Malattie extrapiramidali: Malattia di Parkinson PDF
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Questo documento tratta le malattie extrapiramidali, concentrandosi sulla malattia di Parkinson. Esplora l'eziologia della malattia, inclusa l'interazione di fattori genetici e ambientali. Descrive inoltre l'epidemiologia e la neuro-patologia della malattia, evidenziando la degenerazione dei neuroni dopaminergici nella pars compacta della sostanza nera.
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MALATTIE EXTRAPIRAMIDALI: MALATTIA DI PARKINSON 1. INTRODUZIONE Le malattie del sistema extrapiramidale sono un gruppo di patologie caratterizzate clinicamente dalla compromissione dell’attività motoria senza diretto coinvolgimento della forza o delle funzioni cerebellari. Derivano dalla disfunz...
MALATTIE EXTRAPIRAMIDALI: MALATTIA DI PARKINSON 1. INTRODUZIONE Le malattie del sistema extrapiramidale sono un gruppo di patologie caratterizzate clinicamente dalla compromissione dell’attività motoria senza diretto coinvolgimento della forza o delle funzioni cerebellari. Derivano dalla disfunzione dei gangli della base, comprendenti lo striato (caudato + putamen), globo pallido, nucleo subtalamico e sostanza nera. Queste malattie comprendono uno spettro fenotipico ai cui opposti si trovano forme acinetico-ipertoniche (riduzione dei movimenti accompagnata da aumento del tono muscolare) e ipercinetiche (dominate dalla comparsa di movimenti involontari patologici). 2. MALATTIA DI PARKINSON La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa a decorso progressivo cronico, definita clinicamente dall’associazione di tremore, rigidità e bradicinesia e caratterizzata dal coinvolgimento della pars compacta della sostanza nera. Rappresenta una delle più frequenti malattie neurologiche dell’età medio-avanzata, in particolare, è la seconda malattia neurodegenerativa più frequente dopo l’Alzheimer. 2.1. CENNI STORICI 1817 – Prima descrizione della malattia: La malattia di Parkinson fu descritta per la prima volta nel 1817 da James Parkinson nel saggio “An essay on the shaking palsy". Dato che nella malattia di Parkinson la motilità volontaria è ridotta, non abolita, il termine paralisi risulta improprio. Ciononostante, la descrizione dei vari sintomi fatta Parkinson è molto precisa. 1957 – Ruolo della L-Dopa: Nel 1957 Carlsson, giovane ricercatore svedese, si recò a Washington per studiare dei modelli animali trattati con reserpina (in grado di provocare la deplezione di catecolamine), che presentavano un quadro analogo al morbo di Parkinson. In questo contesto, Carlsson fece due scoperte: 1) Il quadro clinico degli animali poteva essere revertito bloccando la conversione della dopamina in noradrenalina, il che dimostrava che la dopamina non solo era il precursore della noradrenalina, ma era essa stessa un neurotrasmettitore; 2) Somministrando agli animali la dopamina, la pressione si normalizzava e l’acinesia (simile a quella riscontrata nella MP) migliorava. Da qui, Carlsson ipotizzò che la causa del Parkinson fosse un deficit di dopamina. 1967 – Terapia con L-Dopa: 10 anni più tardi, divenne disponibile la prima terapia a base di L-dopa, in grado di mitigare i sintomi della malattia di Parkinson (come raccontato nel libro “Risvegli” di Oliver Sacks). Allora, però, non si sapeva nulla sull’eziologia. 1997 – Mutazioni α-sinucleina: soltanto nel 1997, si scoprì che la proteina responsabile della neurodegenerazione è l’alfa-sinucleina. 2.2. EPIDEMIOLOGIA L'esordio avviene mediamente tra i 50 – 60 anni d’età. È possibile un esordio precoce di malattia tra i 20 e i 40 anni nel 5-10% dei pazienti; in forme più rare, a esordio giovanile, i sintomi compaiono prima dei 20 anni. Si calcola che nei Paesi industrializzati la prevalenza nella popolazione generale sia di 120 – 180 casi per 100000 individui, mentre l’incidenza si aggira intorno agli 8-18 nuovi casi su 100000 persone all’anno. La frequenza aumenta con il progredire dell’età. La malattia colpisce entrambi i sessi (con una lieve preponderanza per il sesso maschile) ed è ubiquitariamente diffusa. 2.3. EZIOLOGIA L'eziologia della malattia di Parkinson è ad oggi sconosciuta. Nonostante ciò, la ricerca scientifica ha portato all'identificazione di alcuni fattori che potrebbero avere un ruolo nella patogenesi della malattia: Agenti esogeni: la scoperta accidentale del MPTP (1-metil 4-fenil 1,2,3,6-tetraidropiridina), una sostanza tossica per i neuroni dopaminergici, ha suggerito il possibile ruolo di agenti esterni nella patogenesi della malattia. Il MPTP, un composto che si forma durante la sintesi dell'eroina sintetica, può causare un'intossicazione acuta con sintomi parkinsoniani. Il suo metabolita attivo, MPP+, inibisce il complesso I della catena respiratoria mitocondriale dei neuroni della pars compacta della sostanza nera, causando deficit energetico e produzione di radicali liberi. Studi epidemiologici hanno identificato sostanze simili al MPTP in insetticidi ed erbicidi, il cui uso rappresenta un fattore di rischio per la malattia, pur non costituendo uno specifico agente eziologico; Fattori genetici: L'importanza dei fattori genetici è testimoniata dall'esistenza dei cosiddetti parkinsonismi monogenici, forme familiari di malattia di Parkinson causate da mutazioni specifiche. Queste forme rappresentano circa il 5% di tutti i casi di malattia di Parkinson e possono presentare un fenotipo clinico e un quadro patologico diverso dalla forma classica. Tra i parkinsonismi monogenici si distinguono forme a trasmissione autosomica dominante e recessiva. o Trasmissione autosomica dominante: Le forme più frequenti sono quelle dovute a mutazioni nel gene LRRK2 (locus PARK8) e nel gene SNCA (locus PARK1/4). Quest'ultimo codifica per l'alfa-sinucleina e la sua mutazione è stata la prima forma familiare identificata, caratterizzata da esordio precoce e decorso aggressivo; o Trasmissione autosomica recessiva: Tra le forme più note vi è quella dovuta a mutazione del gene PARK2 (parchina), caratterizzata da esordio precoce e spiccata risposta alla L-Dopa. o Polimorfismi genetici: Oltre alle mutazioni responsabili dei parkinsonismi monogenici, alcune varianti alleliche (polimorfismi) di specifici geni, come SNCA, PARK2, MAPT (che codifica per la proteina tau) e GBA (che codifica per la beta-glucocerebrosidasi), sono associate ad un aumentato rischio di sviluppare la malattia sporadica. Fattori ambientali: la maggior parte dei casi di malattia di Parkinson è sporadica e si ritiene sia dovuta all'interazione tra fattori ambientali e predisposizione genetica. I fattori ambientali potrebbero agire come agenti tossici sulle cellule dopaminergiche, mentre la predisposizione genetica potrebbe aumentare la suscettibilità al danno; Accumulo di proteine: come in altre patologie neurodegenerative, l'accumulo di aggregati proteici sembra avere un ruolo patogenetico importante anche nella malattia di Parkinson. La disfunzione dei sistemi di degradazione delle proteine (proteasoma e autofagia) potrebbe spiegare l'accumulo di α-sinucleina con struttura alterata (misfolding proteico). Questo accumulo porta alla formazione di aggregati oligomerici tossici e alla deposizione di corpi di Lewy. La degenerazione dei neuroni dopaminergici della sostanza nera potrebbe essere legata alla loro maggiore suscettibilità al danno ossidativo. Il catabolismo della dopamina genera radicali liberi, contribuendo allo stress ossidativo. Le diverse forme di Parkinson possono essere distinte in: Forme genetiche: sono causate da mutazioni specifiche in geni che codificano per proteine coinvolte nella funzione sinaptica, nel trasporto vescicolare e nella degradazione proteica. esistono diverse mutazioni genetiche responsabili della malattia di Parkinson. Queste possono essere distinte in gain of function (generalmente responsabili delle forme autosomiche dominanti) e in loss of function (legate soprattutto alle forme recessive); Forme sporadiche (più frequenti): sono probabilmente il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali. Il primo gene scoperto è stato quello dell’α-sinucleina, nel locus park1, che subisce una mutazione gain of function. Dopo qualche anno, è stata scoperta un’altra proteina, un’ubiquitina-ligasi chiamata Parkina, la cui mutazione era responsabile di una forma autosomica recessiva. La sua mutazione, differentemente dalla precedente, è una loss of function, in quanto il suo ruolo è quello di legare le ubiquitine per indirizzare le proteine da smaltire al proteasoma. Ne consegue che, una sua perdita di funzione, determini l’accumulo delle proteine, tra cui l’α-sinucleina. Tra le forme autosomiche dominanti, vi è la mutazione di PARK6, una protein-chinasi che fosforila altre proteine ed anche park7 che, come altre proteine coinvolte, ha un ruolo nel sistema proteasomale. Modello dei meccanismi di clearance mitocondriale controllati dai geni PINK1, Parkina, DJ-1 e Oml/HtrA2. I geni responsabili del Parkinson recessivo sono: Parkina, PINK-1, DJ1 (trasloca nelle membrane mitocondriali e attiva un complesso che stimola l’ubiquitinazione dei mitocondri vecchi o danneggiati. Inoltre, sui mitocondri sono presenti delle proteine, dette mitofusine, che in seguito all’ubiquitinazione permettono l’eliminazione dei mitocondri danneggiati. Un deficit in questo sistema determina l’accumulo dei mitocondri danneggiati, con produzione di radicali dell’ossigeno e conseguente apoptosi cellulare. Si può notare che le mutazioni recessive sono implicate, più che nell’accumulo di proteine misfolded, in un aumento (indiretto) della produzione di radicali liberi, a causa del mancato smaltimento dei mitocondri difettosi. Alcune forme genetiche di malattia di Parkinson sono dovute a mutazioni dei geni: PARK1/4: causano rispettivamente l’alterazione o iperespressione (per amplificazione genica) dell’α- sinucleina, dando luogo a una forma di MP a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da un esordio precoce (30 anni) e da una grande quantità di corpi di Lewy. L’α-sinucleina è così chiamata perché si trova nei nuclei e nelle sinapsi dopaminergiche, dove serve a veicolare la dopamina nelle vescicole dopaminergiche. La scoperta della localizzazione dell’α-sinucleina nelle vescicole sinaptiche e nei corpi di Lewy venne fatta dalla neurologa italiana Maria Grazia Spillantini. Grazie a queste scoperte si iniziò a parlare di “α-sinucleinopatie”; PARK2: codifica per la parkina, E3-ligasi che lega l’ubiquitina alle proteine che devono essere degradate (causa MP ereditaria autosomica recessiva); PARK6: codifica per una chinasi mitocondriale (causa MP ereditaria autosomica recessiva); PARK7: codifica per una proteina coinvolta nella risposta allo stress ossidativo (causa MP ereditaria autosomica recessiva); PARK8: codifica per LRRK2 o dardarina (causa MP ereditaria autosomica dominante); HTR-A serina peptidasi: coinvolta nella risposta allo stress. In conclusione, questi importanti studi genetici, che hanno identificato proteine essenziali, sono derivati dall’analisi di famiglie in cui la malattia si ripeteva spesso. Tuttavia, i casi di Parkinson più frequenti sono sporadici ed insorgono intorno ai 60-70 anni. C’è una sempre predisposizione genetica però la malattia si manifesta grazie anche all’interazione con fattori ambientali. All’estremo opposto della gaussiana, troviamo i casi ad insorgenza precoce, anche intorno ai 40 anni che hanno una forte familiarità. A questo proposito il prof cita il caso del ragazzo di 18 anni che aveva iniziato a sviluppare i sintomi del Parkinson. Si è scoperto che aveva una doppia mutazione del gene parkina su entrambi gli alleli. All’altro estremo si collocano le forme tossiche, causate dall’esposizione a determinate sostanze e che possono manifestarsi a qualsiasi età, purché ci sia l’esposizione (esempi: MPTP, manganese, pesticidi). 2.4. NEUROPATOLOGIA La malattia di Parkinson è caratterizzata da una degenerazione progressiva dei neuroni dopaminergici nella pars compacta della sostanza nera, una regione del mesencefalo che fa parte dei gangli della base. Questa degenerazione neuronale è accompagnata da una serie di alterazioni istopatologiche. Macroscopicamente, la sostanza nera appare assottigliata e pallida a causa della perdita neuronale. A livello microscopico, si osserva una rarefazione neuronale a carico dei neuroni pigmentati, gliosi e rilascio del pigmento melaninico. I neuroni superstiti presentano inclusioni citoplasmatiche ialine chiamate corpi di Lewy, composti principalmente da polimeri di α-sinucleina. L'α-sinucleina è una proteina a localizzazione presinaptica, mitocondriale e citoplasmatica, la cui funzione non è ancora completamente chiarita. La suscettibilità selettiva dei neuroni dopaminergici all'accumulo di α-sinucleina è ancora oggetto di studio. Una possibile spiegazione è la maggiore produzione di radicali liberi da parte di questi neuroni, a causa del catabolismo della dopamina (la dopamina viene ossidata a DOPAC con produzione di H2O2 ad opera delle MAO-B). Inoltre, la dopamina può subire un processo di autossidazione, con produzione di radicale superossido. La neuromelanina è molto ricca di Fe2+, in grado di innescare processi ossidativi non enzimatici. Lo stress ossidativo cronico potrebbe favorire l'aggregazione dell'α-sinucleina e la formazione dei corpi di Lewy. Normalmente, al loro interno esistono sistemi antiossidanti che mantengono un certo equilibrio, il quale però viene compromesso nel momento in cui i sistemi di smaltimento vengono ingolfati dall’eccessiva presenza di alfa-sinucleina, con conseguente formazione di ulteriori radicali liberi e maggiore stress ossidativo. L’alfa sinucleina, inoltre, fa parte delle vescicole sinaptiche che incamerano dopamina. In seguito al suo danno, meno dopamina viene immagazzinata in vescicole e sarà maggiore la quota indirizzata al catabolismo, con maggiore formazione di radicali liberi. La dopamina viene prodotto a partire dalla tirosina tramite tirosina-idrossilasi, che la converte in L-Dopa, e successivamente tramite Dopa-decarbossilasi, che converte la L-Dopa in dopamina. Una volta sintetizzata, la dopamina viene immagazzinata in vescicole e rilasciata nello spazio intersinaptico così cje possa legarsi ai recettori post-sinaptici D1 (via diretta) o D2 (via indiretta). I gangli della base sono un gruppo di nuclei cerebrali coinvolti nel controllo motorio, nella pianificazione e nell'esecuzione dei movimenti volontari. La perdita di neuroni dopaminergici nella sostanza nera porta a una riduzione della dopamina nello striato, un'altra struttura dei gangli della base. Si ha una progressiva perdita dei neuroni dopaminergici della pars compacta della sostanza nera, che appare tipicamente più pallida. Affinché si abbia il quadro clinico, è necessaria la perdita di almeno il 70% di queste cellule, con conseguente perdita delle proiezioni nigro- striatali. La deplezione di dopamina altera l'equilibrio dei circuiti neuronali nei gangli della base, causando i sintomi motori tipici del Parkinson: tremore a riposo, rigidità (ipertono plastico), bradicinesia, instabilità posturale. La degenerazione non si limita alla sostanza nera, ma segue una progressione caudorostrale. Secondo le osservazioni di Braak, le prime aree colpite sono il bulbo olfattorio e il nucleo motore dorsale del vago. Successivamente, la degenerazione si estende ad altre aree del tronco encefalico (nucleo del rafe, locus coeruleus), dell'amigdala e del sistema limbico, per poi raggiungere la corteccia temporale e infine le aree prefrontali. Il danno neuronale si estende quindi ad altre aree del cervello, causando una varietà di sintomi non motori che spesso precedono la comparsa dei disturbi motori. La principale alterazione biochimica nella malattia di Parkinson è la deplezione di dopamina nello striato. Questa deplezione è correlata alla gravità della sintomatologia. La malattia diventa clinicamente evidente quando il numero di neuroni dopaminergici e il contenuto di dopamina striatale scendono al di sotto di una soglia critica (70-80% rispetto al normale). La deplezione di dopamina compromette il sistema dopaminergico a livello delle proiezioni nigrostriatali (ma anche mesocorticali e mesolimbiche). Questo squilibrio neurotrasmettitoriale altera il normale equilibrio di inibizione ed eccitazione nei gangli della base, con conseguente silenziamento della stimolazione talamo-corticale (riduzione della via diretta e aumento della via indiretta), responsabile della pianificazione ed esecuzione dell'attività motoria. Oltre al deficit dopaminergico, si osserva un'iperfunzione relativa dei neuroni colinergici striatali e una riduzione del tono noradrenergico, serotoninergico e GABAergico. Si è ipotizzato che questi nuclei possano degenerare anche prima della sostanza nera: dunque si è pensato ad una progressione caudo-rostrale del danno, che giustificherebbero un inizio di malattia dalla periferia, come ad esempio dal vago. Infatti, ci sono le cosiddette teorie “body first” secondo cui i primi accumuli interessano i gangli viscerali (in particolare, a livello intestinale), da cui poi si ha diffusione rostrale. Ad esempio, ci possono essere anche manifestazioni cardiache, sebbene il cuore sia innervato da fibre simpatiche, senza alcun nesso con il sistema dopaminergico. Riassumendo, le principali aree coinvolte dalla patologia e responsabili della clinica della malattia sono: Sistema dopaminergico nigro-striatale: pars compacta della sostanza nera e gangli della base. Responsabile dei sintomi motori; Sistema noradrenergico: locus coeruleus. Responsabile delle disfunzioni autonomiche, dei disturbi del sonno e dell’umore; Sistema serotoninergico: nuclei del rafe (sostanza reticolare). Responsabile delle manifestazioni psichiatriche; Sistema colinergico: nucleo dorsale del vago. Responsabile delle manifestazioni dis-autonomiche; Altre strutture: o Ipotalamo: contribuisce ai disturbi del sonno e della termoregolazione; o Amigdala: contribuisce sui sintomi neuropsichiatrici della malattia; o Nucleo basale di Meynert: degenerazione cognitiva; o Corteccia motoria e prefrontale: deficit cognitivi e esecutivi. 2.4.1. IPOTESI DEL “BODY FIRST” E PRION-LIKE SPREADING Recenti studi suggeriscono che l'accumulo di α-sinucleina potrebbe iniziare in aree periferiche del corpo, come il sistema nervoso enterico (intestino) e il nervo vago, e successivamente diffondersi al cervello attraverso un meccanismo di prion-like spreading. Questa ipotesi, detta "body first", potrebbe spiegare la comparsa precoce di sintomi non motori, come la stipsi e l'anosmia, in alcuni pazienti con Parkinson. 2.4.2. CORPI DI LEWY E α-SINUCLEINA Un segno distintivo del Parkinson è la presenza di corpi di Lewy, inclusioni neuronali anomale che si accumulano nel citoplasma dei neuroni colpiti. Il componente principale dei corpi di Lewy è l'α-sinucleina, una proteina che svolge un ruolo nella funzione sinaptica e nel trasporto vescicolare. Mutazioni nel gene che codifica per l'α-sinucleina (locus PARK1) sono state associate a forme familiari di Parkinson, dimostrando il ruolo chiave di questa proteina nella patogenesi della malattia. L'α-sinucleina, in condizioni normali, è presente in diverse cellule, tra cui le piastrine. La sua funzione è legata alle sinapsi e ai nuclei cellulari. Quando l'α-sinucleina è espressa in eccesso, tende ad aggregarsi formando fibrille insolubili che costituiscono i corpi di Lewy. L'accumulo di α-sinucleina può essere causato da: o Mutazioni genetiche; o Esposizione a tossine ambientali: metalli pesanti, pesticidi; o Disfunzione nei sistemi di degradazione proteica (proteasoma, autofagia). La presenza di corpi di Lewy è stata osservata anche in altre malattie neurodegenerative, suggerendo un possibile ruolo comune di questa proteina nel processo degenerativo. La presenza di depositi intracellulari caratteristici è un aspetto imprescindibile per la diagnosi autoptica della malattia di Parkinson: si tratta dei corpi di Lewy, inclusi intracitoplasmatici fibrillari, costituiti da aggregati di diverse proteine, tra cui la più importante è l’α-sinucleina, una proteina presente in modo ubiquitario, formata da 140 aa e codificata dal gene SNCA. La struttura tridimensionale dell’α-sinucleina è costituita da un eptamero ripetuto, la cui estremità N-terminale è in grado di formare un dimero anfipatico costituito da α-eliche; ha un core idrofobico e un terminale carbossilico. Risulta localizzata prevalentemente a livello della membrana cellulare e la forma di membrana è in equilibrio con la componente citoplasmatica. Il ruolo patogenetico della proteina è noto dalla dimostrazione di forma familiari di malattia di Parkinson legate a mutazioni puntiformi o moltiplicazioni a carico del gene SNCA (PARK-1, PARK-4), che causerebbero un’acquisizione di funzione tossica da parte della proteina stessa. Il tentativo di comprendere i meccanismi alla base del danno mediato dall’α-sinucleina e della formazione dei corpi di Lewy ha portato a identificare diverse alterazioni a vari livelli della funzionalità cellulare: o Minor affinità della proteina per i lipidi di membrana in alcune forme mutate di SNCA, con un conseguente aumento dei livelli citoplasmatici e la formazione di aggregati; o Complessi tossici non degradabili associati ad alterazioni del sistema ubiquitina-proteasoma e del sistema autofagico; o Alterata funzionalità mitocondriale, un aumento dello stress ossidativo, eccitotossicità e apoptosi. 2.5. QUADRO CLINICO La malattia di Parkinson si manifesta con una sintomatologia complessa che comprende sia manifestazioni motorie che non motorie. L'esordio è insidioso, con sintomi inizialmente unilaterali e asimmetrici che tendono a generalizzarsi con il progredire della malattia. L’esordio asimmetrico la distingue dalle altre forme di parkinsonismo. La diagnosi di MP (malattia di Parkinson) è sostanzialmente clinica, tant’è vero che il neurologo è in grado di far diagnosi non appena il paziente entra nello studio e inizia a parlare, perché i segni sono molto evidenti e tipici. I sintomi cardinali della malattia di Parkinson comprendono (non sempre presenti tutti contemporaneamente. Vedi sotto): Tremore: il tremore parkinsoniano è un tremore a riposo, con una frequenza di 4 – 6 Hz (bassa), che si localizza soprattutto alle estremità distali degli arti, in particolare alle mani. Successivamente progredisce al piede fino a diventare più prossimale coinvolgendo tutto l’arto. È dovuto alla contrazione alternata dei muscoli antagonisti. Si manifesta con movimenti ritmici descritti come "contare monete" (flesso-estensione delle prime due dita). Il tremore scompare durante i movimenti volontari e durante il sonno, e può essere influenzato da fattori esterni come lo stress emotivo, lo stress fisico o l’esposizione al freddo; Rigidità: la rigidità extrapiramidale è un aumento del tono muscolare percepito come una resistenza continua e omogenea al movimento passivo (ipertono plastico). Il muscolo mantiene la posizione assunta dopo l'estensione passiva (rigidità a "tubo di piombo"). Durante la mobilizzazione si possono apprezzare piccoli cedimenti ritmici dell'ipertono (fenomeno della "troclea" o della “ruota dentata”). Nelle fasi avanzate, prevale una rigidità assiale in flessione che causa la postura camptocormica (prevalenza dei muscoli flessori sugli estensori). L’instabilità posturale non è più considerata un segno cardinale, perché all’esordio è riscontrabile solo nel 40% dei pazienti (diventa più frequente con l’avanzare della patologia), mentre è spesso il più comune sintomo di esordio dei parkinsonismi; Acinesia/Bradicinesia: l'acinesia si riferisce alla riduzione globale della motilità spontanea, mentre la bradicinesia indica la lentezza e la difficoltà nell'esecuzione dei movimenti volontari (riduzione dell’iniziativa motoria). Questi disturbi si manifestano con povertà di mimica facciale (ipo/amimia), riduzione della gestualità e difficoltà nell'esecuzione di movimenti rapidi alternati. Il soggetto esegue pochi movimenti volontari, lenti e di ampiezza ridotta. Sintomi secondari che si possono osservare nel quadro clinico sono: Disturbi della deambulazione: la deambulazione è lenta e a piccoli passi, con difficoltà nell'avvio (start hesitation) e possibile accelerazione involontaria (festinatio). Sono frequenti blocchi del cammino (freezing) e difficoltà nei cambi di direzione. Perdita delle sincinesie pendolari, trascinamento dei piedi, cammino a piccoli passi; Disturbi del linguaggio e della scrittura: voce ipofonica, disartria, compromissione della prosodia e micrografia sono comuni manifestazioni della malattia; Instabilità posturale: nelle fasi avanzate, compaiono disturbi dell'equilibrio con frequenti cadute, evidenziabili con il pull test; Distonie del tronco, degli arti o del piede. Fluttuazioni motorie e discinesia iatrogena. Sintomi non motori legati alla progressione caudo-rostrale della neurodegenerazione (widespread pathology) sono: Disfunzioni vegetative: ipotensione ortostatica (anche iatrogena da dopamino-agonisti), scialorrea, seborrea, disturbi della minzione, stipsi, disturbi della termoregolazione e disfunzione erettile; Disturbi sensitivi: parestesie, crampi, dolori, ipo/anosmia; Disturbi del sonno: REM behavior disorder (comportamenti motori durante il sonno REM), incubi, sogni vividi, sindrome delle gambe senza riposo; Disturbi psichici: depressione, ansia, apatia, abulia, allucinazioni visive, alterazione del comportamento (disinibizione sessuale o gioco d’azzardo patologico). È molto frequente la depressione (reattiva e organica) con componenti atipiche, come apatia, perdita di interessi e maggiore quota d’ansia (mentre si hanno minori comportamenti di suicidio, senso di fallimento e senso di colpa rispetto alle depressioni studiate in psichiatria). Spesso si ha un andamento bifasico, per cui il paziente sviluppa depressione prima della diagnosi, poi con la terapia l’umore torna normale (fase di honeymoon), ma con il passare degli anni, quando i farmaci perdono di efficacia, la depressione ritorna; Deficit cognitivi: compromissione delle funzioni esecutive, deficit di attenzione, disturbi visuo-spaziali, fino alla demenza sottocorticale. Iposmia, stipsi, sogni agiti e apatia sono sintomi premotori, che possono essere presenti anche una decina di anni prima della comparsa dei sintomi motori. È quindi molto importante cercare di coglierli in un paziente di una certa età, al fine di proporre dei test per predire la malattia. La malattia presenta uno spettro fenotipico eterogeneo e sulla base della sintomatologia prevalente e dell’evoluzione possono essere individuate due distinte forme: Forma tremorigena: dominata clinicamente dal tremore, caratterizzata da insorgenza precoce ed evoluzione clinica più lenta e meno invalidante; Forma rigido-acinetica: dominata clinicamente da grave rigidità e acinesia con evoluzione più rapida, invalidante, frequenti turbe posturali e dell’andatura; Forma completa: coesistono tutti i sintomi cardinali contemporaneamente. L'evoluzione della malattia è progressiva e la sintomatologia si aggrava nel tempo. Prima dell'avvento della terapia con L-dopa, la sopravvivenza era inferiore ai 10 anni (dovuta a complicanze vascolari o polmonari). Oggi, la terapia dopaminergica ha migliorato l'aspettativa e la qualità di vita dei pazienti, sebbene la malattia rimanga una condizione cronica e invalidante. 2.5.1. CAMMINO PARKINSONIANO Il cammino di un pz affetto da malattia di Parkinson si caratterizza per: o Postura in flessione con baricentro in avanti (camptocormica); o Ritardo nella partenza con possibile festinatio; o Marcia strisciante a piccoli passi; o Difficoltà nei cambiamenti di direzione (freezing); o Tremore alle mani; o Scomparsa delle sincinesie pendolari. 2.5.2. PROGRESSIONE CLINICA La valutazione della malattia di Parkinson utilizza la stadiazione di Hoehn e Wahr che si articola in: Stadio 1: malattia unilaterale; Stadio 1,5: malattia unilaterale con coinvolgimento assiale; Stadio 2: malattia bilaterale senza problemi di equilibrio; Stadio 2.5: malattia bilaterale con recupero di equilibrio dopo pull test; Stadio 3: disabilità lieve-moderata con qualche problema di equilibrio; Stadio 4: disabilità marcata, ma il pz cammina ancora; Stadio 5: pz in sedia a rotelle o a letto. Una stadiazione alternativa è la Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS), che valuta più nel dettaglio l’entità dei singoli disturbi della malattia di Parkinson: attività mentale, comportamenti, umore, autonomia del pz nelle attività quotidiane, esame motorio, complicazioni della terapia. Questa seconda classificazione permette di avere un quadro più completo del paziente, sia nel momento della diagnosi che nel corso della malattia, oltre che di valutare eventuali effetti collaterali della terapia. 2.6. DIAGNOSI La diagnosi di malattia di Parkinson è principalmente clinica, basandosi sull'osservazione dei sintomi e sulla storia del paziente. Sebbene la diagnosi definitiva sia possibile solo post-mortem tramite indagine anatomopatologica (pallore della sostanza nera all’osservazione macroscopica + perdita di cellule dopaminergiche, inclusioni intracitoplasmatiche all’osservazione microscopica), si possono raggiungere elevati livelli di accuratezza diagnostica in vivo applicando criteri specifici e utilizzando esami strumentali. I Criteri di Gelb (criteri diagnostici) richiedono la presenza di: Almeno due dei tre sintomi cardinali: tremore a riposo, rigidità, bradicinesia; Responsività al trattamento con L-DOPA. È fondamentale escludere altre condizioni che possono mimare la malattia di Parkinson, come il tremore essenziale, i parkinsonismi atipici e i parkinsonismi sintomatici. Elementi che orientano verso una diagnosi differenziale sono: o Mancata risposta al trattamento dopaminergico; o Comparsa precoce di disturbi cognitivi, autonomici, instabilità posturale con cadute; o Presenza di segni cerebellari, piramidali o disturbi dell'oculomozione. La diagnosi di malattia di Parkinson si basa principalmente sull'esame clinico e sulla storia del paziente, ma gli esami strumentali possono avere un ruolo importante nel supportare la diagnosi, escludere altre condizioni e monitorare la progressione della malattia. Gli esami strumentali che possono essere utili sono: TC o MRI encefalo: sono generalmente negative (per alterazioni strutturali evidenti) nella malattia di Parkinson, a differenza di altre forme di parkinsonismo (es. parkinsonismo vascolare o idrocefalo normoteso). Permettono di escludere forme secondarie (es. tumori, danni vascolari, aree ischemiche a livello dei nuclei della base). In pz giovani si utilizza la MRI mentre in un anziano è sufficiente la TC; Medicina nucleare: la PET e la SPECT permettono di identificare la disfunzione dopaminergica presinaptica, anche in fase preclinica, e di monitorare la progressione della malattia. Tra i traccianti utilizzati: o ¹⁸F-fluorodopa (PET): captata dai neuroni della sostanza nera, trasformata in dopamina e accumulata nelle vescicole presinaptiche. Nella malattia di Parkinson il segnale è ridotto; o ¹¹C-tetrabenazina: marcatore del trasportatore della dopamina (VMAT2); o Ligandi del DAT: indicatori del reuptake della dopamina (¹¹C-FE-CIT, ¹⁸F-FP-CIT); o ¹²³I-FP-CIT (DAT-SCAN): permette di studiare i siti di reuptake della dopamina nello striato (il ligando lega il trasportatore della dopamina a livello delle terminazioni dopaminergiche nigrostriatali). Una riduzione asimmetrica della captazione a livello putaminale supporta la diagnosi precoce di malattia di Parkinson e la diagnosi differenziale. Il DAT-Scan permette di fare diagnosi precoce, in fase subclinica, e contribuisce alla diagnosi differenziale rispetto ai tremori non parkinsoniani e ai parkinsonismi (in cui non vi è ipocaptazione; o Scintigrafia miocardica con ¹²³I-MIBG: valuta l'innervazione simpatica cardiaca, compromessa precocemente nella malattia di Parkinson. Questo esame è utile per la diagnosi differenziale con l'atrofia multisistemica, in cui l'innervazione simpatica cardiaca è integra. Gli esami strumentali non sono necessari per la diagnosi di malattia di Parkinson nei casi tipici con presentazione clinica evidente ma sono utili per confermare la diagnosi in fase precoce, quando i sintomi sono lievi o dubbi. Inoltre, aiutano a differenziare la malattia di Parkinson da altre condizioni che presentano sintomi simili e permettono di monitorare la progressione della malattia e valutare l’efficacia della terapia. Come per l’Alzheimer, si stanno cercando dei biomarcatori nel CSF o nel sangue (ad esempio oligomeri di α- sinucleina, α-sinucleina fosforilata e neurofilamenti), che permettano di fare diagnosi precocemente dei pazienti con MP, nella speranza che in futuro siano disponibili per loro delle terapie disease modifying da iniziare subito. Ad esempio, si sta studiando la possibilità di identificare gli oligomeri di α-sinucleina nel liquor o nel plasma con metodiche quali l’RT-QuIC, che stimola la formazione di aggregati. Tuttavia, si tratta di metodiche utilizzate soltanto ai fini di ricerca. A fini diagnostici si usa ancora l'imaging, cioè il DAT-Scan. 2.7. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Una sintomatologia extrapiramidale analoga a quella del morbo di Parkinson viene osservata in numerosi quadri clinici, espressione sintomatica di eziologie diverse. Tra le malattie che entrano in diagnosi differenziale con un quadro clinico simile al Parkinson sono: Parkinsonismi secondari: o Parkinsonismo vascolare (seconda causa più frequente di parkinsonismo): causato da lesioni ischemiche a carico dei nuclei della base, spesso in un contesto di encefalopatia vascolare. Esistono tre varianti topografiche principali quali il parkinsonismo arteriosclerotico (lesioni lacunari nello striato), la sindrome pseudobulbare e l’encefalopatia sottocorticale di Binswanger. Generalmente si associa alla presenza di fattori di rischio vascolari, coesistenza di sintomatologia neurologica non-extrapiramidale, decadimento cognitivo, sintomi extrapiramidali di tipo acinetico-ipertonico, quasi mai tremore, spesso assente tipica progressività dei sintomi, scarsa efficacia della L-dopa. Si presenta con un quadro clinico prevalentemente rigido-acinetico con maggiore interessamento degli arti inferiori. Spesso associato a segni piramidali, pseudobulbari e decadimento cognitivo. La risposta alla terapia dopaminergica è scarsa o assente; Può essere utile anche richiedere l’imaging, tramite cui è possibile vedere un eventuale danno vascolare. Manca la progressività tipica delle malattie neurodegenerative, mentre può essere presente un peggioramento “a gradini”, ossia per step successivi legati ai progressivi danni di tipo vascolare. Questi pazienti rispondo poco alla levodopa perché muoiono le cellule target dei terminali dopaminergici. È abbastanza frequente vedere alla RM un quadro con iper-intensità in T2 di sofferenza ischemica cronica. o Parkinsonismo iatrogeno: provocato da farmaci, principalmente neurolettici (aloperidolo, fenotiazine, butirrofenoni), calcio-antagonisti, reserpina, antiemetici (metoclopramide). Il quadro clinico è rigido- acinetico, con esordio subacuto, distribuzione bilaterale e possibile presenza di discinesie bucco-linguo- facciali. La sintomatologia generalmente regredisce dopo la sospensione del farmaco; o Parkinsonismo da tossici: l'esposizione cronica a sostanze come manganese, antiparassitari, CO o idrocarburi può causare parkinsonismo; o Altre cause: neoplasie della linea mediana o dei gangli della base (parkinsonismo tumorale), traumi cranici ripetuti (parkinsonismo post-traumatico) e infezioni virali (parkinsonismo post-encefalitico) possono causare sintomi parkinsoniani. Malattie degenerative (con sintomi simili al Parkinson): o Malattia a Corpi di Lewy: caratterizzata da degenerazione neuronale diffusa con presenza di corpi di Lewy sia nei nuclei della base che nella corteccia. Il quadro clinico comprende declino cognitivo fluttuante, allucinazioni visive, deliri e parkinsonismo. I pazienti sono particolarmente sensibili ai neurolettici; o Idrocefalo normoteso: si presenta con disturbi della deambulazione, incontinenza urinaria e decadimento cognitivo. La RM encefalo mostra dilatazione ventricolare senza atrofia corticale; o Malattia di Wilson: patologia ereditaria con accumulo di rame nel cervello e nel fegato. Ai sintomi parkinsoniani si aggiungono coreo-atetosi, distonia, disartria, tremore e disturbi psichiatrici. La diagnosi è confermata dalla presenza di anelli corneali di Kayser-Fleischer e da alterazioni del metabolismo del rame. Tremore essenziale: il disturbo del movimento più comune, caratterizzato da tremore posturale e cinetico, spesso a livello delle mani. Si differenzia dal tremore parkinsoniano per l'assenza di altri sintomi cardinali e per la risposta ai beta-bloccanti; Tremore cerebellare; Parkinsonismi atipici: gruppo di malattie neurodegenerative caratterizzate da una combinazione di parkinsonismo con altri segni neurologici (parkinsonismi plus) e da una scarsa risposta alla terapia dopaminergica. Le forme di parkinsonismo atipico principali sono: o Atrofia multisistemica (MSA): degenerazione di diverse aree del sistema nervoso, con variabile combinazione di sintomi parkinsoniani, autonomici, cerebellari e piramidali; o Paralisi sopranucleare progressiva (PSP): colpisce principalmente il tronco encefalico, causando oftalmoplegia sopranucleare, rigidità assiale, instabilità posturale e decadimento cognitivo; o Degenerazione corticobasale (CBD): atrofia asimmetrica dei lobi frontali e parietali, con sintomi parkinsoniani asimmetrici, distonia, aprassia, deficit sensoriali e segni piramidali. L’importanza di una corretta diagnosi differenziale si riflette in: o Trattamento: la terapia per la malattia di Parkinson si basa principalmente sulla L-dopa, che non è efficace negli altri tipi di parkinsonismo. Un trattamento inappropriato può peggiorare i sintomi o causare effetti collaterali; o Prognosi: le diverse forme di parkinsonismo hanno un decorso clinico e una prognosi differenti. La diagnosi differenziale accurata permette di fornire al paziente informazioni realistiche sull'evoluzione della malattia. 2.7.1. PARKINSONISMI ATIPICI I Parkinsonismi atipici sono un gruppo di malattie neurodegenerative che condividono alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Parkinson, ma presentano anche: Segni neurologici atipici; Decorso più rapido; Scarsa o assente risposta alla terapia con L-Dopa. Le principali forme di parkinsonismo atipico sono: Atrofia multisistemica (MSA): la MSA è caratterizzata da una degenerazione che colpisce diverse aree del sistema nervoso, tra cui i gangli della base, il cervelletto, il tronco encefalico e il midollo spinale. Le manifestazioni cliniche sono variabili e dipendono dalle aree cerebrali maggiormente colpite. Il quadro clinico è composto principalmente da: o Parkinsonismo: rigidità, bradicinesia, tremore a riposo. Inizia in modo simmetrico e progredisce rapidamente; o Disautonomia (disfunzione delle efferenze pregangliari, centri di controllo respiratorio e barocettivi, circuiti centrali di controllo delle funzioni ipotalamiche): ipotensione ortostatica, disturbi della minzione, impotenza, stipsi, difficoltà di sudorazione; o Segni cerebellari: atassia, dismetria, tremore intenzionale; o Segni piramidali/corticospinali: iperreflessia, spasticità, segno di Babinski. La MSA è una sinucleopatia in quanto sono stati trovati inclusi neuronali e gliali di questa proteina nelle zone degenerate. La neurodegenerazione coinvolge la corteccia dell’area motoria primaria e supplementare, la capsula interna, capsula esterna, gangli della base (sostanza nera, striato), tronco (nuclei peduncolo-pontini, nuclei rostrali ventro-laterali midollari, nucleo ambiguo, nuclei rostrali midollari del rafe), cervelletto (sistema olivo-ponto-cerebellare), midollo spinale (colonne intermedio-laterali del tratto toraco-lombare, nucleo di Onuf, nuclei intermedio-laterali sacrali inferiori). La RM encefalo mostra ipointensità bilaterale in T2 a livello dei nuclei della base (putamen, a causa dei depositi di ferro), assottigliamento del peduncolo cerebellare medio e atrofia del ponte. La scintigrafia miocardica con MIBG mostra assenza di denervazione simpatica cardiaca, a differenza della malattia di Parkinson. Paralisi sopranucleare progressiva (PSP): la PSP è caratterizzata da una degenerazione neuronale che colpisce principalmente il tronco encefalico, in particolare il mesencefalo. L’esordio è intorno ai 60 – 70 anni, con evoluzione abbastanza rapida. La sopravvivenza media è di 5 – 6 anni. Il quadro clinico peculiare comprende: o Oftalmoplegia sopranucleare: paralisi dello sguardo verticale, prima verso l'alto e poi verso il basso; o Rigidità assiale: spiccata rigidità del collo e del rachide in estensione. Assente tremore; o Instabilità posturale precoce: frequenti cadute; o Segni pseudobulbari: disartria cortico-bulbare precoce e ingravescente, disfagia, labilità emotiva, riflessi cefalici accentuati e segni piramidali; o Decadimento cognitivo sottocorticale: bradifrenia, deficit di attenzione, funzioni esecutive compromesse. La RM encefalo evidenzia atrofia del tronco encefalico, in particolare del tegmento mesencefalico, con allargamento del III ventricolo e della cisterna interpeduncolare (segno del colibrì). A livello anatomo-patologico si osserva degenerazione fibrillare dei nuclei grigi centrali, del tronco, che giustifica disturbi della motilità oculare verticale. La degenerazione corticale è molto minore e interessa quasi esclusivamente la corteccia prefrontale. A livello microscopico si osservano depauperamento neuronale e inclusioni tau-positive a livello dei gangli della base e del tronco (taupatia). Segno del Colibrì (tronco encefalico). Degenerazione corticobasale (CBD): la CBD è una malattia rara caratterizzata da un'atrofia asimmetrica dei lobi frontali e parietali, con conseguente compromissione delle funzioni cognitive e motorie. L’esordio è intorno ai 60 anni. La sopravvivenza media è di 7 – 8 anni. Il quadro clinico comprende: o Sindrome rigido-acinetica asimmetrica: rigidità, bradicinesia e tremore a riposo che colpiscono prevalentemente un lato del corpo; o Distonia: posture anomale, instabilità posturale e movimenti involontari; o Segni corticali: aprassia ideomotoria, aprassia facciale, deficit delle sensibilità discriminative/complesse, disturbi del linguaggio (afasia, anomia), segni piramidali (iperriflessia, spasticità), deterioramento cognitivo (memoria scarsamente compromessa), sintomi neuropsichiatrici (depressione, apatia, irritabilità, agitazione, ansia e disinibizione; o Altri sintomi: mioclonie, alterazioni dell’oculomozione, segno della mano aliena (si muove indipendentemente dalla volontà). La RM encefalo mostra atrofia corticale frontoparietale asimmetrica. Altri segni di degenerazione sono atrofia corticale asimmetrica (frontoparietale e rolandica) con degenerazione dei tratti corticospinali, alterazioni degenerative della pars compacta della sostanza nera (senza corpi di Lewy), variabile compromissione di altre strutture sottocorticali. A livello anatomopatologico si osservano inclusioni gliali e neuronali tau-positive, depauperamento neuronale e neuroni ballooned, prevalentemente a livello dei gangli della base e della corteccia fronto-parieto-temporale. Confronto tra MRI con degenerazione cortico-basale e MRI sana. CARATTERISTICHE PD MSA PSP CBD Asimmetrico, Esordio Simmetrico Assiale Asimmetrico insidioso Progressione Lenta Rapida Presente Oftalmoplegia Assente Rara Possibile (sopranucleare) Distonia degli arti Possibile Possibile Possibile Prominente Rigidità assiale Presente Presente Prominente Presente Instabilità Presente Presente Prominente Lieve posturale Disautonomia Possibile Precoce e prominente Tardiva e meno grave Variabile Segni Cerebellari Assenti Frequenti Possibili Rari Possibili Presenti Segni Corticali Lievi Prominenti (tardivi) (pseudobulbari) Risposta a L-dopa Buona Iniziale e transitoria Assente Assente Ipointensità bilaterale in T2 nei nuclei Atro a del tronco encefalico Atro a corticale della base, assottigliamento del Neuroimaging Negativo peduncolo cerebellare medio, atro a (in particolare tegmento frontoparietale mesencefalico) asimmetrica del ponte I parkinsonismi atipici rappresentano una sfida diagnostica e terapeutica. È fondamentale riconoscere i segni e i sintomi atipici per indirizzare il paziente verso una corretta diagnosi e un trattamento adeguato. La ricerca continua a fare progressi per comprendere meglio queste malattie e sviluppare nuove terapie. 2.8. TRATTAMENTO DELLA MALATTIA DI PARKINSON L'approccio al paziente affetto da malattia di Parkinson varia nelle diverse fasi di malattia. Allo stato attuale le evidenze sicure riguardano la sola terapia sintomatica e il miglior modo di impiegare i vari farmaci antiparkinsoniani è ancora oggetto di controversie; non esistono infatti al momento affidabili terapie neuroprotettive o neurorestaurative. Il clinico deve basarsi sul proprio giudizio per determinare quando iniziare una terapia tenendo in particolare conto l’età del paziente e le sue esigenze. Obiettivo della terapia consiste nel miglior controllo possibile dei sintomi con il minimo degli effetti collaterali: o Pazienti giovani e con lunga aspettativa di vita: prevale la tendenza a ridurre il rischio di complicanze motorie della terapia; o Pazienti più anziani e con deterioramento cognitivo: predomina l'esigenza di ridurre gli effetti collaterali soprattutto psichiatrici. In fase precoce, considerando che la terapia farmacologica è sintomatica non agendo sulle cause di malattia, non è richiesto in genere trattamento; è importante piuttosto informare il paziente e i familiari della natura della malattia, della sua evoluzione, della possibilità di diversi approcci farmacologici. A livello farmacologico l'equilibrio dell'alterata bilancia dopamina/acetilcolina a livello striatale può essere ristabilito mediante diverse strategie terapeutiche: Terapia dopaminergica: trattamento sintomatico trattamento sintomatico volto a ripristinare i livelli di dopamina nel cervello in modo tale da ridurre la frequenza e la gravità dei sintomi alla comparsa. Non è in grado di rallentare la progressione della malattia. Tale strategia prevede la possibilità di somministrare diversi farmaci quali: o Precursori della dopamina: L-DOPA; o Agonisti recettoriali dopaminergici: Bromocriptina, Pramipexolo; o Inibitori della degradazione (MAO e COMT) della dopamina: Selegilina, Entacapone; o Stimolazione del rilascio di dopamina: Amantidina. Terapia non dopaminergica: limitazione dell’attività colinergica così da inibire la trasmissione GABAergica della via nigro-striatale. Il razionale per queste terapie poggia sull’osservazione che il Parkinson idiopatico è caratterizzato da una forte perdita di neuroni dopaminergici di quella parte della sostanza nigra che normalmente inibisce le efferenze dalle cellule GABAergiche dello striato. o Antagonisti colinergici muscarinici: Benztropina, Biperidene. 2.8.1. FARMACI ANTICOLINERGICI Farmacodinamica: I farmaci anticolinergici agiscono antagonizzando i recettori muscarinici a livello dello striato. Questa azione si basa sull'ipotesi che, oltre alla denervazione dopaminergica tipica della malattia di Parkinson, ci sia anche un'iperattività colinergica. L'inibizione della via colinergica contribuisce a ristabilire l'equilibrio tra dopamina e acetilcolina a livello striatale. Effetti: Gli anticolinergici sono efficaci principalmente nel controllo del tremore e della rigidità. Hanno un effetto minore sulla bradicinesia. Possono anche essere utili nel ridurre alcuni sintomi autonomici come la scialorrea e l'incontinenza urinaria. Esempi: Triesifenidile, Orfenadrina, Bornaprine, Metixene. Effetti collaterali: Gli effetti collaterali più comuni degli anticolinergici sono la xerostomia (secchezza delle fauci), stipsi, ritenzione urinaria, turbe dell'accomodazione (difficoltà di messa a fuoco). L'utilizzo degli anticolinergici va evitato nei pazienti anziani, in particolare in quelli con deterioramento cognitivo, a causa del rischio di effetti collaterali come confusione mentale e allucinazioni. Sono inoltre controindicati in pazienti con glaucoma e ipertrofia prostatica. Si raccomanda di iniziare la terapia con basse dosi e di aumentarle gradualmente in base alla risposta e alla tollerabilità. Gli anticolinergici possono interferire con l'assorbimento della L-dopa, rallentando lo svuotamento gastrico. 2.8.2. AMANTADINA Farmacodinamica: l'amantadina è un farmaco antivirale con un'attività antiparkinsoniana scoperta casualmente. Il suo meccanismo d'azione non è ancora del tutto chiarito. Si ipotizza che stimoli il rilascio di dopamina dalle fibre nervose residue e ne blocchi il reuptake a livello sinaptico. Potrebbe anche agire sui recettori del glutammato. Effetti: l'amantadina può essere utilizzata in monoterapia per ridurre i sintomi motori nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson, ma la sua efficacia è modesta. Nelle fasi avanzate, viene spesso associata alla L-dopa per contribuire a ridurre le discinesie indotte dal trattamento. Effetti Collaterali: gli effetti collaterali dell'amantadina includono la livedo reticularis (alterazione del colorito cutaneo), edemi, disturbi del ritmo cardiaco, disturbi psichiatrici. L'efficacia dell'amantadina tende a diminuire nel tempo. 2.8.3. LEVODOPA Farmacodinamica: la L-dopa è il precursore immediato della dopamina. A differenza della dopamina, la L-dopa è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica. Una volta giunta nel cervello, viene convertita in dopamina, compensando la carenza di questo neurotrasmettitore a livello dello striato. La L-dopa agisce sia sulla via diretta che sulla via indiretta dei gangli della base, ripristinando l'equilibrio nell'attività motoria. Effetti: la L-dopa rimane il farmaco più efficace per il trattamento della malattia di Parkinson, migliorando significativamente tutti i principali sintomi motori, in particolare la bradicinesia. Il suo utilizzo ha contribuito a un aumento significativo della qualità e dell'aspettativa di vita dei pazienti. Somministrazione: la L-dopa viene quasi sempre somministrata in associazione a carbidopa o benserazide, inibitori della DOPA-decarbossilasi. Questi inibitori, che non attraversano la barriera emato-encefalica, impediscono la conversione periferica della L-dopa in dopamina, riducendo gli effetti collaterali periferici (es. tachicardia) e aumentando la quantità di L-dopa che raggiunge il cervello. Generalmente si parte con dosi molto basse (es. 250 mg per 3 volte/die) e poi si sale gradualmente. In caso di pz con difficoltà a deglutire esistono anche delle formulazioni in polvere + solvente o compresse effervescenti. In generale, si raccomanda di utilizzare dosi medio-basse di L-dopa (200- 600 mg/die) per ridurre il rischio di complicanze motorie. La somministrazione deve avvenire a stomaco vuoto, in quanto gli AA assunti con la dieta possono competere con l’assorbimento. Effetti collaterali: la L-dopa può causare effetti collaterali sia a breve termine che a lungo termine tra cui: Effetti immediati: nausea, vomito, ipotensione posturale e aritmie; Effetti tardivi: o Fluttuazioni motorie: Wearing-off (deterioramento di fine dose): riduzione della durata d'azione della L-dopa, con ricomparsa dei sintomi parkinsoniani prima della somministrazione successiva. Fenomeno on-off: fluttuazioni motorie imprevedibili e rapide, non correlate all'orario di somministrazione della L-dopa. I pazienti sperimentano periodi "on" con buona mobilità, alternati a periodi "off" con grave acinesia. Freezing: blocco improvviso della deambulazione. o Discinesie: movimenti involontari anomali, spesso coreici o distonici, che si manifestano in genere durante i periodi "on". Possono essere di picco-dose (fase on), difasiche o di fase off; o Complicanze psichiatriche: allucinazioni, deliri, psicosi, alterazioni dell'umore (come depressione o euforia), disturbi del comportamento (come ipersessualità o impulsività); o Altri effetti: sonnolenza, iperidrosi, dolore muscolare. La fase iniziale della terapia con levodopa è detta honeymoon, perché con 3 somministrazione di levodopa al giorno, il paziente torna a una condizione normale grazie alla presenza di un buon numero di neuroni dopaminergici superstiti. Poi però, l'efficacia comincia a diminuire a causa della progressiva degenerazione dei neuroni, che porta a un progressivo restringimento della finestra terapeutica. In questa fase, quindi, il paziente fluttua tra fasi di sblocco motorio (fasi on), subito dopo la somministrazione, con discinesie, diffuse e spesso assai marcate, e fasi di blocco motorio (fasi off), perché l’effetto della levodopa svanisce rapidamente dopo la somministrazione. La diagnosi di malattia di Parkinson è supportata dalla risposta alla L-dopa, ma questa risposta non è specifica e può verificarsi anche in altre condizioni. L'efficacia della L-dopa tende a diminuire nel tempo, con la possibile comparsa di fluttuazioni motorie e discinesie, soprattutto nei pazienti con esordio precoce della malattia. L'epoca di inizio della terapia con L-dopa è controversa e va valutata attentamente in base all'età del paziente, alla gravità dei sintomi e al rischio di complicanze a lungo termine. I pazienti anziani tendono a sviluppare più facilmente reazioni avverse neuropsichiatriche rispetto alle fluttuazioni motorie. Per gestire le fluttuazioni motorie, si possono modificare gli orari e i dosaggi del farmaco, ridurre l'assunzione di proteine con la dieta (che interferiscono con l'assorbimento della L-dopa), associare inibitori delle COMT o delle MAO-B, o aggiungere dopamino-agonisti. I vantaggi nell’utilizzo della Levodopa sono: o Farmaco più efficacie del punto di vista sintomatico; o Tutti i pz affetti rispondo alla terapia (almeno inizialmente); o Migliora la disabilità e prolunga la capacità di mantenere l’occupazione e le attività indipendenti della vita quotidiana; o Migliora il tasso di mortalità. Gli svantaggi sono invece: o La maggior parte dei pz sviluppa effetti avversi sul lungo termine come discinesia, fluttuazioni motorie, problemi neuropsichiatrici (confusione, psicosi), sedazione; o Non tratta tutti i sintomi della malattia, in quanto non ha effetto sul freezing, sull’instabilità posturale, sulla disfunzione autonomica e la demenza. 2.8.4. INIBITORI DELLE COMT Farmacodinamica: gli inibitori delle COMT bloccano l'enzima catecol-O-metiltransferasi, che metabolizza la L-dopa a livello periferico. Questo determina un aumento della biodisponibilità e della durata d'azione della L-dopa, riducendo le fluttuazioni motorie e consentendo di diminuire il dosaggio giornaliero. Effetti: Gli inibitori delle COMT aumentano l'emivita della L-dopa del 30-50% e la sua concentrazione plasmatica del 25-100%. I principali farmaci inibitori delle COMT utilizzati per il trattamento del Parkinson sono: Tolcapone: ha un'azione sia periferica che centrale, ma è associato a un rischio di epatotossicità, richiedendo un attento monitoraggio della funzionalità epatica. Viene somministrato tre volte al giorno al dosaggio di 300 mg; Entacapone: presenta un miglior profilo di sicurezza rispetto al tolcapone e viene somministrato alla dose di 200 mg con ogni somministrazione di L-dopa, fino a una dose massima di 2 g/die. Può causare un'alterazione del colore delle urine. Effetti collaterali: gli effetti collaterali comuni agli inibitori delle COMT sono diarrea, nausea, ipotensione, discinesie e confusione mentale. Gli inibitori delle COMT vengono utilizzati in associazione alla L-dopa per migliorare la gestione delle fluttuazioni motorie e ridurre il dosaggio di L-dopa necessario. 2.8.5. INIBITORI DELLE MAO-B Farmacodinamica: gli inibitori delle MAO-B inibiscono l'enzima monoaminossidasi di tipo B, che metabolizza la dopamina nel cervello. Questo aumenta la concentrazione di dopamina a livello sinaptico, prolungandone l'effetto. Effetti: gli inibitori delle MAO-B possono essere utilizzati in monoterapia nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson, ma hanno un effetto modesto. Nelle fasi più avanzate, vengono spesso associati alla L-dopa per potenziarne l'effetto e ridurre le fluttuazioni motorie. I principali farmaci inibitori delle MAO-B sono: Selegina: somministrata al dosaggio di 10 mg/die; Rasagilina: somministrata al dosaggio di 1 mg/die. Effetti collaterali: gli inibitori delle MAO-B possono causare insonnia, soprattutto se assunti a giornata inoltrata. A dosaggi elevati, possono causare altri effetti collaterali come vertigini, cefalea, nausea, midriasi, tremori, allucinazioni, discinesie, anoressia, ipotensione posturale e diarrea. Si ipotizza che gli inibitori delle MAO-B possano avere un effetto neuroprotettivo, rallentando la progressione della malattia di Parkinson. A differenza della selegilina, la rasagilina non produce metaboliti di tipo amfetamino-simile e entrambe non causano reazioni avverse dopo l'assunzione di tiramina (il cosiddetto "cheese-effect"). È importante evitare l'associazione di inibitori delle MAO-B con L-dopa e alimenti ricchi di tiramina (come formaggi stagionati, banane e vino rosso) per il rischio di crisi ipertensive. A volte prima di somministrare la levodopa, si comincia con gli inibitori del catabolismo che oltre ad avere un effetto sintomatico potrebbero avere un effetto protettivo, perché bloccando il metabolismo ossidativo della dopamina, in teoria, dovrebbero ridurre anche la produzione di radicali liberi e, quindi, il danno ossidativo. A tal proposito, è stato pubblicato nel 2009 su NEJM uno studio che dimostrava che i pazienti trattati fin da subito con rasagilina (early-start), alla dose di 1mg/die, avevano un outcome migliore rispetto ai pazienti che la iniziavano dopo alcune settimane di placebo (delayed-start). Tuttavia, il risultato è controverso, perché lo stesso beneficio non è stato osservato con 2 mg/die di rasagilina (forse per il prevalere dell’effetto sintomatico su quello protettivo). 2.8.6. DOPAMINO-AGONISTI Farmacodinamica: i dopamino-agonisti agiscono stimolando direttamente i recettori dopaminergici postsinaptici, mimando l'azione della dopamina a livello dello striato. L'attivazione dei recettori D2 è fondamentale per l'effetto antiparkinsoniano, mentre l'attivazione combinata di D1 e D2 produce effetti più fisiologici. I dopamino-agonisti non richiedono conversione enzimatica e non competono con la L-dopa per il trasporto attraverso la barriera emato- encefalica. Effetti: i dopamino-agonisti sono generalmente meno efficaci della L-dopa nel ridurre i sintomi parkinsoniani, ma sono associati a una minore incidenza di complicanze motorie a lungo termine, come le discinesie. Hanno una durata d'azione più lunga rispetto alla L-dopa (8-24 ore contro 6-8 ore). I dopamino-agonisti si suddividono in due categorie principali: Derivati ergolinici: derivano da una sostanza derivante dalla segale cornuta (ergot). Sono molecole più vecchie e danno effetti collaterali legati ad una ridotta selettività per i recettori D2. Comprendono soprattutto Bromocriptina, Lisuride, Pergolide, Cabergolina; Derivati non ergolinici: sostanze più recenti di derivazione sintetica con differenti affinità recettoriali, con meno effetti avversi ed emivita molto più lunga. Hanno una maggiore selettività per i recettori D2. Questi sono Pramipexolo, Ropinirolo, Rotigotina, Apomorfina (solo per pz in malattia avanzata o ricoverati), Piribedil. Effetti Collaterali: gli effetti collaterali dei dopamino-agonisti sono simili a quelli della L-dopa, ma con una maggiore incidenza di effetti psichiatrici (come allucinazioni e deliri) e cardiovascolari (come ipotensione ortostatica ed edemi). I derivati ergolinici sono associati a un rischio di fibrosi (pericardica, pleurica, retroperitoneale e valvolare cardiaca), che richiede un monitoraggio ecocardiografico periodico. I derivati non ergolinici possono causare sonnolenza, nausea, edemi periferici, ipotensione ortostatica, confusione e allucinazioni. I dopamino-agonisti possono essere utilizzati in monoterapia nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson o in associazione alla L-dopa per ridurne i dosaggi e il rischio di complicanze motorie. I derivati non ergolinici sono generalmente preferiti per il loro miglior profilo di tollerabilità. La dose efficace viene raggiunta gradualmente mediante un processo di titolazione che può richiedere diversi mesi. I vantaggi dei dopamino-agonisti sono: o Effetti antiparkinsoniani in monoterapia o in aggiunta di Levodopa; o Riduzione del rischio di sviluppare complicanze motorie legate alla Levodopa; o Non generano metaboliti ossidativi; o Hanno potenziali effetti benefici neuroprotettivi: stimolando i recettori D2 presinaptici sulle terminazioni glutammatergiche, potrebbe ridurre l’eccitazione glutammatergica e quindi la neurotossicità. Gli svantaggi dei dopamino-agonisti sono: o Possono dare effetti collaterali neuropsichiatrici (allucinazioni e psicosi); o Possono dare effetti sedativi; o Non prevengono completamente lo sviluppo di complicanze motorie legate alla levodopa; o Non trattano tutti i sintomi della malattia (freezing, instabilità posturale, disfunzioni autonomiche, disfunzioni motorie). EFFETTI CATEGORIA FARMACODINAMICA EFFETTI CONSIDERAZIONI COLLATERALI Xerostomia, stipsi, Da evitare in pazienti con Controllo del tremore ritenzione urinaria, turbe glaucoma, ipertro a prostatica Antagonizzano i recettori e della rigidità, Anticolinergici muscarinici riduzione di alcuni dell'accomodazione, e deterioramento cognitivo. confusione mentale e Possono interferire con sintomi autonomici allucinazioni l'assorbimento della L-dopa Meccanismo d'azione non Modica riduzione dei del tutto chiaro, possibile sintomi motori, utile Livedo reticularis, edemi, Ef cacia tende a diminuire nel Amantadina stimolazione del rilascio di per ridurre le disturbi del ritmo cardiaco, tempo dopamina e blocco del discinesie indotte da disturbi psichiatrici reuptake L-dopa Precursore della dopamina, Miglioramento di tutti i Nausea, vomito, Ef cacia tende a diminuire nel L-DOPA compensazione della principali sintomi ipotensione posturale, tempo, possibili complicanze carenza di dopamina nello motori, aumento della aritmie (effetti immediati); motorie, epoca di inizio terapia striato qualità e fluttuazioni motorie controversa. Somministrata dell'aspettativa di vita (wearing-off, fenomeno on- quasi sempre con inibitori della off, freezing), discinesie, dopa-decarbossilasi per ridurre complicanze psichiatriche, gli effetti collaterali periferici sonnolenza, iperidrosi, dolore muscolare (effetti tardivi) Inibizione della Riduzione dei periodi Diarrea, nausea, degradazione della L-dopa, Utilizzati in associazione alla L- "off", diminuzione del ipotensione, discinesie, COMTi aumento della dosaggio giornaliero di confusione mentale, dopa per la gestione delle biodisponibilità e della fluttuazioni motorie L-dopa epatotossicità (tolcapone) durata d'azione Insonnia, vertigini, cefalea, Inibizione della Utilizzati in nausea, midriasi, tremori, Possibile effetto degradazione della monoterapia o in allucinazioni, discinesie, neuroprotettivo. Evitare MAO-Bi dopamina, aumento della associazione alla L- anoressia, ipotensione l'associazione con L-dopa e concentrazione sinaptica dopa posturale e diarrea (a alimenti ricchi di tiramina dosaggi elevati) Miglioramento dei Effetti simili alla L-dopa, ma sintomi motori, maggiore incidenza di effetti Utilizzati in monoterapia o in Dopamino- Stimolazione diretta dei minore incidenza di psichiatrici e associazione alla L-dopa. agonisti recettori dopaminergici discinesie rispetto alla cardiovascolari. Rischio di Derivati non ergolinici L-dopa, durata brosi con i derivati generalmente preferiti d'azione più lunga ergolinici 2.8.7. TRATTAMENTO NELLE VARIE FASI DI MALATTIA Il trattamento della malattia di Parkinson varia a seconda della fase della malattia: 1) Fase iniziale: in questa fase, la terapia farmacologica non è generalmente necessaria, poiché non agisce sulle cause della malattia. È importante educare il paziente e la sua famiglia sulla natura della malattia, sulla sua evoluzione e sulle diverse opzioni di trattamento farmacologico disponibili. La terapia non farmacologica si basa sull’educazione del pz e dei suoi familiari, su servizi di supporto, esercizio fisico e modificazioni della dieta; 2) Fase precoce: quando la malattia inizia a compromettere le attività quotidiane del paziente, è possibile iniziare il trattamento farmacologico. La scelta del trattamento iniziale si basa su diversi fattori, tra cui l'età del paziente, le sue condizioni generali di salute, in particolare le patologie coesistenti, e le esigenze lavorative. Diverse opzioni sono possibili: o L-DOPA associata a inibitori della decarbossilasi (prima scelta nel pz anziano): questa combinazione rappresenta il gold standard del trattamento antiparkinsoniano. L'efficacia nel tempo tende a diminuire a causa della progressiva riduzione della risposta terapeutica e della comparsa di fluttuazioni motorie e discinesie, soprattutto nei pazienti con esordio precoce. In genere, si preferisce trattare con L-DOPA in monoterapia all'esordio i pazienti di età superiore ai 70 anni, con dosaggi medio-bassi (200-600 mg/die). I pazienti anziani sviluppano più facilmente reazioni avverse di tipo neuropsichiatrico piuttosto che fluttuazioni motorie. Non è stato dimostrato alcun vantaggio nell'impiego in fase iniziale dei preparati di L-DOPA a rilascio modificato nel ritardare lo sviluppo di complicanze motorie; o Dopamino-agonisti (prima scelta in pz giovane) nei pazienti con esordio precoce di malattia, sono preferiti i dopamino-agonisti non ergolinici. Sono efficaci in monoterapia nella fase iniziale e possono ridurre il rischio di fluttuazioni motorie. I dopamino-agonisti ergot-derivati non sono indicati come prima scelta a causa del rischio di fibrosi. Non vi è indicazione all'uso di apomorfina in questa fase; o Inibitori delle MAO-B (selegilina, rasagilina): questi farmaci hanno un effetto inferiore rispetto a L- DOPA e dopamino-agonisti, ma sono facili da somministrare e non richiedono la titolazione; o Amantadina o anticolinergici: questi farmaci sono meno efficaci della L-DOPA. Gli anticolinergici devono essere evitati nei pazienti anziani; o Associazione precoce di dopamino-agonista e L-DOPA a basse dosi. 3) Fase di progressione della malattia: se il paziente ha iniziato la terapia con inibitori delle MAO-B, anticolinergici o amantadina e si rende necessario associare altri farmaci, si possono aggiungere L-DOPA o dopamino-agonisti. In genere, si preferiscono i dopamino-agonisti nei pazienti più giovani e la L-DOPA nei pazienti più anziani. Se il paziente era in monoterapia con dopamino-agonista, è possibile aumentare la dose del dopamino-agonista, passare a un altro dopamino-agonista o aggiungere L-DOPA. Se il paziente era in monoterapia con L-DOPA, è possibile aumentarne la dose o aggiungere un dopamino-agonista o un inibitore delle COMT o delle MAO-B; 4) Fase avanzata: in questa fase si verifica uno scompenso motorio, legato in parte alla progressione e alla gravità della malattia, caratterizzato da inadeguato controllo motorio (peggioramento di bradicinesia, rigidità, tremore) e fluttuazioni motorie (deterioramento di fine dose – wearing off – acinesia al risveglio, fenomeno on-off, discinesie Dopa-indotte): o Per gestire il deterioramento di fine dose, si può aumentare la dose e/o la frequenza di somministrazione della L-DOPA, passare a preparazioni a rilascio modificato, associare un dopamino- agonista o aumentare il suo dosaggio se già assunto, aggiungere inibitori MAO-B e COMT. Se questi tentativi sono inefficaci, si può ricorrere all'impiego di L-DOPA dispersibile a più rapido assorbimento; o Nei casi di gravi fluttuazioni motorie refrattarie, si può ricorrere all'aggiunta di apomorfina sotto forma di boli sottocute o in pompa per infusione continua, alla somministrazione di L-DOPA/carbidopa in gel mediante gastrostomia percutanea, o alla neurochirurgia funzionale (DBS del nucleo subtalamico); o Le discinesie Dopa-indotte possono essere gestite modificando i trattamenti in corso, impiegando sostanze con azione antidiscinetica (amantadina) o ricorrendo a trattamenti neurochirurgici (DBS del nucleo subtalamico o del globo pallido interno). Per le distonie di fase off è stato anche suggerito l'impiego della tossina botulinica a livello dei muscoli interessati. In generale, il trattamento della malattia di Parkinson è altamente individualizzato e richiede un'attenta valutazione dei sintomi, delle esigenze e delle preferenze del paziente. La chirurgia può essere considerata quando non vi è più risposta alle terapie farmacologiche o quando i pazienti sviluppano con i farmaci effetti collaterali non tollerabili (es. discinesie invalidanti e blocchi motori prolungati). La stimolazione cerebrale profonda (DBS) è una tecnica che può migliorare tutti i principali sintomi della malattia di Parkinson e ridurre le discinesie iatrogene. Un tempo si eseguivano interventi lesionali (pallidotomia), che però comportavano il rischio di effetti collaterali, inclusa la paralisi, e, per questo, sono stati sostituiti dagli interventi di inattivazione funzionale mediante elettrostimolazione cronica (deep brain stimulation). La DBS prevede l’impianto di elettrocateteri nel nucleo subtalamico. La procedura viene eseguita utilizzanod la guida stereotassica e la risonanza mangetica per identificare i punti di riferimento. I fili degli elettrocateteri vengono quindi collegati ad uno stimolatore impiantato sotto la pelle del torace. Lo stimolatore invia impulsi elettrici al nucleo subtatalmico, regolandone l’attività e riducendo i sintomi del Parkinson. L’intensità della stimolazione può essere regolata esternamente utilizzando un dispositivo posizionato sul torace. La DBS offre diversi vantaggi rispetto ad altri trattamenti per il Parkinson: o Non è lesiva, non danneggia il tessuto cerebrale; o Reversibile; o Modulabile nel tempo in base alle esigenze del pz; o Consente trattamenti bilaterali e impianti multipli; o Ha un basso tasso di complicanze (2%); o Può consentire una riduzione della terapia farmacologica; o Può ridurre la necessità di interventi collaterali come la fisioterapia e dispositivi di supporto. Nonostante i suoi benefici, la DBS presenta anche alcuni svantaggi: o Costi elevati; o necessità di centri specializzati e personale dedicato; o Richiede un’attenta gestione post-operatoria; o Necessita di sostituzioni periodiche degli stimolatori. 2.8.8. STRATEGIE NEUROPROTETTIVE Attualmente sono in fase di studio una serie di possibili strategie neuroprotettive promettenti come: Antiossidanti: es. MAOi; Farmaci anti-glutammatergici: es. amantadina; Agonisti D2; Trapianto di cellule dopaminergiche: trapianto di cellule dopaminergiche di feti abortiti nello striato dei pazienti con Parkinson. Un tempo questa tecnica era praticata in Paesi, quali Messico e Svezia (non in Italia, perché la legislazione non lo permette), ma è stata abbandonata perché i pazienti dopo qualche anno peggioravano a causa della diffusione degli aggregati di α-sinucleina dalle cellule malate dei pazienti alle cellule trapiantate, che quindi degeneravano; DBS; Fattori neurotrofici; SiRNA: blocco espressione α-sinucleina; Induzione attività proteasoma e autofagia; Agenti antinfiammatori; Anticorpi monoclonali anti-sinucleina. MALATTIE EXTRAPIRAMIDALI PT.2 1. SINDROMI COREICHE – COREA DI HUNTINGTON La corea di Huntington è una malattia degenerativa ereditaria, caratterizzata dall’associazione di movimenti involontari, alterazioni del comportamento e deterioramento cognitivo progressivo. È una patologia rara, con una prevalenza di 4 – 10 casi su 100.000 e distribuzione ubiquitaria. La corea di Huntington prende il nome da George Huntington, medico americano, che nel 1872, all'età di 22 anni, descrisse per la priva volta il quadro clinico e l'ereditarietà di questa malattia. 1.1. EZIOPATOGENESI Viene trasmessa con modalità autosomica dominante a penetranza completa, il che implica che tutti i soggetti portatori di mutazione svilupperanno il quadro clinico e che ciascun figlio di un soggetto affetto presenta il 50% di probabilità di ereditare la malattia. Il gene responsabile della malattia (IT 15) si trova sul braccio corto del cromosoma 4 e codifica per la proteina huntingtina. La mutazione caratteristica corrisponde all’espansione di una sequenza di tre nucleotidi (CAG) nella parte codificante del gene: o Soggetti normali: sono presenti fino a 28 ripetizioni; o Fenotipo sano ma generazione successiva a rischio: 29 – 34; o Fenotipo malato variabile e generazione successiva a rischio: 35 – 39; o Soggetti affetti: la tripletta è ripetuta da 40 a 141 volte. Il numero di ripetizioni correla inversamente con l’età dell’esordio. Inoltre, nel corso della gametogenesi paterna si può verificare un’ulteriore espansione del corredo di triplette che vengono trasmesse alla progenie: l’aumento intergenerazionale progressivo del numero di triplette rende conto del tipico fenomeno dell’anticipazione dell’età dell’esordio che si osserva nelle forme a trasmissione paterna. L’espansione di triplette CAG determina a livello proteico un aumento del numero di residui consecutivi di glutammina; questi tratti di poliglutammina inducono l’huntingtina a depositarsi in aggregati nucleari e citoplasmatici, che alterano in maniera irreversibile la normale citoarchitettura. I fenomeni degenerativi interessano prevalentemente lo striato (in particolare il caudato), con depauperamento dei neuroni spinosi medi di proiezione. Si osserva una riduzione del tono GABAergico a livello dei circuiti dei nuclei della base con relativa preponderanza dopaminergica striatale; di conseguenza viene a modificarsi il fisiologico equilibrio tra la via diretta e la via indiretta, con netta prevalenza della via diretta e conseguente sovrastimolazione del circuito di attivazione talamo-corticale. 1.2. QUADRO CLINICO L’età di esordio è variabile, più frequentemente tra i 30 e i 40 anni. L’esordio può interessare la sfera motoria o quella psichica. Il quadro clinico della malattia di Huntington comprende: Manifestazioni psichiatriche: i disturbi psichiatrici sono comuni nella malattia di Huntington e possono precedere i sintomi motori. I sintomi più comuni includono depressione, ansia, irritabilità, aggressività, apatia e comportamenti ossessivo-compulsivi; Manifestazioni motorie: il sintomo motorio più evidente è la corea, un disturbo del movimento caratterizzato da movimenti rapidi, involontari e irregolari degli arti, del tronco e del viso. Inizialmente il disturbo è focale e segmentale (aumentato ammiccamento, smorfie facciali), in seguito progredisce fino a coinvolgere svariati distretti corporei. Con la progressione della malattia, la corea può diventare più grave e compromettere la capacità di camminare, parlare e deglutire. Possono verificarsi anche altri disturbi del movimento, come la distonia (contrazioni muscolari prolungate che causano posture anomale) e la bradicinesia (lentezza dei movimenti). I pazienti possono tipicamente incorporare la corea in movimenti dall’apparenza più naturale, in maniera tale da cercare di evitare l’imbarazzo che ne deriva. La corea raggiunge tipicamente il suo picco entro 10 anni dall’esordio, per poi essere gradualmente rimpiazzata da bradicinesia, rigidità e distonia; Deterioramento cognitivo: il deterioramento cognitivo è un sintomo precoce e progressivo della malattia di Huntington. Può iniziare con difficoltà di concentrazione, memoria e giudizio e progredire verso la demenza. Le più frequenti manifestazioni psichiatriche della malattia sono modificazioni della personalità, disturbi dell’umore o psicosi. Il tasso di suicidio è circa 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale e anche rispetto alla popolazione ultracinquantenne. I sintomi comportamentali includono irritabilità, aggressività a scoppi intermittenti, apatia. Frequenti sono l'abuso di sostanze (alcolici, caffeina, farmaci e sostanze psicoattive), i disturbi della sfera alimentare, i disturbi della sfera sessuale e i disturbi del sonno. I sintomi psichiatrici possono precedere di un certo lasso di tempo le manifestazioni motorie, che all’inizio presentano una distribuzione estremamente limitata e possono sfuggire all’osservazione dell’esaminatore. Le manifestazioni motorie si presentano con movimenti coreici a livello della muscolatura facciale (grimaces) e distale degli arti. Inizialmente sono particolarmente evidenti nel cammino o nell’esecuzione di gesti (paracinesie); con l’evoluzione della malattia i movimenti coreici diventano più ampi e continui (coreo-atetosi) e possono comprendere anche contrazioni distoniche, compaiono anche a riposo e si estendono fino ad una distribuzione generalizzata, compromettendo le abilità manuali, la coordinazione motoria e il mantenimento della stazione eretta. L'interessamento progressivo della muscolatura bulbare determina la comparsa di disartria e disfagia. Precoce inoltre è la compromissione della motilità oculare con rallentamento delle saccadi e anomalie della fissazione. Solitamente al quadro ipercinetico si associa un ipotono muscolare. Accanto alla sintomatologia motoria e psichica col tempo si manifestano i segni di un deterioramento cognitivo sottocorticale: alterazione delle funzioni visuospaziali, delle funzioni esecutive, turbe della memoria di rievocazione e dell’attenzione; risultano tipicamente preservate le funzioni simboliche. La durata media di malattia si aggira intorno ai 15 anni con progressiva disabilità motoria e cognitiva e conseguente allettamento; l’exitus interviene generalmente per cause secondarie (es. polmonite ab ingestis). 1.3. DIAGNOSI La diagnosi della malattia di Huntington si basa su una combinazione di valutazione clinica, storia familiare e test genetici: Valutazione clinica: la diagnosi di malattia di Huntington è suggerita dalla presenza del caratteristico quadro clinico, che include la combinazione di discinesie coreiche e disturbi psichici. Il medico valuterà la storia del paziente, eseguirà un esame fisico e neurologico e potrà richiedere esami di neuroimaging per valutare eventuali anomalie cerebrali; Storia familiare: la malattia di Huntington è una malattia ereditaria a trasmissione autosomica dominante. Ciò significa che ogni figlio di una persona affetta dalla malattia ha il 50% di probabilità di ereditarla. Una storia familiare positiva per la malattia di Huntington è un forte indicatore diagnostico; Test genetico: il test genetico è il gold standard per la diagnosi della malattia di Huntington. Questo test analizza il DNA del paziente per rilevare la presenza delle ripetizioni CAG tramite PCR, effettuato fornendo un adeguato counseling al probando e ai familiari. Il test genetico può essere eseguito su un campione di sangue o di saliva ed è altamente accurato. Il test genetico è importante per confermare la diagnosi di malattia di Huntington, anche in presenza di un quadro clinico e di una storia familiare suggestivi. Oltre ai metodi di diagnosi sopra descritti, gli studi di neuroimaging, come la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM) dell'encefalo, possono essere utili per identificare i cambiamenti strutturali nel cervello associati alla malattia di Huntington. Le immagini possono mostrare un'atrofia del nucleo caudato, una struttura cerebrale coinvolta nel controllo motorio. La tomografia a emissione di positroni (PET) può anche essere utilizzata per valutare l'attività metabolica nel cervello, che può essere ridotta nelle aree colpite dalla malattia di Huntington. La diagnosi clinica è relativamente semplice in pz con sintomi tipici e storia familiare positiva. è però importante considerare che esistono delle forme clinicamente indistinguibili dalla malattia di Huntington per le quali è necessario procedere con analisi biochimiche e genetiche. Le forme genetiche comprendono HDL (Huntington-like disease) 1 e 2, SCA 17, DPRLA e neuroacantocitosi. 1.3.1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE È importante notare che la diagnosi differenziale della malattia di Huntington può essere complessa, poiché esistono altre condizioni che possono causare sintomi simili. Alcune di queste condizioni includono: Altre discinesie che possono essere confuse con la corea: scatti mioclonici, tic; Coree immunomediate: queste forme di corea sono causate da una risposta immunitaria anomala che attacca il cervello. Esempi includono la corea di Sydenham (post-streptococcica), Corea senile, il neurolupus e la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi; Coree iatrogene: queste forme di corea sono causate da farmaci, come neurolettici, L-DOPA e farmaci dopamino-agonisti, triciclici, fenitoina, contraccettivi orali; Corea vascolare: questa forma di corea è causata da un danno ai vasi sanguigni del cervello, come ictus o lesioni lacunari. Tipica di soggetti anziani con lesioni lacunari a carico dello striato fino allo stato cribroso dei nuclei della base; frequentemente la distribuzione è asimmetrica e si associa ad altre manifestazioni neurologiche (sindromi piramidali, deterioramento cognitivo); Coree endocrino-metaboliche: queste forme di corea sono causate da disturbi endocrini o metabolici, come ipertiroidismo, ipo-ipernatriemia e ipo-iperglicemia, encefalopatie epatiche e renali; Altre forme: Corea gravidarum (associata a gravidanza. Il progesterone e i neurosteroidi possono interagire con i recettori del GABA), Neuroacantocitosi (malattia autosomica recessiva caratterizzata da degenerazione progressiva dei gangli della base e acantocitosi eritrocitaria nello striscio periferico. Il medico considererà attentamente tutte le possibili diagnosi prima di confermare la diagnosi di malattia di Huntington. 1.4. TRATTAMENTO Il trattamento della corea di Huntington è principalmente sintomatico, mirando a gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita del paziente. Non esiste una cura per la malattia o un trattamento in grado di rallentare la sua progressione. Le principali strategie terapeutiche per la corea di Huntington includono trattamenti farmacologici e non farmacologici. I trattamenti farmacologici si avvalgono di: Dopamino-antagonisti: questi farmaci aiutano a ridurre i movimenti coreici bloccando l'azione della dopamina. o Neurolettici tipici e atipici: aloperidolo, sulpiride; o Farmaci depletivi della dopamina presinaptica: tetrabenazina, reserpina. Altri farmaci: o Antidepressivi: SSRI o triciclici; o Stabilizzatori dell'umore: per gestire l'irritabilità, l'aggressività e altri disturbi dell'umore; o Ansiolitici. La terapia non farmacologica comprende: Fisioterapia: per migliorare la forza muscolare, la coordinazione e l'equilibrio; Logopedia: per affrontare i problemi di linguaggio e di deglutizione; Terapia occupazionale: per aiutare i pazienti a mantenere le loro capacità funzionali e la loro indipendenza; Supporto psicologico: per aiutare i pazienti e le loro famiglie a far fronte all'impatto emotivo e sociale della malattia. È importante notare che l'uso di neurolettici per trattare la corea di Huntington può peggiorare i sintomi cognitivi e causare effetti collaterali extrapiramidali, come parkinsonismo, distonia, acatisia, sedazione eccessiva, iperprolattinemia. La scelta del trattamento farmacologico deve essere individualizzata in base alle esigenze specifiche del paziente. La ricerca sulla malattia di Huntington è in corso e sono in fase di sviluppo nuovi trattamenti, tra cui terapie geniche e terapie cellulari. 2. ALTRE MALATTIE DA POLIGLUTAMMINA 3. SINDROMI DISTONICHE Per distonia si intende un disturbo del movimento caratterizzato da contrazioni muscolari sostenute e protratte, diffuse o localizzate a specifici gruppi muscolari, responsabili di movimenti ripetitivi per lo più a carattere torsionale o di posture anomale. Ha un carattere aritmico e discontinuo, risulta migliorata dal rilassamento e da opportuni stimoli tattili e peggiorata dallo stress e dall’affaticamento. Le conoscenze sui meccanismi fisiopatologici di questo disturbo del movimento sono scarse. Alla base sembra risiede un’alterazione del funzionamento dei circuiti dei nuclei della base con iperattività sia della via diretta sia di quella indiretta con comparsa di errori negli output corticali; si verificherebbe in particolare un’alterazione del meccanismo di center-surround che focalizza l’attivazione dei muscoli agonisti silenziando i rispettivi muscoli antagonisti. Recentemente è stata valorizzata l’alterazione dei meccanismi di integrazione sensori-motoria, in particolare in alcune forme di distonia focale. Le sindromi distoniche possono essere classificate in base a diversi criteri: Età d'esordio: o Infantile (0-12 anni); o Adolescenziale (13-20 anni); o Adulta (> 20 anni). Distribuzione: o Focale: coinvolgimento di una sola regione corporea; o Segmentale: coinvolgimento di due regioni contigue (craniale, assiale, brachiale, crurale); o Multifocale: coinvolgimento di due regioni non contigue; o Generalizzata: coinvolgimento di tutto il corpo; o Emidistonia: coinvolgimento di un solo lato del corpo. Eziologia: o Primarie: movimenti distonici come unico sintomo neurologico, senza cause esterne o lesioni evidenti; o Distonia-plus: forme ereditarie in cui alla distonia si aggiungono altri sintomi neurologici; o Eredo-degenerative: distonia come sintomo di malattie metaboliche o cause specifiche; o Secondarie: distonia causata da encefalopatie perinatali, infezioni, lesioni cerebrali focali o farmaci. 3.1. DISTONIE PRIMARIE 3.1.1. DISTONIA GENERALIZZATA PRIMARIA La distonia generalizzata primaria è una forma di distonia ereditaria caratterizzata da movimenti involontari e posture anomale che interessano tutto il corpo. La distonia generalizzata primaria è causata da mutazioni genetiche a trasmissione autosomica dominante, ma con una penetranza ridotta (30-40%), il che significa che non tutti gli individui che ereditano la mutazione sviluppano la malattia. La mutazione più comunemente associata a questa forma di distonia riguarda il locus DYT1, che codifica per la proteina torsina A (distonia muscolorum deformans o malattia di Oppenheimer). In molti casi è dovuta alla delezione di 3 paia di basi nel gene DYT1, con conseguente perdita di un aminoacido (acido glutammico), nella proteina torsina A. La torsina A è una chaperone associata al reticolo endoplasmatico, che partecipa al trasporto intracellulare e interagisce con il trasportatore della dopamina; per cui, un suo deficit provoca un’alterazione delle vie dopaminergiche, ma anche colinergiche. Non risponde alla terapia con L-dopa. L'esordio della distonia generalizzata primaria si verifica tipicamente in età infantile, tra i 6 e i 12 anni. I primi sintomi spesso si manifestano come una distonia d'azione localizzata a un arto inferiore, con il bambino che inizia a camminare sulle punte dei piedi e presenta un piede equino-varo. Nel corso del tempo, la distonia si diffonde progressivamente alle regioni adiacenti, fino a coinvolgere tutto il corpo. Il coinvolgimento della muscolatura assiale e degli arti inferiori compromette la postura e la deambulazione, con la comparsa di posture anomale e difficoltà a mantenere la stazione eretta. L'evoluzione clinica della distonia generalizzata primaria è molto variabile, anche all'interno della stessa famiglia. In alcuni casi, la progressione della malattia può essere lenta e i sintomi possono rimanere relativamente lievi. Tuttavia, in molti casi, la distonia si aggrava progressivamente nel corso di 5-10 anni, compromettendo gravemente l'autonomia del paziente. La diagnosi di distonia generalizzata primaria si basa principalmente sulla valutazione clinica e sulla storia familiare. Gli esami di laboratorio, elettrofisiologici e di neuroimaging non sono in genere utili per confermare la diagnosi, in quanto i risultati sono spesso negativi. La diagnosi differenziale con altre forme di distonia, in particolare con quelle secondarie a cause specifiche, può essere complessa. 3.1.2. DISTONIE FOCALI PRIMARIE Le distonie focali primarie sono un gruppo di disturbi del movimento caratterizzati da contrazioni muscolari involontarie che interessano una specifica regione corporea. A differenza della distonia generalizzata, le distonie focali primarie tipicamente esordiscono in età adulta, dopo i 40 anni. La prevalenza è maggiore nel sesso femminile. Sebbene il contributo genetico non sia ancora del tutto chiarito, è stato identificato un possibile collegamento con il locus DYT7. Si ipotizza che alcuni casi di distonia focale possano rappresentare forme fruste di distonia generalizzata, con una manifestazione clinica più limitata. Le distonie focali primarie si manifestano con il coinvolgimento di specifiche aree corporee, in modo isolato (forme focali) o con diverse combinazioni (forme multifocali o segmentali): Distonie craniche: o Blefarospasmo: contrazione involontaria del muscolo orbicolare dell'occhio, che causa un aumento della frequenza dell'ammiccamento e, nei casi più gravi, la chiusura forzata delle palpebre; o Distonia oromandibolare: smorfie, movimenti involontari di apertura o chiusura della bocca, protrusione della lingua, che interferiscono con la masticazione e la deglutizione; o Disfonia spasmodica: distonia della muscolatura laringea, con alterazione della fonazione, caratterizz