Psicologia Generale PDF
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Il documento fornisce un'introduzione alla psicologia generale, coprendo argomenti come la sua storia, le diverse scuole di pensiero (strutturalismo, funzionalismo, gestalt, psicoanalisi), e le funzioni dell'anima secondo Aristotele.
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PSICOLOGIA GENERALE INTRODUZIONE PSICOLOGIA INFORMAZIONI SUL CORSO L’esame è scritto, composto da 31 domande a crocette a risposta chiusa. Il materiale delle lezioni viene caricato dopo ogni blocco di lezione (2/3/4 ore) nelle comunità didattiche COS’È LA PSICOLOGIA E DI COSA SI OCCUPA?...
PSICOLOGIA GENERALE INTRODUZIONE PSICOLOGIA INFORMAZIONI SUL CORSO L’esame è scritto, composto da 31 domande a crocette a risposta chiusa. Il materiale delle lezioni viene caricato dopo ogni blocco di lezione (2/3/4 ore) nelle comunità didattiche COS’È LA PSICOLOGIA E DI COSA SI OCCUPA? È la scienza che studia i processi mentali (cognitivi), comportamentali (azioni osservabili), affettivi e relazionali degli esseri viventi. La psicologia è una disciplina scientifica, non umanistica, perché tutte le affermazioni su conclusioni ottenute tramite metodo scientifico. I processi studiati dalla psicologia riguardano prevalentemente gli esseri umani, ma alcuni meccanismi comportamentali e cognitivi di base sono trasversali agli esseri viventi (con differenze a seconda della complessità), perché si sono evoluti con le diverse specie per l’adattamento. Le funzioni cerebrali (cognitive, di apprendimento, comportamentali…) rendono gli esseri viventi i più adattivi possibile. Più una funzione è legata a una necessità di adattamento e sopravvivenza, più si è evoluta nel tempo. Alcuni meccanismi ci servono per essere adattivi, senza i quali ci saremmo estinti. STORIA DELLA PSICOLOGIA La confusione sul fatto che sia una disciplina umanistica deriva dal fatto che è stato oggetto di studio per molto tempo che le emozioni condizionano la vita delle persone. Le conoscenze che abbiamo sul cervello sono relativamente recenti, per la maggior parte della storia dell’umanità non si sapeva quali fossero le strutture e le funzioni cerebrali che portassero le emozioni. Il termine "psicologia" deriva dal greco psyché = spirito, anima e da logos = discorso, studio. Letteralmente la psicologia è quindi lo studio dello spirito o dell'anima. La psicologia in passato era lo studio dell’anima, si pensava che le diverse pulsioni fossero diverse anime e la psicologia era adibita a studiare queste anime. Distinzione tra facoltà dell’anima (Aristotele, De Anima): 1. Anima vegetativa (l’organismo si nutre, cresce e si riproduce) 2. Anima sensitiva (acquisizione di stimoli dall’esterno, sensazioni) 3. Anima intellettiva (pensiero e volontà) PSICOLOGIA FISIOLOGICA Il padre fondatore della psicologia sperimentale è Wilhelm Maximilian Wundt. La psicologia diventa scienza verso la fine del 1800. Nel 1879, in Germania, viene fondato il primo laboratorio di psicologia sperimentale; dei ricercatori iniziano un approccio diverso: si passa da un’introspezione soggettiva a un’introspezione oggettiva. Si cominciano a fare una serie di esperimenti e ricerche, cercando di identificare i meccanismi cerebrali e fisiologici che stanno dietro a queste funzioni. Alla fine del 1800 si cominciano ad avere maggiori conoscenze sul nostro organismo. Vengono effettuati studi sulla prima funzione psichica degli organismi viventi: la percezione. La percezione è la prima funzione psichica, che ci mette in contatto con: noi stessi, gli stessi, gli altri, il mondo. Attraverso l’attivazione degli organi di senso, iniziano tutte le funzioni più complesse (emozioni, comportamenti, apprendimenti..). LA PSICOLOGIA E LE ALTRE CORRENTI Da qui prendono vita diverse correnti, alcune delle quali sopravvivono ancora adesso. Strutturalismo (1° corrente) Funzionalismo Comportamentismo Cognitivismo Gestalt Psicoanalisi Umanistica LA PSICOLOGIA DEL NUOVO MONDO La psicologia si sviluppò inizialmente in Europa, soprattutto in Germania, grazie al laboratorio di Lipsia e la psicologia della Gestalt. Ben presto, però, essa approdò e si diffuse anche negli Stati Uniti. Questo avvenne in gran parte per merito di due personalità: gli americani Edward Titchener (1867-1927) e William James (1842- 1910) diffondendo così la psicologia nel Nuovo Mondo. Lo strutturalismo Titchener, studente di Wundt, portò negli stati uniti le idee del maestro, chiamando la nuova prospettiva strutturalismo. Utilizzò tale termine perché l’oggetto di studio era la struttura della mente. 1878, Titchener: riteneva come Wundt, che il miglior modo di analizzare il contenuto di ogni esperienza fosse l’introspezione oggettiva, ossia guardare al proprio interno per scoprire le origini e le qualità di sensazioni, emozioni e pensieri. 1 La mente è strutturata in sensazioni elementari. L’esperienza mentale è il risultato di ripetute ricombinazioni di queste unità elementari. Ogni esperienza può essere scomposta nelle sue singole emozioni e sensazioni. Gli psicologi cominciano ad avere un approccio estremamente integralista e rigoroso, non più così filosofico e umanista. Cercano di capire quale struttura cerebrale sta dietro alle nostre funzioni psichiche. A causa di incidenti o decadimenti cognitivi, possiamo avere deficit specifici nelle funzioni cerebrali (abbiamo difficoltà a fare conti, ricordare nomi, riconoscere volti…). E’ vero che ci sono funzioni specifiche deputate a determinate funzioni. Il cervello non è una grande scatola in cui tutto finisce dentro a caso, ma come una cassettiera con molto cassetti ben organizzati, e in ogni cassetto vengono inserite cose specifiche. Tuttavia, le aree cerebrali sono connesse tra loro, le funzioni psichiche sono complesse e coinvolgono diverse strutture. Le aree associative mettono insieme le varie emozioni. Es. alcune strutture cerebrali sono maggiormente coinvolte con le emozioni, che hanno una funzione adattiva primordiale. La parte del cervello maggiormente coinvolta nelle emozioni è quella sottocorticale. Le emozioni sono molto complesse: riguardano la percezione degli ambienti, l’interpretazione, gli schemi cognitivi. Lo strutturalismo è quindi limitato sotto certi aspetti, ha vita breve e viene presto sostituito dal funzionalismo di James. Il funzionalismo William James fondò una nuova scuola di psicologia, il funzionalismo, che si contrappose allo strutturalismo di Titchener. Nel 1890 James pubblica Principle of psychology, in cui si interessa delle funzioni del pensiero (non della struttura) e studia come la mente opera perché un organismo possa adattarsi al suo ambiente e vivere in esso. Il funzionalismo non determina solo la struttura, ma determina i meccanismi (molto più complessi della sola struttura cerebrale), che permettono alle persone di funzionare nel mondo. Come le persone giocano, si relazionano, lavorano… si adattano al mondo che li circonda. James fu profondamente influenzato dalle teorie sulla selezione naturale di Darwin. La psicologia di Gestalt La psicologia della Gestalt (parola che significa «insieme organizzato» o «configurazione») nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania e proseguì il suo sviluppo negli Stati Uniti. Nasce grazie a Max Wertheimer che come James si discostava dalle idee dello strutturalismo. Gli psicologi della Gestalt cercarono di dimostrare sperimentalmente il criterio della "totalità" delle funzioni psichiche. Ritenevano che gli eventi psicologici come la percezione e la sensazione non potessero essere suddivisi in elementi più piccoli per essere compresi correttamente. Come una melodia è composta da singole note che possono essere comprese solo se sono nella giusta relazione l’una con l’altra. I gestaltisti a fine 1800 iniziano a studiare la parte fisiologica, la percezione e l’attenzione. Grazie alla Gestalt impariamo che il cervello non percepisce le singole unità, ma in maniera organizzata, seguendo i processi organizzativi della percezione. L’insieme (percetto o rappresentazione percettiva) è un’unità, più della somma delle sue singole parti. Esempio 1: Domanda: cosa si vede? Risposta: 2 triangoli. Non ci sono davvero 2 triangoli, ma noi li vediamo. Noi vediamo un triangolo bianco, che in realtà non c’è. Ci sono solo 3 segmenti. Il cervello ha meccanismi, per cui organizza il percetto su alcuni aspetti. Alla base delle informazioni che il cervello ha, organizza percetti che vediamo. Il cervello ha da sempre l’informazione del triangolo, fin da quando siamo piccoli. Esempio 2: Domanda: cosa si vede? Risposta: 1 calice / il profilo di 2 visi. A seconda di dove si focalizza l’attenzione, il cervello vede una cosa o l’altra. I gestaltisti, studiando in modo approfondito la percezione, intuirono che la realtà fenomenologica si struttura in unità nel campo di esperienza del soggetto ogni volta che gli elementi di un insieme presentano determinate caratteristiche. Individuarono le cosiddette "leggi della formazione delle unità fenomeniche", che stanno alla base del nostro modo di cogliere le cose e di organizzare i dati percepiti. La psicologia della Gestalt ricorse al metodo fenomenologico, col quale i dati dell'esperienza non vengono scomposti e interpretati, ma descritti totalmente nella loro immediatezza, come appaiono al soggetto. Punto centrale della psicologia della Gestalt era, perciò, la convinzione che riuscendo a comprendere come si organizzano le percezioni, si poteva anche comprendere il modo in cui il soggetto organizza e struttura i pensieri. Le idee della Gestalt fanno parte degli studi della psicologia cognitiva, un campo che si concentra non solo sulla percezione ma anche su apprendimento, attenzione, memoria, processi di pensiero e problem solving. 2 La psicoanalisi A differenza delle precedenti correnti dove gli studiosi erano dei fisiologi, la psicoanalisi nasce grazie a Freud, un neurologo che cercava di trovare una soluzione per i pazienti che si rivolgevano a lui. La psicoanalisi si sposta dalle altre correnti, che continuano ad avere un’introspezione soggettiva. La psicoanalisi si basa sull’identificazione delle pulsioni sviluppate nelle varie fasi dell’età, che possono portare a un disturbo disfunzionale. Freud riteneva che queste pulsioni represse, provando a riemergere, creassero le patologie nervose che i suoi pazienti presentavano. Freud sottolineò l’importanza delle esperienze infantili precoci, ritenendo che la personalità si formasse nei primi 6 anni di vita; se si presentavano problemi significativi, questi problemi dovevano essere iniziati nei primi anni di vita. Le idee di Freud sono tutt’oggi influenti, anche se sono state in parte modificate. Egli ebbe numerosi seguaci, alcuni dei quali raggiunsero la fama modificando le teorie di Freud per adattarle al loro punto di vista, come Alfred Adler, Carl Jung, Karen Horney, Anna Freud, Erik Ericson. Le persone vengono disorientate da queste varie correnti: la psicoanalisi non ricopre tutta la psicologia, ma ne è solo una branca. A seconda del disturbo, si usano diversi strumenti di cura. La psicanalisi ha acquisito una grandissima importanza nella storia, più delle altre correnti, che oggi sono maggiormente utilizzate in ambito sanitario. La psicoterapia cognitivo- comportamentale è oggi la più accreditata dai sistemi sanitari. La relazione terapeutica La relazione terapeutica è diventata caposaldo di tutte le professioni di cura, declinata in diverso modo a seconda del ruolo. Il fatto di mettersi in relazione con il paziente prevede una serie di step (linguaggio, comprensione dei bisogni…). Ci sono tutti una serie di modi per entrare in relazione, come comunicare, cosa evitare. Essendo operatori sanitari, è necessaria una comunicazione precisa: il nostro fine è agganciare il paziente, portarlo nella relazione terapeutica e accompagnarlo nel processo di cura. Questo vale per ogni ambito, anche chirurgico; se il paziente non è compliante, avrà paura, farà un post-operatorio non adeguato. I pazienti devono affidare il controllo agli operatori sanitari (medico, infermiere, fisioterapista), e ci possono essere reazioni regressive o di rabbia. Il paziente deve essere agganciato, una volta agganciato si fiderà e verrà accompagnato. Il comportamentismo Ivan Pavlov, come Freud, non era uno psicologo. Era un fisiologo russo che mostrò che un riflesso (reazione involontaria) poteva essere indotto a verificarsi in risposta a uno stimolo fino a quel momento non collegato ad esso. Lavorando con i cani Pavlov osservò che il riflesso di salivazione (che normalmente si verifica come conseguenza dell’avere davvero del cibo in bocca) poteva essere indotto come risposta a uno stimolo completamente nuovo, in questo caso, al suono di un metronomo. All’inizio del suo esperimento Pavlov azionava il metronomo e dava poi il cibo ai cani che quindi salivavano. Dopo diverse ripetizioni i cani salivavano in risposta al suono del metronomo, prima che fosse loro presentato il cibo, una risposta riflessa appresa o «condizionata». Questo processo viene chiamato condizionamento. Nei primi anni del’900 lo psicologo John B Watson, sfidò il punto di vista funzionalista così come quello della psicanalisi, con la sua «scienza del comportamento» detta anche comportamentismo. Il comportamentismo è un movimento nordamericano (1930-1950 USA). I comportamentisti iniziano a comprendere come si formano i nostri comportamenti, come siamo condizionati dagli eventi o dagli stimoli che ci circondano. Portano avanti ricerche per capire cosa è condizionato nelle persone, se tutto è condizionabile, se tutti i nostri comportamenti sono associabili a una relazione stimolo-risposta (come dimostrato da Pavlov), sia per quelli semplici che complessi. Il focus del comportamentismo è: Il metodo scientifico Focalizzarsi solo su ciò che è osservabile, oggettivabile e misurabile Nessuna interpretazione o inferenza I comportamenti vengono definiti come una catena di stimolo-risposta, mentre comportamenti più complessi sono frutto di associazioni più complesse stimolo-risposta. Poiché i comportamenti complessi sono una somma di associazioni semplici, è possibile studiare forme di apprendimento attraverso lo studio di apprendimenti semplici osservabili negli animali. Il principale ambito di studio è l’apprendimento spiegato sulla base del principio del condizionamento. Watson riteneva che tutto il comportamento fosse frutto dell’apprendimento, mentre Freud riteneva che tutto il comportamento derivasse da motivazioni inconsce. Freud aveva affermato che le fobie, paure irrazionali, erano in realtà sintomo di un conflitto represso e sottostante e che non potevano essere «curate» senza anni di psicoanalisi che andasse a svelare e comprendere il materiale represso. Watson credeva che le fobie fossero apprese tramite condizionamento. 3 IL PICCOLO ALBERT Insieme alla collega Rosalie Rayner, Watson prese un bambino, conosciuto come “il piccolo Albert” e gli insegnò ad avere paura di un topo bianco, presentando un suono molto rumoroso e terrificante ogni volta che il bambino vedeva il topo, finchè solamente la vista del topo non iniziò a causare paure e pianto nel bambino. Anche se il piccolo Albert non aveva inizialmente paura del topo, l’esperimento funzionò. Il bambino si mostrò impaurito di fronte al topo bianco ma anche di fronte ad altri oggetti o animali pelosi, come un coniglio, un cane e un cappotto di pelle di foca. Watson voleva dimostrare che tutti i comportamenti sono il risultato stimolo-risposta come quelle descritte da Pavlov. La maggior parte dei nostri comportamenti funziona così: c’è stata un’acquisizione più o meno lenta tra: 2 stimoli, la vista del topolino (stimolo neutro) e l’ascolto del suono terrificante La risposta di paura La risposta di paura viene acquisita, quindi non è più necessario lo stimolo di rumore; basta lo stimolo neutro (topolino) perché si attivi la risposta. Più lo stimolo è pauroso, nocivo, pericolo per noi, più l’acquisizione è veloce. Se non ci siamo estinti, è perché abbiamo evitato tutto ciò che è pericoloso (cibo nocivo, situazione pericolosa). Il tempo necessario per creare un’associazione dipende da quanto è pericoloso un evento: Più è negativo, più lo acquisiamo velocemente Meno è negativo, più sono necessarie numerose ripetizioni dell’associazione affinché si crei l’associazione stimolo- risposta per apprenderlo. IL PROCESSO DI GENERALIZZAZIONE L’altro processo psichico compreso dai comportamentisti è il processo di generalizzazione: processo di apprendimento fondamentale del nostro cervello per renderci individui efficienti. Quando siamo molto piccoli, acquisiamo una simile informazione: vediamo una mela gialla, capiamo che si tratta di una mela; se vediamo un’altra mela, sia rossa che verde, riconosciamo che è sempre una mela. Man mano che il nostro cervello si sviluppa, il nostro cervello comincia a fare generalizzazioni, acquisendo informazioni in maniera molto più veloce e efficiente, con una capacità sempre più elevate ed esponenziale di apprendimento. Le funzioni cerebrali si evolvono e ogni volta le nuove informazioni si installano su quelle pregresse, quindi la capacità di generalizzazione ci rende molto efficienti. Il piccolo albert non reagisce solo al topolino bianco, ma anche a un peluche bianco o una copertina bianca, tutto ciò che ha caratteristiche molto simili al topo. Questo è ciò che si verifica in tutti noi quando si crea un’associazione di questo tipo. Esempio 1: attacco di panico Se sperimento qualcosa di negativo in una determinata situazione, riprovo quelle emozioni disturbanti quando mi ritrovo in una situazione uguale o molto simile (principio alla base dei disturbi ansia). Se qualcuno ha un attacco di panico al centro commerciale, presto comincerà a provare ansia in luoghi affollati, rumorosi (metropolitana, feste). In un attacco di panico si prova una sensazione di morte; se il nostro cervello percepisce danni alla nostra incolumità (anche se non è reale), quello è il massimo dell’allert: si crea un’associazione stimolo-risposta fortissima (catena spessa). Più si ripete questa acquisizione, oppure più è fondamentale per la nostra sopravvivenza, più è immediata la formazione di una catena molto spessa. Tutto quello che è negativo viene acquisito immediatamente. Questo accade anche in ospedale: una persona sta male (intervento chirurgico, situazione di grave compromissione della propria salute), percepisce un pericolo per la propria vita (anche se non è reale), pensa di stare per morire. Ha un attacco di panico, pensa di stare per morire, anche se non è vero; da qui è difficilissimo: per il principio di generalizzazione comincia a provare ansia (batticuore) e paura ogni volta che si trova in una situazione molto simile. Quindi si cerca di evitare queste situazioni (circolo dell’ansia). E’ molto importante spiegare alle persone che non sono loro incapaci, ma è il cervello a funzionare così, quindi bisogna approcciarsi in un altro modo. Esempio 2: indigestione Se qualcuno ha avuto un’indigestione, quella cosa a cui ha creato un’associazione (vera o presunta) non verrà più mangiata. Se ci si approccia nuovamente, insorge la nausea. L’associazione stimolo-risposta è immediata: non è necessario avere questo stimolo 10 volte, perché è nocivo, potenzialmente dannoso per la nostra sopravvivenza. Le persone non riescono più a uscire dal circolo dell’ansia. Quando le persone sottovalutano questa catena rinforzata più e più volte, diventa sempre più difficile. Esempio 3: fumo Se sono un fumatore, faccio fatica a smettere. Faccio di tutto per spezzare questa associazione, con vari escamotage smetto di fumare e assottiglio questa associazione, che viene estinta. In verità, l’associazione non si è spezzata, è andata in latenza: basta fumare una sola sigaretta per ricominciare a fumare. Questo è il grande problema della dipendenza da sostanze: Una persona che è stata un fumatore, lo è per sempre Una persona che è stata un alcolista, lo è per sempre Spiegarlo alle persone permette di capire che non è una loro incapacità, ma sono meccanismi fatti così e vanno trattati in un certo modo. 4 Grazie a Watson, viene dimostrato che tutto è condizionabile: noi possiamo essere condizionati nei nostri comportamenti a seconda degli stimoli subiti. Più abbiamo stimoli negativi o attraenti, più diventiamo condizionabili. L’associazione è forte anche se viene fatta in periodi molto importanti della nostra vita (età dello sviluppo). Durante lo sviluppo le nostre risorse (cognitive, comportamentali, emotive) sono al pieno delle capacità. Se avviene un evento traumatico, è molto più probabile sviluppare emozioni disturbanti. È diverso avere un lutto (perdere un genitore) a 3, 10, 15 o 30 anni. Un evento di vita estremamente stressante potrebbe diventare traumatico, perché avvenuto in una fase evolutiva traumatica. Viene creata una particolare associazione, che si protrae nel tempo. È quello che avviene nei bambini vittime di violenza, che sono segnati per tutta la vita. IL CONTROCONDIZIONAMENTO Una studentessa di Watson, Mary Cover Jones decide di ripetere l’esperimento di Waston e Rayner, aggiungendo però un training che avrebbe «cancellato» la reazione fobica del bambino alla vista del topo bianco. Replicò l’esperimento del «piccolo Albert» con un altro bambino, “il piccolo Peter”, condizionando con successo la risposta di paura di Peter alla vista di un coniglio bianco. Poi iniziò un processo di controcondizionamento, cercando di spezzare la catena: Peter veniva esposto al coniglio bianco da una certa distanza, mentre mangiava una pietanza che gli piaceva molto. Il piacere derivante dal cibo aveva maggior peso della paura verso il coniglio lontano. La situazione venne ripetuta per giorni, facendo avvicinare il coniglio sempre di più finché Peter non ebbe più paura del coniglio. Jones divenne una tra i primi pionieri della terapia comportamentale. Il comportamentismo è una delle principali prospettive attuali in psicologia. Tramite la psicoterapia, si cerca di esporre le persone piano piano a qualcosa che fa paura (esercizio di fisioterapia, dieta più sana, condizionamenti sociali). Es: per far smettere la popolazione di fumare, vengono create associazioni negative: si vieta di fumare in certi luoghi, vengono poste immagini paurose sui pacchetti da sigarette. Tutti gli interventi sociosanitari hanno una base comportamentista, si cerca di diminuire i comportamenti disfunzionali, associandoli a comportamenti funzionali. Quando si fa un intervento comportamentista su ansia / panico, si fa una lista di tutti gli eventi ansiogeni che la persona evita, e si fa un'esposizione graduale a questi eventi. Si cerca man mano di rinforzare la parte positiva. IL COGNITIVISMO La psicologia cognitiva nasce verso la fine degli anni 50/inizio anni 60 in parziale contrapposizione al comportamentismo. Si interessava dei processi cognitivi (la percezione, l'attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività), che erano stati trascurati dai comportamentisti. Ai comportamentisti si critica il fatto che non tutti i comportamenti sono legati all’associazione stimolo-risposta che riguarda la nostra sopravvivenza. Se sentiamo uno scoppio, tutti noi sentiamo paura. Ma tutte le altre situazioni non sono legate alla nostra sopravvivenza, ma ai nostri valori, le nostre idee, le nostre esperienze. IN REALTA’ il cognitivismo è una diretta filiazione del comportamentismo, è da questo che, sia pur per differenziarsi, il cognitivismo prende il via Gli stessi cognitivisti si ritenevano dei comportamentisti di “terza generazione”: 1. dopo la prima di Watson 2. la seconda (il neocomportamenwsmo) di Tolman, Skinnere Hull, 3. essi pensavano di vivere una nuova fase del comportamenwsmo Comportamentismo e cognitivismo si sono poi fusi, dando origine al filone cognitivo-comportamentista. Il termine COGNITIVISMO viene usato per la prima volta nel 1967 nell’opera “Psicologia cognitivista” (Neisser), che sintetizza con questo termine la prospettiva psicologica nascente negli anni sessanta. Prima di dare risposta ad uno stimolo questo viene trasformato, manipolato, rielaborato. Ulriech Neisser: …Tutto quello che sappiamo della realtà è stato mediato non solo dagli organi di senso ma da sistemi complessi che interpretano continuamente l’informazione fornita dai sensi… (1976). Questi eventi interni, naturalmente, non sono direttamente osservabili, devono essere inferiti, ma si tratta di inferenze possibili. IL COGNITIVISMO L’ABC è una tecnica di formalizzazione sia dell’accertamento cognitivo che del lavoro terapeutico cognitivo. Il termine ABC è di Ellis e si tratta di un sistema per incoraggiare il paziente a comprendere i suoi stessi meccanismi cognitivi di valutazione degli eventi. Il modello ABC: aiuta nella metacognizione e nel lavoro terapeutico. ABC è un acronimo, dove A sta per antecedent, B per belief e C sta per consequence. L’antecedent è lo stimolo di partenza, che in terapia è una situazione problematica in cui la sofferenza emotiva si è presentata in maniera particolarmente vivida e concreta. Per lo più si tratta di situazioni: guidare l’auto, parlare in pubblico. I B sono i pensieri, le convinzioni (ovvero, in inglese, i belief) che il paziente ha utilizzato per valutare positivamente o negativamente l’antecedent. Infine i C, le consequences, possono essere emozioni o comportamenti , azioni. 5 TABELLA ABC Ipotizziamo: prendo tre persone ( Sara, Elisa, Federica ) che vivono la stessa situazione “hanno tutte e tre un fidanzato che devono chiamarle alle 8:00; sono le 9:00 e il loro fidanzato non ha ancora chiamato” vediamo possibili reazioni ( che sono sempre emotive e comportamentali ): Sara va in ansia Elisa è tranquilla Federica si arrabbia Domanda: come è possibile se la situazione di partenza è la stessa? Una risposta corretta potrebbe essere l’esperienza, sicuramente l’esperienza (come dicevano i comportamentisti) possiedo un’associazione pregressa che mi stimola una risposta. Domanda: L’associazione è diretta? È quindi un’ associazione stimolo risposta, o c’è qualcosa di altro ? In una situazione di questo tipo viene spontaneo pensare! Quindi dall’evento alla conseguenza (ad eccezione di situazioni in cui c’è una minaccia per la nostra sopravvivenza) si passa per i pensieri, quindi la parte cognitiva: i pensieri sono diversi in base allo schema cognitivo che abbiamo, quest’ultimo dipende dall’esperienze, dai valori che ho, abitudini ecc. Une persone che per esempio va in ansia ha uno schema cognitivo che verte a pensare sempre al peggio: si parla quindi di distorsioni cognitive che porta il soggetto a valutare le situazioni come sempre catastrofiche, negative, ingigantite. Se, degli schemi cognitivi sono caratterizzati da distorsioni cognitive sarà molto più probabile che di fronte a un evento lievemente negativo, la conseguenza sia andare in ansia e agitarsi (Sara). La persona tranquilla (Elisa) farà dei pensieri più razionali; chi prova rabbia (Federica) ha uno schema cognitivo simile a livello di distorsioni ma ha polarizzazione inversa nel senso che è più portato a vedere gli altri ingiusti con se stessa ( a differenza di chi va in ansia che riscontra un ingiustizia nel sé). Statisticamente nella maggior parte delle situazioni noi non reagiamo ad un evento che accade ma al pensiero che facciamo che determina l’evento. Più che pensieri sono “beliefs” quindi credenze. L’esercizio è quello di trovare il minimo comune divisore tra molti eventi differenti e le reazioni che scatenano. Esempio: se in molte situazioni diverse ho “paura di fare brutta figura” “ho paura di fallire “ “ho paura del giudizio degli altri” l’aspetto comune in queste credenze è una sorta di pessimismo: quest’ultimo rappresenta il mio schema cognitivo. Antecedents Beliefs Consequences Sara non ha ricevuto la chiamata dal Avrà fayo un incidente Sara va in ansia suo ragazzo Elisa non ha ricevuto la chiamata dal È solo un’ora, appena potrà mi Elisa è tranquilla suo ragazzo chiamerà Federica non ha ricevuto la chiamata Si dimenwca di me Federica si arrabbia dal suo ragazzo TRIADE COGNITIVA Lo schema cognitivo che ho con me stesso, con gli altri e con il mondo definisce la triade cognitiva: siamo sempre in relazione con noi stessi, con gli altri e con il mondo. Quest’ultima diventa uno strumento anche nel caso della depressione: una persona depressa è convinta che: non vale niente, a nessuno interessa di lei, nella mia vita non otterrò niente: questa è la triade cognitiva della depressione. Un altro esempio a sostegno del fatto che non è l’evento che stimola la reazione è il caso dell’ipocondriaco: “l’ipocondriaco ha mal di testa, si convince di avere un tumore al cervello” non servirà a niente dire al paziente di stare tranquillo perché esso reagirà al suo pensiero, quindi se lui lo pensa è reale. Quindi l’unione di tutti i pensieri che convergono in una stessa direzione si definisce credenza. Lo schema cognitivo si sviluppa nel corso della nostra vita è viene modellato da diversi fattori: per apprendimento sociale (esempio: cresco in una famiglia in cui per qualsiasi cosa si va nel panico, la tendenza è quella di assorbire questa “tendenza” ); esperienze pregresse (esempio: una serie di esperienze mi convincono di essere un ragazzo sfortunato); la nostra geneUca; la società in cui siamo cresciuw (esempio: lo schema cogniwvo di chi cresce in grandi ciyà è diverso da quelli che abitano in campagna); Domanda: lo schema cognitivo (ad esempio) depressivo è assunto per genetica o perché sviluppato per interazioni con la famiglia, società …? Ad oggi si crede un po’ è un po’. Domanda: due persone cresciute nella stessa famiglia possono sviluppare schema cognitivi diversi? Si, per differenze genetiche o esperienze vissute in un mondo che ci circonda. 6 METODO SCIENTIFICO PROSPETTIVE CONTEMPORANEE La professoressa riprende l’argomento affrontato alla fine della scorsa lezione chiudendo il discorso sulle varie prospettive contemporanee. Prospezva psicodinamica: sviluppo del senso di sé, mowvazioni soyostanw alle relazioni sociali. Pur non essendo basata sulle evidenze si traya di una prospezva che sussiste ancora. Prospezva comportamentale: focalizzata sul comportamento osservabile Prospezva cogniwva: si concentra appunto sulle capacità cogniwve e sulle modalità d’apprendimento. Ormai queste ulwme due prospezve sono quasi sempre fuse insieme in quella che viene chiamata “prospezva cogniwvo-comportamentale”, approccio wpico dei sistemi sanitari: non bisogna pensare a quesw approcci solo come ad approcci psicoterapeuwci. Tuz gli approcci che prevedono una modifica nel comportamento dell’individuo hanno un approccio cogniwvo comportamentale. Prospezva socio-culturale: gli schemi cogniwvi si formano per le esperienze pregresse, per quello che si è appreso. Prospezva psicobiologica Modello biopsicosociale: modello accreditato nei sistemi sanitari per l’approccio alla persona. Unisce le tre componenti principali, partendo dalla parte biologica, che riguarda l’influenza dei nostri geni e di tutto quello che a livello ambientale va ad incidere sulla genetica (epigenetica), l’aspetto psicologico-comportamentale, quindi gli schemi cognitivi e i vari apprendimenti comportamentali, e la parte sociale: qual è la cultura che ci circonda, quali sono le nostre caratteristiche sociali (es. viviamo in un paese ricco o povero, quali sono le nostre condizioni economiche, culturali, in quale periodo storico viviamo). Questa è la base del funzionamento degli esseri viventi, soprattutto dell’essere umano. CHE COS’È LA PSICOLOGIA? È una scienza, in quanto si avvale del metodo scientifico, che è costituito da varie tappe: porsi un problema (nel nostro caso in ambito sanitario): ad esempio si può voler indagare sul funzionamento di un determinato farmaco per una determinata patologia, oppure se un farmaco funziona meglio di un altro, o ancora se un certo intervento non farmacologico funziona per una patologia o se funziona meglio di altre terapie affrontate in precedenza per la patologia stessa formulare delle ipotesi, che devono essere testabili e falsificabili, in modo da poterle confermare o meno. Ad esempio si può ritenere che un farmaco funzioni meglio di un altro perché va ad agire su signature biologiche che fanno parte della patologia che si vuole curare, oppure perché una certa modalità di intervento va ad agire su cerw aspez cogniwvi e comportamentali. si verificano poi le ipotesi, tramite trial, esperimenw, queswonari che possono andare a confermarle oppure no si analizzano i daU con metodi stawswci, e si traggono conclusioni. Bisogna evitare il bias di conferma, ovvero una sorta di percezione selettiva che può portare a trarre conclusioni sbagliate rispetto ai dati raccolti, oltre che a commettere errori metodologici in tutte le fasi sperimentali. Si tratta solitamente di un errore cognitivo inconscio in base al quale si tende a cercare di confermare le proprie ipotesi. Per questo motivo ci sono una serie di accortezze in ognuno dei metodi utilizzati nel metodo scientifico per fare gli esperimenti, per scegliere i metodi statistici e per trarre delle conclusioni al fine di ridurre il bias di conferma. Report: consiste nella quinta fase del metodo scienwfico, in cui vengono riportaw i daw oyenuw. In ambito medico si consultano riviste che sono fonw accreditate internazionali, con un riconoscimento ed un impayo importanw. Se per esempio vogliamo capire se un farmaco funziona più di un altro, si svilupperà un trial, si raccoglieranno i dati, si visualizzeranno le risposte che verranno poi analizzate statisticamente per trarre delle conclusioni, che verranno a loro volta pubblicate su riviste internazionali accreditate per quel settore. I dati riportati vanno incontro ad una revisione tra pari (peer review), eseguita da specialisti dell’ambito. È un metodo democratico e sicuro in quanto si tratta del lavoro di svariati studiosi, ricontrollato da altri esperti del settore, in modo che la risposta sia quanto più oggettiva possibile (la scienza è più lenta rispetto all’opinione soggettiva perché segue iter piuttosto rigorosi). Tipi di peer review: A singolo cieco: i revisori vedono gli autori, ma gli autori non vedono i revisori A doppio cieco: i revisori non vedono gli autori e gli autori non vedono i revisori. In questo modo si è più lontani possibili da un’influenza rispeyo ai daw. È il metodo più accreditato. Aperta: chi revisiona vede gli autori, gli autori vedono i revisori (non accade quasi mai) Negative result publication bias: si tratta di un bias molto frequente in ambito medico, in particolare in quello farmacologico, in base al quale si tende a pubblicare solo i risultati positivi. 7 È importante la replicabilità dello studio scientifico o dell’esperimento, in modo da poter dimostrare l’attendibiltà dei risultati ottenuti. Quali metodi consideriamo scientifici nella raccolta dei dati? Metodo osservazionale o naturalisUco: consiste nel guardare gruppi di cose o di persone nel loro ambito naturale, in modo che non siano influenzaw da sezng più arwficiosi. È più uwlizzato in ambiw non preyamente medici, come in quello dell’osservazione dei bambini, quello lavorawvo o ancora una volta quello animale, ma anche in ambito medico è un metodo molto accreditato: ciò porta a testare sul campo quello che già è stato approvato durante i wral più ristrezvi, in modo da verificare da oyenere nel cosiddeyo “real world” gli stessi risultaw visw in ambienw più rigorosi. Ha come svantaggio la presenza di fayori che non possiamo tenere in considerazione o controllare. Studio singolo (case study): metodo uwlizzato prevalentemente in ambito medico, viene studiato con metodologia estremamente rigorosa un singolo evento. Il case study più celebre fu quello di Phineas Gage, che fu trafiyo a livello fronto-temporale e sopravvisse con delle grandi compromissioni comportamentali e dell’inibizione (perché il lobo frontale regola anche l’inibizione). Fu uno dei primi casi riportato in maniera puntuale. Molto diffuso soprayuyo in alcuni ambiw della medicina specialmente in casi molto parwcolari. Lo svantaggio è che quesw casi non sono mai generalizzabili, in quanto molto parwcolari. Survey, quesUonari, sondaggi: consistono nel porre una serie di domande rispeyo ad un determinato argomento. Vengono uwlizzaw in modo da raccogliere le opinioni di ampi gruppi di persone. Trovano largo uso in ambito medico (si pensi ai numerosi sondaggi proposw in tempo covid agli operatori sanitari), in quanto permeyono di raccogliere le informazioni provenienw da tanwssime persone; negli ulwmi anni la diffusione è ancora più ampia grazie all’uwlizzo di strumenw quali pc e telefoni cellulari che ci permeyono un accesso più facile. Gli svantaggi sono le numerose variabili che possono intercorrere: innanzituyo bisogna costruire i sondaggi con un rigore metodologico che tenga conto di vari fayori (ad esempio è necessario fare ayenzione alla lunghezza: se è troppo lungo la persona probabilmente non lo compilerà tuyo, ma se è lungo il giusto bisogna comunque considerare che l’ayenzione non sarà uguale in ogni momento del sondaggio. Inoltre si deve trovare un metodo per capire che le risposte non siano state date con casualità, perciò tra le domande, distribuite con un certo rigore, molto spesso vengono inserite domande ripetute, magari poste in modo diverso, in modo da avere un controllo interno); inoltre bisogna tenere conto della rappresentawvità campionaria (ad esempio se voglio indagare sull’Italia, bisogna considerare una feya di popolazione che ne sia rappresentawva: non posso ad esempio intervistare 1000 persone di cui 800 sono donne, giovani ecc… poiché ciò renderebbe il campione non rappresentawvo). TIPI DI BIAS CHE POSSONO INTERCORRERE IN UN SONDAGGIO Bias di selezione. Bias a\enUvi: il queswonario deve seguire delle psicometrie per diminuire gli errori delle risposte. Bias di cortesia o desiderabilità sociale: ciascuno di noi tende a dare le risposte che riteniamo più socialmente correye. Ciò accade molto più frequentemente durante un sondaggio svolto in presenza (per questo è più posiwvo compilarli da soli), ma succede anche da soli. Esempio: sondaggio sui pregiudizi di genere connessa con la salute mentale delle donne. Si traya di un tema in cui si azva la desiderabilità sociale, tuyavia una delle risposte più date è stato che swrare è una cosa da/per donne. Si può in ogni caso presupporre che la popolazione che ha dato questa risposta è solo una feya di coloro che lo pensano, in quanto probabilmente lo pensano hanno edulcorato la risposta. Si traya di un bias che avviene sempre, in ogni wpo di indagine (a meno che una persona non sia affeya da disturbo opposiwvo, con la tendenza contraria rispeyo alla desiderabilità sociale. DISCUSSIONE SONDAGGIO: Allo scadere del tempo per rispondere al sondaggio somministrato, la docente rivela che quest’ultimo fosse fittizio, o perlomeno un prototipo per farci capire il numero di variabili da considerare quando si va ad analizzare il responso di un sondaggio, come ad esempio: domande compilate a caso, non capite o date secondo un pensiero socialmente più accettabile, a discapito di quello che realmente pensa il soggetto. METODO SPERIMENTALE, LE VARIABILI: Ci sono tre tipi di variabili all’interno di un esperimento, dipendenti, indipendenti e confondenti: Variabili Indipendenw(VI), sono le variabili che all’interno di un esperimento che lo sperimentatore manipola e quindi fa variare Dalla variazione di quest’ulwma dipende il valore assunto dall’altra variabile (la cosiddeya variabile dipendente VD). È quella che si vuole andare ad analizzare Le variabili confondenw: sono fayori che possono influenzare l’esito dell’esperimento. (abitudini es fuma, beve) Le variabili confondenti vanno tenute sotto controllo, in modo che il valore della variabile dipendente, dipenda solo dalla variabile indipendente. In un esperimento, dunque, lo sperimentatore manipola direttamente una o più VI cercando di studiare l’effetto di queste su una o più VD. 8 CONTROLLO SPERIMENTALE: Con controllare si intende mantenere fisse le variabili confondenti o eventualmente farle variare sotto il diretto controllo dello sperimentatore, questo tipo di controllo si chiama controllo sperimentale. Inoltre si può utilizzare come mezzo di comparazione Il caso controllo; è il metodo sperimentale più rigoroso, ossia quello che da risultati più affini alla realtà. Spesso si usa il termine “Trial” per riferirsi a questo metodo. Si chiama sperimentale perché si hanno minimo due gruppi, uno di controllo e uno sperimentale, es: un gruppo che prende il farmaco e un gruppo che non lo prende. In termini di variabili, il gruppo sperimentale prevede che i partecipanti siano soggetto della VI, mentre i partecipanti del gruppo di controllo non sono soggetti alla variabile indipendente, in alcuni caso a quest’ultimi viene dato un placebo. Questi trial sono presenti quasi sempre con l’acronimo RCT (randomized control trial), controllato perché come si è detto prima esistono due gruppi, randomizzato perché i soggetti vengono assegnati in modo casuale al gruppo sperimentale o al gruppo di controllo, al fine di ridurre al massimo l’influenza di variabili confondenti (di qualsiasi natura); nel senso che non vengono fatte distinzioni su caratteristiche e abitudini per la scelta del gruppo in cui finirà l’individuo. L’RCT ci aiuta a capire se una cura, un farmaco oppure una procedura è più o altrettanto efficace rispetto ad un’altra. RISCHI SPERIMENTALI: Durante il corso di un esperimento il reale andamento dello studio può essere compromesso da più fattori come ad esempio la casualità; una persona può migliorare spontaneamente, o allo stesso modo, peggiorare. Inoltre, quando lo studio viene eseguito su persone piuttosto che su animali, possono nascere ulteriori problematiche legate alla veridicità dei risultati ottenuti, poiché le persone si fanno influenzare dai loro pensieri o bias, compromettendo lo studio dell’esperimento. Quest’ultimo meccanismo è chiamato effetto aspettativa, ad esempio: sto testando un farmaco che dovrebbe farmi bene, questo influenza le aspettative non solo mie ma anche dello sperimentatore, e si va a distorcere l’oggettività scientifica. Effetto placebo e nocebo L’effetto aspettativa tradotto in termini medici-farmacologici diventa effetto placebo. Con placebo si intende qualcosa di finto, ad esempio una pillola, che però può produrre di per sé un miglioramento dovuto all’autoconvincersi che si starà meglio dopo aver seguito tale terapia, diventa quindi necessario confrontare i risultati ricavati con una terapia finta e una vera, ed è stata più volte provato che il placebo si avvicina di molto ai risultati ottenuti con la cura reale, rendendola una vera e propria terapia funzionante, ed anche molto forte. All’inizio l’effetto placebo veniva usato come contraltare dell’effetto sperimentale, poi ci si è interessati sempre di più a cercar di capire i passaggi neuro-psicologici che consentono un reale miglioramento senza un effettivo contributo “chimico”. Il placebo, non è solo prendere il medicinale e pensare di star bene, ma è a tutti gli effetti un rituale terapeutico, ossia tutto il contesto psicosociale che circonda il paziente, ambiente sanitario, figura del medico, strumenti e apparecchiature; un farmaco somministrato dal personale sanitario che stabilisce un certo rapporto di contiguità col paziente, produrrà risultati diversi dallo stesso farmaco somministrato però da un computer. Tuttavia non è ancora del tutto chiaro come funzioni. Il placebo si esprime al meglio nelle patologie dove la componente psicologica è importante, come ad esempio ansia e depressione, al contrario nei casi dove la mente non concerne con la patologia il placebo è pressoché di poco impatto (ad esempio antibiotico placebo). Il contrario del placebo è il nocebo, penso che una cosa mi faccia male e mi farà male. Degli esempi di effetto nocebo sono il sibilo del trapano del dentista, ancor prima che il dente venga toccato il soggetto percepisce dolore, o ancora il bugiardino dei medicinali, che porta il paziente ad avere i sintomi appena letti, come mal di testa o nausea, seppur essi non siano dovuti al farmaco. In sostanza un’aspettativa positiva aumenta la possibilità che la terapia si concluda in successo, al contrario una negativa. Grazie alla relazione terapeutica si può aumentare l’effetto delle cure che somministriamo, o diminuire l’effetto nocebo. Studio in cieco o doppio cieco I trial si fanno sempre in cieco o doppio cieco, cieco solo quando uno non sa, ad esempio solo lo sperimentatore sa se il paziente ha preso il placebo oppure un farmaco vero, oppure doppio cieco (i più accreditati) né lo sperimentatore né il paziente sanno. Ovviamente c’è una triangolazione nel doppio cieco, il paziente è in cieco, idem i valutatori che fanno i test prima e dopo la cura sono in cieco, mentre il medico non è in cieco, anche perché ci deve essere qualcuno che sappia quale e come farmaco somministrare. 9 LA PERCEZIONE E L’APPRENDIMENTO LA PERCEZIONE La prima interazione che abbiamo con il mondo e con noi stessi proviene dalla percezione, il primo passaggio è sempre dato dal percetto di qualcosa. La percezione ha una definizione complessa perché è un processo attraverso il quale vengono raccolte le informazioni dagli organi di senso e vengono organizzate in oggetti, eventi o situazioni dotati di significato per il soggetto. Nel momento in cui vi è un percetto nella nostra testa, questo si attiva in automatico e ci permette di identificare qualcosa automaticamente. Tutto parte dall’attivazione degli organi di senso, anche noi stessi ci percepiamo con l’attivazione di quest’ultimi che inviano costantemente informazioni al nostro cervello (sensazioni), informazioni molto elementari, immodificabili, che durano pochissimo e che per la maggior parte vengono perse, perché sarebbe inutile che il nostro cervello le processi tutte. Anche in questo momento i nostri organi di senso stanno mandando informazioni rispetto alla temperatura, alla posizione del corpo, ma è inutile che il cervello incameri tutto. Avviene quindi una selezione delle informazioni, si formano le cosiddette “rappresentazioni percettive”: sono delle unità di informazione complesse attraverso le quali delle informazioni vengono selezionate con dei processi che sono alla base di tutte le funzioni psichiche; queste vanno dalla percezione, alla memorizzazione e all’apprendimento di qualcosa, per far sì che si crei una rappresentazione percettiva che ha un significato nell’esperienza di vita del soggetto. I principi generali che creano una rappresentazione percettiva: 1. Ridondanza 2. Attenzione 3. Organizzazione LA RIDONDANZA La ridondanza è la ripetizione, più uno stimolo viene ripetuto ai nostri organi di senso, volontariamente o involontariamente, maggiore è l’informazione che passa; questa viene appresa e memorizzata diventando una vera e propria rappresentazione percettiva. Esempio: fin dalle prime fasi di vita, sentiamo una ripetizione di odori, di suoni, di esperienze tattili e ad un certo punto avviene l’associazione con mamma e papà. Il fatto di avere un percetto che si ripete, entra a far parte della nostra esperienza e questo ci permette di essere collocati nel qui ed ora, collocandoci temporalmente sia prendendo esempio dal passato, sia prevedendo il futuro. Esempio: Ho imparato nella mia vita che quando la situazione è così è meglio stare zitti; ho imparato che nella mia vita quando il cielo è così è meglio uscire con l’ombrello. Se non abbiamo nessun percetto siamo disorientati. La ripetizione è un processo che ci permette di automatizzare: tutte le nostre funzioni psichiche di base si sono sviluppate per renderci più adattivi possibili all’ambiente; quindi, tutto ciò che è fondamentale il cervello lo deve automatizzare, così facendo diventiamo più adattivi e più efficienti. Avviene quindi il processo di economia cognitiva, cioè impieghiamo sempre meno energie cognitive per fare qualcosa che si è automatizzato. Nei processi di automatizzazione, come nei percetti, c’è sempre un effetto collaterale ma è sempre minore rispetto al beneficio che possiamo avere. ESEMPIO 1: Disegno frammentario di un elefante: Siamo adulti e non c’è bisogno di vederlo intero per capire che è un elefante, ma un bambino piccolo può fare fatica a riconoscerlo perché non ha il percetto. 10 ESEMPIO 2: proviamo a leggere. “Sceodno dei recaricorti dlel’Utievnsirà di Cmabdrigde non iomrtpa in qlaue oidnre vnongeo sritcte le ltrteee in una proala, l’uicna csoa ipotamrnte è che la pirma e utlmia lteetra saino al psoto gusito. Il rseto può esesre una cnuosifone ttaole ed è cmunoque psoibisle lgeerlgo sneza porlembi. Qestuo prcehè la mnete uamna non lgege ongi sngiola lteerta, ma la praola nel suo isienme” Dimostra che il linguaggio e la lettura sono processi cognitivi estremamente complessi, ci abbiamo messo anni ad apprenderli. L’apprendimento si è basato proprio sulla ripetizione: partendo dalla lettura di lettere, poi fonemi, morfemi ecc…Man mano acquisendo la capacità di lettura e rendendola più veloce e complessa, finché è diventato un processo automatico. La lettura è un classico esempio di percetti che sono già presenti nella nostra testa; quindi, il cervello non guarda tutta la parola, coglie delle lettere e comprende immediatamente. Ecco perché le persone che leggono moltissimo sono velocissime a leggere, perché comprendono il significato senza che il cervello debba esaminare tutta la parola. L’effetto collaterale può essere quello di scambiare una parola per un’altra molto simile, ma nell’insieme non importa, è un errore accettabile. Un bambino delle elementari questa frase non riesce a leggerla perché il processo cognitivo non è ancora strutturato. Anche un adulto, ad esempio, se dovesse leggere questa frase in inglese, a meno che non sia madrelingua, non ce la farebbe, perché quel processo non è strutturato. Tutte le procedure le impariamo per ripetizione. L’ATTENZIONE È un meccanismo psichico fondamentale, in cui è presente un maggior contributo della volontarietà e delle nostre capacità psichiche. Insieme alla ripetizione sono le funzioni fondamentali, i due processi trasversali. È un processo molto complesso, molto più della ripetizione: è la capacità di mettere un focus su alcune cose, queste poi hanno maggiore probabilità di passare gli step successivi (come una sorta di imbuto). Lo spostamento dell’attenzione dipende sempre dalle caratteristiche dello stimolo, cioè più uno stimolo è saliente, soprattutto in termini emotivi, più attrae la nostra attenzione e dalla capacità del soggetto di spostare la sua attenzione. Tali capacità attentive sono individuali, esistono persone persistenti nell’attenzione e molto performanti, si lasciano distrarre da poco; altre persone si distraggono con poco ma rimangono comunque funzionali; poi esistono persone con un disturbo attentivo (aspetto patologico ADHD, sindrome da iperattività), diagnosi che viene fatta nel 2-3% della popolazione. Il disturbo viene diagnosticato nei bambini nel periodo scolastico in modo che alcuni deficit attentivi possano essere corretti con strategie comportamentali; non riuscire a mantenere l’attenzione può rappresentare una zavorra nella nostra efficienza, ma averlo in modo patologico significa non poter avere tutti gli step dei processi, perché si parte già sfasati nel primo e non si crea “l’imbuto” di informazioni. Nei bambini con un grave deficit di attenzione si nota l’iperattività, perché non riuscendo a mantenere l’attenzione continuano a muoversi. È necessario ricordare che l’attenzione è un filtro, a seconda di dove si sposta, passano informazioni e stimoli specifici. La teoria del filtro di Broadbend (1958) afferma che, quando due stimoli vengono presentati contemporaneamente, solo uno dei due può passare il filtro, mentre l'altro rimanendo immagazzinato nel buffer sensoriale, può essere elaborato successivamente; questo meccanismo di selezione è necessario per evitare un sovraccarico d'informazione. Tuttavia, le limitazioni imposte all'elaborazione contemporanea di due stimoli si riducono notevolmente se gli stimoli da elaborare sono tra loro dissimili. Esempio: se fa freddo in aula, quella condizione la ricorderemo perché ha disturbato per due ore, perché è saliente, e ricorderemo anche delle cose che ci ha detto la docente o che sono scritte perché abbiamo spostato l’attenzione. È sempre un mix tra eventi esterni che, data la loro caratteristica, passano, e dove noi abbiamo spostato l’attenzione. Non è detto che verranno memorizzati. Noi non solo siamo in grado di far passare le informazioni su cui prestiamo l’attenzione, ma il nostro cervello riduce proprio l’intensità di quello che non è nel focus attentivo. Esempio: siamo sul treno, c’è rumore, stiamo leggendo, non sentiamo nient’altro. Il cervello ha degli strumenti che amplificano gli stimoli su cui do attenzione e riduce quelli su cui non la do, questo ci rende efficienti. Tale effetto viene chiamato “Cocktail party”, termine usato dai ricercatori per far capire cosa accade: è come se fossimo ad una festa, con tanto rumore e gente che parla, ma fossimo particolarmente interessati a capire cosa dice il gruppo nel tavolo accanto (magari perché parlano di una persona che conosco o di qualcosa che mi interessa), riuscendo ad amplificare la nostra capacità attentiva e a sentire comunque, spostando l’attenzione e amplificando gli stimoli provenienti da quel discorso e riducendo tutte il resto. Tenderemo a ricordarci maggiormente tutto quello che attirerà la nostra attenzione da un punto di vista emotivo, insomma quando lo stimolo è saliente. 11 ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA Il cervello percepisce un insieme di elementi e non le singole unità, è raro che le persone abbiano sensazioni isolate. A seconda dell’insieme percepito è presente un certo percetto (dato dall’esperienza), che permette di conferire un significato all’insieme. Lo stimolo che arriva allo step successivo, l’apprendimento e la memorizzazione, già riceve un sacco di bias, di influenze, dipende da quanto noi spostiamo l’attenzione, da quanto ci interessa quello stimolo, da quanto si ripete nella nostra vita. Questo è il motivo per cui per alcune persone una cosa può essere rilevante e viene memorizzata, mentre un’altra persona non ricorda neanche che sia successa perché non ha attirato la sua attenzione, non era saliente quindi non si è proprio formato il percetto. Certi tipi di organizzazione percettiva appaiono così universali e naturali che si suppone siano innati e non il risultato dell’esperienza pregressa, essi vengono chiamati “principi dell’organizzazione”: LEGGE DELLA VICINANZA: elementi che stanno vicini vengono definiti come insieme unitario, vengono raggruppati e visti come figura; LEGGE DELLA SOMIGLIANZA: gli elementi di un gruppo che si somigliano (per forma o colore ad esempio) vengono raggruppati e visti come figura; LEGGE DELLA CHIUSURA: gli elementi di un insieme che tendono a chiudersi in forme riconoscibili vengono percepiti come figura (il cervello riesce a ricostruire le parti mancanti di quella figura grazie alla memoria che ha di quel particolare oggetto) ESEMPIO 1: Nella figura si vedono dei triangoli ma non ci sono, sia perché ci sono delle figure che chiudono degli spazi ma anche perché questi precetti sono già nella nostra testa; Come il pallone da calcio che in realtà non c’è ma ognuno di noi lo vede LEGGE DELLA CONTINUITÀ: gli elementi di un insieme che si susseguono in una continuazione regolare e logica sono percepiti come figura. LEGGE DELLA ESPERIENZA PASSATA: gli elementi che danno origine a figure conosciute tendono ad essere percepiti unitariamente Sono tre righe, non c’è la lettera E. Non esiste e noi la vediamo perché il cervello “viene ingannato” dal percetto quest’ultimo è automatico e tornare indietro è difficile, perché torna sempre la lettera E nonostante siano delle linee. LE ILLUSIONI PERCETTIVE Le illusioni percettive si verificano quando vediamo qualcosa che non esiste, ma che il nostro cervello percepisce. Si verifica un’illusione nei seguenti casi: Quando si percepisce un dato inesistente Quando non vengono percepiti alcuni elementi realmente presenti nella realtà Quando vengono percepiti dati ed aspetti diversi da quelli reali LE ILLUSIONI OTTICO-GEOMETRICHE Illusione di Müller-Lyer: una linea sembra più corta dell’altra ma sono lunghe uguali. 12 Illusione di Zöllener: le linee oblique, pur essendo parallele tra loro, sembrano convergere da un lato e divergere dal lato opposto. Illusione di Titchener: i due cerchi centrali sono uguali, ma il cervello percepisce la somiglianza per comparazione; quindi, a sinistra lo vediamo più grande e a destra più piccolo. Questo lo vediamo girare In questa immagine si può vedere sia una ragazza che una persona anziana, dipende da dove cade l’attenzione. Se presto attenzione al profilo vedo una ragazza, se invece guardo la linea nera vedo una donna anziana. Non c’è nessuna interpretazione psicanalitica, dipende solo da dove cade l’attenzione. Possiamo quindi affermare che il primo passaggio sia la percezione: gli organi di senso ci mettono in contatto con noi stessi, gli altri e il mondo. Il percetto o rappresentazione percettiva è il risultato della percezione degli organi di di senso, il primo step è quindi già influenzato da tantissimi fattori: la ripetizione, dove viene collocata l’attenzione o l’organizzazione percettiva. Alla fine, è tutto relativo cioè che si vede, dipende sempre dallo sguardo con cui vedo, interpreto e concludo le cose. Nella maggior parte degli eventi della nostra vita ciò è differente da persona a persona. L’APPRENDIMENTO L’apprendimento è un cambiamento effettivo o potenziale del nostro comportamento. È possibile apprendere qualcosa che crea delle conoscenze che rimangono in noi, vengono strutturate, interiorizzate e potrebbero portare ad un cambiamento non immediato ma successivo. I principi fondamentali legati all’apprendimento: L’apprendimento ha valore adattativo per la nostra vita, apprendiamo volontariamente o involontariamente tutto ciò che ci ha reso più adatti all’ambiente che ci circonda. A meno che non ci siano dei disturbi del neurosviluppo per cui alcune funzioni cognitive sono mancanti, carenti o disfunzionali, tutte le altre persone apprendono ciò che è stato adattivo nel loro ambiente. Se sono presenti meccanismi disfunzionali, non è la persona ad essere disfunzionale ma l’ambiente in cui era immersa. Esempio: se cresco in un quartiere degradato e altamente violento, apprendo dei comportamenti o degli schemi sociali che sono disfunzionali ma che sono stati perfettamente adattivi nella mia vita. Quindi quando delle persone hanno dei comportamenti disfunzionali anche molto diversi, ad esempio riguardo l’alimentazione o dei comportamenti aggressivi, vuol dire che li hanno appresi. Un cambiamento deve essere relativamente stabile e duraturo. Apprendiamo qualcosa quando lo sentiamo interiorizzato. Non è che tutto quello che passa dalla percezione poi va appreso. Studiamo, diamo attenzione, ripetiamo, ma molte cose vanno perse, non le abbiamo apprese, altre cose invece le ricordiamo e fanno parte di noi. È possibile che ciò che non ricordiamo vada perso o entri in una fase di latenza. 13 L’apprendimento deve essere continuo, se ha una funzione adattativa deve essere duraturo e stabile in tale processo. Tutti noi possiamo costantemente apprendere, modificare i nostri comportamenti e i nostri schemi cognitivi, a qualsiasi età. Ovviamente esistono delle finestre cognitive dove l’apprendimento ha maggior velocità: le finestre più potenti si hanno dalla nascita all’adolescenza poiché il cervello è ancora in fase di sviluppo, continua ad aumentare in termini di sinapsi, neuroni e capacità di apprendimento. Ecco perché imparare uno strumento, una lingua, uno sport da bambini richiede meno tempo che farlo da adulti. La comprensione di queste fasce temporali di apprendimento ha fatto sì che le società cambiassero proponendo dei programmi molto più stimolanti, soprattutto per coloro ai quali vengono individuati dei deficit o delle difficoltà attentive del linguaggio o comportamentali. Quindi, il cervello tra la nascita e l’adolescenza è talmente elastico che nel caso ci siano dei piccoli deficit esso può essere ristrutturato e potenziato con grossa facilità; proprio per questo si è molto più attenti agli screening per identificare prima i deficit al fine di recuperare le funzioni il prima possibile. Le uniche condizioni in cui non possiamo apprendere o in cui l’apprendimento è difficoltoso sono: Disturbi del neurosviluppo, disturbi cognitivi gravi: disturbi neurologici a causa dei quali non è impossibile ma è molto complicato l’apprendimento, non vi sono proprio le funzioni di base per esso. Decadimenti cognitivi: sono i casi in cui le funzioni erano presenti ma iniziano a degenerare, la parte cognitiva degenera e ciò fa sì che si inizino a perdere le funzioni di base. A volte questi decadimenti riguardano la memoria, a volte l’attenzione, anche entrambe; oppure vengono intaccate principalmente delle funzioni mnemoniche dette “memoria del lavoro” che è proprio quella che ci permette di apprendere, si tratta della memoria a breve termine. Man mano che degenera questa memoria a breve termine, si può osservare come il soggetto non si ricordi più il “qui e ora”, ma si ricordi elementi della memoria a lungo termine, ovvero si perde la collocazione del tempo e si è sempre più collocati nel passato. Queste condizioni gravemente patologiche e con le quali le funzioni sono compresse da deficit gravi del neurosviluppo, decadimenti cognitivi o grandi eventi traumatici, sono tre modi diversi in cui però sono coinvolti delle lesioni celebrali (alcune parti del cervello non si sono sviluppate, implodono oppiure sono state danneggiate). Inoltre, nella riabilitazione giocano un punto fondamentale, oltre ovviamente all’impatto dell’evento traumatico, anche le funzioni cognitive pregresse. Esempio: una persona ha un ictus, la riabilitazione è diversa in base alle funzioni cognitive precedenti; infatti, si troverà in una situazione più agevolata se era cognitivamente molto attiva, in un ambiente sociale molto attivante, mentre accadrà il contrario se era povera e isolata cognitiviamente. Esistono vari tipi di apprendimento, meccanismi che variano ma sono presenti tutti nella nostra vita, in alcune fasi ne prevale uno piuttosto che un altro, ciò dipende dalle caratteristiche dello stimolo. 1) Sensibilizzazione Si tratta di una prima forma di apprendimento che consiste nell’aumento della risposta a seguito di una ripetuta presentazione dello stimolo. È come se fosse presente una soglia che si abbassa, aumentando quindi la reattività. Se tutte le forme di apprendimento si sono sviluppate per essere più reattive possibili, si può dedurre che sia prevalente negli stimoli negativi. È infatti molto adattiva, ci protegge, perché vuol dire che lo stimolo è nocivo in termini fisici e psicologico; può trattarsi per esempio di una sostanza, di un ambiente negativo, una persona. Ovviamente è presente un effetto collaterale: quando la persona inizia a reagire in maniera esagerata anche se lo stimolo non è così negativo, nonostante la persona dovrebbe poter reagire in maniera più resiliente. Esempio: una persona alla quale basta dello stess medio o minimo affinché inizi ad avere ansie, preoccupazioni o reazioni di stress psicosomatico; certo, queste reazioni la proteggono, ma la rendono poco resiliente. Oppure quando si crea un’associazione stimolo-risposta disfunzionale che causa un attacco d’ansia. 2) Abituazione, assuefazione Il contrario della sensibilizzazione, la soglia invece che abbassarsi si alza, si verifica una diminuzione della risposta alla ripetuta presentazione dello stimolo. L’abituazione ha altissimo valore adattivo: man mano che ci abituiamo ci permette di essere resilienti al mondo che ci circonda. È presente per una vastità di stimoli: fisici, biologici e psicologici. Esempio: il corpo si abitua a resistere ad un virus oppure ci abituiamo ad un ambiente rumoroso, diventiamo quindi resilienti. L’abituazione ha effetti collaterali: quando ci abituiamo a qualcosa che è disfunzionale dal punto di vista psiologico (abituarsi ad un ambiente e una comunicazione violenti, ad un ambiente sociale degradato), ma anche biologico molecolare (il nostro organismo si abitua ad una sostanza, e quindi non ha più una certa risposta). Degli esempi che riguardano quest’ultimo ambito sono quello della resistenza antibiotica (ne facciamo talmente tanto uso che il nostro corpo si abitua) e il grande problema delle dipendenze: il corpo si abitua ad una sostanza e per avere l’effetto che provoca è necessario assumerne sempre di più; questo succede con vari farmaci ma anche con antidolorifici e con le benzodiazepine (fenomeno importante soprattutto nella categoria degli operatori sanitari). 14 Un ulteriore problema è l’alcol, un’altra sostanza che dà una grossa assuefazione, come la cocaina. Tutto quello che è abituazione vuol dire che è stato estremamente strutturato e quindi è diventato automatico. Insieme alla sensibilizzazione, l’abituazione è una forma di apprendimento fisiologico, che il nostro corpo apprende a livello molecolare. 3) Condizionamento classico Un’altra forma di apprendimento è il condizionamento classico: i comportamentisti riescono a comprendere come si creano dei comportamenti, ovvero l’associazione stimolo risposta, grazie alle scoperte di Pavlov, fisiologo che vinse anche il nobel per la medicina grazie alle sue ricerche sulla digestione che lo portarono a scoprire i meccanismi di apprendimento automatico. Il cane di Pavlov: venne preso in esame un cane, al quale inizialmente veniva misurato l’aspetto digestivo ma ciò che venne notato era che il cane reagiva alla campanella dell’inserviente, suonata prima di dargli il cibo. Ci sono degli stimoli nel nostro ambiente che sono incondizionati (non tutti gli stimoli hanno quelle caratteristiche per essere incondizionati), come quelli legati alla sopravvivenza che nel nostro cervello sono innati e generano delle risposte incondizionate (esempio: cibo). La maggior parte degli stimoli nel nostro ambiente però è neutra: non hanno nessuna valenza o significato per la nostra sopravvivenza, non attivano nessuna risposta incondizionata. Se casualmente o volutamente si fa precedere uno stimolo neutro da uno incondizionato, viene condizionato quello neutro. Nel caso del cane di Pavlov la risposta incondizionata era diventata condizionata: prima di portare il cibo veniva suonata la campanella, a seguito di ripetizioni, la risposta incondizionata diventa condizionata, ovvero ad un certo punto bastava presentare lo stimolo neutro per ricevere la risposta condizionata. Tale evento avviene sempre nella nostra vita: vengono fatte delle associazioni tra uno stimolo neutro e una risposta, lo stimolo neutro viene associato a qualcosa di rilevante Esempio: ho fatto un incidente in un bosco e tutte le volte che ci passo mi agito, si crea quindi una risposta condizionata. Tutte le grandi catene alimentari sanno come condizionare gli individui: la cosa più importante è associare, fin dall’infanzia, una risposta ad uno stimolo neutro. Esempio: noi vediamo la M di Mc Donald’s da lontano e ci viene voglia di andare; la coca cola ha dei colori e un marchio che vengono riconosciuti in tutto il mondo. Il brand diventa più forte del loro prodotto, perché si crea un’associazione. Noi ci pensiamo maggiormente liberi rispetto al passato, ma proprio perché siamo circondati da più stimoli, siamo molto più condizionati. Esiste il controcondizionamento che solitamente viene applicato in condizionamenti che risultano disfunzionali. Esempio: in caso di alcolismo è possibile, attraverso specifici farmaci, indurre una risposta negativa per spezzare lo stimolo e la piacevolezza. Tante volte i condizionamenti che abbiamo ricevuto muovono le nostre scelte quotidiane, influenzano per esempio la creazione degli schemi cognitivi sociali (pregiudizi e cosa pensiamo delle regole sociali, ecc…), che sono per lo più inconsci, ecco perché di solito non si agisce per eliminarli. Quindi, per attuare il controcondizionamento come si procede? Bisogna essere innanzitutto consapevole e poi disattivare i condizionamenti (la dipendenza dai nostri device: ci distraggono e per controcondizionarci dovremmo non usarlo per un po', ma prima dobbiamo rendercene conto). 15 Vengono riconosciute 3 fasi del condizionamento classico: Acquisizione di un comportamento: si forma l’associazione tra stimolo condizionato e stimolo incondizionato. Estinzione: qualsiasi comportamento di qualsiasi tipo di apprendimento si può estinguere se quel comportamento non viene rinforzato oppure se l’associazione diminuisce. Quindi un comportamento non mantenuto sparisce, viene perso. Riacquisizione: in realtà non perdiamo mai del tutto qualcosa che abbiamo acquisito: se lo perdiamo o non l’avevamo appreso oppure l’acquisizione è stata molto fragile, non si è ripetuta abbastanza (esempio: fumo ma non ne sono dipendente, non è così importante, quindi faccio presto a smettere). Per tutte le situazioni in cui si ha appreso un comportamento dove le associazioni stimolo risposta sono per stimoli con una valenza importante, più forte è l’associazione, più per estinguere il comportamento impiego tempo, più la riacquisizione è immediata. Due aspetti importanti del condizionamento classico: Generalizzazione: il nostro cervello generalizza quello che ho appreso, questo ci rende efficaci ed efficienti. La risposta condizionata si presenta anche con stimoli simili allo stimolo condizionato iniziale; anche nel caso in cui l’associazione riguardi una situazione negativa. Esempio: ho avuto l’attacco di panico al centro commerciale; quindi, inizio ad avere una reazione di paura in tutte le situazioni simili. Discriminazione: contrario della generalizzazione, in questo caso è presente una volontà di fare un’associazione stimolo risposta molto precisa e volontaria. Non si estinguono mai le associazioni con gli stimoli negativi, perché fanno parte del nostro adattamento; è ancora più difficile se sono fortemente traumatiche perché il corpo attiva una reazione psicologica di difesa. In ambito pediatrico, quando si lavora con i bambini è importante evitare che si crei una associazione negativa soprattutto a livello ospedaliero. È necessario anche tranquillizzare i genitori in quanto quando si è bambini si triangola con le figure di accudimento, il bambino reagisce come le figure di accudimento. In ambito sanitario è importante non creare un’associazione negativa, poiché sono ambienti in cui sono presenti tutti gli elementi: stimoli dolorosi, la paura, l’esperienza rispetto alla paura della nostra incolumità e sopravvivenza; ecco perché la probabilità di fare un’associazione negativa è elevatissima. 16 LA MEMORIA La memoria è la capacità degli esseri viventi di ricordare ciò che si è appreso. Perché vi sia un ricordo ci devono essere diversi passaggi; come abbiamo visto con le altre funzioni di base più la cosa si ripete, o più gli si dà attenzione, allora maggiore è la probabilità di apprenderla e di formare un ricordo. Dal primo passaggio ad arrivare a fare in modo che un’esperienza venga appresa e quindi memorizzata, tante informazioni vengono perse e tantissimi fattori influenzano la loro creazione. Per ricordare qualcosa, quindi, deve esserci un apprendimento o un’acquisizione delle informazioni, che poi devono essere mantenute nella memoria finché ne abbiamo bisogno e le andiamo a recuperare. Solo in questo momento noi possiamo dire che ci ricordiamo. Abbiamo una fase di codifica dove le informazioni vengono acquisite e inserite in un contesto di altre informazioni, una fase di immagazzinamento e ritenzione in cui le informazioni acquisite sono conservate e rese disponibili per un ulteriore utilizzo e una fase di recupero in cui si ha accesso e si utilizzano informazioni memorizzate in precedenza. Le informazioni, poi, le dobbiamo richiamare e dobbiamo poterle usare. L’esperienza pregressa aumenta la velocità di apprendimento, perché le informazioni non arrivano causalmente al cervello, ma interagiscono con le informazioni che ci sono già. Ad esempio, imparare uno sport completamente nuovo è molto più complicato che apprendere un qualche cosa di cui noi possediamo informazioni pregresse. La memoria è una funzione molto complessa e i meccanismi che costituiscono i ricordi sono molto complessi, che approfondiremo in altre discipline, per il momento dobbiamo capire le basi di questi meccanismi. Il principale modello inerente alla memoria è il modello di Atkinson e Shiffrin in cui la memoria viene divisa in: memoria sensoriale a breve termine memoria sensoriale a lungo termine. Dobbiamo pensare che siano come delle scatole. La prima funzione di base è la percezione: ci vuole una attivazione dei nostri organi di senso per interagire con noi, con gli altri e con il mondo. Ci sono quindi input sensoriali, prima che si formi un percetto servono vari step e grazie alla ripetizione, all’attenzione e alla salienza dello stimolo abbiamo più probabilità che una informazione resti nella memoria sensoriale; tutto il resto va perso. Quello che passa va nella memoria a breve termine dove, sempre per dei meccanismi di attenzione, ripetizione e aspetti emotivi, abbiamo più probabilità di mantenerli nelle memorie a breve termine; anche in questo caso, tutto ciò che non viene ripetuto o a cui non viene data attenzione viene perso. Quello che rimane va nella box ‘memoria a lungo termine’ anche qui molte informazioni vengono perse e non riusciamo a recuperarle. Solo quello che viene recuperato è il ricordo. Abbiamo visto quindi che c’è un’altissima probabilità di perdere un’informazione. Il primo box è la memoria sensoriale a breve termine. Arrivano le sensazioni, che sono informazioni sensoriali di brevissima durata ed entrano nella memoria sensoriale, diversa a seconda del tipo di informazione (memoria iconica per informazione visiva, memoria ecoica per informazioni uditive, memoria tattile e memoria olfattiva per gli odori). Si tratta di memorie primarie, tutto ciò che riguarda i nostri sensi è fondamentale perché nell’evoluzione della specie è stato fortemente adattivo per la sopravvivenza. La memoria sensoriale può essere: volontaria, se sono io che sposto l’attenzione; involontaria, se le sensazioni sono più forti in termini positivi o negativi. La memoria a breve termine è in grado di conservare un numero limitato di informazioni per un breve lasso di tempo. La capacità della memoria a breve termine la possiamo misurare con dei test detti span di memoria. È la quantità di informazioni che la memoria a breve termine può contenere nello stesso momento. Un esempio è ripetere un numero di telefono, più un numero è lungo più fatichiamo a ricordarlo. In generale, la memoria a breve termine si sta impigrendo a causa dei device che ci aiutano a fare tutto; infatti, il nostro cervello è molto plastico e la memoria è una funzione che va costantemente esercitata: più facciamo esercizi memonici, più teniamo in forma le nostre memorie. 17 Il modo per poter tenere la memoria a breve termine è la ripetizione e in assenza di ripetizioni le informazioni della memoria a breve termine decadono e si perdono. Come abbiamo detto in precedenza, ricordiamo più facilmente ciò che abbiamo ripetuto, quello su cui abbiamo destinato volontariamente l’attenzione e ciò che ha attirato la nostra attenzione perché molto piacevole o spiacevole. La conoscenza pregressa è un elemento fondamentale per memorizzare prima. Al contrario, dimentichiamo più facilmente ciò che non ci interessa, quello su cui non poniamo l’attenzione, ciò che non viene ripetuto, ciò che non ha una salienza emotiva e anche per cause di fattori che disturbano il processo di memorizzazione, che di solito si chiama distrazione (se arriva dall’ambiente esterno) o disattenzione (se è a causa nostra, quando il disturbo viene dall’interno ad esempio sono stanco, preoccupato, ammalato). Di più recente acquisizione è la memoria di lavoro, ossia una memoria fondamentale per il corretto funzionamento benessere degli esseri umani. Si tratta sempre di una memoria a breve termine che spesso viene chiamata working memory. Essa, come dice il termine stesso, mantiene per un tempo limitato le informazioni ed è quella che “lavora”, ossia ci permette di ripetere, di spostare le informazioni, di recuperare le informazioni nella memoria a lungo termine. Si dice che è fondamentale per le funzioni di base perché ci permette di essere nel qui ed ora; se noi non possiamo memorizzare nuove informazioni, non possiamo recuperare quelle pregresse o non le possiamo rendere congrue alla situazione, noi iniziamo ad essere disfunzoinali, iniziamo a non essere collocati nel tempo e nello spazio come accade per alcuni decadimenti cognitivi o demenze. Nelle persone con demenze è proprio la memoria a breve termine che inizia a degenerare, infatti, la persona non riesce a memorizzare una cosa attuale, ma può ricordare qualcosa di pregresso. Man mano che il decadimento continua il recupero delle informazioni pregresse è ancora più dislocato nel tempo perché si fatica ad essere nel qui ed ora. Ad esempio, si fatica a riconoscere i figli, perché si ha l’immagine della bambina; si è dislocati nel tempo. La memoria a lungo termine è un’altra grande scatola e anche qui le informazioni non entrano casualmente, ma si organizzano a seconda della tipologia del ricordo. Il recupero dei ricordi può essere: volontario, interroghiamo il cervello per recuperare un’informazione; involontario, quando i ricordi riaffiorano per associazione di idee. Visto che noi apprendiamo per associazioni può essere che uno stimolo ci abbia sollecitato quella associazione e ci abbia fatto riaffiorare quel ricordo in modo inconsapevole. Ad esempio, un odore, una situazione che ci fanno riaffiorare un ricordo. Spesso noi non siamo consapevoli di quella associazione, motivo per cui a volte diciamo “chissà perché mi è venuta in mente quella cosa proprio adesso…”. Nella memoria a lungo termine troviamo: la memoria dichiarativa, sono quelle che si possono narrare. Sono anche dette esplicite e riguardano le informazioni che sono facilmente comunicabili. Le memorie dichiarative, a loro volta, le possiamo distinguere in: o memoria episodica, riguarda i fatti avvenuti nella vita personale. Esempio: due anni fa sono stato a Parigi; o memoria semantica, riguarda le conoscenze. Esempio: 4 + 4 = 8. la memoria non dichiarativa, sono procedurali, quelle che si fanno più fatica a narrare. Le memorie non dichiarative sono principalmente le memorie procedurali, legati ad una performance, un compito che precede l’esecuzione di una azione. Nella memoria non dichiarativa abbiamo le procedure, le abilità, gli apprendimenti, i condizionamenti classici. Le possiamo raccontare, ma sono difficili da tradurre in proposizioni. Sono quello che facciamo. Quello che riguarda una procedura si apprende per imitazione; ad esempio, faccio vedere come andare in biciletta. Poiché le memorie non dichiarative riguardano le procedure, diventano automatiche e più sono automatiche più sono efficienti perché riportano un’autonomia, richiedendo pochissime informazioni da parte del cervello. Ad esempio, andare in auto. Nella memoria a lungo termine abbiamo anche: memorie retrospettive, cioè tutto quello che abbiamo acquisito (fatti, conoscenze, etc.) memoria prospettica, noi abbiamo memorizzato qualcosa che non è mai esistito, ma è esistito perché lo abbiamo pensato e pianificato. L’insieme delle informazioni che ho acquisito su di me e su di me in relazione al mondo e agli altri costituisce la memoria autobiografica su cui incidono gli schemi cognitivi che io ho su di me. A seconda dello schema cognitivo ci sono delle conseguenze perché a seconda di come ci percepiamo, ci relazioniamo in modo diverso. Dobbiamo pensarci come dei robot costituiti da ingranaggi, dove l’ingranaggio centrale è l’identità del sé, chi sono io e come mi relaziono con gli altri e con il mondo. Questa è la memoria autobiografica che dipende dalle esperienze pregresse e da come le ho percepite. Ognuno di noi pensa di ricordare bene le proprie esperienze e che le ricordiamo in modo accurato e affidabile, non è vero! Perché noi mediamente ricordiamo solo il senso generale, ma non i dettagli. I dettagli si perdono, vanno incontro a distorsioni, perché sprecheremmo troppe risorse per avere i dettagli. Ad esempio: facciamo una cena e raccontiamo un evento passato che tutti abbiamo vissuto; tutti ricordano le stesse informazioni generali (ad esempio periodo, luogo), ma nei dettagli ci sono delle differenze (ad esempio, non tutti si ricordano la presenza di una persona X). Tutte le volte che riutilizziamo il ricordo e lo narriamo, lo modifichiamo; quindi, il ricordo va incontro a distorsioni sistematiche sia perché sta lì e non richiamato sia perché viene continuamente richiamato e ogni volta che viene richiamato si distorce. Quando narriamo, narriamo in modo logico, riempiendo i buchi e ogni volta va incontro a distorsione. I ricordi legati alle esperienze di vita sono informazioni mnemoniche ricostruite; quindi, quel ricordo ha una natura ricostruttiva, perché è stato ritoccato, ripreso, rimesso lì, come se fosse un oggetto. 18 Questo fenomeno si osserva nei testimoni: ogni volta che vengono interrogati e rievocano il ricordo di un dato evento, possono cambiare la propria versione a causa di una sollecitazione dal punto di vista emotivo. I ricordi legati alla maggior parte delle esperienze di vita sono formazioni mnemoniche ricostruite (natura ricostruttiva) perché ripresi e ritoccati. Basti pensare ad un ricordo di quando si era bambini: se è lì da tempo senza essere stato richiamato, allora è andato incontro a distorsioni a causa di interferenze. Persino un ricordo richiamato più volte, nel raccontarlo, lo ricostruisce riempiendo i vuoti, consolidando una traccia mnemonica diversa da quella di partenza, non necessariamente falsa. Spesso ciò che si ricorda di quando si è molto piccoli viene raccontato da altri, ma lo abbiamo memorizzato come se fosse nostro (influenza del narratore). Questa è la natura ricostruttiva: un evento può essere modificato a seguito di continui richiami dell’evento stesso. In ambito psicoterapico, viene richiesta la narrazione familiare: vale a dire cosa si conosce sul nucleo familiare sia per comprendere gli schemi familiari che hanno influenzato il soggetto, sia per capire se è avvenuta una narrazione all’interno del nucleo sulla storia della famiglia. Ogni volta che viene richiamato un ricordo i nostri schemi cognitivi e cognitivi-sociali influenzano la narrazione perché continuano ad essere modificati. Le persone apprendono presto ad usare degli schemi, cioè delle conoscenze organizzate, dei modelli mentali del mondo i quali, una volta consolidati, aiutano a comportarsi in modo appropriato e forniscono la base per organizzare e conservare i ricordi di episodi della propria vita che hanno caratteristiche comuni. Alcuni studiosi hanno coniato il termine memoria riepisodica per riferirsi a situazioni nelle quali la rievocazione di alcuni eventi non è altro che l’integrazione e la ricostruzione di dettagli estratti da molti episodi simili. I processi di trasformazione del ricordo sono tanti e avvengono tramite diversi meccanismi, riportati di seguito. Omissione dei dettagli: quelli incoerenti con la comprensione della storia, omessi sia in fase di consolidamento che quando vengono rievocati. Razionalizzazione: rendere la narrazione più coerente e chiara, con l’introduzione di nuovi elementi che servono per connettere ed integrare i ricordi di determinati eventi. Alterazioni di ordine (sequenza dei fatti), di rilievo (di importanza degli elementi), di accento (di espressività degli elementi):la narrazione è indirizzata a riportare per primi eventi che hanno un forte impatto emotivo. Infatti, una semplice esperienza vissuta e rievocata da più persone verrà raccontata da ognuno in modo personale così come sarà diverso l’ordine in cui gli eventi verranno rievocati da ognuno. Prima verranno riportati fatti, eventi e persone con maggiore rilevanza emotiva: la narrazione è soggettiva ed emotiva e questo ne influenza l’ordine. Distorsioni affettive ed emozionali: le emozioni, soprattutto quelle negative, hanno un grosso impatto sul senso di incolumità o di sopravvivenza, tanto da avere un forte carattere di distorsione: le esperienze negative distorcono la creazione del ricordo. LA MEMORIA: Perché dimentichiamo? Come accennato durante le lezioni sull’ apprendimento, un comportamento, un evento o una conoscenza appresa si può estinguere: ciò avviene se non viene rinforzato oppure se si perde la sensibilizzazione. Al contrario, quelle tracce che si erano ben consolidate nella memoria non vengono perse del tutto, ma vanno in latenza. I meccanismi con cui dimentichiamo non sono del tutto noti. Uno dei principali motivi per cui dimentichiamo è dovuto al cosiddetto principio di “economia cognitiva”: sarebbe dispendioso e inutile ricordare tutte le informazioni con le quali veniamo in contatto quotidianamente. Inoltre, estrapolare il senso delle nostre esperienze ci fornisce l’opportunità di interpretare globalmente quello che accade, evitando che ci soffermiamo improduttivamente sui singoli dettagli. Dimenticare è quindi un processo necessario e funzionale a un’agevole e flessibile riorganizzazione dei ricordi e rispecchia i virtuosi principi adattivi secondo i quali la memoria funziona. Hermann Ebbinghaus (1850-1909) è uno psicologo e filosofo tedesco, che ha condotto una serie di ricerche sperimentali, molto rigorose e quantitative, sulla memoria e sull’oblio. In particolare, pose attenzione al tempo in seguito al quale le informazioni si perdono e quali alterazioni possono aumentare la probabilità di perdere una certa informazione. Le stesse influenze che abbiamo nel creare i ricordi nella memoria a breve lungo termine, con annesse alterazioni, si osservano anche nel recuperale e nel mantenerle lì. o Domanda dello studente: la ripetitività degli eventi causa una distorsione a livello del tempo stesso? Vivendo la stessa esperienza più volte la mia mente la accorpa in un unico ricordo? (In riferimento ad uno studio su soggetti che durante la pandemia di COVID-19 hanno percepito alterato il trascorrere del tempo per via del distacco dalle abitudini quotidiane) In molte situazioni usiamo i cosiddetti ricordi di sintesi: abbiamo il ricordo di un evento che si è ripetuto più volte (si ricorda di aver frequentato un data scuola, piuttosto che il singolo giorno vissuto in quell’istituto). 19 Le “LEGGI DI EBBINGHAUS” sono state perfezionate e in parte modificate, dalle ricerche successive, ma restano tendenzialmente valide ancora oggi e riportate di seguito. Curva esponenziale dell’oblio: successivamente alla seduta di apprendimento, le sillabe vengono dimenticate rapidamente; il contenuto di memoria diminuisce drasticamente nei primi 20 minuti, continua a scendere (un po’ meno) nella prima ora, poi scema progressivamente fino a stabilizzarsi il giorno seguente Effetto seriale: la posizione relativa delle sillabe influisce sulla memorizzazione: le prime (primacy) e le ultime (recency) di una lista, si ricordano meglio che quelle in mezzo; ciò avviene perché la nostra attenzione non è costante, ma si attiva all’inizio ed alla fine e pertanto è più probabile che le informazioni iniziali e finali vengano memorizzate. Dèfaillance spontanea: in mancanza di ripetizione il ricordo diviene sempre più tenue e instabile. Riproduzione erronea: al posto dell’immagine mentale che è stata dimenticata si utilizza un sostituto che assomiglia più o meno all’originale andato perduto (es. dislessia). A causa di distorsioni o problematiche; Oblio per interferenza: arrivo simultaneo, o nella stessa fase, di segnali provenienti da canali adiacenti; così come quando memorizziamo possiamo avere delle alterazioni dovute a distrazione o disattenzione, anche quando andiamo a recuperare il ricordo si verifica interferenza che blocca il recupero del ricordo. Oblio per confusione: concentrazione attentiva troppo ristretta su una parte del campo Oblio motivato: meccanismo attraverso il quale nascondiamo le nostre umiliazioni, i fallimenti ed i comportamenti inadeguati (ad esempio rimozione); in questo caso ci ricordiamo l’evento, ma tendiamo ad evitare il recupero del ricordo né da parte nostra né da parte di altri. Oblio traumatico: ostacoli nella fase di registrazione e codificazione della traccia, definito anche negazione. In questo caso il ricordo è talmente doloroso da rendere difficile il recupero. I meccanismi di questo oblio traumatico non sono ancora del tutto noti. LA MEMORIA: Le mnemotecniche Il cervello è un sistema plastico e la memoria è una funzione che dipende proprio da quanto sia plastico il cervello. Tutte le volte in cui facciamo qualcosa di deliberato per irrobustire il ricordo mettiamo in atto delle strategie di memoria: facciamo un uso strategico della memoria compiendo operazioni attive intelligenti. Le mnemotecniche sono tecniche di memoria volte alla memorizzazione e che facilitano l’immagazzinamento e recupero di informazioni. Alcune delle mnemotecniche prevedono: Metodo dei loci, Parole-piolo, Metodo delle parole chiave, Acronimi, Rime, Raggruppamenti e schemi, Visualizzazioni di immagini. Queste metodiche sfruttano le associazioni che aiutano al recupero di specifiche informazioni. 20 INTELLIGENZA Domanda del docente: Che cos’è l’intelligenza e quando una persona viene definita intelligente? A cosa si pensa? Come funzioni associate all’intelligenza si pensa a capacità logiche, capacità sociali, capacità di apprendimento ed esposizione; si spazia da capacità logiche, a quelle mnemoniche, alla velocità di apprendimento, alla capacità logico-spaziale, capacità emotive e capacità relazionali. Queste in realtà sono solo alcune delle caratteristiche dell’intelligenza. I valori di QI aiutano a fare diagnosi o verificare se esistano carenze: alcune delle funzioni, associate all’intelligenza, non sono inserite in questi test, ma ciò non significa che non siano importanti. L’intelligenza è una funzione complessa difficilmente descritta da una definizione univoca. Tuttavia, l’intelligenza può essere definita come la capacità di produrre un comportamento adattivo e funzionale al raggiungimento di uno scopo, un comportamento che affronti con successo le sfide dell’ambiente e che permetta di realizzare gli scopi prefissati. La maggior parte pensa che i processi principali siano dati dalle: capacità di risolvere problemi: capacità logiche e di fare connessioni, capacità di memorizzare; include la capacità di ragionare logicamente, di cogliere connessioni tra idee, di afferrare i vari aspetti di un problema, e di avere un atteggiamento mentale elastico. capacità verbali: include l’abilità di parlare in modo chiaro e ordinato, di essere una persona ben informata di un dato settore, di aver letto molto, e di possedere un ampio vocabolario capacità sociali: lettura delle proprie emozioni, lettura delle emozioni altrui e lettura degli schemi sociali ai quali ci si adegua Le prime due vengono inserite nei test di intelligenza ufficialmente riconosciuti in ambito sanitario, aggiornati periodicamente sulla base delle nuove conoscenze acquisite in materia. Tuttavia, nei suddetti test non vengono inserite le competenze sociali per diversi motivi: sono costrutti molto complessi ad oggi non ben definiti, sarebbero necessari dei test validati per misurarli in modo ottimale ed aver correlazione chiara col funzionamento cognitivo di una persona. Una persona potrebbe essere molto intelligente (buone conoscenze e proprietà di linguaggio), ma con poche competenze relazionali ed emotive. Viene percepita la mancanza di queste competenze sociali ed in ambito scientifico tale mancanza ha un impatto sul suo benessere in ambito relazionale (ad esempio una persona con disturbo narcisistico). In alcuni disturbi come le psicosi, tra cui la schizofrenia, vi è un forte impatto sulle cognizioni sociali: tuttavia, esiste una certa differenza in base alla gravità della condizione. Alcune persone, nonostante siano state diagnosticate con schizofrenia, funzionano bene a livello relazionale; questo crea una situazione di più facile gestione sia con interventi farmacologici che non farmacologici. In caso in cui il disturbo sia severo, spesso il paziente mostra una maggiore chiusura sociale dove le capacità cognitive sono estremamente carenti. Nel caso dello spettro autistico le abilità e disabilità oscillano su diversi gra