Elementi di didattica post-digitale PDF - Bononia University Press

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Università di Bologna

2021

Chiara Panciroli

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didattica educazione apprendimento digitale

Summary

Questo libro, curato da Chiara Panciroli e pubblicato da Bononia University Press, approfondisce il tema della didattica post-digitale, esplorando un approccio innovativo all'apprendimento. Il volume analizza i contesti formativi attuali, integrando spazi, tempi e strategie differenti. Il testo si basa sulla ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna e include anche esperimenti nelle scuole.

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ELEMENTI DI DIDATTICA POST-DIGITALE a cura di Chiara Panciroli ELEMENTI DI DIDATTICA POST-DIGITALE a cura di Chiara Panciroli Progetto Open Teaching Consorzio Alphabet La versione digitale di questo volume è disponibile gratuitamente grazi...

ELEMENTI DI DIDATTICA POST-DIGITALE a cura di Chiara Panciroli ELEMENTI DI DIDATTICA POST-DIGITALE a cura di Chiara Panciroli Progetto Open Teaching Consorzio Alphabet La versione digitale di questo volume è disponibile gratuitamente grazie al contributo dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Visita buponline.com/openteaching Il testo è stato sottoposto a peer review Bononia University Press Via Saragozza 10 40123 Bologna tel. (+39) 051 232882 fax (+39) 051 221019 ISBN 978-88-6923-989-2 ISBN online 978-88-6923-990-8 www.buponline.com e-mail: [email protected] Quest’opera è pubblicata sotto licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0 Progetto di copertina: Design People Impaginazione: Centro Stampa di Roberto Meucci - Città di Castello (PG) Prima edizione: dicembre 2021 SOMMARIO Introduzione Chiara Panciroli 11 PARTE PRIMA TEMI E RICERCHE PER L’INNOVAZIONE DIDATTICA Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica  19 Chiara Panciroli 1.1. La conoscenza ecosistemica: analisi degli sviluppi 19 1.2. Conoscenza e apprendimento 22 1.3. Il feedback nella didattica 25 1.4. Apprendimento e insegnamento: il modello CLAS 29 Approfondimenti 32 1. Artefatti nei processi di conoscenza  32 Chiara Panciroli 2. Arts-Based Learning  35 Anita Macauda Capitolo 2. Intelligenza artificiale in una prospettiva educativo-didattica 37 Chiara Panciroli e Anita Macauda 2.1. Intelligenza artificiale ed educazione: linee di ricerca 37 2.2. Lessico minimo sull’intelligenza artificiale 39 2.3. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale nella didattica 42 Approfondimento 44 1. LEA-LEarning Assistant Bot  44 Capitolo 3. Rappresentazione visiva nei processi conoscitivi 45 Anita Macauda 3.1. L’apprendimento visivo in una prospettiva neuroscientifica 45 3.2. Intelligenza grafico-visiva tra visual literacy e graphicacy 47 3.3. Le immagini nella didattica 49 3.4. Apprendimento visivo in ambienti di realtà aumentata 51 Approfondimenti 54 1. Documentario di osservazione per uso didattico  54 Laura Corazza 2. Due casi di strumenti visivi didattici  55 Laura Corazza Capitolo 4. Lo spazio come risorsa didattica  61 Chiara Panciroli 4.1. Spazi, ambienti e luoghi in educazione 61 4.2. Gli spazi nella didattica 64 4.3. Ambienti digitali e terzi spazi 67 Approfondimenti 69 1. Un percorso educativo tra atelier virtuale e cinema  69 Anita Macauda 2. Museo e territorio: ambienti urbani per una educazione non formale  73 Maria Chiara Sghinolfi Capitolo 5. Percorsi formativi ed engagement 81 Laura Corazza 5.1. La divulgazione scientifica 81 5.2. Il paradigma dell’engagement 84 5.3. Dalla televisione ai media digitali 85 5.4. Dal cinema all’infosfera visuale globale 87 Approfondimenti 91 1. Public engagement  91 Laura Corazza 2. Museo digitale e linguaggio audiovisivo  93 Maria Chiara Sghinolfi PARTE SECONDA RIFLESSIONI E SPERIMENTAZIONI NELLA DIDATTICA UNIVERSITARIA Capitolo 6. Il laboratorio come spazio e strategia per le competenze digitali  99 Elena Pacetti e Alessandro Soriani 6.1. La professionalità dell’educatore socio-pedagogico 99 6.2. La ricerca 107 6.3. Risultati: il punto di vista dei docenti 110 6.4. Il punto di vista degli studenti 113 6.5. Dall’emergenza all’innovazione: per una didattica laboratoriale integrata in contesti universitari 115 6.6. Conclusioni 118 Capitolo 7. Role Taking per sostenere l’apprendimento collaborativo e la partecipazione nei contesti universitari blended  121 Manuela Fabbri 7.1. Approccio trialogico all’apprendimento in ambito universitario 122 7.2. Role Taking come strategia didattica efficace 124 7.3. Il Role Taking in contesto universitario 125 7.4. Conclusione e sviluppi futuri 138 Capitolo 8. Comunità virtuali e negoziazione della conoscenza. Il forum online nella didattica blended  143 Manuela Fabbri 8.1. Presupposti teorici 143 8.2. Il web forum come strumento di negoziazione di conoscenza 144 8.3. Ipotesi di partenza e obiettivi 147 8.4. Metodo della ricerca 148 8.5. Analisi e risultati 154 8.6. Discussione 158 8.7. Conclusioni 164 Capitolo 9. Ambienti di apprendimento e didattica integrata per lo sviluppo di competenze nei giovani  167 Veronica Russo 9.1. Il valore dell’esperienza negli ambienti digitali 170 9.2. Connessioni e reti di conoscenza negli allestimenti digitali del MOdE: analisi di percorsi didattici  172 9.3. Riflessioni conclusive  176 PARTE TERZA RACCONTI DI ESPERIENZE DI DIDATTICA SCOLASTICA Capitolo 10. Lavorare in cooperative learning  181 Patrizio Vignola 10.1. Attività alla scuola primaria 181 10.2. Raccomandazioni per sfruttare al meglio le opportunità della strategia e controllare i fattori di rischio 183 Capitolo 11. A scuola con il Project-Based Learning  185 Daniela Leone 11.1. Didattica in presenza con il Project-Based Learning in una scuola secondaria di primo grado 185 11.2. Raccomandazioni per sfruttare al meglio le opportunità della strategia e controllare i fattori di rischio (didattica in presenza) 186 11.3. Didattica a distanza con il Project-Based Learning 187 11.4. Raccomandazioni per sfruttare al meglio le opportunità della strategia e controllare i fattori di rischio (didattica a distanza) 188 Capitolo 12. Lavorare con le mappe concettuali in modalità classe capovolta  191 Elena Marcato 12.1. Attività in una scuola secondaria di primo grado 191 12.2. Raccomandazioni per sfruttare al meglio le opportunità della strategia e controllare i fattori di rischio 192 12.3. Apprendere con le mappe concettuali 193 Capitolo 13. La valutazione a supporto della didattica  197 Patrizio Vignola 13.1. Le pratiche di valutazione 197 13.2. La valutazione autentica 198 13.3. La valutazione diagnostica 204 13.4. La valutazione formativa 205 13.5. La valutazione sommativa 206 13.6. Co-costruzione e metacognizione 206 13.7. Considerazioni finali 207 Bibliografia 209 Sitografia 251 Autrici e Autori 253 INTRODUZIONE Chiara Panciroli Il volume propone una riflessione sui temi della didattica attraverso il lavoro di ricerca svolta dal gruppo afferente al Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. L’analisi prende avvio dal concetto di post-digitale per rileggere i contesti formativi attuali secondo un approccio integrato tra spazi, tempi, linguaggi e strategie differenti, in riferimento ad una costruzione della co- noscenza non più lineare ma ecosistemica. Una diffusione sempre maggiore del digitale all’interno di tutti gli apparati sociali-culturali, tra cui quelli formativi, appare ormai un fenomeno ordinario verso una moltiplicazione di spazi e tempi dell’esperienza. Si riconosce infatti come un effetto di assuefazione alle tecnologie abbia raggiunto un livello di maturazione così elevato da renderle invisibili. A questo proposito si parla di una disseminazione della tecnologia nell’esperienza delle persone, che sottolinea una relazione continua tra naturale e artificiale. Al riguardo si evidenzia come «non sia più possibile oggi stabilire con chiarezza cosa è mediale e cosa non lo sia, né si può definire quando entriamo in una situazione mediale e quando ne usciamo: siamo piuttosto immersi in sistemi e ambienti di relazioni e di scambi, pronti a usare le differenti risorse che tali ambienti ci metto- no a disposizione, rispetto agli obiettivi che ci vengono proposti o ci proponiamo, e ad assumere ruoli e posizioni corrispondenti a quanto implicato dall’uso di tali risorse. I media sono ovunque. Noi stessi siamo media. Ed è per questo che i me- dia non esistono più» (Eugeni 2015). È in questo senso che si parla di condizione post-digitale. Per comprenderla, occorre collocarla in un’analisi che tenga conto di una profonda e complessiva mutazione socio-antropologica, in cui la tecnolo- 11 Introduzione gia minimizza i propri apparati, per entrare in modo capillare nel tessuto delle azioni e delle esperienze degli individui e dei gruppi. Questo comporta anche una ricollocazione delle diverse funzioni della tecnologia (ricerca, memorizzazione, manipolazione, trasmissione, comunicazione, esibizione e ricezione di informa- zioni), applicate a differenti ambiti socioculturali in cui, sempre di più, il digitale e la vita delle persone sono caratterizzati da flussi di intangibilità all’interno di forme materiali (Panciroli 2021). Rispetto a questo quadro di riferimento, le ricerche effettuate hanno come principale finalità quella di individuare, secondo un approccio quantitativo e qualitativo, gli elementi significativi di una didattica innovativa, in cui intreccia- re in modo sempre più naturale gli spazi didattici fisici e quelli virtuali, oltre a differenti media. Nello specifico il volume restituisce una sintesi delle ricerche sviluppate negli ultimi cinque anni in relazione al tema dell’innovazione didattica a livello scolasti- co e universitario rispetto a due periodi: un primo, in cui si è fermata l’attenzione sui concetti di innovazione didattica e della sua sostenibilità; un secondo, relativo all’emergenza data dal COVID-19, in cui si è approfondito il tema della didattica digitale quale risposta obbligata di tutte le comunità educative. L’obiettivo prio- ritario del volume è quello di fare un punto su quanto esplorato e documentato e rilanciare nuove direzioni di lavoro. Le ricerche che hanno portato all’elaborazio- ne dei capitoli sono le seguenti: 1. ricerca sugli elementi significativi di una didattica innovativa in un’ottica ecosistemica, all’interno della scuola secondaria, in cui si è sperimentata l’integrazione tra spazi didattici fisici e quelli virtuali; 2. ricerca sul feedback nella didattica, effettuata all’interno di un percorso didattico universitario finalizzato a comprendere nello specifico come i feedback di na- tura visuale possono sostenere da un punto di vista cognitivo, socio-relazionale ed emotivo il processo di apprendimento degli studenti; 3. ricerca sul visual learning attraverso un approfondimento e una comparazione degli elementi di positività e criticità rispetto all’uso di immagini e video nella didattica universitaria; 4. ricerca sugli ambienti tecnologici integrati all’ambiente-aula che ha avuto come obiet- tivo quello di individuare l’impatto degli ambienti digitali sulla costruzione creativa e collaborativa della conoscenza. Gli ambienti digitali sono stati trat- tati come aggregatori tra contesti formali e informali; 12 Introduzione 5. ricerca sulle strategie didattiche con particolare riferimento a tre specifiche strategie didattiche: Arts-Based Learning, Role Taking, Cooperative lear- ning, Project-Based Learning e Flipped Learning, adottate nell’ambito di una didattica universitaria blended e online a supporto del coinvolgimento/ motivazione, delle interazioni tra studenti e tra studenti e docente, nonché l’elaborazione di nuove forme di conoscenza, promuovendo un apprendi- mento attivo; 6. la ricerca-formazione rivolta ai docenti di una rete di scuole di licei della re- gione Emilia-Romagna, che ha posto un’attenzione particolare sulle pratiche di co-progettazione/valutazione tra docenti di differenti aree di indirizzo cercan- do riallineare le competenze e i risultati di apprendimento raggiunti dagli studenti nelle discipline di area umanistica rispetto a quelli conseguiti nell’a- rea scientifica. Il volume è strutturato in tre parti. Nella Parte Prima, Temi e ricerche per l’innova- zione didattica, Chiara Panciroli introduce nel primo capitolo, Verso un modello di didattica ecosistemica, il concetto di conoscenza ecosistemica in connessione con le principali teorie dell’apprendimento per poi proporre un modello di didattica in- tegrata che richiama a pratiche di insegnamento incentrate sul feedback. Questo modello raccoglie in formato sistemico gli elementi caratterizzanti la visione di- gitale e post-digitale della Didattica, focalizzando l’attenzione su quelle che sono considerate le chiavi di lettura principali e le relative piste di ricerca: i Contesti, tra spazi educativi formali, non-formali e informali per valorizzarne le specificità, i Linguaggi, per i processi di acquisizione e rielaborazione delle conoscenze, gli Ambienti, per un apprendimento aperto e polivalente e le Strategie, per lo svilup- po di una didattica efficace e il raggiungimento degli obiettivi educativo-didattici. Contesti, linguaggi, ambienti e strategie sono analizzati nel quadro più generale di un apprendimento situato in ottica ecosistemica e universale. In questo quadro, la conoscenza è considerata il risultato elaborato attraverso grandi ricomposizioni interdisciplinari, che consentono di cogliere le relazioni esistenti tra i vari conte- sti e di vedere i processi in modo dinamico nella loro complessità. Nel capitolo Intelligenza artificiale in una prospettiva educativo-didattica, Chiara Panciroli e Anita Ma- cauda presentano le principali linee di ricerca relative a “Intelligenza artificiale ed Educazione”, partendo da una condivisione del lessico minimo riguardante le principali tecnologie di Machine Learning, Deep Learning, Natural Language Processing e Computer Vision e una focalizzazione sulle principali applicazioni 13 Introduzione di intelligenza artificiale nei contesti didattici. Il contributo di Anita Macauda su Rappresentazione visiva nei processi conoscitivi focalizza l’attenzione sul riconoscimento di un diverso modo di strutturare e rappresentare la conoscenza, sempre più in forma visiva e audiovisiva. A partire dagli studi di Visual Neuroscience, si focalizza l’attenzione sui principali aspetti connessi all’intelligenza grafico-visiva per rileg- gere l’uso del linguaggio visivo nella didattica. Nel capitolo Lo spazio come risor- sa didattica, Chiara Panciroli analizza alcuni significati educativi e didattici dello spazio. Un approfondimento sul lessico che differenzia spazi, ambienti e luoghi, permette di restituire nuove riflessioni e indirizzare possibili pratiche, con un ri- ferimento specifico agli ambienti digitali intesi connettori di modalità espressive multiple, ciascuna in interazione dinamica con le altre, per la produzione di nuovi artefatti cognitivi. Il contributo di Laura Corazza, Percorsi formativi ed engagement, analizza la didattica come intervento formativo ad ampio raggio, rivolto a un pubblico vasto, destinatario di quell’azione educativa tradizionalmente catalogata come divulgazione e che si avvale spesso dei mass media visivi, oggi in formato di- gitale. Tale azione sta cambiando volto e si orienta, in parte senza un consapevole inquadramento pedagogico-didattico, verso un’interpretazione della relazione scienza-società, in cui l’engagement è il concetto chiave che richiama il paradigma del coinvolgimento e della partecipazione attiva. La Parte Seconda, Riflessioni e sperimentazioni nella didattica universitaria, riporta alcune significative sperimentazioni realizzate in spazi laboratoriali di didattica integrata all’interno di ambienti sia fisici che digitali. Le esperienze propongo- no più strategie finalizzate allo sviluppo di competenze digitali, di forme di ap- prendimento collaborativo e partecipativo, nonché di negoziazione del sapere all’interno di comunità virtuali, sostenendo e promuovendo la dimensione indi- viduale e sociale dei processi conoscitivi, con un particolare riferimento al valo- re dell’esperienza educativa negli ambienti digitali. Nello specifico, il capitolo di Elena Pacetti e Alessandro Soriani, Il laboratorio come spazio e strategia per le compe- tenze digitali ferma l’attenzione sulla didattica laboratoriale in contesti universitari proponendo un’analisi delle percezioni di docenti e studenti, raccolte attraverso questionari online, in relazione alle strategie didattiche più utilizzate ed efficaci, alle difficoltà tecniche, comunicative e relazionali e ai metodi di apprendimento a distanza. Manuela Fabbri in Role Taking per sostenere l’apprendimento collaborativo e la partecipazione presenta una sperimentazione in cui il Role Taking viene proposto come strategia didattica efficace nel sostenere la costruzione collaborativa della conoscenza e i processi socio-relazionali tra i membri del gruppo, in linea con le 14 Introduzione competenze chiave richieste ai cittadini del XXI secolo, promuovendo allo stesso tempo competenze disciplinari e trasversali. Il secondo contributo di Manuela Fabbri, Comunità virtuali e negoziazione della conoscenza. Il forum online nella didattica blended si focalizza sulla partecipazione e negoziazione di conoscenza all’interno di comunità di apprendimento virtuali e in particolare, all’interno di un ambiente digitale come il forum online, progettato per permettere la risignificazione dei propri apprendimenti grazie agli apporti degli altri membri. Veronica Russo in Ambienti di apprendimento e didattica integrata per lo sviluppo di competenze nei giovani ap- profondisce il valore dell’esperienza realizzata dagli studenti in ambienti digitali, con particolare riferimento al MOdE, attraverso risorse e attività multimediali e multimodali, al fine di costruire significative reti di conoscenza. La Parte Terza, Racconti di esperienze di didattica scolastica, raccoglie i contributi di docenti della scuola primaria e secondaria e si focalizza su contesti caratterizzati fortemente sull’agire didattico e sulla sperimentazione di pratiche valutative, stra- tegie didattiche e strumenti orientati a un concetto di conoscenza ecosistemica. Interazioni comunicative e pensiero argomentativo sono due aspetti che accomu- nano le esperienze riportate, realizzate in contesti che vedono la partecipazione attiva dello studente all’interno di processi di apprendimento incentrati su co-co- struzione e meta-cognizione. Nello specifico, il contributo di Patrizio Vignola, La- vorare in cooperative learning, approfondisce l’approccio didattico basato sull’appren- dimento cooperativo e finalizzato a rendere attiva l’esperienza educativa degli studenti, facilitandone i processi di riflessione e confronto. Daniela Leone, A scuola con il Project-Based Learning, ferma l’attenzione su PBL come strategia che permet- te agli studenti di apprendere mentre sviluppano ed elaborano in autonomia i progetti. In Lavorare con le mappe concettuali in modalità classe capovolta, Elena Marcato si sofferma sulla flipped classroom e sulla tecnica della rappresentazione della conoscenza per mappe concettuali. Patrizio Vignola, La valutazione nella didattica, approfondisce le pratiche di valutazione che coinvolgono ogni fase del processo di apprendimento, orientando, sostenendo e certificando i processi cognitivi e gli esiti formativi che ne conseguono. 15 PARTE PRIMA TEMI E RICERCHE PER L’INNOVAZIONE DIDATTICA CAPITOLO 1 VERSO UN MODELLO DI DIDATTICA ECOSISTEMICA Chiara Panciroli 1.1. La conoscenza ecosistemica: analisi degli sviluppi La conoscenza del XX secolo è contraddistinta da principi e teorie che ne han- no ampliato l’ambito di ricerca evidenziando anche i limiti di alcuni fondamenti teorici e pratici che avevano costituito l’architettura della conoscenza passata. «Il concetto di conoscenza con cui noi viviamo non è assoluto né eterno; la conoscen- za si evolve» (si veda Bronowski 1978). Questo cambiamento è avvenuto grazie all’apporto di diversi studiosi che, dagli anni Settanta/Ottanta, hanno elaborato una visione della conoscenza più universale attraverso un lavoro di grandi ricom- posizioni interdisciplinari (Prigogine, Stengers 1986; Capra 1997; Bateson 1999; Maturana, Varela 1980). Numerosi sono stati quindi gli ambiti di studio interessa- ti da questo processo di revisione; un esempio è quello della biologia, che guarda oggi ai viventi come a sistemi complessi che scambiano materia, energia ed infor- mazione con l’ambiente esterno, capaci di autorganizzazione, autoregolazione e di omeostasi, di autoreplicazione, di autopoiesi, di adattamento ed evoluzione, di organizzazione gerarchica con diverse proprietà energetiche. Unitarietà e diver- sità coesistono come caratteristiche della vita; ordine e disordine si equilibrano per determinare l’organizzazione che garantisce continuità e stabilità ma anche la plasticità rispetto all’ambiente. Negli anni Novanta vengono poste le basi per un concetto di conoscenza post normale1, sottolineando l’impossibilità di adot- 1 Il concetto di conoscenza post-normale è stato introdotto nel dibattito epistemologico da Sil- vio Funtowicz e Jerry Ravetz (1994), i quali l’hanno utilizzato per designare un nuovo modello di 19 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica tare sempre e comunque gli stessi approcci. La realtà si rivela come un perenne stato transitorio per il quale è impossibile ottenere rappresentazioni soddisfacenti, rigorose e affidabili. In questo senso, la conoscenza diviene un metodo di esplora- zione e di ricerca in cui ogni esperienza è soggettiva, mediata da specifici organi di senso e canali neurali (Bateson 1999). Appare sempre più evidente la fine di un modello di conoscenza lineare (Lévy-Leblond 2007), che lascia il posto a un’idea di conoscenza, attraversata da revisioni, ripensamenti e ritorni a diverse teorie. Costruire quindi conoscenza oggi significa far riferimento a un approccio ampio, ecosistemico, per individuare relazioni nei vari contesti, capire le interconnessioni e vedere dinamicamente i processi. Per la formazione questo implica un riorien- tamento e un cambiamento nel modo di relazionarsi ai diversi campi della cono- scenza. All’interno di questo quadro di ricerca si collocano gli studi sull’ecologia dello sviluppo umano di Bronfenbrenner (1979), punto di incontro tra discipline biologiche, sociali, psicologiche, in cui si sottolinea «come sia necessario scoprire empiricamente le varie situazioni ambientali e comprendere come queste venga- no percepite dalle persone coinvolte in esse» (ivi, p. 49). La conoscenza si configu- ra così come atto globale di un soggetto non dissociabile dal contesto. A questo proposito, la definizione di complessità di Morin (1995) è una sintesi esplicativa dell’approccio ecosistemico, in cui appunto i vari aspetti si intrecciano e si tesso- no insieme nella realtà. È con la riflessione transdisciplinare dell’Integral ecology (Esbjörn-Hargens 2005) che si individuano sempre più le relazioni dinamiche che caratterizzano l’ambiente conoscitivo, che diviene elemento strutturalmente cor- relato in un processo di trasformazione. Rispetto alla «teoria dei sistemi aperti» (Bertalanffy 1968), il postulato dell’equilibrio non è più il punto di riferimento. Al suo posto subentra la nozione di processo e cioè di uno scambio tra ‘interno’ ed ‘esterno’, che tende a rivoluzionare continuamente l’assetto strutturale del si- stema, in funzione di emergenze che devono essere controllate (Lanzara, Pardi 1980). Il metodo sistemico ci guida infatti a ritenere la formazione una struttura “aperta” e “autopoietica” (Maturana, Varela 1980), basato su un’interdipendenza tra organizzazione e ambiente. A partire dalla proprietà autopoietica, il sistema educativo impara dalle proprie azioni e nella propria autonomia, selezionando ed elaborando gli stimoli ambientali che ritiene più significativi. Nello specifi- co, i sistemi della didattica scolastica e universitaria sono organizzazioni che mi- scienza da affiancare alla scienza normale e da impiegare quando «i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti». 20 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica gliorano le prestazioni mentre sviluppano gli apprendimenti degli studenti. È la comunità come sistema che deve costantemente essere capace di autoregolarsi e autorganizzarsi, in cui sono anche le condizioni ambientali a determinare la qualità dell’esperienza. Particolare attenzione deve essere rivolta alle dimensio- ni che caratterizzano i setting dell’insegnamento, tra cui gli elementi materiali, strumentali, sociali, culturali, affettivi e relazionali in un profondo rapporto di interdipendenza (Kolb A., Kolb D. 2008). La visione della conoscenza viene sempre più messa in relazione all’analisi del- la complessità del contesto attuale e dall’emergere di situazioni la cui interpreta- zione non può essere supportata da un’unica prospettiva. Nello specifico, vengono studiati i diversi elementi della conoscenza (Rossi, Pentucci 2021), tra cui si inclu- dono, le esperienze e i fatti, le narrazioni, i concetti e i modelli mentali a diverso livello di sviluppo e complessità (Ozdemir, Clark 2007) che interagiscono dando alla conoscenza un carattere situato. I concetti che quindi si creano non sono indi- pendenti dalla “modalità sensoriale” coinvolta nella loro percezione e questo deri- va da un funzionamento modale del cervello (Cuccio, Gallese 2018). Quindi se la conoscenza si presenta come una ecologia di elementi quasi indipendenti, questo sembra avere un’analogia con la proposta di Caruana e Borghi (2016) per i quali i concetti sono una colla di elementi-processi diversi, tra cui le attività e i vissuti, le sensazioni e le emozioni, le esperienze linguistiche. Quindi, ogni concetto ha una componente personale e una più generale, in cui gli elementi esperienziali dipen- dono dal vissuto dei singoli soggetti. Questo fa sì che nessun concetto sia identico nei diversi soggetti, sebbene possano esserci delle analogie. In questo processo di concettualizzazione, ha un ruolo rilevante il corpo, in cui sia i concetti concreti, sia quelli astratti dipendono dall’attivazione del sistema senso-motorio. A suppor- to di questo formato corporeo dei concetti, vi sono le ricerche sull’enattivismo di Maturana e Varela (1980) e quelle in ambito neuroscientifico che mostrano come il pensiero si attivi principalmente in quelle zone del cervello che coordinano an- che le attività senso-motorie (Gallese, Sinigaglia 2011). Un altro elemento che influenza in modo significativo il processo di cono- scenza e di apprendimento è il modo in cui il soggetto si rappresenta la cono- scenza stessa. Questo aspetto viene indagato dall’Epistemic Cognition attraverso i primi lavori di Perry (1970) in cui si individuano differenti concezioni della conoscenza secondo un approccio a-contestuale, sottolineando come la cono- scenza dipenda anche dai temi disciplinari, dai vissuti dei soggetti e dalla loro esperienza personale (Greene, Sandoval, Bråten 2016). È però con la Naturali- 21 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica zed Epistemology che la conoscenza viene analizzata in modo interdisciplinare, ponendo particolare attenzione ai differenti processi affettivi ed emotivi, in cui si evidenzia proprio come i processi siano differenti e come la conoscenza di- penda anche dalla competenza e dalla cultura dello studente (Elby, Hammer 2001; Kelly 2016). Questo approccio unito a quello della Epistemic Social (Gre- ene, Sandoval, Bråten 2016) e all’Epistemic Cognition colloca la conoscenza in un approccio sociale e situato, in cui viene costruita, convalidata e comunicata nelle comunità. 1.2. Conoscenza e apprendimento Sostenere un approccio ecosistemico alla conoscenza nella didattica richiede un approfondimento delle principali teorie dell’apprendimento al fine di realizzare processi di innovazione nell’insegnamento. Nello specifico il riferimento al com- portamentismo, non sottovalutando la differenza tra processi di apprendimento ele- mentari e attività complesse, considera il condizionamento una componente che può interagire con l’attività intellettuale umana; presuppone un soggetto recetti- vo che apprende attraverso contingenze di rinforzo, intese come occasioni in cui a una risposta fa seguito una ricompensa (Skinner 1970). Pertanto, mediante il rinforzo dei risultati positivi, tale approccio si propone di trasmettere agli studen- ti conoscenze complesse in modo graduale procedendo dalle nozioni più sempli- ci a quelle più difficili, enfatizzando i processi individualizzati e la verifica ogget- tiva e sommativa delle competenze acquisite attraverso moduli formativi. È con il cognitivismo che il conoscere viene inteso come una attività interna al soggetto, svolta da una mente razionale, autonoma, obiettiva, con lo scopo di riprodurre ciò che oggettivamente esiste all’esterno attraverso un modello astratto, costruito con gli strumenti simbolici di cui la mente dispone. Con questo approccio viene dato particolare rilievo alle capacità cognitive e all’intelligenza dell’individuo, che non si limita a trattare meccanicamente le informazioni in base al condizio- namento ma le struttura interrelandole tra loro. All’interno di questo approccio, il concetto di intuizione assume una rilevanza particolare: l’apprendimento non è semplicemente la risposta a uno stimolo ma la capacità di mettere in relazio- ne le conoscenze fortemente influenzate dall’ambiente (Vygotsky 1978; Musatti 1986) al fine di giungere alla soluzione di un problema. Il costruttivismo segna il passaggio da un approccio oggettivistico, centrato sul contenuto da apprendere, 22 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica a uno soggettivistico, centrato su chi apprende (Jonassen 1994; Gardner 1983; Kolb 1984). Questo approccio sostiene che l’attività umana e il comportamento interattivo dipendono dai significati che l’intuizione assume in relazione a ciò che le persone attribuiscono agli eventi e alle loro interpretazioni della situazione (Varisco, Grion 2000). Un’integrazione delle dimensioni socioculturali verso un paradigma integrato pone la conoscenza relativa alle esperienze, ai fatti e agli eventi come frutto di una attività di costruzione negoziata e condivisa all’interno di comunità di pratica (Lave 1988; Lave, Wenger 1991) e di apprendimento, nelle quali le interazioni comunicative diventano il nuovo paradigma didattico (Leont’ev 1975; Suchman 1987). In tal senso la conoscenza è generata dall’e- sperienza del soggetto attivo che costruisce le proprie conoscenze in interazione con l’ambiente sociale. Con la teoria dell’apprendimento esperienziale (Kolb 1984), il soggetto è coinvolto pienamente, disponibile a esperienze nuove. L’osservazione riflessiva diviene l’approccio privilegiato attraverso cui si riflette sulle pratiche da più prospettive creando concetti che si integrano con le osservazioni. Attraverso una sperimentazione attiva, si testano le ipotesi e le alternative mediante l’azione, producendo situazioni diverse e nuovi problemi. Anche gli studi sulle neuroscienze hanno permesso di comprendere meglio i meccanismi del cervello e conseguen- temente dell’apprendimento; nello specifico hanno dimostrato le interconnessio- ni tra percezione, azione, emozione e cognizione nella conoscenza/interazione con il mondo e il loro ruolo nelle difficoltà di apprendimento (Rivoltella 2012b; Damiano 2013; Compagno, Di Gesù 2013; Dubinsky et al. 2019; Gola 2020). Proprio nell’esplorazione di queste interconnessioni, emerge un sempre mag- giore riconoscimento del radicamento della conoscenza nel corpo-cervello. A questo proposito Varela (1990) sottolinea come la cognizione sia fondata sul si- stema senso-motorio: il mondo non è qualcosa che ci è “dato” dall’esterno ma vi prendiamo parte tramite il modo in cui percepiamo e ci muoviamo nello spazio. La cognizione può essere identificata come “enazione”: sensazione, percezione e azione costituiscono un dispositivo unitario del corpo-cervello volto alla cono- scenza e all’interazione con la realtà (Varela, Rosch, Thompson 1992; Gallese 2007; Rossi 2011; Damiani, Santaniello, Paloma 2015). Si parla a questo pro- posito di embodied cognition, ovvero di conoscenza “incarnata” nel corpo e basata sull’esperienza integrata e multisensoriale con il mondo (Sozzi 2015). Le diverse teorie dell’apprendimento connesse a un concetto di conoscenza ecosistemica, alla complessità del contesto e alle molteplici soluzioni da adottare costruiscono le basi per un dibattito incentrato sugli elementi che determinano 23 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica una didattica rinnovata. In tal senso, la didattica può essere definita come ambito di riflessione che si struttura attraverso fasi operative di natura progettuale, attua- tiva e valutativa, allestendo specifici dispositivi formativi (Calvani, Bonaiuti, Ra- nieri 2007), per sostenere processi di acquisizione della conoscenza, in relazione ai soggetti coinvolti e al contesto particolare e globale di riferimento. Gli studi sui processi di innovazione (Trentin 2008; Panciroli 2008; Eickelmann 2011; Ferrari 2017a; Id. 2017b) collocano proprio il successo delle pratiche didattiche in uno spazio di analisi e di progettazione caratterizzato da una dimensione di integrazio- ne in cui monitorare diversi aspetti (socioculturali, economici, etici, professionali, contenutistici, tecnologici, di setting formativo, ecc.), che devono necessariamente essere interrelati. La didattica è una scienza relativa ai processi di insegnamento/ apprendimento, che si struttura attraverso azioni in vista del conseguimento di determinati fini, laddove la dimensione delle tecniche si sviluppa parallelamente e sinergicamente alla dimensione di significati e valori. Nella didattica particolare rilevanza assume il concetto di mediazione qui inteso come azione che mette in rapporto aspetti e attori diversi e in cui l’insegnante funge da mediatore dei pro- cessi di apprendimento sostenendo diverse dimensioni: socio-relazioni, cognitive, motivazionali, etiche. In ambito didattico, la mediazione didattica è operata dal docente per promuovere l’apprendimento dei propri allievi. Castoldi definisce la mediazione come «la regolazione della distanza tra i contenuti culturali da tra- smettere e i soggetti in apprendimento, tra la struttura logica dei contenuti di ap- prendimento e la struttura psicologica dei soggetti che apprendono» (2010, p. 41). In questo senso, la mediazione comporta sempre una forma di rappresentazione della realtà, un processo di metaforizzazione attraverso il quale la realtà di cui si parla viene sostituita con dei simulati (esperienza diretta/simboli astratti) allo scopo di facilitare l’apprendimento. Per comprendere la funzione della mediazione nelle situazioni didattiche ci riferiamo a un’analisi etimologica del temine ‘mediatore’ definito come colui che è intermediario e che contribuisce al raggiungimento di un accordo; in un se- condo significato, è un agente (ossia chi o ciò che agisce), che facilita la stipula di contratto o patto; infine è anche una sostanza che, nel processo di trasmissione dell’impulso nervoso nel campo della biologia, ha una funzione specifica (ecci- tatoria o inibitoria). Rispetto a questi significati, si comprende come i mediatori didattici possono essere rappresentati da persone, oggetti, situazioni, contesti che assolvono a funzioni diverse – di raccordo, negoziazione, facilitazione e sviluppo – nel processo di insegnamento. A questo proposito Damiano (2013) sostiene che la 24 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica mediazione si realizza attraverso processi di metaforizzazione che permettono di sostituire il reale con altro che a esso corrisponde. La mediazione permette quindi di far dialogare lo studente con il mondo e con il sapere e di costruire ponti tra diversi livelli del sapere medesimo. I mediatori non sono relegabili a semplici rap- presentazioni, ma sono anche spazi di azione, così come afferma Damiano: «la rappresentazione di una cosa non è la sua riproduzione, più o meno fedele, bensì la costruzione della nostra interazione con l’oggetto» (ivi, p. 317). Damiano ana- lizza i mediatori classificandoli in quattro tipologie e descrive le modalità con cui essi intervengono sui processi di de-naturazione della realtà e di metaforizzazione: gli attivi (il rapporto diretto con il reale), gli iconici (immagini e foto), gli analogici (simulazioni e giochi di ruolo) e i simbolici (artefatti che utilizzano il linguaggio). Queste quattro tipologie possono essere organizzate in due blocchi: il primo rac- coglie i mediatori che Damiano chiama caldi e Rivoltella (2014) incentrati sulla simulazione, ovvero gli attivi e gli analogici; il secondo blocco comprende gli ico- nici e i simbolici, definiti freddi da Damiano e incentrati sulla visualizzazione da Rivoltella. I mediatori caldi pongono al centro l’azione del soggetto che appren- de, immerso nell’attività o nel gioco di ruolo; mentre i mediatori freddi mettono al centro gli artefatti, oggetti semiotici, esterni allo studente. Nello specifico, il digitale ha introdotto nuove tipologie di mediatori caratterizzati dalla copresenza di vari media e dall’interazione e reticolarità tra i diversi linguaggi nel singolo artefatto (Rossi 2017). A questo proposito, Rivoltella parla di mediatori sintetici o tecnologici la cui trasversalità ha a che fare in particolare con la loro multime- dialità e convergenza al digitale (Jenkins 2007) che rende possibile l’integrazione di più linguaggi (visivi, sonori e gestuali) in un’unica piattaforma. In questo senso, gli spazi fisici e digitali per la didattica assumono il ruolo di mediatori così come anche le tecnologie e i linguaggi che queste veicolano. Unitamente alla scelta di specifiche strategie (flipped classroom, lezione euristica, problem based learning), questi mediatori consentono agli studenti di costruire conoscenze attraverso ponti logico-concettuali rilevanti (Rivoltella, Rossi 2019b). 1.3. Il feedback nella didattica La letteratura scientifica più recente (Hattie, Timperley 2007; Nelson, Schunn 2009; Thurlins et al. 2012; Thurlins et al. 2013; Voerman et al. 2012; Gan, Hattie 2014; Ajjawi et al. 2017; Rand 2017) evidenzia come in ambito didattico il feedback 25 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica rappresenti un elemento chiave nello sviluppo del processo di apprendimento che pone l’attenzione su due principali tipologie di aspetti: i. come fornire feedback; ii. come gestire processi di feedback. A questo riguardo, risulta significativa la distin- zione di Winston e Carless (2019) tra paradigmi tradizionali di tipo trasmissivo e unidirezionale e quelli nuovi tipo costruttivo, collaborativo e interattivo. I primi si riferiscono, secondo un approccio cognitivista, all’azione del docente che fornisce agli studenti informazioni puntuali sui risultati di apprendimento conseguiti (Ajja- wi, Boud 2017). I nuovi paradigmi, invece, riferibili a un approccio di tipo socio-co- struttivista, presuppongono lo sviluppo e il monitoraggio dell’interazione e del feedback durante l’intero percorso di apprendimento al fine di sostenere nello stu- dente processi di active learning e di sense-making (Askew, Lodge 2000; Barton et al. 2016; Henderson et. al. 2019). Nello specifico dell’approccio cognitivista, il feed- back rappresenta per il docente una delle principali strategie a servizio della valu- tazione dell’apprendimento, contenente informazioni sulla qualità dei risultati ot- tenuti dallo studente in un compito, indicazioni correttive per lo svolgimento di un lavoro, commenti e spiegazioni relativi al risultato ottenuto rispetto a quello atteso (Calvani 2014; Tacconi, Gentile 2017). In questo caso, l’effetto sull’apprendimento è maggiore quando il feedback formativo o di correzione fornisce indicazioni per migliorare lo svolgimento di un’attività/compito. Laurillard (2012) lo definisce feedback estrinseco, in quanto esterno all’azione dello studente; prende la forma di un commento valutativo o di una guida che lo studente può seguire per migliorare il suo rendimento rispetto ai risultati attesi. Questa pratica di feedback, particolar- mente diffusa, risulta tuttavia alterata sia da un sistema consolidato di credenze e valori dei docenti, sia da fattori quali il carico eccessivo di lavoro, il numero elevato di studenti in aula, oltre le aspettative esercitate dai questionari di soddisfazione/ gradimento degli studenti. Si tende pertanto a dare maggiore enfasi, secondo una comunicazione unidirezionale, su ciò che i docenti fanno in termini di commenti/ indicazioni/correzioni, trascurando, invece, i feedback che gli studenti possono re- stituire ai docenti in relazione al proprio processo di apprendimento. Infatti, se è vero che il feedback correttivo o estrinseco si focalizza principalmente sugli input (informazioni o commenti dati agli studenti), gli output prodotti dagli studenti at- traverso un continuo processo di interazione con il docente e con i pari rappresen- tano un feedback altrettanto significativo. Infatti, tra input e output vi è una stretta relazione in quanto l’output di un sistema dipende dalla natura e dalla qualità dell’input. I commenti che gli studenti ricevono sul loro lavoro o apprendimento impattano positivamente sul processo di sense making e sono un prerequisito fon- 26 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica damentale per la successiva produzione di significati (Carless 2015; Winston, Car- less 2019). In questo senso, un feedback che, secondo un approccio socio-costrutti- vista, è orientato all’apprendimento e all’output, pone l’attenzione su come gli studenti generano, producono senso e usano il feedback per un miglioramento continuo, sostenendone il processo di sviluppo. Laurillard (2012) parla a questo proposito di feedback intrinseci che non richiedono l’intervento istruttivo del do- cente e sono conseguenza naturale delle azioni dello studente; feedback interni alle azioni stesse, basati su processi di natura percettiva e attiva (Narciss 2008; Sansone, Harackiewicz 2000; Pellerey 2014). Il valore del feedback intrinseco è ben definito come un elemento cruciale per l’apprendimento perché consente allo studente di progredire in modo graduale nel raggiungimento dell’obiettivo in riferimento a un modello di apprendimento costruttivista, situato ed esperienziale. Il processo di apprendimento viene regolato per effetto di feedback successivi che impattano su azioni/esperienze e presuppongono un’interazione formativa continua docen- te-studenti. Questa pratica si basa, in una prospettiva interazionista, sulla gestione di processi di feedback generativi (Rossi et al. 2018), che assegnano agli studenti un ruolo attivo in modo che possano costruire e implementare le proprie conoscenze, agendo su diversi piani – cognitivo, socio-relazionale e motivazionale – all’interno di una complessa interazione di influenze intrapersonali e interpersonali (Fishman, Dede 2016). In letteratura, i feedback sono definiti come «informazioni fornite da un agente (ad esempio, insegnante, pari, libro, genitore, sé, esperienza) in merito ad aspetti della propria prestazione o comprensione» (Hattie, Timperley 2007). Tutta- via, negli ultimi anni la letteratura si è ampliata. In particolare, Hattie e Yates (2013) affermano che il feedback riduce il divario tra la situazione in cui lo studen- te si trova e il risultato desiderato; Mayer (2009) ha sottolineato come ricevere feed- back aiuti gli studenti a sviluppare una maggiore comprensione dei materiali delle lezioni. Hattie e Timperley (2007) hanno provato a identificare quattro livelli di feedback specifici: 1) compito, noto anche come feedback correttivo; 2) processo incentrato sulle azioni dei compiti sottostanti; 3) autoregolamentazione comprese le capacità di autovalutazione; 4) self, che tipicamente esprime valutazioni. Il feed- back è stato anche individuato come cruciale per la motivazione degli studenti (Keller 2010; Murtagh 2014). Diversi studi di settore mostrano infatti come i pro- cessi di feedback siano strettamente legati alla dimensione motivazionale dell’ap- prendimento (De Beni, Moè 2000; Schunk, Pintrich, Meece 2008; Murtagh 2014; Fryer, Bovee 2016; Gan, Nang, Mu 2018). Nei processi di apprendimento, la moti- vazione appare stimolata e sollecitata da diversi fattori interagenti tra loro: i. la 27 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica proposta di argomenti che attivino l’interesse degli studenti in quanto si connettono a conoscenze pregresse o esperienze di vita reale, in “risonanza” con i contesti so- cioculturali di appartenenza; ii. il coinvolgimento attivo dello studente nella ricerca e costruzione della conoscenza; iii. la creazione di forme di collaborazione e coo- perazione, in grado di favorire il rispetto delle differenze individuali, la condivisio- ne di risorse e la partecipazione di tutti gli attori alla realizzazione di un progetto comune; iv. la scelta di strategie didattiche e linguaggi (verbali, gestuali, visivi, audio-visivi, ecc.) che giocano un ruolo strategico nello sviluppo e nel manteni- mento della motivazione ad apprendere; v. la valorizzazione delle componenti affettivo-emotive e relazionali implicate nell’apprendimento. La motivazione si col- loca su tre fondamentali dimensioni: cognitiva, socio-relazionale ed emotiva. A questo proposito, gli studi di Keller (2010; Id. 2016) evidenziano le criticità rilevate dai docenti nella costruzione e sostegno della motivazione in aula, con particolare riferimento alle seguenti questioni: come esercitare un’influenza significativa sulla motivazione degli studenti; come stimolare e sostenere sistematicamente la motiva- zione degli studenti; come individuare e adottare linguaggi e strategie didattiche idonee a motivare gli studenti. Secondo il modello messo a punto da Keller (model- lo teorico ARCS, 2010; Id. 2016), è possibile distinguere quattro categorie di varia- bili motivazionali: attention, relevance, confidence e satisfaction. La prima condizione ri- chiesta ai docenti è l’attention che fa riferimento alla curiosità, alla stimolazione e all’interesse. La relevance si riferisce alla coerenza degli obiettivi didattici dell’inse- gnamento con gli stili di apprendimento degli studenti e le loro esperienze pregres- se. La confidence richiama le aspettative di successo in relazione alle proprie capaci- tà/competenze. La quarta condizione richiesta, la satisfaction include la combinazione appropriata di risultati intrinsecamente ed estrinsecamente gratifi- canti che sostengono comportamenti di apprendimento desiderabili. A questo ri- guardo, gli studi che si concentrano sui sistemi di autoregolazione che guidano l’apprendimento, evidenziano la relazione tra strategie metacognitive e motivazio- nali. Il riferimento è sia alla motivazione intrinseca, fonte naturale di apprendimen- to e di realizzazione che scaturisce da cause interne del soggetto, connesse con lo spontaneo senso di soddisfazione dello studente; sia alla motivazione estrinseca, generata da cause esterne all’individuo legate al conseguimento di una data ricom- pensa (Levesque et al. 2011; Boscolo 2012). In questo senso, gestire i processi di fe- edback richiama alla necessità di sostenere la dimensione motivazionale dell’ap- prendimento, definendo nello specifico su quali fattori motivazionali impattare. In conclusione, rispetto al quadro descritto, si possono sintetizzare tre dimensioni 28 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica principali del feedback (van der Kleij, Feskens, Eggen 2015; van der Kleij, Tim- mers, Eggen 2011), che devono essere collegate sinergicamente: 1. regolamentazione, relativa alla riduzione delle discrepanze tra la comprensione del- la performance attuale e un obiettivo/conoscenza desiderati (Laurillard 2012); 2. trasformazione, che riguarda il collegamento tra esperienze di apprendimento for- mali e informali per sviluppare una consapevolezza dei conflitti cognitivi e la produzione di una rete di significati (Rivoltella, Rossi 2019b); 3. motivazione, centrata su una dimensione intrapersonale (Fishman, Dede 2016) per incoraggiare la partecipazione degli studenti alle attività di apprendimento. 1.4. Apprendimento e insegnamento: il modello CLAS Il quadro teorico delineato costituisce la cornice di riferimento necessaria per analizzare i processi di insegnamento e individuare così gli elementi principali di un modello di didattica integrata. Il modello didattico svolge la funzione di sche- ma concettuale che tiene connessi i diversi elementi che caratterizzano la didat- tica, assicurandone una lettura più coerente e organica (Bertin 1968), all’interno di un paradigma non predefinito ma debole (Vattimo, Rovatti 1992), relativista e contingente (Khun 1962), favorendo il riconoscimento di correlazione di diversi elementi che compongono la realtà nella sua multidimensionalità (Del Gobbo 2018; Federighi 2018; Grierson 2009; Prigogine, Stengers 1986). In questo contesto, si inserisce il modello di didattica CLAS che richiama alla possibilità di mettere in relazione più elementi per definire un disegno progettuale e attuativo (DPA) incentrato su una struttura ecosistemica della conoscenza, che presuppone un ruolo attivo degli studenti anche in relazione a differenti funzioni del docente (trasmissivo, di scaffolding, di sollecitatore, di tutoring, di connettore di saperi, ecc.). In particolare, gli elementi di cui si compone il modello CLAS fanno riferimento ai contesti, ai linguaggi, agli ambienti e alle strategie. In prima istanza, il modello CLAS tiene in considerazione il contesto e i processi che in esso si realizzano. Progettare le attività in raccordo con i contesti signifi- ca infatti creare un dialogo con le agenzie formali e informali del territorio con l’intento di condividere e arricchire le finalità educative. Tra i contesti formali ovviamente il riferimento principale è alla scuola e all’università; tra contesti non formali rientrano quelle agenzie parte del tessuto socioculturale che concorrono 29 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica al raggiungimento di finalità educative come musei, teatri, archivi, biblioteche, lu- doteche, fondazioni culturali e scientifiche, agenzie sportive e spazi polifunzionali. In seconda istanza, il modello CLAS richiama all’utilizzo integrato di differen- ti linguaggi nei processi di acquisizione e rielaborazione delle conoscenze (Kress 2009; Lacelle, Boutin, Lebrun 2017; Ragone, Ilardi, Tarzia 2015). L’apprendi- mento diventa infatti più significativo quando le idee, le parole e i concetti astratti vengono associati alle immagini, ai suoni e alla corporeità (Calvani 2011; Cicalò 2016; Stašák 2011; Benedek 2017; Panciroli, Corazza, Macauda 2020; Williams 2009). Nello specifico, le immagini possono contribuire ad attivare preconoscen- ze, a sviluppare capacità di problematizzazione, a creare connessioni, oltre che a stimolare intelligenza emotiva e motivazionale (Goleman 1995; Tuffanelli 1999; Balboni 2013). In terza istanza, il modello CLAS valorizza l’ambiente come elemento fonda- mentale per garantire un apprendimento aperto, polivalente e multispaziale, ca- pace di fornire elevate situazioni relazionali congiunte alle pratiche di ricerca e di scoperta. Le modalità scientifiche e sperimentali che lo caratterizzano possono contribuire ad attività di alto profilo culturale. Concorrono in tal senso anche gli spazi digitali che aumentano gli spazi tradizionali aprendo a nuovi contesti d’a- zione. Tra gli spazi fisici rientrano le aule specializzate (laboratorio di informatica, scientifico, linguistico), gli atelier, gli angoli didattici e le zone attrezzate (interne ed esterne). Tra gli spazi digitali, piattaforme di e-learning (Moodle, Mooc), repo- sitory, spazi digitali collaborativi (Padlet, Netboard) e ambienti di rielaborazione creativa (LinoIT, sale bianche) (Rivoltella, Rossi 2019b; Panciroli 2019). In quarta istanza, il modello CLAS si avvale di strategie didattiche e di orga- nizzazione del gruppo classe che integrano metodi di innovazione didattica a sistemi più tradizionali di trasmissione della conoscenza. Una strategia didattica è un piano d’azione di breve durata che sottende specifiche teorie dell’apprendi- mento. Fra le diverse strategie (lezione erogativa, lezione euristica, modellamen- to, problem solving, studio dei casi, brainstorming, ecc.) vengono qui analizzate il Cooperative learning, il Flipped learning e il Project-Based Learning. Il Cooperative learning si svolge interpretando ruoli definiti, ognuno dei quali è funzionale al raggiungi- mento di un obiettivo condiviso. Lo scopo finale è quello di sviluppare capacità di mediazione e di co-costruzione di conoscenza (Comoglio 1998; Cohen 1999; Kagan 2000). A questa strategia, si connette quella della Flipped learning, con la quale lo schema della lezione tradizionale è rovesciato: il lavoro inizia a casa con lo studio individuale e prosegue in aula con attività di riflessione, analisi, appro- 30 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica fondimento, e rielaborazione, supportate dal docente e/o da una figura esperta (Bergmann, Sams 2012; Id. 2016; Maglioni, Biscaro 2014). Infine, il Project-Based Learning è una strategia basata sulla creazione e realizzazione di un progetto, che ferma l’attenzione più che sul prodotto finale, sul processo e sulla progressi- va acquisizione di competenze di base e trasversali (Krajcik, Blumenfeld 2005; Thomas 2000). In relazione a questo modello, l’insegnante-formatore è chiamato a predispor- re una serie di stimoli distribuiti con coerenza disciplinare e metodologica in am- bienti integrati. Partendo dalle competenze dello studente (background) e dall’os- servazione del suo stile di apprendimento (personal learning) per cercare di costruire un ambiente e una strategia didattica “su misura” (personal teaching). Un’attenzione particolare è rivolta alle esperienze di apprendimento con le tecnologiche che hanno evidenziato come non sia la tecnologia stessa e gli strumenti a essa connessi a garantire la motivazione dello studente e il buon impatto del percorso formativo ma sia soprattutto il design generale delle esperienze educative in cui giocano un ruolo fondamentale le relazioni interpersonali. Avere accesso, infatti, alle risorse tecnologiche e saper progettare secondo un approccio didattico integrato è solo una delle componenti di un’azione didattica più ampia. Come altri ecosistemi presenti in natura, la sostenibilità di un ecosistema di- gitale educativo formale (scuola, università) è determinato da un design didattico caratterizzato da un continuo richiamo fra elementi interni ed esterni del contesto specifico, in cui la conoscenza si definisce come il prodotto di una costruzione at- tiva da parte dello studente, strettamente collegata a dimensioni eterogenee – co- gnitive, relazionali, corporee, emotive – attraverso una negoziazione dei saperi e dei loro significati (Rossi 2010). La possibilità di misurare il successo di un proces- so, caratterizzato da variabili dinamiche, colloca la riuscita delle pratiche didat- tiche, proprio in uno spazio metariflessivo di natura progettuale, in cui vengono monitorate diverse dimensioni (socioculturali, economiche, contenutistiche, pro- fessionali, formali-informali), strettamente e mutuamente interrelate all’apprendi- mento (Trentin 2008; Eickelmann 2011). A questo proposito Laurillard propone una progettazione dell’apprendimento (Design for Learning) creando le condizioni all’interno delle quali gli studenti siano motivati, in cui il ruolo del docente non è quello di trasmettitore della conoscenza ma di mediatore coinvolgente, per favorire abilità cognitive di alto livello (Laurillard 2014). La progettazione si sviluppa a livello macro e micro; la macro progettazione diventa la cornice di senso per le attività della micro progettazione (Rossi, Giaconi 2016), non si realizza solamente 31 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica attraverso l’individuazione di un elenco degli obiettivi e delle relative consegne ma tiene in considerazione più aspetti: 1) l’esplicitazione di diversi elementi in termini di cosa fanno i vari attori, come interagiscono, gli obiettivi, i mediatori, le consegne e la coerenza complessiva; 2) la descrizione delle attività e della logi- ca che lega queste; 3) la successione delle sessioni di lavoro in uno o più moduli all’interno del curricolo. Il docente pensa non solo a cosa “farà” in classe ma anche “a cosa faranno gli studenti” e a come evolverà il sistema nel suo complesso (Rossi 2011). Pertanto, al fine di sostenere un approccio ecosistemico dell’aula, gli insegnanti devono riuscire a gestire questo delicato equilibrio adottando misure necessarie sia per consentire un flusso di connessioni, sia per combinare strategie didattiche, contenuti disciplinari e applicazioni tecnologiche mirate al coinvolgi- mento degli studenti in situazioni di insegnamento significative (Zambo 2009). La classe/aula ecosistemica è infatti il risultato di “una fusione” di attrezzatu- re concettuali/strumentali, aspettative/percezioni ed esperienze che consentono a studenti e insegnanti di ridefinire i processi tradizionali, testare nuove ipotesi e raggiungere risultati innovativi (Besnoy, Housand, Clarke 2009; Burger 2007; Chin, Chang, Atkinson 2008; De Bono 1970; Zhao, Frank 2003) in cui i costrutti appaiono necessariamente sovrapposti. Approfondimenti 1. Artefatti nei processi di conoscenza Chiara Panciroli In riferimento ai processi conoscitivi e in particolare alla natura trasformativa e adattiva dell’apprendimento si riconosce come il concetto di cambiamento si ponga come elemento prioritario nella relazione tra soggetto e ambiente (Fab- bri, Romano 2018; Melacarne 2018). Questi processi si contraddistinguono per la creazione di artefatti che possono avere una diversa natura (tangibile e/o in- tangibile) e sono espressione di un’attività di ricerca del sapere ampia, aperta e interconnessa. In tal senso l’artefatto non è più inteso solamente come esito di un percorso formativo ma si identifica nell’intero processo che include oltre al pro- dotto anche le strategie di realizzazione. Quindi, per comprendere le implicazioni che gli artefatti hanno nei processi di apprendimento/insegnamento è opportuno partire da un’analisi terminologica. L’artefatto da arte factus (fatto con arte) viene 32 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica definito come «un’opera eseguita con arte, propria dell’attività umana, regolata da accorgimenti tecnici e fondata sullo studio e sull’esperienza»2. Questa definizione comporta una triplice accezione dell’artefatto: i. come opera d’arte; ii. come tecnica; iii. come esperienza. Così come l’opera d’arte ha bisogno dell’individuazione di più profili per essere compresa (Genette 1987), an- che per l’artefatto è necessario distinguere diversi aspetti strutturati su due livelli di complessità cognitiva: 1. storico-contestuale, tematico-disciplinare, linguisti- co-multimediale; 2. logico-regolativo, creativo-espressivo. A seconda che l’artefatto sia portatore di un solo livello di complessità o di entrambi, l’apprendimento raggiunto è relativo a una conoscenza di base o a una conoscenza approfondita. Di conseguenza anche gli artefatti possono evi- denziare due differenti strutture: l’artefatto semplice, riferito alla conoscenza di base, si presenta come unità semanticamente autoconsistente di natura mono- cognitiva o informativa che richiama a una prima forma di alfabetizzazione su uno specifico sapere e alla sua contestualizzazione storica; l’artefatto comples- so, riferito alla conoscenza approfondita, si presenta come un insieme di saperi relativi a un tema, legati tra loro da un complesso reticolo di significati e di logiche disciplinari e interdisciplinari di natura metacognitiva ed espressiva. Il secondo aspetto, ossia l’artefatto come tecnica, si riferisce all’individuazione di tecniche intese come ponti tra i diversi livelli del sapere e gli elementi dell’am- biente circostante. Nello specifico, assumendo una visione antropocentrica, le tecniche nella loro genesi e continua trasformazione si pongono in stretto rapporto con l’attività umana (Rossi 2019; Rivoltella, Rossi 2019a; Id. 2019b). Le tecniche possono es- sere infatti assunte dall’insegnante come medium per “pro-durre” (pro-ducêre), cioè per portare fuori e dilatare le conoscenze degli studenti3. L’artefatto diven- ta così espressione del processo conoscitivo, intendendo la conoscenza non solo come vasto corpus di contenuti da acquisire, ma soprattutto come mezzo per operare nel mondo, come spazio dove esistono modi alternativi di concettua- lizzare un particolare contesto (Laurillard 2012). Infine, l’artefatto si àncora al concetto di esperienza (Dewey 1938), intesa come approccio alla conoscenza per eccellenza, dal momento che essa è globale e attiva e si realizza mediante l’interazione tra il singolo e l’ambiente, da cui derivano artefatti particolarmen- 2 Si veda: Vocabolario della Lingua italiana Zanichelli, https://www.zanichelli.it. 3 Treccani, Vocabolario online: www.treccani.it/vocabolario/produrre/. 33 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica te significativi (Nigris, Negri, Zuccoli 2007; Di Nubila, Fedeli 2010). Riprenden- do il modello conoscitivo deweyano (Dewey 1934), la produzione degli artefatti si concretizza così attraverso una sequenza di stadi propri dell’apprendimento esperienziale così distinti: 1. esperienza concreta in cui il soggetto è coinvolto pienamente nella percezione e nella sperimentazione dei dati dell’esperienza; 2. osservazione riflessiva attraverso cui l’individuo attiva un’osservazione sulla realtà che favorisce una prima concettualizzazione operativa; 3. concettualizzazione astratta che a partire dalla concettualizzazione operativa, permette al soggetto di elaborare ulteriori astrazioni e di inferire relazioni di funzionamento; 4. sperimentazione attiva in cui l’individuo è in grado di produrre concetti espli- cativi attraverso la realizzazione di artefatti che gli permettono di raggiungere un nuovo livello di conoscenza (Kolb 1984). In riferimento all’utilizzo di strumenti e ambienti tecnologici, l’artefatto digitale rappresenta una forma di elaborazione del sapere supportata da più linguaggi e modalità plurime di connessione a partire dall’esperienza del soggetto in contesti formali e informali. Si riconosce infatti come l’artefatto grafico-visivo di natura di- gitale abbia un forte impatto sul contesto motivazionale del soggetto che appren- de, facendo leva anche su aspetti di natura emotiva ed empatica. In questo senso, l’artefatto digitale visivo si inserisce in un processo di apprendimento globale che incorpora in modo integrato dimensioni cognitive, socio-relazionali ed emotive. Gli ambienti digitali richiamano infatti a differenti fasi del processo conoscitivo e sono incentrati su un concetto di conoscenza attiva. Pertanto, la progettazione e costruzione di artefatti digitali in ambienti tecnologici porta lo studente inizial- mente in una fase di attività immersiva per individuare e mettere a punto alcuni significati più generali; in seguito, ha la possibilità di concettualizzare visivamente l’esperienza, di schematizzarla e approfondirla; infine, di rielaborare i saperi in modo originale. Il processo conoscitivo che si sviluppa richiama quindi a differenti tipologie di attività così sintetizzate: attività esperienziale; attività di concettua- lizzazione visiva; attività di schematizzazione e ricerca di informazioni; attività di progettazione di artefatti e ambienti; attività di costruzione e rielaborazione espressiva. Tra soggetto, oggetto e artefatto, si vengono così a determinare diversi 34 Capitolo 1. Verso un modello di didattica ecosistemica tipi di relazione (soggetto-oggetto; artefatto-soggetto; artefatto-oggetto) che, sul digitale, tendono a integrarsi. 2. Arts-Based Learning Anita Macauda L’Arts-Based Learning (ABL) è una strategia finalizzata a promuovere l’appren- dimento attraverso forme espressive artistiche differenti in considerazione della varietà di stili di apprendimento (Bradley et al. 2018; Nuangchalerm, El Islami, Sjaifuddin 2018; Zakaria et al. 2019). Il riferimento è all’applicazione di «stra- tegie didattiche in cui vi è un significativo coinvolgimento dello studente con le forme d’arte» (Rieger, Chernomas 2013). Ci si riferisce nello specifico all’uso in- tenzionale di abilità, processi ed esperienze artistiche come strumenti educativi per favorire l’apprendimento anche in discipline e settori non artistici4. L’ABL usa le qualità estetiche per mettere in luce i significati presenti nelle situazioni educative indagate nei singoli contesti di apprendimento (Barone, Eisner 2012; Eisner 2008; Cahnmann-Taylor, Siegesmund 2008). Nello specifico, «Arts-based learning outcomes are ways in which we interpret and more tangibly understand the qualities of our experience within the natural world, and our identities as they are formed, informed, and transformed by that experience» (Haywood Roll- ing 2017). L’obiettivo, pertanto, è quello di coinvolgere gli studenti sul piano co- gnitivo, socio-relazionale ed estetico-affettivo, utilizzando le arti (visive, musicali, performative, ecc.) come mezzi attraverso i quali l’immaginazione, la creatività e l’innovazione trovano espressione dando luogo a processi di apprendimento tra- sformativo (Brenner 2010). Gli studenti possono partecipare creando un proprio prodotto artistico o interagendo con le opere di altri artisti. Due degli approcci più utilizzati sono il processo di pensiero progettuale e le strategie di pensiero visivo. Entrambe le forme possono: i. condurre a esperienze significative nell’ambito di un approccio trasformativo della conoscenza (Barone 2006, 2008; Barone, Eisner 4 L’Art of Science Learning (AoSL) ha esaminato l’interrelazione tra l’apprendimento basato sull’arte e l’innovazione e la creatività negli studenti e nei professionisti STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Inoltre, l’apprendimento basato sull’arte può essere efficacemente incor- porato nella formazione medica per i futuri medici per sviluppare il pensiero critico e le capacità collaborative e per aumentare il loro livello di fiducia (de la Croix et al. 2011). 35 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica 2012; Haywood Rolling 2010); ii. promuovere il pensiero creativo e le capacità di problem solving; iii. aumentare le capacità di osservazione e di collaborazio- ne mentre si lavora all’interno di gruppi; iv. accrescere le competenze di intelli- genza emotiva (Goldman, Yalowitz, Wilcox 2016; Seifter 2016); v. sviluppare la fiducia e l’autostima degli studenti; vi. promuovere una comunicazione efficace; vii. costruire competenze socio-relazionali. Diversi studi infatti hanno dimostra- to le correlazioni a livello didattico tra l’impegno nelle arti e il rendimento degli studenti (Catterall, Deasy 2002; Root-Bernstein et al. 2011). A questo proposito, sono stati sviluppati quadri teorici che collegano l’apprendimento basato sulle arti a processi di innovazione efficaci e allo sviluppo di una leadership innovativa. L’apprendimento basato sulle arti viene utilizzato in più della metà delle scuole di medicina degli Stati Uniti per migliorare le capacità di osservazione degli stu- denti (Rodenhauser, Strickland, Gambala 2004). L’ABL si è anche dimostrato un modo efficace per rafforzare le capacità comunicative degli studenti di ingegneria (Osburn, Stock 2005) e viene integrato con crescente frequenza nei programmi di formazione manageriale e di leadership (Katz-Buonincontro 2008; Nissley 2010). Di particolare interesse è la pratica di alcuni centri scientifici e musei che hanno integrato le arti nell’apprendimento informale delle scienze, riconoscendo il valore degli approcci basati sulle arti per la promozione dell’alfabetizzazione scientifica. In questi contesti, l’apprendimento basato sulle arti è emerso come un approccio esperienziale e interdisciplinare per l’educazione STEM sia in grado di promuove- re la creatività e l’impegno tra gli studenti (Labriole 2010; Carmena 2011). 36 CAPITOLO 2 INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN UNA PROSPETTIVA EDUCATIVO-DIDATTICA* Chiara Panciroli e Anita Macauda 2.1. Intelligenza artificiale ed educazione: linee di ricerca Un’ampia letteratura scientifica internazionale attesta sempre più come l’Intelli- genza Artificiale (IA) stia assumendo un ruolo emergente in relazione all’Educational Technology (Hinojo-Lucena, Aznar-Díaz, Cáceres-Reche, Romero-Rodríguez 2019; Pedró, Subosa, Rivas, Valverde, 2019). Gli ambiti di studio, ricerca e applicazione dell’IA sono molteplici: dal tecnologico all’economico, dal politico al sociologico, dal culturale all’educativo. Nello specifico, l’intelligenza artificiale nell’educazione (AIEd-Artificial Intelligence in Education) è oggetto di un ampio dibattito che si caratterizza in misura crescente per un’interdisciplinarietà allargata: educazione, psicologia, neuroscienze, linguistica, sociologia e antropologia. Come affermano Luckin e Cukurova (2019), per creare delle connessioni significative tra IA e Edu- cazione occorre far sì che «i campi di ricerca e sperimentazione si contaminino in modo sincrono e reciproco trovando uno spazio di confronto, di progetto e di sviluppo attraverso una negoziazione congiunta di modelli, valori, intenti, azioni e risultati efficaci». Oggi, uno spazio di confronto particolarmente significativo sui temi dell’IA in ambito educativo è quello della Global Partnership on Artifi­cial Intelligence (GPAI, 2020), un partenariato internazionale e multistakeholder con il mandato di guidare lo sviluppo e l’uso responsabile dell’IA in modo coerente con i * Il contributo è stato interamente condiviso dalle due autrici. Nello specifico, Chiara Panciroli ha scritto i §§ 2.1 e 2.3 e Anita Macauda il § 2.2. 37 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica diritti umani, le libertà fondamentali e i valori democratici condivisi, così come ri- portato nella Raccomandazione OCSE sull’intelligenza artificiale. Nello specifico, la missione della GPAI, come concordato dai paesi membri, è di «sostenere lo svi- luppo e l’uso dell’IA basata sui diritti umani, l’inclusione, la diversità, l’innovazione e la crescita economica, cercando di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite». La GPAI evidenzia infatti come l’intelligenza artificiale stia cambiando sia il modo in cui organizziamo il lavoro, sia gli aspetti connessi all’i- struzione e alla formazione. Nello specifico, la GPAI lavora su due macro-linee Training for AI con un focus sulle compe­tenze necessarie per prepararsi all’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro; AI for Training con un focus sui metodi dell’in- telligenza artificiale che possono contribuire all’ambito educativo e formativo. L’intero sistema educativo (scolastico e universitario) si trova infatti dinanzi a due esigenze: progettare curricula che si adattino alla situazione attuale caratterizzata da un uso crescente della tecnologia AI; mettere a punto sistemi e strumenti di IA per migliorare i processi di insegnamento-apprendimento. La prima linea, Training for AI, parte dal mondo della formazione per capire come un’educazione all’IA e alla cultura dei dati, con particolare riferimento alla Data Literacy, permetta di definire le competenze necessarie per prepararsi agli impatti e alle applicazioni dell’intelligenza artificiale. Questa prima linea evidenzia la necessità di progettare e offrire percorsi formativi a figure apicali e non (proget- tisti, insegnanti, educatori, formatori, tutor, coach, ecc.) chiamate a confrontarsi sull’educazione all’IA e a indirizzare il sistema di formazione e istruzione verso contenuti immediatamente fruibili. Nello specifico, l’interesse è rivolto ai seguenti aspetti: la definizione di competenze di IA (Johannessen 2020); la progettazione di curricula di IA (Chiu, Chai 2020); la formazione di insegnanti ed educatori (Zawacki-Richter et al. 2019); la formazione sul lavoro (Nedelkoska, Quintini 2018). La seconda linea, AI for Training, parte dall’applicazione di strumenti di IA per migliorare la formazione con impatti positivi sui processi di apprendimento (chatbot, assistenti virtuali, riconoscimento facciale, robotica...) attraverso model- li pedagogico-didattici. In tal senso, per progettare ambienti di apprendimento attraverso l’IA «occorre orientare gli sforzi progettuali verso un’intelligenza ar­ tificiale affidabile by-design intesa come attendibile e robusta, comprensibile e trasparente e basata sul rispetto dei valori umani, etici, democratici e di equità» (PNR 2021-2027). Si riconosce pertanto la necessità di applicare l’IA ai con­testi formativi attraverso una progettazione interdisciplinare che preveda un signifi- cativo contributo proveniente da più ambiti di studio, ricerca e sperimentazione. 38 Capitolo 2. Intelligenza artificiale in una prospettiva educativo-didattica 2.2. Lessico minimo sull’intelligenza artificiale Per aprire uno spazio di confronto e dialogo tra educazione e intelligenza artificia- le, che permetta di individuare e definire i campi di applicazione dell’IA nei con- testi formativo-di­dattici, si pone come prioritaria la conoscenza e la condivisione di un lessico mi­nimo sui principali settori e ambiti di ricerca e sperimentazione. Questa esigenza richiede di partire dalla definizione di intelligenza artificiale per poi fermare l’attenzione sulle quattro tecnologie che ne stanno alla base: Machine Learning, Deep Learning, Natural Language Processing e Computer Vision. 2.2.1. Intelligenza Artificiale I sistemi di IA possono essere definiti come sistemi informatici, progettati per interagire con il mondo attraverso specifiche capacità e comportamenti intelli- genti che consentono di valutare le informazio­ni disponibili in un dato contesto o ambiente per scegliere l’azione o le azioni più idonee al raggiungimento di un obiettivo dichiarato (Luckin et al. 2016; Commissione Europa 2018; Libro Bianco sull’Intel­ligenza Artificiale, 2020). L’IA si occupa infatti di operazioni dif- ferenti quali la pianificazione, la comprensione del linguaggio, il riconoscimento di oggetti e suoni, l’apprendimento e la risoluzione dei problemi. In particolare, l’IA permette alle macchine di imparare dalle proprie esperienze e di adattarsi a nuovi input. Infatti, con l’utilizzo di sistemi di IA, i computer vengono addestrati a svolgere specifiche attività tramite l’elaborazione di grandi quantità di dati e il riconoscimento dei modelli che ne sono sottesi. Lo scopo dell’intelligenza artificiale è quello di sviluppare processi logici ca- paci di risolvere problemi, analizzando i dati da cui estrarre evidenze, significati e conoscenze. Nello specifico, permette di operare su un problema indagando casi simili, confrontandoli, elaborando una serie di soluzioni e scegliendo poi quella più congrua. Occorre però precisare che in questo lavoro, la macchina non è autonoma ma ha bisogno dell’intervento costante dell’uomo nella misura in cui non cerca di comprenderne i processi cognitivi ma di riprodurli in modo da ottenere risultati. A questo proposito, le più recenti sperimentazioni di IA lavorano sui concetti di personalizzazione e adattività. Affinché, però, si possa operare in modo significativo nei contesti formativi, si riconosce l’importanza di disporre non solo di grandi quantità di dati ma di dati qualità su cui si basino gli algoritmi di IA. 39 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica 2.2.2. Machine Learning Con l’espressione Machine Learning (ML) o apprendimento automatico della macchina, si fa riferimento ad algoritmi matematici che permettono alle macchine di apprendere in modo che possano effettuare e completare una attività richiesta, senza essere preventivamente programmate attraverso un codice che dice loro esat- tamente cosa fare. Si tratta di una sorta di allenamento per l’IA che apprende diretta- mente dai dati, correggendo progressivamente gli errori, in modo da accrescere le proprie funzionalità e svolgere autonomamente un determinato compito (Popeni- ci, Kerr 2017). Gli algoritmi di ML migliorano infatti le loro prestazioni in modo “adattivo” e in misura proporzionale al numero di “esempi” forniti. Il Machine Learning è impiegato principalmente in tre ambiti: 1. classificazione, per decidere a quale categoria appartiene un determinato dato; 2. regressione, per prevedere il valore futuro di un dato avendo noto il suo valore attuale; 3. raggruppamento (clu- stering), per raggruppare i dati che presentano caratteristiche simili. All’interno del ML, vengono identificate tre principali tecniche di apprendimento: - apprendimento supervisionato (Supervised Learning) mediante esempi di input e di output per permettere alla macchina di identificare una funzione predittiva, una regola generale che colleghi i dati in ingresso con quelli in uscita; fanno riferimento a questa tipologia di apprendimento le applicazioni legate al rico- noscimento vocale e all’identificazione della scrittura manuale; - apprendimento non supervisionato (Unsupervised Learning) solo attraverso dati di input che vengono forniti alla macchina che ne individua la struttura logica sottesa. La macchina impara così dai propri errori e dall’esperienza. Si rife- riscono a questo modello di apprendimento le liste dei risultati restituiti da un motore di ricerca i cui algoritmi forniscono come output le informazioni ritenute attinenti alla ricerca tramite l’analisi di schemi, modelli e strutture derivate dai dati di input; - apprendimento per rinforzo (Reinforcement Learning) mediante l’assegnazione di ricompense al raggiungimento dei risultati voluti e di punizioni in caso di er- rori. Pertanto, la macchina non riceve esempi di input-output ma migliora le prestazioni in funzione dei risultati raggiunti in precedenza; applicazioni di questo tipo si riscontrano negli Intelligent Tutoring Sytems (ITS) (Wang 2014). 2.2.3. Deep Learning Il Deep Learning (DL) o apprendimento profondo si basa sulla creazione di modelli di apprendimento a più livelli, attraverso l’utilizzo di reti neurali artificiali, ossia 40 Capitolo 2. Intelligenza artificiale in una prospettiva educativo-didattica di modelli matematici che si ispirano alla struttura e al funzionamento delle reti neuronali biologiche, capaci di elaborare dati e di apprendere con differenti livelli di astrazione al funzionamento delle reti neuronali (LeCun, Bengio, Hinton 2015). Infatti, diversamente dagli algoritmi di apprendimento automatico che sono lineari, gli algoritmi di apprendimento profondo sono organizzati secondo una gerarchia di complessità crescente. L’apprendimento assume così la forma di una piramide: i concetti più alti sono acquisiti a partire dai livelli più bassi. Una rete neurale può essere quindi definita come un grafo non lineare, nel quale ogni elemento di ela- borazione (corrispondente a ogni nodo della rete) riceve segnali da altri nodi ed emette a sua volta un segnale. Pertanto, se in un computer la conoscenza è localiz- zata tutta nella sua memoria, nella rete neurale, la conoscenza non è localizzabile, bensì è distribuita nelle connessioni della rete e ciò consente alla rete di imparare dalle proprie esperienze (Fabbri, 2019). Applicando il DL, la macchina riesce au- tonomamente a classificare i dati, a riconoscerne le caratteristiche e a strutturarli gerarchicamente trovando quelli più rilevanti e utili alla risoluzione di un problema, migliorando così le proprie prestazioni in un apprendimento continuo. Tra i prin- cipali ambiti di applicazione del DL, vi sono quelli riguardanti il riconoscimento degli oggetti, in particolare il riconoscimento facciale in cui i dati, costituiti da pixel, permettono di identificare progressivamente la forma della testa, i tratti fisiognomi- ci individuali e infine l’immagine complessiva del volto (Fawaz et al. 2019; Zhang et al. 2018), nonché il video labelling che comporta l’analisi dei metadati aggiunti ai dati forniti dai video, riguardanti informazioni che possono includere specifiche su persone, posizioni, oggetti e altro. 2.2.4. Natural Language Processing L’ambito del Natural Language Processing (NLP) si basa sullo sviluppo di algoritmi che consentono ai computer di analizzare e comprendere i contenuti del linguaggio naturale, scritto o parlato. Infatti, il NLP agisce sul trattamento automatico della lingua attraverso un’analisi morfologica, sintattica e semantica. I nuovi approcci al NLP spaziano da analisi statistiche, che raccolgono ed elaborano testi scritti rintrac- ciando i pattern lessicali, all’analisi della scrittura riflessiva (sentiment analysis) per identificare il tono della voce e lo stato d’animo, a sistemi di speech recognition o interfacce conversazionali come chatbot o assistenti vocali che in ambienti digitali simulano il comportamento umano, interagendo con l’utente attraverso una vasta gamma di interfacce (voce, chat, IoT, ecc.). Nei contesti didattici sono stati esplorati metodi di NLP in grado di rispondere a un certo numero di esigenze: facilitare l’accesso ai contenuti delle lezioni online 41 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica da parte degli studenti (Glass et al. 2007); creare corsi mediante la generazione automatizzata di contenuti di e-learning (Wang, Okamura 2020); estrarre infor- mazioni e valutare la qualità delle fonti, in particolare delle risorse web (Sethi, Singla 2016); attivare uno studio esplorativo finalizzato a cogliere somiglianze e differenze tra i testi (Hjorth 2020); in­teragire con gli studenti in modo personaliz- zato attraverso chatbot che intervengono e operano sugli aspetti relativi a comuni- cazione, negoziazione, interesse, motivazione e apprendimento (Kerlyl, Hall, Bull 2006; Winkler, Soellner 2018; Mendoza et al. 2020). 2.2.5. Computer Vision La Computer Vision (CV), o machine vision o visione artificiale, è un campo di ricerca finalizzato a comprendere come i computer possano riprodurre processi e funzioni dell’apparato visivo umano, tanto da essere attualmente considerata la forma più rilevante di machine perception. Infatti, i computer, attraverso modelli di deep learning, vengono addestrati a interpretare e a comprendere contenuti visivi. Nello specifico, la CV trova applicazione nei seguenti ambiti di interven- to: recognition, image retrieval, image restoration, semantic segmentation, object recognition e video tracking. Nello specifico del riconoscimento, le immagini ven- gono elaborate attraverso un algoritmo che le analizza per riconoscerle in base a determinati modelli o schemi. Nei contesti formativi, i sistemi di CV si riferiscono ad algoritmi e tecniche che permettono di analizzare dati visivi, in particolare per il riconoscimento facciale, aggiungendo informazioni utili quali il livello di attenzione/disattenzione degli studenti. In questo senso, la robotica si pone come un campo strettamente connesso alla visione artificiale (robot vision). Sono par- ticolarmente significativi in campo educativo gli studi sulle tecniche di visione artificiale da incorporare in robot sociali (Bebis, Egbert, Shah 2003; Shavetov et al. 2019). Alcuni robot possono infatti interagire con gli esseri umani tramite tec- nologie di tracciamento visivo e audio (Lathuilière et al. 2019; Okuno et al. 2004). Ne è un esempio il Robot NAO che dispone di un’elevata capacità sensoriale e di telecamere in grado di catturare le immagini da processare (Vital et al. 2019). 2.3. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale nella didattica Negli ultimi anni, sempre più vengono sperimentate nei contesti scolastici e uni- versitari applicazioni basate su sistemi di intelligenza artificiale per l’educazione (AIEd). Alcune di queste applicazioni incorporano dispositivi AIEd e tecniche di 42 Capitolo 2. Intelligenza artificiale in una prospettiva educativo-didattica data mining per tracciare il comportamento degli studenti, ad esempio, attraverso la raccolta di dati sulla frequenza alle lezioni e la consegna dei compiti, al fine di identificare gli studenti a rischio di drop-out e progettare azioni di interven- to mirate alla riduzione/prevenzione del problema (Viberg et al. 2018; Zawacki- Richter et al. 2019; Rienties, Simonsen, Herodotou 2020; Panciroli et al. 2021). Infatti, l’analisi predittiva dei dati è in grado di fornire previsioni sull’andamento futuro di un determinato fenomeno, combinando modelli matematici (o “algo- ritmi predittivi”) con dati storici (Bahadır 2016; Del Bonifro et al. 2020). Nello specifico, gli algoritmi predittivi utilizzati per migliorare i livelli di apprendimento si basano su una selezione di metriche messe a disposizione dai sistemi di traccia- mento delle piattaforme didattiche, con l’obiettivo di esplorare le possibili corre- lazioni e misurare le interazioni tra gli attori coinvolti (docenti, studenti, genitori, ecc.), le discipline, le tipologie di risorse multimediali e l’ambiente. Un altro campo di applicazione particolarmente significativo in ambito didat- tico è quello degli Intelligent tutoring systems (ITS) adottati nel tutoraggio personale one-to-one. Gli ITS presuppongono: una rappresentazione della conoscenza dello studente; un modello di dominio che descrive la conoscenza da apprendere; un mo- dello pedagogico che guida lo studente verso gli obiettivi di apprendimento. Gli ITS possono prendere decisioni sul percorso di apprendimento di un singolo studente e sul contenuto formativo da selezionare, nonché sostenere i processi cognitivi attra- verso la promozione del dialogo. A questo proposito, gli ITS possono contribuire all’apprendimento collaborativo attraverso la formazione di gruppi di studio e di lavoro che presuppongono specifici modelli di discente, e l’interazione online. Nell’ambito degli ITS, lo sviluppo di sistemi di NLP ha portato alla diffusione di chatbot o assistenti conversazionali (Kerlyl, Hall, Bull 2006). Si tratta di agenti software in grado di migliorare la user experience, eseguendo azioni o erogando ser- vizi per rispondere ai bisogni dello studente in base a comandi ricevuti in maniera vocale o testuale. L’obiettivo specifico è quello di promuovere lo sviluppo di am- bienti di apprendimento adattivi attraverso la sperimentazione di strumenti AIEd flessibili, inclusivi, personalizzati, coinvolgenti ed efficaci, esplorandone le poten- ziali opportunità pedagogiche (Educause, 2019; Zawacki-Richter et al. 2019). In particolare, l’IA, integrata nelle attività di apprendimento per un’analisi continua dei risultati degli studenti, può fornire feedback e valutazioni just-in-time. Questo processo si accompagna all’uso di recommender systems, applicazioni che indirizzano le scelte degli studenti in relazione alle informazioni da essi fornite in maniera diretta o indiretta. 43 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica Approfondimento 1. LEA-Learning Assistant Bot1 LEA-Learning Assistant Bot è un esempio di agente virtuale conversazionale uti- lizzato nei contesti didattici e progettato per supportare sia docenti che studenti fornendo risorse e attività per l’apprendimento. LEA supporta gli studenti durante lo studio individuale: l’interazione avviene in forma testuale (chat via computer, tablet o smartphone) o vocale (invocazione tramite smart speaker). Gli studenti possono formulare domande conversando con LEA, ricevere suggerimenti in diverse forme per approfondire l’argomento da studiare, lasciandosi interrogare per affinare la preparazione a una verifica con la possibilità, inoltre, di ripassare veloce­mente e memorizzazione le nozioni più importanti. LEA propone infatti esercizi perlopiù a risposta chiusa o breve, che lo studente può svolgere interagendo in linguaggio naturale attraverso feedback automatici. A questo scopo, l’assistente conversazionale può essere fornito di una knowledge base attraverso cui può consigliare allo studente specifici argomenti, fornire suggerimenti bibliografici o altri contenuti multimediali. LEA consente ai docenti il monitoraggio dello stato di avanzamento dell’appren- dimento degli alunni, sia in forma aggregata che personalizzata, inviando loro feedback automatici. Infatti, a conclusione del test di ripasso, LEA propone una richiesta di feedback allo studente. In questo modo le interazioni in cui vengono riscontrate difficoltà possono essere inviate al docente, che ha la possibilità di mo- nitorare l’andamento della classe. Analizzando i report sulle interazioni tra LEA e gli studenti, gli insegnanti capiscono quali sono gli argomenti studiati, appro- fonditi, compresi e quelli su cui c’è ancora scarsa preparazione e richiedono una maggiore azione di supporto. Questo chatbot permette così di arricchire e innovare la didattica introducen- do modalità ed esperienze di apprendimento personalizzato (Adaptive Learning) basate sull’uti­lizzo di tecnologie semantiche conversazionali di IA. Il sistema è in- fatti sviluppato con Tecnologie Semantiche di Natural Language Understanding e Machine Learning AI che presuppongono: 1. Apprendimento Automatico Super- visionato; 2. Creazione di Knowledge Base con sistemi di Question Answering e Information Retrieval; 3. Speech Technology (ASR e TTS) per canali vocali. 1 Presentazione di LEA-Learning Assistant Bot di Francesco Buzzoni, Innovation Manager per Ellysse. 44 CAPITOLO 3 RAPPRESENTAZIONE VISIVA NEI PROCESSI CONOSCITIVI Anita Macauda 3.1. L’apprendimento visivo in una prospettiva neuroscientifica Nell’ambito della letteratura scientifica, i più recenti studi su neuroscienze e didattica convergono verso alcuni aspetti e principi che ridefiniscono i proces- si di acquisizione, trasmissione e costruzione della conoscenza (Feldges 2016). I soggetti si differenziano infatti per gli stili cognitivi e di apprendimento, le modalità sensoriali e le intelligenze multiple che utilizzano per percepire, elabo- rare, immagazzinare e recuperare le informazioni. Lo stile cognitivo rimanda a come un individuo elabora le informazioni e si rappresenta la real­tà. Lo stile di apprendimento viene definito come «la tendenza di una persona a preferire un certo modo di apprendere-studiare; riguarda la sua modalità di percepire e reagire ai compiti legati all’apprendimento, mediante cui mette in atto, o sce- glie, i comportamenti e le strategie per apprendere» (Cadamuro 2004, p. 71). Nello specifico, lo stile di apprendimento visivo contraddistingue i soggetti che tendono a comprendere e memorizzare meglio il materiale didattico quando è corredato di stimoli visivi (accentuazioni grafiche e diversificazioni cromatiche; organizzazione del testo in tabelle, paragrafi, didascalie ecc.; ausili visivi, come foto, disegni, diagrammi, ecc.). Questa preferenza per i modi sensoriali di natu- ra visiva trova le proprie radici nel funzionamento dei due emisferi cerebrali e in particolare nei processi neuro-biologici che sono alla base dell’apprendimento. In tal senso, sono significative le ricerche condotte nell’ambito di una branca specifica delle neuroscienze, la Visual Neuroscience, che si concentra sul sistema 45 Parte Prima. Temi e ricerche per l’innovazione didattica visivo con l’obiettivo di comprendere le attività neurali rispetto ai processi di percezione (Gegenfurtner et al. 2017; Chen 2019). In riferimento alla capacità del cervello di adattarsi ai differenti stimoli che riceve dall’esterno (Wolf, Bar- zillai 2009), Fleming (2009) individua quattro stili di apprendimento, ovvero quattro modalità di assunzione delle informazioni: visivo-verbale (basata sul linguaggio scritto), visivo-non verbale (basata su immagini, figure, diagrammi, schemi), uditiva (basata sull’ascolto), cinestetica (basata sull’esperienza diretta delle cose attraverso la manipolazione e il movimento). Gli studi volti a indagare lo stile di apprendimento visivo per valutarne l’impatto educativo in termini di rafforzamento dell’acquisizione della conoscenza, evidenziano come il canale visivo costituisca nell’uomo il sistema sensoriale dominante occupando il 20- 30% dell’area della corteccia cerebrale (Van Essen, Drury 1997; Van Essen 2004). Gli esseri umani elaborano dati visivi-non verbali molto più velocemente rispetto a quelli verbali e si confrontano ogni giorno con una considerevole quantità di immagini e rappresentazioni visive: schermi digitali, grafici infor- mativi, mappe, segni, video, diagrammi, illustrazioni, ecc. (Salvetti, Bertagni 2019). Si tende a ricordare circa il 10% di ciò che si ascolta, circa il 20% di ciò che si legge e circa l’80% di ciò che si vede (Rizzolatti, Sinigaglia 2008; Collins 2015; Gazzaniga 2009; Kandel et al. 2013). Nello specifico Feldges (2016), indagando ciò che accade all’interno del siste- ma nervoso quando gli occhi ricevono stimoli visivi, evidenzia come l’appren- dimento derivi dalla fusione di due processi percettivi neurali basati sul ricono- scimento degli oggetti e rappresentazione delle forme (Bear, Connors, Paradiso 2006) da un lato e sulla percezione di oggetti in movimento dall’altro. Questa distinzione riportata nei contesti educativi, fa riferimento alla necessità di pro- muovere forme di apprendimento sostenute da due differenti flussi visivi: imma- gini fisse e immagini dinamiche. Infatti, il primo flusso di informazioni consente di comprendere gli aspetti legati alla percezione visiva di un’immagine statica, il secondo fornisce spiegazioni precise su come percepiamo realmente il

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