per comprendere le funzioni mentali. 2. Paziente “Tan”: dopo un ictus unilaterale non riusciva più a pronunciare altro che la sillaba “tan” (afasia di produzione: disturbo del linguaggio che consiste nell’incapacità di produrre linguaggio). La sua autopsia ha rivelato una lesione della corteccia frontale sinistra. Nel 1861 Paul Broca propone che la regione frontale dell'emisfero sinistro sia cruciale per la produzione linguistica (sia scritta che orale). Da qui venne individuata l’area di Broca (aree 44 e 45 di Broadman -produzione ling.). Successivamente Wernicke, grazie allo studio di pazienti, la cui produzione linguistica era fluente, tuttavia si mostravano incapaci di rispondere a comandi verbali, scoprì l’Area di Wernicke (area 22 di Broadman -comprensione e decodificazione ling.). a. Da notare che all’epoca i modelli sul funzionamento nervoso partivano da osservazioni condotte con autopsie post mortem eseguite anche diversi anni dopo la valutazione comportamentale. Sicuramente il metodo anatomo-clinico costituiva un grosso limite temporale che costringeva gli studiosi ad aspettare lunghi periodi di tempo. Assunti di base della Neuropsicologia Se un comportamento dipende dai processi di elaborazione in una data struttura cerebrale, allora una lesione organica a quella struttura dovrebbe disturbare il comportamento. Frazionabilità: un danno cerebrale può portare a una compromissione selettiva di alcune specifiche componenti del sistema cognitivo. Il sistema cognitivo può essere frazionato in componenti. Modularità: funzioni cognitive complesse possono essere rappresentate nei termini di componenti di base dell’elaborazione, descritte da Fodor con il termine “moduli”, ovvero unità di base che lavorano in modo più o meno indipendente tra loro. La cognizione consiste nel funzionamento di un certo numero di unità di elaborazione indipendenti. Sottrattività: la prestazione patologica a test fornisce la base per comprendere quale componente/modulo del sistema cognitivo sia compromesso. Il sistema cognitivo di un paziente cerebroleso è fondamentalmente lo stesso di un soggetto normale tranne che per una modifica "locale" del sistema dovuta alla lesione (ASSUNZIONE). Universalità/Uniformità: dell’architettura mentale tra individui. Qualsiasi conclusione raggiunta per il gruppo di soggetti testati sarà considerata vera per tutti gli individui della popolazione di riferimento (ASSUNZIONE che non è sempre valida, ma più probabile se si analizza un numero ampio di soggetti). I pazienti neuropsicologici possono fornire informazioni sull'organizzazione funzionale dei processi mentali. Testare la specificità delle relazioni regione-funzione La disciplina di Neuropsicologia procede attraverso metodi che mettono in relazione la lesione organica e il disturbo comportamentale. La specificità della relazione regione-funzione può essere testata attraverso: Associazione (es. conclusioni di Broca): una lesione che si verifica nella regione A è associata a deficit nella funzione X. Non vengono testate altre funzioni, per questo dimostra un’evidenza debole! Una lesione della regione A compromette solo la funzione X? Non si evidenzia alcuna specificità dell’area cerebrale analizzata. Dissociazione: testare se una regione del cervello è coinvolta nella funzione X ma non nella funzione Y fornisce prove più forti della specificità funzionale rispetto alla dimostrazione di un'associazione. Tuttavia, una singola dissociazione è ancora una forma di inferenza relativamente debole quando queste funzioni possono essere spiegate da un singolo processo (ad esempio, il compito X richiede più risorse cognitive del compito Y). Doppia dissociazione: può essere utilizzata per fare un'affermazione più forte dimostrando che la regione A è cruciale per la funzione X ma non per Y, mentre la regione B è cruciale per Y ma non per X. Quindi, si dimostra l’indipendenza funzionale e la base cerebrale delle 2 funzioni. Un potenziale problema nello stabilire relazioni tra regione lesa e funzione ad essa sottesa è costituito dalla cosiddetta “diaschisi”: cambiamenti -ad es. riduzioni- del metabolismo e/o del flusso cerebrale in un’area remota che è causato dalla lesione a un’altra regione funzionalmente interconnessa all’area remota. Esistono 3 tipi di diaschisi: Diaschisi a riposo: una lesione focale (in nero) induce una riduzione remota di metabolismo (in rosso); Diaschisi funzionale: le normali attivazioni cerebrali (in giallo) in un compito possono alterarsi, mostrando incrementi (in verde) o riduzioni (in rosso) dopo una lesione (in nero). Quando il paziente fa un compito, rispetto al controllo normale, ci sono delle regioni più attive o altre meno attive (c'è un'area lesa ma il cervello, con meccanismi compensativi, si riorganizza per portare a termine il compito); Diaschisi di connettività: la forza e/o la direzione delle connessioni in un network può incrementare (verde) o ridursi (rosso). Questo processo ha a che fare con la neuroplasticità, ovvero quel processo secondo il quale le connessioni del cervello si riorganizzano per favorire l’apprendimento. Principali metodi per esplorare la struttura e la funzione del cervello umano nelle neuroscienze cognitive Tecniche di visualizzazione cerebrale. Le diverse tecniche di visualizzazione cerebrale si dividono in 2 grandi categorie: ○ Tecniche di visualizzazione strutturale: studiano l’anatomia, le caratteristiche dei tessuti (ad es. quantità di sostanza grigia o bianca) e la presenza di condizioni patologiche (tumori, emorragie, infarti). Queste tecniche sfruttano sia un approccio correlazionale (studio della correlazione tra lo sviluppo di alcune aree e tratti comportamentali) sia un approccio causale (studio dell’effetto della lesione sul cervello). Le tecniche strutturali producono immagini dell’architettura anatomica del cervello per rilevare cambiamenti anatomici legati a invecchiamento o patologie. Possono essere: Tomografia (assiale) computerizzata (CT); Risonanza magnetica per immagini (MRI); Imaging con tensore di diffusione (DTI). ○ Tecniche di visualizzazione funzionale: studiano l’attività cerebrale. Servono ad individuare le aree cerebrali coinvolte in una determinata funzione o funzionalmente connesse in un compito o a riposo, e l’effetto su queste aree di varie patologie neurologiche (es. lesioni cerebrali, neurodegenerazione) e psichiatriche (es. autismo, schizofrenia). Le tecniche funzionali producono immagini dei processi fisiologici associati ad attività spontanea o legata a compiti in modo da correlare l’attività di distinte regioni cerebrali con specifiche operazioni mentali. Possono essere: Risonanza magnetica funzionale (fMRI); Tomografia ad emissione di Positroni (PET); Tomografia a emissione di fotone singolo (SPECT); Imaging ottico (fNIRS). Tecniche neurofisiologiche (EEG, MEG): analizzano in modo dinamico l’attività elettrica e magnetica del cervello; Metodi lesionali (neuropsicologia): si basano sul collegamento della zona lesa al disturbo cognitivo; Tecniche di neurostimolazione (TMS, tES): attraverso la stimolazione diretta del cervello si valutano i cambiamenti nelle funzioni di esso. Le tecniche vengono organizzate in base a principi generali di estrapolazione: Risoluzione spaziale: la dimensione minima che può essere risolta per distinguere i singoli componenti di un organo o tessuto. Risoluzione temporale: la distanza minima nel tempo necessaria per distinguere tra eventi neurali discreti. Informazioni fornite: evidenza correlazionale vs causale. Entrambe hanno lo scopo di spiegare come l'attività neurale dia origine alla percezione e al comportamento. ○ Approccio correlazionale (correlare l’attività fisiologica del cervello a compiti sottoposti al soggetto): si verifica quando presento uno stimolo ad una persona e fornisce informazioni su come i cambiamenti in fattori esterni come la stimolazione sensoriale modificano l'attività cerebrale. Il cambiamento indotto nell'attività neuronale può modificare secondariamente la percezione (stimolazione cerebrale non invasiva indiretta). Si tratta dello studio dell’attività cerebrale che si accompagna ad una stimolazione. In questo caso la variabile indipendente è la stimolazione, mentre la variabile dipendente è la risposta fisiologica. È difficile determinare quali effetti neurali della stimolazione sensoriale svolgano un ruolo causale nella percezione successiva. In altre parole, non si può dedurre quale luogo di attivazione dia origine alla percezione. ○ Approccio causale (stabilire un rapporto di causa ed effetto tra cervello e cognizione): tipico delle tecniche di stimolazione cerebrale che ci consentono di modulare direttamente un'area del cervello fonte della percezione e del comportamento. In questo caso è possibile creare collegamenti causali tra cervello e comportamento. Tecniche di visualizzazione strutturale L’Imaging strutturale permette di comprendere la composizione biochimica dei tessuti, perché tessuti con proprietà biochimiche diverse possono essere discriminati e studiati. La sostanza grigia è individuabile grazie alla presenza di proteine e carboidrati nei corpi cellulari dei neuroni che la compongono. La sostanza bianca è resa grazie alla presenza della mielina (lipide) negli assoni dei neuroni che la compongono. Si può valutare anche la presenza di ventricoli contenenti fluido cerebrospinale, il quale è costituito da una soluzione salina. L’imaging sfrutta le onde elettromagnetiche (caratterizzate da diversa frequenza e lunghezza d’onda, che tra loro sono inversamente proporzionali), in particolare sfrutta i raggi x e gamma, che hanno molta energia. 1. Radiografia convenzionale (RX) La radiografia nasce nel 1895 con la scoperta dei Raggi X. È nota come raggi X quella porzione dello spettro elettromagnetico con una lunghezza d'onda molto piccola, ma alta energia. L’imaging a raggi X (RX) è basato sul grado di assorbimento dei raggi X da parte dei tessuti di un paziente, mentre i raggi ne attraversano il corpo. A seconda della quantità assorbita da un particolare tessuto (ad esempio, muscolo, polmone, ossa etc.) una quantità diversa di raggi X attraverserà il corpo, uscirà da questo e potrà essere misurata. I raggi X in uscita dal corpo del paziente interagiscono con un dispositivo di rilevamento («impressionano» una pellicola). Si crea un'immagine di una proiezione bidimensionale dei tessuti all'interno del corpo del paziente. Per ottenere una radiografia, un ampio fascio di raggi x raggiunge una pellicola sensibile ai raggi x dopo aver attraversato la testa del paziente. Il tessuto osseo contiene calcio ed è più denso dei tessuti molli circostanti contenenti molta acqua. È «radio-opaco» ovvero assorbe parte dei raggi X. I tessuti molli sono tendenzialmente «radio-trasparenti» e lasciano passare la maggior parte dei raggi che andranno a «impressionare» una pellicola, annerendola (al giorno d’oggi sistemi di detettori digitali hanno sostituito la pellicola). Le aree in cui viene assorbita parte della radiazione impressionano meno la pellicola e appaiono come sfumature di grigio più chiare, vicine al bianco. Prima dell’avvento di tecniche di imaging cerebrale più evolute, l'imaging a raggi X veniva utilizzato per fare inferenze indirette riguardo l'estensione e la posizione del danno cerebrale. In particolare si prendevano immagini da varie angolazioni e attraverso una mappatura si provava a valutare la lesione o il danno. Limiti: È un'immagine del cranio, non del cervello: si può inferire la presenza di una possibile lesione, ma questa non è visibile e quindi la localizzazione è scarsa. Le immagini sono proiezioni bidimensionali di oggetti tridimensionali, rese in pixel. I raggi X sono radiazioni ionizzanti, possono anche andare a modificare il DNA. 2. Tomografia (assiale) computerizzata La TC si basa su combinazioni elaborate al computer di misurazioni multiple di raggi X tratte da diverse angolazioni. Fornisce immagini tomografiche bidimensionali di oggetti bidimensionali ("sezioni"). Permette di visualizzare: tessuti duri (ad es. ossa e calcificazioni), e tessuti molli (ad es. sostanza grigia e sostanza bianca) e discriminarli. A. La testa è posizionata nello scanner; B. uno sottile fascio di raggi X attraversa la testa e colpisce un rilevatore sul lato opposto; C. la rotazione del raggio e del rivelatore consente molte scansioni a raggi X ottenute sullo stesso piano assiale. ➔ La tomografia è un problema inverso: partendo dalle proiezioni radiografiche a diversi angoli di un oggetto (ad es. la testa), si vuole ricostruire il volume che le ha generate. Questo avviene effettuando scansioni multiple combinate da diverse angolazioni forniscono informazioni su piccole differenze di radiodensità tra diverse strutture cerebrali. I dati vengono inseriti in un algoritmo che costruisce un'immagine composita (algoritmo di retroproiezione filtrata, basato sull’antitrasformata di Radon). Pregi: È una ricostruzione bidimensionale di un oggetto realmente bidimensionale (sezione trasversale), reso in pixel; Risoluzione spaziale dell’ordine del millimetro (dipende raggi e computer). Ad oggi abbiamo macchine che hanno un'ottima risoluzione spaziale e sono diffuse in ogni ospedale. Consentono di visualizzare sia tessuti duri (ossa) e molli e riusciamo a discriminarli attraverso la sostanza grigia e quella bianca. Potenzialmente attraverso la TC si potrebbero tracciare e rappresentare i cambiamenti del cervello, ma la scala temporale entro la quale osservare i cambiamenti del cervello è estremamente ampia (potremmo assistere a degli effetti strutturali dopo diversi giorni). La risoluzione temporale per queste tecniche, ovvero la capacità di cogliere dei cambiamenti del tempo, che già di per sé è un fenomeno molto lento, è scarsa/prossima allo zero (concetto molto diverso dalla velocità della macchina di acquisire il dato che è velocissima); Permette di identificare sostanza grigia e bianca, liquido cerebrospinale; Permette di identificare anche ematomi, tumori, calcificazioni etc.; Veloce, economica, pochi artefatti da movimento (vs. MRI). Limiti: La TC si basa su radiazioni ionizzanti. Infatti questa tecnica non viene utilizzata tanto perché bisogna esporre il soggetto a molti raggi; Le ossa si vedono meglio rispetto ai tessuti molli. 3. Risonanza magnetica per immagini La risonanza magnetica per immagini, RMI (o MRI, magnetic resonance imaging), viene utilizzata per produrre immagini ad alta definizione dell'interno del corpo umano, in particolare dei tessuti molli. È basata su campi magnetici, che verificano la presenza o meno di acqua nei tessuti (siamo composti da una certa percentuale di acqua che varia in funzione del sesso e dell’età). Componenti: A. Magnete principale a cilindro: crea un campo magnetico statico ad elevata intensità. a. In clinica si utilizzano campi magnetici di intensità compresa tra 1,5 - 3 Tesla; b. Per ricerca sono utilizzati scanner MRI a 3-4 T ma anche a 7 o 11.75 T. ⚠ Più l’unità in tesla è grande e maggiore sarà la risoluzione (3 Tesla = 60,000 volte il campo magnetico terrestre). B. Bobine di radiofrequenza: emettono e registrano segnali elettromagnetici su cui si basa la ricostruzione dell’immagine MRI. Si tratta di strutture tubolari che sono introducono campi elettromagnetici, con la possibilità di accenderli o spegnerli. C. Bobine per campo graduato: permettono di modulare nello spazio e nel tempo i campi elettromagnetici per favorire la ricostruzione spaziale dell’immagine MRI. Il grande vantaggio della risonanza magnetica per immagini è che ci permette di acquisire dati volumetrici, utilizzando come unità di misura il Voxel, che rappresenta il limite della risoluzione spaziale della MRI. Più piccolo è il voxel, migliore è la risoluzione spaziale dell’immagine. MRI con campi a elevata intensità raggiungono risoluzioni migliori. Grazie alla MRI è possibile ricostruire un volume per intero o in sezioni (non solo trasversali). Questo ci permette di avere una maggiore flessibilità nell’esplorare il cervello. Principi di Risonanza magnetica La RM è una tecnica che viene utilizzata in diverse discipline per ottenere informazioni sulla materia (chimica, biologia…). Questa tecnica sfrutta la proprietà di alcuni elementi (con peso atomico dispari) come l’idrogeno, dotati di spin intrinseco (ruotano intorno a se stessi). 1. Ogni atomo si muove come una trottola in modo indipendente. 2. Se posti in un campo magnetico statico forte ed omogeneo, i nuclei di questi atomi allineano i loro assi di rotazione con l’asse del campo magnetico. Si ottiene così una magnetizzazione del volume, che è possibile misurare. 3. Tale allineamento degli assi di rotazione è perturbato da una segnale radio, generato dalla bobina di radiofrequenza, ad una frequenza specifica per l’atomo (frequenza di risonanza). 4. L’energia del segnale radio è assorbita dall’atomo, che si troverà in uno stato di eccitazione. 5. Quando si spegne il segnale, gli atomi iniziano a tornare al loro equilibrio iniziale. Questa fase è una fase di rilassamento e provoca la riemissione di parte dell'energia assorbita sotto forma di segnale radio, che viene registrato da una bobina ricevente. a. Più forte è il segnale radio e più atomi d’interesse ci sono nel materiale. b. Per sapere come è collocato un elemento nello spazio, quindi creare una mappa spaziale dei tessuti con diversa presenza dell’elemento, è necessario l’intervento delle bobine graduate. Il segnale di RM emesso dai nuclei dipende dalla posizione che essi occupano rispetto al campo graduato. Il campo graduato è variato in modo sistematico lungo gli assi x, y e z e funge da lente d’ingrandimento perché permette di amplificare il segnale. Il segnale di RM è indotto a variare in modo corrispondente. Grazie a un processamento dei dati acquisiti è possibile ricostruire l’immagine in 3D, nella quale il colore è reso dalla presenza o assenza di H (es. a seconda delle costanti di tempo T1 e T2 avrò immagini diverse del cervello). c. È possibile studiare il tempo di rilassamento degli atomi. Il rilassamento si può misurare in 2 modi diversi, importanti per costruire le immagini di risonanza: costanti di tempo T1 e T2. I tempi di rilassamento variano in funzione di: i. caratteristiche del tessuto: tessuti diversi hanno proprietà diverse, nonché valori di T1 e T2 diversi (ad es T1 e T2 della sostanza bianca è diverso da quello della sostanza grigia); ii. parametri estrinseci (programmabili) volti a ottimizzare le differenze tra parametri intrinseci dei tessuti ai fini del contrasto dell’immagine. 6. Un computer processa i dati grezzi per la ricostruzione dell’immagine 3D. Uso della risonanza 1. Valutare differenze anatomiche (approccio correlazionale): a. Valutazione del volume, dello spessore della corteccia cerebrale. Ci si concentra su come lo spessore della corteccia è legato ad aspetti funzionali (es. ridotto spessore del precuneo negli adolescenti con problemi di sostanza e di condotta -rispetto a controlli sani); b. Valutazione della morfologia di specifiche strutture. Sì studia come le strutture modificano la loro forma in funzione dell'adozione di certi comportamenti (es. deformazione interna dell'ippocampo associata al consumo di marijuana). 2. Voxel based morphometry: è una tecnica che permette di quantificare il volume di sostanza grigia in una certa area. A questo proposito vengono effettuate sia analisi comparative sulle differenze anatomiche inter-personali sia analisi sugli effetti di un trattamento. In assenza di lesione si tratta di un approccio correlazionale, che permette di valutare la presenza di un legame tra la struttura cerebrale e il comportamento. a. Esempio diverso è la neuropsicologia, il cui scopo è quello di valutare l’effetto della lesione sul comportamento, tramite un approccio causale. 3. È possibile quantificare la frequenza della lesione in un certo gruppo di soggetti, quindi creare modelli su quanto una lesione è presente in un gruppo. Questo metodo è detto “metodo di mappaggio lesionale” e permette di valutare l’area massima della lesione per stabilire se i sintomi del comportamento hanno a che fare con quell’area. Si tratta di un approccio causale basato su valutazioni quantitative realizzate grazie a inferenze statistiche. a. Ad esempio si prende una serie di pazienti colpiti da ictus con diverse lesioni sulla corteccia prefrontale destra, si ricostruisce la lesione tramite risonanza magnetica o TC e si calcola la % di lesione tra i pazienti. 4. Imaging pesato in diffusione (DTI) L'imaging pesato in diffusione si utilizza per analizzare fasci di fibre di sostanza bianca. Le molecole d'acqua, nella sostanza grigia, subiscono un movimento traslatorio casuale (movimento Browniano o semplicemente "Diffusione libera"). Quando la diffusione è ostacolata (da membrane cellulari, guaina mielinica, che sono idrofobe), l’acqua non riesce ad attraversare la guaina mielinica della sostanza bianca. Tale processo è detto “Diffusione ristretta”. Questo meccanismo è sfruttato dall’imaging. L’Imaging pesato in diffusione permette la stimare e visualizzare i tratti di fibre di sostanza bianca con un'ottima risoluzione spaziale. La diffusione dell’acqua in corrispondenza delle fibre assonali è anisotropica poiché le fibre sono rivestite di mielina (idrofoba) che limita e costringe la diffusione lungo gli assi delle fibre (diffusione ordinata). L’acqua si muove in direzione parallela alle fibre. Nel resto del cervello la diffusione dell’acqua è isotropica ovvero corre ugualmente in ogni direzione. L’imaging pesato in diffusione si utilizza per: Inferire e ricostruire in modo probabilistico tratti di fibre (trattografia) in 2D e 3D (le strutture diverse sono rappresentate con colori diversi). Il segnale MRI viene pesato al fine di evidenziare le caratteristiche microstrutturali locali (all’interno di un voxel) della diffusione d’acqua. Si quantifica la direzionalità della diffusione e si ricostruiscono i tratti (vettori), ovvero le tendenze dell’acqua nel muoversi in una certa direzione. Mediante il colore si rappresentano aree di sostanza bianca alterate in seguito a trauma cerebrale (pugili professionisti, che a seguito della legge di Pascal subiscono alterazioni e urti generali). Pro e contro delle tecniche di visualizzazione strutturale (MRI) Pro Visualizzazione e quantificazione della sostanza grigia e sostanza bianca; Permette di localizzare patologie cerebrali e indagare il legame con il comportamento; Alta risoluzione spaziale; Scansione lungo gli assi x, y, z (solo TC x); Sicuro, nessuna esposizione a radiazioni ionizzanti o mezzi di contrasto radioattivi. Contro Interazioni potenzialmente pericolose tra impianti metallici o pacemaker e i campi magnetici; Risoluzione temporale molto bassa (se si intende la capacità di rilevare cambiamenti di struttura nel cervello, ma questo dipende dai meccanismi di plasticità, che richiedono tempo, non da limiti tecnici); Costo alto. Tecniche di visualizzazione funzionale 1. Risonanza magnetica funzionale (fMRI) La MRI funzionale (fMRI) studia le funzioni cerebrali. Angelo Mosso, nel XIX secolo, studia pazienti con lacunee ossee prodotte in seguito a interventi neurochirurgici. Egli misurò le pulsazioni cerebrali da queste lacune craniche, notando che durante compiti che richiedono sforzo cognitivo (ad es. operazioni matematiche) si poteva osservare un aumento delle pulsazioni. Le sue conclusioni furono che il cervello umano aumenta la sua attività in funzione dello sforzo. La fMRI (come anche la PET) non misura direttamente l’attività cerebrale (come fanno invece EEG e MEG), ma le risposte emodinamiche (dinamiche della risposta del sangue) che accompagnano l’aumento di attività neuronale. In particolare, la fMRI è basata sulla registrazione del contrasto BOLD (Blood Oxygenation Level Dependent), che dipende dal rapporto tra ossiemoglobina (HbO2 ) e desossiemoglobina (Hbr) nei tessuti nervosi. Il ferro dell’Hbr è una sostanza paramagnetica, cioè si polarizza intensamente se immerso in un campo magnetico. Riduce il segnale di ritorno fMRI. Al contrario il ferro della HbO2 non è suscettibile al campo magnetico (sostanza diamagnetica) come il resto del tessuto cerebrale. Più forte il segnale di ritorno. 1. Aumento attività neurale locale (nella zona interessata dal compito); 2. Aumento metabolismo locale: consumo di ossigeno (con relativo aumento di desossiemoglobina). Il segnale BOLD risulta negativo e molto spesso non è visibile (variazione molto piccola); 3. A seguito di questo sbilanciamento si crea un aumento flusso ematico nella regione attiva. Poiché l’aumento di flusso ematico eccede la capacità del tessuto nervoso di utilizzare l’ossigeno ematico fornito all’area (arriva più sangue di quello richiesto) nell’area attiva si crea: a. aumento relativo di ossiemoglobina; b. riduzione di desossiemoglobina; 4. Aumento locale del segnale BOLD in prossimità dei capillari che irrorano le aree attive. ⚠ Il limite di risoluzione temporale della tecnica è nell’ordine di alcuni secondi. La tecnica di per sé è veloce, ma la risposta emodinamica no. ➔ Emoglobina: proteina che porta ossigeno. È costituita da 4 subunità con ognuna un gancio costituito da uno ione ferroso (si aggancia all’ossigeno). Procedura In un tipico esperimento o fMRI, il partecipante è sdraiato con la testa nel magnete e svolge un compito. Fasi di un esperimento fMRI: 1. Fase di acquisizione di immagine strutturale: viene acquisita un'immagine anatomica (T1 = migliori dettagli anatomici) del cervello ad elevata risoluzione, che in seguito sarà usata per sovrapporre le regioni di attivazione cerebrale. 2. Fase di acquisizione di immagini funzionali: vengono prese una serie di immagini funzionali (T2*) a più bassa risoluzione. Si tratta di un tipo di analisi orientata a captare livelli di ossi e desossiemoglobina, quindi “scarta” tutto ciò che non c'entra. Si prende un volume che rappresenta un attivazione. 3. Appaiamento delle 2 immagini (coregistrazione): prendo la T2 (funzionale) e la proietto sulla T1 (strutturale), appunto la coregistrazione. Negli studi di gruppi bisogna mettere in relazione teste che hanno anatomia diversa e si usano i metodi stereotassici, nati dalla neurochirurgia, sfruttano sistemi di coordinate che permettono allo studioso di fare ipotesi sulla localizzazione di certe aree del cervello. In questo modo è possibile mettere insieme dati provenienti da più persone: si prende la scansione individuale e si deforma per farla combaciare a un modello anatomico standard (con coordinate definite). A questo punto ho un cervello standard. 4. Metodo sottrattivo. Si fa la differenza (contrasto) tra le 2 immagini ottenute in circostanze diverse. Vedo quali regioni sono più attive in ogni circostanza. Voxel per voxel confronto l’attività del cervello nelle 2 condizioni. Non basta una condizione, ne servono almeno 2: una sperimentale e una di controllo. Il metodo della sottrazione in fMRI è ispirato al metodo della sottrazione cognitiva di Donders, che si applicava ai tempi di reazione (TR). Donders misura il tempo di un processo cognitivo confrontando 2 TR: il tempo di reazione di un compito semplice e il tempo di reazione di un compito più complesso che ingloba il compito semplice e il compito che è interessante per la ricerca, dopodiché si sottrae al TR del compito più complesso il TR del compito più semplice (es. TR1: Premi un pulsante quando vedi una luce; TR2: Premi quando la luce è verde ma non quando è rossa; TR2 – TR1 = tempo per discriminare 2 stimoli diversi). a. Esempio di implemento della risonanza con metodo sottrattivo: se vogliamo localizzare la regione cerebrale attiva durante la percezione di stimoli in movimento (area V5/MT+), avremo: i. T1: Non viene presentato alcun stimolo ii. T2: Vengono presentati stimoli statici iii. T3: Vengono presentati stimoli in movimento iv. T2 – T1 o T3 – T1 = aree cerebrali che rispondono a stimoli visivi v. T3 – T2 = area cerebrale che risponde al ’movimento’ Questa tecnica presenta 2 possibili errori: Possibili fattori aggiunti in T3 (oltre il movimento): gli stimoli in movimento catturano maggiormente l’attenzione, attivando aree responsabili per meccanismi attentivi; Possibili fattori eliminati in T3: adattamento retinico. 5. Preprocessing (Normalizzazione, smoothing) e analisi statistica. Noi registriamo attività del cervello in 2 condizioni e si rappresentano nel tempo, ovvero si fa la media del segnale BOLD in T1 e la media del segnale BOLD in T2*. Dopodiché si comparano le 2 distribuzioni di dati tramite t-test (grandezza di indice t mi dà il colore nelle immagini, ovvero mi rende le differenze significative). Riduzioni di segnale BOLD durante compiti cognitivi (Default-Mode Network, DMN) Attivazioni maggiori per condizioni di controllo (osservazione passiva di stimoli) rispetto a compito attivo (ad es. rilevazione di target, organizzazione di sequenze, rilevamento di intenzioni, elaborazione linguistica etc.) nella rete cerebrale del cosiddetto DMN osservate attraverso centinaia di studi di imaging funzionale (fMRI e PET). Si osserva una simile riduzione per compiti cognitivi molto diversi che in comune hanno solo la richiesta di implementare attivamente un comportamento orientato a uno scopo. Stesse aree del DMN (in particolare parietali posteriori mesiali/cingolo posteriore) sono associate ad elevato metabolismo di base del glucosio in condizioni di riposo (resting state) misurato con 18F-fluorodeoxyglucose. Esistono 2 modalità più evolute di studiare il segnale BOLD (oltre il metodo sottrattivo): 1. Connettività funzionale. Possiamo studiare le connessioni tra i neuroni di una rete cerebrale dal punto di vista strutturale (DTI, studio i fasci di fibre ovvero le connessioni anatomiche), ma anche funzionale. A questo proposito entrano in gioco 2 tipi di connettività, che hanno a che fare con le connessioni funzionali: a. Connettività funzionale: descrive le dipendenze statistiche tra eventi neurofisiologici remoti. Si basa sulla correlazione temporale tra le serie temporali fMRI di diverse regioni del cervello. Durante un certo compito alcune regioni tendono a lavorare insieme ad altre. Perché il cervello è composto da una serie di reti che lavorano contemporaneamente. Per studiare come queste reti operano possiamo usare il segnale BOLD, vedendo come co-varia nel tempo in un insieme di voxel rispetto a un altro insieme di voxel. La connettività funzionale ci dà informazioni di correlazione temporale, ovvero come diverse regioni correlano e co-variano nel tempo. b. Connettività effettiva: descrive le influenze causali che un’area esercita su un’altra. Si basa su un modello meccanicistico degli effetti causali che hanno generato i dati. Non si studia solo la correlazione, ma più una regressione. 2. Multi-Voxel Pattern Analysis (MVPA): si focalizza sull’analisi e comparazione di un pattern di voxel distribuito di attività (tecnica multivariata). I dati da singoli voxels all’interno di una regione sono analizzati insieme. Si studiano dei pattern di attività. Il MVPA permette anche di implementare applicazioni di «brain reading/decoding» che indicano come specifici stati mentali o contenuti rappresentazionali possono essere decodificati dal pattern di attività fMRI dopo aver compiuto una fase di apprendimento (training). In questo contesto, il MVPA fa uso di classificatori (Machine Learning) che derivano da una branca dell’intelligenza artificiale. ➔ Network anticorrelati: alcuni network mostrano una correlazione negativa ad es. il network dorsale frontoparietale (colori freddi), attivo in compiti attentivi, e il Default Mode network (colori caldi) attivo in condizioni di riposo. Pro e contro della fMRI Pregi: Permette di valutare l'attività funzionale in vivo; Eccellente risoluzione spaziale; Tecniche analitiche avanzate per monitorare la connettività funzionale e dedurre il contenuto rappresentazionale (ad es. MVPA); Non invasivo (soprattutto se confrontato con la PET). Difetti: Può mostrare solo dati di correlazione; Misura una risposta emodinamica, non l'attività neuronale diretta; quindi, non differenzia tra inibizione neurale ed eccitazione; Il segnale fMRI è relativamente debole (il BOLD mostra variazioni dell'1- 4% rispetto alla condizione di riposo), quindi richiede valutazioni multiple per isolare il rumore di fondo; Bassa risoluzione temporale: dipende dalla natura della risposta BOLD, che è un’attività che richiede tempo (flusso di sangue è lento, nell’ordine di qualche secondo); Sensibile a numerosi artefatti (movimenti della testa); Costo elevato (sia per acquisto che per mantenimento). 2. Tomografia ad emissione di positroni (PET) La PET è una tecnica che si basa su interazioni nucleari (sfrutta i raggi gamma, radiazioni con lunghezza d'onda piccolissima ed estremamente energetici) e sfrutta radiotraccianti, ovvero composti chimici in cui un atomo è stato sostituito da un isotopo (atomo avente numero di massa diverso rispetto ad un altro dello stesso elemento) radioattivo (ovvero un atomo che ha un eccesso di energia nucleare che lo rende instabile e di breve durata) che si può tracciare nello spazio, sono radioisotopi che emettono positroni (particella simile all'elettrone con carica opposta). La PET utilizza radioisotopi che emettono positroni (particelle dell’antimateria simili ad elettroni, ma con carica positiva e massa nulla). Le sostanze radioattive (ad es. glucosio, ossigeno, ecc.) vengono introdotte nel flusso sanguigno (per inalazione o iniezione endovenosa) in modo che vengano trasportate al cervello e consumate, in particolare nelle regioni più attive. Lo scanner PET (gamma camera) localizza la distribuzione dei radiotraccianti, mentre decadono. Si tratta di un processo molto lento. La PET è stata la prima tecnologia di imaging sviluppata per misurare il funzionamento del cervello (anni '70 e ‘80), nasce come una tecnica di rappresentazione bidimensionale di oggetti bidimensionali (“tomografia”), tuttavia oggi è possibile acquisire anche dei piccoli volumi, perchè la rilevazione non è più limitata dall’attivazione di detettori sullo stesso piano, ma possono essere più detettori in diversi piani. Si basa sulla somministrazione esogena di radiotraccianti instabili che emettono positroni attaccati a una molecola di interesse biologico (es. 18F-desossiglucosio che si distribuisce in base al consumo di glucosio). I radiotraccianti si accumulano su regioni cerebrali più attive. Quando i radioisotopi decadono, emettono positroni (la controparte dell'antimateria degli elettroni) e passano da uno stato instabile a uno stabile, non radioattivo. I positroni si annichiliscono quando entrano in collisione con gli elettroni, portando al rilascio di 2 fotoni gamma con traiettorie opposte. Questi sono rilevati dalla gamma camera (scanner sensibile a raggi gamma, in cui sono presenti detettori in grado di rilevare le radiazioni gamma) e gli algoritmi ricostruiscono le immagini. Il limite spaziale di questo processo è che io non vedo dove si è depositato il radiotracciante, ma vedo solo l’annichilazione dove avviene Il limite temporale della tecnica dipende dal tipo di radioisotopo che si utilizza: ci sono radioisotopi con emivita (50% della sostanza decaduta) corta e radioisotopi con emivita più lunga. Io vedo compresso nel tempo ciò che accade in un periodo di tempo, ciò significa che non è possibile distinguere tutti i processi che accadono, ad esempio, dopo la somministrazione del compito. Diversi traccianti vengono utilizzati per studiare vari processi: ○ Traccianti di perfusione (breve emivita, 1-2 min): immagini del flusso sanguigno cerebrale regionale (rCBF). Attivazioni legate a compiti (ad es. 15 acqua contrassegnata con 𝑂 ); ○ Traccianti metabolici (emivita più lunga): immagini del metabolismo cerebrale regionale a riposo (ad es. metabolismo del glucosio, utilizzando 18 fluorodeossiglucosio contrassegnato con 𝐹 ); ○ Traccianti per l'imaging con target proteico: immagini della distribuzione proteica come neurorecettori, trasportatori, enzimi o placche (es. recettori dopaminergici, 18F-DOPA; accumulo di proteine ​tau patologiche, 18F-flortaucipir). Le proteine ci danno informazioni sul tipo di neurotrasmettitori utilizzati in certe regioni cerebrali. ➔ I radiotraccianti PET sono prodotti attraverso un ciclotrone, ovvero un acceleratore di particelle utilizzato per bombardare atomi specifici (ad esempio ossigeno, fluoro, ecc.) con protoni e creare così radioisotopi emittenti di positroni. Questi radioisotopi vengono quindi attaccati mediante sintesi biochimica a una molecola biologica di interesse (ad esempio glucosio, acqua ecc.). ⚠ La tomografia computerizzata a emissione di singolo fotone (SPECT) è concettualmente correlata, ma la PET utilizza il rilevamento della coincidenza per migliorare la risoluzione spaziale. L'imaging PET viene utilizzato nelle neuroscienze cliniche per valutare i biomarcatori in vivo della patologia cerebrale e monitorare la gravità della malattia. Protein target imaging: proteina tau. Tau imaging mostra un maggiore accumulo di 18 proteine ​tau alterate nella malattia di Alzheimer (imaging della proteinopatia con 𝐹 -flortaucipir); Protein target imaging: trasportatori delle monoammine. L'imaging del trasportatore 18 vescicolare delle monoamine di tipo 2 (attraverso 𝐹 -DTBZ) mostra una ridotta funzione del neurotrasmettitore nei pazienti con malattia di Parkinson rispetto ai controlli. Pro e contro della PET Pro: I traccianti PET sono progettati per essere affini a specifici processi biologici e possono essere utilizzati per mappare la loro distribuzione locale nel cervello. Contro: Scarsa risoluzione temporale: inferiore alla fMRI, la risoluzione dipende dall'emivita dei radioisotopi; Risoluzione spaziale inferiore; Non fornisce dati anatomici (la PET deve essere combinata con TC o RM, per visualizzare immagini strutturali); Uso di composti radioattivi (all’inizio l’uso era perlopiù sui maschi perché potrebbe intaccare DNA di ovuli. Adesso ci sono degli accorgimenti per limitare i danni); Traccianti di sintesi costosi (ciclotrone). Tecniche di neurostimolazione 1. Stimolazione magnetica transcranica (TMS) Si tratta di uno degli approcci che abbiamo per studiare il ruolo causale di alcune regioni cerebrali sul comportamento, ovvero ci permette di valutare rilevanza funzionale di alcune regioni cerebrali sul comportamento (approccio causale). Tecnica neurofisiologica non-invasiva che permette di stimolare specifiche aree cerebrali. Si basa sull’applicazione di un campo magnetico transiente sullo scalpo mediante uno stimolatore (detta bobina o coil). Il tessuto neurale sottostante il coil è soggetto ad un flusso di corrente che provoca la depolarizzazione neuronale (neuroni si attivano). ➔ Il principio fisico attraverso il quale avviene la stimolazione del cervello è il principio di induzione elettromagnetica di Faraday: principio che mette in relazione campi elettrici e campi magnetici che variano nel tempo. Un campo magnetico può indurre delle correnti elettriche. Il principio di induzione elettromagnetica mi dice che se io faccio girare in una bobina della corrente, l’impulso può provocare un campo magnetico che ha linee di flusso perpendicolari rispetto al piano della bobina. Il campo magnetico è in grado di indurre la corrente in un secondo conduttore (può avvenire anche a distanza, ma ovviamente il secondo conduttore deve essere nelle vicinanze). Il campo magnetico è il vettore di una stimolazione elettrica. Nella stimolazione transcranica il secondo conduttore altro non è che il tessuto cerebrale. Il campo magnetico è un vettore per indurre una polarizzazione nei neuroni del tessuto cerebrale (genera un campo elettrico indotto). Risoluzione temporale: l’evento fisico dura pochissimo (un decimo di millisecondo), però una volta che una serie di campi magnetici brevi riescono ad eccitare i neuroni, questo ha effetti fisiologici che possono protrarsi nel tempo per alcuni millisecondi. Risoluzione spaziale: dipende dalla geometria del coil (es. il coil circolare attiva una porzione ampia della corteccia, mentre se utilizzo coil focali avrò dei campi magnetici più ristretti con concentrazione massima al centro del coil. Con coil conici posso 2 andare più in profondità). Varia da 0,5 a 2 𝑐𝑚 a seconda dell’intensità del campo e della forma del coil. L’effetto della stimolazione può essere studiato in diversi modi: possiamo stimolare un’area del cervello e concentrarci sugli effetti sul comportamento; in combinazione con altre tecniche possiamo valutare risposte emodinamiche che derivano dalla stimolazione di un’area; possiamo stimolare la corteccia motoria per attivare una via cortico-spinale ed evocare dei piccoli twitch, ovvero potenziali elettrici che creano la contrazione dei muscoli. Spesso si stimolano diverse aree del cervello, in modo da vedere se quella porzione specifica, a differenza delle altre, svolge un ruolo in quel compito. Si testa la specificità delle diverse regioni cerebrali. Tuttavia, gli effetti che noi produciamo, dal punto di vista della risoluzione spaziale, possono essere abbastanza piccoli, ma quando stimolo un gruppo di neuroni l’attivazione si diffonde grazie all’interconnessione tra neuroni. Ciò limita le inferenze che si possono fare, perché non si sa se l’effetto è dovuto alla regione stimolata o alla serie di eventi a cascata e aree attivate. Questo ci dice che quando studiamo gli effetti della neurostimolazione sul comportamento possiamo trovare effetti specifici dell’area stimolata (effetti specifici per il sito, sito specifici), tuttavia gli effetti che produco non sono mai limitati al sito (non sono sito limitati), ma dipendono dalle interconnessioni con altri neuroni. Lesione virtuale Anni fa si parlava di “lesione virtuale”: quando stimoliamo un’area del cervello si assiste a una perturbazione e questo può produrre un effetto simile a quello di una lesione cerebrale. Singoli impulsi o treni di impulsi (TMS ripetitiva) somministrati su un’area target possono alterare la prestazione comportamentale che richiede la funzione implementata nell’area stimolata. Logica della «lesione virtuale»: se l’area A è coinvolta nel processo cognitivo X e non è coinvolta nel processo cognitivo Y, allora l’interferenza con l’area A porterà a una prestazione alterata in compiti che si basano sul processo X (non in quelli che si basano su Y). Dunque l’area A ha un ruolo critico nel processo X (ma non non Y). Si tratta di una logica che serve a stabilire legami causali tra cervello e comportamento. Quando voglio effettuare uno studio che vuole confermare un rapporto causale, devo inserire una serie di controlli, ovvero devo stimolare attivamente l’area target ma anche siti di controllo, per confrontare le diverse situazioni ed essere sicuri sulle nostre inferenze. Esempi di studio degli effetti di lesioni virtuali: Nel 1989 Amassian vede che dopo aver presentato singoli impulsi somministrati per pochi secondi in concomitanza di un compito di riconoscimento di lettere è possibile valutare l’effetto sul riconoscimento visivo. Quando si stimola intorno a 100 ms dopo la presentazione di uno stimolo i partecipanti riportano un’accuratezza inferiore ( non riescono a riconoscere bene la lettera presentata). Si è interferito in un intervallo preciso con la funzione visiva. Questo avviene perché quell’area è funzionale in quello specifico intervallo e serve meno in momenti successivi. Questo esperimento offre la dimostrazione di un’interferenza in specifici intervalli di tempo e permette di stabilire quando l’area stimolata è critica per il comportamento (informazione sulla cronometria dei processi mentali: quando un’area è importante per un compito). Es. di “Lesione virtuale” per testare il ruolo funzionale della corteccia visiva in persone cieche e normo-vedenti nella lettura braille (testando la loro possibile diversa organizzazione cerebrale). Alcuni pazienti che hanno riportato una lesione cerebrale riportavano sintomi specifici (es. In seguito a lesione occipitale bilaterale, una donna non-vedente perde la capacità di lettura braille). Quindi i ricercatori creano uno studio che combina la PET con la TMS. Fanno leggere dei caratteri braille a dei non-vedenti, accorgendosi che si attivano le aree senso-motorie, ma anche quelle visive. Successivamente iniziano a stimolare, con la TMS, la corteccia visiva e la corteccia somatosensitiva. I partecipanti ciechi, alla stimolazione della corteccia sensoriale e motoria, aumentano gli errori di lettura (i vedenti li aumentano ancora di più). Se si interferisce con la corteccia visiva primaria, i vedenti aumentano di poco gli errori, ma i non-vedenti aumentano vistosamente gli errori. Questo ci dice che nelle persone cieche il cervello ha subito cambiamenti plastici, per cui le regioni cerebrali che non vengono più usate vengono riorganizzate per svolgere compiti nuovi. Gli stessi autori ripetono uno studio in cui stimolano delle persone non vedenti con 2 compiti (detezione -captare presenza o meno di stimolazione- e identificazione/discriminazione). Gli autori concludono che per i partecipanti ciechi: ○ la corteccia sensorimotoria è critica per rilevare e riconoscere caratteri Braille molto precocemente (a 20 ms dalla presentazione dello stimolo); ○ successivamente (a 60 ms) la corteccia occipitale diventa critica nel riconoscere (non rilevare) caratteri Braille. Le funzioni e i processi alterati dalle lesioni virtuali indotte da rTMS includono: Azione, Attenzione, Percezione, Linguaggio, Working memory, Elaborazione dello spazio, dei numeri, Funzionamento sociale, Processi decisionali ecc. Possiamo alterare diverse funzioni secondo 2 modalità: rTMS può essere somministrata «online» per interferire con una regione cerebrale mentre il partecipante svolge il compito; rTMS può essere somministrata «offline», mentre il partecipante è a riposo, prima di svolgere il compito. Infatti ci sono diversi protocolli rTMS che inducono effetti eccitatori e inibitori sulle regioni stimolate, dunque alternandone il funzionamento in modo transitorio. ⚠ Il concetto di lesione virtuale è utile per descrivere un effetto sul comportamento ma non rappresenta bene il meccanismo dell’interferenza: la TMS inietta un «rumore neurale» nell’area stimolata, ovvero attività neurale che compete o interagisce con le risorse impegnate a svolgere un compito, dunque rallentando o compromettendo l’esecuzione dello stesso (ammesso l’area stimolata sia critica per il comportamento). Tuttavia il rumore non necessariamente porta a compromissione. Per un buon funzionamento è necessario un livello ottimale di rumore. Studi sperimentali dimostrano che quando il segnale è debole, inserire un «rumore neurale» può portare a una migliore prestazione. Ad esempio: un gruppo di ricercatori ha studiato un compito di discriminazione del movimento attraverso 2 condizioni: ○ alta coerenza: 80-90% dei pallini si muove in una direzione, per cui è facile riconoscere il movimento (compito più semplice); ○ bassa coerenza: 20% dei pallini si muove in una direzione, il restante si muove a caso. Si individua lo stesso la direzione, ma con più errori. Si è notato che, somministrando diversi gradi di TMS sull’area V5 (importante per la percezione del movimento), tutto dipende dal rapporto tra segnale e rumore: un livello ottimale di rumore può portare a migliore prestazione (tanto rumore su uno stimolo intenso è controproducente; se il segnale è debole e io inietto poco rumore la prestazione sale). Protocolli rTMS: indurre plasticità corticale La TMS può produrre effetti che durano nel tempo. Questo avviene tramite TMS ripetitiva (rTMS): si presentano treni di impulsi TMS somministrati: ad alte/basse frequenze; in modo intermittente/continuo. Possono agire su: Efficienza sinaptica (i.e., Long Term Depression/Potentiation). Quando io stimolo un’area posso attivare dei meccanismi che vanno ad aumentare o ridurre l’efficienza sinaptica, ovvero l’efficienza della conduzione dell’impulso da un neurone ad un altro; Espressione genica dei neuroni: i neuroni cambiano la loro struttura e iniziano ad esprimere proteine di membrana diverse. A sua volta, questo può portare a cambiamenti fisiologici che permangono oltre la durata del protocollo rTMS e consistono in cambiamenti di: Eccitabilità corticale; Livelli di uno o più neurotrasmettitori. C’è la possibilità di modulare regioni cerebrali, questo processo è detto neuromodulazione. Per neuromodulazione s’intende la possibilità di influenzare l’attività del sistema nervoso centrale e periferico attraverso vari approcci invasivi e non invasivi che possano innescare dei meccanismi di plasticità cerebrale, per finalità cliniche e di ricerca Tra i metodi invasivi: ○ Deep brain stimulation; ○ Modulazione farmacologica; ○ Modulazione optogenetica; ○ Stimolazioni epidurali. Tra i metodi non invasivi: ○ Stimolazione magnetica transcranica rTMS convenzionale con alte o basse frequenze: Bassa freq.: un singolo treno di rTMS a 1 Hz (e.g., 1 impulso per secondo) che dura per alcuni minuti (ad es. 10 min) induce tipicamente una riduzione di eccitabilità corticale (effetti tipo long term depression) che dura alcuni minuti; Alta freq: brevi treni di rTMS a 5-20 Hz tipicamente ripetuti alcune volte tipicamente inducono un incremento di eccitabilità corticale che durano alcuni minuti. rTMS a pattern: Theta Burst Stimulation (TBS), consiste in 3 impulsi TMS ad alta freq. (50 Hz) somministrati a frequenza theta (5 Hz). Continuous TBS (cTBS): un singolo e breve treno continuo di TBS (ad es. di 40 sec) induce una riduzione dell’eccitabilità corticale; Intermittent TBS (iTBS): una serie di brevi treni di TBS ripetuti nel tempo (intermittenti) induce un incremento dell’eccitabilità corticale. ○ Stimolazione elettrica transcranica; ○ Bio/neuro feedback. ➔ Singola dose di rTMS: ha effetti transitori / plasticità a breve termine (ad es. alcuni minuti); ➔ Sessioni ripetute di rTMS: ha effetti più duraturi (ad es. giorni, mesi) per via di un fattore cumulativo. La stimolazione ripetuta ha degli effetti anche nelle connessioni sinaptiche delle regioni connesse a quella stimolata (dovuto al cambiamento dell’espressione di alcune proteine). Applicazioni cliniche della TMS Negli anni ‘90 si scopre che usando la TMS sulla corteccia prefrontale di sinistra con altissime frequenze è possibile ottenere effetti euforizzanti (reazioni non controllate: pianti isterici, comportamenti maniacali…). Nel 2008 il trattamento rTMS è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per pazienti con depressione farmaco resistente (rTMS ad alta frequenza su corteccia dorsolaterale prefrontale sinistra). Oggi la TMS è usata per diverse altre condizioni con approvazione FDA (emicrania, DOC, dipendenze da fumo etc.). Le neuroscienze stanno offrendo strumenti concreti per la risoluzione di problematiche mentali. Esempio: è stata effettuata una ricerca con persone con depressione (N=1188) suddivise in 4 “biotipi” sulla base dei pattern di alterazione nella connettività funzionale in network limbici e frontostriatali (resting state fMRI). l pattern di connettività funzionale predice la risposta terapeutica all’intervento di rTMS su DLPFC (N=154 pazienti), e lo fa meglio delle caratteristiche cliniche. Quindi, conoscendo il biotipo è possibile prevedere il trattamento terapeutico più efficace, questo ci permette di risparmiare tempo e denaro. Dal punto di vista tecnologico sono nate nuove bobine di stimolazione per raggiungere specifici target di interesse. TMS eccitatoria o inibitoria Le tecniche di stimolazione cerebrale sono in grado di aumentare o diminuire l’attività di aree stimolate. In una condizione di normalità i 2 emisferi agiscono un controllo inibitorio reciproco. Diverse funzioni corticali dipendono dal bilanciamento tra l’attività dei 2 emisferi. Questo bilanciamento è controllato attraverso meccanismi di inibizione interemisferica. Lesioni unilaterali possono compromettere questo bilanciamento: queste lesioni producono la morte di gruppi di neuroni in un emisfero, ma possono disinibire l’emisfero intatto che tende ad eccitarsi maggiormente, aumentando la sua attività. A sua volta l’influenza inibitoria verso l’emisfero leso aumenterà e quindi l’emisfero sinistro leso ridurrà la sua attività (effetto di plasticità maladattiva). Si possono usare 2 strategie per cambiare lo sbilanciamento interemisferico creato da una lesione unilaterale: aumentare l’attività nell’emisfero leso; ridurre l’attività nell’emisfero sano. Questo ragionamento è stato la base dello sviluppo di numerosi studi: È stata condotta una ricerca su un gruppo di pazienti con lesione nell’emisfero sinistro. Durante l’utilizzo della mano sana (SX), si ha l’attivazione della corteccia motoria sana (DX). Quando si muove la mano malata, si ha una iperattivazione dell’emisfero sinistro. Viene utilizzata la strategia di inibire la corteccia motoria sana (stimolazione con TMS inibitoria), quindi l’emisfero sano esercita meno inibizione su quello malato, che lavorerà meglio. Vi è una linea di ricerca che cerca di capire come utilizzare la TMS in associazione ad altre tecniche. Esempio: dal momento che vi è un’interazione tra i 2 emisferi, se si vuole ritornare in una condizione di bilanciamento si deve stimolare con TMS. Il problema è che quando si stimola un network, la stimolazione è aspecifica, quindi devo completare la stimolazione con l’utilizzo di compiti che attivano un’area specifica. Lo studio è stato condotto su pazienti con emiparesi, provando a combinare la TMS inibitoria con il trattamento riabilitativo motorio. Si è scoperto che la TMS stimola la plasticità uso-dipendente (dipendente dall’uso). Si rivela efficace fare TMS prima del trattamento riabilitativo, perché con una stimolazione aspecifica si apre una finestra di plasticità, per cui la persona può beneficiare del training. Pro e contro della TMS Pro: Permette di stabilire legami causali tra struttura cerebrale e funzione; Eccellente risoluzione temporale (ad es. singoli impulsi:

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