Psicologia Generale - Appunti e Libro PDF
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These notes cover Chapters 1 and 3 (excluding sections 3.3, 3.4, and 3.5) of a general psychology textbook. The document discusses the history of psychology, including key figures like Wilhelm Wundt and William James, and different schools of thought such as structuralism, functionalism, Gestalt psychology, psychoanalysis, and behaviorism. Key concepts, such as introspection and conditioning, are also explored.
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PARZIALE 1 – CAPITOLO 1 + CAPITOLO 3 (tranne 3.3,3.4,3.5) CAPITOLO 1 La psicologia è la disciplina che si occupa di studiare il comportamento ed i processi mentali e mostra come mente e corpo siano connessi tra loro. Il comportamento è l’insieme di tutte le azioni e le reazioni che un ind...
PARZIALE 1 – CAPITOLO 1 + CAPITOLO 3 (tranne 3.3,3.4,3.5) CAPITOLO 1 La psicologia è la disciplina che si occupa di studiare il comportamento ed i processi mentali e mostra come mente e corpo siano connessi tra loro. Il comportamento è l’insieme di tutte le azioni e le reazioni che un individuo produce verso l’ambiente esterno, capaci di generare un cambiamento su di esso. I processi mentali sono tutte le attività e le azioni interne alla mente, che possono precedere l’esecuzione di un comportamento o che mettiamo in atto per organizzare le nostre memorie o riconoscere un oggetto. 1.1 La storia della psicologia Lo studio della psicologia e dei suoi metodi di ricerca aiuta il pensiero critico, che può essere utilizzato non solo per VALUTARE la ricerca stessa, ma anche per valutar qualsiasi tipo di informazione (pubblicità, politici, fake news, post sui social media…) La psicologia è una HUB SCIENCE (hub = centro nevralgico) e le scoperte provenienti da essa non vengono utilizzati solo dagli psicologi, ma anche in molti altri campi quali ricerca sul cancro, salute, cambiamento climatico. È in oltre uno studio SCIENTIFICO, in quanto per studiare il comportamento degli esseri umani i ricercatori devono OSSERVARLI, e si utilizza quindi un approccio semantico (per una maggiore precisione, attenzione e chiarezza dei risultati di tale osservazione) La psicologia è una scienza relativamente nuova, nata circa 140 anni fa, rendendosi indipendente e autonoma da filosofia e neuroscienza, infatti filosofi come Platone, Aristotele e Cartesio provarono a spiegare e comprendere la mente umana e le sue relazioni col corpo, ma anche medici e fisiologi si interrogavano su come mente e corpo fossero connessi. Fechner, medico e fisico, è stato infatti il primo ad effettuare degli studi e degli esperimenti sulla percezione (1860) ed il medico Von Helmholtz ad effettuare degli esperimenti pioneristici nel campo della percezione visiva ed uditiva. L’indipendenza dalla filosofia è intesa come il passaggio da uno studio della mente solo nel piano astratto e filosofico allo studio della relazione tra mente e corpo in relazione all’ambiente mentre l’indipendenza dalla neurofisiologia è dovuta al passaggio da uno studio del cervello sul piano puramente fisiologico ad uno studio dell’unita cervello-mente e delle sue interazioni con l’ambiente (contesto familiare, amichevole, lavorativo, norme sociali…) 1.1.1 La psicologia contemporanea prende effettivamente forma a Lipsia, Germania, grazie alla fondazione del primo laboratorio di psicologia da parte del fisiologo WILHELM WUDNT. Egli inizia a studiare la coscienza e la consapevolezza degli eventi esterni attraverso il metodo dell’introspezione oggettiva, processo dell’esaminare e misurare i pensieri e le attività mentali proprie di una persona. Inizia quindi a formalizzare il pensiero filosofico attraverso un metodo scientifico che potesse descrivere gli eventi in modo oggettivo e condivisibile. L’introspezione oggettiva è quindi una descrizione oggettiva delle proprie sensazioni (soggettive) Ciò richiedeva un controllo accurato dello stimolo e una rielaborazione/stesura di un resoconto immediato dell’osservazione dell’evento e di ciò che ha provocato la presentazione dello stimolo. Questa attenzione all’oggettività, insieme all’istituzione del primo laboratorio sperimentale di psicologia, rende Wundt il padre della psicologia. A seguito di Wundt, si sono sviluppati differenti correnti della psicologia intesa come scienza, il primo è lo STRUTTURALISMO di Tichener, uno dei suoi studenti. Quest’ultimo parte dall’idea di Wundt utilizzando il metodo dell’introspezione oggettiva ma ampliandolo anche a pensieri ed immagini mentali, non limitandosi agli stimoli fisici. Chiama questa nuova prospettiva strutturalismo proprio perché l’oggetto di studio era la struttura della mente. Egli riteneva che ogni esperienza potesse essere scomposta nelle sue singole emozioni e sensazioni. Nel 1894 una studentessa di Tichener, Margaret Washburn divenne famosa per esser stata la prima donna a conseguire un dottorato in psicologia. Harvard fu la prima università in America ad offrire corsi di psicologia (fine anni 70, inizio anni 80), corsi tenuti dall’illustre William James, che iniziò insegnando anatomia e fisiologia ma con un grande interesse nei confronti della psicologia L’altra corrente che nasce a seguito della fondazione del laboratorio di Wundt a Lipsia è infatti proprio incentrata sulle idee di James, che fonda il funzionalismo, che, al contrario dello strutturalismo, si focalizza sul ruolo della coscienza nella vita di tutti i giorni, anziché sulla sua analisi. Il funzionalismo, prospettiva sviluppata da James, ha come oggetto di studio il modo in cui la mente permette alle persone di adattarsi all’ambiente, prende spunto dalle idee di Darwin in merito alla selezione naturale, secondo cui i tratti fisici sono fondamentali nell’adattamento dell’animale al suo ambiente e nella sopravvivenza e vengono trasmessi alla prole. (ereditarietà- trasmissione di tratti e caratteristiche dei genitori alla prole, tramite le azioni dei geni) Ad oggi si possono riscontrare delle caratteristiche dello strutturalismo nella psicologia dell’apprendimento (che studia l’applicazione dei concetti psicologici dell’apprendimento) e nella psicologia del lavoro (che studia l’applicazione dei concetti psicologici in relazione alle aziende, organizzazioni e industrie) Il funzionalismo ha anche avuto un ruolo importante nello sviluppo della psicologia evolutiva. I 3 approcci più influenti nello studio di questa disciplina sono: 1. LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT Anche Wertheimer era in disaccordo con i principi dello strutturalismo, per lui eventi psicologici come percezione (divenire consapevoli di qualcosa attraverso i sensi) e sensazione (vedere, sentire, toccare, gustare o odorare qualcosa) non potevano essere suddivisi in elementi più piccoli ma bisognava considerare le relazioni con cui sono organizzati. L’assunto filosofico da cui parte la Psicologia della Gestalt è il famoso slogan “il tutto è più che la somma delle sue parti”, di Aristotele. La psicologia della Gestalt (gestalt= parola tedesca che significa ‘insieme organizzato’,) è una prospettiva psicologica che si focalizza sulla percezione e sulla sensazione, in particolare sulla percezione globale di pattern e figure. L’approccio della Gestalt è stato molto influente per quanto riguarda la nascita della terapia psicologica, fornendo delle solide basi per un approccio psicoterapeutico chiamato ‘terapia della gestalt’ La psicologia non è quindi nata in un luogo o momento preciso ma ci sono stati vari studiosi in varie parti del mondo e con i loro differenti approcci provavano a far valere il proprio pensiero e le proprie scoperte riguardanti lo studio della mente umana e del comportamento. 2. LA PSICANALISI Freud, famoso neurologo austriaco, in questo periodo di discussione tra approcci di tipo strutturale e approcci di tipo funzionale, stava cercando un modo per comprendere i pazienti che chiedevano il suo aiuto e quello dei suoi colleghi. Infatti, era molto difficile trovare cause organiche alle patologie nervose che presentavano vari dei suoi pazienti, quindi si inizio a pensare che la causa dei loro mali si trovasse proprio nella mente. Si sviluppa così l’approccio della psicoanalisi di Freud. Egli dice che il comportamento delle persone non è esclusivamente legato alla mente consapevole (quindi dalle azioni intenzionali) ma ci sono comportamenti guidati dalla mente inconscia. La mente inconscia è composta da bisogni e desideri che sono stati repressi durante l’infanzia, che possono manifestarsi in patologie nevrotiche in età adulta. Questa teoria sottolinea quindi che le esperienze precoci che facciamo nei primi 6 anni di vita vanno a formare la nostra mente inconscia ed in età adulta si rifletteranno sul nostro comportamento e nella nostra personalità. La figlia di Freud, anna, una delle sue seguaci più influenti, fondò quella che poi fu conosciuta come la ‘psicologia dell’io’ all’interno della quale troviamo un grande studioso dello sviluppo delle personalità, Erikson. La psicanalisi freudiana (metodo terapeutico basato sulla teoria di Freud, che enfatizza lo svelamento dei conflitti inconsci – teoria della personalità) è alla base di gran parte della psicoterapia (psicologo qualificato che aiuta l’individuo a divenire consapevole e modificare il proprio comportamento). 3. IL COMPORTAMENTISMO Parallelamente, negli Stati Uniti, si sviluppa il comportamentismo, scienza del comportamento che si concentra solo ed esclusivamente sul comportamento osservabile. Pavlov, fisiologo russo, mostrò come un riflesso (azione involontaria) possa essere indotto a verificarsi in risposta ad uno stimolo fino a quel momento non collegato ad esso. Pavlov effettuò i suoi esperimenti sui cani: il riflesso della salivazione, che solitamente avveniva quando all’animale veniva dato del cibo, poteva essere indotto come risposta ad uno stimolo nuovo, egli associò il suono di un metronomo all’azione di dare il cibo ai cani, osservò che dopo un po' i cani salivavano al solo ascolto di questo suono, anche prima di vedere il cibo (risposta condizionata) Questo processo viene chiamato condizionamento pavloviano. Nei primi anni del 900, lo psicologo Watson, sviluppò la scienza de comportamento, anche detta comportamentismo. Egli ignora la mente inconscia (la coscienza) e si focalizza sul comportamento osservabile e misurabile, con l’obiettivo di riportare la psicologia al suo focus di indagine scientifica Sviluppa una metafora della mente intesa come scatola nera: non possiamo sapere cosa accade all’interno della testa, perché non lo possiamo vedere, possiamo intenderlo da come ci si comporta; quindi, ciò che ci interessa è studiare l’input ed analizzare l’output. RAPPORTO WATSON- PAVLOV = Watson legge il lavoro di Pavlov e ritiene che il condizionamento pavloviano potesse essere la base per la sua prospettiva comportamentista. RAPPORTO WATSON-FREUD = Watson conosceva il lavoro di Freud, ma per lui il comportamento NON dipendeva da motivazioni inconsce, ma pensava fosse frutto di apprendimento. Riguardo le fobie, paure irrazionali, Freud riteneva fossero sintomo di repressioni e che fossero incurabili senza anni di psicoanalisi, mentre Watson credeva fossero apprese tramite condizionamento. Proprio in merito alle fobie, Watson effettuò un esperimento per provare la sua tesi (per provare che fossero frutto di un condizionamento), da qui il famoso esperimento del Piccolo Albert: Watson e la sua collega Rayners, presero un bambino e lo condizionarono ad aver paura di un topo bianco (di cui prima non aveva paura), associando l’animale ad un suono pauroso, il bambino quindi iniziò a piangere di paura alla vista del topo. Questo condizionamento andò a buon fine perché il bambino iniziò ad aver paura di qualsiasi animale/oggetto che solo somigliasse a quel topo bianco. In questo modo, Watson voleva dimostrare al mondo che tutti i comportamenti fossero il risultato di una relazione stimolo-risposta, anche se farlo significava far soffrire un essere umano (il bambino) Un’allieva di Watson, Mary Cover Jones, una tra i primi pionieri della terapia del comportamento, si occupò di verificare se il condizionamento applicato all’essere umano potesse essere reversibile: nasce così il contro-condizionamento, secondo cui, attraverso rinforzi positivi, saremo capaci di estinguere le paure (attraverso lo stesso processo del condizionamento operante). Per provarlo, replicò l’esperimento del piccolo Albert su un altro bambino, Peter: Nell’esperimento del piccolo Peter, il bambino viene portato, attraverso il condizionamento, ad avere paura di un coniglio bianco, associando all’animale uno stimolo negativo, successivamente questo stimolo viene sostituito da uno positivo, ossia delle caramelle. Il piacere davanti al cibo aveva maggior peso rispetto alla paura; infatti, giorno dopo giorno Peter non ebbe più paura del coniglio. Il comportamentismo ha influenzato lo sviluppo di altre prospettive, come ad esempio la psicologia cognitiva. 1.2 – La psicologia oggi Ad oggi, non esiste un’unica prospettiva in grado di spiegare tutto il comportamento umano ed i processi mentali, possiamo infatti distinguere 7 prospettive diverse, che rappresentano i principali approcci al moderno studio della psicologia. Questi approcci non si escludono uno con l’altro, ma coesistono avendo ognuno un focus differente: 1. Prospettiva psicodinamica Racchiude tutte le teorie e gli approcci di studio e di trattamento dell’individuo che derivano dalla teoria di Freud. Il focus è lo studio della mente inconscia e di come questa determina il comportamento consapevole e le esperienze della prima infanzia. Ha un forte interesse sullo sviluppo del senso di sé, sulle relazioni sociali ed interpersonali e sulla scoperta di altre motivazioni che determinano la presa di decisione. Prospettiva psicodinamica: versione moderna della psicoanalisi che è concentrata sullo sviluppo del senso di sé e sulla scoperta delle motivazioni che stanno dietro al comportamento di una persona piuttosto che sulle motivazioni sessuali. 2. Prospettiva comportamentale Deriva dal comportamentismo di Watson, ma con teorie portate avanti da Skinner. Si focalizza sul comprendere come possiamo utilizzare ciò che abbiamo a disposizione nell’ambiente per creare nuovi comportamenti capaci di produrre beneficio (es. ridurre la frustrazione) Skinner sviluppò una teoria chiamata condizionamento operante per spiegare il processo di apprendimento del comportamento volontario, secondo cui la nostra risposta comportamentale a seguito di esperienze piacevoli verrà rinforzata (es. se un bambino piange e viene premiato con qualcosa che gli piace, piangerà ancora al fine di riceverla) – rinforzo positivo usato x raggiungere il benessere 3. Prospettiva umanistica Detta anche ‘terza forza’, è una prospettiva psicologica che si focalizza sugli aspetti della personalità che rendono le persone unicamente umane, come le emozioni percepite soggettivamente, la libertà di scelta, la lotta per l’autorealizzazione, il libero arbitrio… Il suo focus sono quindi le caratteristiche dell’essere umano che lo rendono tale e che lo rendono capace di indirizzare la propria vita e raggiungere il proprio potenziale. Primi fondatori: Maslow, Rogers. 4. Prospettiva cognitiva Prospettiva moderna in psicologia, che ha come oggetto di studio la percezione, l’attenzione, la memoria, l’intelligenza, il problem solving e l’apprendimento. Piaget, psicologo svizzero, attraverso lo studio dello sviluppo cognitivo, ha focalizzato lo studio della mente su tutti quei processi mentali riguardanti il modo in cui le persone pensano, ricordano, immagazzinano e utilizzano le informazioni. Questa prospettiva apre il cammino al campo delle neuroscienze cognitive, ossia lo studio delle basi biologiche e dei cambiamenti neurofisiologici, implicati nei processi cognitivi e nel loro sviluppo. 5. Prospettiva socioculturale Prospettiva psicologica che unisce psicologia sociale (lo studio i gruppi, i ruoli sociali, le regole delle relazioni sociali) e la psicologia culturale, studiando le norme culturali, i valori e le aspettative) al fine di spiegare l’effetto che le persone hanno l’una sull’altra. Questa teoria deriva dall’approccio dello psicologo russo Vygotsky, egli utilizzò dei concetti socioculturali per spiegare che il modo in cui ci comportiamo e in cui pensiamo deriva molto da con chi ci troviamo (soli, con amici, con familiari, in gruppo) e dalle norme social, mode, differenze di classe o di cultura (quindi sia da strumenti sociali che da strumenti artefatti) La ricerca cross- culturale si occupa di confrontare comportamenti di persone appartenenti a culture e contesti sociali diversi per capire meglio l’influenza che l’ambiente in cui viviamo e l’ereditarietà hanno sul comportamento. Un esempio pratico è ‘l’effetto spettatore’, studiato da Darley e Latanè nel 1968. Questo fenomeno mostra che, in situazioni di emergenza, la presenza di altre persone riduce la probabilità che qualcuno intervenga, poiché si tende a pensare che siano gli altri ad avere la responsabilità di agire. 6. Prospettiva psicobiologica Prospettiva che attribuisce il comportamento umano ed animale ad eventi biologici che hanno luogo nel corpo, come per esempio le influenze genetiche, gli ormoni e le attività del sistema nervoso. Si focalizza nello studiare come degli aspetti biologici del nostro corpo possano influenzare le nostre azioni e le nostre prese di decisioni, (es. squilibrio ormonale, schizofrenia…) 7. Prospettiva evoluzionista Prospettiva che si focalizza sulle basi biologiche delle caratteristiche mentali universali, condivise da tutti gli esseri umani. L’obiettivo di questa prospettiva è capire le strategie ed i tratti mentali generali, come il motivo per cui mentiamo, il perché l’attrazione fisica influisca sulla scelta del partner o perché la paura dei serpenti sia così diffusa. Secondo questo approccio, la mente umana si è sviluppata attraverso la selezione naturale, un processo teorizzato da Darwin, per risolvere i problemi affrontati dai nostri antenati. Ad esempio, gli psicologi evoluzionisti spiegano che l’evitamento delle sostanze dal gusto amaro, come le piante velenose, è un comportamento adattativo (che è d’aiuto alla sopravvivenza), perché chi consumava tali piante moriva, mentre chi le evitava sopravviveva, trasmettendo così i propri geni. Nel tempo, questo ha portato ad una popolazione di esseri umani predisposti ad evitare cibi dal gusto amaro. Infine, nessuna prospettiva psicologica offre tutte le risposte: alcune, come quelle comportamentali e cognitive, sono più scientifiche, altre come la prospettiva psicodinamica e umanistica, si basano maggiormente su riflessioni sul comportamento umano. Spesso gli psicologi adottano una prospettiva eclettica, combinando elementi di diverse prospettive a seconda della situazione. 1.2.2 Come abbiamo visto, la psicologia è un ambito molto ampio e per questo motivo i professionisti che ci lavorano possono essere specializzati in branchie molto diverse tra loro: Lo PSICOLOGO è un professionista con un titolo di studio e con formazione specialistica in una o più aree della psicologia (NON formazione medica, ma dottorato), lo psicologo può lavorare in contesti professionali differenti (ricerca, insegnamento, sviluppo di metodi educativi…) non solo nella psicoterapia. Lo PSICHIATRA è invece un medico specializzato nella diagnosi e nel trattamento di disturbi mentali Come abbiamo detto gli psicologi possono anche occuparsi di ricerca, in questo caso vediamo due tipi di ricerca possibili: -la ricerca di base, volta ad allargare la base di conoscenza con nuove informazioni; -la ricerca applicata, focalizzata sul trovare soluzioni pratiche a problemi nella vita reale -solo slide- Tipi di processi mentali che studia la psicologia: Processi bottom up Elaborazione dello stimolo basata sulle sue caratteristiche fisiche. Avviene quando prestiamo attenzione agli stimoli esterni e non alle nostre aspettative o conoscenze. Questo elemento richiama dal basso la nostra attenzione, comparendo improvvisamente nella nostra scena visiva e facendo si che la nostra attenzione ci si focalizzi in maniera autonoma. I processi bottom up sono importanti in situazioni in cui dobbiamo rispondere rapidamente a stimoli nuovi o inattesi, come quando vediamo un segnale stradale mai visto prima: i nostri sensi rilevano dettagli come colore, forma, movimento, e il cervello elabora queste caratteristiche senza influenze dalle esperienze precedenti. Un esempio di questo processo è l’effetto stroop: questo esperimento richiede ai partecipanti di nominare il colore dell’inchiostro con cui sono scritte delle parole, ignorando il contenuto semantico delle parole stesse (se la parola ‘rosso’ è scritta in blu, i partecipanti tendono ad impiegare più tempo nel rispondere ‘blu’, perché il cervello deve inibire la risposta automatica di leggere la parola ‘rosso’) Processi Topdown L’elaborazione è guidata dalle nostre aspettative, conoscenze o attenzione e non si basa sulle caratteristiche fisiche dello stimolo. Questi processi vengono guidati dall’alto verso il basso, portandoci a selezionare le informazioni nell’ambiente sulla base della nostra attenzione e dei nostri scopi. Sono processi essenziali in situazioni in cui le informazioni sensoriali sono incomplete o ambigue e la nostra conoscenza pregressa e aspettative ci aiutano a dare senso a ciò che vediamo o sentiamo. Un esempio potrebbe essere relativo alla scrittura: quando leggiamo una frase incompleta o distorta, riusciamo comunque a comprenderla grazie al contesto e sulla base della nostra conoscenza de mondo. Differenza tra bottom up e top down: Nei processi bottom up l’elaborazione è guidata dalle caratteristiche fisiche dello stimolo, mentre in quelli top down sono le aspettative a guidare l’elaborazione delle informazioni. Nella vita quotidiana spesso utilizziamo entrambi i processi in modo integrativo, come quando riconosciamo una persona a distanza (processo top down, basato sulle aspettative) ma grazie a dettagli come altezza o abbigliamento (bottom up, caratteristiche fisiche) riusciamo a confermarne l’identificazione. I processi che invece si distinguono per seriali o paralleli dipendono dal numero di attività che possiamo svolgere contemporaneamente: Processi seriali Questi processi si verificano in sequenza, dove uno step di elaborazione segue l’altro. Per poter passare ad uno stimolo di elaborazione successivo devo aver prima finito l’elaborazione del precedente; quindi, uno deve essere completato prima di poter iniziare il successivo. Un esempio potrebbe essere la risoluzione di un’equazione matematica, bisogna seguire una sequenza precisa di passaggi per giungere alla soluzione. Un classico esperimento volto a spiegare questo processo è il compito di Sternberg: Il partecipante deve memorizzare un insieme di elementi (come dei numeri) e poi, dopo un breve intervallo di tempo gli viene presentato uno stimolo (un numero) e deve decidere se quest’ultimo appartiene o meno all’insieme memorizzato. Il cervello processa ogni informazione una dopo l’altra, attraverso un modello di elaborazione seriale, in una sequenza di passaggi. Prima di tutto il partecipante percepisce lo stimolo (ad esempio il numero 9) In seguito, il cervello confronta il numero con ciascuno degli elementi (dei numeri) memorizzati (si domanda, per esempio, se quel numero possa essere un 3, un 7 o un 9) Una volta completato il confronto, si prende una decisione finale (in questo caso il paziente decide che il numero 9 è effettivamente presente nell’insieme memorizzato) Questo modello di elaborazione predice un aumento lineare dei tempi di reazione (RT – Reaction Times), in quanto più elementi ci sono nella lista, più sarà il tempo necessario al partecipante per dare una risposta, perché il cervello deve eseguire il confronto con ogni elemento, uno per uno. Processi paralleli In questi processi, più task vengono elaborati contemporaneamente, come nella percezione visiva, dove diverse caratteristiche sono analizzate allo stesso tempo. Questi processi si applicano anche durante la guida, in quanto elaboriamo informazioni multiple nello stesso momento. Ogni confronto in memoria richiede tempo, ma è un tempo variabile da confronto a confronto L’esperimento di Sternberg può essere esteso anche allo studio dei processi paralleli ma siccome la decisione può essere presa solo quando tutti I confronti sono terminati, riil tempo di reazione non cambia. In sintesi, nei processi seriali per poter dare una risposta ogni fase di elaborazione per iniziare deve prima aver concluso la precedente, mentre nei processi paralleli ogni fase di elaborazione può avvenire nello stesso momento. 1.3- Ricerca scientifica Il punto di partenza di qualunque metodo scientifico è il PENSIERO CRITICO, ossia la formulazione di giudizi razionali riguardo ad affermazioni, al fine di non prendere decisioni basate su false affermazioni. La psicologia cerca di determinare i fatti, riducendo le incertezze ed i bias (tendenza sistematica inconsapevole che influenza il modo in cui interpretiamo informazioni, prendiamo decisioni o forniamo giudizi, distorcendo la nostra visione della realtà), e promuovendo il sistema scientifico. Pensare criticamente significa quindi formulare giudizi ragionati, logici, pensati a fondo. 1.3.1 Il pensiero critico include anche la capacità di chiedere e cercare risposte per le domande importanti con le giuste tempistiche, interessandosi nel capire COME e perché si stiano promuovendo determinate affermazioni, sulla base di quali studi/quali prove. La parola “critico” è collegata infatti in questo caso alla parola “criterio”, ossia un pensiero che risponde a certi criteri e mantiene certi standard. Ci sono quattro criteri essenziali per il pensiero critico, necessari quando ci si confronta con affermazioni che riguardano il mondo circostante: 1. Esistono pochissime verità che non necessitano di essere provate: Non bisognerebbe mai accettare qualcosa sulla base del valore apparente, bisognerebbe sempre andare alla ricerca delle indagini scientifiche riguardo ad una qualunque affermazione; 2. Non tutte le prove hanno una qualità equivalente: Una delle fasi più importanti del pensiero critico è proprio la valutazione di come siano state raccolte le prove prima di determinare se queste forniscano un buon supporto riguardo determinate idee. Può infatti capitare che gli esperimenti siano malfatti, basati su un metodo sbagliato di raccolta dei dati, non siano riproducibili o abbiano dei difetti metodologici. Bisogna sempre considerare che, più è clamorosa l’affermazione, più solide devono essere le prove a suo favore. 3. Il solo fatto che una persona sia considerata un’autorità o che si ritenga che questa persona sia molto competente non significa che tutto quello che afferma debba essere considerato veritiero. Bisognerebbe sempre chiedere una verifica delle prove invece che fidarsi a prescindere delle affermazioni di un esperto 4. Il pensiero critico richiede di avere una mente aperta. Ciò non significa essere creduloni, bensì non chiudersi di fronte alle possibilità reali ed essere disponibili a considerare altre visioni, diverse dal nostro giudizio o dalle nostre credenze preesistenti. 1.3.2 Il metodo scientifico è un approccio alla ricerca che si focalizza sulla riduzione di bias ed errori nella misurazione dei dati. E’ un insieme di procedure che, attraverso la raccolta delle prove empiriche (i dati), permette di falsificare o dimostrare delle teorie. Si basa su leggi generali che vengono formate attraverso osservazioni generali e ripetibili, volte a limitare gli errori attraverso 6 fasi: 1. Far sorgere il problema Qualsiasi cosa che notiamo nell’ambiente potrebbe farci sorgere delle domande, potremmo necessitare più spiegazioni a riguardo. Questa prima fase deriva infatti dalla descrizione, dalla volontà di capire cosa sta succedendo intorno a noi; 2. Formulare un’ipotesi Basandoci sulle osservazioni iniziali di cosa sta succedendo nell’ambiente circostante, formuliamo un tentativo di spiegazione di quanto osservato, Tendiamo quindi a formulare una spiegazione provvisoria a questo comportamento (se/allora) 3. Verificare le ipotesi Una volta formulate varie possibili ipotesi, è necessario verificarle. Verificare un’ipotesi riguarda l’obiettivo di dare una spiegazione al comportamento, attraverso il raccoglimento di prove o la progettazione di un esperimento specifico; 4. Trarre delle conclusioni I risultati della verifica di un’ipotesi possono confermare (esperimento andato a buon fine/ dati che supportano le osservazioni iniziali) o falsificare (ricominciar da capo il processo) la nostra ipotesi; 5. Riportare i risultati Una volta giunti a qualche conclusione rispetto al successo o al fallimento della nostra ipotesi, è necessario comunicarla ad altri ricercatori. Gli altri devono poter replicare la ricerca, quindi ripeterne lo studio per vedere si otterranno gli stessi risultati e per dimostrarne l’affidabilità. 6. Costruire una teoria. La psicologia ha come chiaro obiettivo quello di imparare come funzionano le cose, scoprire i misteri del comportamento umano, attraverso: DESCRIZIONE Il primo passo per comprendere qualunque cosa è la sua descrizione, osservando un dato comportamento ed annotando tutto ciò che lo riguardo: cosa succede, a chi succede, dove succede ed in quali circostanze sembra accadere, SPIEGAZIONE Le osservazioni sono il punto di partenza per questo secondo obiettivo: capire perché una determinata cosa sta accadendo, formulare una possibile spiegazione. Trovare una spiegazione ai comportamenti è fondamentale per la formulazione di teorie sul comportamento. Una TEORIA è una spiegazione generale di un insieme di osservazioni o eventi, l’obiettivo esplicativo aiuta proprio alla costruzione di quest’ultima. PREVISIONE Attraverso la previsione possiamo provare a determinare cosa accadrà nel futuro, se un qualcosa potrebbe succedere di nuovo. CONTROLLO Lo scopo di quest’ultimo obiettivo è cambiare o modificare un dato comportamento, passando da uno indesiderato ad uno desiderato Non tutte le indagini psicologiche puntano a raggiungere tutti e quattro gli obiettivi, ma ciò dipende dal tipo di ricerca che lo psicologo vuole effettuare. Il primo step di una ricerca è quindi quello di definire la domanda e razionalizzare il costrutto oggetto della domanda (renderlo misurabile) Un costrutto è tutto ciò che non è osservabile e quantificabile con precisione come i dati fisici (es. concetti psicologici quali memoria, apprendimento, aggressività…) Dobbiamo quindi tradurre un concetto teorico in una variabile misurabile. Le variabili possono essere di due tipi: -Variabili dipendenti, ossia ciò che misuriamo nella nostra ricerca; -Variabili indipendenti, ossia la variabile che manipoliamo. Tutte le variabili possono essere: -Quantitative e continue: la variabile assume valori scalari; -Qualitative e discrete: la variabile assume un solo valore in una gamma fissa (giusto o sbagliato, veloce o lento) Misurare una variabile significa assegnare un numero o un’etichetta alle caratteristiche degli oggetti. Esistono quattro tipi di scale di misurazione: Nominale I valori assunti dalla variabile sono diversi ma non c’è una relazione di ordine (es. sesso, professione, colore di capelli) Ordinale I valori sono diversi ma c’è una relazione tra i diversi valori della scala (es. ordine di preferenza o valutazione di voti scolastici) A intervalli Quantifica la differenza che intercorre tra un livello ed un altro e può assumere valori negativi (es. temperature) A rapporti L’origine della scala è fissa, esiste uno zero assoluto (es. peso, lunghezza, tempo di reazione*) *Il tempo di reazione è il tempo che intercorre tra la presentazione di uno stimolo e la presentazione di una risposta. Affinché la misurazione di una variabile sia utile, deve soddisfare criteri di: VALIDITA’: una variabile è valida se stiamo effettivamente misurando ciò che vogliamo misurare, come ad esempio misurare l’intelligenza attraverso il QI; Possiamo distinguere 4 eccezioni di validità: 1. Validità interna, che ci dice quanto la nostra ricerca è collegata alla variabile indipendente e dipendente: quanto il cambiamento dei valori della variabile dipendente è legato alla manipolazione della variabile indipendente. 2. Validità di costrutto, che riguarda la relazione tra i risultati e la teoria. 3. Validità esterna, che è quella fonte di validità che riguarda l’estensione dei risultati di una ricerca ad altre situazioni. È intesa come la possibilità che quello stesso risultato della ricerca possa essere esteso ad altri partecipanti, luoghi o tempi. 4. Validità statistica, che ci dice quanto è probabile che le variazioni che noi osserviamo nelle variabili dipendenti si attribuiscano al caso o se ci sia effettivamente una differenza tra le variabili. AFFIDABILITA’ Una misura è affidabile/attendibile quando la possiamo replicare in condizioni simili; SENSIBILITA’ La sensibilità di una misura ci dice quanto la misurazione è in grado di generare risultati diversi quando si misurano cose diverse Es. se ci pesiamo a distanza di poco tempo su una bilancia con un’altra persona, il peso deve essere diverso e questo determina la sensibilità della bilancia stessa. 1.3.3 Esistono diverse tipologie di metodi descrittivi per svolgere le ricerche e quale utilizzano i ricercatori dipende molto dal tipo di domanda a cui vogliono rispondere. OSSERVAZIONE NATURALISTICA Questo tipo di osservazione permette ai ricercatori di avere un’immagine realistica di come si manifesta il comportamento osservandolo nel suo ambiente naturale. Però, per via dell’effetto dell’osservatore, le persone e gli animali tendono a comportarsi diversamente quando sanno di essere osservati; quindi, il ricercatore deve mantenersi nascosto per portare al termine la sua osservazione nel migliore dei modi. Un’altra tecnica per far sì che il comportamento resti il più naturale possibile è l’osservazione partecipata, in cui l’osservatore diventa partecipante del gruppo che viene osservato, oppure il metodo dello specchio unidirezionale (spesso usato per indagare il comportamento dei bambini) Sfortunatamente questo metodo presenta degli svantaggi, come ad esempio il pregiudizio dell’osservatore, che avendo già un’opinione sui fatti potrebbe avere la tendenza di vedere solo ciò che si aspetta di vedere. Un altro svantaggio è che ogni contesto naturalistico è diverso, ciò vuol dire che le osservazioni fatte in un determinato momento all’interno di un contesto potrebbero non rivelarsi vere in un momento diverso, perché le condizioni non saranno identiche ed i ricercatori non hanno controllo sul mondo naturale (potrebbe quindi venire a mancare la validità) OSSERVAZIONE IN LABORATORIO Consiste nell’osservare un comportamento in un ambiente artificiale, dove è possibile controllare le variabili indipendenti e disporre di un’elevata validità interna. Lo svantaggio di questo tipo di osservazione è proprio che, essendo una situazione artificiale, persone ed animali potrebbero reagire in modo diverso rispetto a come lo farebbero in un ambiente naturale, però fornisce un grado di controllo molto elevato all’osservatore. Questi due tipi di osservazioni possono portare alla formulazione di ipotesi che possono poi essere verificate. Un’altra tecnica descrittiva è quella chiamata CASO DI STUDIO (case study), che consiste nello studio dettagliato di un unico individuo (un caso singolo) La teoria psicanalitica di Freud si basa proprio sul case study: raccogliere quante più informazioni possibili riguardo ai propri pazienti, nel modo più dettagliato possibile. Il caso di Phineas Cage è un case study molto importante nella storia della neuropsicologia: Nel 1848, Cage, un operaio ferroviario, subisce un grave incidente, una barra di ferro gli cade addosso penetrandogli il cranio, danneggiando il suo lobo frontale. Cage sopravvive all’accaduto ma il suo comportamento cambia drasticamente: prima Cage era un uomo molto laborioso, responsabile, amichevole; dopo l’incidente diventò impulsivo, irascibile, incapace di pianificare il futuro ed irresponsabile sul lavoro e nella vita. Come abbiamo detto questo caso è un classico esempio di case study perché il suo focus è posto su un solo individuo, quindi la vita di Cage prima e dopo l’incidente, con tanto di informazioni dettagliate riguardo il suo cambio di comportamento. Questo cambio viene documentato passo dopo passo, fornendo informazioni importantissime riguardo all’impatto delle lesioni cerebrali sulla personalità di un individuo e sule sue attitudini. Quest’evento è unico, e per questo motivo non è replicabile: l’incidente è un evento personale e specifico, non è possibile che capiti in egual modo su un altro individuo e quindi non si può ripetere (come nessuno dei case study) Per questo motivo i ricercatori non possono affermare che se un’altra persona vivesse lo stesso identico tipo di esperienza, mostrerebbe gli stessi risultati della persona nel case study. Il metodo del SONDAGGIO invece, occorre agli psicologi per indagare su argomenti privati delle persone ponendo delle domande rispetto a ciò che stanno studiando. Un sondaggio può essere condotto in molti modi (telefonicamente, via internet, con questionario) ma le domande sono quasi sempre le stesse per tutti i partecipanti, si possono sottoporre a tale sondaggio centinaia di persone, selezionate come campione rappresentativo, ossia un gruppo di persone selezionate casualmente per rappresentarne una categoria. Uno svantaggio del metodo del sondaggio è che, anche se spesso si tratta di questionari anonimi, le persone potrebbero tendere a distorcere la realtà, non ricordando dei dati o addirittura mentendo nelle risposte; quindi, potrebbe non rivelarsi un processo molto accurato ed i ricercatori sono obbligati a prendere con le pinze i risultati ottenuti. 1.3.4 Questi metodi appena descritti forniscono solamente descrizioni dei comportamenti, esistono peroò due metodi che permettono al ricercatore di avere più chiarezza di ciò che succede: 1. Studio di correlazione È un tipo di ricerca in cui si analizza la relazione tra due o più variabili, senza manipolarle. Questo studio permette quindi di determinare a posteriori se due variabili sono associate, cioè se ed in che misura l’una varia al variare dell’altra. La correlazione è quindi la misura della relazione esistente tra due variabili, il metodo con cui vengono analizzati i dati provenienti dai metodi descrittivi sopracitati. Per farlo, ogni ricercatore ha, relativamente ad ogni persona nello studio, due insiemi di dati che vanno inseriti in una formula matematica per ottenere un coefficiente di correlazione, ossia un numero che rappresenta la forza e la direzione della relazione esistente tra due variabili; il numero deriva dalla formula che serve a misurare la correlazione. Il numero che si ottiene con la formula sarà positivo o negativo: Se è positivo, le due variabili variano nella stessa direzione: all’aumentare di uno, anche l’altro aumenta, al diminuire di uno, anche l’altro diminuisce. Se è negativo, le due variabili variano nell’ordine opposto: all’aumentare di una, l’altra diminuisce e viceversa, hanno quindi una relazione inversa. La forza dell’associazione tra le variabili sarà determinata dal numero stesso (coefficiente di correlazione, indicato da r) che varia da -1 a +1: +1 - relazione perfettamente positiva quando una variabile aumenta, aumenta anche l’altra (o diminuisce) -1 - correlazione perfettamente negativa quando una variabile aumenta, l’altra diminuisce e viceversa 0 - correlazione nulla Non c’è relazione lineare tra le variabili. La correlazione dirà quindi ai ricercatori se c’è una relazione tra le variabili, quanto è forte questa relazione tra le variabili, quanto è forte questa relazione ed in che direzione va. Conoscendo il valore di una variabile, i ricercatori potranno prevedere il valore dell’altra. Il grande problema della correlazione è che non esiste una relazione causa-effetto tra le due variabili analizzate, sappiamo che sono correlate ma non quale delle due influenze l’altra. Gli studi di relazione causale mirano a determinare se esiste un rapporto di causa effetto tra due o più variabili. A differenza degli studi di correlazione, che possono solo mostrare associazioni, gli studi causali cercano di stabilire che una variabile (una causa) provoca cambiamenti in un’altra variabile (l’effetto) Da uno studio del 1970 di Latanè e Darley, si è sviluppata una teoria secondo la quale più è alto il numero di spettatori, più piccolo è il grado di aiuto (e viceversa) quindi più persone sono presenti, meno è la responsabilità che sentiremo sul nostro conto se nessun altro offre il suo aiuto. Il caso di Kitty Genovese è un tragico episodio avvenuto a New York nel 64, che ha suscitato un ampio dibattito riguardo la responsabilità sociale e l’indifferenza di fronte alla violenza: Kitty fu assassinata vicino a casa sua e più di 30 testimoni assistettero all’attacco senza intervenire ne chiamare la polizia. Questa storia portò alla formulazione del ‘fenomeno dell’effetto spettatore’, che suggerisce appunto che le persone sono meno propense ad aiutare quando ci sono altri presenti. 1.3.5 L’unico metodo che permette ai ricercatori di determinare la causa di un comportamento è l’esperimento. In un esperimento i ricercatori manipolano in modo volontario la variabile che ritengono sia causa di qualche comportamento, mantenendo costanti e stabili tutte le altre variabili che potrebbero interferire con i risultati dell’esperimento stesso. In questo modo si saprà che qualsiasi cambiamento si verifichi nel comportamento, sarà stato causato dalla variabile manipolata. Per iniziare un esperimento, i ricercatori dovranno innanzitutto selezionare casualmente un campione di popolazione determinata da loro. In seguito, dovranno definire sia la variabile da manipolare (quindi quella che si pensa causi un dato comportamento) sia la variabile da misurare (effetto della manipolazione sul comportamento), questa decisione delle variabili deve avvenire prima della selezione dei partecipanti. Per rendere una variabile misurabile, è necessario operazionalizzarla, ossia descriverla nello specifico permettendole appunto di essere misurata (esempio: se stiamo cercando di misurare un comportamento aggressivo, i ricercatori dovranno fare un elenco di comportamenti specifici -colpire, spingere ecc- in modo che si possa segnare ogni qual volta questo ultimi vengono attuati dai soggetti dell’esperimento. La variabile che viene manipolata dallo sperimentatore prende il nome di variabile indipendente, proprio perché è indipendente rispetto a ciò che fanno i partecipanti, che non possono scegliere o modificare questa variabile ne tantomeno avere alcun effetto su di essa. La risposta dei partecipanti alla manipolazione della variabile indipendente viene misurata e prende il nome di variabile dipendente. La variabile dipendente rappresenta quindi la risposta o il comportamento misurabile dei partecipanti in un esperimento, al fine di vedere come la variabile indipendente potrebbe aver influito su di esso. A volte si potrebbero presentare delle variabili intervenienti, ossia delle variabili che interferiscono una l’una con l’altra ed esercitano i loro possibili effetti su altre variabili di interesse e sono quelle che devono essere controllate in qualche modo dai ricercatori. Il modo migliore per controllare queste variabili intervenienti è avere due gruppi di partecipanti, di cui uno sia il gruppo sperimentale, quindi soggetto alla variabile indipendente, e l’altro sia il gruppo di controllo, in cui i partecipanti non ricevono alcun trattamento o in alcuni casi ne ricevono uno placebo. Negli esperimenti è fondamentale la selezione casuale per evitare bias e garantire che i risultati siano validi. La randomizzazione consiste nell’assegnare i soggetti agli esperimenti in modo casuale, evitando influenze esterne che potrebbero falsare i dati. L’associazione casuale è il modo migliore per garantire il controllo sulle variabili intervenienti o estranee, ogni partecipante ha dunque la stessa possibilità di essere assegnato ad ognuna delle due condizioni. Quindi, il controllo all’interno della ricerca avviene creando una condizione sperimentale ed una di controllo, Il ricercatore deve scegliere al meglio il modo in cui manipola la variabile indipendente così da ridurre le minacce alla validità, in quanto ciò che cambia lo fa perché è stato manipolato volontariamente, non perché è sfuggito dal suo controllo. tutto ciò è utile ad evitare le variabili confondenti, ossia tutte quelle variabili che modificano il comportamento dei partecipanti in modo non previsto. 1.3.6 Alcune tra le variabili confondenti (Fattore che modifica il comportamento dei partecipanti a un esperimento in maniera non prevista dal disegno sperimentale) potrebbero essere : Effetti dell’aspettativa (effetto Rosenthal e Hawthorne) La distorsione dei risultati è provocata dall’aspettativa che lo sperimentatore o i soggetti sperimentali hanno in merito ai risultati stessi. Sono entrambi fenomeni psicologici legai all’influenza che le aspettative e l’attenzione di un ricercatore possono avere sul comportamento dei soggetti coinvolti in uno studio o in un esperimento -EFFETTO ROSENTHAL E’ un fenomeno che si verifica quando le aspettative del ricercatore o dell’insegnante influenzano il comportamento dei soggetti. Se il ricercatore o insegnante si aspetta che un gruppo di persone ottenga determinati risultati, i soggetti potrebbero finire per comportarsi in linea con tali aspettative per via di segnali inconsci o lievi influenze che ricevono. Esempio. Nell’esperimento originale del 1968, un gruppo di insegnanti fu informato del fatto che alcuni alunni avevano un potenziale intellettivo alto, ma questi studenti erano stati scelti casualmente. Alla fine dell’anno quelli furono gli studenti che mostrarono più miglioramenti; quindi, fu dimostrato che le aspettative degli insegnanti influirono positivamente sulle loro prestazioni. -EFFETTO HAWTHORNE L’effetto Hawthorne si riferisce invece al cambiamento nel comportamento dei soggetti quando sanno di essere osservati/studiati. Questo effetto fu osservato per la prima volta negli anni ’20 e ’30, in uno studio condotto in una fabbrica a Chicago (Hawthorne) Quando i lavoratori seppero di essere osservati, la loro produttività aumentò. Nello studio si testarono i vari modi necessari per aumentare la produttività ma si arrivò alla conclusione che le migliorie erano legate solo ed esclusivamente al sentirsi sotto osservazione dei lavoratori. Effetto placebo L’effetto placebo è il fenomeno psicologico in cui le aspettative e i bias dei partecipanti in uno studio possono influenzare il loro comportamento. Viene sperimentato soprattutto nella ricerca in medicina, in cui al gruppo di controllo viene spesso somministrato un trattamento privo di principi attivi terapeutici (come, ad esempio, una pillola di zucchero) A seguito dell’assunzione di questo sostituto innocuo del farmaco, entra in gioco la convinzione dei partecipanti di essere curati, convinti del fatto che il trattamento sia reale ed efficace e sperimentano un miglioramento delle proprie condizione di salute. Effetto aspettativa Questo effetto è la tendenza delle aspettative dello sperimentatore a influenzare in modo non intenzionale i risultati di uno studio, perché vedono ciò che si aspettano di vedere. Questo può verificarsi negli esperimenti in quanto il ricercatore potrebbe dare indizi rispetto a cosa si aspetta che i partecipanti rispondano, attraverso il tono di voce, il linguaggio del corpo o il contatto visivo, creando così un cambiamento nel pattern di risposta del partecipante. Ci sono però dei modi per controllare questi effetti: Gli esperimenti in cui i partecipanti non sanno se sono nel gruppo sperimentale o nel gruppo di controllo si chiamano studi ciechi, mentre gli esperimenti in cui né i partecipanti né gli sperimentatori hanno questa informazione si chiamano studi in doppio cieco. Slide – Tipi di disegni sperimentali Disegni sperimentali tra i soggetti È il confronto tra due o più gruppi di partecipanti ed i diversi livelli della variabile indipendente sono associati a diversi gruppi di soggetti. È utile per i gruppi spontanei ma all’interno di ciascun gruppo ci possono essere delle differenze. Disegni sperimentali entro i soggetti Ci riferiamo ad uno schema in cui gli stessi soggetti partecipano a tutte le condizioni sperimentali. In questo tipo di disegno, ogni partecipante viene esposto alle varie manipolazioni delle variabili indipendenti, permettendo così un confronto diretto delle risposte dello stesso individuo sotto condizioni diverse. I vantaggi di questo tipo di disegno sperimentale sono che ogni partecipante è esposto a tutte le condizioni; quindi, eliminano l’influenza delle differenze individuali sui risultati (controllo delle differenze individuali) Che il disegno ha una maggiore efficacia statistica in quanto è più sensibile e le probabilità di trovare differenze significative è più alta. E che sono necessari molti meno partecipanti. 1.4 L’etica nella ricerca psicologica 1.4.1 Ci sono molte linee guida mirate a garantire l’etica quando si tratta di condurre un esperimento o uno studio con esseri umani come partecipanti, alcune di queste: Le persone vengono prima della ricerca, quindi i diritti ed il bene dei partecipanti vanno soppesati rispetto al valore dello studio per la scienza. E’ necessario che la scelta di partecipazione sia una scelta informata, i ricercatori devono spiegare lo studio e le persone prima di fare qualsiasi cosa che le coinvolga. Nel caso degli studi ciechi o in doppio cieco è necessario dire partecipanti che potrebbero essere parte del gruppo di controllo o del gruppo sperimentale ma scopriranno in quale gruppo si trovano solo quando l'esperimento sarà concluso. L'inganno deve essere sempre giustificato siccome a volte è necessario al funzionamento dello studio. Dopo lo studio è necessario dire ai partecipanti con precisione come mai l'inganno era necessario e questa parte si chiama debriefing. I partecipanti possono ritirarsi dallo studio in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione (anche la noia) I partecipanti devono essere protetti dal rischio o devono essere avvertiti esplicitamente dei rischi. I ricercatori devono fare un resoconto ai partecipanti, esponendo loro la vera natura dello studio e le aspettative riguardo ai risultati (soprattutto negli studi dove è necessario l’inganno) I dati devono essere riservati: psicologi e ricercatori devono riferire solo i risultati complessivi e non quelli del singolo individuo, che non deve essere riconosciuto. Il ricercatore è responsabile di risolvere determinate conseguenze indesiderate che lo studio potrebbe comportare ai partecipanti (American Psychological Association, 2002) Un esempio di esperimento non etico è l’esperimento Milgram Lo scopo principale dell’esperimento era indagare fino a che punto le persone sarebbero state disposte ad obbedire a un’autorità anche quando questo avrebbe significato infliggere dolore ad un’altra persona. I partecipanti all’esperimento erano persone che avevano risposto ad un annuncio per partecipare ad uno studio sulla memoria e l’apprendimento. Ai partecipanti, nel ruolo di “insegnanti” veniva chiesto di somministrare scosse elettriche crescenti ad un “allievo” (un attore) ogni volta che sbagliava in un compito. L’allievo simulava dolore al ricevere le scosse ma il ricercatore (l’autorità) ordinava di continuare. Molti tra i partecipanti, nonostante il disagio continuò fino alla massima potenza della scossa. Ciò dimostra come le persone siano disposte a seguire gli ordini, anche se ciò implica infliggere dolori e traumi indimenticabili, solo per obedire ad un’autorità. Al fine di evitare questo tipo di esperimenti non etici, sono state stilate delle leggi (internazionali e nazionali) che riportano delle linee guida al trattamento dei partecipanti Dichiarazione di Helsinki (internazionale) È un insieme di principi etici riguardanti la ricerca medica che coinvolge umani, sviluppati dalla WMA- World Medical Association. Le dichiarazioni di Helsinki stabiliscono regole per proteggere i diritti, la sicurezza ed il benessere dei partecipanti alla ricerca, promuovendo allo stesso tempo il progresso scientifico. In generale, per una ricerca etica il benessere del partecipante è al di sopra della ricerca ed i rischi non devono essere superiori a quelli che un soggetto potrebbe correre nella sua vita quotidiana. Con questo, ci ricolleghiamo al principio del rischio minimo. Esistono infatti tre livelli di rischio in un esperimento: Senza rischio (test/ questionari/ ricerche Rischio minimo (registrazioni vocali/ studi cognitivi non stressanti) Alto rischio (invasione di privacy/ somministrazione farmaci/ utilizzo dati sensibili) Associazione italiana di psicologia (AIP) (nazionale) Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (CNOP) (nazionale) 1.4.2 Gli psicologi studiano anche gli animali per saperne di più sul comportamento, molto spesso per confrontare ciò che fanno gli animali con ciò che potrebbero fare le persone in circostanze simili. Gli animali sono un buon modello per la ricerca psicologica perché sono più facili da controllare rispetto agli esseri umani, mettono in atto comportamenti più semplici e perché con gli animali si possono fare cose che non sono possibili con gli esseri umani. Ci sono delle considerazioni etiche da tenere in considerazione anche con gli animali, l’obiettivo è principalmente evitare di esporli a qualunque pena o sofferenza non necessaria. In psicologia gli animali vengono usati circa nel 7% degli studi. Infine, chiunque voglia fare una ricerca che coinvolga esseri umani, deve sottoporre il suo progetto di ricerca alla valutazione di un ente: Comitato etico Il Comitato etico include diverse figure professionali che una volta letto e valutato il protocollo di ricerca daranno o negheranno l’approvazione allo studio. (università/asl di riferimento) CAPITOLO 3 – SENSAZIONE E PERCEZIONE 3.1 La sensazione è il processo che avviene quando speciali ricettori negli organi di senso sono attivati, permettendo a vari tipi di stimoli esterni di diventare segnali neuronali nel cervello. I recettori sensoriali sono forme specializzate di neuroni (le cellule che compongono il sistema nervoso) Queste cellule recettoriali vengono stimolate da diversi tipi di energia, ad esempio, i recettori che si trovano negli occhi vengono stimolati dalla luce Ogni tipo di recettore trasduce in modo diverso l'informazione fisica in informazione elettrica che poi porta alla depolarizzazione o all'iperpolarizzazione della cellula causando un aumento o una diminuzione dell'attivazione della cellula in base all'intensità e alla velocità elle informazioni captate dall'ambiente circostante. La traduzione è proprio il processo di conversione degli stimoli esterni, come la luce, in attività neurale. È un processo che avviene inconsapevolmente a livello dei recettori sensoriali ed è specifico per ogni sistema sensoriale (ogni organo di senso ha il suo specifico sistema di conversione) Esistono alcuni modi inusuali ed affascinanti attraverso i quali le informazioni sensoriali sono processati in alcune persone questa condizione si chiama sinestesia, in questo caso i segnali dei vari organi sensoriali vengono elaborati diversamente con la conseguenza che l'informazione sensoriale viene interpretata come più sensazioni, passano quindi ad aree del cervello a cui non erano originariamente destinati. La psicofisica è la scienza che si occupa di quantificare le sensazioni, ovvero di trovare delle leggi e delle relazioni che descrivano formalmente la relazione tra lo stimolo fisico e l'entità della risposta sensoriale, ignorando la risposta fisiologica che media tale risposta. 3.1.2 Le soglie percettive nella psicofisica si riferiscono ai limiti minimi e massimi della percezione sensoriale: Soglia assoluta La soglia assoluta è il livello minimo di stimolazione che una persona può percepire consapevolmente il 50% delle volte in cui lo stimolo è presentato. Ad esempio, durante un esame oculistico, ci sono alcune cose che riusciamo a vedere ed altre che invece no. Per qualsiasi sistema sensoriale, la soglia assoluta dipende da tre fattori: Soggetto, perché ognuno ha sensibilità soggettive diverse; Stimolo, ossia l’intensità di un dato stimolo; Condizioni sperimentali, quindi la situazione in cui si presenta. *schema sul quaderno Soglia differenziale (JND) Just Noticiable difference, differenza appena percepibile È la minor differenza fisica possibile tra due stimoli che può essere comunque percepita come differenza minima rilevabile almeno il 50% delle volte. Weber fu il primo a tentare di formalizzare in termini di legge universale la soglia differenziale. Secondo la legge di Weber qualunque sia la differenza tra gli stimoli, la soglia differenziale si calcola moltiplicando la quantità di energia già presente per un valore costante (costante di Weber) Ad esempio, se per notare la differenza di quantità di zucchero in una crema già zuccherata con 5 cucchiaini la persona ha bisogno di un cucchiaino in più, allora la percentuale di cambiamento necessario per raggiungere la soglia differenziale è 1/5 ovvero il 20%. In questo caso, la costante di Weber assume un valore di 0,2, ovvero il valore che si ottiene dividendo uno per 5. Quindi, se la crema sarà zuccherata con 10 cucchiaini di zucchero, la persona avrà bisogno di aggiungere il 20% in più di zucchero, cioè due cucchiaini (ossia il valore che si ottiene moltiplicando 10 per 0,2) per riuscire a sentire la differenza almeno la metà delle volte. Fechhner, considerato il padre della psicofisica, amplia il lavoro di Weber e formula una legge (legge Weber-Fechner) che mette in relazione i continua fisici (stimoli che possono variare in modo continuo e che influenzano la percezione) ed i continua sensoriali (livelli variabili di percezione dei diversi sensi) La legge di Fechner e dunque logaritmica, in quanto pone in relazione una scala a intervalli regolari, ossia quella delle sensazioni, con una scala rapporti costanti, quella degli stimoli fisici. Grazie alla legge di Weber-Fechner è stato possibile calcolare diversi valori di soglia (sia assoluta che differenziale) e alcuni strumenti sono tarati proprio su questi valori. La teoria della detenzione del segnale e un approccio utilizzato per comprendere come gli individui percepiscono e rispondono ai segnali deboli o ambigui all'interno di un contesto di rumore. Questa teoria cerca di spiegare come le persone prendano decisioni in una condizione di incertezza, distinguendo tra un segnale reale (lo stimolo) ed un segnale di fondo (stimoli rilevanti o casuali) Ad esempio virgola in una situazione molto rumorosa che potrebbe essere la doccia, questa teoria esamina come si fa a distinguere un particolare suono dal rumore di fondo (l’acqua) Ehi la teoria si basa sul fatto che un individuo può rispondere in quattro modi ad uno stimolo ambiguo: - HID= segnale presente e riconosciuto dall’individuo - MISS= il segnale è presente ma l’individuo non lo riconosce - FALSO ALLARME= Il segnale non è presente, ma l’individuo lo percepisce erroneamente - CORRECT REJECTION (corretta reazione)= il segnale non è presente e l’individuo non lo percepisce. Quindi è stato necessario sviluppare una teoria della decisione che riguarda le condizioni in cui un soggetto incerto se un segnale esista o non resista esista, formula un giudizio positivo o negativo sull'effettiva presenza del segnale. I tre fattori che vengono tenuti in considerazione nella teoria della detenzione del segnale sono: 1. il rapporto di intensità tra segnale e rumore: maggiore il rapporto tanto è più facile rilevare la presenza di segnali; 2. L'aspettativa del soggetto: ad esempio, se il soggetto viene informato che per l'ottanta percento delle volte il segnale ci sarà, allora il numero di risposte positive salirà ed il soggetto affermerà di avvertire tale segnale. 3. La motivazione del soggetto: legata ad una funzion di costi e benefici, ad esempio: per ogni segnale positivo vero, il soggetto riceve un premio in denaro, allora è verosimile aspettarsi molti falsi positivi in cui il soggetto dichiara di aver avvertito il segnale anche quando questo non c'era, per riscuotere il premio. Calcolando con le percentuali HIT e FALSI ALLARMI, si può calcolare: - Sensibilità del sistema, ossia la capacità dell’individuo di rilevare la presenza di un segnale nell’ambiente esterno - Criterio di risposta, ossia la soglia decisionale dell’individuo per dire che un segnale è presente. *formule sul quaderno* Questa teoria trova applicazioni in numerosi campi: - Percezione subliminale, avviene quando gli stimoli (immagini suoni o parole) sono presentati ad un'intensità che è sufficiente per essere registrati dai recettori sensoriali, ma non per raggiungere la consapevolezza cosciente. In questo caso l'individuo non è consapevole di aver ricevuto questi stimoli ma il cervello li elabora a livello inconscio. - Nella pubblicità, Usando stimoli subliminali per influenzare i processi decisionali delle persone senza che se ne siano consapevoli (pubblica persuasione occulta) 3.1.3 L'abituazione del cervello è la tendenza che il cervello ha di smettere di rispondere a stimoli costanti e monotoni, impedendo l'attivazione dell'attenzione consapevole. L'adattamento sensoriale invece, è la tendenza dei recettori sensoriali a diventare meno responsivi agli stimoli che non cambiano, quindi le informazioni costanti provenienti dai recettori sensoriali vengono ignorate. Tutti i nostri sensi sono soggetti all'adattamento sensoriale, ma gli occhi funzionano in modo diverso in quanto anche i recettori sensoriali nell'occhio si adattano e rispondono meno alla luce, ma non arrivano mai ad ignorare uno stimolo visivo, in quanto non sono mai completamente fermi. Gli occhi sono infatti in un movimento costante, delle piccolissime vibrazioni chiamate microsaccadi (che non vengono notate dall'individuo) impediscono all'occhio di adattarsi a ciò che vede. 3.2 La luce è un fenomeno complicato, ha le proprietà sia delle onde sia delle particelle. Albert Einstein fu il primo a suggerire che la luce fosse composta da pacchetti di onde, questi pacchetti di onde sono chiamati fotoni e hanno specifiche lunghezze d'onda associate. L'occhio umano percepisce soltanto le lunghezze d'onda comprese tra i 400 e i 700 Nm (l’unità di misura delle lunghezze d'onda è il nanometro, che si abbrevia con nm) per questo motivo le onde luminose comprese in questo intervallo vengono definite spettro visibile. Nella retina sono presenti delle cellule specializzate nella trasduzione della luce, che rispondono a lunghezze d'onda diverse. A seconda della specifica lunghezza d'onda, i nostri fotorecettori traducono- trasducono il segnale ottico in un determinato colore, che va dal blu (per le lunghezze d'onda più Corte) al rosso. Nel processo di trasduzione il nostro occhio trasforma la luce in caratteristiche percettive perché la luce di per sé non ha colore. Ogni caratteristica percettiva (o cognitiva) corrisponde a determinate caratteristiche delle onde luminose, e varia al variare di queste, soprattutto nella percezione del colore, le caratteristiche percettive variano al variare dell’onda luminosa (cambia la tinta corrispondente) Tuttavia, è possibile che una stessa tinta, come per esempio il rosso, venga percepita come più o meno chiara, questo varia al variare dell'ampiezza dell'onda corrispondente, perché la chiarezza di una tinta dipende dalla percentuale di luce fisicamente riflessa da una superficie. Il valore più alto corrisponde al bianco il più basso corrisponde al nero. Riassumendo, a seconda della specifica lunghezza d'onda, i nostri fotorecettori trasducono il segnale ottico in un determinato colore che va dal blu (corrispondente alle lunghezze d'onda più corte, intorno ai 400 nm) al rosso /corrispondente a circa 700 nm) I colori possono essere distinti in due diverse categorie: Colori di superficie Per quanto riguarda il colore di superficie, un oggetto ci appare di un determinato colore perché il materiale di cui è costituito riflette una certa porzione di spettro visibile. Ad esempio, un vestito verde che ci appare verde, poiché il materiale di cui è costituito riflette la porzione di spettro visibile la cui lunghezza d’onda corrisponde al verde, assorbendo tutte le altre lunghezze) Si riferisce quindi ai pigmenti. Colori filmari I colori filmari si riferiscono invece alle luci colorate, ad esempio il verde di una luce verde che ci appare di un determinato colore perché emette energia elettromagnetica con una determinata lunghezza d'onda. La chiarezza dei due tipi di colori è diversa, la possiamo infatti distinguere in: Lightness - Bianchezza Per indicare la chiarezza di un colore di superficie, Dipende dalla quantità di luce riflessa, e varia al variare dell’ampiezza (altezza dell’onda) - 0% = nero; 100%= bianco Brightness - Chiarezza Per indicare la chiarezza di un colore filmare l’intensità della luminosità varia al variare dell’ampiezza (altezza dell’onda) - 0% = nero; 100%= bianco Possiamo infatti accorgerci del fatto che un colore di superficie appare più o meno chiaro senza variare in luminosità, mentre una luce più chiara appare in genere più luminosa. Saturazione Si riferisce alla caratteristica di un colore di essere vivido o pallido, ovvero alla purezza percepita del colore. Per quanto riguarda i colori filmari, una tinta pure (molto satura) è uguale all’esperienza che abbiamo con la luce monocromatica: luce che emette energia elettromagnetica di una singola lunghezza d’onda. Per quanto riguarda invece i colori di superficie, la saturazione indica quando un colore è diverso da un grigio con la stessa chiarezza. Il modo migliore per comprendere come l’occhio processa la luce è osservare cosa succede ad un’immagine che viene guardata, seguendo il viaggio dei fotoni di luce provenienti dall’immagine attraverso l’occhio. La luce entra nell'occhio direttamente da una fonte luminosa (che potrebbe essere il sole), oppure indirettamente riflettendosi prima su un oggetto. Questa luce deve spostarsi attraverso le strutture dell'occhio fino alla retina -che è lo strato più interno all'occhio dove la luce in entrata viene trasformata in impulsi nervosi e contiene i fotoricettori- In questo percorso attraverso l'occhio, la luce passa attraverso sostanze con diverse densità, quando la luce passa da una sostanza ad un'altra, cambia la velocità di propagazione dell'onda e quindi cambia anche la sua direzione e la sua lunghezza ma la frequenza rimane invariata. Le strutture dell'occhio giocano un ruolo essenziale sia nel raccogliere che nel concentrare la luce, in modo da permetterci di vedere in modo nitido l'occhio. Quindi il ruolo dell’occhio è quello di concentrare tutti i raggi luminosi in un unico punto, in modo simile ad una lente. La luce entra nell'occhio attraverso la cornea e la pupilla. La cornea, oltre ad essere la struttura che permette alla maggior parte dei raggi di luce di convergere verso l'interno dell'occhio, è anche la membrana trasparente che protegge l'occhio stesso e si occupa del fatto che l’immagine possa essere messa a fuoco sulla retina Lo strato visivo successivo è un fluido trasparente acquoso chiamato umore acqueo, continuamente alimentato e che fornisce nutrimento all'occhio. La pupilla è il “buco” attraverso cui la luce dell'immagine visiva è in grado di accedere all'interno dell'occhio. La pupilla si trova in un muscolo rotondo chiamato iride (che sarebbe la parte colorata dell’occhio che contiene i muscoli che controllano la pupilla) ed è in grado di modificare l'ampiezza della pupilla, permettendo più o meno luce di entrare nell'occhio, questo è fondamentale per mettere a fuoco l'immagine. Dietro l'iride, che è sostenuta dai muscoli, c'è un'altra struttura trasparente chiamata cristallino. Il cristallino è un disco trasparente che si curva per mettere a fuoco gli oggetti. Nel processo di accomodazione visiva, il cristallino modifica la sua curvatura per riuscire a mettere a fuoco oggetti vicini o lontani, questo gli permette di proiettare un'immagine nitida sulla retina. Con l'invecchiamento le persone perdono questa capacità in quanto il cristallino perde elasticità per via di un disturbo chiamato presbiopia. Altri due disturbi della vista sono: Miopia È un difetto visivo in cui gli oggetti vicini vengono visti chiaramente, ma quelli lontani appaiono sfocati. Questo accade per via della forma dell’occhio, che causa una focalizzazione della luce davanti alla retina. Ipermetropia Nel caso dell’ipermetropia, gli oggetti lontani sono visti chiaramente, mentre quelli vicini appaiono sfocati, in questo caso, la luce si focalizza dietro la retina Entrambi i difetti possono essere corretti attraverso occhiali, lenti a contatto o chirurgia refrattiva. Passato il cristallino, la luce attraversa un grande spazio aperto, pieno di fluido trasparente chiamato umore vitreo, come l'umore acqueo, anche l'umore vitreo nutre l'occhio e gli dà forma. La trasduzione è il processo attraverso cui la luce viene convertita in un segnale neutrale, avviene sulla retina, che appunto il punto d'arrivo per la luce all'interno dell'occhio. La retina è responsabile dell’assorbimento e dell’elaborazione delle informazioni relative alla luce, ed è comporta da tre strati: Cellule gangliari Cellule bipolari Sono un tipo di interneuroni che prendono il nome di ‘bipolari’ in quanto hanno un singolo dendrite da un lato ed un singolo assone dall’altro. Coni e bastoncelli Fotoricettori che rispondono alle varie lunghezze d’onde della luce. Sono la parte che riceve effettivamente i fotoni e li trasforma in segnali neuronali per il cervello, mandandoli prima alle cellule bipolari e poi alle cellule gangliari. - I coni sono dei recettori sensoriali visivi che si trovano nella retina, ci sono 6 milioni di coni in ogni occhio e sono responsabili della percezione del colore e dell’accuratezza visiva (di vedere dettagli fini) Sono distribuiti su tutta la retina ma sono concentrati al centro di essa (nella fovea) dove non ci sono bastoncelli. - I bastoncelli sono dei recettori sensoriali visivi, situati anch’essi su tutta la retina (fatta eccezione per la fovea) Sono concentrati principalmente nella zona periferica e ciò li rende responsabili della visione periferica: sensazioni acromatiche a bassi livelli di luce. Sono sensibili ai cambiamenti di luminosità ma vedono solo un limitato numero di lunghezze d’onda (bianco, nero e scale di grigi) In ciascuna retina vi è una parte nella quale non sono presenti fotoricettori, questa parte si chiama disco ottico, e si trova nella metà della retina più vicina al naso (emiretina nasale). Il disco ottico è anche noto come punto cieco (macchia cieca, blind spot) in quanto è un punto che non risponde alla luce. Il nostro cervello riempie però questo spazio vuoto con l’informazione più probabile, noi infatti non ci accorgiamo di avere uno spazio vuoto nel nostro campo visivo. 3.2.2 La luce che giunge agli occhi può essere suddivisa in emi campo visivo destro ed emi campo visivo sinistro La luce dell'emicampo visivo destro raggiunge il lato sinistro della retina di ogni occhio mentre la luce dell’emicampo visivo sinistro raggiunge il lato destro della retina di entrambi gli occhi. Ogni retina è inoltre divisa in due aree: - Emiretina temporale, che è la porzione verso le tempie; - Emiretina nasale, che è invece la porzione centrale rivolta verso il naso. Chiasma ottico e il punto in cui avviene l'incrocio. Dal momento che i bastoncelli funzionano al meglio quando siamo in presenza di una bassa luminosità, hanno la funzione di aiutare l'occhio a adattarsi alla bassa luminosità. Questo processo si chiama adattamento all'oscurità ossia il recupero della capacità di vedere dopo essere passati da una condizione con luminosità intensa ad una condizione di oscurità. Più la luce era intensa più è il tempo che servirà ai bastoncelli per adattarsi alla sopraggiunta condizione di bassa luminosità. I Coni invece, si occupano del recupero della sensibilità dell'occhio agli stimoli visivi in un ambiente luminoso dopo un'esposizione al buio, questo processo si chiama adattamento alla luce ed è molto più veloce rispetto all'adattamento all'oscurità, richiede infatti alcuni secondi. Nel 1800 vennero proposte due teorie fondamentali sulla percezione del colore: La teoria tritomatica Sviluppata da Thomas Young nel 1852. Questa teoria spiega come percepiamo i colori attraverso la combinazione di tre tipi di colori primari: ROSSO, BLU e VERDE (tre tipi di coni) Per Young quindi, noi possediamo i Coni per il rosso i Coni per il blu ed i Coni per il verde, secondo questo ragionamento mescolando questi tre colori si possono ottenere tutti gli altri. Esistono due tipi diversi di miscele, proprio perché come sappiamo esistono due tipi diversi di colore (colori di superficie, colori filmari): MISCELA ADDITIVA: è la miscela che si ottiene mescolando luci con diverse lunghezze d’onda, ci riferiamo ovviamente ai colori filmari. Mescolando rosso, blu e verde si ottiene una luca bianca, in quanto la somma di tutte le lunghezze d’onda visibili è una luce bianca. MISCELA SOTTRATTIVA E’ la miscela che si ottiene mescolando diversi pigmenti (colori di superficie) che assorbono (sottraggono) lunghezze d’onda diverse. Ad esempio, la mescolanza della pittura è sottrattiva: si sottrae più luce ad ogni colore aggiunto. Mescolando i tre pigmenti primari (rosso, giallo e blu), in questo caso si ottiene il nero, perché vengono assorbite più lunghezze d’onda (la tinta acromatica assorbe tutte le lunghezze d’onda dello spettro visibile) La teoria dei processi opponenti È una teoria di visione del colore che propone che i neuroni ottici sono stimolati dalla luce di un colore ed inibiti dalla luce di un altro colore supplementare (antagonista) Secondo questa teoria dei processi opponenti proposta da Hering, i colori sono organizzati in coppie di colori opposti o complementari. Il rosso sarà insieme al suo colore complementare ovvero il verde; il blu sarà insieme al suo colore complementare ovvero il giallo. Se uno di questi due colori della coppia viene fortemente stimolato l'altro viene inibito e non può funzionare, non esistono infatti verdi rossastri o gialli bluastri. Uno dei fenomeni studiati dalla teoria dei processi opponenti è quello legato alle immagini postume che sono immagini che si presentano quando la sensazione visiva persiste per un breve periodo dopo che lo stimolo visivo è stato rimosso. Ad esempio, se una persona guarda intensamente una foto colorata (circa per un minuto) e poi ne distoglie lo sguardo e lo porta su una superficie bianca, quella persona vedrà un'immagine postuma della figura, ma i colori di tale immagine saranno tutti sbagliati: per esempio il verde al posto del rosso, questi colori sono i colori antagonisti di quelli osservati. Questo succede perché i recettori rispondono a coppie di colori, quindi quando si osserva una luce rossa l'attivazione della cellula che risponde alla coppia rosso-verde aumenta, facendoci percepire il colore rosso. Un altro fenomeno spiegato dalla teoria dei processi opponenti è quello del contrasto simultaneo, secondo questo fenomeno, se poniamo un colore su un'area del colore antagonista allora il primo colore sembrerà più vivido di quanto non sembri su un'area di un altro colore. Per esempio, un grigio chiaro posto su un'area nera sembra più chiaro dello stesso grigio posto su un’area bianca. Entrambe queste teorie sono corrette perché ciascuna spiega ciò che accade ad un determinato stadio del processo di codifica della luce; la teoria tricromatica spiega ciò che accade ad un primo stadio, mentre la teoria dei processi opponenti spiega ciò che accade allo stato successivo. Brown e Wald nel 1964 hanno identificato tre tipi di Coni nella retina, ognuno di essi sensibile a un range di lunghezze d'onda diverso. I Coni hanno dei picchi di sensibilità, benché rispondano sempre quando sono colpiti, rispondono in modo ottimale quando la lunghezza d'onda che li colpisce è centrata sul loro picco. Questo è considerato il primo stadio della visione dei colori. Nel secondo stadio si mette in atto il metodo della cancellazione ipotizzato da Hering, secondo il quale mescolando due luci con lunghezze d'onda corrispondenti ai colori antagonisti, queste ultime si cancellano. Ad esempio, mescolando una luce blu con una gialla, oppure una rossa con una verde, si ottiene sempre un grigio acromatico. La teoria tricromatica spiega molto bene la discromatopsia, più conosciuta come daltonismo. Esistono diversi tipi di discromatopsia, - Acromatopsia, è una condizione rara nella quale i Coni sono presenti nella retina ma nessuno dei tre tipi funziona correttamente per via di alcune mutazioni genetiche. La persona che ne è affetta vede il mondo in bianco e nero ed alcune sfumature di grigio. Negli altri tipi di discromatopsia invece è solo un tipo di coni a non funzionare correttamente, ne esistono tre: - Protanopia, quando non funzionano i coni per il rosso; - Deuteranopia, quando non funzionano i coni per il verde; - Tritanopia, forma molto rara che consiste nell'assenza dei coni per il blu. Le persone affette da questi tipi di discromatopsia percepiscono il mondo con combinazioni di due coni o colori, quindi riescono comunque a vederne vari. La protanopia e la deuteranopia sono dovute al malfunzionamento dei Coni Rossi o verdi; quindi, l'individuo è portato a confondere Rossi e verdi, vedendo il mondo principalmente in blu giallo e alcune sfumature di grigio. La mancanza di Coni blu funzionanti è invece molto meno comune e le persone affette vedono il mondo principalmente in rosso verde e alcune sfumature di grigi. Questo è il motivo per il quale ognuno di noi percepisce i colori in maniera diversa: non possediamo tutti la stessa sensibilità nella risposta alle lunghezze d’onda. 3.6 ABC DELLA PERCEZIONE VISIVA La sensazione è il processo attraverso il quale i nostri organi sensoriali ricevono e rispondono agli stimoli esterni. È un processo immediato che si basa sulla registrazione di informazioni grezze, come ad esempio luci, suoni, odori, gusti, tatto, senza un'interpretazione del significato dello stimolo. È quindi la stimolazione sensoriale dei nostri organi che produce impulsi. La percezione invece è il processo attraverso cui il cervello interpreta ed organizza le informazioni sensoriali ricevute dando loro significato. Lo studio della percezione consiste principalmente nell'identificazione dei processi fondamentali di tipo deterministico, che ci consentono di capire come noi integriamo l'informazione sensoriale, che raggiunge i nostri sensi frammentata in percetti (unità integrate) e di come poi usiamo, manipoliamo e categorizziamo questi percetti nella vita quotidiana. 3.6.1 Lo scopo della percezione è quello di dare un nome a quelli che sono gli eventi fisici che accadono nell’ambiente. Possiamo dividere la percezione in diversi livelli: - Primo livello, la percezione sensoriale È il livello in cui le informazioni sensoriali grezze vengono ricevute ed organizzate dal nostro sistema percettivo Un esempio potrebbe essere la luce che colpisce la retina; - Secondo livello, la categorizzazione In questa fase si da un significato all’informazione precedentemente ricevuta Ad esempio, riconosco che l’oggetto è una mela. Il riconoscimento è un processo fondamentale della percezione, implica sia l'integrazione di alcune sensazioni che andranno a formare un unico oggetto percettivo, sia la segmentazione di altre sensazioni che andranno invece a costituire altri oggetti percettivi o verranno riconosciuti come sfondo. Agli inizi del secolo scorso gli studiosi appartenenti alla scuola della psicologia della gestalt tentarono di dare una risposta al modo in cui l'attivazione di alcuni recettori sulla retina potesse portare alla percezione di oggetti distinti gli uni tra gli altri. A questo punto Wertheimer, uno tra questi studiosi, considerato il capo-scuola della Psicologia della Gestalt, propose un certo numero di fattori determinanti per i quali l'organizzazione percettiva si impone da sé. Tali principi spiegano come il nostro cervello organizza automaticamente le informazioni visive per dare un senso al mondo circostante. I principi principali della Gestalt sono: Primo principio: Vicinanza - Gli oggetti vicini tra loro tendono ad essere percepiti come un gruppo o un’unità (come fossero parte di un unico insieme) Secondo principio: Somiglianza - Gli elementi che condividono caratteristiche visive simili (per forma, colore, dimensione), vengono percepiti come appartenenti allo stesso gruppo (alla stessa unità) Terzo principio: Destino comune - Gli elementi dotati di un movimento simile tendono ad essere percepiti come appartenenti alla stessa unità. In questo principio, dunque, entrano in gioco movimento ed elemento direzionale Un esempio potrebbe essere quello di un insieme di uccelli che vanno nella stessa direzione. Quarto principio: Buona continuazione - Gli elementi che seguono una linea o una curva (continuità di direzione) tendono ad essere percepiti come collegati, come insieme continuo. *Differenza tra destino comune e buona continuazione: il principio del destino comune nella gestalt afferma che gli elementi che si muovono insieme tendono a essere percepiti come un'unità. Ad esempio, se vediamo degli oggetti che si spostano nella stessa direzione, li percepiamo come appartenenti ad un gruppo. Il principio della buona continuazione, invece, si riferisce alla nostra tendenza a percepire linee o forme continue piuttosto che interrotte. Quando gli elementi sono disposti in modo che seguano una direzione fluida, li interpretiamo come un'unica forma o percorso. Quindi, il primo si concentra sul movimento condiviso, mentre il secondo si basa sulla continuità visiva. * Quinto principio: Chiusura - Anche se una forma non è completamente chiusa o mancano alcune parti, tendiamo a percepirla come completa, il nostro cervello tende a riempire le parti mancanti Sesto principio: Esperienza passata - Si basa sull’idea che le esperienze passate influenzino il modo in cui percepiamo gli oggetti visivi. Quindi elementi che sono stati associati frequentemente in passato, verranno percepiti come appartenenti alla stessa unità. Principio della regione comune (o contrasto cromatico) - Quegli elementi che si trovano a condividere lo stesso sfondo tendono ad essere percepiti come unità percettive. Con questi principi, Wertheimer teneva a sottolineare l'importanza dell'integrazione nel percorso di riconoscimento, per questo motivo gli elementi vicini, simili e così via, si raggruppano (quindi si integrano) e vanno a formare una sola figura. Inoltre, questi principi spesso vengono utilizzati tutti insieme, ma nel momento in cui entrano in conflitto, si utilizza il principio che da origine alla percezione più semplice ed immediata. I processi di unificazione-segregazione portano all’articolazione figura-sfondo, Si tratta di un processo universale e costante: Non c’è figura senza sfondo. Grazie a questi principi riusciamo ad organizzare le nostre idee e a distinguere cos’è figura e cos è sfondo (anche su immagini appositamente ambigue) Un esempio potrebbe essere quello del vaso, guardando attentamente si potrebbero identificare nella stessa figura sia in vaso che due facce, che però non riusciamo a vedere nello stesso momento. Il contorno appartiene alla figura e non allo sfondo La figura ha un’estensione definita, mentre lo sfondo continua dietro la figura in maniera indeterminata, la figura appare in risalto rispetto allo sfondo ed ha carattere oggettuale (è una cosa), mentre lo sfondo è meno distinto L’articolazione figura-sfondo è regolata dalle seguenti regole: - INCLUSIONE La regione inclusa è percepita come figura; - CONVESSITA’ La regione convessa diventa figura; - AREA RELATIVA L’area minore è percepita come figura; - ORIENTAMENTO Diventa figura la regione con gli assi orientati in verticale o orizzontale nello spazio; - SIMMETRIA Quando tutto il resto è bilanciato nell’immagine, sarà figura la regione a simmetria bilaterale rispetto all’asse. Queste leggi figura-sfondo vengono applicate anche in famosi loghi come quello della RAI (possiamo distinguere delle farfalle ma anche due persone di profilo che si guardano), o nel simbolo del riciclaggio (possiamo distinguere una freccia scura ed una chiara le quali sono entrambe sia sfondo che figura) Le figure reversibili o ambigue sono quelle figure in cui, a seconda di come organizziamo la stimolazione che riceve la nostra retina, percepiamo una cosa diversa, e le due immagini non esistono contemporaneamente. Ciò ci conferma che il mondo fenomenico è completamente discostato dal mondo reale. Un esempio potrebbe essere la figura della ragazza, nella quale possiamo distinguere sia appunto una ragazza ma anche un'anziana di profilo. 3.6.2 L'immagine sulla retina è piatta e bidimensionale, noi riusciamo a percepire la tridimensionalità e la profondità grazie alla percezione. La capacità di vedere il mondo in tre dimensioni è detta percezione della profondità, senza di essa sarebbe molto difficile giudicare quanto siano distanti gli oggetti. Esistono vari indizi che ci permettono di percepire la profondità nel mondo. Per alcuni è sufficiente l'uso di un solo occhio, questo è il caso degli indizi monoculari o indizi pittorici di profondità, altri invece sono il risultato dei pattern visivi leggermente diversi tra loro, che emergono dall'utilizzo dei campi visivi di entrambi gli occhi, indizi binoculari. Indizi binoculari - Convergenza È un indizio fisiologico che si riferisce al movimento degli occhi al fine di portare l'oggetto al centro dello spazio. Se l'oggetto è lontano, la convergenza è molto meno accentuata ma se l'oggetto è vicino, la convergenza è piuttosto significativa. - Disparità binoculare Le due immagini retiniche sono diverse tra loro perché ognuna riprende un campo visivo. Gli occhi hanno circa 6 cm di distanza l'uno con l’altro; quindi, ricavano due immagini leggermente diverse che vengono unite grazie al processo di stereopsi ed acquistano profondità. La stereopsi è appunto la capacità di profondità sulla base della differenza tra le due immagini (leggermente diverse) provenienti dai due occhi. Indizi monoculari Questo tipo di indizi vengono spesso chiamati anche pittorici di profondità, in quanto gli artisti possono utilizzarli nei dipinti e nei disegni per creare l'illusione della profondità. - Accomodazione Più il cristallino si curva, più l’immagine è lontana. Il grado di curvatura del cristallino si modifica appunto a seconda che si guardino oggetti vicini o lontani; - Interposizione o occlusione Si ha quando un oggetto copre parzialmente un altro, lo percepiamo come più vicino (interposizione) mentre un oggetto che blocca la vista di un altro ci fa percepire che l'oggetto nascosto sia più lontano (occlusione) - Grandezza relativa È un indizio monoculare di profondità per il quale, in una scena con più oggetti, quelli di dimensioni maggiori sembrano più vicini. - Ombreggiatura Il rapporto tra luci ed ombre fa sì che quando l'ombra e in basso, l'oggetto sembra più vicino (convesso) mentre quando l'ombra è in su l'oggetto sembra più lontano (concavo) - Prospettiva lineare Quando due linee parallele sembrano convergere in un punto di fuga. È un'illusione che ci fa credere sia che le linee parallele possano toccarsi, sia che il punto di fuga sia alquanto lontano. - Prospettiva aerea È un indizio monoculare di profondità per cui se gli oggetti sono sfocati o annebbiati, saranno percepiti come più lontani dall'osservatore. - Posizione rispetto all’orizzonte Gli oggetti più vicini alla linea dell'orizzonte sono percepiti come più lontani. Quindi se poniamo un oggetto vicino alla linea che delimita l'orizzonte, questo apparirà come più lontano di un oggetto di identiche dimensioni ma posto più distante dalla stessa linea. - Gradiente di tessitura In una superficie dotata di trama, tanto più gli elementi sono piccoli e fitti, tanto maggiore sarà la distanza cui la superficie viene percepita. - Parallasse di movimento La velocità di movimento di oggetti vicini all'osservatore è percepita come maggiore rispetto a quelli lontani, ma nulla si muove tranne noi (come quando siamo in macchina/treno) Noi dobbiamo distinguere due tipi di movimento: Movimento fisico Movimento percepito, ossia la percezione di movimento senza che sia per forza un movimento fisico. Movimento apparente, al movimento fenomenico percepito non corrisponde per forza un movimento reale. Ciò è dovuto al movimento apparente (illusione ottica) di cui esistono più tipologie: - Movimento stroboscopico È la percezione di movimento cui non corrisponde movimento dello stimolo prossimale (mentre lo stimolo distale può muoversi o meno) Questo fenomeno è stato descritto da Wertheimer così: Attaccando ad una parete due lampadine e nelle posizioni A e B. Mentre la luce nella posizione A si accende e si spegne, la luce nella posizione B si spegne e si accende; quindi, una luce è accesa proprio quando l'altra è spenta e si percepisce un movimento attraverso lo spazio: si vede una singola luce che si muove dalla posizione A alla posizione B. Il tempo che intercorre tra l'accensione di una lampadina e l'altra viene definito come ISI (Inter Stimulus Interval). A seconda del suo valore si ottengono 3 condizioni differenti: 1. Se ISI è superiore a circa 100 ms si vedono due luci che si accendono e si spengono in successione. 2. Se ISI è vicino a 0 ms si vedono due luci simultanee e compresenti lampeggiare velocemente. 3. Se ISI è inferiore a circa 100 ms ma superiore allo 0 si vede una luce in movimento tra A e B 3.6.5 -Le costanze percettive Lo stimolo prossimale rimane lo stesso anche se la distanza cambia virgola in quanto quest'ultimo è continuamente mutevole. Le costanti percettive sono un insieme di fenomeni in cui le proprietà percepite rimangono perlopiù stabili nonostante le variazioni prossimali. Abbiamo: - Costanza di posizione Si riferisce alla collocazione di un oggetto percepita nello spazio che non muta neanche se noi ci muoviamo. - Costanza del colore superficiale Capacità del sistema visivo di percepire il colore di un oggetto come stabile, anche se la luce che lo colpisce cambia. - Costanza di forma si percepisce un oggetto come costante anche se la sua immagine retinica cambia infatti, l'oggetto è sempre percettivamente lo stesso anche se lo guardiamo da diverse immagini retiniche. - Costanza di grandezza La grandezza percepita rimane la stessa anche se cambiano le dimensioni retiniche, ovviamente non pensiamo che le persone siano in miniatura soltanto perché lontane, ma siamo consapevoli del fatto che siano solamente distanti da noi. 3.6.6 Giacché il mondo fisico non è uguale al mondo fenomenico, si crea un'illusione ottica quando la percezione di uno stimolo non corrisponde a ciò che accade nel mondo fisico, discosta quindi dal dato reale. - Illusione di Muller-Lyer, illusione di estensione È un'illusione tale per cui la lunghezza di una linea falsata dalla presenza di angoli acuti o ottusi alle due estremità per cui due linee di lunghezza uguale sembrano una più lunga dell'altra. L'illusione sarebbe dovuta al fatto che il sistema percettivo interpreta la figura come se fosse tridimensionale. - Illusione di Ponzo, illusione di estensione Questa illusione si basa sulla prospettiva. Due linee orizzontali della stessa lunghezza sono inserite all'interno di linee convergenti. La linea più in alto, che si trova in un punto in cui le linee convergenti sono più vicine, appare più lunga rispetto alla linea più in basso, nonostante siano identiche. - Illusione di Ebbinghaus, illusione di area Mostra come due cerchi identici sembrino di dimensioni diverse: quando il cerchio è circondato da cerchi grandi appare più piccolo quando invece è circondato da cerchi piccoli appare più grande. Quest'illusione si basa su una caratteristica del nostro sistema visivo che tende ad utilizzare il contesto o le informazioni circostanti, per determinare la grandezza degli oggetti. - Illusione di Zollner, illusione di posizione/direzione Fa apparire linee parallele come inclinate/divergenti a causa di piccole linee diagonali sovrapposte che distraggono la percezione. - Illusione di Wundt-Hering, illusione di forma Fa apparire lineette parallele come curve e divergenti per via di linee radiali o diagonali di sfondo che distorcono la percezione. - Illusione dei contorni illusori Si verificano quando contorni sembrano presenti senza esistere realmente. - Il comportamento amorale è un fenomeno percettivo in cui il cervello riempie le parti mancanti di un oggetto invisibile, facendolo apparire come completo. Le illusioni ottiche e visive sono fenomeni in cui il nostro cervello interpreta le informazioni producendo percezioni diverse rispetto alla realtà fisica queste illusioni spiegano come la nostra percezione sia una costruzione ottica del cervello basata su stimoli visivi, aspettative e conoscenze pregresse. RICONOSCIMENTO DEGLI OGGETTI Come abbiamo già detto, il riconoscimento degli oggetti sta nel dargli un nome, assegnargli un'etichetta. Per riconoscere un oggetto, prima di tutto acquisiamo l'immagine grezza e ne generiamo una descrizione/ rappresentazione, per poi confrontare questa rappresentazione con ciò che di relazionato con essa abbiamo in memoria. Il riconoscimento è il processo attraverso cui sappiamo cos'è lo stimolo presente nel mondo esterno e ciò ci permette quindi di dire che cosa sono gli oggetti