La Didattica Inclusiva PDF

Summary

Questo documento discute la didattica inclusiva, con particolare attenzione ai disturbi specifici dell'apprendimento (DSA). L'articolo esplora le teorie e le pratiche per creare un ambiente educativo inclusivo per tutti gli studenti, valorizzando le diverse esigenze e le potenzialità individuali. Viene sottolineata l'importanza di un approccio olistico che consideri fattori sociali, culturali e ambientali nel processo di apprendimento.

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La didattica inclusiva Teorie e pratiche per i disturbi specifici dell’apprendimento CAP. 1 Introduzione Questo lavoro mira a far riflettere i lettori sul rendere le scuole realmente inclusive, specialmente per gli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). L'obiettivo...

La didattica inclusiva Teorie e pratiche per i disturbi specifici dell’apprendimento CAP. 1 Introduzione Questo lavoro mira a far riflettere i lettori sul rendere le scuole realmente inclusive, specialmente per gli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). L'obiettivo è tradurre le informazioni cliniche di una diagnosi di DSA in indicazioni pratiche per gli insegnanti, con un focus sulla didattica inclusiva e sulla personalizzazione dell'apprendimento secondo i Disability Studies. Le strategie per affrontare i DSA stanno evolvendo grazie a una didattica più aperta alla ricerca, all'inclusione e alla progettazione educativa. Questo implica anche un cambiamento nella documentazione e la necessità di formazione continua per gli operatori scolastici. Il concetto di didattica inclusiva va oltre una risposta unica alle diverse esigenze. Inclusione significa organizzare intenzionalmente l'istruzione per tutti, evitando l'esclusione sociale di gruppi come donne, anziani, disoccupati e bambini non alfabetizzati. Questo approccio rappresenta un'alternativa ragionevole al prevalere di una prospettiva scientifica e segregativa che può derivare dall'uso sempre più diffuso di strumenti clinici e diagnostici avanzati, con impatti evidenti nel contesto scolastico. Un'azione didattica può considerarsi inclusiva solo se offre agli studenti una varietà di esperienze positive e stimolanti, permettendo a ciascuno di sviluppare le proprie potenzialità e scelte di vita. Dal punto di vista didattico, è necessario identificare le capacità di ogni studente e, attraverso forme di supporto personalizzato, valorizzare i loro profili individuali nelle diverse aree (sociale, comunicativa, cognitiva/metacognitiva). La scuola e gli insegnanti hanno il compito di creare esperienze significative per ogni studente, leggendo e centrando il bisogno educativo speciale di ognuno, con un focus sull'ottica della partecipazione. Consentire la partecipazione fa sì che gli studenti si sentano parte integrante, promuovendo così l'inclusione. Didattica inclusiva: il valore della “normalità” nella prospettiva dei Disability Studies La società di oggi è molto variegata e richiede un'attenzione particolare alle differenze per garantire a ogni studente l'opportunità di sviluppare le proprie abilità. Ogni persona è unica e speciale a causa delle sue caratteristiche, e la diversità è parte naturale dell'essere umano. La scuola di oggi affronta una sfida importante: considerare le differenze tra gli studenti non come un problema, ma come una caratteristica unica di ognuno, una sorta di ricchezza. I governi e le comunità devono lavorare insieme per eliminare le barriere che impediscono a tutti di sentirsi inclusi nella società. Questa sfida coinvolge direttamente la scuola, che è un pilastro fondamentale della nostra società. La scuola ha il compito di perseguire gli obiettivi stabiliti dalla Costituzione, specialmente negli articoli 3 e 34, che sottolineano il diritto e il dovere di tutti allo studio. La scuola sta affrontando cambiamenti per adattarsi a esigenze sociali sempre più complesse, e rendere l'inclusione una parte centrale di questo processo è una sfida significativa. L'inclusione scolastica ha le sue radici in prospettive delineate nel 1994 dall'UNESCO durante la Conferenza Mondiale sui Bisogni Educativi Speciali a Salamanca. Questo concetto è stato richiamato anche nel Forum Mondiale dell'Educazione a Dakar (Senegal) nel 2000 e nel Congresso sull'Inclusive Education nel 2008. Ulteriori contributi importanti sono stati forniti da documenti come "Open File All Inclusive Education" del 2001, rivolto in particolare a dirigenti e insegnanti, e dai rapporti mondiali "Education for All Morning Report" del 2010 e 2013/14. Dunque, l'inclusione si riferisce a un approccio intenzionalmente organizzato per garantire il diritto all'istruzione per tutti i bambini, giovani e adulti a rischio di essere emarginati socialmente. Questa definizione non si limita alla disabilità, ma abbraccia tutti coloro a rischio di esclusione sociale, tra cui donne, anziani, disoccupati e minori non ancora alfabetizzati. Negli anni 2000, l'inclusione è diventata sempre più vista come una responsabilità condivisa. La scuola ha iniziato a gestire i bisogni educativi seguendo l'approccio del funzionamento, basato sul modello ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health). Nel 2009, l'UNESCO ha diffuso linee guida che indicano che la scuola inclusiva è un processo che potenzia le capacità del sistema educativo per coinvolgere tutti gli studenti. Questo implica che un sistema scolastico inclusivo può essere creato solo se le scuole comuni diventano più inclusive, cioè, diventano migliori nell'educare tutti i bambini della loro comunità. L'integrazione è considerata un processo che si occupa della diversità dei bisogni di tutti i bambini, giovani e adulti. Questo processo mira ad aumentare le opportunità di partecipazione nell'apprendimento, nella cultura e nella comunità, riducendo ed eliminando l'esclusione e l'emarginazione dall'istruzione. Promuovere l'inclusione significa incoraggiare il dibattito, adottare atteggiamenti positivi e creare strutture scolastiche e sociali in grado di affrontare le nuove sfide presentate alle istituzioni scolastiche. Questo coinvolge il governo nel migliorare i contributi, i processi e gli ambienti per favorire la crescita culturale degli studenti nel loro contesto, sostenendo l'intera esperienza di apprendimento. Con la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, ogni scuola si impegna a progettare azioni e ambienti di apprendimento inclusivi in grado di soddisfare i bisogni di tutti gli studenti, disabili e non, con o senza certificazione. L'obiettivo è superare l'antitesi tra abilità e deficit. L'idea di inclusione educativa si basa sulla partecipazione di tutti gli studenti alla vita scolastica. La prospettiva inclusiva implica la trasformazione degli ambienti di apprendimento per garantire pari opportunità di partecipazione. La didattica inclusiva si sviluppa in cinque ambiti: 1. Ambito politico e culturale: riconoscimento del diritto alla differenza e alla responsabilità dell'organizzazione scolastica nel prendersene cura. 2. Ambito del confronto con paradigmi di confine: ridurre l'importanza attribuita alla valutazione biologica e medica come principale elemento nel comprendere e affrontare le esigenze degli studenti con bisogni speciali. Un'eccessiva enfasi su questi aspetti potrebbe limitare le prospettive educative, fornendo una visione troppo ristretta delle capacità e delle opportunità di apprendimento degli studenti. Invece, si vuole adottare un approccio più ampio e inclusivo, considerando fattori sociali, culturali e ambientali, al fine di responsabilizzare gli studenti con bisogni speciali all'interno dell'ambiente educativo. 3. Ambito delle parole per dire la diversità: decostruzione del linguaggio e delle pratiche didattiche ordinarie dell'integrazione. 4. Ambito della formazione docente: progettazione di una formazione alla didattica inclusiva, superando il ruolo specialistico del sostegno. 5. Ambito dell'offerta di competenze per la diversabilità: sviluppo di competenze altamente specializzate, secondo il modello "on demand", per garantire il diritto di tutti gli studenti di essere sostenuti nei processi di apprendimento. L'approccio globalmente inclusivo dovrebbe essere implementato in ogni scuola non come uno spazio dedicato ai bisogni speciali, ma come un diritto per l'apprendimento di tutti gli studenti. L'inclusione non è solo una necessità per le persone con disabilità, ma un diritto fondamentale che dovrebbe essere al centro di ogni istituzione scolastica. Attuare un approccio inclusivo a livello scolastico significa: Valorizzare equamente tutti gli studenti e il corpo docente. Aumentare la partecipazione degli studenti. Ridurre gli ostacoli all'apprendimento e alla partecipazione di tutti. Considerare le differenze tra gli studenti come risorse per il sostegno all'apprendimento, anziché come problemi da superare. Riconoscere il diritto degli studenti di essere educati nella propria comunità. Il concetto di inclusione nella scuola si basa sulla risposta ai bisogni e al diritto all'istruzione di tutti, inclusi quelli a rischio di emarginazione sociale. Questo non si limita solo alla disabilità, ma include tutti coloro a rischio di essere esclusi socialmente. Ad esempio, ci sono ancora 71 milioni di ragazzi non ancora scolarizzati, come evidenziato nel rapporto "Education for All 2010", indicando una preoccupante necessità di istruzione su scala globale. Un'altra sfida è la mancanza di insegnanti, rendendo la scolarizzazione globale un obiettivo ancora lontano. L'UNESCO ha identificato sei obiettivi educativi per superare le disuguaglianze che causano l'esclusione sociale: 1. cura dell'infanzia, 2. istruzione primaria per tutti, 3. apprendimento degli adulti, 4. alfabetizzazione dei giovani, 5. parità di genere nell'istruzione, 6. qualità della formazione. Il concetto di inclusione non riguarda solo le condizioni oggettive che impediscono la partecipazione o la realizzazione sociale, ma tutte le condizioni che possono aumentare il rischio di essere esclusi. Per comprendere questo concetto, è importante allontanarsi dalla visione integrazionista che si basa sulla normalizzazione e sull'idea di diventare come gli altri. L'integrazione spesso implicava che gli studenti con bisogni speciali dimostrassero di poter partecipare alle attività didattiche normali, senza modifiche basate sulle diverse esigenze degli studenti. L'approccio inclusivo, al contrario, promuove la partecipazione attiva delle persone con bisogni educativi speciali nei processi educativi e nella vita civile del paese. Negli anni '80, alcuni studiosi hanno evidenziato che l'integrazione poteva apportare alcune modifiche all'interno della scuola, ma l'inclusione portava a un cambiamento radicale basato sulle esigenze degli studenti presenti. A differenza dell'integrazione, l'inclusione non stabilisce criteri basati su una specifica disabilità, ma si concentra sull'accettazione. Questa accettazione significa che le persone dovrebbero avere la possibilità di essere apprezzate, trattate con rispetto e avere pari opportunità, indipendentemente dalle loro abilità, genere, linguaggio, origine etnica e culturale. L'approccio inclusivo coinvolge tutti gli studenti e richiede la creazione di strategie organizzative che tengano conto della vasta gamma di diversità presenti. Esistono diverse definizioni di inclusione, che dipendono principalmente dalle strategie preferite per attuare l'inclusione. Una definizione interessante è che l'inclusione riguarda l'opportunità per le persone con disabilità di partecipare pienamente a tutte le attività quotidiane, come l'istruzione, il lavoro, l'economia, il tempo libero, la vita comunitaria e domestica. Questa definizione è particolarmente interessante perché va oltre la normalizzazione e si concentra sulla partecipazione di tutte le persone. L'inclusione va oltre la lotta contro la discriminazione basata su razza, cultura o disabilità, coinvolgendo un'ampia opportunità di partecipazione alla vita quotidiana in modo completo. L'essenza dell'inclusione sta nella relazione tra le persone, sia quelle con difficoltà che quelle senza, che collaborano insieme. Da questo principio, emergono condizioni fondamentali per realizzare un'educazione inclusiva: Considerare l'inclusione come una possibilità per gli studenti di partecipare ai processi decisionali. Coltivare un atteggiamento positivo verso le abilità di apprendimento di tutti gli studenti. Assicurare che gli insegnanti approfondiscano la propria conoscenza sulle difficoltà di apprendimento. Sviluppare specifici metodi di formazione. Fornire supporto ai genitori e agli insegnanti nello sviluppo di pratiche inclusive. L'idea di inclusione, che significa dare a tutti l'opportunità di partecipare, richiede un cambiamento nella pratica professionale. Tuttavia, questo cambiamento non avviene automaticamente solo sostituendo il termine "integrazione" con "inclusione". Due studiosi, Clarke e Murray, identificano tre possibili motivi per cui l'inclusione potrebbe fallire: 1. Opposizione all'innovazione: Alcune scuole potrebbero resistere ai cambiamenti e alle nuove idee, impedendo così l'effettiva attuazione dell'inclusione. 2. Uso persistente di schemi tradizionali: L'adesione a vecchi modelli può portare principalmente a situazioni segregate anziché inclusive. 3. Tentativo di procedure standard universali: Provare a applicare procedure standard in modo universale a qualsiasi contesto educativo potrebbe essere un errore, poiché le esigenze possono variare. Per rendere effettiva l'inclusione, è importante adottare approcci innovativi, evitare schemi tradizionali segreganti e adattare le pratiche alle esigenze specifiche di ogni contesto educativo. La scuola inclusiva dovrebbe accogliere tutti gli studenti, non solo quelli con difficoltà. Questo ambiente scolastico diventa il luogo dove i ragazzi disabili possono vivere esperienze di cooperazione, condivisione e partecipazione. Tutto ciò è possibile solo se la scuola è in grado di rispondere ai bisogni educativi speciali, evitando la creazione di categorie separate. Per realizzare una didattica dell'inclusione che favorisca la crescita di tutti, l'insegnante gioca un ruolo fondamentale. Ciò richiede alcune condizioni, tra cui: Individuare e percepire la diversità degli studenti come un arricchimento, non come un ostacolo. Contribuire al successo scolastico di ciascuno studente. Essere pronto a un continuo aggiornamento formativo. Collaborare costantemente con i colleghi. È fondamentale che gli insegnanti evitino atteggiamenti discriminatori e siano attenti alle esigenze di ciascuno studente per promuovere l'inclusione. Per raggiungere questo obiettivo, è importante ripensare lo spazio della classe e il tempo trascorso a scuola. All'interno dell'aula, gli studenti interagiscono per un lungo periodo, creando i primi legami, affetti ed emozioni con insegnanti e coetanei. Questo periodo di frequenza a scuola diventa un ricordo importante nella memoria del bambino. La scuola è il luogo dove inizia a formarsi l'identità e la personalità di un individuo. È qui che si impara sulla diversità di ciascuno, ed è in questo spazio che gli insegnanti possono progettare un curriculum inclusivo. La didattica inclusiva si concentra sulla collettività, la relazione e la comunità, piuttosto che sull'individualità di ciascun studente. La relazione educativa diventa il principale strumento per promuovere un approccio didattico inclusivo. La Nota Ministeriale n. 1551 del 2013 (Circolare Ministeriale numero 8 del 6 marzo 2013 - Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali) stabilisce che ogni istituto scolastico deve redigere un Piano Annuale per l'Inclusività. Questo documento mira a progettare azioni che guidino la creazione di una scuola inclusiva, prendendo spunto dalle esperienze di altri istituti nella stessa area geografica. L'obiettivo è accogliere le differenze individuali di qualsiasi tipo, unendo tutti attraverso l'esperienza quotidiana di ciascun soggetto. Una scuola inclusiva è rivolta a tutti, affinché nessuno si senta escluso. Le differenze sono fondamentali per la didattica inclusiva, non solo tra gli studenti ma anche tra gli insegnanti, poiché insegnano in modi diversi tanto quanto gli studenti imparano in modi diversi. È evidente che pratiche sociali, istituzionali e burocratiche spesso portano a etichettare invece di offrire sostegno a coloro che hanno difficoltà, aumentando la marginalità. L'inclusione è concepita come un processo di trasformazione e strutturazione declinato in cinque diversi ambiti: 1. Ambito politico-culturale: Riconoscere e prendersi cura del diritto alla differenza. 2. Ambito del confronto critico: Concentrarsi meno sulle diagnosi mediche, che possono rallentare il processo educativo degli studenti con bisogni speciali. 3. Ambito delle parole: Decostruzione del linguaggio usato nella didattica dell'integrazione, valorizzando la diversità. 4. Ambito della formazione docente: Superare il ruolo del docente di sostegno per affrontare i temi delle differenze. 5. Ambito dell'offerta di competenze per la diversabilità: Formare l'intero corpo docente alla didattica speciale, poiché ogni studente ha il diritto a un processo di apprendimento. Tutto ciò evidenzia che l'inclusione non è un bisogno, ma un diritto, e come tale dovrebbe essere riconosciuto. L'educazione inclusiva è strettamente legata all’” educazione per tutti”, con l'obiettivo di eliminare le barriere che impediscono la partecipazione e l'apprendimento di tutti gli studenti. Nel progetto inclusivo, è fondamentale considerare la pedagogia e la didattica come elementi chiave per la formulazione di concetti riguardanti l'interpretazione scolastica. L'allievo dovrebbe essere valutato per quello che è nel momento in cui entra per la prima volta nella scuola, non basandosi su ciò che è stato in precedenza o su diagnosi mediche fornite. Il compito dell'educazione inclusiva è far emergere l'umanità dell'individuo, la quale ha bisogno di apprendimento. Il Council for Exceptional Children suggerisce di concentrarsi su diversi aspetti per promuovere l'inclusione educativa: Una prospettiva condivisa su uguaglianza e inclusione: Comprendere l'importanza di questi concetti per l'intervento educativo. Leadership orientata all'inclusione e pari opportunità: Guidare con progetti che favoriscono l'inclusione. Cooperazione all'interno della scuola: Favorire una maggiore collaborazione tra tutti i membri della comunità scolastica. Sistema flessibile di ruoli e responsabilità: Costruire un sistema che si adatti alle esigenze inclusive. Collaborazione con le famiglie: Coinvolgere attivamente i genitori nello sviluppo di strategie inclusive. Il concetto di "normalità" spesso porta a categorizzazioni. Normalmente, si riferisce a chi ha capacità paragonabili alla media, senza necessità di compensazioni. La normalità può essere valutata attraverso due criteri: 1. Assiologico: Considera normale chi si avvicina al modello ideale di perfezione umana. 2. Statistico: Valuta come normale chi ha caratteristiche medie della popolazione. La definizione di normalità è soggettiva e dipende dal senso comune, poiché non esiste un criterio oggettivo di normalità nelle diverse sfaccettature della natura umana. Nel XX secolo, Quetelet propose il concetto di "normalità" basato sulla media dei tratti umani, cercando di identificare un tipo umano medio. Egli suggerì che coloro che si discostavano da questo tipo medio fossero considerati "anormali". Tuttavia, oggi preferiamo utilizzare i termini "soggetti tipici" e "soggetti atipici" anziché "normali" e "anormali" per evitare etichette negative. Questa sostituzione di termini riconosce che non esiste una definizione universale di normalità. Alcune persone potrebbero essere considerate "atipiche" culturalmente o in termini di bisogni specifici, ma ciò non le rende "anormali". Al contrario, potrebbero avere bisogno di approcci e risorse diversi, ad esempio, media adattati alle loro esigenze specifiche. Si sottolinea che l'errore del passato era concentrarsi solo sul deficit dal punto di vista biologico, trascurando gli aspetti culturali. Le persone con bisogni speciali potrebbero sperimentare una "deprivazione mediatica" in quanto i media tradizionali potrebbero non essere adeguati alle loro condizioni. L'obiettivo principale ora è ridurre la dipendenza da approcci speciali, lavorando per creare un ambiente più inclusivo e accessibile per tutti. La prospettiva di considerare gli studenti disabili attraverso un'ottica assimilazionista, cercando di farli diventare il più possibile simili agli studenti considerati "normali", contribuisce all'idea errata che il compito del disabile sia adattarsi e integrarsi a un modello di normalità predefinito. Questo approccio sottolinea che la normalità deve essere il punto di riferimento e che gli studenti disabili debbano adeguarsi a questo modello. Tuttavia, sarebbe più appropriato progettare un ambiente inclusivo che valorizzi e accetti la diversità. Questo progetto potrebbe essere realizzato se ci si distanziasse dal rapporto tradizionale tra normalità e diversità, evitando l'etichettamento basato su concetti di "normalità" e lavorando invece per creare un ambiente che celebri e incoraggi la ricchezza della diversità. Bourdieu spiega che la normalità, intesa come rappresentazione comune della realtà, si forma attraverso l'interazione di fattori socioculturali e sistemi di rappresentazione. Questa interazione contribuisce alla creazione di istituzioni sociali e stabilisce criteri che giustificano la presenza di gruppi egemoni e di individui marginalizzati o esclusi. Al centro del processo di costruzione del senso comune c'è l'habitus, che rappresenta le strutture e le azioni che guidano il comportamento sociale in modo implicito. Nella vita quotidiana, l'habitus genera un atteggiamento naturale e inconsapevole, portando a una sorta di disattenzione per la realtà. Più un'azione diventa abituale, più viene percepita come normale da tutti. Per mettere in discussione la realtà che consideriamo normale, è necessario adottare comportamenti che rompano con le convenzioni comuni. Goffman spiega che la vita quotidiana è strutturata in quadri di riferimento che danno significato agli eventi. Qualsiasi azione inattesa interrompe un "rituale" e richiede la formazione di una nuova cornice simbolica. Le riflessioni di Goffman sono cruciali per capire la percezione della disabilità come esperienza stigmatizzante e le pratiche di segregazione. Questo rende difficile sfidare il concetto di normalità, visto come un contesto immutabile che tende a escludere ciò che è considerato "speciale" o deviante dalla norma Il punto di vista di Caldin, in sintonia con Goffman, si basa sul concetto di diversità intesa come deviazione dalla norma. Si evita di collegare la diversità all'esclusione o alla segregazione, specialmente nell'ambito educativo. Il processo di normalizzazione si basa su un modello ideale di persona considerata "normale". Nel contesto della disabilità, il sistema internazionale di classificazione definisce la disabilità come una limitazione rispetto a ciò che è considerato normale, mentre l'handicap è visto come uno svantaggio che impedisce di svolgere un ruolo normale, influenzato da fattori come il sesso e l'ambiente socioculturale (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1980). Nonostante gli sforzi per una comprensione più ampia della disabilità, il vecchio sistema internazionale ha visto la disabilità come una sorta di "mancanza" rispetto a un modello ideale. Solo con l'introduzione di un nuovo approccio si è eliminato il concetto di "handicap", sottolineando l'importanza di valutare le persone con disabilità in base al loro funzionamento, anziché concentrarsi sulle limitazioni. Bisogna cominciare a pensare a una "normalità speciale", dove "speciale" è inteso come unico e diverso per ogni individuo all'interno di una comunità. Questa prospettiva va al di là di una visione tecnica e limitata, non solo nell'ambito dell'educazione speciale, ma anche nella relazione tra la scuola, le famiglie e le strutture del territorio. La "normalità" dovrebbe essere considerata come l'uguaglianza dei diritti: un concetto in cui ogni persona ha un valore paritario, indipendentemente dalle condizioni sociali o personali. Nella nostra legislazione, sono sanciti i pari diritti e le pari opportunità per tutti, insieme alla dignità delle persone. Ci si impegna a rimuovere eventuali ostacoli che limitano la realizzazione delle potenzialità di ciascuno, garantendo anche compensazioni nel caso in cui qualcosa ostacoli la realizzazione del proprio potenziale. La "normalità" qui è intesa come il possesso degli stessi diritti degli altri. Non è un caso che la lotta per i diritti umani si basi sul bisogno di uguaglianza, il desiderio di essere considerati uguali agli altri, non inferiori, e di sentirsi normali nel senso di essere di pari valore, nonostante le profonde diversità individuali. L'affermazione dell'uguaglianza non significa ignorare le diversità tra le persone, ma rifiuta di usare queste diversità come giustificazione per limitare diritti e opportunità. Negli anni '70, i genitori che lottavano per l'integrazione scolastica dei loro figli disabili cercavano la possibilità di farli frequentare una scuola comune a tutti. Non lo facevano perché pensavano che i loro figli fossero "normali", ma semplicemente perché il valore del loro figlio era paragonabile a quello di tutti gli altri. La normalità non riguarda solo il valore normale, ma anche il vivere come gli altri, fare le stesse esperienze nei luoghi comunemente considerati normali. Nella normalità si trova un senso di appartenenza e coesione con gli altri, un ancoraggio sociale che può essere un sostegno nei momenti difficili. Avere un'identità sociale normale, con motivazioni e valori condivisi con gli altri, è più probabile nella normalità. Nella normalità, i processi di apprendimento per imitazione consentono alle persone disabili di apprendere in modo più naturale, senza dover dipendere solo da interventi mirati a loro. Questo approccio è più benefico rispetto all'inserimento in gruppi esclusivamente di persone disabili, dove i modelli di riferimento possono essere non normali e portare a imparare comportamenti problematici. I genitori preferiscono spesso che i loro figli siano inseriti in gruppi inclusivi, non solo di persone disabili, poiché la normalità sembra essere un mezzo per raggiungere la partecipazione attiva di tutti, indipendentemente dalle loro condizioni personali e sociali, o dalle loro disabilità o patologie. Questa prospettiva è al centro della prospettiva dei disability studies. I disability studies, che sono diventati una disciplina accademica negli anni '80, hanno rivoluzionato la tradizionale concezione della disabilità legata esclusivamente a un modello clinico. Invece, hanno introdotto il modello sociale, che non nega la presenza di una menomazione né il lavoro dei professionisti medici, ma mette in discussione la visione individuale della disabilità come un evento tragico legato a un singolo individuo. L'obiettivo è affrontare la questione da una prospettiva più ampia e sociale. Inoltre, cercano di superare la dicotomia tra normalità e disabilità, favorendo una concezione di maggiore continuità. Il pensiero dei disability studies, sebbene parta da principi comuni, ha intrapreso percorsi differenziati nel corso degli anni. Pertanto, fornire una definizione unitaria di disability studies sembra impossibile, dato l'arricchimento di approcci, definizioni e significati che questa disciplina ha subito nel corso dei decenni. Tuttavia, tali studi sono accomunati dal riconoscimento del principio che la disabilità è un costrutto sociale. Essi condividono trame comuni caratterizzate da: Un posizionamento antitetico rispetto al modello medico individuale; Lo studio delle cause, dello sviluppo e degli effetti dei presupposti teorici e culturali legati al concetto di disabilità; Una visione critica dell'uso del linguaggio riguardante la disabilità nelle pratiche sociali e educative; La considerazione del contesto come elemento causale della disabilitazione; La promozione dell'emancipazione e dell'autoaffermazione delle persone con disabilità. L'obiettivo principale è cambiare il modo in cui pensiamo alla disabilità, promuovendo un'educazione inclusiva che valorizzi l'equità e i diritti umani. In Italia, ci stiamo distinguendo a livello internazionale per il nostro impegno verso un approccio più inclusivo nella scuola. Gli studi sulla disabilità in ambito educativo si concentrano su come superare le scuole speciali, che sono viste come forme di esclusione, anche quando sono integrate in scuole ordinarie. In Italia, focalizziamo la riflessione sull'inclusione scolastica, cercando di capire come rendiamo disabili le persone con disabilità attraverso strutture e metodologie che non rispondono alle diverse esigenze della popolazione studentesca. L'approccio innovativo richiede una trasformazione completa nei contesti educativi, nei metodi e nei sistemi, anziché semplici adattamenti, per garantire una partecipazione completa degli studenti con disabilità. La domanda principale è su che tipo di scuola vogliamo: una scuola che mira a una normalità rigida, dove gli studenti con disabilità sono adattati, o una scuola che abbraccia la diversità in modo più ampio, vedendo la disabilità come solo una delle tante diversità da accogliere e valorizzare. I Bisogni Educativi Speciali Fino a poco tempo fa, l'attenzione sui Bisogni Educativi Speciali (BES) nelle scuole era limitata. Solo negli ultimi 15 anni, in Italia, abbiamo iniziato a vedere i bisogni educativi speciali come una risorsa, seguendo il principio di insegnare tutto a tutti, ispirato alla didattica di Comenio. Il termine BES è apparso per la prima volta nel rapporto Wornok in Inghilterra nel 1978, sostituendo il termine "handicap" e sottolineando la necessità di un cambiamento pedagogico. In Italia, il concetto di bisogni educativi speciali è stato introdotto ufficialmente con la Direttiva Ministeriale del 2012. Per alcuni casi gravi, come previsto dalla legge 104 del 1992, viene assegnato un insegnante di sostegno. Tuttavia, molti ragazzi con disturbi come l'ADHD1 potrebbero non ottenere la certificazione di disabilità, anche se necessitano di supporto. C'è quindi la necessità di estendere le misure previste dalla legge 170, che riguarda studenti con disturbi specifici dell'apprendimento, a tutti gli studenti con bisogni educativi speciali. Queste misure sono state recepite dalla legge italiana nel 2002, seguendo le direttive dell'OMS. Inoltre, la Convenzione ONU delinea per la prima volta i soggetti con disabilità come titolari di diritti, cambiando la prospettiva culturale da considerare il disabile come risorsa anziché come portatore di deficit. Questa nuova visione sottolinea l'importanza di costruire una società completamente inclusiva. Per comprendere il concetto di bisogno educativo speciale in una società e in un periodo storico specifico, è fondamentale definire cosa si intende per bisogno educativo. Questo compito può risultare complesso durante il processo di crescita di un individuo. Un possibile punto di partenza potrebbe essere l'osservazione di un gruppo di individui in uno specifico spazio e tempo. Uno strumento utile in questo contesto è l'ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), che fornisce informazioni sullo stato di salute della popolazione mondiale descrivendo il funzionamento umano in tutti i suoi aspetti. L'ICF mira a descrivere non solo le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al contesto ambientale, mettendo in evidenza l'individuo non solo come una persona con malattie o disabilità, ma enfatizzando la sua unicità e completezza. A differenza delle precedenti classificazioni che si concentravano sulla descrizione delle malattie, utilizzando termini come malattia, menomazione e handicap in senso negativo, l'ICF parte dal concetto di salute. La salute, secondo l'ICF, è intesa come l'insieme di capacità emotive, cognitive, affettive e sociali che caratterizzano l'individuo fin dalla nascita. Questo significa che sin dal momento in cui un individuo nasce, presenta bisogni fisici, psicologici e relazionali che devono essere compresi e affrontati. L'ICF trasforma il concetto di disabilità, definendolo come una difficoltà nell'esecuzione di specifici compiti, considerando cruciali il contesto fisico e sociale in cui si trova l'individuo. Quest'ultimo può incontrare facilitatori o barriere ambientali: Facilitatori: Sono fattori ambientali che influenzano positivamente il funzionamento del soggetto, agevolando l'esecuzione di determinati compiti. Questo supporto ambientale favorisce l'inclusione del soggetto. Barriere: Sono fattori ambientali che limitano o impediscono l'azione e la partecipazione del soggetto. Tuttavia, queste barriere possono essere ristrutturate o eliminate, creando condizioni di facilitazione. Alcune barriere che gli studenti con disabilità possono affrontare includono: - Barriere architettoniche: Ostacoli nei luoghi in cui dovrebbero partecipare alla vita quotidiana. - Barriere mediatiche: Limitazioni nell'uso dei mezzi di comunicazione comuni. - Barriere percettive: Ostacoli che impediscono di muoversi autonomamente nell'ambiente fisico. - Barriere motorie: Gli oggetti presenti nell'ambiente non sono adatti alle caratteristiche fisiche di individui atipici. - barriere psichiche: colpiscono principalmente i soggetti che hanno problematiche mentali, poiché non hanno a disposizione i media per poter organizzare ee formulare pensieri da comunicare. Il riconoscimento di queste barriere è fondamentale per creare ambienti inclusivi e promuovere la partecipazione attiva di tutti gli individui, indipendentemente dalle loro caratteristiche o abilità L'analisi dell'ICF dimostra che spesso è il contesto esterno a costituire un ostacolo al funzionamento nella vita quotidiana. Una possibile soluzione potrebbe essere l'interazione con le istituzioni per affrontare vecchi e nuovi bisogni, garantendo risposte adeguate dai servizi. La società dovrebbe fornire le cure necessarie per consentire a tutti i suoi membri di vivere bene e raggiungere una condizione ottimale dal punto di vista bio-psico-sociale. L'ICF mira a offrire un'ampia analisi dello stato di salute dell'individuo, collegando la salute all'ambiente. La definizione di disabilità emerge come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Questa analisi delle varie dimensioni dell'esistenza mette in luce come le persone affrontano la loro patologia e cosa può essere fatto per migliorare la qualità della loro vita. Il concetto di disabilità, dunque, introduce elementi innovativi come l'universalismo, l'approccio integrato e il modello multidimensionale del funzionamento della disabilità. L'universalismo cambia la percezione della disabilità da un problema di un gruppo minoritario a un'esperienza che tutti potrebbero sperimentare nella vita. L'OMS propone un modello universale di disabilità, applicabile a qualsiasi persona, indipendentemente dalla presenza o meno di disabilità. L'approccio integrato coinvolge un'analisi dettagliata di tutte le dimensioni dell'individuo, considerate allo stesso livello. Il modello multidimensionale riconosce che ognuno potrebbe trovarsi in un contesto ambientale sfavorevole, potenzialmente causando disabilità. L'ICF si concentra sugli aspetti sociali della disabilità, mettendo in luce che, ad esempio, se una persona ha difficoltà sul lavoro, la causa (fisica, psichica o temporale) è meno rilevante rispetto all'intervento sul contesto sociale attraverso la costruzione di reti che riducano la disabilità. L'ICF pone al centro la qualità della vita delle persone affette da patologie, evidenziando le modalità per migliorarla e vivere in modo sereno. L'obiettivo generale della classificazione ICF è fornire un linguaggio standard come modello di riferimento per descrivere la salute. I domini all'interno dell'ICF includono funzioni fisiologiche, strutture anatomiche, azioni e compiti, divisi in due elenchi: 1. Funzionamento e disabilità: Include funzione e struttura corporee, attività e partecipazione. 2. Fattori contestuali: Comprendono fattori ambientali e personali. I fattori ambientali sono le caratteristiche del mondo esterno che possono influenzare le prestazioni di un individuo in un determinato contesto. Questa classificazione si rivela utile nell'ambito educativo, consentendo la pianificazione di interventi personalizzati per gli studenti con bisogni educativi speciali (BES), suddivisi in tre macroaree: 1. Disabilità 2. Disturbi evolutivi specifici 3. Svantaggio socio-economico, linguistico e culturale Inoltre, la direttiva ministeriale specifica che i disturbi evolutivi specifici comprendono, oltre ai disturbi specifici dell'apprendimento, deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, coordinazione motoria, attenzione e iperattività. Tuttavia, anche se ci troviamo al di fuori del campo della disabilità riconosciuta dalla legge 104 del 1992 e, quindi, al di fuori del diritto all'insegnante di sostegno, la legge 170 del 2010 ha introdotto la possibilità per le scuole, con determinazioni assunte dai consigli di classe basate sulla documentazione clinica presentata dalle famiglie, di fornire strumenti compensativi didattici per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali. Questo include l'accesso a un insegnante che li aiuti a raggiungere gli obiettivi minimi. Gli alunni con BES, anche se non presentano una disabilità fisica o cognitiva certificata dalla legge 104 del 1992, devono comunque fornire una relazione redatta da uno specialista che evidenzi il loro bisogno. La certificazione è solo il punto di partenza per la creazione di un piano personalizzato che tiene conto di altri fattori sociali, ambientali e talvolta anche economici che possono aver influenzato lo sviluppo cognitivo dello studente. Il docente di sostegno, partendo da questa certificazione, prepara un piano didattico personalizzato per lo studente. Questo piano viene proposto in seduta del consiglio di classe, presieduto anche dal dirigente scolastico e con la partecipazione dei genitori. Dopo la condivisione e l'eventuale modifica, se non ci sono obiezioni, il piano viene implementato nella stessa seduta del consiglio di classe. Iter normativo per gli alunni con BES →Fino agli anni '50, il sistema scolastico italiano separava gli studenti considerati diversi dagli altri, relegando gli alunni con deficit fisici, psichici o sensoriali a istituti speciali. La scuola pubblica si limitava a valutare il problema delle disabilità attraverso sistemi di valutazione, vietando la presenza di alunni diversamente abili nelle scuole comuni. Questo ha portato a un sistema educativo con una divisione netta: normale per gli studenti normodotati e speciale per quelli iperdotati o minorati. →Negli anni '60, si è verificata una svolta con l'emanazione di norme specifiche per gli alunni disabili, gestite direttamente dallo Stato. Tuttavia, anziché inserirli nelle scuole normali, si è optato per il potenziamento delle strutture speciali. Le scienze mediche e psicologiche hanno sviluppato una maggiore conoscenza delle disabilità, portando all'apertura diffusa di scuole speciali per chi aveva menomazioni gravi e classi differenziali per chi aveva anomalie psichiche e sensoriali all'interno delle scuole comuni. Questa politica ha portato a un notevole aumento delle istituzioni speciali, raggiungendo il picco massimo nel 1973-1974 con oltre 8000 scuole speciali e classi differenziali. →Negli anni '68, i movimenti politici si intrecciano con il concetto di disabilità, ispirati dai principi dei diritti umani e dalla Costituzione italiana. La legge 118 del 1971, ispirata agli articoli 3(pari dignità), 34 (diritto allo studio) e 32 (diritto alla salute) della Costituzione, sancisce l'obbligo dell'istruzione nella scuola comune. Tuttavia, gli studenti con menomazioni sensoriali rimangono esclusi, con aperture successivamente definite per chi ha deficit della vista nel 1976 e deficit dell'udito nel 1977. →Nel 1974, il ministro della pubblica istruzione istituisce la commissione Falcucci per analizzare le conseguenze dell'inclusione degli alunni disabili nelle scuole comuni. Il documento Falcucci segna una svolta culturale e sociale, introducendo concetti di pedagogia e didattica speciale. Questo rappresenta il passaggio da un approccio assistenziale all'integrazione verso una visione più autenticamente basata sulla relazione di aiuto. Negli anni successivi si riconosce che inserire semplicemente un insegnante di sostegno come aiutante non è sufficiente. Emerge la necessità di intervenire sugli strumenti a disposizione dell'insegnante di sostegno, implicando modifiche al curricolo, alla didattica, all'organizzazione delle classi e ai rapporti con l'esterno. La novità più significativa è l'introduzione della programmazione curricolare, che comporta quattro elementi essenziali: 1. Specializzazione dell'insegnante di sostegno: Maggiore formazione e competenza specifica per gli insegnanti di sostegno. 2. Superamento del rapporto biunivoco insegnante-classe: Si supera l'idea che l'insegnante di sostegno sia legato esclusivamente a una classe. 3. Superamento della classe come unica base di lavoro: Si apre alla possibilità di organizzazioni flessibili e funzionali. 4. Apertura a modalità organizzative flessibili: Considera l'opportunità di estendere il tempo scolastico e arricchirne l'articolazione. →Con la legge del 4 maggio 1977, le classi differenziali vengono abolite, avviando così il processo di integrazione scolastica per tutti gli studenti con disabilità. Nel 1987, la Corte costituzionale estende questo principio alla scuola secondaria, adottando nuovi strumenti di valutazione. Nel 1988, la circolare ministeriale numero 262 diventa la "magna carta" dell'integrazione scolastica, fornendo indicazioni sulle modalità di iscrizione e frequenza degli studenti con disabilità nelle scuole secondarie superiori. Inoltre, istituisce l'Osservatorio Permanente per le problematiche interistituzionali ed interprofessionali relative all'integrazione di studenti con handicap in ogni ordine e grado di scuola. →La svolta decisiva avviene nel 1992 con la legge 104, nota come "legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Questa legge fornisce una visione completa della vita delle persone con disabilità, coprendo l'intero arco della loro esistenza, dalla nascita alla morte. Introduce norme che mirano a garantire l'integrazione delle persone con disabilità in tutti i settori della società. La legge si concentra sulla vita sociale, scolastica e lavorativa del soggetto disabile. Le disposizioni della legge 104 si rivolgono a una vasta gamma di attori coinvolti nel percorso di vita di una persona con disabilità, compresi settori medico-assistenziali, enti locali e istituzioni educative. A partire dal 1990, viene riconosciuto il diritto delle persone con disabilità a frequentare l'asilo nido e successivamente a ricevere educazione e istruzione a ogni livello, compresi gli studi universitari. La legge garantisce il diritto alla socializzazione, all'apprendimento e all'instaurarsi di relazioni civili e sociali, abbattendo barriere architettoniche e di apprendimento. La legge quadro stabilisce una procedura complessa per l'individuazione degli studenti con disabilità, coinvolgendo un gruppo tecnico interprofessionale composto da insegnanti di sostegno, insegnanti curricolari, genitori e professionisti. Questo gruppo adotta strumenti diagnostici, osservativi e progettuali per accompagnare l'alunno disabile durante il percorso scolastico. →Nel 1994, con l'assegnazione della classe e non dell'alunno, si supera il concetto di integrazione, aprendo la strada a quello di inclusione. Dopo l'implementazione della legge 104, si assiste a una trasformazione del concetto di integrazione in inclusione, che rappresenta il quarto e ultimo stadio di un processo iniziato quasi cinquant'anni prima, superando le fasi di esclusione e separazione. L'inclusione si basa su un progetto che coinvolge l'intera classe, dove la disabilità è vista come una risorsa che apporta vantaggi a tutto il gruppo. L'inclusione rappresenta un importante passo avanti, coinvolgendo sia la pedagogia che la didattica come scienze fondamentali per coordinare l'operato degli insegnanti che lavorano con persone con disabilità. L'integrazione, nel corso del tempo, ha spostato l'attenzione dal singolo soggetto disabile all'intera classe, coinvolgendo tutti gli alunni e insegnanti ed eliminando definitivamente il senso di esclusione e differenziazione dell'alunno disabile. Progressivamente, l'integrazione si è evoluta in inclusione, con l'obiettivo di massimizzare il potenziale di apprendimento dell'intero gruppo classe. Con il passaggio dall'integrazione all'inclusione, la didattica si amplia, inserendosi in un contesto educativo più complesso. Questo cambio non è solo terminologico ma rappresenta un'innovazione concettuale delle impostazioni istituzionali. L'obiettivo è mettere al centro della scuola il valore della diversità, considerandola come un'opportunità di crescita derivante dall'interazione con chi presenta bisogni diversi, che talvolta non sono permanenti, come nel caso di uno studente straniero con deficit linguistico. Si supera l'idea di una normalità basata sull'omogeneità degli studenti, per abbracciare la visione della classe come una realtà caratterizzata da una vasta pluralità di bisogni e necessità individuali. I problemi legati alla didattica per le persone con disabilità sono considerati come manifestazioni specifiche di questioni che influenzano in modo diverso, a volte mascherato, anche gli altri studenti. Questa evoluzione pedagogica implica il superamento dell'illusione di una strategia didattica standardizzata. →Il passaggio dall'integrazione all'inclusione è stato formalizzato nel 2009 con le linee guida del Ministero dell'Istruzione, che stabiliscono il diritto dei soggetti con disabilità di godere dei diritti riconosciuti in base agli ordinamenti degli Stati di appartenenza. In questo contesto, l'ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) viene adottato come modello di riferimento per la classificazione della disabilità, abbracciando un approccio ecologico che valorizza l'ambiente educativo. Le linee guida del 2009 enfatizzano due concetti chiave: 1. l'accettazione della diversità come fonte di arricchimento 2. l'attenzione ai bisogni di ciascun individuo, non limitandosi solo agli studenti con disturbi specifici. →Successivamente, la legge 170 del 2010 affronta specificamente i disturbi specifici dell'apprendimento, considerando tutti i soggetti con disabilità nella loro individualità e promuovendo strumenti e metodologie didattiche personalizzate per favorire il pieno sviluppo del processo formativo. Questa strategia si concentra sulla personalizzazione e individualizzazione dell'offerta didattica. Difficolta di apprendimento (DA) e Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) come Bisogno Educativo Speciale I termini "difficoltà" e "disturbo" sono spesso utilizzati come sinonimi, ma Tressoldi e Vio (2008) mettono in guardia dal rischio di farlo in modo indiscriminato. Secondo gli autori, il concetto di "difficoltà di apprendimento" si riferisce a una performance inferiore rispetto ai livelli attesi per età o livello scolastico, evidenziata da prove standardizzate somministrate collettivamente. D'altro canto, il "disturbo di apprendimento" implica una valutazione clinica che documenta la presenza di un deficit in grado di spiegare le difficoltà dell'alunno. Lucangeli (2010) aggiunge che ciò che contraddistingue una difficoltà di apprendimento è la sua potenziale evoluzione positiva, che può essere ottenuta mediante un impegno maggiore nello studio o seguendo percorsi di insegnamento personalizzati. Si parla invece di disturbo di apprendimento quando si manifestano problematiche più gravi e dall'evoluzione incerta. Quotidianamente, ci si imbatte in individui con diverse difficoltà di apprendimento, che possono derivare da una combinazione di fattori legati sia allo studente che al contesto in cui vive e si trova a operare, influenzando significativamente i risultati scolastici. I disturbi di apprendimento, d'altra parte, sono problematici più specificamente legati al processo di apprendimento. L'uso dei termini "difficoltà" e "disturbo" è oggetto di un dibattito acceso, derivato dalla ricerca di un termine in italiano equivalente a "learning disability". Questo termine fa riferimento a un gruppo variegato di disturbi caratterizzati da notevoli difficoltà nell'acquisizione e nell'uso di abilità come l'ascolto, l'espressione orale, la lettura, il ragionamento e la matematica, presumibilmente originati da disfunzioni del sistema nervoso centrale. Secondo questa definizione, problemi di autoregolazione comportamentale, percezione sociale e interazione sociale possono coesistere con una "learning disability", ma non sono essa stessa una "learning disability". Questi disturbi possono anche verificarsi insieme ad altri fattori di disabilità, ma non sono necessariamente l'effetto di tali condizioni esterne. È importante sottolineare che i termini "difficoltà" e "disturbo" non sono sinonimi e devono essere utilizzati correttamente in base al contesto, evitando di etichettare gli studenti che potrebbero superare le loro difficoltà e al contempo riconoscendo situazioni che richiedono interventi specifici e qualificati. È spesso difficile distinguere tra difficoltà di apprendimento e disturbi di apprendimento. Identificare le caratteristiche distintive può aiutare a fare questa distinzione. Le prestazioni tipiche di una difficoltà sono diverse da quelle di un disturbo. Per individuare un disturbo, è importante notare che deriva da una condizione innata. Ad esempio, studi su figli di genitori con dislessia suggeriscono differenze uditive nei neonati, indicando una possibile eredità del disturbo. Nel caso del calcolo, alcune evidenze mostrano basi neuro-funzionali comuni tra bambini di quattro anni e adulti per compiti di stima di quantità. In base alle prove presentate, si ipotizza che i disturbi di apprendimento siano radicati in una specifica organizzazione cerebrale presente sin dalla nascita, ma che diventano più evidenti durante compiti come lettura, scrittura e calcolo. Un altro criterio distintivo tra difficoltà e disturbo è la resistenza al cambiamento: se la base è neurologica, sono necessari esercizi mirati per modificarla, mentre se si riscontra una rapida miglioramento con adattamenti didattici, si tratta più probabilmente di una difficoltà. Un indicatore chiave è l'automatizzazione dei processi di apprendimento legati a lettura, scrittura e calcolo. Nei disturbi, questi processi diventano sempre più veloci e meno controllati dall'attenzione. Ad esempio, la velocità di lettura e produzione di scrittura mostra un progresso evidente dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado. Per esempio, la lettura progredisce di circa mezza sillaba al secondo per anno scolastico fino al terzo anno della scuola secondaria di primo grado. Nella scrittura, la progressione è di circa 10 grafemi per anno. Gli studenti con dislessia mostrano un progresso nella velocità di lettura che è circa la metà di quella dei lettori normali, evidenziando una chiara resistenza all'automatizzazione. Questo fenomeno è rilevante anche nel calcolo, come indicato dai dati della batteria di test ABCA. Ad esempio, il tempo medio per il recupero di fatti numerici diminuisce del 58%, passando da 138 secondi al terzo anno della scuola primaria a 80 secondi al quinto anno. Nel confronto di quantità tra numeri presentati oralmente, il tempo diminuisce del 63%, passando da 55 secondi a 35 secondi. Nel caso degli studenti con discalculia, studi di De Candia, Bellio e Tressoldi mostrano che dopo 6- 8 mesi di allenamento specifico sulle componenti del calcolo deficitario, la maggior parte raggiunge un livello sufficiente di correttezza rispetto alle norme di riferimento, ma pochi riescono a raggiungere un livello sufficiente di velocità. Questo sottolinea nuovamente che i disturbi sono caratterizzati da una particolare resistenza all'automatizzazione. CAP. 2 Didattica inclusiva per gli alunni con DSA Svolgere l'azione educativa con un approccio educativo centrato sull'educazione stessa (Perla, Riva 2013) significa considerare diversi punti di vista per favorire metodologie di intervento educativo integrate, inclusive, personalizzate e funzionali, in linea con le attuali normative nazionali. Uno degli obiettivi principali delle politiche europee sull'istruzione pubblica è la creazione di una scuola inclusiva, attraverso la cosiddetta "didattica dell'inclusione". Una buona didattica inclusiva mira a coinvolgere pienamente tutti gli studenti, considerando tre elementi principali: le differenze nel funzionamento umano che richiedono il riconoscimento e la comprensione delle varie diversità, l'equità per valorizzare queste differenze, considerandole di pari valore, l'implementazione di forme di personalizzazione e compensazione per garantire situazioni di uguaglianza sostanziale tra gli studenti. Inoltre, si mira all'efficacia tecnica e alla piena partecipazione sociale, ovvero a gestire in modo efficace le particolarità di apprendimento degli studenti attraverso offerte formative in grado di sviluppare al massimo il loro potenziale, auspicando una buona partecipazione sociale. Nella prospettiva inclusiva, il problema non risiede nella persona, ma nel possibile ruolo "disabilitante" degli ambienti e delle relazioni che si attivano, sottolineando l'attenzione dedicata all'individuazione delle barriere alla partecipazione e all'apprendimento. Per comprendere meglio il disturbo specifico dell'apprendimento (DSA), è necessario definire chiaramente le caratteristiche di questa condizione. Il DSA ha una natura innata e persistente, il che significa che non può essere facilmente superato e può resistere agli sforzi di intervento e alle normali strategie di apprendimento. Tuttavia, non è un problema fisso e può essere affrontato con successo attraverso interventi didattici mirati nel tempo. Nel contesto scolastico, le leggi italiane 53/2003 e 170/2010 sono fondamentali come riferimento per le iniziative da intraprendere in presenza di studenti con DSA. In particolare, la legge 170/2010 rappresenta un punto di svolta poiché introduce un approccio diverso nella cura educativa, mettendo in pratica i principi di personalizzazione dei percorsi di studio e guidando le varie azioni che la scuola deve intraprendere per favorire il successo formativo degli studenti con DSA. La Legge n. 170/2010 definisce la dislessia come un disturbo specifico che si manifesta con difficoltà nell'apprendimento della lettura, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici e nella correttezza e rapidità della lettura. La disgrafia è un disturbo specifico della scrittura caratterizzato da difficoltà nella realizzazione grafica, mentre la disortografia è un disturbo specifico di scrittura che si manifesta con difficoltà nei processi linguistici di trascodifica. La discalculia è un disturbo specifico che causa difficoltà negli automatismi del calcolo e nell'elaborazione dei numeri. La Legge n. 170/2010 ha come obiettivi fondamentali: Garantire il diritto all'istruzione. Favorire il successo scolastico attraverso misure di supporto. Garantire una formazione adeguata. Promuovere lo sviluppo delle potenzialità del ragazzo. Ridurre i disagi relazionali ed emotivi dovuti al disturbo. Adottare forme di verifica e valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti. Preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori sulle problematiche legate ai disturbi specifici dell'apprendimento. Favorire la diagnosi precoce e l'adozione di percorsi didattici riabilitativi. Incrementare la comunicazione tra scuola, famiglia e servizi sanitari durante il percorso di istruzione e formazione. Assicurare uguali opportunità di sviluppo delle capacità nell'ambito sociale e professionale. Successivamente all'emanazione della legge, si è osservato un aumento delle diagnosi di disturbi specifici dell'apprendimento in tutte le scuole italiane. Secondo i dati del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MiUR) relativi a novembre 2020, gli studenti con diagnosi di DSA sono 298.114, pari al 4,9% del totale degli alunni. Di questi, 52.105 frequentano gli ultimi tre anni della scuola primaria (3,1% del totale), 102.400 la scuola secondaria di I grado (59% del totale), e 143.609 la scuola secondaria di II grado (53% del totale). Accanto al decreto attuativo della Legge n. 170/10, ci sono delle linee guida che chiedono a tutti i professionisti che si occupano di studenti con Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) di capire che questi studenti hanno stili di apprendimento diversi dalla norma. Nel 2007, a seguito della Consensus Conference, sono state redatte le "Raccomandazioni per la pratica clinica sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento", poi riviste nel 2011 e diffuse dall’Associazione Italiana Dislessia (AID). Questo documento è un punto di riferimento nazionale sui DSA e si basa su dati scientifici e esperienze dirette di esperti. Analizzando brevemente il documento, troviamo una definizione comune dei Disturbi Evolutivi Specifici dell'Apprendimento, trattati solo nel contesto scolastico. Il documento definisce i criteri diagnostici, l'eziologia, le procedure d'indagine, i segni precoci, l'evoluzione e la prognosi, fornendo chiarezza sull’epidemiologia, la comorbilità e il trattamento dei DSA (Fabbri, Rosi, Tironi, Ventriglia, 2020). Una delle principali caratteristiche descritte nel documento è la "specificità", ovvero il disturbo colpisce solo un dominio di abilità specifico ma limitato. Questo lascia invariato il funzionamento intellettivo generale. Pertanto, il criterio principale per diagnosticare i DSA è la "discrepanza" tra le abilità nel dominio specifico interessato (che sono inferiori rispetto alle aspettative per l'età e/o la classe frequentata) e l'intelligenza generale (che è adeguata all'età cronologica). Altre caratteristiche dei DSA includono: 1. Base neurobiologica: Si tratta di anomalie funzionali e strutturali in alcune aree cerebrali, considerate correlate neurobiologicamente ai DSA. È importante notare che i fattori biologici interagiscono con quelli ambientali, contribuendo all'insorgenza dei disturbi dell'apprendimento. 2. Carattere evolutivo: Studi sempre più numerosi confermano l'origine genetica di questi disturbi, indicando una capacità di apprendimento anomala che si manifesta già nelle prime fasi dello sviluppo. 3. Variabilità espressiva: Ogni abilità di apprendimento segue un percorso specifico e mostra espressioni diverse nelle varie fasi dello sviluppo. 4. Comorbilità: Poiché hanno un'origine biologica comune, questi disturbi tendono a presentarsi contemporaneamente, rendendo i quadri diagnostici particolarmente eterogenei. 5. Rilevanza: I disturbi devono avere un impatto significativamente negativo sull'adattamento scolastico e sulle attività quotidiane per essere considerati. Gli studenti con DSA rientrano nella macrocategoria dei Bisogni Educativi Speciali (BES). Il concetto di Bisogno Educativo Speciale non è clinico, ma deriva dalla necessità di garantire equità nel riconoscimento, da parte della scuola e dei sistemi di welfare, delle diverse situazioni di funzionamento. Ciò richiede interventi speciali, individualizzazione e personalizzazione. L'inclusione degli studenti con DSA può avvenire solo attraverso un approccio didattico veramente personalizzato, che riconosca le differenze individuali e diversifichi gli obiettivi formativi per favorire lo sviluppo delle potenzialità. La Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, intitolata "Strumenti di intervento per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica", insieme alla successiva circolare n. 8 del 6 marzo 2013, stabilisce il diritto per tutti gli studenti che presentano disagi, inclusi i Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA), di avere un accesso pieno ed efficace all'apprendimento. L'obiettivo è quindi quello di accogliere in modo inclusivo tutti gli studenti in modo concreto. In questo contesto, i Bisogni Educativi Speciali (BES) non devono essere considerati come una nuova categoria, ma come una macrocategoria che comprende diverse situazioni: 1. Studenti con certificazione di disabilità: Hanno una certificazione conforme alla Legge n. 104/92 e possono avere un insegnante di sostegno. 2. Studenti con Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) e disturbi evolutivi specifici: Possono avere o non avere una diagnosi rilasciata da uno specialista riconosciuto dalla Regione di appartenenza. Questa categoria non prevede automaticamente il sostegno. 3. Studenti in svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale. La direttiva pone la scuola e qualsiasi istituzione educativa di fronte alla sfida di affrontare le esigenze particolari di alcuni studenti, al fine di offrire piani didattici differenziati, progetti educativi personalizzati e percorsi adatti alle singole esigenze. Riconoscere i Disturbi Specifici del'Apprendimento La necessità di un approccio diagnostico condiviso per i soggetti con Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) è stata affrontata a livello nazionale attraverso una prima Consensus Conference, promossa dall'Associazione Italiana Dislessia. Questa conferenza ha fornito un modello di riferimento sulle procedure e gli strumenti di indagine diagnostica, sui segni e le manifestazioni precoci, sul trattamento riabilitativo e sugli interventi compensativi. Successivamente, una seconda Consensus Conference (Roma, 2010), istituita presso l'Istituto Superiore di Sanità, ha prodotto un documento finale di raccomandazioni cliniche rivisto alla luce delle più recenti conoscenze scientifiche internazionali. A livello internazionale, i principali riferimenti per la diagnosi e la certificazione diagnostica dei DSA sono il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) e la Classificazione Internazionale delle Malattie e dei Problemi correlati alla Salute (ICD-10). In base al Manuale Diagnostico DSM-5, i disturbi dell'apprendimento si suddividono in: 1. Disturbo Specifico dell'Apprendimento con compromissione della lettura: Include difficoltà nella precisione, velocità e comprensione della lettura. 2. Disturbo Specifico dell'Apprendimento con compromissione dell'espressione scritta: Coinvolge la disgrafia, con difficoltà ortografiche e grammaticali. 3. Disturbo Specifico dell'Apprendimento con compromissione del calcolo: Riguarda le difficoltà nel concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo accurato e ragionamento matematico corretto. La Consensus Conference del 2011 suggerisce l'utilizzo della Classificazione ICD-10 in cui i disturbi dell'apprendimento sono classificati come: 1. Dislessia (codice F81.0): Comprende compromissioni nell'accuratezza e può comportare difficoltà di comprensione della lettura. 2. Disortografia (codice F81.1): Coinvolge difficoltà ortografiche senza compromettere la componente grafica. 3. Discalculia (codice F81.2): Riguarda difficoltà legate al senso del numero e del calcolo. 4. Altri disturbi evolutivi delle abilità scolastiche (codice F81.8): Includono difficoltà nella realizzazione grafica, non riconducibili a disortografia. La caratteristica principale che definisce i DSA è la "specificità", poiché coinvolgono un dominio di abilità specifico in modo significativo ma circoscritto, preservando il funzionamento intellettivo generale. Il criterio principale per la diagnosi di DSA è la "discrepanza" tra le abilità nel dominio specifico interessato e l'intelligenza generale. Questa discrepanza deve essere significativa, ossia inferiore a -2 deviazioni standard rispetto ai valori normativi attesi per l'età o la classe frequentata, e il Quoziente Intellettivo non deve essere inferiore a -1 deviazione standard rispetto ai valori medi per l'età. Questo criterio implica la necessità di somministrare test standardizzati per misurare sia l'intelligenza generale sia l'abilità specifica e di escludere la presenza di altre condizioni (disturbi cognitivi, neurologici, sensoriali, ambiente socioeducativo inadeguato, ecc.). Le disfunzioni neurobiologiche alla base dei Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) interferiscono con il normale processo di acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo. Attualmente, i DSA sono classificati tra i disturbi del neurosviluppo, caratterizzati dalla presenza di limitazioni nel funzionamento di abilità specifiche, derivanti da uno sviluppo anomalo del sistema nervoso centrale. Queste limitazioni possono manifestarsi durante la prima o la seconda infanzia come ritardi nello sviluppo o come anomalie qualitative o assenza di funzioni in uno o più domini. Dal punto di vista patogenetico, i DSA sono più frequenti nei maschi e sono influenzati da componenti genetiche multifattoriali, ma anche da fattori ambientali, quali scuola, famiglia e contesto sociale. Questi fattori, interagendo con quelli neurobiologici, possono contribuire a un impatto negativo sull'adattamento scolastico e/o sulle attività quotidiane dell'individuo. Un criterio importante per definire i DSA è il loro carattere evolutivo, poiché la loro manifestazione cambia in relazione all'età e alle richieste ambientali. La diagnosi di DSA dovrebbe avvenire dopo la fine del normale processo di insegnamento delle abilità di lettura, scrittura e calcolo, evitando anticipazioni eccessive che potrebbero portare a "falsi positivi". Tuttavia, è possibile individuare fattori di rischio per attuare interventi mirati e precoci. Un altro aspetto da considerare è la "comorbilità", ovvero la presenza contemporanea di più DSA o di altri disturbi neuropsicologici e psicopatologici. La comorbilità comporta una notevole variabilità nei profili individuali e nell'espressività dei DSA nel tempo. Le difficoltà dei DSA interessano processi di codifica in generale, e la presenza di queste sfide è notevolmente variabile in base alla complessità ortografica della lingua di riferimento. L'incidenza dei DSA oscilla tra il 2% e il 10%, con un consenso maggiore intorno al 3,5-4,5%. Negli ultimi anni, si è osservato un aumento delle certificazioni per diversi tipi di disturbi, parallelo a una maggiore consapevolezza del fenomeno. Il numero di alunni con DSA è passato dallo 0,7% al 3,2% del totale degli studenti, evidenziando un cambiamento significativo. La gestione dei DSA richiede un approccio integrato, considerando la complessità dell'interazione tra fattori biologici e ambientali. La diagnosi attuale si basa principalmente sull'osservazione comportamentale e sulla misurazione testistica delle abilità di lettura, scrittura e calcolo. Tuttavia, mancano ancora marker biologici affidabili per l'identificazione e la diagnosi dei DSA. La comprensione del quadro clinico completo richiede uno sforzo maggiore per valutare l'interazione tra i fattori biologici e ambientali che contribuiscono alle espressioni individuali dei DSA. Infine, è fondamentale considerare che le espressioni dei DSA cambiano nel corso dello sviluppo, influenzate dalle interazioni tra diversi processi cognitivi e linguistici con l'esercizio negli apprendimenti strumentali. Pertanto, è essenziale inquadrare i DSA nella storia clinica dell'individuo, considerandoli come sfide che si evolvono dinamicamente. Dislessia, discalculia, disgrafia edisortografia I disturbi specifici legati all'apprendimento scolastico più comuni riguardano la lettura, comunemente noti come dislessia (dal greco "dis-lexis,", disturbo della lettura). Questa difficoltà ricorre principalmente nei bambini di età compresa tra i 7 e i 9 anni ed è caratterizzata dalla fatica nell'apprendere a decifrare o comprendere testi scritti. Tale difficoltà si presenta senza la presenza di danni sensoriali o neurologici, né di un ritardo nello sviluppo dell'intelligenza. Nel dettaglio, il disturbo è causato dalla concreta difficoltà di decodifica del testo, dovuta al mancato riconoscimento della corrispondenza grafema-fonema, ovvero della corretta associazione tra lettere e suoni. Ciò impedisce ai bambini, ai ragazzi e agli adulti con un'intelligenza nella norma di automatizzare la lettura in modo scorrevole e piacevole. In passato, la dislessia è stata erroneamente attribuita a uno scarso impegno nello studio da parte del bambino o, nei casi più gravi, al ritardo mentale. I primi segni evidenti di questa difficoltà includono una lettura lenta e non corretta rispetto alle aspettative dell'età, della classe frequentata e dell'istruzione ricevuta fino a quel momento. Questo è principalmente dovuto alla confusione nella lettura di lettere simili, come m/n, f/v, a/e, d/b, p/q, con conseguenti errori di lettura in parole e non- parole. La lettura è caratterizzata da distorsioni, sostituzioni e omissioni. A causa di queste difficoltà, il bambino con dislessia non riesce a automatizzare la lettura, impegnando gran parte delle sue abilità cognitive come l'attenzione, a discapito di altri apprendimenti che richiedono uno sforzo cognitivo maggiore. Per quanto riguarda le cause e i periodi di manifestazione, si distinguono due tipi di dislessia: acquisita ed evolutiva. La dislessia acquisita riguarda le problematiche di lettura scaturite da un danno cerebrale in soggetti precedentemente "normodotati". D'altra parte, la dislessia evolutiva ostacola e filtra il processo di sviluppo del bambino, ritardandone la crescita. Questa forma di dislessia, congenita, accompagna l'individuo per tutta la vita, ma può cambiare nel tempo grazie a interventi mirati ed esperienze ricevute. In relazione ai deficit nelle procedure lessicali e sub-lessicali durante il processo di lettura, si possono distinguere la dislessia superficiale e la dislessia fonologica. La dislessia superficiale riguarda soggetti in grado di leggere parole regolari attraverso la conversione grafema-fonema ma con difficoltà nel decifrare parole non lineari o con anomalie fonologiche. La dislessia fonologica si manifesta quando un individuo, abile con parole conosciute e di uso frequente, incontra difficoltà con parole più complesse che non ha incontrato precedentemente. È importante sottolineare che non sempre si tratta di forme gravi di dislessia; talvolta, possono esserci variazioni nelle abilità di lettura, attribuibili a difficoltà o ritardi evolutivi. Pertanto, la diagnosi del disturbo può avvenire solo in presenza delle condizioni scolastiche e culturali adeguate, considerando anche che il quoziente intellettivo sia nella norma e che non vi siano altri problemi sensoriali. Durante i test effettuati da un professionista per valutare un bambino, l'attenzione deve concentrarsi sul livello di lettura raggiunto dal bambino. Questo livello dovrebbe essere inferiore a quanto atteso in base all'età del bambino, alla valutazione psicometrica dell'intelligenza e all'istruzione ricevuta. La dislessia, un disturbo specifico della lettura, si manifesta con difficoltà nella decifrazione dei segni linguistici, interferendo con le attività quotidiane che richiedono la capacità di leggere. La dislessia è stata riconosciuta in Italia solo nel 2010, ma ci sono accenni precedenti, come quelli del neurologo e psicofisiologo tedesco Adolf Kussmaul nel 1877. Per comprendere la dislessia, è utile conoscere la "lettura strumentale". Nelle fasi iniziali dell'apprendimento della lettura, l'alunno impara a decodificare i segni grafici, raggiungendo l'automatismo nella lettura fluente ed espressiva. L'automatizzazione è fondamentale per comprendere l'evoluzione della dislessia. Uno studio ha rivelato differenze significative tra un soggetto senza difficoltà di lettura e uno con dislessia basate sulla lunghezza del testo da leggere. I soggetti senza difficoltà leggono più velocemente con il crescere della lunghezza del testo, mentre i soggetti con dislessia mostrano un decadimento funzionale. La dislessia interferisce con il processo di decodifica, rendendolo più lento, specialmente con testi complessi. Il processo di apprendimento della lettura passa attraverso quattro stadi: Logografico (alunno legge non possedendo conoscenze sulle parole) Alfabetico (alunno impara a leggere le parole che non conoscere) Ortografico (l’alunno è capace di leggere suoni. Complessi rendendo piu veloce la lettura) Lessicale (alunno riconosce direttamente le parole grazie a un vocabolario lessicale, rendendo la lettura automatica e veloce. Tuttavia, i soggetti con dislessia possono ancora accedere alle modalità di lettura degli stadi precedenti, specialmente con parole nuove o non parole. Il "modello di lettura a due vie" suggerisce che la lettura può avvenire attraverso due percorsi: la via fonologica coinvolge la conversione grafema-fonema, la via lessicale collega immediatamente la rappresentazione grafica di una parola alla sua entrata lessicale. Questa via permette il riconoscimento di una parola mediante due modalità: o La via lessicale semantica: aiuta a capire sia il suono che il significato di una parola attraverso il riconoscimento di alcune delle sue lettere. o La via lessicale non semantica: consente solo di capire il suono di una parola senza ricordarne il significato, passando direttamente dalle lettere al suono della parola. In merito a quanto detto, ci sono tre tipi di dislessia: 1. Dislessia Fonologica Coinvolge la via fonologica. Bassa consapevolezza fonologica e difficoltà nella decifrazione di parole non familiari. Ridotta velocità di lettura quando si affrontano parole non familiari, senza utilizzare la via lessicale. 2. Dislessia Lessicale Coinvolge la via lessicale. Lettura lenta a causa dell'incapacità di attivare la via lessicale. Difficoltà nelle parole con pronuncia irregolare e impossibilità di accedere alle informazioni fonologiche immagazzinate nella via lessicale. 3. Dislessia Profonda o Mista: Coinvolge entrambe le vie. Problemi tipici di entrambe le dislessie (ridotta velocità di lettura, errori nella decodifica di parole irregolari e sconosciute). Possibili errori di tipo semantico, visivo, morfologico, derivazionale o paragrammatico. È interessante notare che gli studenti con dislessia mista possono leggere con maggiore facilità le parole con referenti concreti rispetto a quelle con referenti non concreti. La Consensus Conference sottolinea l'importanza di somministrare prove standardizzate di lettura a diversi livelli (lettere, parole, non parole e brani) per valutare sia la velocità sia l'accuratezza della lettura. La rapidità si misura in sillabe al secondo, mentre l'accuratezza riguarda il numero di errori commessi durante la lettura. Analizzare gli errori è cruciale per comprendere il processo di lettura degli studenti e pianificare interventi didattici adeguati. Alcuni errori comuni negli studenti con dislessia includono rotazioni, inversioni, confusione, omissioni e aggregati di lettere. Oltre all'analisi degli errori, è interessante osservare alcuni comportamenti durante un compito di lettura, come ignorare la punteggiatura, seguire con il dito le righe scritte, avvicinarsi o allontanarsi troppo dal testo. Inoltre, alcuni studi evidenziano che la dislessia potrebbe manifestarsi come un disturbo specifico della decodifica, indipendentemente dalla capacità di comprendere il significato del testo scritto. Altri autori, tuttavia, ritengono che ci possa essere un disturbo specifico di comprensione, sia con che senza un disturbo di decodifica, senza coinvolgere il linguaggio in generale. Il disturbo legato alla scrittura si chiama disgrafia e disortografia, con differenze tra loro basate sulla difficoltà nella produzione di segni grafici e nel passaggio dal codice fonetico a quello grafemico. La scrittura è fondamentale per la comunicazione umana e il processo coinvolge attività cognitive simili a risolvere un problema matematico. I bambini con Disturbi Specifici dell'Apprendimento, come la disgrafia, incontrano difficoltà nel produrre scrittura leggibile e ordinata, affrontando disagi nel coordinare la mano e nell'utilizzare strumenti di scrittura. La disgrafia implica una scrittura caratterizzata da disordine, scarsa chiarezza e difficoltà nell'uso di penne, matite e altri strumenti. I bambini con problemi di disgrafia scrivono in modo irregolare, spesso con una presa scorretta della penna, rendendo la scrittura "storta" e difficile da leggere. La pressione del tratto può variare, indicando tensione muscolare eccessiva o eccessivamente rilassata. Gli interventi per la disgrafia devono essere personalizzati, considerando le caratteristiche individuali del bambino. La disortografia riguarda la difficoltà nel tradurre simboli grafici in suoni, senza deficit uditivi. Chi soffre di disortografia mostra difficoltà nell'acquisizione delle regole fonologiche e nelle irregolarità ortografiche, con errori fonologici come sostituzioni, inversioni, omissioni o aggiunte. Questo disturbo coinvolge la codifica del linguaggio durante la scrittura, con un deficit nella trasformazione del linguaggio orale in quello scritto. Gli interventi per la disortografia mirano a trattare il disturbo attraverso strumenti dispensativi e compensativi. La disgrafia è un disturbo specifico della scrittura legato a difficoltà grafiche, che influisce sulla caligrafia, rendendo la scrittura variabile e spesso poco leggibile. Il bambino con disgrafia vede ciò che vuole scrivere ma ha difficoltà a tradurlo in schemi motori. La disgrafia può essere associata a un deficit nei movimenti degli occhi, complicando il controllo durante la scrittura. Inoltre, la disgrafia può essere un sintomo di disprassia evolutiva, indicando difficoltà nella rappresentazione e nell'esecuzione di atti motori consecutivi. L'intervento per la disgrafia deve considerare diverse funzioni per ottenere una comprensione completa. Lo sviluppo motorio inizia con la specializzazione dei diversi sistemi coinvolti nei movimenti, mirando a una coordinazione adeguata per funzioni come la scrittura. La qualità del gesto grafico è influenzata dall'organizzazione motoria e dalle strutture neurofisiologiche legate al sistema nervoso centrale. La dominanza laterale, la scelta della mano per scrivere, è importante e può evidenziare disturbi motori che influiscono sulla scrittura, rendendo difficile la corretta riproduzione delle lettere. Le difficoltà di coordinazione, ritmo ed equilibrio possono indicare problemi nel rapporto occhio- mano e nei movimenti di tutto il corpo. La tensione muscolare e il rilassamento possono influenzare la grafia, creando tratti irregolari. La globalità e la finezza delle abilità motorie richieste durante la scrittura influenzano il controllo motorio. L'aspetto sensorio-motorio è essenziale, poiché le coordinate sensoriali influenzano la funzione spaziale, cruciale per la scrittura. La funzione adattiva emerge dall'interazione di atti sensorio-motori in un'area di adattabilità, dipendente dalla flessibilità e dall'organizzazione spaziale. L’aspetto visuo-spaziale e, quindi, la percezione dello spazio, la sua costruzione e la differenziazione tra organismo e ambiente sono fondamentali per l'utilizzo corretto dello spazio grafico. Un deficit visuo-spaziale può portare a difficoltà nella percezione delle relazioni spaziali, influenzando la grafia. Il sistema visivo-oculomotorio svolge un ruolo cruciale nella lettura e nella scrittura, richiedendo un controllo volontario degli occhi. Difficoltà nella coordinazione tra i muscoli oculari possono causare movimenti sguardo caotici e perdita di riferimenti spaziali. L’aspetto visto-costruttivo e disegno su copia e su richiesta. Nel disegno, sia su copia che su richiesta, è coinvolta l'abilità visuo-costruttiva dell'alunno. La copia di figure geometriche elementari è un parametro importante nella valutazione della disgrafia, riflettendo l'abilità grafica dell'alunno. L'aspetto prassico-costruttivo è fondamentale per un'abilità grafica adeguata. Le difficoltà in questo ambito influiscono sulla morfologia della scrittura, sulla velocità di esecuzione e su altre attività scolastiche che richiedono capacità di sequenziazione e organizzazione spaziale. Infine, è importante concentrarsi sullo sviluppo delle abilità gestuali. Le eventuali difficoltà in questo ambito possono riguardare la capacità di selezionare e eseguire gesti appropriati in sequenza. A proposito, la Consensus Conference del 2007 sottolinea l'importanza di valutare contemporaneamente quattro parametri: La rapidità si riferisce al numero di lettere o parole scritte mentre l'insegnante detta o quando l'alunno prende appunti. La leggibilità del grafema indica se un segno grafico è indecifrabile perché deformato a tal punto da non poter essere identificato al di fuori del contesto o della parola in cui è inserito. La dimensione dei grafemi si riferisce alla mancanza di coerenza nella dimensione dei segni grafici all'interno della stessa parola o frase. La direzionalità del movimento si riferisce alle inversioni nella direzione del gesto grafico. La disortografia è un disturbo specifico della scrittura che si manifesta con difficoltà nei processi linguistici di transcodifica. L'ortografia coinvolge la codifica, ossia la conversione dei suoni in segni, ed è legata a un adeguato livello di consapevolezza fonologica. La scrittura di una parola con lettere ad alta consistenza alfabetica prevede diversi passaggi, tra cui l'analisi dei suoni di cui è composta la parola, l'articolazione separata di ciascun fonema, la corrispondenza tra i singoli suoni e i relativi grafemi e l’attivazione degli schemi grafo-motori per la realizzazione grafica di ogni lettera. Il processo di codifica si complica quando ci sono lettere ortografiche con un sistema combinatorio complesso, che devono essere scritte in modo diverso a seconda del contesto in cui sono inserite. Ad esempio, le lettere "c" e "g" possono avere un suono autonomo e univoco, ma oscillano tra una pronuncia velare come in "cane" e una palatale come in "cibo". Parole con trascrizione ambigua, come "sci", "gli", "gna" e "qua", possono rendere difficile l'operazione di scrittura. L'analisi degli errori più frequentemente commessi dagli alunni con disortografia è utile per comprendere il processo seguito dall'alunno e progettare azioni didattiche di supporto. La classificazione più comune, proposta da Tressoldi, Cornoldi e Re individua tre gruppi di errori: 1. Errori fonologici, in cui la produzione scritta non corrisponde al suono, come scambi di grafemi, inversioni, omissioni o aggiunte di lettere e sillabe. 2. Errori non fonologici, relativi alla rappresentazione ortografica delle parole, come separazioni e fusioni illegali, scambi di parole omofone non omografe, e omissioni o aggiunte della lettera "h". 3. Errori fonetici, relativi all’analisi percepita del suono e comprendono l’emissione o l’aggiunta di accenti o di doppie I componenti coinvolti nel processo di apprendimento della scrittura seguono uno schema gerarchico, in cui il passaggio allo stadio successivo è possibile solo se le acquisizioni dello stadio precedente sono state assimilate. Gli stadi includono: logografico (consapevolezza fonologica), alfabetico (conversione fonema-grafema), ortografico (scrittura di parole complesse) lessicale (riconoscimento diretto delle parole). L'alunno controlla pienamente la propria scrittura, che diventa automatica e veloce, pur mantenendo l'accesso alle modalità di scrittura degli stadi precedenti. Secondo questo modello, acquisizioni insufficienti nello stadio alfabetico possono influenzare la conversione fonema-grafema, causando errori fonologici come inversioni, omissioni, sostituzioni, scambi di grafemi simili, ecc. Negli stadi ortografico e lessicale, possono verificarsi errori nella rappresentazione ortografica, come separazioni illegali, scambi di omofoni, omissioni, ecc. L'interazione tra lo sviluppo dei grafemi (unità grafiche delle lettere) e quello della scrittura consente di comprendere come le competenze si sovrappongano durante il passaggio dallo stadio alfabetico a quello ortografico e successivamente a quello lessicale. Le competenze fonologiche svolgono un ruolo costante, intrecciandosi nel recupero del processo di conversione fonema-grafema per parole non familiari e nel recupero della forma completa delle parole familiari tramite il magazzino del lessico fonologico. Ricerche hanno evidenziato che la qualità dell'espressione scritta è influenzata dalla competenza ortografica non completamente automatizzata. Concentrarsi su come scrivere lettere e parole può interferire con la memoria e rendere difficile la fase di ideazione. Conoscenze ortografiche limitate possono ostacolare l'espressione precisa dei pensieri durante la traduzione. Il costo cognitivo della trascrizione può ridurre l'uso dei processi di pianificazione e revisione. Lo sviluppo della capacità di espressione scritta dipende non solo dai processi di alto livello coinvolti nella produzione di nuovi testi, ma anche dal grado di automatizzazione degli aspetti strumentali della scrittura. Nell'età evolutiva, le differenze individuali nelle abilità di trascrizione sono predictive della capacità di espressione scritta. La disortografia coinvolge aspetti oltre la semplice grafia, come semantica, sintassi e fonologia. Le cause possono includere difficoltà nella segmentazione fonologica, nel ricordare sequenze di suoni e nell'affrontare la conversione grafema-fonema. Secondo questa prospettiva, ogni codice, come descritto da Dehaene (1992), è dedicato a svolgere specifici compiti. Ad esempio, il codice arabo è utilizzato per risolvere calcoli scritti o recuperare informazioni sulla parità di un numero, il codice uditivo-verbale per il conteggio e il recupero di fatti aritmetici, e il codice analogico per comprendere quantità, come nel confronto o nella stima di grandezza e nel calcolo approssimativo. Questo meccanismo innato, inizialmente con capacità limitata, diventa sempre più specializzato attraverso l'acquisizione di strumenti culturali come sistemi simbolici e algoritmi di calcolo. Contare rappresenta il primo collegamento tra competenze innate e conoscenze culturalmente acquisite. Gelman e Gallistel individuano cinque principi necessari per imparare a contare: 1. Il principio dell'ordine stabile si basa sull'apprendimento di parole-numero che seguono sempre lo stesso ordine. 2. Il principio dell'uno a uno si basa sulla corrispondenza biunivoca tra una parola-numero e un oggetto, in modo che a una parola-numero corrisponda uno e un solo oggetto e viceversa. 3. Il principio della cardinalità indica che l'ultima parola-numero di un insieme di elementi rappresenta la proprietà numerica di quell'insieme. 4. Il principio dell'astrattezza indica che i principi precedenti possono essere applicati a tutto ciò che può essere contato. 5. Il principio dell'irrilevanza dell'ordine indica che si può iniziare a contare da qualsiasi elemento dell'insieme. La conoscenza di questi principi deriva dalla comprensione dell'ordine. Essere in grado di riconoscere i principi dell'irrilevanza e dell'astrattezza consente successivamente lo sviluppo di competenze più complesse, che costituiscono la base dei meccanismi del conteggio verbale. Il secondo profilo è caratterizzato da compromissioni a livello procedurale e di calcolo nella lettura, scrittura e in colonna dei numeri, nonché nel recupero dei fatti numerici e degli algoritmi del calcolo scritto. Studi in questo settore attribuiscono rilevanza alla posizione di Temple, che ha verificato l'applicabilità del "modello modulare" di McCloskey, Caramazza e Basili anche su soggetti in età evolutiva. Tale modello postula l'esistenza di tre sistemi: il sistema di comprensione dei numeri, il sistema di calcolo e il sistema di produzione numerica. Lucangeli, Tressoldi e Fiore sostengono che possono esserci errori alla base delle difficoltà in ambito matematico, come errori di transcodificazione (errori a carico dei meccanismi lessicali ed errori sintattici) e errori nel sistema del calcolo (errori nel recupero dei fatti aritmetici, errori nel mantenimento e nel recupero di procedure e strategie, errori nell'applicazione delle procedure, ecc.). La normativa scolastica per gli alunni con DSA Lo sviluppo della prospettiva inclusiva in Italia ha portato all'attenzione di ulteriori bisogni oltre alla disabilità, con l'istituzione di una categoria specifica e di strumenti mirati per personalizzare l'offerta formativa. Prima della legge 170 e della normativa sui BES, un passo importante è stato compiuto con il Regolamento dell'Autonomia. Questo regolamento ha gettato le basi per ciò che diventerà il Piano Didattico Personalizzato nella legge 170 del 2010, consentendo alle istituzioni scolastiche di adottare forme di flessibilità ritenute opportune. La legge 170 del 2010 è stata introdotta per tutelare gli studenti che presentano difficoltà fondamentali nella lettura, scrittura e calcolo. Questa legge riconosce per la prima volta, da un punto di vista giuridico, i Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) come la dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Gli obiettivi della legge includono la promozione della diagnosi precoce e di percorsi riabilitativi per garantire il diritto all'istruzione degli studenti con DSA. La legge 170 sottolinea il ruolo delle scuole nell'attivare interventi tempestivi, idonei a individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, basandosi su protocolli regionali. È importante notare che l'esito di tali attività non costituisce una diagnosi di DSA. Il Decreto Ministeriale prot. 569 fornisce disposizioni sull'individuazione degli alunni con DSA, sulle misure educative, e sulle forme di verifica e valutazione. La legge 170 del 2010 e i successivi decreti forniscono la base giuridica per la creazione di piani didattici personalizzati, garantendo un'educazione inclusiva per gli studenti con DSA. La Direttiva ministeriale del 2012 introduce il concetto di Bisogno Educativo Speciale (BES), riconoscendo che ogni alunno può necessitare di una modalità di insegnamento personalizzata. La prospettiva bio- psico-sociale del modello diagnostico ICF, centrato sul concetto di funzionamento, rappresenta un cambio di rotta nella questione BES. In questo modello, il funzionamento di una persona è valutato in tutti i contesti di educazione, tenendo conto di fattori biologici, psicologici e sociali. Di seguito la normativa di riferimento: La scuola italiana ha cominciato a prestare attenzione agli alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) solo di recente. Per lungo tempo, c'era la tendenza diffusa di considerare questi studenti come svogliati o poco impegnati. Una sfida era l'impossibilità di classificare i DSA come disabilità, il che rendeva difficile far riferimento ai principi e agli strumenti introdotti dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 104. I DSA non sono solo difficoltà nel processo di apprendimento, ma possono anche manifestarsi attraverso comportamenti aggressivi, autolesionisti, disturbi del comportamento, opposizione, delinquenza, ecc. Alcuni studenti possono avere difficoltà nelle relazioni, isolandosi, ritirandosi e diventando eccessivamente dipendenti o passivi. Altri possono avere compromissioni fisiche significative, come malattie croniche, disturbi neurologici, paralisi cerebrali infantili, epilessia, ecc. Il contesto familiare può contribuire alle difficoltà, con situazioni di famiglie segregate, trascuranti, caratterizzate da episodi di abuso o maltrattamento, o che hanno vissuto eventi drammatici come lutti o carcerazioni, oltre a vivere a livelli elevati di conflitto. Oltre a queste sfide, ci sono molte altre di origine sociale ed economica, come la povertà, la deprivazione culturale, le difficoltà lavorative ed esistenziali, ecc. Le diverse provenienze culturali, geografiche e linguistiche aggiungono ulteriore eterogeneità a questo complesso mosaico. La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 ha incluso i DSA nella categoria dei disturbi evolutivi specifici, che comprende anche deficit del linguaggio, abilità non verbali, coordinazione motoria, attenzione, iperattività e Funzionamento Intellettivo Limite, considerato un caso di confine tra la disabilità e il disturbo evolutivo specifico. CAP. 3 Individualizzare o personalizzare? Definizioni e teorie "Individualizzazione" e "personalizzazione" sono due parole che potrebbero sembrare simili, ma in realtà rappresentano concetti diversi nel contesto educativo. Tuttavia, entrambe mirano a mettere al centro lo studente, considerando le sue capacità e integrandolo nella vita quotidiana e sociale. L'obiettivo è adattare il modo in cui gli studenti apprendono alle loro caratteristiche, fornendo un intervento educativo personalizzato e individualizzato. Questi concetti non sono nuovi e sono radicati in normative più ampie nel campo dell'istruzione, come la legge 53 del 2003, il decreto legislativo 59 del 2004 e il DPR 8 marzo 1999 numero 275, che delineano le indicazioni nazionali per piani di studio personalizzati. La legge 170 del 2010, insieme a direttive e circolari ministeriali, rafforza l'importanza di questi approcci nell'ambito educativo. Prima di fornire una definizione completa, è importante chiarire i termini "individuo" e "persona", spesso confusi. L’individuo è spesso associato ad altri concetti come soggetto, persona o io, creando confusione. Si considera l'individuo come un ente unitario che trova in sé stesso la causa della propria esistenza, ma questa unitarietà non cattura appieno la ricchezza dell'essere e il vero significato della persona. La persona è un individuo con molte possibilità da scoprire e realizzare, e allo stesso tempo è un concetto complesso che abbraccia una varietà di significati. Nella cultura occidentale, specialmente dopo le idee di Cartesio, si è focalizzata principalmente sulla coscienza individuale e sull'autonomia, emancipando l'individuo dal passato per perseguire obiettivi personali. Questa prospettiva ha portato a una maggiore libertà individuale, ma ha anche semplificato l'idea dell'essere umano, concentrando l'attenzione sulla realizzazione personale a scapito delle dimensioni più ampie e condivise dell'esperienza umana. Nei secoli XVIII e XIX, l'influenza delle idee di Cartesio ha contribuito a una visione positiva dell'essere umano, riconoscendo i diritti fondamentali come vita, libertà e proprietà e dando origine a una società democratica basata sull'uguaglianza e sulle opportunità. Quanto alla definizione di persona, si tratta semplicemente dell'essere umano con tutte le sue caratteristiche: pensa, prova emozioni, ama o odia, interagisce con gli altri, può essere generoso o isolato, e compie azioni buone o cattive. La persona è vista come un punto di partenza in costante crescita, con continue opportunità di sviluppo. Storicamente, la riflessione sulla pedagogia ha sottolineato l'importanza di mettere la persona al centro dell'educazione. Questo significa che l'uomo non è solo influenzato dall'ambiente circostante o dalle regole di insegnamento standard, ma è un individuo libero, con volontà e capacità di autodeterminazione. Questa prospettiva, tuttavia, ha avuto difficoltà a diffondersi nel tempo. Il concetto di "persona", ampiamente utilizzato nel linguaggio comune, è stato esaminato da due prospettive principali: 1. Come soggetto di relazioni: Questo significa considerare la persona in base a diversi modelli teorici, soprattutto quelli sviluppati in filosofia e successivamente adottati dalla pedagogia e dalla psicologia per comprendere le diverse costruzioni teoriche della personalità. 2. Come maschera: Il termine "persona" ha origini latine e si riferisce alla maschera indossata dagli attori nelle rappresentazioni teatrali. In modo esteso, il concetto si riferisce al ruolo che un individuo rappresenta nella società. Secondo questo punto di vista, pensatori come Seneca hanno concepito il soggetto come protagonista fondamentale nelle diverse fasi della vita, passando da un approccio teatrale a una visione più ampia che include il ruolo civile e professionale dell'essere umano nei rapporti con gli altri. Il senso della vita, da questa prospettiva, è legato all'accettazione degli altri, alla reciproca assistenza e al contributo al bene comune. L'obiettivo è valorizzare le capacità di ciascuno non solo per il proprio successo, ma anche per migliorare la vita della comunità. Secondo Kant, diventiamo persone grazie a una guida morale che ci spinge verso il rispetto degli altri e la dignità, sottolineando che la persona è sempre vista come un fine e mai come uno strumento per raggiungere altri scopi. Nell'analizzare l'uomo come qualcosa di complesso, che include mente, corpo, storia, relazioni e coscienza, si evidenzia che la persona si forma attraverso la volontà espressa nelle azioni. Nonostante le sfide della società moderna, la scuola rimane cruciale nell'influenzare in modo educativo, culturale e democratico la formazione degli individui. L'educazione scolastica non dovrebbe limitarsi a trasmettere conoscenze e abilità, ma anche affrontare le questioni fondamentali che definiscono l'esistenza di ogni individuo. Coltivare l'unicità di ogni persona è un obiettivo cruciale, riconoscendo ciascuno come un valore prezioso e insostituibile per formare una società in cui ogni individuo è riconosciuto e apprezzato. La singolarità di ogni persona consente di considerarla come un creatore di sé stessa, con la possibilità di essere l'origine di qualcosa unico. In un approccio personalizzante, diventare il punto focale implica realizzarsi come individuo, impegnandosi nelle proprie capacità e migliorandosi nel vivere e operare come persona. Ora, parlando di metodologie didattiche in situazioni particolari o con bisogni speciali, si fa riferimento a concetti chiave: l'in

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