L'Italiano Contemporaneo - D'Achille PDF

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Questo documento tratta dell'italiano contemporaneo, della sua diffusione e delle sue variazioni, concentrandosi sui dialetti italiani e sulla loro importanza nella lingua italiana.

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lOMoARcPSD|36924465 L'ITALIANO CONTEMPORANEO - D'ACHILLE CAPITOLO 1 LA LINGUA ITALIANA OGGI 1.1 L’italiano e la sua diffusione L’italiano ha avuto una storia particolarissima: è stata per secoli una lingua adoperata poco per la comunicazione parlata e utilizzata più spesso per lo scritto. Ancora...

lOMoARcPSD|36924465 L'ITALIANO CONTEMPORANEO - D'ACHILLE CAPITOLO 1 LA LINGUA ITALIANA OGGI 1.1 L’italiano e la sua diffusione L’italiano ha avuto una storia particolarissima: è stata per secoli una lingua adoperata poco per la comunicazione parlata e utilizzata più spesso per lo scritto. Ancora oggi la lingua nazionale convive con i dialetti ed altri sistemi linguistici usati da minoranze di cittadini. L’italiano contemporaneo si è progressivamente allontanato dalla lingua della tradizione letteraria (di base fiorentina e toscana) e si presenta come una gamma di varietà e assume caratteristiche diverse in rapporto alle situazioni comunicative e ai tipi di testi (scritti, parlati e trasmessi). L’italiano va considerato come una delle grandi lingue di cultura. Molte sono le parole italiane che ormai appartengono al lessico internazionale, grazie al contributo che l’Italia ha dato alla formazione della cultura occidentale in campi come la letteratura, la musica, le arti figurative (sonetto, pianoforte, affresco) e più recentemente nella gastronomia, nel cinema e nella moda con il made in Italy (dolce vita, maccheroni, ciao deriva da “schiavo!”). La diffusione dell’italiano nel mondo non è paragonabile a quella dell’inglese, del francese e dello spagnolo, lingue che, soprattutto dopo il colonialismo, sono parlate anche in continenti diversi dall’Europa o usate ufficialmente nelle comunicazioni internazionali. Ma, in seguito al fenomeno dell’emigrazione non mancano nuclei di italofoni (cioè di persone che parlano italiano) sparsi per il mondo, e neppure zone in cui l’italiano sopravvive come nelle ex colonie africane, Svizzera e Germania (come una sorta di lingua franca). Il successo della televisione italiana ha contribuito a diffondere la nostra lingua nel bacino del Mediterraneo (Malta e Albania). Significativo è il fatto che da quando l’Italia è diventata paese di immigrati, l’italiano è stato acquisito (per via diretta, come L2) da molti lavoratori extraeuropei venuti a lavorare nel nostro paese. C'è anche qualche grande espansione dell'italiano al di fuori dei confini statali, come nel Canton Ticino (Svizzera) e in Corsica (dove però la lingua della cultura e dell'amministrazione è straniera), qualche località costiera dell’Istria e della Dalmazia. Nella maggioranza dei casi, l’italiano è usato da coloro che sono nati e risiedono nella penisola italiana e nelle isole a essa geograficamente pertinenti, che appartengono politicamente allo stato italiano. Ma neppure in tutta l’Italia gli italiani usano sempre l’italiano poiché esso convive con i dialetti locali, tuttora usati e non solo dalle fasce più anziane della popolazione, sia nel parlato (familiari ed amici), sia nello scritto (prosa, testi teatrali). La ricchezza e la varietà dei dialetti è una conseguenza della frammentazione romanza, succeduta all’unità linguistica latina e ancora oltre, dalla differenziazione etnica propria della penisola prima dell’unificazione ad opera dei romani: è una caratteristica esclusiva della realtà linguistica italiana, legata alle peculiarità geografiche (approdi via mare, valicabilità delle Alpi) e particolari vicende storiche. Dev’essere chiaro che i dialetti italiani non rappresentano varietà locali della lingua nazionale, né deformazioni di questa, ma sono lingue a tutti gli effetti che derivano dal latino volgare (latino parlato nella tarda età imperiale) e hanno la stessa dignità della lingua –costituitosi sulla base di un dialetto, il fiorentino del 300. La distinzione tra lingua nazionale e dialetti locali è frutto di circostanze storiche, legate a fatti politici, economici e culturali, che hanno conferito alla lingua un prestigio maggiore, grazie a un processo di 1 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 standardizzazione che i dialetti non hanno conosciuto; è vero però che nella scuola i dialetti sono stati spesso guardati con sospetto perché fonti di errori. Oggi molti italiani alternano lingua e dialetto in un rapporto che viene detto non bilinguismo (situazione che si ha quando il parlante dispone nel proprio repertorio di due lingue diverse, che hanno per lui lo stesso prestigio) ma diglossia, e scelgono l’uno o l’altro codice a seconda della situazione comunicativa (il dialetto è subordinato alla lingua sul pano sociolinguistico). Per gli usi più formali ci si serve dell’italiano, per quelli informali si può ricorrere al dialetto. In molte zone d’Italia la lingua nazionale ed il dialetto locale possono essere adoperati nella conversazione ordinaria ed è l’italiano la lingua prevalentemente usata per rivolgersi ai bambini: per questo si definisce dilalìa la possibilità di impiego anche della varietà “alta” all’interno di contesti informali. I dialetti italiani (quadro 1.1) Il problema delle suddivisioni italiane nel nostro paese è molto complesso. Una delle più recenti classificazioni è la Carta dei dialetti italiani preparata da Giovanbattista Pellegrini nel 1977. Pellegrini ha anche elaborato il concetto di italo-romanzo, riferendosi al complesso delle parlate dialettali della nostra penisola e delle isole adiacenti che riconoscono come lingua di cultura (lingua guida o lingua tetto) l’italiano. Sul piano dialettologico la prima fondamentale distinzione è quella tra: 1. dialetti settentrionali, parlati a nord della linea La Spezia Rimini (dal Tirreno all’Adriatico lungo l’appennino Tosco Emiliano) possiamo distinguere: - i dialetti gallo-italici: parlati nelle zone abitate dalle popolazioni celtiche – (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna) oltre che in alcune isole linguistiche della Basilicata e della Sicilia a seguito di fenomeni migratori. - i dialetti veneti: Veneto, Trentino e Venezia Giulia; - i dialetti istriani (penisola d’Istria). 2. dialetti centromeridionali: - i dialetti toscani: parlati in Toscana - i dialetti còrsi: parlati in Corsica - i dialetti mediani di transizione: parlati sopra la linea Roma-Ancona - i dialetti mediani: parlati sotto la linea Roma –Ancona nell’Italia centrale, Marche centrali, Umbria Lazio, Abruzzo aquilano. - i dialetti (alto)meridionali: parlati nelle Marche sud, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia esclusa penisola salentina, Calabria settentrionale; 2 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 - i dialetti meridionali estremi: parlati nel Salento, Calabria centro meridionale, Sicilia. 3 i dialetti sardi - settentrionali (toscanizzati); - centrali e meridionali. 4. dialetti friulani e ladini - friulano, ladino dolomitico e grigionese. I dialetti settentrionali hanno caratteristiche che li accomunano alle lingue romanze occidentali (portoghese, spagnolo, catalano, francese), quelli mediani e meridionali fanno parte del mondo romanzo orientale. I dialetti settentrionali sono caratterizzati sul piano fonetico: - la sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche latine: lat. MARITUM > marido > marìo) - l’assenza di consonanti doppie: lat. GALLINA >galina; - la tendenza alla caduta delle vocali atone (cioè non accentate), soprattutto quelle che si trovano alla fine della parola (a parte la a): lat. FRATELLUM, diminutivo di FRATREM >fradel. Per quanto riguarda morfologia e sintassi si segnala: - La perdita delle forme di pronome personale soggetto derivanti da EGO e TU, sostituite dalle forme oblique mi e ti; - L’obbligatorietà del pronome personale soggetto davanti al verbo, in forme come el dize. I dialetti toscani sono quelli che hanno costituito la base dell’italiano e molti tratti fonetici dell’italiani, tra cui: - il sistema vocalico costituito da 7 vocali accentate; - L’unico esito di –U e –O finali latine in –o, LUPU(M) >lupo; - l’esito del suffisso latino ARIUM\AM in AIO\AIA e non in ARO\ARA (FORNARIU(M) >fornaio). Ci sono però tratti tipicamente toscani che l’italiano non ha accolto, come la gorgia: aspirazione delle consonanti occlusive intervocaliche p, t, c., in particolare c foneticamente [k]. In morfologia e sintassi: - obbligatorio il pronome personale soggetto prima del verbo, in forme ridotte come e’. gli, la; 3 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 - la reduplicazione del pronome, in costrutti come te tu canti - dopo noi si usa la forma verbale della 3ª singolare preceduta da si ( noi si va tutti via). I dialetti mediani: - conservano la distinzione latina tra –O e –U finale: HOMO > omo; FERRUM > ferru; I dialetti meridionali: - tutte le vocali non accentate si indeboliscono fino a una vocale centrale indistinta, detta schwa, corrispondente alla e muta del francese venir [Ə]. I dialetti meridionali estremi: - hanno solo 5 vocali (mancano la /é/ e la /o/ chiuse - prevedono un vocalismo particolare che in posizione finale ammettono solo a, i e u. I dialetti centromeridionali hanno in comune le caratteristiche: - metafonesi: variazione del timbro delle vocali medie toniche. La E e la O chiuse se nel latino la sillaba seguente terminava in –U o in-I si innalzano a /i/ e a /u/ (MUNDUM > mondo > munnë); la E e la O aperte possono chiudersi (OCULUM >occhiu). - assimilazioni di –ND- >-nn- e –MB- >-mm- come quannë: -betacismo: il passaggio da /b/ a /v/ in posizione debole (nu vase “un bacio”) - la lenizione della consonante sorda dopo nasale r e l (trenda). Nei dialetti mediani e meridionali spicca la presenza del ‘neutro di materia’, distinto dal maschile in articoli e pronomi dimostrativi (lo ferru ‘il ferro’, come materiale, vs lu ferru ‘l’oggetto di ferro’), e del cosiddetto oggetto o accusativo preposizionale, che prevede la presenza della preposizione a prima di un complemento oggetto riferito a persona (sient’a mme ‘ascoltami’). Molto sensibili risultano anche le differenze lessicali, legate alla varietà delle tradizioni culturali: opposizione tra donna al nord e femmina al sud e l’avverbio di tempo “in questo momento” che si suddivide nei tre tipi adesso al Nord, ora Toscana e Sicilia e mo Centro-Sud. Vanno considerati non dialetti, ma sistemi linguistici autonomi all’interno del dominio italo-romanzo, il ladino dolomitico che ha avuto come lingua tetto il tedesco, e il friulano (espressione del plurale attraverso la desinenza –s). Vanno tenuti ben distinti dai dialetti italiani anche i vari dialetti parlati in Sardegna, che nel loro complesso costituiscono il sardo (conservazione di /k/ e /g/ velari nelle parole seguite da /e/ e /i/ come chéntu cento; il mantenimento delle consonanti finali latine). 4 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 Le minoranze alloglotte (quadro 1.2) Oltre al ladino, il friulano e al sardo, le altre lingue delle minoranze alloglotte parlate nel territorio italiano sono: - il franco-provenzale in Valle d’Aosta e in alcune località del Piemonte e in due paesi in provincia di Foggia; - il provenzale in varie zone alpine del Piemonte; - il tedesco in Alto Adige; - lo sloveno in Venezia Giulia; - il croato in qualche comune del Molise; - l’albanese in vari centri del Sud, dall’Abruzzo alla Sicilia; - il grico in qualche località del Salento; - il catalano ad Alghero, in Sardegna. -non vanno dimenticate le lingue parlate dai rom, gli zingari ormai da tempo stabilizzati nel nostro paese, dette nel loro complesso romanes. La presenza nel territorio italiano di minoranza alloglotte ha le seguenti motivazioni: - mobilità dei confini politici ed amministrativi (continuità culturale); - fenomeni immigratori 2. Il tipo linguistico italiano L’italiano presenta delle caratteristiche proprie, che consentono di individuarlo rispetto alle lingue romanze, e che nel loro complesso costituiscono il ‘tipo linguistico italiano’. Tra le caratteristiche principali:  l’importanza delle vocali nella struttura sillabica italiana (terminazione delle parole con vocale ha reso l’italiano l’idioma legato alla musica e naturalmente adatto al canto tra 600 e 700);  la libertà di posizione dell’accento tonico e la frequenza delle parole accentate sulla penultima sillaba;  la possibilità di esprimere i concetti di grandezza, piccolezza, attraverso il meccanismo dell’alterazione, aggiungendo cioè a nomi suffissi diminutivi, vezzeggiativi, accrescitivi, come -ino/- a; -etto/-a; -one/-a;  la formazione delle parole anche attraverso il meccanismo della composizione, che prevede la possibilità di unire nome + nome, verbo + nome, nome + aggettivo; 5 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465  la non obbligatoria espressione del pronome personale che fa da soggetto al verbo (mangio e non necessariamente io mangio);  la preferenza per la sequenza determinato + determinante (il libro di Paolo, piazza Mazzini);  la tendenza a concentrare l’informazione semantica nel nome e non nel verbo (come avviene nel tedesco)  la relativa libertà dell’ordine delle parole all’interno della frase: il soggetto viene normalmente collocato prima del verbo, ma può essere posto anche dopo questo. Non tutte queste peculiarità sono sempre state proprie dell’italiano, alcune si sono sviluppate nel corso del tempo. Va ricordata sul piano sintattico la preferenza che l’italiano scritto ha mostrato per la subordinazione piuttosto che per la coordinazione. 3. Caratteri dell’italiano L’italiano deriva dal latino volgare (il latino parlato nella tarda età imperiale nelle varie zone dell’impero in cui Roma era riuscita ad imporre la sua lingua – Romània). Tra le lingue romanze l’italiano è quella rimasta per vari aspetti più vicina al latino volgare, ed è anche quella che ha avuto un più continuo contatto col latino classico, da cui ha ripreso molte parole (latinismi o parole dotte) e alcune strutture morfosintattiche. Deriva, dal contatto col latino, la formazione del superlativo di tipo sintetico col suffisso -issimo aggiunto alla base dell’aggettivo o la ripetizione dell’aggettivo (bello bello) o l’anteposizione a questo di vari avverbi (molto, tanto, assai). Quanto alle parole dotte contrapposte alle parole popolari basta citare il caso di floreale, tratto da FLOREALE(M) rispetto a fiore da FLORE(M) e quello di mensile, da mese. I latinismi, in italiano, si sono inseriti nel lessico con piccoli adattamenti fonetici e morfologici, che non hanno appannato la trasparenza del loro rapporto etimologico con le parole popolari (acquoso: il legame con acqua è ben più trasparente del francese eau e aqueux; auricolare rispetto a orecchio). L’italiano è nato dall’elaborazione di una parlata locale, promossa a lingua dell’uso nazionale. Esso infatti deriva nelle sue strutture linguistiche fondamentali, dal dialetto fiorentino del 300, nell’elaborazione letteraria che ne fecero Dante, Petrarca e Boccaccio e che poi i grammatici del 500 (linea classicista di Pietro Bembo) posero a modello dell’uso scritto. In Italia fu la letteratura alla base dell’unificazione linguistica, non si ebbe una monarchia nazionale accentratrice in grado di unificare il paese e diffondervi la parlata della propria regione d’origine. Il fiorentino riuscì ad imporsi sugli altri dialetti, almeno nell’uso scritto, non grazie ad un predominio politico, ma in virtù di altri fattori: 1. l’alto valore letterario dei grandi scrittori del 300 che lo usarono; 2. le sue caratteristiche strutturali lo rendevano meno lontano dal latino ed era considerato in medietà con gli altri dialetti della penisola. 3. il prestigio di Firenze nei campi socioculturale. 6 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 Inizialmente l’italiano venne definito ‘volgare’ ma anche ‘lingua fiorentina’; il termine italiano fu definitivamente accolto solo nel 700, maa per secoli rimase legato allo scritto colto. Proprio l’origine colta spiega perché l’italiano non abbia avuto all’inizio dell’epoca moderna un’evoluzione strutturale tale da distaccarsi dalla fase medievale (come è successo per il francese che si discosta dalla lingua d’oil. Fino all’unificazione nazionale nel 1861, l’italiano fu una lingua usata soprattutto nello scritto, tanto da poter essere giudicata una ‘lingua morta’. Prima dell’Unità, l’italiano era una lingua nota a un numero di persone alquanto ridotto (per quel che riguarda la competenza attiva = capacità di servirsene tanto nello scritto, che nel parlato, diverso dalla competenza passiva che è la capacità di capire i discorsi), escludendo la Toscana. La stragrande maggioranza della popolazione parlava uno dei dialetti che si erano formati nella penisola dopo il crollo dell’Impero romano e che vengono tuttora utilizzati. Il ridotto uso della lingua favoriva la stabilità e la conservatività delle strutture, si mostrava però poco adatto alle esigenze di alcune moderne forme di scrittura (prosa scientifica, saggistica, il romanzo). In realtà il problema non era linguistico in senso stretto, ma culturale. A partire dall’unificazione politica, in seguito a vari fattori, come l’alfabetizzazione legata all’obbligo scolastico, l’emigrazione esterna e interna, l’urbanizzazione, le diverse condizioni sociali, economiche e culturali della popolazione, i più forti contatti dei cittadini con gli apparati amministrativi statali e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, l’italiano si è andato progressivamente sviluppando. La ‘morte dei dialetti’, però, non si è mai realizzata, ma ormai non vi è dubbio che per milioni di persone l’italiano sia o la lingua materna o quella utilizzata sempre più spesso non solo nello scritto, anche nel parlato. In generale si può rilevare come i dialetti abbiano spesso subìto un processo di italianizzazione e quindi siano “ristrutturati”, ma non siano affatto usciti dall’uso. La progressiva espansione dell’italiano ha avuto notevoli conseguenze: dopo una fase si sistematizzazione grammaticale (fino agli anni 50), il crescente uso orale dell’italiano da parte delle masse, ha determinato una pressione del parlato sulle strutture dello scritto che ha provocato varie ristrutturazioni del sistema linguistico, con lo sviluppo di tratti innovativi dovuti a processi di semplificazione. Firenze e la Toscana hanno mantenuto solo nel periodo iniziale dello Stato una posizione di centralità sul piano linguistico che avevano avuto per secoli; poi hanno finito col perderla a vantaggio di Roma capitale e dei centri industriali del Nord. Il suffisso –aio/a, che costituisce l’esito toscano del latino –ARIUM/-AM, è stato per secoli utilizzato per indicare mestieri e attività (macellaio, notaio, bambinaia, veterinario). Poi però –aio/a (ancora vitale con riferimento a luoghi topaia) per le nuove professioni ha ceduto il passo al suffisso –ista di matrice greca, giornalista, gommista. L’italiano contemporaneo appare un sistema particolarmente complesso, che mostra continuità con la tradizione scritta e rivela spinte innovative che lo allontanano. 4. L’italiano standard Processo di semplificazione. Per secoli l’italiano, a causa del suo uso prevalentemente scritto, è stata una lingua non solo stabile e poco soggetta al mutamento, ma anche poco compatta al suo interno. Innanzitutto la lingua letteraria prevedeva al suo interno una netta distinzione tra poesia (con l’utilizzo di arcaismi ) e prosa. L’uso scritto, inoltre, prevedeva un’abbondanza di polimorfia, cioè la coesistenza di più forme tra loro sostanzialmente equivalenti, tra le quali lo scrittore era libero di scegliere la preferita (si avevano 7 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 varianti fonetiche, - sacrificio vs sacrifizio, morfologiche – arma vs arme, ali o ale). L’italiano di oggi, nel corso del 900, da una parte ha rinunciato agli arcaismi propri del linguaggio poetico, dall’altra ha fortemente ridotto la polimorfia. Manzoni nell’edizione definitiva dei Promessi Sposi del 1840-42 oltre ad adeguare la prosa all’uso vivo di Firenze, operò alcune semplificazioni. È stata una riduzione drastica ma non totale: una certa sovrabbondanza di forme si ha tuttora come tra vs fra, vi e ci locativo. Processo di normativizzazione: la tradizione grammaticale e la prassi scolastica nell’italiano basato sull’ uso fiorentino e toscano hanno progressivamente imposto una serie di regole, come la limitazione dell'accento sui monosillabi solo dove il segno ha una funzione disambiguante (lì e là per distinguerli dal pronome li); l’uso dell’apostrofo imposto solo nel caso dell’elisione e dell’apocope sillabica (po’). L’insegnamento scolastico e gli altri importanti canali di diffusione della nostra lingua, hanno reso l’italiano contemporaneo un sistema molto più compatto rispetto al passato, e hanno contribuito a un secondo processo di standardizzazione della nostra lingua, dopo quello operato nel 500. Per lingua standard si intende quella che l'intera comunità dei parlanti riconosce come corretta: il modello proposto nelle grammatiche, parlata dalle persone istruite nello scritto e nel parlato. Un problema della lingua italiana è l’assenza di uno standard parlato, soprattutto sul piano fonetico, anche in conseguenza del fatto che la grafia dell’italiano non rende le opposizioni fonologiche (e aperta e e chiusa). L'unico modello di standard parlato riconosciuto è quello basato sulla pronuncia colta di Firenze, da cui vengono eliminati alcuni tratti locali e che viene insegnato in apposite scuole di dizione. La stragrande maggioranza degli italiani, anche coloro che padroneggiano lo standard scritto, nel parlato lascia percepire in varia misura la sua origine regionale. 5. Le varietà dell’italiano contemporaneo Anche l’italiano letterario contemporaneo presenta una notevole varietà di realizzazioni sul piano linguistico spesso in esplicita violazione dello standard tradizionale e non può costituire un punto di riferimento. Ogni lingua, quanto più è diffusa nello spazio e nel tempo, tanto più presenta una serie di differenze, dovute a variabili dette assi di variazione, legate al canale di trasmissione del messaggio, al suo contenuto, ai rapporti tra gli interlocutori, alla situazione comunicativa. La variabile diamèsica è quella legata al mezzo materiale in cui avviene la comunicazione, che distingue la lingua dei testi parlati, legata al contesto situazionale, da quella dei testi scritti, spesso “asituazionali”. Quando si scrive si rispettano più spesso le regole grammaticali imparate a scuola; scrivendo, siamo portati a strutturare il testo in periodi ampi e non in frasi brevi, cerchiamo di essere meno espliciti, soprattutto se ci rivolgiamo a persone che non conosciamo bene e che leggeranno il testo a distanza di tempo. Nel parlato adoperiamo il pronome io più spesso di quanto facciamo nello scritto; spesso lasciamo le frasi incomplete. Alle tradizionali categorie dello scritto e del parlato è stata aggiunta quella del trasmesso, con riferimento prima al parlato a distanza (telefono, radio, televisione che possiamo definire come parlato trasmesso), poi anche allo scritto (internet, posta elettronica, messaggi telefonici per i quali nel complesso possiamo parlare di scritto trasmesso). 8 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 La variabile diacrònica è quella legata al tempo; il passare del tempo determina un cambiamento nell’uso linguistico e che di solito avviene nel parlato prima e più spesso che nello scritto. Alcune differenze si rilevano nell’uso linguistico dei giovani rispetto a quello degli anziani. Il mutamento linguistico può avvenire per fattori interni al sistema della lingua che determinano: - l’abbandono di certe forme a vantaggio di altre (= egli, ella, esso, essa cedono a lui lei loro), - lo sviluppo di processi di grammaticalizzazione (alcune parole acquistano funzioni grammaticali, il verbo venire sostituisce il verbo essere; la 3ª persona del presente del verbo fare che non svolge più funzione di verbo ma di determinazione temporale in un’ora fa, poco fa; la congiunzione però che in origine significava “per questo” e poi ha assunto valore avversativo), - lo sviluppo di processo di lessicalizzazione, (elementi grammaticali danno origine a nuove parole = ci vuole è lontano dal significato di vuole; affresco da a fresco; faidate, fioretto rispetto a fiore). Ma possono determinare cambiamenti nell’uso anche fattori esterni: - il contatto con altre lingue e con fenomeni culturali e trasformazioni sociali, come l’influsso che ha avuto l’inglese sull’italiano contemporaneo. Si ha l’introduzione di anglicanismi non adattati come computer, single; oppure la diffusione di certe peculiarità sul piano sintattico o fraseologico come l’interrogativa multipla chi ha visto chi?; la crescente diffusione del tu allocutivo a spese del tradizionale lei di cortesia. La variabile diatòpica è quella legata allo spazio: una stessa lingua assume caratteristiche diverse a seconda delle singole zone in cui è usata. La variabile diatòpica è particolarmente importante: la ricchezza dei dialetti ha avuto e continua ad avere riflessi importanti sull’italiano, determinando la nascita degli italiani regionali. La variabile diastratica è quella legata alla posizione sociale del parlante e quindi dipende dal genere, dall’età, dalla classe sociale, dalle condizioni economiche, dal livello di istruzione. In Italia è stato notato che ha riflessi linguistici più il livello di istruzione che non il reddito: la varietà bassa usata nel parlato e anche nello scritto dai semicolti = coloro che hanno una parziale e incompleta scolarizzazione, è stata definita come ‘italiano popolare’. Tra le caratteristiche sufficienti per qualificare un testo come popolare rileviamo: nello scritto, grafie devianti dalla norma come anno e quore; nel parlare pronunce come persuàdere invece di persuadére. La variabile diafàsica è quella legata alla situazione comunicativa, all’argomento trattato, al grado di confidenza che si ha con l’interlocutore. Da questi fattori dipende la scelta di un registro linguistico formale o informale. Appartengono alla variabile diafasica anche i sottocodici = tratti, prevalentemente lessicali, propri dei linguaggi settoriali e delle lingue speciali (terminologia dell’informatica, ricca di anglismi anche adattati come resettare, zippato). Si possono segnalare alternative lessicali come timore o spavento di registro elevato, paura e fifa colloquiale; significative anche alternanze sintattiche come al fine di o onde+infinito , proprie dello scritto. 9 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 Nel parlato, alla comunicazione verbale si accompagna sempre una comunicazione non verbale, che completa e a volte sostituisce le parole: ciò è particolarmente importante per l’italiano perché in Italia il linguaggio dei gesti ha una tradizione ricca. Il parlato può inoltre servirsi di elementi non articolati, come risate, colpi di tosse, mugugni. L’impiego della voce permette di veicolare il significato complessivo anche grazie al volume, al tono, all’intonazione e al ritmo che nel parlato più spontaneo e formale è spesso sostenuto. Frequente è anche l’aferesi, cioè la caduta ad inizio di parola, di una vocale, specie prima di un nesso nasale + consonante (‘nsomma ‘insomma’, ‘nvece ‘invece’), o anche una sillaba. Si segnala, inoltre, la tendenza a elidere la vocale finale prima di un’altra vocale (l’informazione, un’iniziativa, c’interessa, gl’individui). L’apocope vocalica, cioè la caduta della vocale posta alla fine della parola, è frequente in area settentrionale e in Toscana; risulta però poco caratterizzante perché ammessa anche nello standard scritto tradizionale; le apocopi sillabiche, molto diffuse a Roma e al sud (viè qua!), anche per gli infiniti verbali o per gli allocutivi (venì, sapé, ma’ ‘mamma, dottò), sono molto più marcate come dialettali. Nel parlato non mancano riduzioni della parola (‘sera). Nell’italiano parlato sono inoltre frequenti metatesi per evitare nessi vocalici o consonantici difficili da pronunciare secondo il sistema sillabico italiano, come interpetrare invece di interpretare, areoplano invece di aeroplano; più marcate in diastratia e in diatopia, come popolari e centromeridionali, pronunce come pissicologo, attimosfera, gasse. 1.2 Aspetti di morfologia Nella morfologia i fenomeni di maggior rilievo riguardano il settore pronominale e quello verbale. L’italiano parlato non utilizza forme alternative rispetto a quelle proprie dello scritto, ma ne riduce la varietà. Spicca la maggiore frequenza nel parlato dei pronomi personali soprattutto quello di prima persona (io). Frequente è anche il pronome di seconda persona, come soggetto si usa spesso anche te (pensaci te); mentre nella terza persona lui e lei sostituiscono sistematicamente egli e ella, e esso ed essa lasciano il campo a loro. Nelle forme plurali, a noi e voi nel parlato si affiancano noialtri/-e voialtri/-e. I dimostrativi nel parlato sono spesso usati con valore vicino a quello degli articoli; per assumere un più forte valore deittico (= espressioni nell’ambito dello spazio e del tempo) vengono spesso rafforzati con avverbi (questo libro qui, quella porta là). Codesto è vivo nel parlato solo in area toscana; anche il neutro ciò nel parlato è raro al contrario dell’avverbio così. Per quanto riguarda i verbi, non mancano regolarizzazioni di paradigmi irregolari (intervenì invece di intervenne, soddisfava per soddisfaceva, scuotuto per scosso), ma la caratteristica principale è la riduzione nell’uso dei modi e dei tempi. Il presente indicativo sostituisce non solo il passato, ma spesso anche il futuro (vengo domani); è in espansione la forma perifrastica stare + gerundio con valore progressivo (sta piovendo); il passato prossimi si usa generalmente al posto del passato remoto; l’imperfetto è il tempo in espansione, che nel parlato sostituisce il congiuntivo e il condizionale nel periodo ipotetico dell’irrealtà nel passato. Il congiuntivo tende a cedere il campo all’indicativo; 58 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 1.3 La sintassi del parlato Nella sintassi della frase, la struttura informativa dell’italiano pone ad apertura di enunciato gli elementi già dati dal contesto (tema) e alla fine quelli portatori di informazioni nuove (rema). E’ stato notato che le dislocazioni a sinistra sono usate sia per la ‘conquista del branco’, cioè per intervenire attivamente nel discorso, sia per il ‘cambiamento di topic’, cioè per spostare la conversazione su un nuovo argomento. La dislocazione si lega inoltre a due diversi meccanismi che caratterizzano il parlato rispetto allo scritto: l’egocentrismo del parlante e la recettività del ricevente. La preferenza del parlato per queste costruzioni si lega anche alla difficoltà di pianificare il discorso anche a breve gittata e alla necessità di elementi ‘ridondanti’ che facilitino anche il controllo sintattico. Per quanto riguarda le dislocazioni a destra, sono state distinte quelle che prevedono una pausa prima dell’elemento dislocato da quelle che presentano una curva intonativa unitaria: nelle prime l’elemento dislocato costituisce quasi una glossa esplicativa del pronome; nelle seconde il costrutto serve a stabilire un rapporto di particolare confidenza con l’interlocutore, queste strutture sono utilizzate specie in frasi interrogative (lo prendi un caffè?, ce l’hai l’ombrello?). Nel parlato è possibile anche l’anticipazione di un pronome tonico, per metterlo in rilievo, come mi piace a me!. Nell’ambito delle dislocazioni dell’oggetto diretto personale, l’italiano parlato ammette anche il cosiddetto ‘accusativo preposizionale’. La frase scissa nel parlato è utilizzata per mettere in rilievo la negazione o l’intera proposizione (non è che mi piaccia molto) e nelle interrogative introdotte da un ‘operatore’ (dov’è che vai?). E’ un fenomeno esclusivamente parlato, specie popolare, la cosiddetta ‘epanalessi’ o ‘struttura a cornice’, che consiste nella ripetizione del verbo alla fine dell’enunciato (non ci sono più andato non ci sono). La prevalenza della semantica nel parlato fa sì che nel parlato siano possibili non solo ellissi inaccettabili nello scritto, ma anche concordanze anomale. Sono frequenti anche i mancati accordi di genere (sono arrivati tante proposte) Il parlato si caratterizza per interruzioni, frasi sospese, ‘false partenze’, autocorrezioni. Il testo parlato tende a costruire frasi brevi; ma questo vale soprattutto per la conversazione informale; man mano che si sale in formalità, la complessità sintattica cresce. Nel collegamento tra le varie frasi abbiamo congiunzioni coordinanti come e, ma, però, poi, così, allora, solo (che), che svolgono funzioni di legamenti testuali; molto diffuso è l’asindeto, giustapposizione delle frasi senza legami sintattici espliciti (passo a casa, mangio un boccone). La subordinazione è molto meno frequente rispetto allo scritto e presenta alcune particolarità. Innanzitutto, le subordinate esplicite, che specificano l’attore, sembrano prevalere sulle implicite più di quanto non avvenga nello scritto. Le subordinate implicite più diffuse costituiscono prevalentemente forme verbali già fissatesi come perifrastiche: oltre a stare + gerundio, stare + a + infinito, stare per + infinito, andare, venire, riuscire a + infinito. In generale le frasi subordinate tendono a collocarsi dopo la frase principale. Inoltre, le congiunzioni subordinanti sono qualitativamente e quantitativamente diverse da quelle dello scritto: per le causali invece di poiché e giacché si ha siccome oppure locuzioni formate con che. Anche nel parlato la subordinata più diffusa è la frase relativa che adotta spesso modelli diversi da quello dello scritto, con una larga accettazione del che ‘polivalente’. Da rilevare anche sovraestensioni di dove, riferito al tempo e ad altri complementi. 1.4 La testualità del parlato 59 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 Mentre il testo scritto ha una progressione lineare, il testo parlato procede in modo epicicloidale, riavvolgendosi continuamente su se stesso. Un’altra caratteristica del testo parlato è la sua frammentarietà formale o tematica (analiticità). Più che dai legamenti sintattici, la coesione testuale è assicurata da una serie di elementi, i segnali discorsivi (verbi, congiunzioni, interiezioni, ecc.), che svolgono varie funzioni. La prima importante funzione testuale è quella dei demarcativi, che servono per indicare l’inizio e la fine del discorso oppure la sua scansione interna (allora, ecco, beh, dunque, ciò, niente sono segnali di apertura; ecco, chiaro, no?, basta, insomma segnali di chiusura). La seconda funzione è quella, propria dei segnali fàtici, di assicurare il contatto con l’interlocutore, sollecitandone l’assenso o la partecipazione (guarda, senti, vedi, sai, dai, scusa, figurati, figuriamoci, vero?, ho reso l’idea?). Anche chi ascolta utilizza segnali del genere (davvero? Ma guarda!, già, hai ragione). Molti elementi discorsivi hanno inoltre la funzione di connettivi, indicando il tipo di relazioni tra le varie parti del testo, come le congiunzioni nello scritto (fatto sta, perché poi, a proposito). Una funzione importante di demarcativi, segnali fatici e connettivi nel parlato è anche quella di riempire le pause, rallentando il ritmo e dando così a chi parla il tempo di pianificare almeno una parte del suo discorso. Gli stessi effetti si ottengono con ripetizioni, riformulazioni, anafore. La funzione di molti segnali discorsivi del parlato e soprattutto dei cosiddetti segnali di sfumatura detti anche particelle modali, è quello di attenuare le affermazioni (praticamente, in pratica, mi sembra, diciamo, per dire, voglio dire, una specie di). Ci sono, peraltro, altre particelle modali che servono a enfatizzare le proprie affermazioni (veramente, davvero, proprio, ti dico, capirai). Molto diffusi sono elementi con valore olofrastico (=elemento linguistico che da solo corrisponde a un'intera frase), come le interiezioni e gli ideofoni. Nel parlato si usano frequentemente le interiezioni e gli ideòfoni. Foneticamente, essi sono costituiti spesso da una sola sillaba il cui nucleo può anche non essere una vocale (come in pss, brr, zzz) e ammettono anche foni o non presenti nel sistema italiano, come nell’esclamazione euh! per indicare incredulità. Il significato delle interiezioni può variare anche a seconda della lunghezza assegnata alla vocale o dell’intonazione (ah?, ooh!, beh?, basta!). Si è soliti distinguere le interiezioni plurivoche usate con valore esclamativo (aiuto!;già!), dalle interiezioni univoche che hanno valore olofrastico (oh!, uffa!). Il valore delle interiezioni è pragmatico: alcune interiezioni hanno valore espositivo, perché esprimono uno stato o un’emozione del parlante (toh!); altre, con valore richiestivo, sollecitano l’ascoltatore a una risposta o a un’azione (ehi!); quelle comportative comprendono le formule di saluto o di augurio (ciao!). Gli ideofoni si distinguono dalle interiezioni perché hanno una funzione descrittiva: servono per rendere suoni o rumori (drin!, din don dan, bum, tic tac), versi di animali (miao, bee, qua qua), ma anche discorsi umani indecifrabili (bla bla bla) e movimenti (zac). 1.5. Il lessico 60 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 Una caratteristica del parlato è l’uso di un lessico abbastanza ridotto. Chi parla tende a ripetere più volte gli stessi termini, senza sentire la necessità di ricorrere a sinonimi. Le parole di più alta frequenza sono cosa, usato anche al maschile (coso) e pure con riferimento a persone, roba, affare, tipo, fatto, arnese; Alcuni verbi assumono valori particolari, spesso lontani dal significato originale (farcela per riuscire, arrivarci per capire). L’alterazione è molto diffusa, e assume valori diversi, ora affettivi, ora attenuativi o rafforzativi: cosine, attimini, firmetta, maschietti, famona, partaccia. Con valore espressivo sono frequenti superlativi (hai ragionissimo) o altre espressioni lessicali con valore elativo (un sacco bello, una boiata pazzesca, un freddo della madonna, un casino di gente). Esclusa dallo scritto, ma ammessa nel parlato è la presenza di termini disfemici o riferiti alla sfera sessuale, alcuni di loro si sono addirittura grammaticalizzati come che cazzo vuole? 2. L’italiano regionale Si definisce come italiano regionale quella varietà di italiano parlata in una determinata zona geografica, che denota sistematicamente caratteristiche in grado di differenziarla dalle varietà usate in altre zone, sia anche all’italiano standard. L’italiano regionale come specifica varietà dell’italiano è stato individuato con chiarezza nel 1960 da Pellegrini, che indicava quattro diverse “tastiere” che costituiscono il repertorio linguistico degli italiani e cioè: - l’italiano letterario - l’italiano regionale - il dialetto regionale - il dialetto locale L’italiano regionale è nato dall’incontro della lingua nazionale con il dialetto e rappresenta la nuova realtà dialettale del nostro paese: come i vari dialetti italiani sono derivati dal latino volgare, così come gli italiani regionali derivano dall’italiano. L’italiano regionale è stato considerato come una sorta di ‘interlingua’, analoga ai pidgins, lingue di ‘scambio’ nate in paesi extraeuropei dall’incontro tra una parlata locale e una lingua coloniale più prestigiosa. Rispetto ai pidgins, il rapporto tra dialetto e italiano si pone in termini molto diversi: anzitutto per cogliere il carattere di varietà intermedia tra lingua e dialetto, è necessario distinguere tra l’italiano regionale di ha per madrelingua un dialetto e l’italiano regionale dei tanti che hanno per madrelingua appunto l’italiano regionale. Inoltre i vari dialetti italiani (i vari sistemi linguistici neolatini dell’italoromanzo) sono meno distanti dall’italiano di base toscana di quanto lo fossero tra loro le lingue che hanno formato i pidgins. La situazione dell’italiano regionale di aree in cui i dialetti sono tipologicamente lontani dall’italiano risulta ben diversa da quelle in cui la lungua e dialetto sono contigui; in queste zone (Toscana, Roma, Marche, Umbria e Lazio) non esiste un gradatum ma un continuum linguistico. I concetti elaborati recentemente, di 61 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 code switching e di code mixing hanno posto attenzione sui casi in cui un parlante alterna, all’interno di uno stesso enunciato, lingua e dialetto. Alcuni linguisti sostengono che nell’italiano contemporaneo, anche parlato, i tratti regionali si vanno ormai sempre più attenuando in un processo di sostanziale crescita della standardizzazione; per altri studiosi, invece, l’italiano regionale è oggi la varietà comunemente usata, nel parlato, dalla stragrande maggioranza degli italiani. Un primo elemento di differenziazione regionale assai marcato è l’intonazione, definita spesso ‘cadenza’, ‘calata’ o ‘accento’. Molto nette sono le peculiarità regionali sul piano fonetico: grado di apertura delle vocali medie toniche, sonorità o meno delle fricative alveolari e delle affricate alveolari. Le particolarità regionali sul piano della morfologia e della sintassi sono meno percepibili, ma non irrilevanti. Il lessico costituisce un altro settore di forte differenziazione regionale: è stato notato che tutto il vocabolario relativo alla vita quotidiana è soggetto ad interferenze dialettali. Diversi sono stati gli orientamenti nell’individuazione degli italiani regionali: alcuni studiosi hanno indicato come principali varietà quella settentrionale, la toscana, la romana, la meridionale; altri hanno cercato una corrispondenza tra gli italiani regionali e le suddivisioni amministrative del nostro paese; altri ancora hanno preferito riferirsi anche per gli italiani regionali alla classificazione delle realtà dialettali soggiacenti come gli italiani regionali meridionali da quelli meridionali estremi. La presenza di tratti regionali nel parlato si lega anche a fattori diastratici: ci sono elementi regionali condivisi da tutti i parlanti di una determinata area, altri che sono propri solo delle fasce più basse. Fanno eccezione i fatti di pronuncia, diffusi nelle varietà regionali popolari, che possono provocare, nello scritto, problemi ortografici. Questo finisce col penalizzare le varietà centromeridionali, che sono considerate meno prestigiose. La palma del prestigio è stata accordata alla varietà toscana, alla varietà romana e a quelle settentrionali. Italiano e dialetto costituiscono codici tra loro alternativi e usati a seconda della situazione comunicativa in rapporto di diglossia o dilalia. Nel parlato informale è possibile rintracciare enunciati che sono parte in dialetto e parte in italiano. Gli enunciati misti possono essere di due tipi: - Code switching o ‘commutazione di codice’: l’enunciato comincia in lingua, poi passa decisamente al dialetto per tornare, eventualmente, alla lingua. In questo caso il parlante alterna consapevolmente i due codici, passando dall’uno all’altro con specifiche intenzioni comunicative o per creare effetti particolari. - Code mixing o ‘enunciato mistilingue’; in questo caso la mescolanza tra i due codici non è intenzionale ma è dovuta prevalentemente a incertezze del parlante e in particolare a una sua conoscenza approssimativa dell’italiano. 2.1 Le principali varietà regionali Nelle varietà settentrionali vengono generalmente pronunciate chiuse le e toniche in sillaba aperta non finale di parola o in sillaba chiusa da consonante nasale (béne, véngo), aperte le altre e (quèllo, perché, mè). Nel consonantismo spicca la tendenza allo scempiamento delle consonanti doppie con la pronuncia non intensa delle palatali. E’ stato notato che le s intervocaliche a Nord vengono realizzate sempre come sonore. 62 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 Sul piano morfosintattico segnaliamo almeno la frequenza delle forme verbali composte con su e giù (pigliare su, portar giù), la scarsa utilizzazione del passato remoto; l’uso dell’articolo davanti ai nomi propri, l’assenza del non preverbale in frasi negative, soprattutto con mica e altri avverbi (mi piace mica). Caratterizza le varietà settentrionali l’aggiunta del che alle congiunzioni (quando che, mentre che). La varietà toscana è quella considerata più vicina allo standard tradizionale. Sul piano della pronuncia ricordiamo la cosiddetta gorgia, ossia la pronuncia spirantizzata delle consonanti sorde intervocaliche /p/, /t/ e /k/. Nel settore morfosintattico, sono propri l’uso del si impersonale con pronome soggetto di prima persona plurale (non si mangia; noi si andava); l’uso del dimostrativo codesto, l’o premesso ai nomi propri usati come allocutivi e l’o posto ad apertura delle frasi interrogative. La varietà romana per quanto riguarda l’apertura delle vocali medie presenta divergenze rispetto a quella toscana. Il raddoppiamento di /b/ e /d/ palatale intervocaliche (subbito, raggione) è tipico non solo della varietà romana, ma anche di quelle meridionali, come anche la tendenza alla lenizione delle sorde intervocaliche /p/, /t/ e /k/ pronunciate come (b), (d) e (g), che però è accentuata proprio a Roma e nel Lazio. Anche riguardo alla s intervocalica si tende oggi spesso a sonorizzare. In morfosintassi segnaliamo le frequenti apocopi degli imperativi, degli infiniti e degli allocutivi e il costrutto stare a + infinito invece di stare + gerundio. Le varietà meridionale presentano nel vocalismo la chiusura della /e/ e della /o/ e le semiconsonanti /i/ e /w/ tendono a vocalizzarsi. Si ha poi la tendenza a ridurre la distinzione tra le vocali finali. Nel consonantismo va ricordata la sonorizzazione delle sorde dopo nasale o liquida, anche in fonosintassi (trenda ‘trenta’, cambo ‘campo’). Tra i fatti di morfosintassi segnaliamo l’uso del voi come allocutivo di cortesia al posto del lei dello standard; la sostituzione dei verbi essere e avere con stare e tenere; l’accusativo preposizionale; la preposizione a compare anche in esclamazioni come beato a te!. Nella varietà siciliana e in quella sarda si tende a pronunciare come intensa la r iniziale di parola. Sul piano morfosintattico è propria di entrambe le varietà la collocazione del verbo alla fine della frase, anche nell’interrogativa (capito mi hai?) 3. Il parlato giovanile Tra le varietà dell’italiano c’è anche il parlato giovanile. Il linguaggio dei giovani è stato registrato come una varietà diafasica, un registro utilizzato dai ragazzi in situazioni comunicative informali e prevalentemente orali; in realtà anche nello scritto si possono rintracciare usi propri dei giovani. Un uso linguistico proprio delle generazioni più giovani si può individuare già nei primi anni 70, anche in conseguenza del progressivo abbandono del dialetto. Il parlato giovanile è stato studiato dal punto di vista del lessico e della formazione delle parole. La componente principale del linguaggio giovanile è stata individuata nell’italiano colloquiale che ne costituisce la base. Su questa si innestano: - uno strato dialettale, sia parlato in famiglia che altri. - uno strato gergale, che attinge al gergo tradizionale, ne conia nuovi all’interno del gruppo. - uno strato proveniente dalla pubblicità e dai media. - termini di linguaggi settoriali accorciati o traslati (arterio). 63 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 studiosi l’italiano popolare sembrerebbe uscito dal repertorio italiano; sarebbe infatti difficile individuare dei testi che presentano deviazioni dalla norma come quelle reperite nei testi semicolti dell’800/900. Questa assenza potrebbe essere solo apparente: i semicolti sono divenuti sempre più spesso produttori di testi burocratico amministrativi e la loro presenza è individuabile perfino nelle nuove forme di scrittura in rete. CAPITOLO 11 LE VARIETÀ TRASMESSE Nel corso del 900 ai canali tradizionali del linguaggio verbale si è aggiunto un terzo mezzo: il trasmesso. In una prima fase si trattava di parlato a distanza (telefono, radio, cinema, tv) poi si è aggiunto lo scritto a distanza (web, posta elettronica, sms). Al progresso tecnologico si è accompagnata una trasformazione linguistica: l’italiano utilizzato nel trasmesso SeP presenta alcune specificità , con sensibili variazioni. 1. Il parlato trasmesso La nascita dei mezzi di trasmissione a distanza nel parlato in Italia è stata importante in quanto ha favorito l’unificazione nazionale. Questo ruolo unificante è stato svolto dalla radio, dal cinema e dalla tv, ma anche il telefono ha richiesto agli utenti la rinuncia del dialetto o una pronuncia più chiara. La radio, che inizio le trasmissioni dal 1925, è stata per decenni il principale mezzo di intrattenimento e di informazione, è uno dei più importanti canali di diffusione dell'italiano parlato e cantato, visto che la musica leggera ha avuto uno spazio particolarmente ampio nelle trasmissioni radiofoniche. Anche il cinema sonoro, diffuso a partire dagli anni trenta, ha costituito un importante veicolo di diffusione dell'italiano parlato in tutte le classi sociali. La televisione infine iniziata nel 1954 ha svolto, soprattutto nel periodo del monopolio Rai fino agli anni Settanta, un'importante funzione unificante e modellizzante sul piano linguistico. In tutte e tre i media, il parlato trasmesso non è ha soltanto un monodirezionale ma è stato spesso anche un parlato scritto: annunciatori, speakers, attori e doppiatori, conduttori e giornalisti, hanno a lungo letto o recitato testi scritti in precedenza. Per il cinema questa situazione è ancora un dato di fatto. Alla radio e in televisione negli ultimi anni si è avuta una vera e propria irruzione del parlato attraverso telefonate in diretta e talk-show. La radio e la televisione sono diventate specchio della realtà linguistica contemporanea anche nei suoi aspetti più informali. 1.1 L'italiano al telefono La comunicazione telefonica è giustamente considerata il tipo di trasmesso più vicino alla conversazione faccia a faccia. Si tratta infatti di una comunicazione bidirezionale tra due interlocutori in cui si utilizza la voce: volume, tono e accento. Il trasmesso telefonico si presenta programmato. Chi telefona ha di solito qualcosa da comunicare. Rispetto al parlato, nel trasmesso gli interlocutori non si vedono e non sono nella stessa situazione. Manca la possibilità di ricorrere al supporto di codici gestuali ed è ridotto l'uso di elementi deittici riferiti al spazio. Inoltre, perché la comunicazione riesca, è necessario rispettare i turni dialogici ed 70 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 evitare sovrapposizioni. La conversazione al telefono presenta molti più elementi e ridondanti rispetto al discorso parlato ed è caratterizzata dalla frequenza di segnali fatici (pronto? ci sei? mi senti?) che assicurino il contatto. Anche silenzi vengono riempiti con le esclamazioni, sospiri, risate e altri segnali. Nella conversazione telefonica, un ruolo centrale hanno gli elementi rituali: saluti, convenevoli, scuse sono regolati a seconda del grado di formalità e confidenza tra gli interlocutori. La nascita del cellulare ha cambiato alcuni aspetti della conversazione telefonica. L'apparecchio è personale e accompagna il possessore. Pertanto l'avvio della telefonata è più rapido, anche perché gli interlocutori sono un rapporto di confidenza. L'introduzione della segreteria telefonica ha determinato anche la produzione di messaggi telefonici unidirezionali da ascoltare una certa distanza di tempo. 1.2 L'italiano della radio I testi radiofonici hanno fatto parte per lungo tempo della categoria del parlato scritto: si trattava infatti di testi scritti letti ad alta voce. Un'eccezione è stata costituita dalle radiocronache. Tutt'ora molti testi trasmessi alla radio sono scritti o in tutto o in parte. Il parlato autentico è entrato nella radio piuttosto tardi, a partire dalla fine degli anni sessanta grazie a trasmissione in cui si poteva intervenire in diretta da casa. Dal punto di vista fonetico, l’italiano radiofonico ha presentato tradizionalmente un buon grado di standardizzazione. La radio è stata uno dei pochi luoghi privilegiati dello standard parlato: per molti anni gli annunciatori radiofonici hanno esibito una dizione priva di carattere regionali. La pronuncia standard è tuttora abbastanza diffusa anche nei , notiziari e gli annunci pubblicitari. Le pronunce regionali vanno però espandendosi, soprattutto nelle radio locali. Dal punto di vista sintattico i testi per la radio devono rispettare le regole elaborate da Gadda nel 1953: uso di frasi brevi anche nominali, preferenza per la paratassi, evitamento di incisi (parentesi). Il parlato radiofonico si attiene sostanzialmente a queste norme, ma accoglie alcuni tratti del parlato autentico. 1.3 L'italiano al cinema Il parlato cinematografico rientra nel parlato-recitato in quanto è basato sui sceneggiature scritte. La ricchezza di generi rende problematica una caratterizzazione complessiva unitaria della lingua del cinema. Dal punto di vista storico, dalla lingua stilizzata, neutra, libresca proprio degli anni 30/40, si è passati al Neorealismo e poi ad un italiano più naturale e vario ricco di tratte regionali. L'utilizzazione dello standard parlato ha conosciuto notevoli eccezioni: le pronunce regionali hanno trovato accoglienza nel cinema e, tra le varietà regionali e dialetti utilizzati al cinema, particolare fortuna hanno avuto il romanesco e la varietà romana di italiano, sia per la prossimità allo standard, sia per la concentrazione della produzione cinematografica nazionale nella capitale, sia per la numerosa e qualificata presenza di attori romani o laziali. Nomi di personaggi, titoli e battute cinematografiche non di rado sono entrate nel linguaggio comune (da Fantozzi all’armata Brancaleone). Una caratteristica del cinema italiano è il doppiaggio dei film stranieri invece dell'uso dei sottotitoli. Dal punto di vista fonetico nel doppiaggio si usa prevalentemente la pronuncia standard; i dialetti italiani regionali compaiano con funzione espressiva. 1.4 L'italiano della televisione 71 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 L'italiano della televisione presenta aspetti simili a quelli della radio con una maggiore apertura al dialetto. Inizialmente le trasmissioni televisive si sono basate su testi scritti e hanno utilizzato una lingua standardizzata anche se con funzione di modellizzante molto accentuata. Scarsa la presenza dello stile nominale anche negli annunci; caratteristico l'evitamento di forme colloquiali. Anche la televisione si è aperta dagli anni 70 al parlato autentico con tutte le grandi varietà. Gli speakers hanno ceduto il posto a giornalisti capaci di parlare a braccio ma non sembrano addestrati con appositi corsi di dizione. Il dialogo è diventato il genere testuale predominante, anche le telecronache sportive sono generalmente a 2 e il talk show rappresenta il genere tipico della televisione attuale. Tra le varietà regionali presenti in televisione risulta prevalente quella romana e poi anche quella milanese. Come il cinema, la televisione ha fornito parole-frasi alla lingua comune (di tutto di più). I vari generi televisivi hanno caratteristiche molto diverse ma dato anche il flusso delle trasmissioni, la frequenza dei cosiddetti programmi contenitori, il telespettatore tende a percepire la televisione come un insieme indifferenziato. Nei telegiornali che hanno una componente di parlato-scritto si rilevano le caratteristiche della lingua dei giornali, compreso l'abuso di stereotipi (bagno di folla, infuria la polemica). Da rilevare anche formule fisse usate dai conduttori come voltiamo pagina, passiamo ora. Nelle trasmissioni culturali si usa un parlato di tono più formale che cerca di trattare con un linguaggio semplice e poco tecnico anche argomenti scientifici. Alla televisione continua la pratica della lettura con pronuncia standard di testi scritti soprattutto tradotti, come nel caso di documentari storici e scientifici o delle interviste a personaggi stranieri. Anche la fiction basata su testi scritti cerca di avvicinarsi al parlato senza escludere le varietà regionali. La lingua della pubblicità Tra i mezzi di comunicazione di massa va inserita la pubblicità che è trasversale alle varie forme passate in rassegna. Si vede nello scritto sui manifesti, cartelloni stradali o sulle pagine di giornali e periodici, si ascolta alla radio, si fruisce via internet e perfino sui cellulari e suo terreno privilegiato in televisione. Alla TV la pubblicità assume caratteri multimodali e multimediali: gli spot si servono oltre che delle parole anche delle immagini in movimento, rumori e suoni; tranne che alla radio in tutte le forme attuali di pubblicità la componente non verbale tende a prevalere su quella verbale. La funzione del messaggio pubblicitario è conativa, punta cioè a spingere a comprare il prodotto e per raggiungere questo scopo, senza invitare esplicitamente all'acquisto, cattura l'attenzione dello spettatore punto sul piano linguistico. La pubblicità adotta varie strategie e forme proprio della retorica; può forzare la lingua comune come avviene con la formazione di derivati (simmentalmente) o di parole macedonia (cotecotto), ricorrere a superlativi variamente formati usati soprattutto nei marchionimi (Levissima, Maxibon), coniare slogan rimati (Brio Blu mi piaci tu), non di rado accompagnati da jingle o da sequenze di battute che vengono ripetute come tormentoni in campagne promozionali. In generale il messaggio verbale della pubblicità è breve e non di rado nominale. In passato era d'obbligo lo standard, tuttora prevale la scelta per un italiano medio privo di tratti locali. Le varietà regionali e i dialetti sono adoperati spesso sia da testimonial famosi sia da figuranti. Non manca neppure il ricorso a lingue straniere. 2. Lo scritto trasmesso Con la nascita del trasmesso lo scritto sembrava destinato a un inesorabile fine: il nuovo mezzo ha poi lanciato una lingua scritta come dimostra il recente sviluppo dei siti internet, delle email, delle chat light e degli sms. La scrittura sullo schermo del computer come sul display del telefono cellulare si smaterializza, 72 Scaricato da lanna Ran ([email protected]) lOMoARcPSD|36924465 acquista un carattere virtuale , estraneo ad una scrittura tradizionale che ha sempre avuto bisogno di un supporto materiale. Lo scritto trasmesso ha una mobilità inusitata. Mentre nello scritto vero e proprio, i testi restano tutti interi sotto gli occhi di chi scrive di chi legge, nel trasmesso i testi vengono frazionati in stringhe più o meno brevi. La possibilità di correggere il testo, caratteristica essenziale dello scritto, non è sempre sfruttata nella scrittura elettronica. I testi scritti trasmessi tendono alla brevità o a semplificarsi e strutturarsi in parti brevi: ne consegue l'abbandono e la riduzione delle strutture subordinate. Nei testi scritti trasmessi è documentato anche il ricorso ad abbreviazioni e accorciamenti, ad altri espedienti grafici che producono codici di scrittura alternative a quelle tradizionali. La caratteristica comune ai testi scritti trasmessi è la ricerca della dimensione dialogica: l'interattività è fondamentale che si serve della scrittura ma presenta affinità con il parlato per quanto riguarda il tipo di comunicazione. Questo spiega la frequente presenza di particolari accorgimenti. 2.1 L'italiano in internet Nei siti internet lo scritto acquista la possibilità di strutturarsi su più piani (in profondità diverse, a piramide invertita) in profondità: non ci troviamo di fronte a testi, ma ipertesti i cui confini sono stabiliti interattivamente dal ricevente che può aprire nuove pagine su parole messe in rilievo con appositi link. I siti web non si scrivono ma si allestiscono e non si leggono ma si visitano con una consultazione più o meno veloce durante la navigazione in rete. Il testo scritto è normalmente multimediale. In internet possiamo trovare qualunque tipo di testi anche quelli letterari del passato. Per risultati efficaci testi in rete devono essere brevi chiari e asciutti. 2.2 L'italiano della posta elettronica La posta elettronica presenta una serie di vantaggi rispetto alla posta a tradizionale e al telefono: È possibile spedire in tutto il mondo in pochi secondi al costo di una semplice telefonata urbana documenti molto lunghi indirizzati a più destinatari tutti più o meno noti all'emittente. Il messaggio di posta elettronica è una forma di scrittura più vicina alla telefonata che non alla lettera. Lo stile tende alla colloquialità, le formule di apertura e di chiusura sono rapidissime, a volte mancano dei riferimenti diretti all’emittente e al destinatario, il testo ha il vantaggio di poter essere salvato nella memoria ho stampato. Il messaggio di posta elettronica non è quasi mai pianificato viene scritto velocemente non viene riletto. I programmi di posta elettronica non impiegano correttori automatici, così l’impaginazione del testo è poco curata e frequenti gli errori di battitura; gli accenti sono spesso sostituiti dagli apostrofi, l'utilizzazione del maiuscolo è ridotta e non sempre rispetta le regole dello standard. Il testo è costituito da frasi brevi coordinate prive del verbo. La dimensione dialogica spiega la frequenza delle interrogative. 2.3 L'italiano della chat lines Caratteri in parte analoghi a quelli della posta elettronica presenta la comunicazione delle chat ma con una spiccata dialogicità e tende ad assumere tratti di parlato. Questa forma di trasmissione a distanza dello scritto è l'unica che prevede la compresenza dell'emittente di riceventi che implica limiti temporali nella fase di pianificazione. Sul piano sociolinguistico va detto che gli utenti delle chat sono giovani con un grado di cultura medio alto o medio e che la componente ludica di espressive molto spiccata, prevalente su quella 73 Scaricato da lanna Ran ([email protected])

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