Summary

This document provides a concise overview of various schools of thought, including Epicureanism, Stoicism, Skepticism, and aspects of early Christian philosophy. It presents key concepts and figures from these traditions.

Full Transcript

Epicuro Nella sua scuola - nota come "Giardino" - Epicuro insegna che alla filosofia spetta il compito di indicare la via per la felicità, e che quest'ultima va intesa come liberazione dalle varie forme di turbamento che affliggono gli esseri umani: la paura degli dèi, la paura della morte, la ricer...

Epicuro Nella sua scuola - nota come "Giardino" - Epicuro insegna che alla filosofia spetta il compito di indicare la via per la felicità, e che quest'ultima va intesa come liberazione dalle varie forme di turbamento che affliggono gli esseri umani: la paura degli dèi, la paura della morte, la ricerca del piacere e la presenza del dolore. Contro questi "mali" la riflessione filosofica è un autentico quadrifarmaco letteralmente, "medicina composta di quattro farmaci"; il termine è solitamente usato per indicare la filosofia così come la concepisce Epicuro, cioè come "medicina" contro i "mali" maggiori che affliggono l'animo umano. Così intesa, la filosofia può essere ricondotta a quattro massime fondamentali, la cui formulazione più concisa è quella tramandataci dall'epicureo Filodemo di Gadara (110-35 a.C.): «Il dio non incute timore, né turbamento la morte; il bene è facilmente ottenibile; il male facilmente sopportabile» L’etica Il movente o lo scopo di ogni azione è individuato dagli epicurei nel piacere (in greco hedoné) l'effettivo criterio di ogni scelta e di ogni valutazione, che coincide con la felicità quale fine ultimo ricercato da ogni essere umano. Epicuro distingue tuttavia due tipi di piacere: il piacere stabile o “catastematico”, che consiste “nel non soffrire e nel non agitarsi”, e il piacere in movimento o «cinetico», che consiste nella gioia e nella letizia. Tra questi due tipi di piacere, questo che rende autenticamente felici, e che quindi deve essere perseguito, è soltanto il piacere stabile. A sua volta, il piacere stabile può presentarsi come “atarassia” o “aponia”, che si possono definire così: atarassia letteralmente "calma", "quiete” (in greco ataraxia, dal prefisso privativo a - e dalla radice del verbo tarásso, "sconvolgo". "agito”) nell'etica epicurea, l'assenza di turbamento dell'anima, ovvero il piacere stabile o catastematico riferito allo spirito. aponia letteralmente "assenza di dolore” (dal prefisso privativo a- e dalla radice del verbo ponéo, " soffro") nell'etica epicurea, l'assenza di dolore fisico, ovvero il piacere stabile o catastematico riferito al corpo. In quanto oggetto delle nostre scelte e fine ultimo delle nostre azioni, il piacere per Epicuro non è dunque estraneo alla virtù, la quale infatti consiste in un vero e proprio "calcolo" eseguito dalla ragione sui piaceri, per vagliarli e selezionare accuratamente quelli autentici. Questi ultimi sono sostanzialmente i piaceri che coincidono con la soddisfazione di bisogni naturali e necessari, cioè legati alla sopravvivenza (come la fame e la sete). Ma esistono anche bisogni naturali e non necessari, che sono varianti superflue dei bisogni naturali e necessari (come il mangiare molto), e bisogni non naturali e non necessari, o "vani" (come il desiderio del lusso, della gloria ecc.), che al contrario non sono da assecondare. La teoria dei bisogni differenzia l'epicureismo dall'edonismo in senso stretto, cioè dalla prospettiva di coloro che sono interessati alla mera soddisfazione del piacere dei sensi, indipendentemente da ogni considerazione razionale o etica. Gli epicurei, invece, ricercano la saggezza e la giustizia indipendentemente dall'utile che ne possa derivare; coltivano l'amicizia e ritengono che il piacere sia anche il fondamento della solidarietà tra gli uomini. Sono invece indifferenti alla vita politica, che considerano come una fonte di turbamento, tanto che a Epicuro si fa risalire il motto: «vivi nascosto» celebre precetto che deriva dalle premesse stesse dell'etica epicurea. Pur credendo fermamente nell'amicizia, Epicuro disdegna infatti l'impegno nella vita pubblica, ritenendo che il supremo bene umano non risieda nei fasti o negli onori raggiungibili mediante l'esercizio del potere, ma nella serenità dell'animo: «La corona dell'atarassia -egli afferma - è incomparabilmente superiore alle corone dei grandi imperi». Lo stoicismo La scuola stoica nasce con Zenone di Cizio, il suo nome proviene dal luogo dove si tenevano le elezioni, il cosiddetto “portico dipinto” (in greco Stoa poikite). Zenone muore di morte volontaria dal momento che non si riconosce più nell’epoca in cui sta vivendo. Nello stoicismo il concetto di filosofia viene a coincidere con quello di virtù, pertanto una vita moralmente buona è resa soltanto se guidata dalla ragione. L’etica La concezione del dovere Alla base dell’etica vi è il principio secondo cui ogni essere tende a realizzare e conservare se stesso in armonia con l’ordine perfetto del mondo, viene definito con il termine oikeiosis, letteralmente adattamento o appropriazione. Gli storici vivono secondo due forze ugualmente insopprimibili: L’istinto, guida a prendersi cura di sé ai fini della sopravvivenza; La ragione, garantisce l’accordo dell’essere umano con la propria natura; Sulla base di questo nasce una teoria sull’utilizzo della ragione allo scopo di stabilire un accordo tra l’essere umano e la natura, vivere “ secondo una ragione unica armonica” o “vivere in modo conforme all’esperienza degli avvenimenti naturali”. Nessuno deve interrompere un processo naturale, per esempio l’invecchiamento. Si tratta di vivere secondo natura, in quanto quest’ultima è l’ordine razionale perfetto e necessario, equivale a vivere secondo ragione. L’azione che si prospetta conforme all’ordine razionale costituisce il dovere, viene perciò definita un’etica del dovere, dove la nozione fondamentale è intesa come conformità o convenienza azione umana all’ordine razionale. Gli storici distinguevano il dovere retto, perfetto e assoluto appartenente solo al sapiente, dai doveri intermedi, comuni a molte persone. Loro ammettevano la giustificabilità del suicidio, quando le condizioni che ostacolano l’adempimento del dovere prevalgono su quelle che lo favoriscono si può decidere di interrompere la propria vita, detto più semplicemente, quando la vita non è più morale abbastanza ad essere all’altezza del sapiente, non conduce più alla felicità. Nella storia abbiamo diversi esempi di suicidi giustificati, come quello di Seneca, quest’ultimo non accettava Nerone al comando e i suoi modi immorali. La concezione del bene e della virtù Il bene compare quando la scelta indicata dal dovere viene ripetuta e consolidata, fino a diventare una disposizione uniforme e costante, cioè una virtù. Quest’ultima corrisponde all'unico bene, proprio soltanto del sapiente in quanto si identifica con la sapienza stessa. Non è possibile l’esercizio della virtù senza conoscere l’ordine del tutto. La virtù può avere nomi diversi a seconda degli ambiti: Saggezza, mento dei compiti umani; Temperanza, controllo degli impulsi; Fortezza, superamento degli ostacoli; Giustizia, distribuzione dei beni; Tra la virtù e il vizio non c’è via di mezzo, un essere umano o è giusto o è ingiusto. Chi possiede la retta ragione, il saggio, fa tutto bene virtuosamente, chi è privo della retta ragione, lo stolto, fa tutto male in modo vizioso, e, poiché il contrario della ragione e la pazzia, l’uomo che non è saggio è pazzo. La teoria degli indifferenti enuncia che se la virtù è il solo bene, con beni intesi la sapienza, la saggezza, la temperanza, la fortezza e la giustizia, e mali i loro contrari, le cose che non costituiscono virtù (la vita, la salute, il piacere, la bellezza, la ricchezza, la gloria) e tutti i loro contrari (la morte, la malattia, il dolore, la bruttezza, la povertà, la miseria) vengono definiti indifferenti. La prima categoria è contraddistinta da “ valore” in quanto è degna di essere scelta perché contribuisce a una vita secondo ragione, tutti gli altri vengono definiti disvalori. La condanna delle passioni Gli storici negano totalmente il valore dell'emozione, intesa come passione (pathos), essa non ha alcuna funzione nell’economia generale del cosmo, non è provocata da forze e da situazione normali ma soltanto dalla nostra leggerezza, dal nostro “giudicare di sapere ciò che non si sa”. Gli storici distinguono quattro emozioni o passioni fondamentali, due originati da presunti beni: il desiderio di beni che si vogliono possedere e la letizia per i beni di cui già si gode, e due da presunti mali: il timore dei mali futuri e l’afflizione per i mali presenti. Per il sapiente nessuno di quest’ultimi stati emotivi è sano o utile alla vita, perciò sono tutti da estirpare. La condizione ideale del sapiente è l’apatia (a-pathos=senza passione). l’emozione meglio accettata da questi filosofi è l’amicizia, priva di passione. Lo stoicismo romano La filosofia stoica romana si distingue per l’accento sull’interiorità spirituale e l’interesse religioso, concetti che saranno centrali anche nel neoplatonismo. Per lo stoico, il saggio è autosufficiente e trova la verità guardando dentro di sé, senza bisogno di cercarla all’esterno. Questa introspezione è fondamentale per conformarsi alla legge divina o al lógos. Tra i filosofi stoici romani, Seneca è particolarmente rilevante. Nato a Cordova nel 4 d.C., fu maestro e consigliere di Nerone, per ordine del quale si suicidò nel 65 d.C. Seneca sottolinea l’importanza pratica della filosofia, che deve insegnare a vivere, non solo a parlare. Per lui, il saggio è l’educatore dell’umanità. Sebbene Seneca trascuri la logica, si interessa alla fisica e alla religione, poiché considera l’ignoranza dei fenomeni naturali la causa delle paure umane. La sua concezione dell’anima si ispira a Platone: distingue tra una parte razionale e una irrazionale, con quest’ultima suddivisa ulteriormente tra passioni e desideri umili. Seneca condivide anche la visione platonica del corpo come prigione dell’anima, con la morte che segna la sua liberazione. Lo scetticismo Secondo gli scettici l’essere umano non può accedere alla verità ultima delle cose, si tratta di un limite dimostrato dalle molte filosofie, in quanto si conta una varietà sconcertante di visioni del mondo, ma nessuna è dimostrata. Secondo loro l’unica strada per raggiungere la tranquillità della mente consiste nel riconoscere tutte le dottrine come egualmente fallaci, incapaci di cogliere la verità. Il termine scetticismo deriva da skepsis, letteralmente indagine, ricerca o dubbio. Gli scettici ammettono che la quiete dello spirito, serenità e pace interiore, si raggiunge dubitando di ogni dottrina con la consapevolezza che le affermazioni dei dogmatici, coloro che pretendono di pronunciarsi con verità, non siano che vane ciance. Lo scetticismo si dedica alla confutazione delle altre dottrine filosofiche. L’interpretazione storiografica dello scetticismo Al giorno d’oggi lo scetticismo ha subito un processo di banalizzazione, interpretato come una dottrina che mette in discussione la verità di tutto ciò che esiste e che nega la validità di qualunque criterio di condotta. In realtà gli scettici non negano i fenomeni ma la verità delle teorie su di essi. Non dubitano il cosa ma il come viene spiegato. Lo scetticismo greco non presenta se stesso come una dottrina certa e definitiva, bensì come un’ipotesi che deve essere anch’essa continuamente confermata mediante un’indagine aperta. “per quel che riguarda la nostra sentenza “nulla io definisco“ e simili, esse non hanno per noi valore dogmatico quando diciamo di non definire nulla né, neppure questo non definiamo” La scuola di Pirrone Secondo Pirrone non ci sono cose vere o false per natura, ma solo per convenzione. Sono le abitudini degli uomini, i costumi e le loro decisioni a rendere una cosa buona e cattiva, vera o falsa. Al di fuori di tali credenze e convenzioni, sempre mutevoli, la realtà in sé risulta inafferrabile. Il termine epoché (interruzioni) indica la sospensione di ogni giudizio, a ciò consegue l’afasia, la scelta di non pronunciarsi su alcunché. “Dubito della dottrina che mi viene proposta ma non mi pronuncio, aspetto un’altra spiegazione“ Il fine ultimo dell’atteggiamento scettico è il raggiungimento dell’atarassia (imperturbabilità), ovvero dell’imperturbabile serenità della mente. Il sapiente avendo compreso che la verità non esiste, dato che sulla natura profonda delle cose nulla si può dire con certezza, guarda con superiorità e con compassione i metafisici che si battono con guerre di parole. Questa coesistenza fra criticità teorica e normale conduzione della vita quotidiana è confermata dalla testimonianza di Diogene la Ezio. Il cristianesimo La patristica Il cristianesimo irrompe nella società ellenistico romana con un messaggio rivoluzionario, poco conciliabile con la tradizione filosofica, quali il perdono, la misericordia, la carità e l’amore per gli ultimi nella società, come i malati. Proprio l’incontro della razionalità greca con la nuova religione diventerà il tema fondamentale il punto di forza della filosofia cristiana. Le lettere di San Paolo Saulo, nato a Tarso tra il 5 e il 15 d.C. e morto intorno al 67, era un ebreo benestante e cittadino romano. Inizialmente fu un persecutore dei cristiani, ma dopo una visione si convertì e prese il nome di Paolo. Da quel momento, viaggiò e scrisse molto per diffondere il messaggio di Gesù, dedicandosi a diverse comunità cristiane. Morì martire a Roma durante le persecuzioni sotto Nerone. Le sue Lettere, incluse nei testi biblici, contengono insegnamenti di Gesù, ammonimenti e prescrizioni, e costituiscono i fondamenti teologici e filosofici del cristianesimo. Le tesi enunciate nelle lettere Paoline sono: Conoscibilità naturale di Dio, esso è conoscibile attraverso le sue opere nelle quali appaiono la sua potenza e la sua gloria; Il peccato originale, l’idea che gli esseri umani siano macchiati della colpa originaria; La convinzione che l’uomo possa riscattarsi mediante la fede fede in Cristo; Il concetto cristiano di grazia, dono della possibilità della salvezza; Opposizione della vita secondo la carne, morte e perdizione, alla vita, spirito; “Se vivete secondo la carne, precipiterete nella morte; se con lo spirito fate morire gli atti del corpo, vivrete“ Paolo identifica la chiesa con il corpo mistico di Cristo e i cristiani con le sue membra. Nella comunità cristiana esistono compiti diversi, dato che tutti concorrono alla vita dell’insieme, ma ognuno deve scegliere quello per cui è più portato, sì crea il tema della vocazione. La ricchezza di vocazioni rende necessaria l’armonia spirituale dei membri della comunità, garantita soltanto dalla agape, l’amore inteso nell’accezione del termine latino Caritas. “La carità sopporta tutto, fede in tutto, spera tutto, sostiene tutto. Ci sono ora, la fede, la speranza, la carità, queste tre cose; ma la carità è la maggiore di tutte.“ Sant’Agostino Sant’Agostino viene anche definito scrittore dell’animo, raccontando le sue avventure da ragazzo aiuta i lettori. Suo padre, Patrizio, è pagano; sua madre, Monica, è cristiana e lo educa secondo i principi della propria fede, anche se non lo fa battezzare. Trascorre la sua infanzia e la sua adolescenza fra Tagaste e Cartagine dove studia retorica e conduce una vita disordinata incline alle avventure amorose. “Ben ricordo come segretamente mia madre mi ammoniva affinché non commettessi atti impuri e specialmente non commettessi adulteri. Ma questi mi sembravano consigli da donnicciola e mi vergognavo di metterli in pratica.” All’età di 16 anni si innamora di una ragazza da cui avrà un figlio, Adeodato. “Infine precipitai nell’amore, da cui volevo essere fatto prigioniero. Fui amato, giunsi a un segreto vincolo di intimità, e mi avvolgevo voluttuosamente in grovigli d’angoscia per cedere ai colpi delle fruste di fuoco: sì, gelosie e sospetti e paure e rabbia e litigi.“ Durante la sua vita si occupa con passione di grammatica, fino a ritenere che un improprietà lessicale o sintattica sia più grave di un peccato mortale. Si dedica a una ricerca filosofica come indagine sulla verità e intorno al senso delle cose, legge la Bibbia dà pensatore e non da credente, rimanendo deluso per lo stile e per il contenuto. Dopo la morte del padre, nel 371, torna a Tagaste per insegnarvi retorica, aderisce al manicheismo, il quale interpretava la realtà come frutto dell’azione di due principi distinti e contrapposti, il bene e il male. Nel 375 apre una propria scuola a Cartagine. Nel 383, a 29 anni, si trasferisce a Roma come insegnante di retorica. Dopo un anno, deluso, si trasferisce a Milano dove viene accolto dal vescovo cattolico della città, Ambrogio. In questo periodo Agostino dubita di tutto, dal manicheismo e alla dottrina cristiana. Nel 386, a 32 anni, Agostino prova a vergogna di sé mentre meditava nel giardino, scoppia in un pianto che viene fermato da una voce come di fanciullo o fanciulla che diceva: “prendi e leggi, prendi e leggi”. Interpretandolo come un comando divino prende il libro delle lettere di San Paolo, apre una pagina a caso, e legge “rivestitevi del signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenza“. In questo stesso anno si converte al cristianesimo. “Appena terminata la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza, penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono”. Dopo aver ricevuto il Battesimo, nel 387, si convince che la sua missione è quella di diffondere la fede cristiana nella propria terra. Decide di tornare in Africa, ma giunto ad Ostia, la madre si ammala e muore. “Le chiudevo gli occhi e un’enorme tristezza mi affluiva in cuore mi fluiva in pianto. Avevo perduto il grande conforto che trovavo in lei, la mia anima fu ferita e la mia vita lacerata, perché la mia vita era stata tutt’una con la sua”. Dopo una nuova permanenza a Roma, Agostino parte per Tagaste, dove, nel 390, muore il figlio Adeodato. Nel 391 si reca Ippona dove viene ordinato sacerdote “a furor di popolo“. Il vescovo della città lo costringe a fermarsi e, nel 395, lo consacra vescovo. Agostino si dedica con scrupolo alla difesa della fede cattolica contro l’eresia. Nel 410 Roma viene invase saccheggiata dai Visigoti e nel 428 sull’Africa romana si abbatte l’invasione dei vandali. Nel 430 Agostino muore. A quel tempo l’impero romano aveva già cominciato a disgregarsi tanto che, l’anno dopo, Ippona cede all’assedio e viene occupata incendiata, tranne per la ricca biblioteca di Agostino messa in salvo dal suo discepolo Possidio. Le confessioni Le confessioni sono un testo autobiografico in 13 libri, scritto probabilmente fra il 395 e il 400. Il titolo proviene dal verbo latino confiteor, letteralmente “io ammetto”. Lo scopo della ricerca di Agostino sono Dio e l’anima, quest’ultima intesa come interiorità dell’essere umano o come l’io nella semplicità e verità della sua natura, Dio riconosciuto come l’essere nella sua trascendenza e nella sua normatività, senza il quale non è possibile riconoscere la verità dell’io. Per Agostino cercare l’anima significa cercare Dio, perciò fede e ragione sono strettamente unite secondo la duplice formula “crede ut intelligas” e “intellige ut credas”, credi per capire e capisci per credere. Possiamo dire quindi che per avere una fede salda è indispensabile esercizio dell’intelletto, cioè il filosofare. Ragione e fede si configurano così le due facce d'una stessa medaglia, la realtà, del rapporto dell’uomo con Dio. L’oggetto della ricerca agostiniana è l’io, la persona nella sua singolarità irripetibile e nella sua apertura a Dio. Il superamento dello scetticismo Il punto di partenza della ricerca cristiana è il superamento del dubbio degli scettici, quest’ultimi costruivano un approdo naturale per un pensatore dell’uso da una teoria filosofica. Lo scetticismo, per Agostino, è un atteggiamento di dubbio universale di chi ritiene che la verità assoluta sia irraggiungibile. Agostino osserva che non è possibile che l’essere umano si inganni su tutto, la nostra esistenza, ad esempio, è indubitabile poiché se dubitiamo e se anche ci inganniamo su di essa, per il fatto stesso che dubitiamo e ci inganniamo, dobbiamo per forza esistere. Per dubitare della verità, si deve in qualche modo già essere nella verità, nel senso che si deve ritenere vero almeno il nostro dubitare.tuttavia, pur essendo nella verità, l’uomo non è la verità, è un semplice ricercatore di essa, in quanto tale imperfetto e mutevole. La verità non può essere che Dio. La teoria dell’illuminazione Agostino risponde alla domanda: se l’uomo non è la verità, dove gli deriva essa?, lui enuncia la teoria dell’illuminazione, secondo la quale l’essere umano, non essendo e non possedendo di per sé la verità, la riceverà da Dio come un dono. Agostino concepisce Cristo come un maestro interiore con cui dialoghiamo nell’intimo di noi stessi, È dispensatore di intelligenza e artefice di ogni umana capacità conoscitiva. Questa teoria deriva dalla teoria platonica della conoscenza, Agostino ritiene infatti che nell’uomo esistono alcune verità, o meglio alcuni criteri di giudizio, che non possono derivare dalla mutevole percezione dei sensi, cioè dall’esperienza. Il santo le fa provenire da Dio, in base al principio secondo cui la verità immutabile non può coincidere con i criteri razionali usati dall’uomo per giudicare, consiste perciò nella legge suprema da cui tali criteri scaturiscono. A differenza di Platone, Agostino identifica i pensieri, non come idee precedenti, ma solo come dono di Dio. “Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità; e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te.” Questa frase testimonia l’intento di Agostino di accogliere tutte le filosofie precedenti e riscriverle; possiamo infatti notare come il santo si rifaccia a Socrate, conosci te stesso, e allora quello di Delfi. È da evidenziare la fede, la ragione e la ricerca. Religione e filosofia. La verità non sta nelle cose, ma nell’uomo che giudica; essa si identifica con l’immutabile luce divina. Per Agostino, il rinchiudersi della mente dell’anima in se stessa è la via maestra per giungere all’apertura più radicale, L’anima rappresenta un luogo di incontro. L’eternità e il tempo “In principio, Dio creò il cielo e la terra”; Che cosa significa in principio? Questo implica un inizio del mondo nel tempo, ma se così fosse, ci sarebbe un tempo anteriore all’esistenza del mondo e un momento in cui Dio ha voluto produrlo, ma se Dio è immutabile è perfetto, non si può immaginare un mutamento nella sua volontà, per cui prima vuole qualcosa e poi la realizza. Per Agostino Dio è l’autore, non soltanto di ciò che esiste nel tempo, ma anche del tempo stesso: prima della creazione non c’era il tempo, perciò non si può parlare di un prima e non ci si può domandare che cosa Dio facesse allora. L’eternità è al di sopra di ogni tempo: in Dio nulla è passato e nulla è futuro perché il suo essere immutabile e l’immutabilità è un presente eterno, in cui nulla muta e trapassa. L’eternità corrisponde a un presente eterno, dove Dio possiede e capisce tutto in uno stesso momento. L’eternità è realtà permanente, il tempo, implica il mutamento. Agostino identifica il tempo come un passato che non è più, un futuro che non è ancora e un presente che trapassa continuamente dal futuro al passato. Noi misuriamo il tempo nell’anima, non si può certo misurare il passato, perché esso non è più, o il futuro, perché esso non è ancora, ma noi conserviamo la memoria del passato e siamo in attesa del futuro. Il tempo trova nell’anima la propria realtà: nel distendersi della vita interiore attraverso la memoria, l’attenzione e l’attesa. Nel presente esistono passato e futuro, in quanto nel presente si ha la memoria di un passato, l’attenzione al presente e l’attesa del futuro. Per Agostino, il presente viene concepito come un dono (Present) che deve essere trattato con cura e attenzione perché non tornerà. La polemica contro il pelagianesimo e l’elaborazione della dottrina agostiniana La dottrina di Agostino sul libero arbitrio e sulla grazia si sviluppa principalmente in opposizione al pelagianesimo, considerato una minaccia per la teologia cristiana e la sopravvivenza della Chiesa. Pelagio, monaco britannico, sosteneva che il peccato originale non avesse compromesso l’uomo al punto da impedirgli di agire virtuosamente. Secondo lui, il peccato di Adamo era solo un cattivo esempio, e l’essere umano, con il libero arbitrio, era capace di compiere il bene senza la grazia divina. Questa posizione metteva in discussione il ruolo salvifico di Cristo e l’intermediazione della Chiesa. Agostino reagì con forza, sostenendo che con il peccato di Adamo tutta l’umanità è diventata una “massa dannata” e può essere salvata solo dalla misericordia divina. Per spiegare la trasmissione del peccato originale, Agostino adottò il traducianesimo, secondo cui l’anima viene trasmessa dai genitori ai figli attraverso la generazione. Questo portò a un radicale pessimismo antropologico, per il quale l’uomo, senza la grazia, non può non peccare. Agostino inoltre definì la grazia divina come condizione indispensabile per la libertà umana: il libero arbitrio, perduto con il peccato originale, viene restituito solo dalla grazia concessa attraverso il sacrificio di Cristo. L’ambiguità della dottrina agostiniana della grazia La dottrina agostiniana della grazia solleva interrogativi complessi: 1. La grazia è concessa a tutti o solo ad alcuni? Se Dio salva solo alcuni, ciò esalterebbe la gratuità della grazia, ma escluderebbe la giustizia universale di Dio. 2. La grazia è determinante o richiede la cooperazione dell’uomo? Per alcuni, la grazia divina agisce da sola; per altri, richiede la partecipazione umana. Questa ambiguità ha avuto profonde implicazioni storiche e teologiche, contribuendo nel XVI secolo alla divisione tra la Riforma protestante (Lutero e Calvino, che sottolinearono la predestinazione e la gratuità della grazia) e la dottrina cattolica, che insiste sulla possibilità universale di salvezza. La “Città di Dio” e la concezione della storia Agostino scrive La città di Dio per rispondere alle accuse secondo cui il cristianesimo avrebbe indebolito l’Impero romano, conducendolo al crollo. Egli contrappone due città: La città terrena, dominata dalla carne e dall’amore di sé, che ambisce al potere terreno. La città celeste, dominata dall’amore per Dio, che punta alla gloria divina. Queste due città non sono realtà geografiche o istituzionali, ma rappresentano due principi contrapposti che si intrecciano nella storia umana. La distinzione dipende dalle scelte morali di ciascun individuo. La visione cristiana del tempo e della storia Nella Città di Dio, Agostino supera la concezione greca del tempo come ciclo eterno e introduce una visione lineare e provvidenziale della storia. Secondo questa visione: La storia ha un senso e uno scopo, cioè la redenzione umana attraverso Cristo. Esiste un unico piano divino che si sviluppa attraverso la storia universale. Agostino divide la storia in sei epoche, in parallelo con i sei giorni della creazione biblica, e identifica tre grandi periodi: la vita senza legge, la vita sotto la legge, e il tempo della grazia, inaugurato con Cristo. L’impatto sulla filosofia della storia Agostino elabora una concezione escatologica della storia, intesa come un cammino progressivo verso la salvezza. Questo approccio influisce profondamente sulla filosofia della storia successiva, in particolare per l’idea che gli eventi terreni, pur sembrando disordinati o caotici, abbiano un significato intrinseco all’interno del disegno provvidenziale di Dio. 1. Il rapporto tra storia e provvidenza: Agostino considera la storia un campo di battaglia tra la città di Dio e quella terrena, dove il bene e il male coesistono fino al compimento finale del piano divino. L’apparente caos e le sofferenze umane non sono prive di significato, ma strumenti attraverso cui Dio guida l’umanità verso la redenzione. 2. Un nuovo modello di storia lineare: La visione agostiniana si contrappone a quella ciclica del mondo greco-romano e introduce una concezione lineare, con un inizio (la creazione), un momento culminante (l’incarnazione di Cristo) e una fine (il giudizio universale). Questo modello è fondante per la civiltà occidentale, influenzando tanto la teologia quanto la filosofia moderna. La distinzione tra le due città e le sue implicazioni politiche La contrapposizione tra città terrena e città celeste introduce una nuova prospettiva sul ruolo della politica e del potere temporale: La città terrena è caratterizzata dall’amore di sé e dalla ricerca del potere materiale. In essa, il peccato originale e la corruzione rendono inevitabili le tensioni e i conflitti. Tuttavia, Agostino riconosce che il potere politico, pur imperfetto, può avere un ruolo provvidenziale come strumento per contenere il disordine. La città celeste, invece, è fondata sull’amore per Dio e orientata verso la vita eterna. Essa non si identifica con alcuna istituzione terrena, nemmeno con la Chiesa, ma è la comunità dei santi che troverà compimento solo nell’aldilà. Implicazioni politiche: Agostino pone le basi per una distinzione tra potere spirituale e temporale, anticipando il dibattito sulla separazione tra Chiesa e Stato. Pur non negando l’importanza dell’ordine politico, egli sottolinea che la vera giustizia e la pace appartengono solo alla città celeste. Conclusioni e influenza storica L’opera di Agostino ha segnato profondamente il pensiero teologico, filosofico e politico. 1. Nella teologia cristiana: La sua dottrina sulla grazia e sul peccato originale ha influenzato il Medioevo e la Riforma protestante, dando origine a dibattiti fondamentali sulla predestinazione e sul libero arbitrio. 2. Nella filosofia della storia: La visione agostiniana di una storia orientata verso un fine ultimo ha fornito le basi per interpretazioni successive della storia, da Gioacchino da Fiore fino a Hegel e Marx, sebbene in contesti secolari. 3. Nella politica: La distinzione tra città terrena e città celeste ha stimolato riflessioni sulla natura del potere e della giustizia, influenzando tanto il pensiero medievale quanto quello moderno. Agostino si conferma così un ponte tra il mondo classico e il Medioevo, il cui pensiero continua a suscitare riflessioni e dibattiti nella contemporaneità. La scolastica La filosofia delle scholae La parola scolastica indica la filosofia cristiana medievale insegnata nelle scuole. Il termine scholasticus indicava l’insegnante delle arti liberali (trivio e quadrivio), successivamente va a indicare il docente di filosofia e teologia (magister), il quale teneva le sue lezione nelle scuole dei monasteri o delle cattedrali prima del XIII sec. E dopo nelle università: associazioni di studenti che affittavano luoghi come chiese, case ecc… Nelle università si raccolgono gli appunti che andranno a formare i commentari, manuali con raccolte di domande e risposte. Il momento centrale delle lezioni consisteva nel leggere e commentare un testo autorevole: lectio, dopo seguiva la medidatio, analisi personale degli allievi, e dopo la questione/disputatio, confronto dialogico tra due gruppi di allievi che, davanti al maestro, difendevano (gli uni) o criticavano (gli altri) la posizione dell’autore. Le disputationes potevano essere: ordinarie o quodlibetali, le prime prevedevano la partecipazione dei soli maestri e studenti, le seconde su tenevano nei periodo dell’avvento e della quaresima ed erano aperte anche a esterni. La produzione letteraria degli scolastici assume la forma di commentari, o di raccolte di questioni. Commentari, note e commenti alla Bibbia, alle opere di Severino Boezio (“ sulla consolazione della filosofia”, dove quest’ultima viene descritta allegoricamente come un’Augusta matrona che ricorda che la felicità non consiste nei beni del mondo, ma in Dio.), alla logica di Aristotele e alle sentenze di Pietro Lombardo. Raccolte di questioni, principali interrogativi filosofico teologici e le relative proposte di soluzione e metti nelle dispute sia ordinarie, sia quodlibetali. La tradizione religiosa costituisce per il pensiero scolastico il fondamento e la norma della ricerca, la verità è stata rivelata all’uomo attraverso le sacre scritture e le definizioni dogmatiche. Mediante le naturali facoltà razionali e con l’aiuto della grazia divina si accede a queste verità, e si comprendono. L’essere umano è guidato dagli organi della chiesa, pertanto, la filosofia non è un’opera individuale, nella quale il singolo possa muoversi con autonomia, bensì un’opera comune, che poi deve ricorrere all’aiuto di coloro che la chiesa riconosce come sorretti dalla grazia di Dio, che quindi come validi interpreti della sua parola. Lo scopo della ricerca scolastica è comprendere la verità già data nella rivelazione, la filosofia è soltanto un mezzo: essa è ancilla theologiae. I concetti della filosofia classica subiscono una trasformazione non intenzionale, neppure consapevole, poiché al pensiero scolastico estraneo il senso della storicità. Dottrine e concetti vengono considerati in modo indipendente dai problemi a cui corrispondevano e dai filosofi che li avevano elaborati.

Use Quizgecko on...
Browser
Browser