Neurologia Digitale - Lezione 3 - 22/10/2024 PDF
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F. Novellino, Lio Ilenia
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Questi appunti forniscono un sommario del morbo di Parkinson, descrivendo l'eziologia, i meccanismi cellulari e le caratteristiche anatomiche della malattia. Vengono presentati anche i segni clinici, i disturbi del sonno e dell'umore, e vengono affrontati gli aspetti della terapia chirurgica. Il documento sembra essere una lezione universitaria sulla neurologia.
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Neurologia digitale Lezione 3, 22/10/2024 Prof.ssa F. Novellino Sbobinatrice Lio Ilenia Sommario: morbo di Parkinson Per il morbo di Parkinson ancora non si conosce nello specifico l’eziologia. In...
Neurologia digitale Lezione 3, 22/10/2024 Prof.ssa F. Novellino Sbobinatrice Lio Ilenia Sommario: morbo di Parkinson Per il morbo di Parkinson ancora non si conosce nello specifico l’eziologia. In rari casi è geneticamente determinato e, tali casi, possono essere dominanti o recessivi e chiamano in causa geni coinvolti nei pathway cellulari. Il sistema ubiquitina-proteosoma è quel sistema che consente di eliminare gli aggregati proteici, soprattutto di grandi dimensioni. Il metabolismo mitocondriale è importante per il metabolismo energetico e, nei casi di patologie come quelle neurodegenerative, non riesce a contrastare gli aspetti di stress ossidativo che, invece, a livello della cellula, fanno parte del meccanismo fisiopatologico della malattia. Sebbene tali casi geneticamente determinanti siano una percentuale bassa rispetto al totale dei casi della malattia di Parkinson, in realtà, sono importanti perché hanno consentito di mettere a fuoco i meccanismi patogenetici che sono coinvolti anche nelle forme sporadiche, in tutte le forme di malattia e, dunque, hanno consentito di comprendere eventi a livello cellulare che non riguardano solo le forme geneticamente determinate ma che riguardano un po' tutte le forme di malattia di Parkinson. Una serie di fattori di suscettibilità individuale, dalla predisposizione genetica, all’età, al genere, all’esposizione a sostanze tossiche, allo stile di vita, all’alimentazione, all’alterazione della flora microbica intestinale, producono una serie di interazioni, l’uno con l’altro, che comportano, nei soggetti che sviluppano la malattia, eventi quali stress ossidativo, disfunzione mitocondriale, eccitotossicità e apoptosi. Tali eventi conducono alla morte neuronale, quindi neurodegenerazione ed insorgenza della malattia. 1 DAL PUNTO DI VISTA ANATOMICO: la sede principale, in cui avvengono tali fenomeni, è la sostanza nera, regione che ha forma di virgola, chiamata in questo modo perché contiene dei neuroni che hanno la neuromelanina: un pigmento che conferisce colore scuro alla regione. Nell’immagine si vede un ingrandimento del mesencefalo, della sezione anatomica mentre, sulla destra si osserva un preparato anatomico reale e, in particolare, è possibile osservare: -nell’immagine in alto un soggetto sano ed è ben chiara la presenza di sostanza nera; -nell’immagine in basso invece un paziente presentante il morbo e, non si osserva la regione pigmentata in quanto nella malattia si perdono i neuroni pigmentati. PERCHÉ TALI NEURONI DEGENERANO E MUOIONO? L’elemento caratteristico anatomo- patologico è la formazione dei corpi di Lewi. Si tratta di inclusioni intra- neuronali che avvengono soprattutto a livello del corpo cellulare, che contengono aggregati insolubili di α-sinucleina. Si tratta di una proteina che forma degli ammassi neurofibrillari che vengono poi organizzati in corpi tondeggianti che si sviluppano all’interno dei neuroni cerebrali (così come si osserva nell’immagine). I corpi di Lewi sono quindi un elemento distintivo, caratteristico, del tessuto neuronale colpito da malattia di Parkinson. Quindi, l’accumulo di questi corpi di Lewi nei neuroni comporta la loro degenerazione e si verifica la perdita dei neuroni. DAL PUNTO DI VISTA FUNZIONALE: Dal punto di vista funzionale, cosa significa perdere tali neuroni? Qual è la loro funzione nell’organismo? Intanto, la sostanza nera possiede una pars compacta e una pars reticulata e rientra in un complesso pathway: le vie extrapiramidali. Queste ultime controllano moltissimi aspetti sul piano motorio e, anche aspetti cognitivi (classicamente è più considerato l’aspetto motorio ma prendono parte anche a importanti funzioni di tipo cognitivo). 2 Le strutture che fanno parte dei gangli della base sono: Sostanza nera → che è in rapporti con lo striato che comprende caudato e putamen Globo pallido → che si distingue in una porzione interna e una esterna Nucleo subtalamico Talamo: da questi nuclei che tra di loro dialogano in maniera poli-sinaptica, vengono, dal talamo, riportati su aree corticali una serie di stimoli e, si vanno a distinguere l’area corticale motoria e visiva accessoria Questo genera una serie di circuiti che controllano una serie di aspetti come: Controllo dei movimenti → importante perché ci sono una serie di movimenti automatici che vengono controllati dal sistema extrapiramidale: controllo dei movimenti espressivi, sincinesia pendolare (pendolamento degli arti superiori durante la marcia), la scrittura, la masticazione, la fonazione, la stazione eretta. Regolazione del tono muscolare → viene quindi modificata la distribuzione del tono dei singoli distretti. Controllo della velocità dei movimenti Inibizione dei movimenti involontari Quindi, tutta una serie di aspetti automatici su cui interviene il sistema extrapiramidale, a differenza del sistema piramidale che invece controlla l’inizio volontario dei movimenti. Quindi, dalla corteccia motoria partono le vie piramidali, che controllano il movimento volontario (la decisione di muovere qualunque parte, che è possibile controllare). Le vie piramidali arrivano poi direttamente ai muscoli consentendo il movimento. Però, le vie piramidali sono a loro volta interfacciate con il sistema extrapiramidale che controlla una serie di aspetti quali velocità del movimento e automatismi ma, insieme alla parte del controllo motorio, queste vie controllano altri aspetti cognitivi quali: Apprendimento procedurale → apprendimento di procedure nuove Memoria Cognizione Movimenti oculari Aspetti di motivazione e ricompensa Comportamento adeguato rispetto alle circostanze Elaborazione delle emozioni 3 Dunque, alla luce di ciò, è chiaro che un mal funzionamento all’interno di tali vie ha degli effetti molto importanti nell’organismo, nel funzionamento e nel controllo di tutti gli aspetti detti. Dal talamo le fibre riversano sulla corteccia, arrivano alle aree corticali e, globalmente, in presenza di dopamina nella sostanza nera, l’effetto finale, che è l’azione dopaminergica, facilita l’avvio dei movimenti desiderati e, quindi, si ha che dal talamo partono degli impulsi di attivazione, facilitatori, sulla corteccia cerebrale e, dunque, l’inizio e il controllo dei movimenti risulta facilitato. In assenza di dopamina, il talamo non è privato dall’inibizione (importante) che viene dal circuito dei gangli della base e, quindi, si attiva con più difficoltà. Ne deriva che gli impulsi attivanti sulla corteccia sono molto difficili, sono minori e, questo comporta una riduzione complessiva dell’uscita dei segnali motori e, quindi, una riduzione della possibilità della facilità d’inizio e di controllo corretti dei segnali motori che derivano dalle vie extrapiramidali fino alla corteccia (che darà origine al movimento volontario raggiungendo i muscoli attraverso altre vie). Quindi, globalmente si crea uno squilibrio all’interno di queste vie che controllano il movimento e vengono prodotte una serie di alterazioni e di segni clinici. SEGNI CLINICI I segni clinici prevedono una triade caratteristica, costituita da tremori a riposo, rigidità e bradicinesia. Non sono necessariamente presenti contemporaneamente tutti e tre e, in genere, sono asimmetrici ovvero un lato del corpo viene colpito maggiormente rispetto all’altro. In genere l’esordio lo si ha sul lato destro o sinistro e, quel lato che viene colpito all’esordio rimarrà quello prevalente di malattia, mentre, l’altro emicorpo verrà colpito a distanza di un po' di tempo e rimarrà sempre un po' più lieve rispetto al lato prevalente (questo almeno nelle forme inziali e moderate di malattia, nelle forme più severe la differenza è meno evidente). Quindi, non tutti e tre i sintomi devono essere per forza apprezzabili contemporaneamente. A volte prevale il tremore e, questo, viene definito come “tremor dominant PD” ossia con aspetto a prevalenza tremorigena e, poi, c’è la variante rigido-acinetica in cui può anche verificarsi che il tremore non compia mai nel corso della malattia. Altre forme invece presentano tutti e tre i sintomi fin dall’esordio. 4 Il tremore il tremore è un movimento involontario, ritmico, oscillatorio di una o più parti del corpo e, qualsiasi parte del corpo può essere colpita. Nel caso della malattia di Parkinson si tratta di un tremore a riposo: si presenta quando il muscolo non è in attività e, invece, viene interrotto dal movimento volontario, dall’attivazione o dal mantenimento di postura. Il tremore può essere misurato attraverso tecniche elettromiografiche e la frequenza nella malattia è di 4/6 Hz, quindi bassa frequenza. Quello che è tipico della malattia è che può colpire qualunque parte del corpo ma prevalentemente colpisce alcune sedi come le mani, andando a determinare un tremore a “contar monete”, a “battere il tamburo” quando la parte che trema di più è il polso, per quanto riguarda i piedi è definito a “battere il tempo” e quando colpisce la mandibola si ha tremore a “battere i denti”, come se la persona avesse freddo. Tali aspetti sono importanti e possono essere valutati anche con dispositivi digitali. La registrazione del tremore è un qualcosa su cui la medicina digitale sta facendo progressi. La rigidità La rigidità è una sorta di resistenza al movimento passivo, percepita dall’esaminatore ed è caratteristica della malattia. È presente la troclea, un segno caratteristico dell’ipertono plastico Parkinsoniano e, al movimento dell’arto della persona valutata, è come se il movimento stesse avvenendo su delle ruote dentate. L’ipertono in questa tipologia di Parkinson è detto ipertono di tipo plastico perché è un ipertono costante che si verifica dall’inizio alla fine del movimento e, si chiama anche a “tubo di piombo” perché, alla fine del movimento, l’arto mantiene la posizione in cui viene lasciato, come fosse, appunto, un tubo di piombo. La bradicinesia La bradicinesia è una riduzione globale della velocità di movimento. I movimenti vengono eseguiti con difficoltà, con lentezza. C’è difficoltà nell’iniziare il movimento e poi viene svolto in maniera lenta. All’inizio può colpire soprattutto gli arti superiori e può interessare quei 5 movimenti fini che vengono svolti nella vita quotidiana, come quelli necessari per la cura della propria persona, ad esempio, radersi, abbottonare la camicia, truccarsi: tutti movimenti che necessitano di una certa manualità e destrezza. Può avere un riscontro anche sulle azioni della vita quotidiana come versare da bere o apparecchiare, alzarsi e sedersi e anche girarsi nel letto diviene difficile. Poi tale lentezza aumenta e colpisce una serie di altri aspetti. Inerente agli aspetti di rigidità e bradicinesia ci sono una serie di altri disturbi caratteristici della malattia. Infatti, rigidità e bradicinesia possono colpire il volto portando ad una espressione particolare ossia un volto ipomimico: l’espressione del volto viene ridotta o persa. Ciò viene definito anche come “poker- face” ossia una faccia che non trasmette nessuna emozione, come quella dei giocatori di poker che non devono farsi capire dall’avversario. La parola diventa monotona, bassa, con una cadenza tipica. La scrittura rimpicciolisce progressivamente diventando una micrografia. La postura è camptocormica: il soggetto è inclinato in avanti, con le braccia accollate al tronco e gli avambracci semiflessi. L’andatura subisce alterazione perché il passo diviene rallentato e di ampiezza ridotta, le sincinesie pendolari (ossia il movimento degli arti durante la camminata) si riducono fino a scomparire. Il soggetto cammina in modo fisso, lento, a 6 piccoli passi e gli arti pendolano poco o per niente. Ci sono poi due aspetti caratteristici: 1. La festinazione: si tratta di una marcia che inizia lentamente e poi segue un’accelerazione, quasi come se il paziente volesse inseguire il proprio baricentro. Quando compaiono questi aspetti di festinazione vi è un grande rischio che il paziente possa cadere in avanti 2. Il freezing della marcia: è una sorta di blocco, la persona rimane immobile con i piedi incollati al suolo e non riesce ad andare avanti, fino a quando non avviene lo sblocco e ricomincia a camminare. Il freezing compare soprattutto quando il paziente deve attraversare spazi stretti, passare dall’uscio per andare da una stanza all’altra. Quindi, il passaggio in spazi costretti determina la comparsa di tale problema. Vengono mostrati filmati in cui si nota tremore a riposo e freezing di marcia. La presenza di tali alterazioni del cammino rende più alta la possibilità di cadute e, infatti, una delle complicanze che portano talvolta anche alla morte, sono proprio le cadute che, quindi, devono essere prevenute il più possibile. Tutta la sintomatologia motoria descritta compare quando il 60/80% dei neuroni sono andati incontro a degenerazione. Questo fa capire che, fino ad un certo punto, c’è una sorta di compenso. Quando il processo neurodegenerativo comincia, in realtà, non ci si accorge che ciò sta avvenendo. I sintomi diventano evidenti quando oltre la metà dei neuroni nella sostanza nera è andata incontro a degenerazione. Questo ci fa comprendere come ci sia una fase precoce di malattia in cui gli eventi degenerativi sono già in corso ma gli aspetti di sintomatologia motoria non sono evidenti. Si tratta di una fase che diventa interessante da identificare per poter cercare di prevenire l’ulteriore perdita di neuroni tentando di bloccare o rallentare il decorso di tali eventi degenerativi, ricordando sempre che, una volta avvenuta la perdita neuronale, una volta comparsi i sintomi neuronali, non si è in grado di rigenerare tali neuroni, senza possibilità, quindi, di trattamento. Dunque, agire con tempestività e identificare le persone a rischio di sviluppare tali disturbi è una priorità. I disturbi motori vengono definiti come la cima di un iceberg perché, quando compaiono, in realtà, sono avvenuti tutta una serie di fenomeni e di eventi sommersi, sconosciuti, che sono importantissimi: fase prodromica o premotoria di malattia. Questa fase è molto importante da ricostruire e identificare perché lo scopo è quello di agire più possibile precocemente. 7 IPOTESI DI BRAAK Si tratta di un’ipotesi fisiopatologica la quale prevede che, quando il processo fisiopatologico arriva alla sostanza nera, in realtà, è già passato attraverso altre tappe che, dal punto di vista della localizzazione anatomica cranio-caudale (caudale è più bassa, craniale è più centrale), si trovano più verso la zona caudale. Tale ipotesi prevede che ci siano 6 stadi progressivi di degenerazione ascendente, ossia che procede in senso caudo-craniale: dalle strutture cerebrali più basse a quelle più alte (più vicine alla corteccia) e, che comporta perdite di funzione progressive. Secondo questa ipotesi fisiopatologica, i corpi di Lewi non cominciano ad accumularsi nella sostanza nera ma, all’inizio, in due strutture importanti: bulbo olfattivo e il sistema nervoso autonomo periferico. Solo successivamente colpiscono il sistema nervoso centrale. L’ipotesi è quindi che si formino aggregati di α-sinucleina nel lume intestinale che poi, attraverso le fibre del nervo vago, riescano a migrare fino al sistema nervoso centrale. Quindi, c’è un interessamento del sistema nervoso autonomo intestinale ma, anche, del bulbo olfattivo. Quando poi la fase clinica motoria compare, secondo tale ipotesi, si è già nella fase 3, una fase intermedia di malattia. Le fasi precoci, 1 e 2, sono invece delle fasi più basse. Alla presenza di fenomeni che precedono la degenerazione dei neuroni della sostanza nera, sono associati sintomi che, a loro volta, precedono la comparsa di sintomi motori e, tra questi, l’anosmia. 8 IPOSMIA/ANOSMIA Si tratta della diminuzione, o completa perdita, della capacità olfattiva. Questa condizione può precedere di molti anni la comparsa dei disturbi motori ed è legata al fatto che il bulbo olfattivo, che con i suoi filamenti arriva nelle mucose della cavità nasale, sarebbe una prima sede colpita da tali fenomeni degenerativi di accumulo dei corpi di Lewi. L’iposmia colpisce una larghissima percentuale di soggetti, tra i 70 e il 90% dei Parkinsoniani. Tale condizione non risponde alla terapia con Levodopa e non dipendono dalla durata di malattia (il paziente può avere una condizione severe fin dall’inizio) e, come detto, può precedere di molti anni e, ciò, ha lasciato pensare che questo possa rappresentare un primo punto di suscettibilità della malattia. SINTOMI GASTROENTERICI Anche i sintomi gastroenterici sono molto frequenti e iniziali di malattia. Fra questi, il più frequente è la stipsi, che può cominciare fino a 15 anni prima rispetto alla comparsa dei sintomi motori. Sono poi presenti anche rallentato svuotamento gastrico, tenesmo, scialorrea che, in realtà è un segno più frequente quando la malattia è conclamata. Questi disturbi sono molto frequenti nella popolazione, sia stipsi ma, in realtà, anche iposmia. Quindi, è vero che il 70/90% dei soggetti con malattia di Parkinson possono avere iposmia ma, è anche vero che non tutti i soggetti iposmici sono parkinsoniani. Ci sono, infatti, molte cause quali traumi, abitudini al fumo di sigaretta, uso di farmaci (come quelli che servono per decongestionare le mucose delle vie respiratorie), disturbi otorinolaringoiatrici primitivi, che possono portare iposmia. Quindi, ribadendo il concetto, la presenza di iposmia non è necessariamente indicativa dell’insorgenza di malattia di Parkinson ma, può essere un sintomo molto precoce. 9 ALTRI DISTURBI CARATTERISTICI I nuclei di Rafe, il nucleo peduncolopontino, il locus Coeruleus, sono dei nuclei molto importanti per quanto riguarda il controllo del sonno, i disturbi dell’umore e del dolore. Dunque, altri disturbi possibili saranno: o Disturbi del sonno: Caratteristico è un disturbo nel comportamento durante il sonno REM, definito RBD. Si tratta di una parasonnia che clinicamente è caratterizzata da sogni a contenuto terrifico (incubi). Fisiologicamente durante il sonno REM vi è una ipotonia muscolare, è infatti il momento in cui si sogna e, l’organismo separa gli eventi che capitano nel sogno da quelle che invece sono le reazioni motorie durante il sogno stesso. In sostanza, durante il sogno non si è in grado di dimenarsi, strillare, scappare, in risposta alle scene che si vivono. Patologicamente non c’è ipotonia e il paziente mantiene la propria capacità di svolgere tali movimenti durante i sogni e, siccome in tale disturbo i sogni sono spiacevoli (per esempio, essere attaccati, essere derubati, combattere), il soggetto va incontro a movimenti spesso vigorosi che comportano cadute dal letto, o possono colpire ciò che sta accanto al letto e anche la persona che riposa accanto al paziente. Si tratta di un disturbo abbastanza caratteristico che è presente in oltre il 60% dei soggetti con Parkinson (secondo alcune stime anche di più). Tale disturbo può precedere anche di 20 anni rispetto alla comparsa di malattia di Parkinson. La popolazione che soffre di tale disturbo, che non necessariamente evolve in malattia di Parkinson, è una popolazione “interessante” da identificare al fine di studiare soggetti a rischio di sviluppare tale malattia. Questo, oggi, rappresenta uno dei marcatori precoci di malattia più interessanti. o Disturbi dell’umore: La depressione del tono dell’umore è un altro disturbo molto importante. Anche questo può presentarsi fino a 20 anni prima, coì come la comparsa di disturbi d’ansia. Però, anche questi sono disturbi piuttosto frequenti nella popolazione generale ma, allo stesso tempo, si tratta di indizi che consentono di identificare categorie potenzialmente a rischio. 10 o Dolore alla spalla: Si può parlare più in generale di dolore anche se, tipicamente, è interessata la spalla. Tale dolore esordisce pochi anni prima (3-5) precedendo la comparsa dei segni motori. Si tratta di un dolore che viene considerato, dal soggetto stesso, di pertinenza ortopedia e, quindi, ci sono soggetti che subiscono anche interventi sulla cuffia dei rotatori nella speranza di risolvere tali aspetti dolorosi ma, dopo qualche anno, generalmente, viene fuori che dallo stesso lato in cui c’era il dolore, poi compare tremore o rigidità, comprendendo che in realtà si trattava di un sintomo premonitore della comparsa dei sintomi motori del Parkinson. STADIO TARDIVO Superata la fase della triade, gli stadi più tardivi di malattia, 4-5-6, vedono una diffusione dei fenomeni degenerativi ad altre aree quali ippocampali (come l’amigdala) ma, anche aree diffuse, corticali. Ciò comporta altri disturbi che possono includere aspetti quali: disturbi cognitivi, disturbi psicotici, e allucinazioni. I disturbi psicotici sono comportamenti legati alla presenza di allucinazioni e deliri, quindi, convincimenti di qualcosa che non è reale. Le funzioni esecutive I disturbi cognitivi sono presenti solo nelle fasi avanzate della malattia e vengono colpite le funzioni esecutive. Ci possono essere alterazioni della memoria e visuo-spaziali ma non aprassia, afasia e agnosia (tipici invece della malattia di Alzheimer). Le funzioni esecutive sono funzioni superiori che consentono di effettuare determinate azioni in cui sono coinvolti anche i circuiti dei gangli della base: apprendimento di nuove azioni, pianificazione e processi decisionali, azioni in cui è necessario correggere errori, comportamenti nuovi che dipendono dall’apprendimento dalla sequenza di azioni, monitoraggio del comportamento e attività in cui bisogna superare azioni già apprese adattando il proprio comportamento alle situazioni inattese, alle sorprese. 11 Le allucinazioni Le allucinazioni sono spesso allucinazioni visive, possono essere anche per l’effetto della terapia antiparkinsoniana, un effetto indesiderato che viene accentuato dalla terapia. Tali allucinazioni possono essere elaborate, quindi visioni di animali o persone, ma anche forme minori come ombre o sensazione della presenza di qualcuno e, possono essere anche parzialmente criticate: il soggetto può avere la consapevolezza che quella cosa che vede può non essere completamente vera. Si tratta di eventi tardivi e, quando si verificano precocemente, si mette in dubbio la diagnosi di malattia di Parkinson, facendo presupporre altre forme, quali la demenza a corpi di Lewi. Discontrollo degli impulsi Aspetto importante è la sindrome da discontrollo degli impulsi. Si tratta di una alterazione del comportamento per cui la persona tende ad avere atteggiamenti quali gioco d’azzardo patologico, alimentazione compulsiva, shopping compulsivo, ipersessualità. Non riesce quindi a controllare i propri istinti e ha il desiderio di effettuare compulsivamente qualcosa che gli procura divertimento o benessere. C’è un profilo di rischio: colpisce principalmente gli uomini giovani che hanno una storia familiare di tale disturbo in famiglia, uso di alcool e abuso di sostanze. In realtà questi disturbi possono essere esacerbati dai farmaci dopamino-agonisti. Anni fa ci fu un’importante discussione sulla possibilità di utilizzare liberamente tali farmaci in quanto molti potevano sviluppare tale sindrome che, in realtà, è difficile da controllare, anche dai familiari della persona che ne soffre. 12 Finora si è parlato di disturbi dividendoli nei momenti in cui si verificano. Quelli molto precoci, che si verificano nelle fasi premotorie; disturbi motori tipici: rigidità, bradicinesia e tremore e, poi, quelli tardivi con aspetti cognitivi e psichiatrici. Altra classificazione è quella tra disturbi motori e non motori della malattia. In realtà è una malattia che colpisce il sistema motorio, i gangli della base ma, controlla anche aspetti non motori e, quindi, parte della sintomatologia è anche di tipo non motorio. In particolare: DISTURBI MOTORI: tremore, rigidità, bradicinesia, marcia a piccoli passi DISTURBI NON MOTORI: o Psichici/cognitivi: ▪ Depressione e ansia: precoci ▪ Allucinazioni, discontrollo degli impulsi e declino cognitivo: sono tardivi o Disturbi del sonno: ▪ RBD: disturbo che può precedere anche di molti anni l’insorgenza della patologia ▪ Insonnia o eccessiva sonnolenza diurna o Disturbi autonomici: ▪ Gastrointestinali, urologici ▪ Ipotensione ortostatica: disturbo tardivo della malattia di Parkinson e consiste nel calo della pressione quando il soggetto si mette in piedi. Normalmente quando un soggetto si alza, l’organismo ha un meccanismo di compenso tale per cui, in seguito a ortostatismo, la pressione aumenta per sostenere l’afflusso di sangue contro la gravità. Si ha un evento pressorio e non si avverte nessun problema. Quando tali meccanismi di compenso autonomico non funzionano come dovrebbero, si può verificare ipotensione ortostatica: la persona, al passaggio dalla posizione clinostatica, o seduta, all’ortostatismo, ha un crollo brusco della pressione avendo importanti fenomeni di capogiri o, può anche avere delle sincopi, svenire. Si tratta quindi di un disturbo importante ma è tardivo. Questo avviene sempre a causa della degenerazione ma, in genere, così grave è un evento tardivo, se compare precocemente si può pensare ad altre forme di Parkinsonismo che invece sono caratterizzate dalla comparsa precoce di questi segni. I sintomi, invece, più precoci autonomici sono quelli gastroenterici, quali la stipsi. 13 EVOLUZIONE CLINICA La malattia di Parkinson è una malattia cronico-degenerativa, quindi, è una patologia da cui non si guarisce e dura negli anni. Non esistono terapie per interrompere la sua storia naturale. L’aspettativa di vita dei pazienti con malattia di Parkinson non è in realtà ridotta: i pazienti, al momento della diagnosi, non hanno prognosi sulla durata della loro vita, non hanno aspettativa di vita ridotta. Tuttavia, i tassi di mortalità dopo alcuni anni sono più elevati per via degli eventi che si verificano, quali cadute, infezioni e tutte le complicanze legate all’immobilità e all’allettamento che si può verificare negli stadi più avanzati della malattia. Ciò fa sì che la sopravvivenza sia di 15/20 anni (anche se, riuscendo a prevenire tutte le complicanze, non si ha riduzione della vita e, è importante regalare qualità di vita alle persone che hanno la patologia cercando di agire più tempestivamente possibile prevenendo una serie di disturbi e complicanze della malattia). DOMANDE DA PARTE DEGLI STUDENTI: Domanda: in riferimento ai disturbi gastroenterici e alla loro correlazione con il sistema nervoso enterico: c’è una correlazione tra la malattia e il microbiota? Risposta: ci sono moltissimi studi e, attualmente, è proprio considerato con grandissimo interesse il ruolo del microbioma intestinale, sia per la sua capacità di produrre effetti pro- infiammatori o antinfiammatori attraverso la produzione di citochine e sostanze particolari, sia per l’interazione con il sistema immunitario e sia con l’interazione diretta che avviene attraverso le fibre del sistema nervoso autonomo. Ci sono, in particolare, due meccanismi che vengono considerati con molta attenzione per quanto riguarda il ruolo del microbioma: 1. Capacità diretta di azione sulla parete intestinale, quindi, creare un microambiente a livello locale, favorevole o sfavorevole per il verificarsi di eventi avversi localmente, facilitando una fase infiammatoria a livello intestinale ma che non vada a colpire tanto l’intestino ma che vada, invece, a facilitare il coinvolgimento del sistema nervoso autonomo che, poi, a ritroso, conduce prodotti tossici a livello centrale, craniale. 2. Possibilità di avvenimento per via ematica, ovvero la possibilità che siano prodotti mediatori che vengano rilasciati e arrivino, attraverso il circolo, a livello cerebrale dove riescono a superare la barriera ematoencefalica, in quanto agiscono sul sistema gliale. La microglia è una popolazione cellulare molto importante a livello cerebrale. Si è parlato dei neuroni che portano l’impulso e trasmettono l’informazione creando i pathway che hanno una certa funzione ma, in realtà, un ruolo importantissimo ce l’hanno altre cellule che fanno parte del tessuto nervoso che, da sempre, sono considerate come cellule di sostegno, di mantenimento del trofismo e, si tratta proprio delle cellule gliali. Queste in realtà hanno ruolo attivo in tali processi patogenetici nelle malattie neurodegenerative, perché rappresentano una sorta di cellule dell’immunità innata nel sistema nervoso centrale e, quindi, subiscono l’azione di una serie di mediatori. Tali mediatori possono essere pro-infiammatori e possono derivare da una serie di cellule a contatto con la barriera ematoencefalica, o possono essere prodotti da elementi presenti nel microbioma, che favoriscono una sorta di attivazione in senso positivo e negativo: in 14 senso protettivo verso agenti patogeni a livello cerebrale. Invece, quando i mediatori non sono quelli giusti, si ha infiammazione cronica subacuta portando attivazione costante delle cellule della microglia in senso pro infiammatorio e non hanno più effetto protettivo ma agiscono in senso negativo, nei confronti dei neuroni e, tutto ciò, genera un substrato di neuroinfiammazione cronica, sottile, ma presente costantemente nel tempo che facilita tutti i processi fisiopatologici di cui si è parlato e, in questo, il microbioma ha un ruolo essenziale sia come produttore di mediatori solubili e sia come azione diretta locale sulle fibre autonomiche con cui possono venire in contatto. Domande: riguardo la scoperta delle cellule staminali neuronali, quanto possono essere utili per l’eziopatologia della malattia e, in un’ottica di futuro, anche per una cura? Risposta: le cellule staminali sono un aspetto molto interessante e promettente ma difficile da controllare sulla base delle ambizioni e desideri. Sul piano sperimentale è utile studiare modelli di malattia avvalendosi di cellule che vengono impiantate, per esempio, in modelli murini con il tentativo di ottenere un ripopolamento dei neuroni che vengono persi e, quindi, un miglioramento della situazione clinica. In realtà ciò non è così facile, in quanto, ad oggi, non si è capaci di ottenere un buon controllo della proliferazione di tali cellule da una parte e, quindi, in senso di eccesso di proliferazione. Ci sono, infatti, studi che puntano l’attenzione sulla possibile insorgenza di neoplasie cerebrali ma, ci sono anche studi riguardanti il non attecchimento di tali cellule, cioè, quando queste cellule vengono impiantate, non sempre esse trovano un microambiente positivo per il loro attecchimento, favorevole alla loro crescita (così come quando si pianta un semino nel terreno, non è sufficiente mettere il semino e attendere, bisogna creare un ambiente opportuno, fornendo nutrienti, creando giusta esposizione alla luce e così via) se queste cellule sono introdotte in un’ambiente che presenta una glia ostile, un ambiente tissutale orientato verso un’importante infiammazione tissutale, neuronale, queste cellule non sono in grado di crescere come dovrebbero per diventare neuroni funzionanti, come si vorrebbe fossero. Queste terapie con cellule staminali sono state tentate anche nella SLA e nell’Alzheimer, si discute molto sul fatto che queste non diano i risultati sperati, proprio perché, quello su cui non si riesce a lavorare, è il microambiente in cui poi la cellula si trova a vivere e, quindi, nel tessuto cerebrale. Cosa fondamentale per riuscire ad ottenere buona crescita e differenziamento di queste cellule e, soprattutto crescita di quelle cellule che vengono perse. LA DIAGNOSI la diagnosi è basata sull’anamnesi e, poi, sull’esame clinico. Si ascolta il paziente raccogliendo le informazioni della sua storia per poi verificare se sono presenti i segni cardine che fanno pensare alla malattia, stando attenti ad escludere una serie di segni che invece non sono tipici di tale patologia (elencati nel riquadro con il semaforo rosso, i quali la prof non pretende che noi conosciamo nel dettaglio. A noi basta sapere che si identificano i segni della malattia e si escludono segni che fanno pensare ad altro), come per esempio le allucinazioni precoci o i disturbi cognitivi precoci che, invece, nel Parkinson sono degli effetti tardivi. 15 Anamnesi farmacologica e parkinsonismo iatrogeno Aspetto importante è l’anamnesi farmacologica: bisogna stare attenti ai farmaci che il paziente ha assunto nella sua storia clinica in quanto alcuni di questi farmaci possono portare, come effetti indesiderati del trattamento, la comparsa di un Parkinsonismo iatrogeno (farmaci indicati nella slide). Primi tra questi farmaci gli antipsicotici di prima e seconda generazione, definiti neurolettici, seguono una serie di altri farmaci. Quindi, questi vanno esclusi in quanto, se il paziente li ha assunti è importante valutare che possa essere un effetto dei farmaci. ESAMI DIAGNOSTICI: la risonanza magnetica nucleare Questa consente di vedere la struttura di alcune aree cerebrali delle varie regioni del cervello che poi vengono valutate in maniera attenta. Lo scopo, almeno nella diagnosi routinaria, non è cercare alterazione tipica della malattia di Parkinson perché, spesso, nella risonanza di routine tale malattia non produce segni della sua presenza ma si possono escludere altri tipi di Parkinsonismi che producono segni caratteristici, per esempio è possibile escludere le forme vascolari. In ambiente di ricerca le risonanze e le sequenze più avanzate consentono di evidenziare alterazioni nella sostanza nera che contiene neuroni pigmentati. Quindi, nella routine generale, la risonanza magnetica si utilizza per poter escludere altre forme secondarie di parkinsonismo o degenerative. Scintigrafia cerebrale con DAT-SCAN Si tratta di una scintigrafia e, quindi, differentemente da quello che accade nella risonanza, viene somministrato un farmaco radiomarcato, radioattivo, che avrà una sua certa distribuzione e il suo decadimento produce un segnale che l’apparecchiatura spect è in grado di rilevare, portando alla generazione di 16 un’immagine che non è anatomica ma è funzionale, data dalla capacità di un certo sito, di legare il farmaco somministrato. Nel caso della malattia di Parkinson viene somministrato un farmaco DAT-SCAN ioflupane che lega il trasportatore terminale dopaminergico presinaptico. Nell’immagine rappresentato in viola un neurone dopaminergico sulla porzione terminale presinaptica, in verde il neurone post-sinaptico, tra i due avviene sinapsi. Sul terminale c’è un trasportatore che è il trasportatore della dopamina presinaptico, che ha la funzione biologica di ricaptare il neurotrasportatore, funzione tipica che avviene nelle sinapsi che usano il neurotrasmettitore: prima viene rilasciato e poi viene o degradato da enzimi presenti nella sinapsi o ricaptato dal terminale presinaptico e re-incamerato nelle vescicole. Questo in modo che si faccia “economia”, quindi che la sinapsi venga liberata così che possa essere attivata successivamente con il nuovo impulso e la cellula possa riutilizzare una parte del mediatore prodotto, anche se poi c’è sempre quello di nuova produzione. Quindi, si tratta di un terminale in grado di ricaptare la dopamina. Quando è presente un neurone in buona salute, il farmaco che viene somministrato si lega sui trasportatori evidenziando la loro presenza e, indirettamente, la buona salute del terminale. Quando, invece, il neurone va incontro a degenerazione, il farmaco somministrato perde il proprio sito bersaglio e, quindi, l’immagine non può essere prodotta o viene prodotta in modo diverso. L’immagine, rispetto alla RM ha una qualità diversa. L’immagine è data dalla captazione e, in particolare, più va verso il bianco più la captazione è forte. Quindi, i nuclei della base hanno captato il farmaco e si ha immagine di integrità del sistema (immagine in alto nella slide). Invece, nell’immagine tipica di degenerazione (in basso nella slide) si vede solo una parte di caudato e non si vede proprio il putamen e, poi, c’è un fondo aspecifico di captazione in quanto il farmaco si è distribuito in modo aspecifico non essendo stato captato dal sito bersaglio. Quindi: la prima immagine fa riferimento ad una condizione normale o a forme che vanno a diagnosi differenziale quale tremore essenziale o parkinsonismo iatrogeno. La seconda immagine è tipica di una degenerazione nel sistema nigrostriatale della malattia di Parkinson e di altri parkinsonismi degenerativi o, la demenza a corpi di Lewi che anche producono alterazioni del genere. Scintigrafia miocardica con MIBG Per chiarire ulteriormente la situazione è possibile sottoporre il paziente a quest’altra tipologia di scintigrafia. MIBG-metaiodiobenzilguanidina è un farmaco che va a legare il terminale simpatico post-gangliare. È stato detto che la malatia di Parkinson colpisce anche il sistema nervoso autonomo e, quindi, anche a livello cardiaco è presente tale innervazione autonomica che va incontro a degenerazione, anche precoce, quando insorge la patologia. Attraverso tale scintigrafia è possibile evidenziare il terminale simpatico postgangliare. MIBG viene ricaptato dal 17 terminale producendo l’immagine (visibile nella slide) in cui è facile distinguere il fegato, i polmoni, la tiroide e il cuore. Questa è l’immagine che si osserva quando c’è una normale captazione. Nel caso in cui ci sono i corpi di Lewi il terminale va incontro a degenerazione e, quindi, quello che accade è che il farmaco non può legare i terminali autonomici che innervano il cuore e, dunque, si perde l’immagine cardiaca. A sinistra immagine tipica della malattia di Parkinson; è tipica solo delle malattie a corpi di Lewi (Parkinson e demenza a corpi di Lewi). Si tratta quindi di un esame molto importante e accurato, di grande interesse per la malattia di Parkinson. Possono esserci dei falsi positivi nei soggetti che hanno diabete, che hanno cardiopatie primitive, che prendono determinati farmaci che bloccano la captazione del farmaco utilizzato per l’analisi stessa. CURA Esistono una serie di farmaci (elencati) ma ci possono essere anche importanti approcci (elencati) L-dopa E’ il farmaco per eccellenza introdotto ormai molti anni fa ma, rimane tutt’ora, il farmaco di prima scelta per la cura della malattia di Parkinson. È il precursore della dopamina che non può essere somministrata come tale, in quanto, la dopamina non è in grado di passare la barriera ematoencefalica e, quindi, viene somministrata sotto forma di L-dopa, insieme ad un inibitore della dopacarbossilasi (enzima che degrada questa dopamina, altrimenti il farmaco verrebbe metabolizzato già perifericamente non avendo poi quantità sufficiente che passi la barriera ematoencefalica). Quindi, viene somministarto levodopa ed inibitore così da avere una quota sufficiente di 18 levodopa che oltrepassa la barriera ematoencefalica e che viene quindi internalizzato dai neuroni trasformandola in dopamina e, quindi, utilizzata come terapia supplitiva laddove c’è una carenza. Nei primi anni c’è una fase che viene chiamata di “luna di miele” ossia una fase di malattia in cui tale trattamento dà il massimo del suo beneficio e il paziente sembra poter recuperare il suo benessere in maniera ottimale. Però, ad oggi non si dispongono terapie in grado di modificare la storia naturale della malattia e, quindi, anche la levodopa maschera la sintomatologia ma non è in grado di evitare che i fenomeni degenerativi vadano avanti e, quindi, dopo alcuni anni non è più sufficiente per gestire la sintomatologia. Questo sia perchè i neuroni continuano a degenerare e sia perché si creano degli scompensi, degli aspetti che ancora si sta studiando, di up o down regulation di alcuni recettori, avendo uno squilibrio da iperstimolazione dopaminergica per cui compaiono effetti indesiderati quali: Discinesie: movimenti involontari. La persona che assume il farmaco si “sblocca”. La rigidità e la bradicinesia migliorano, il tremore si riduce, ma compaiono movimenti involontari incontrollabili che possono anche colpire il volto avendo effetto deturpante della persona stessa che, potrebbe non accettare più di proseguire il trattamento Fluttuazioni motorie: l’effetto della terapia non è sempre prevedibile e costante. Man mano che i neuroni vengono persi si diventa sempre più dipendenti dalla singola assunzione. All’inizio i neuroni residui possono internalizzare la dopamina rilasciandola in maniera fisiologica mentre successivamente si perde la capacità e l’efficacia rimane legata all’assunzione della singola dose. Il paziente avverte proprio la fine dose e, tra una e l’altra, rimane bloccato. Può anche succedere che l’inefficacia della terapia avvenga in maniera imprevedibile, cioè anche mentre il soggetto è nel pieno effetto della terapia, si blocca, e questo è definito fenomeno on-off: i più complessi da trattare. Effetti sull’alimentazione: assunzione di una dieta ricca di proteine può interferire con la levodopa e, andando avanti, si creano problemi rispetto all’ora di assunzione, rispetto ai pasti e così via Disturbi di tipo psicotico: nel 20/30% dei soggetti, specialmente nelle fasi avanzate di malattia. Quindi, stimolazione eccessiva dopaminergica produce effetti psicotici indesiderati e difficili. Altri farmaci Esistono altri farmaci che agiscono a vari livelli: come dopamino agonisti, andando a legare il recettore postsinaptico della levodopa o andando ad inibire una serie di enzimi che hanno normalmente la capacità di degradare la levodopa e, quindi, aumentano indirettamente la quantità della levodopa stessa 19 bloccando la degradazione. Ci sono altri farmaci che agiscono su altri sistemi, per esempio, sul sistema colinergico in particolare riducendo la stimolazione colinergica. Si è parlato di dopamina perché è il mediatore principale della malattia di Parkinson ma non è l’unico sistema neurotrasmettitoriale colpito. Ci possono essere anche altri tipi di alterazioni neurotrasmettitoriali. Terapia chirurgica Quando la terapia farmacologica non è sufficiente a trattare i sintomi e, in casi particolari, più gravi, si può pensare alla terapia chirurgica. Si tratta di una terapia “di elezione” e ci sono una serie di criteri che devono essere rispettati affinché l’intervento chirurgico possa avere un beneficio sui pazienti con il Parkinson e, tra i criteri, devono esserci anche difficoltà di gestione con la terapia medica e importanti fluttuazioni motorie, ossia effetti indesiderati visti precedentemente, altrimenti la terapia scelta è sempre quella farmacologica. Nei casi in cui la terapia farmacologica non consente di controllare bene e, il paziente è comunque in buone condizioni di salute generale, è al di sotto dei 70 anni e, una serie di altri criteri, si può pensare ad un intervento chirurgico che può essere di vari tipi e, uno dei più comuni è la deep brain stimulation (DBS). Si tratta della stimolazione con elettrodi a permanenza dei nuclei sottocorticali profondi, in particolare uno dei siti è il nucleo subtalamico, l’altro è il globo pallido interno. Si pone un neurostimolatore a permanenza con un interruttore sottocutaneo che il paziente può controllare decidendo se accendere o spegnere la stimolazione. Quando la stimolazione è 20 attiva, la sintomatologia migliora mentre, quando viene disattivato non c’è alcun effetto. Si tratta di un trattamento utilizzato solo in casi particolari e, anche questo, non è privo di effetti indesiderati quali effetti cognitivi, sensitivi e via dicendo. Si tratta però di un’ottima soluzione in alcuni casi. Trattamento riabilitativo Esistono poi altri trattamenti importanti quali il trattamento riabilitativo generale, occupazionale, logopedia, fisioterapia. Oggigiorno si considerano sempre troppo poco queste tipologie di trattamento mentre in patologie cronico degenerative, quali il Parkinson, questi trattamenti sono quelli che hanno impatto importante nella vita quotidiana, infatti, consentono di acquisire nuove strategie, alternative, migliorando aspetti che hanno riscontro sulla qualità di vita del paziente e della loro famiglia. Questa ultima slide “simpatica” è una foto di Muhammad Alì con Michael J. Fox, entrambi malati di Parkinson (digressione non riportata dal minuto 1.26 circa). DOMANDE DA PARTE DEGLI STUDENTI Domanda: tutti i pazienti affetti da Parkinson hanno riduzione dei sintomi solo nei primi 5 anni e poi, inevitabilmente si ha degenerazione? Non ci sono altri farmaci che possono migliorare la loro qualità di vita focalizzandosi su sintomi specifici? Risposta: si, ci sono farmaci che possono migliorare la qualità di vita anche dopo i primi 5 anni. Si tratta di una patologia che non riduce l’aspettativa di vita e si lavora molto sulla possibilità di regalare qualità alla vita di tali pazienti. Ci sono degli approcci farmacologici nuovi, più recenti, che sono in uso, altri in sperimentazione, che riguardano altre modalità di somministrazione dei farmaci. Per esempio, infusione continua sottocutanea di levodopa o infusione intraduodenale di levodopa. Si è notato che alcuni aspetti degli effetti indesiderati sono legati ad aspetti farmacodinamici che riguardano la dinamica della 21 levodopa e, anche alcuni aspetti di farmacocinetica e, dunque, si cerca di migliorare sia aspetti di farmacocinetica che di farmacodinamica attraverso le modifiche di somministrazione e di dose. Adesso è possibile anche una infusione sottocutanea e, da pochi mesi è in uso anche nel nostro policlinico. C’è da dire che effetti indesiderati, quando compaiono, non limitano completamente e in modo irreversibile la qualità di vita. Nel corso degli anni, man mano che gli effetti si verificano, esistono strategie che contrastano tali effetti e, quindi, c’è un rapporto dinamico continuo tra la persona che soffre di questo disturbo che sperimenta i cambiamenti della sua malattia man mano che va avanti e il medico che coglie gli aspetti importanti aggiustando la terapia sulla base di ciò che si verifica e che accade. Alla fine si impara ad effettuare una convivenza con la malattia che tante volte è compatibile con uno stile di vita attivo: continuano a lavorare, a viaggiare, a svolgere le loro attività. Naturlamente è importante svolgere una serie di interventi mitigati man mano che compaiono i disturbi. Dopo molti anni di malattia gli effetti vanno a sovrapporsi e il quadro di disabilità diventa più importante e, dunque bisogna poi aggire con interventi diversi. 22