Summary

Questo documento tratta le dottrine politiche, in particolare la legge di natura e il diritto naturale, con un focus sulla nascita e le caratteristiche dello Stato moderno. Il testo analizza le origini dello Stato nell'età moderna, confrontandolo con le forme politiche medievali e evidenziando i suoi elementi costitutivi. Questo documento esplora i concetti chiave del potere sovrano e la razionalizzazione del potere politico.

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DOTTRINE POLITICHE Legge di natura e diritto naturale: Le dottrine fondate sul diritto naturale presentano alcuni elementi comuni: - La natura è conoscibile dall’uomo attraverso l’uso della ragione; - La natura stessa fornisce precisi valori sui quali orientare l’azione e tali valori son...

DOTTRINE POLITICHE Legge di natura e diritto naturale: Le dottrine fondate sul diritto naturale presentano alcuni elementi comuni: - La natura è conoscibile dall’uomo attraverso l’uso della ragione; - La natura stessa fornisce precisi valori sui quali orientare l’azione e tali valori sono universali nella loro applicazione, immutabili nel contenuto ultimo e moralmente vincolanti per tutto il genere umano; Continuando il nostro discorso, potremmo dire che è a partire dallo stoicismo che la “legge naturale” diviene oggetto specifico di riflessione. I filosofi stoici ritengono che la natura sia governata da una legge universale razionale di origine divina, ben conoscibile dalla mente umana. Il massimo bene individuale consiste nel vivere secondo natura, vale a dire conformemente alla ragione. Allo stesso modo, in campo sociale, le leggi, prodotte dalla ragione universale e comune, possono realizzare la giustizia. La più completa difesa dell’idea che vi sia una legge superiore al potere politico si trova in Cicerone: nel trattato di filosofia politica “De re publica”, egli ribadisce l’esistenza di una legge “vera”, dettata dalla ragione e da Dio, immutabile, eterna, unica per ogni tempo e ogni luogo, presente in tutti gli uomini e individuabile attraverso la ragione. L’età cristiana fece ampio utilizzo delle nozioni ciceroniane della legge, in particolar modo dell’idea della legge come editto della natura e non la volizione del comandante supremo. CAPITOLO 3 – LA RISPOSTA MODERNA AL PROBLEMA DELL’ORDINE POLITICO La parola “Stato”, indica una vera e propria organizzazione del potere politico, e non indica generalmente qualsiasi paese o nazione organizzata. La nascita dello Stato ha una collocazione precisa, le sue origini risalgono all’età moderna, immaginiamo tra la fine del 400 e gli inizi del 500, con delle date ed eventi in particolare: la caduta di Costantinopoli e la fine dell’Impero Romano d’Oriente, la scoperta dell’America e l’affissione delle 95 tesi contro l’indulgenza plenaria di Martin Lutero. Inoltre, è bene sottolineare che si colloca fisicamente la nascita dello stato in Europa. Modernità dello Stato L’età moderna è in primo luogo un punto di rottura con il Medioevo. Il termine Stato evoca la progressiva messa a fuoco di un nuovo modo di concepire il potere politico. Il cuore di tutte le novità rappresentate dal potere organizzato in forma statuale sta nel principio di sovranità. Il primo ad utilizzare la parola “stato” fu Machiavelli nel “principe”, in cui però diede un’altra accezione, riferendosi al gruppo che aiuti e sia al servizio nella Corte del Principe. Lo Stato indica quindi una lenta e progressiva crescita della concezione dell’organizzazione politica. In molti si chiederanno che, se esiste uno stato moderno esso implica anche l’esistenza di un antico, collocato in epoca medievale, ma non è così poiché la loro organizzazione politica, seppur esistente non assomiglia a quella statutale. Le sue caratteristiche principali sono: l’organizzazione istituzionale, la differenziazione, la ricerca del monopolio, quindi del punto forte della nazione, la sovranità etc. Di fatto lo stato non è una scoperta, non c’è una data in cui esso viene allo scoperto, ma è il frutto di un lavoro di adattamento di norme e comportamenti politici che con il tempo si sono formati, è dunque un complesso istituzionale creato artificiosamente e logicamente progettato per adattarsi alle esigenze dei suoi componenti. L’analisi e la nascita effettiva del concetto di stato poi seguirono la Prima guerra mondiale, quando gli studiosi iniziarono a porre l’accento sullo studio della nascita e della formazione dello stato andando quindi a 1 creare l’idea e la definizione che noi consociamo oggi, grazie all’insieme dei vari studi degli intellettuali del 900. Nascita e funzioni dello Stato La nascita dello Stato è segnata dal tentativo di pacificazione territoriale, il territorio deve essere sottoposto ad un unico detentore della forza: lo Stato per avere successo deve proibire la violenza privata per presentarsi come l’unico depositario della facoltà di utilizzare la forza. Weber è il primo a mettere in luce questo aspetto. Per lui lo Stato è una impresa, cioè si tratta di un gruppo politico che agisce in modo continuativo per il raggiungimento di uno scopo istituzionale. Lo Stato esclude qualunque altro centro di potere sociale dalla possibilità di utilizzare la forza in un determinato territorio. Si tratta di un servizio di “protezione” fornito a tutti. Il potere costituito è l’unico detentore della forza autorizzato a determinare il rispetto delle leggi, l’amministrazione della giustizia e a determinare il diritto. Stato (moderno) e società civile Ma lo Stato, per rendere quella protezione una offerta che non si può rifiutare, deve prima disarmare la società. Otto Brunner, nell’opera “terra e potere”, mostrò che la razionalizzazione giuridica e politica del moderno implicava il disarmo dei cittadini, seguito dalla creazione di una casta armata, lo Stato. L’offesa ad un cittadino diventa anche una offesa verso l’interesse statale, che è quello di preservare l’ordine per acquisire maggiore controllo sul territorio. È con Schmitt che il dato della piena modernità dello Stato emerge con chiarezza. Egli segnala, nell’opera “il nomos della terra”, anche come una delle principali conseguenze della Riforma protestante sia stata l’esclusione dei teologi dagli affari. La moderna statualità impose la fine delle istanze tipiche dell’Impero e della Chiesa. Fra i due grandi litiganti del Medioevo la vittoria spettò a un terzo, lo Stato sovrano. Per Schmitt la nuova forma di potere si afferma su tre direttrici: la riorganizzazione centralizzata delle competenze interne in mano al dominus di un territorio, ossia quella legislativa, amministrativa e giuridica; poi, il superamento delle lotte religiose rende lo Stato l’unica autorità che può definire i rapporti fra le confessioni all’interno del proprio territorio; infine, lo Stato, creando l’ordine interno proietta un principio ordinatore all’esterno. Lo Stato moderno rappresenta quindi un ordine politico di carattere sia interno che internazionale. Il progetto statuale implica la creazione di un potere sovrano destinato a monopolizzare la vita pubblica e ad annullare ogni altro centro. Affinché lo Stato trionfi e si affermi come modello di ordine, esso deve poter vivere in mezzo ai propri simili, quindi esso dev’essere l’unica sintesi politica esistente al mondo. La natura e la funzione del confine in un mondo di Stati ci fa subito intendere la caratteristica non moderna di alcune organizzazioni politiche precedenti: i romani ritenevano che il confine fosse un punto di arresto delle armate e della civiltà latina, oltre vi erano solo barbarie, luoghi ancora da conquistare ma che non rappresentavano un limite effettivo. Uno Stato invece non mira a governare su tutto il mondo, ma al contrario a circondarsi di altri Stati intorno ad esso. Da quando esiste lo Stato moderno? Una questione controversa è quella dell’età dello Stato: mentre alcuni reputano che debba essere fatta risalire tra il XV e il XVI secolo, con la nascita delle monarchie assolute, altri ritengono che la nascita di ordinamento giuridico coincida con il potere che per esempio esercitava il Re Sole alla sua Corte. La forma compiutamente statuale sorgerebbe solo alla fine dell’età delle Rivoluzioni, epoca che viene definite rivoluzione giuridica, coincidente con la riorganizzazione napoleonica. Per molti invece avrebbe una sorta di “preistoria non sovrana”. L’esistenza di un rapporto di governo fra i signori e il territorio spinge a ritenere che nel Medioevo vi sia già una qualche forma di governo. In realtà, il 500, rimane il secolo su cui si concentrano le indagini di decollo dell’idea e della pratiche statuali. La sovranità assoluta si colloca nel corpo stesso del sovrano e nell’unico centro di potere. Il “Principe” è la figura cruciale della modernità statuale che riesce ad accentrare il potere grazie all’aiuto dei suoi funzionari. Il sovrano è una figura fondamentale nella formazione dello Stato moderno, un simbolo di potere unico su una popolazione e su un 2 territorio tramite la forza e la legge, è lui che riesce a centrare l’idea di “macchina dello Stato”. Questa immagine può anche non rispecchiare la realtà delle monarchie europee nella prima età moderna. Il candidato più probabile ad essere considerato il primo Stato compiuto sembra essere la monarchia francese. Un nuovo modello di ordine politico L’esercizio del potere dello Stato è circoscritto all’interno di un determinato territorio, difatti, lo Stato esercita i suoi poteri in una ben determinata e limitata aerea. In quest’area non deve rispondere ad altri delle modalità e degli esiti di quel controllo. Il primo punto del programma dello Stato moderno era la concentrazione del potere. Al sorgere dell’età moderna, lo Stato incomincia il suo lungo cammino costruendo un unico centro decisionale e di comando. Concentrare il potere significa anche una sua razionalizzazione e stabilizzazione sul territorio. Nel corso dell’età moderna lo Stato ingaggiò una lotta furibonda contro tutto ciò che veniva considerato un “residuo feudale”, quindi voleva distruggere tutte le istanze e associazioni intermezzo che si ponevano nel mezzo del rapporto tra governante e governati. Solo alcune associazioni potevano essere tollerate dal nuovo ordine politico. I suoi confini sono una linea di demarcazione fra l’essere e il non essere, fra il dentro e il fuori. Per questo viene definito “confinario”, esiste solo in delle linee geografiche immaginarie, al di fuori di quelle perde tutta la sua sovranità. Lo Stato esiste, vive e prospera solo in un mondo fatto di simili. Gli stati sono tutti uguali, dotati di sovranità, legittimità, territorio e amministrazione pubblica. Lo Stato è la specifica risposta che l’Europa moderna ha fornito al problema dell’ordine politico. Lo Stato non è separabile dalla sua costruzione ideologica. È difficile pensare ad un ordine politico senza Stato, proprio perché lo Stato non è una risposta ma è LA risposta unica al problema dell’ordine politico. CAPITOLO 4 - LE ALTERNATIVE DELLA MODERNITÁ: PRINCIPE, DIRITTO E COMINITÁ, MACHIAVELLI, BODIN E ALTHUSIUS. Machiavelli fu importantissimo autore che segnò il passaggio per arrivare all'età moderna egli fu considerato il primo vero scienziato della politica e anche padre del dell'unità d'Italia. Egli è colui che ha avviato la riflessione politica moderna, grazie alla opera chiamata “Il Principe” questo perché egli vuole riflettere sugli stravolgimenti istituzionali di quell'epoca. Il contesto storico in cui ci troviamo e il matrimonio appena avvenuto tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia in Spagna e Carlo V, che divenuto re, unì finalmente il Regno personale e unitario. Il re inglese e Carlo VII, che avvierà la dinastia Tudor è una Francia in cui l'accentramento della monarchia sarà ancora più elevata. Niccolò Machiavelli: il Principe È il fondatore della moderna scienza politica ed è stato sin da allora fortemente connesso al concetto di Stato. Nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia modesta e di buona cultura: ebbe un'educazione umanistica. Dal 1498 ebbe una grande esperienza diretta della realtà politica e militare, infatti, fu capo della seconda cancelleria successivamente primo cancelliere e infine segretario dell'ambasciata, incarico per cui gli storici gli attribuiscono il nome di “Segretario fiorentino”. Nel 1511 ci fu lo scontro tra Francia, alleata di Firenze, e la Lega Santa del Papa. I Francesi furono sconfitti così anche i Fiorentini e Machiavelli dopo 3 il ritorno dei Medici fu licenziato. Nel 1512 fu accusato di aver preso parte di una congiura e fu torturato e confinato, In questo periodo scrisse il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Tentò un riavvicinamento alla politica tramite i Medici, dedicando a Lorenzo il Principe, e a due di un gruppo di aristocratici dedicò i Discorsi. Morto Lorenzo, sali al potere Giulio (Papa Clemente VII) che lo incaricò di scrivere la storia di Firenze. Nel 1527 si instaura la Repubblica e per il suo riavvicinamento ai Medici, Machiavelli fu emarginato. Durante il periodo di allontanamento si avvicina allo studio dei classici greci e romani, ed è proprio in questo periodo che avviene la stesura delle due opere principali: il Principe e Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. La sua vita si divideva: di giorno egli si occupava del lavoro manuale, della lettura e dei giochi d'azzardo, di notte concentrava tutta la sua attenzione 3 sulla scrittura, ma Machiavelli non legge semplicemente le opere antiche, ma si immedesima in esse per comprenderle a fondo. Proprio grazie a questi meccanismi egli realizzò “Il Principe” che ben presto fu posto nell'indice dei libri proibiti nel 1558, un'altra opera fondamentale fu “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” ossia un'opera in cui egli trattava i primi 10 libri dell'opera dello storico romano Tito Livio ad urbe candida. Un'importante caratteristica di Machiavelli e la sua avversità contro la religione cristiana, causa per cui molte delle sue opere venivano poste nell'indice dei libri proibiti sotto censura. Il suo obiettivo con i libri antichi era quella di ricercare le tecniche per educare e formare gli uomini della sua epoca con gli insegnamenti dell'antichità. Un esempio è il concetto di scienza, la scienza rende un uomo immutabile essendo essa una disciplina fissa rigida al contrario della religione e dunque tale concetto rende l'uomo naturalmente immutabile. Egli sviluppa una rivoluzione verso la religione, in quanto critica la cultura cristiana per l'incapacità di esaltare le virtù guerresche delle popolazioni, sostituendole con i valori dell’ozio, l’umiltà e il disprezzo delle cose terrene. Egli pensava che la guerra fosse il fattore che esaltasse le virtù guerresche di una popolazione ciò che glorificava gli animi degli uomini più umili e rendendoli attivi e glorificando, la religione ci insegna la regola del porgere l'altra guancia, Machiavelli invece la critica aspramente affermando che un uomo deve essere sempre ben armato è predisposto a lottare contro i nemici per la patria. Assume perciò il compito di analizzare i testi classici alla ricerca di questi valori persi, per capire come riportarli all'interno della società: cosa possibile grazie all'immutabilità della natura umana, ovvero l'uomo in società si comporta sempre allo stesso modo Il principe: l’ordine politico si fa uomo. “II Principe", scritto nel 1513, ma pubblicato postumo nel 1532, nasce come libro di consigli per il principe, rientra ne “Gli specchi per i principi" (raccolta con lo scopo di fornire una serie di consigli). È una critica alle dottrine umanistiche del "buon principe" del De Officis di Cicerone che predicava la giustizia e la lealtà, doveva farsi amare dal popolo e non usare la crudeltà della bestia. L'Italia a quel tempo era terra di conquiste e le signorie trionfavano, anche grazie al desiderio di pace del popolo; non c'è più il cittadino attivo, ma solo sudditi che obbediscono. Secondo Machiavelli nel Principe la politica è la capacità di un uomo o di un gruppo di controllare e mantenere il potere ossia controllare uno stato. Questa è l'affermazione con la quale si apre il principe. Machiavelli fu il primo autore a parlare effettivamente di Stato alla quale però attribuì molteplici significati, in primo luogo uno stato è una comunità politica, in secondo luogo la usa per indicare uomini che fanno parte di una cerchia ristretta del principe, che vivono nella sua Corte; quindi, si tratta della classe politica al vertice subito sotto dopo il principe. Il principe poi è colui che ha fondato lo stato, mentre chi entra nello stato è solamente colui che lo ha ereditato, esso non esercita un potere nella sua pienezza perché esso spetta a chi ha fondato effettivamente lo stato. Grazie a quest'opera nasce una nuova concezione quella del realismo politico, Machiavelli, infatti, ricerca la verità effettuale della cosa di ciò che è e non di come dovrebbe essere. Nasce così l'assolutismo, e la sua prima espressione: il principato. Il principe doveva essere in grado di conquistare e mantenere il proprio potere, dando vita alla "ragion di Stato", e i propri possedimenti, e ciò era possibile solo se possedeva le antiche qualità del “vir": coraggio ed eccellenza, mentre la morale/etica perde di valore. Crea anche una distinzione effettiva nel concetto di virtù. Secondo la religione essa non ha nulla a che vedere con la moralità che presupponeva la religione ma al contrario virtù che proviene da Virtus, ossia virilità, rappresenta una caratteristica propria dell'uomo nel senso di coraggio, nella sua capacità di eccellere, di spiccare maggiormente rispetto agli altri. Non sono più significativi i valori tradizionali, etici, la morale non conta più nella politica ma è necessario che il principe sia temibile rispetto all'essere amato per evitare che il popolo non lo rispetti. In contrasto con Cicerone, il Principe di Machiavelli deve "saper usare la bestia e l'uomo": ritiene che sia meglio essere temuto piuttosto che amato, 4 e non può affidarsi alla lealtà degli altri, perché l'uomo, per natura ingrato e malvagio, non esiterà a rivoltarglisi contro in situazioni di difficoltà o debolezza; deve saper dosare onestà e disonestà e non avere paura di ingannare per poter mantenere il potere (le azioni vengono giudicate giuste o meno a seconda della loro efficacia) - sia leone/crudeltà che volpe/astuzia. Egli si sofferma anche su una questione legata alla lealtà dedicandole un intero capitolo chiamato “la lealtà del principe” affermando che sarebbe bello che il principe fosse leale e potesse vivere onestamente all'interno dello Stato senza nessun inganno; d’altro canto, i principi non possono condurre questa vita di rettitudine e onestà ma devono dosare un poco di menzogna. Il Principe deve saper far fronte al destino che può metterlo in difficoltà e in questo interviene anche la fortuna, paragonata alla donna, che preferisce l'uomo impetuoso rispetto a quello buono, perciò conviene esserlo per attirarla. Esempio perfetto di Principe, Machiavelli trova in Cesare Borgia che è stato in grado di portare unità politica nella penisola italiana, senza curarsi della propria reputazione di uomo crudele. La speranza di Machiavelli è la nascita di un principato sufficientemente forte che possa imporsi e allontanare i barbari dall' Italia. Molto spesso viene attribuita a Machiavelli la massima “il fine giustifica i mezzi”, ossia che è necessario compiere gesti sbagliati per essere ripagati alla fine, ma in realtà nel principe non è così in quanto non è neanche stato sottoscritto da Machiavelli stesso questa affermazione. Il sistema del Principato machiavelliano si fonda su un equilibrio fra due egoismi: il primo è quello delle moltitudini che mostrano un desiderio di sicurezza universale, il secondo è quello del principe e della sua Corte, cioè del dello Stato che lo circonda. Grazie al Principato egli detiene un primato sulla politica assoluto e dunque ogni accezione, concezione, dogma religioso è definito irrilevante plagiando la mente degli uomini. Nonostante lo spiccato senso anticipatorio di quanto avverrà nella costruzione dello Stato futuro, l'opera di Machiavelli appare anacronistica e non contestualizzata all'epoca in cui vivevano, infatti appare priva di ogni sensibilità dei problemi religiosi che in quel periodo si stavano sviluppando a causa della riforma, oppure non vi era alcuna riferimento al problema del diritto concetto che stava nascendo in quel periodo. Inoltre, non vi era attenzione sui problemi della legittimazione del potere per il modo in cui il principe si poneva verso i suoi sudditi. Fra repubblica e principato: interpretazioni machiavelliane. Il Principe non sarebbe affatto un manuale per i tiranni ma sarebbe in realtà un libretto di matrice repubblicana: un tentativo di smascherare i tiranni esponendo i metodi nonché la immoralità e brutalità. Il Machiavelli dei “repubblicani” è inteso come la figura di passaggio che ci permette di cogliere la sopravvivenza in pieno Rinascimento del pensiero repubblicano classico. Se Machiavelli ha avuto un mutamento da fautore del principato da ammiratore della libertà repubblicana, non lo ha mai reso noto. La relatività della forma istituzionale nel pensiero machiavelliano è ancora oggetto di disputa. La “Ragion di Stato” viene usata per cercare di interpretare la figura di Machiavelli. La Riforma e i suoi risvolti politici Nel 1517 Il monaco Martin Lutero affigge alla porta della chiesa un manifesto contenente 95 testi che danno inizio alla riforma, che frammenterà in modo irreversibile l’unione dei cristiani in Europa. Il movimento è in primis un rivolgimento di carattere religioso, ma avrà risvolti politici senza pari. La piena rottura si consuma nel 1521 e segna la fine dell’unità dei cristiani in Europa. Le opere di Lutero non contengono insidie per i detentori del potere politico. Lutero mostra una grande fiducia nei confronti del potere politico. All’egualitarismo delle plebi in rivolta, Lutero si oppone con uno scritto nel quale afferma che i contadini, disobbedendo, si macchiano di peccati per i quali meritano di essere uccisi. I principi tedeschi non esitarono a soffocare nel sangue la rivolta. 5 Calvinismo e potere Seppur nata in ambito germanico, la Riforma religiosa prende altre vie. Se in Lutero la fede è la via maestra, per Calvino esistono dei predestinati alla salvezza e ciascun uomo può sapere se è parte o meno di questa cerchia. Il calvinismo ebbe il suo primo epicentro in Ginevra. Si diffuse in Francia e in Inghilterra e poi nelle colonie americane. La Chiesa anglicana era considerata un compromesso tra il cattolicesimo e il protestantesimo. I puritani erano una fra le tante sette protestanti che avrebbero voluto purificare la Chiesa da ogni tendenza papista. Pur avendo subito loro stessi delle persecuzioni, i puritani si mostrarono subito poco tolleranti. Per quanto riguarda i contenuti politici delle dottrine che derivano dalla Rivoluzione va segnalato che questi non presentano una coerenza assoluta, ciò suggerisce che le deduzioni politiche non furono la traduzione delle opzioni religiose nel contesto del potere, ma il frutto dell’utilizzazione di temi teologici per finalità di carattere politico. I protestanti al potere sono caratterizzati da rara intolleranza e schemi rigidissimi di governo. Di contro, quando essi si trovano all’opposizione elaborano dottrine de diritto di resistenza e l’idea di tolleranza nei confronti delle minoranze. La Ginevra di Calvino presenta un modello comunitario flessibile. La polizia aveva facoltà di vigilare sui sudditi anche dentro le mura domestiche. Lo stile di vita puritano respingeva il lusso. In estrema sintesi, il potere politico ha il compito di obbligare gli uomini a comportarsi rettamente. Per Calvino il cittadino deve occuparsi del proprio lavoro e non dei problemi politici: il suo dovere è l’obbedienza. La teoria del diritto di resistenza ammette però una possibilità d’opposizione: se i sudditi non possono criticare il magistrato e neppure resistergli, i magistrati di rango inferiore possono opporsi ai magistrati di rango superiore. Il compito dei magistrati è quello di evitare la tirannide. Jean Bodin: assolutismo e sovranità Il primo modello del nuovo ordine dell’Europa è quello della monarchia assoluta. La costruzione dello Stato assoluto si compie per mezzo dell’accentramento dei poteri in capo al Principe. Il termine “assolutismo” verrà utilizzato successivamente con accezione negativa ma l’assolutismo della prima età moderna non creava uno Stato illimitato. Il periodo storico in cui visse Jean Bodin era particolarmente movimentato a causa delle guerre di religione tra ugonotti (calvinisti francesi, contrari al sovrano assoluto e con il diritto di ucciderne uno - tirannicidio) e cattolici. Da un lato, lo Stato si reggeva sull’idea di un Principe svincolato dalla necessità di rispettare le leggi ma le leggi di natura, le leggi divine e le leggi fondamentali sono limiti invalicabili. Il 500 è un secolo di scontri ideologici. La notte di San Bartolomeo del 1572, segna un punto di svolta nelle lotte di religione in Francia, il giorno seguente Margherita, figlia di Caterina de Medici, avrebbe dovuto sposarsi con il futuro re: erano radunati a corte tutte le rappresentanze del regno, per la maggioranza ugonotti; quella notte vennero uccisi in uno dei più grandi massacri della prima età moderna. I vertici della nobiltà ugonotta vengono uccisi. Le posizioni ugonotte sono ormai di aperta sfida alla monarchia francese, nella quale vengono individuate le ragioni del conflitto che ormai attanaglia il paese. Hotman è sostenitore del tirannicidio: se il sovrano diventa un tiranno diventa legittimo ucciderlo. Il tirannicidio può verificarsi nel momento in cui il sovrano non rispetta le leggi fondamentali del regno, unico limite imposto al suo potere Il monarca deve attenersi alle leggi fondamentali. Vi è qui una idea di monarchia costituzionale: il rapporto politico è paragonato ad un vincolo contrattuale. La pretesa del Re di Francia di avere tutti i sudditi della medesima religione cattolica era illegittima, perché due contratti diversi regolano la vita civile: uno per la sfera religiosa, l’altro per le questioni politiche. Il primo è fra la comunità dei fedeli e Dio. Il secondo vincola Principe e popolo. Nel dibattito francese sul potere si impone un gruppo di “politici”, così chiamati perché in opposizione agli uomini di fede. I Politiques si adoperano per innalzare l’autorità del Re sopra la divisione tra cattolici e protestanti, l’obiettivo era quello di far uscire la politica dai dibattiti sulla religione; “tolleranza" diventa un concetto chiave. Il monarca si pone al di sopra del conflitto tra cattolici ed ugonotti, come espressione di imparzialità. La monarchia deve diventare un potere forte, inattaccabile e rispettato. L’unità non va ricercata nella fede ma nella monarchia. 6 Jean Bodin pubblica i “Sei libri dello Stato” nel 1576, e qui esprime l'idea dei Politiques dello Stato disinteressato al problema religioso, egli è l’espressione più matura del partito dei Politiques. Egli aveva compreso che le antiche nozioni di potere divino del Re erano diventate obsolete. Lo Stato doveva disinteressarsi al problema delle confessioni: lo Stato comincia ad essere pensato come un abito giuridico da adattare alla politica. Secondo Bodin, lo Stato è il governo giusto che si esercita con il potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che esse hanno in comune fra loro. La famiglia, la sovranità e i beni comuni sono gli elementi costitutivi dello Stato. Lo Stato inizia ad essere visto come governo giusto con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che hanno in comune tra loro; il potere sovrano è inerente alla comunità politica. Si passa dalla concezione privatistica del potere, feudale, alla concezione pubblica. La famiglia diventa l'esempio di uno stato ordinato (pater familias = sovrano assoluto). La sovranità è il secondo elemento essenziale dello Stato. Bodin è il vero e proprio inventore di questo concetto. Per sovranità si intende quel potere assoluto e perpetuo ch’è proprio dello Stato. La sovranità è il cuore della concezione di Bodin: senza di essa non si dà ordine politico. La sovranità non dipende da una investitura divina ma deriva dal sistema stesso. Il sovrano deve produrre norme e decisioni nei casi non previsti, ma in maniera legale. In breve, il potere centrale unico, inalienabile, indivisibile perpetuo ed assoluto è lo Stato stesso. Il potere supremo mantiene nelle sue mani la pienezza della sovranità, la quale è indivisibile. Un potere supremo di questo tipo è incompatibile con le forme di governo misto. Il titolare della sovranità, tuttavia, può conferire in modo revocabile il potere a un governo composto in vario modo. La sovranità ha una funzione essenzialmente giuridica: per mezzo delle leggi si può dare movimento al corpo politico. Bodin è monarchico sia perché questa gli appare come un regime naturale e sia perché è quello maggiormente in sintonia con la dottrina della sovranità. Nella prospettiva bodiniana, la monarchia non è tirannica o dispotica. Gli argini contro i quali può scontrarsi l’arbitrio del sovrano sono il diritto della famiglia, il diritto di natura e le leggi fondamentali del regno. Tuttavia, la monarchia assoluta voluta da Bodin non corre il rischio di diventare tirannica, in quanto il Re è comunque limitato dalle leggi fondamentali del regno, dalle leggi divine e da quelle naturali. Far parte di uno stato significa avere in comune un sovrano; quindi, è l'unità politica a formare la società. Johannes Althusius: l’alternativa alla statualità Il tema della sovranità domina il discorso politico europeo continentale da Bodin in poi. Esisteva però, anche in età moderna, un’Europa diversa, un sistema politico minoritario, caratterizzato da una comunità strutturata federativamente e fondata sulla mutua obbligazione tra popolo e governante. Il principale candidato a essere il rappresentante di questa “diversa Europa” è Johannes Althusius. Egli non può essere considerato il contraltare di Bodin. La sua opera (“La politica esposta con metodo”) può essere invece considerata come testimonianza di una Europa che avrebbe potuto essere ma che non fu. Per Althusius il mondo non è fatto da governanti e governati, ma di un apparato che permette la crescita di una società, ma che la società umana e lo Stato sono indistinguibili. L’altro concetto che viene introdotto è quello di patto, cioè di mettere in comune tutto quello che serve per la vita associata. In sintesi, il potere sovrano non deve essere collocato al di fuori della società e sopra i cittadini. Althusius conosce bene la dottrina della sovranità ma ne accetta solo il vocabolario, ribaltandone il senso. Sovrana è la legge del regno e i ministri la gestiscono e amministrano. Il regime politico al quale lui pensa è composto da un magistrato supremo e degli efori (eletti estratti a sorte) garanti del patto e del buon comportamento del supremo. Il popolo non abbandona mai i propri diritti e qualora gli efori non frenino il magistrato supremo, possono resistergli. Questo diritto di resistenza è fondamentale e viene regolamentato. La confederazione si 7 crea tramite patti che però non trasferiscono irrevocabilmente la sovranità ad un centro di potere illimitabile. Per Althusius non esistono solo Stato e individuo ma una pluralità di centri e gli individui sono sociali. CAPITOLO 5 – DALL’UTOPIA ALLE DISTOPIE: UN ALTRO MODO DI PENSARE LA POLITICA. L’idea di utopia nella storia della cultura. “Utopia” è un termine che si relega ad un genere letterario a sé stante proprio come il genere fantasy o noir per questo la sua definizione ha molti cliché. Negli anni sono stati indicati varie terminologie per spiegare il concetto di utopia, e il primo a parlarne fu Thomas More, il ministro inglese che nel 1516 pubblico un’opera intitolata proprio “Utopia”, il cui nome fece altamente discutere per ambiguità del suo significato; infatti, in parte ”où topos” vuol dire “non luogo”, quindi un luogo che non esiste però la “U” può indicare anche la contrazione “eu”, quindi luogo bello, perfetto. Ma la sua ambiguità è qualcosa di puramente voluto che indica quindi un luogo perfetto, ma che decisamente non esiste. Questo è dunque il significato cardine del termine, cioè qualcosa di utopistico a livello sociale o politico, è qualcosa di certamente bello ma che ha davvero poche o nulle possibilità di realizzazione, è infatti il nuovo contrario di realismo, poiché esclude ogni possibilità di realizzazione dell’ipotesi utopica. Marx ed Engels nel manifesto del partito comunista hanno a lungo discusso e hanno definito molti artisti utopici, come Owen, Sant-Simon etc. affermando che il loro utopismo consiste nel creare qualcosa di appetibile per il futuro senza però pensare al corso della storia; quindi, qualcosa che nell’effettiva non può essere realizzato. Il marxismo, infatti, puntava all’abolizione di tutte le concezioni utopiche come l’abolizione del lavoro salariato, oppure la ricomposizione della frattura tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, presentandosi come un movimento realista. Un altro artista che si espresse per il concetto di utopia fu Mannheim che nel 1929 pubblicò l’opera “Ideologia e utopia” in cui affermava che l’ideologia era qualcosa rilegata alla classe dominante, con una funzione conservatrice, mentre l’utopia, avendo una spinta più riformista spettava alle classe popolari. Marcuse nel saggio "La fine dell'utopia" sostiene che l'utopia stessa sarebbe prossima alla realizzazione. Con le proteste degli anni 60 ogni utopia sembrava realizzabile. Thomas More Possiamo definire che l’opera scritta da Platone secoli prima, chiamata “la Repubblica” fu la prima immaginazione utopica di una città, di un ordinamento che regolasse in maniera perfetta la Polis, ma il creatore del concetto di Utopia fu Thomas More. Il libro Utopia di More, si compone di due grandi libri completamente opposti tra loro: 1. Nel primo libro c’è una narrazione di tutti i mali che affliggono l’Inghilterra. Uno dei mali più grandi è la bramosia di guadagno, e paragona i cittadini a delle pecore che però invece di essere docili sono diventate indomabili e feroci a causa della smania di guadagno. L’ossessione per l’industria sta distruggendo la mente dei contadini. Ma il vero problema della società è la proprietà poiché essa, per More, presuppone la fine dell’applicazione della giustizia. 2. Nel secondo libro, completamente diverso, more, narra dell’isola di utopia, che il giovane Raffaele Itlodeo scopre ed esplora. Questa isola fondata secoli prima, da Utopo, aveva visto la crescita, lo sviluppo e l’organizzazione dei popoli primitivi, giunti ad un livello sociale in cui il lavoro era limitato a 6 ore, in cui “vivevano secondo natura” e in cui vigeva il concetto di tolleranza religiosa; quindi, tutti potevano professare la religione che preferivano. Alcuni professavano il dio sole, altri la luna, altri le stelle. La città ideale di Campanella 8 Lo scrittore calabrese Tommaso Campanella scrisse l’opera “la città del Sole”, anch’essa una città utopica, basata su una comunità politica che dipendeva da tre principi costitutivi dell’animo umano, ossia tre consiglieri che lo affiancavano: Potestà, sapienza e Amore e governata dal principe sacerdote Sole: 1. Il Potestà (Pon) aveva cura delle guerre e delle paci. 2. Il Sapienza (Sin) aveva a cura tutte le scienze e le arti liberali e meccaniche. 3. Il Amore (Mor) aveva a cura le generazioni, dunque il loro mantenimento tramite gli accoppiamenti. La città era divisa in 7 cerchi concentrici con i nomi dei pianeti sui quali sorgono edifici tutti uniti; nell'ultimo si erigeva un grande tempio, nella quale risiede il re sole aiutato dai tre consiglieri. L’unico nemico della civiltà del sole era la proprietà privata; dunque, per ovviare a questo problema fu abolita dapprima la sua causa ossia la famiglia per vivere tutti in comune a seconds dele donne dei figlie dei beni. Le ore di lavoro erano solo 4 poiché l’economia andava quasi abolita per non intaccare la morale degli uomini, che dopo il lavoro, avevano una vita ben scaglionata all’insegna dell’istruzione che parte dai 3 anni ed è considerabile un vero e proprio indottrinamento. Nasceva qui anche un concetto di neurogenetica in cui il Amore faceva sì che le donne magre ed alte andassero con quelli alti, quelle magre con quelli grassi e i grassi con le magre, così da garantire “la purità nella complessione”. I "solari" possiedono un solo abito e lo cambiano una volta all'anno. C'è il desiderio di razionalizzare controllare qualsiasi cosa (educazione, alimentazione, vestiario). Le società utopiche sono spesso TOTALITARIE. Inoltre, ricordiamo la prima utopia femminista: The Blazing World/ Il mondo sfavillante di Margaret Cavendish (1666) in cui una giovane e bella donna viene rapita, ma la nave in cui è rinchiusa perde la rotta, va verso il Polo Nord e i suoi rapitori muoiono dal freddo. Miracolosamente la donna si salva e la nave la conduce in un mondo parallelo, in cui si accede attraverso il polo. Li è accolta da creature metà uomini e metà animali: tutti la credono una divinità e la conducono dall'imperatore, che se ne innamora, la sposa e le regala il potere assoluto sul Blazing World. Dopo un po’, l'imperatrice è convinta a dedicarsi alla costruzione di un proprio mondo di fantasia, che non dà tanti problemi come quello reale che lei governa. Successivamente viene avvisata della guerra civile che imperversa nella sua patria, l'Inghilterra, e vi conduce un esercito armato di una pietra di fuoco che brucia anche se bagnata. Dopo aver sconfitto i nemici, non viene creduta come salvatrice e allora causa anche il Grande incendio di Londra, venendo finalmente riconosciuta come una potente e assoluta principessa. L’Utopia in età moderna È il 700 a poter essere definito il secolo delle utopie. Il genere incomincia anche a polverizzarsi: se nel 600 erano nate utopie cristiane, il 700 vede la nascita dell’”ucronia”. Via via che ci si avvicini alla fine del secolo l’utopia assume forme politicamente più egualitarie, fino ai bordi “La nuova Atlantide” di Francois Bacon. “La repubblica di Oceana” di Harrington “L’anno 2440, sogno se mai ve ne fu uno” di Mercier “Naufragio delle isole galleggianti”, di Morelly “Falansterio” di Fourier “Viaggio i icaria” di Cabet Il Novecento: il secolo delle distopie Nel Novecento, lo schema dell’utopia viene ribaltato: il secolo si apre con il trionfo del socialismo, celebrato dalla Rivoluzione d’Ottobre. Di lì a poco si imporranno fascismo e nazionalsocialismo, regimi diversi ma uniti dal disprezzo per la vita borghese. 9 In questo contesto, alcuni narratori immaginano realtà nelle quali l’utopia realizzata ha aperto la porta a patologia sociali gravi che tanto voleva eliminare. Ci occorre allora definire le distopie o antiutopie, cioè quelle costruzioni che ambiscono a svelare il lato oscuro di una costruzione utopica. Innanzitutto, degno di nota “The Brave New World” (1932) di Huxley, che dimostra come le utopie oggi appaiano molto più realizzabili di un tempo e questa consapevolezza è causa di angoscia: come si può evitare la loro realizzazione? In ogni caso, il capolavoro del genere distopico rimane “1984” di George Orwell. Egli è riuscito a inventare una società da incubo tratteggiata con espedienti narrativi geniali, quali il Grande Fratello, che tutto vede e controlla (“Big Brother is watching you”), la neolingua e il bipensiero, in base ai quali la guerra è pace, la libertà schiavitù, l’ignoranza è forza. La forza della distopia sta nell’aver eroso dall’interno tutte le categorie dell’utopia. Le società “altre” sono descritte come il regno della disperazione, di un’umanità offesa nei suoi valori più profondi. Il sogno diventa utopia e poi incubo nella sua realizzazione. Paul Claudel disse: “chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta preparando per gli altri un molto rispettabile inferno”. George Orwell - 1984 È la critica al totalitarismo per eccellenza (in particolare allo stalinismo: i manifesti di Big Brother ricordano proprio Stalin). È ambientato in un'Inghilterra del 1984 totalmente socialista. C’è la neolingua, in quanto molte parole sono proibite (cancel culture). Orwell sostiene che cambiare il linguaggio, che di per sé nasce dalla libera interazione tra le persone, in maniera spontanea con lo svilupparsi della società, porta al cambiamento del modo di pensare influenzando la mente degli individui. Il mondo di 1984 si divide in tre potenze: Oceania, Estasia ed Eurasia (rappresentanti grosso modo l'America, l'Europa e l'URSS) che sono perennemente in guerra per il controllo di alcune aree del pianeta. Il protagonista, Winston Smith, lavora per il Ministro della Verità che, contrariamente al nome che porta, si occupa di riscrivere la storia per adattarla all'ideologia del Grande Fratello, dittatore di Oceania, che tiene sotto costante controllo tutti gli abitanti. Nasce una storia d'amore segreta con Julia, una collega di Winston che si rivela essere, come lui, contro il governo. I due finiranno però catturati e arrestati dalla Psico-polizia a causa del tradimento di un comune collega che si rivelerà esserne un membro. Winston e Julia vengono sottoposti a torture e costretti a confessare. Le loro menti vengono manipolate in modo da far loro accettare il pensiero dello stato attraverso tre fasi: apprendimento, comprensione, accettazione. Entro la fine del romanzo Winston e Julia saranno quindi allineati al pensiero dello stato e privi di giudizio personale. L’utopia allo specchio La comunità utopica è totalitaria e pianificata fin nei minimi dettagli: gli spazi di libertà personali sono minimi o inesistenti. La perdita dell’individualità degli abitanti delle città dell’utopia è evidente anche nella mancanza di nomi propri, i cittadini di utopia sono quasi tutti dei grigi automi morali incapaci di scegliere. La struttura sociale è chiusa. Si perde anche il concetto di famiglia, solo il cattolico More voleva mantenere la famiglia tradizionale L’uniformità sociale, architettonica, paesaggistica, umana, è il dato più inquietante di tutte le città ideali immaginate. L’utopia è un modo di abbandonare la storia e proiettarsi in uno spazio nel quale il tempo ha smesso di scorrere o, meglio, si è trasformato in un “tempo senza tempo”. L’uguaglianza è il sommo bene da proteggere nelle comunità utopiche e quindi la proprietà privata scompare. Se la fonte del conflitto e delle divisioni sociali è considerata la ricchezza, è evidente che società immaginate come armoniche e ben ordinate devono distruggere ogni possibilità di arricchimento. La vita utopica è anche ascetica, senza conflitti, scioperi, disordini, tumulti di piazza. Anche dal punto di vista politico la noia assoluta prevale: non vi è evoluzione, le strutture politiche e sociali hanno raggiunto la piena maturità e non invecchiano mai, perché la loro perfezione è evidente. L’utopia inoltre è portatrice di un progetto laico e lontano da qualunque ideale di trascendenza religiosa. In ultima istanza, gli utopisti, ponendosi a metà tra Machiavelli e Rousseau, sostengono che sono le istituzioni politiche a decretare la felicità degli individui. 10 CAPITOLO 6 – HOBBES E JHON LOCKE: DUE PROSPETTIVE SULLO STATO E I SUOI FONDAMENTI RAZIONALI. Giusnaturalismo → dottrina secondo il quale esiste un diritto naturale, un sistema di norme poste dallo Stato che però lo precede. Diverso quindi dal positivismo giuridico, per cui è diritto solo quello posto dallo Stato. Origini: Cicerone (55-51 a.C.) à “c’è una legge vere, presente in tutti, eterna tale da richiamare tutti al dovere” (…) “esse non è diversa a Roma o Atene, né ora né in futuro”. Tommaso d’Aquino per legge naturale intende quella parte dell’ordine posto dalla ragione di Dio, una norma razionale presente nella ragione di tutti gli uomini. Giusnaturalismo moderno: nei primi anni del Seicento, Grozio nel porre il diritto naturale a fondamento di un diritto che potesse essere riconosciuto come valido da tutti i popoli, affermò che tale diritto è dettato dalla ragione ed è indipendente dall’esistenza e volontà di Dio. Immagina uno Stato secondo ragione, a prescindere da ogni argomento di carattere teologico, discostandosi quindi da d’Aquino. Il giurista, piuttosto, deve scoprire le regole universali attraverso la natura dell’uomo, le sue passioni, i suoi bisogni e le sue condizioni di vita. Contrattualismo: i giusnaturalisti credono fortemente all’idea del contratto come atto di fondazione della società politica. Il modello contrattualista è ciò che rende possibile la razionalizzazione della natura e il fondamento dello Stato. Critiche avanzate al giusnaturalismo: trascura l’evoluzione storica e l’idea di una natura umana immutabile può condurre al conservatorismo. La rinascita del diritto culturale in età moderna Il giusnaturalismo moderno si diffonde tra il 600 e il 700. Vede il fondatore in Ugo Grozio, che scrive il “De iure belli ac pacis": con l'impero diviso, Grozio andò in cerca di poche, chiare e semplici norme del diritto delle genti, che fossero valide per tutti; ciò si poteva trovare solo nel diritto naturale, valido in ogni tempo e in ogni luogo per ognuno. Cambia la prospettiva del "diritto naturale", che passa da legge eterna, immutabile e frutto del piano divino, a fonte dei diritti inalienabili degli individui da far valere contro lo Stato. Avviene la laicizzazione del diritto naturale, che sostiene essere indipendente dall'esistenza di Dio, e che esisterebbe anche ne negassimo l'esistenza: l'uomo è per natura dotato di istinto sociale, che gli permette di vivere in armonia con i suoi simili, cosa che non può essere mutata nemmeno da Dio. Inoltre, il fondamento del diritto naturale non sta più nella natura in generale o nel cosmo, ma nella natura umana stessa; la ricerca si basa e ruota attorno all'essere umano. Nel corso dell’età moderna la riflessione sul diritto naturale acquista un carattere tutto particolare: la legge di natura si configura come una matrice capace di produrre i diritti naturali dell’individuo. Tali diritti sono ritenuti intrinseci, consustanziali, ma in ogni caso indisponibili da parte del potere politico Anche nella prima età moderna furono pensatori politici profondamente religiosi a fornire i maggiori sviluppi della dottrina sul diritto naturale. La figura nella quale possiamo vedere il passaggio alle moderne teorie del diritto naturale è Ugo Grozio (1583 – 1645). Trattato importante di tale autore è il “De jure belli ac pacis” (Il diritto di guerra e di pace). All’interno dell’opera il tentativo di Grozio è quello della definizione di poche, chiare e semplici norme del diritto razionale fra le genti, valide per tutti gli uomini, che siano da guida per i rapporti fra i diversi popoli sia in pace, sia in guerra. Queste norme devono far riferimento a un modello di razionalità uguale per tutti. La premessa di questo discorso è la piena coincidenza fra natura e ragione: da un lato la natura è fonte di razionalità, e dall’altro essa coincide con la vera ragione dell’uomo. Il diritto naturale è uguale per tutti i popoli perché si fonda sulla natura umana. Altra premessa è rappresentata dal fatto che l’uomo è, per natura, dotato di un istinto sociale che lo spinge a vivere con i suoi simili in armonia e cooperazione. Da questa caratteristica fondamentale dell’uomo nasce il diritto, giacché la natura umana è “la madre del diritto naturale”. “E tutto ciò che abbiamo detto finora sarebbe in qualche modo ugualmente vero anche se ammettessimo, cosa che non può esser fatta senza commettere gravissima empietà, che Dio non esistesse oppure non si curasse delle vicende umane.” 11 La validità del diritto naturale non dipende da Dio. L’idea di Grozio è che la natura sia stata certamente creata da Dio, ma che ormai essa goda di vita autonoma, non essendo sottoposta al capriccio di Dio. In questo modo “la legge di natura è così immutabile che non può essere mutata neanche da Dio stesso”. L’idea cristiana è quella di un universo creato da Dio, ma ordinato secondo leggi ben conoscibili dalla ragione umana. Questa fondamentale particolarità della religiosità, secondo molti autori, sarebbe stata importantissima nello sviluppo non solo delle dottrine del diritto naturale, ma anche della scienza moderna. La natura vincola anche Dio stesso. La laicizzazione del diritto naturale inizia con Grozio, anche se non si può ignorare che già Gregorio da Rimini aveva affermato la stessa cosa nel 1358. Rimane il fatto che fra gli infiniti spunti che potevano essere tratti dal volume di Grozio, quello dell’esistenza di una natura umana razionale e svincolata dall’autorità divina fu uno dei più fecondi. La giustificazione del diritto e della morale diventò autonoma, ossia fondata su di una natura umana il cui rapporto diretto con Dio può essere ignorato. Le azioni che la ragione ci suggerisce di compiere o di omettere sono obbligatorie. La moderna “scuola del diritto naturale” si distingue anche per un altro elemento: il fondamento non è più la natura in generale (il cosmo, il creato) ma la natura umana. Una fondamentale caratteristica del diritto naturale nell’età moderna è quella di muoversi in un contesto nel quale il potere politico ha mutato forma e organizzazione. Mentre l’antica versione del diritto naturale si era sviluppata avendo come contraltare “leggi municipali”, improvvisamente il quadro si semplifica e torna alle origini. La dottrina del diritto naturale tenterà da un lato di smantellare l’enorme concentrazione di potere in capo alle monarchie assolute e dall’altro proprio di razionalizzare tale potere. È l’idea della legge di natura che incomincia a produrre i diritti naturali degli individui. Mentre nel mondo precedente la vera finalità della legge di natura era quella di presentarsi come eterna, nell’età moderna produce i diritti naturali inalienabili da far valere nei confronti dello Stato. Se ormai esistono solo due attori sulla scena politica, l’individuo e lo Stato, la dottrina del diritto naturale si propone come una ideologia rivoluzionaria a difesa della sfera individuale. Alla luce di questo, il diritto positivo sarà una specificazione di quello naturale, oppure una sua integrazione nelle questioni indifferenti, ma in nessun caso potrà entrare in contraddizione con quest’ultimo, negando i diritti fondamentali all’uomo. Nel corso del Seicento si sviluppa una sorta di cliché per ragionare intorno alle questioni fondamentali della politica che persisterà fino alla fine del Settecento. Tutti i pensatori politici (o quasi) adottano le teorie dello stato di natura e del contratto sociale. Il diritto ha un fondamento razionale e sorge in una condizione naturale che precede la costituzione della società civile. La società civile esprime una condizione artificiale e convenzionale. Stato di natura, patto e società civile rappresentano i tre poli sui quali verte l’intera analisi della politica. I due maggiori pensatori politici di lingua inglese, Hobbes e Locke, si collocano in maniera originale all’interno di questa corrente. Thomas Hobbes: lo Stato fra scienza e antropologia. Opera principale e più importante di Thomas Hobbes (1588 – 1679) è il Leviatano (1651). Egli era convinto di essere l’equivalente di Galileo vale a dire il primo ad aver fondato la riflessione politica su basi scientifiche. Per alcuni, Hobbes è un continuatore di Machiavelli, nel senso che svilupperò in maniera scientifica un’intuizione fondamentale del fiorentino: Machiavelli riteneva che l’incontro fra gli egoismi del Principe, la cui smania è il potere, e quelli del popolo, il cui vero interesse è per la propria sicurezza, potesse dar luogo alla costruzione di uno Stato. Se l’autore del Principe è tipicamente considerato “l’inventore dello Stato moderno” è però con Hobbes che i meccanismi di questa creazione acquistano un fondamento filosofico e razionale. Hobbes non ebbe mai fortuna all’interno della politica pratica giacché calvinisti e assolutisti non potevano perdonargli la costruzione dello Stato totalmente laico. Pubblicò tutte le sue opere ben oltre i 50 anni. Il suo tentativo è quello di formulare una teoria complessiva, una scienza dell’uomo secondo il metodo naturalistico, i suoi “elementa philosophiae” erano la fisica, la psicologia e la politica. Il 600 inglese scorre nelle opere di Hobbes: il secolo è il più travagliato della storia. 12 Thomas Hobbes vive il periodo delle guerre civili inglesi (che tratterà in più opere e dalle quali rimase traumatizzato). Parte dal problema dell'unità dello Stato, minacciato dalle discordie religiose, dal contrasto corona-parlamento e dalla disputa intorno alla divisione dei poteri. Carlo I mostra sin da subito delle idee assolutistiche, e impose numerose imposte senza il consenso del parlamento. Nel 1643 il parlamento diede a Oliver Cromwell l'incarico di formare un esercito di puritani (New Model Army). Lo scontro di quest'ultimo avrà il suo epilogo nel 1649 con la decapitazione di Carlo I. Viene proclamata la repubblica con a capo Cromwell che poco dopo instaura una dittatura. C'è il ritorno alla monarchia con la corona a Carlo II. Hobbes nel frattempo lascia l'Inghilterra, sopraffatto dallo scontro tra monarchia e puritani; se ne va a Parigi, anche perché ha un animo molto pauroso (la madre lo ha partorito prematuramente per paura dell'arrivo dell'armata spagnola). Al contrario di altri filosofi politici non ha mai svolto politica attiva. Il principale problema a quel tempo da affrontare è l'unità dello Stato, provata dai diversi scontri interni; da un lato l'antitesi oppressione-libertà, dall'altro anarchia-unità. Hobbes non si preoccupa dell'oppressione, ma è contro l'anarchia. È ossessionato dall'idea della dissoluzione dell'autorità che precipiterebbe di nuovo l'uomo in una condizione invivibile, lo stato di natura (guerra civile). Tutto il suo sistema filosofico si eregge sulla sua paura più grande, la perdita della vita (insicurezza della vita, data dal difetto di potere). Dapprima la guerra civile è un incubo dal quale bisogna liberarsi, poi una calamità che non deve più accadere, in quanto morte dello stato. Ben governare significa infatti costruire uno stato così forte da rendere impossibile la sua distruzione. I peggiori mali da cui l'Inghilterra è afflitta vengono dalle idee degli uomini; perciò, il sovrano deve avere il diritto di applicare la censura e opprimere le loro idee. L'origine dei mali della terra è filosofica, c’è bisogno di una nuova e buona filosofia che possa sostituire quella vecchia. Durante i suoi viaggi in Francia aveva incontrato Galileo e Cartesio, convincendosi che le uniche scienze che avessero cambiato la concezione del mondo erano quelle che si basavano sul metodo scientifico, perciò decide di seguirlo; vive l'entusiasmo per la scoperta delle scienze esatte e delle ricerche scientifiche. Sostiene che anche la sua ricerca deve seguire questo metodo costruendo una scienza politica esatta. Per farlo deve prima demolire la tradizione aristotelica, che vede la polis come complemento naturale per lo sviluppo dell'essere umano, che, come per Grozio, è socievole. Hobbes invece lo ritiene egoista e tendente al conflitto con i propri simili, in società agisce solo per l'amore di sé o per gloria, altrimenti rappresenterebbe una minaccia per gli altri in favore della propria conservazione. Vuole stabilire una scienza politica e dei principi etici certi; secondo Aristotele esse invece erano appartenenti alla sfera del probabile non del certo. Le scienze dimostrabili sono quelle i cui oggetti sono creati dall'uomo, perciò anche lo Stato lo è. Bacone con il suo empirismo sarà alla base della ricerca di Hobbes: la natura è conoscibile dall'essere umano, che è in grado non solo di imitarla, ma anche di migliorarla (per mezzo delle macchine, che assumono valenza particolarmente positiva, perché aiuteranno nello sviluppo delle prime attività industriali); una volta scoperte le leggi di questa grande macchina, ovvero la natura, l'uomo è in grado di imitarla e perfezionarla. Lo stato è una macchina costruita razionalmente e volontariamente dall'essere umano, che gli consentirà di sopravvivere all'interno di una natura matrigna-maligna nei confronti dell'uomo (guerra, tutti contro tutti, vita in pericolo → stato naturale). Lo stato per Hobbes è un automa (agisce macchinalmente, priva di riflessi o volontà) e viene paragonato ad un orologio, che per capire come funziona bisogna smontarlo e analizzare singolarmente ogni pezzo. Nel “Leviatano" si parla appunto di questo Stato creato per sopravvivere allo stato naturale della guerra di tutti contro tutti; ma come mai lo stato di natura è così invivibile? Da un lato Hobbes ha una pessima idea dei propri simili, che sono tutti liberi e uguali, isolati l'uno dall' altro. Questa condizione coinvolge sia uomini che donne, che non presentano differenze fisiche da considerarne uno più debole dell’altro. C'è poi una scarsità di beni che non bastano per soddisfare tutti, ciò porta a desiderare di avere le stesse cose, il che conduce ad una condizione di diffidenza che potrebbe portarci tutti contro tutti ; non esiste la proprietà privata, tutti hanno gli stessi diritti sulle stesse cose; dall'altro lato ci sono le passioni umane: gli uomini ne sono dominati e vengono perciò predisposti a non essere socievoli (sono dominati dalla competizione, dalla diffidenza, dalla gloria; si aspettano precedenza e superiorità rispetto agli altri); il desiderio di potere, che rende tutti gli uomini uguali nel potere di nuocersi, è una passione inesauribile che cessa solo con la morte dell'individuo → "homo homini lupus". 13 Come soluzione Hobbes propone 3 "leggi di natura", frutto dei dettami della ragione umana, che gli impedisce di fare ciò che potrebbe distruggere la sua vita o privarlo dei mezzi per conservarla. 1. Cercare la pace e preservarla. 2. Ogni uomo deve rinunciare al suo diritto su tutte le cose e deve accontentarsi di avere tanta libertà nei confronti degli altri quanta ne hanno gli altri nei confronti suoi. 3. “Pacta sunt servanda": i patti devono essere osservati. Il patto di unione (ossia termine che indica una società organizzata) si suddivide a sua volta in "pactum societatis" che fa uscire dallo stato di natura, e in “pactum subiectionis" ovvero di sottomissione al potere. È UNILATERALE e non vincola il sovrano. Per garantire che vengano rispettati i patti è necessaria l'istituzione di uno stato tanto irresistibile da rendere svantaggiosa ogni azione contraria, deve spaventare gli uomini, che devono averne più paura che dei propri simili. Il patto di unione sancisce l'obbligo dei singoli di ubbidire ai comandi del detentore del potere. La sovranità è irrevocabile, non può essere delegata, è assoluta e indivisibile. Contro il suo assolutismo si sostiene che i diritti traferiti al sovrano siano parziali in quanto i diritti naturali sono inalienabili. La morale di Hobbes è espressione di legalismo etico: il sovrano non comanda ciò che è giusto, ma è giusto ciò che il sovrano comanda (non esiste morale prima del potere politico, prima che ci fosse il sovrano, perché è lui a stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è). Nell'opera manca una teoria di abuso del potere: ciò che preoccupa Hobbes è solamente la carenza del potere che porterebbe l'uomo ad una condizione di guerra civile: al potere del sovrano di comandare senza limiti corrisponde l'obbligo del suddito di ubbidire senza limiti; non c'è diritto di ribellione, ma se il potere di dissolve da sé perché il sovrano non si mostra capace di governare e rischia di trascinare lo Stato in una condizione di anarchia, allora i sudditi hanno la possibilità di cercarsi un altro protettore. La "persona artificiale", ovvero lo Stato, deve spaventare l'individuo più di tutte le persone reali: l'uomo infatti non cambia, resta comunque egoista, violento e subdolo, ma cambia la fonte della sua paura. Leviatano ha il compito di assicurare la vita e la sicurezza degli uomini dotati di RAZIONALITA’ (capacità di scegliere gli strumenti migliori per raggiungere i propri obiettivi). II termine “Leviatano" si ispira alla Bibbia, la creatura che somiglia ad un grande coccodrillo; il sovrano di Hobbes è rappresentato cosi nella prima edizione del volume: un gigante creato dagli umani che sovrasta e comanda tutto; è formato da tante piccole figure umane (i sudditi), in una mano regge una spada (simbolo del potere militare e politico) e nell'altra il bastone vescovile (simbolo religioso), sovrasta un regno molto tranquillo che gode della legge e dell'ordine, è un paesaggio che ispira tranquillità. Tra i critici di Hobbes abbiamo Bobbio: viene additato come autore di una delle teorie più pericolose che fossero mai state scritte per la salvezza dei sudditi; la proprietà non è più diritto naturale o inviolabile, ma può essere solo una concessione. Dai conservatori viene criticato l'estremo laicismo dello stato Leviatano, dai liberali il suo assolutismo. Lo stato di Hobbes, tuttavia, non è considerato un totalitarismo perché non vuole modificare l'essere e la sua natura o la sua mente (mentre ad esempio il fascismo può essere considerato uno stato etico, cioè, mira a cambiare l'essere umano). Visione della corrente femminista: nello stato di natura Hobbes vede sia donne che uomini allo stesso modo, dopo il patto di unione che dà vita allo stato leviatano, gli uomini cercano protezione nel patto (pubblico), mentre le donne nel contratto matrimoniale (privato). Lo Stato: una finzione per la salvezza eterna. Hobbes costruisce lo Stato come un caso particolare di persona artificiale. Esso è “una persona unica, delle cui azioni una grande moltitudine di uomini, per mezzo di patti reciproci l’uno con l’altro, si sono fatti ciascuno l’autore, affinché essa possa usare la forza e mezzi di tutti loto nel modo che riterrà opportuno per la loro pace e difesa comune”. Chi incarna questa persona si chiama sovrano e si dice che abbia il potere sovrano. Prima del sorgere dello Stato non vi è altro che un’umanità indifferenziata, costituita da individui isolati e impauriti, il cui pensiero 14 di morire per mano del prossimo diventa un’ossessione. Con lo stabilirsi dello Stato il mondo si popola di relazioni autenticamente umane, in primo luogo sorge il diritto, ma anche tutta una serie di rapporti civili fra gli uomini. La società nasce con lo Stato. Il Leviatano è la risposta di Hobbes al problema dell’ordine politico, sociale, relazionale e umano. Una volta sorta la macchina per mezzo del patto, nasce la politica, che si esprime compiutamente nei rapporti di comando. L’obbligo politico centrale è l’obbedienza. Gli uomini, aggressivi e asociali, sono riusciti a rigenerare l’ordine dal caos e questo principio regolativo sta tutto iscritto nella persona artificiale. Al di fuori di essa non esiste altro che dannazione terrena. Lo Stato è fonte di armonia. Quindi se il pensiero politico del Seicento produce ciò che Bobbio ha chiamato il modello “giusnaturalistico”, il Leviatano semplifica il quadro teorico: la nascita dello Stato produce tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, organizzazione, regole e società. Il leviatano salva le vite degli uomini, ma non la loro anima: essi rimangono esattamente ciò che erano al principio. Malvagi, subdoli, violenti, ricattatori e impauriti: ciò che muta per sempre è però la fonte della paura. Se prima erano gli altri individui a rappresentare il terrore (atomi impazziti di un cosmo ostile), adesso è lo Stato e la sua potenza sanzionatoria. La persona artificiale spaventa più di tutte le persone reali, ma proprio questo rende possibile la cooperazione e la convivenza pacifica. Il contratto hobbesiano è un patto in cui i contraenti sono i singoli soci che tra loro si impegnano a sottomettersi a un terzo che non figura come contraente. Il contratto non può essere revocato. JOHN LOCKE - DUE TRATTATI SUL GOVERNO. La sua opera principale viene pubblicata anonima dopo la seconda rivoluzione inglese: l'Inghilterra è il primo paese ad abbandonare il modello assolutistico (prima con Cromwell, che però degenera in assolutismo parlamentare, poi con una rivoluzione che segna la nascita di una comunità politica volta a tutelare i diritti individuali). Con il “Bill of Rights" del 1689 il processo verrà completato, rendendo illegali il potere del re di sospendere le leggi o di emanarle senza limiti, e di imporre tasse senza il consenso del Parlamento → MONARCHIA COSTITUZIONALE I Due trattati sono ben distinti: il primo ha come bersaglio Robert Filmer, che nella sua opera "Il Patriarca" sosteneva che il sovrano doveva governare il modo assoluto in quanto padre divini: questa idea nasce dal paragone con Adamo, a cui era stato dato potere monarchico in virtù della sua paternità. Locke analizzerà e criticherà l'intera opera, concludendo che questa idea di potere legittimato da Dio non fosse altro che un'usurpazione del diritto paterno. Il Secondo trattato descrive la costruzione politica lockiana. L'idea alla base è che la legge naturale non sia in realtà innata e presente nella natura stessa e negli uomini, è però garantita e voluta da Dio e conoscibile attraverso la ragione. Dio è il creatore e gli esseri umani sono sue creature; da qui si deduce che essi non possono usare la forza per nuocere al prossimo perché appartengono a Dio, non gli uni agli altri, e per lo stesso motivo è vietato il suicidio. Ne consegue che tutti gli uomini sono per natura uguali e nessuno è subordinato ad un altro; perciò, solo il consenso può essere fondamento di potere. L'uomo è prima di tutto proprietà di Dio, tuttavia essendo anche proprietario di sé stesso e delle sue facoltà, trova tutte le prescrizioni su come è giusto agire in Egli. Per Locke, Dio ha dato la terra in comune a tutti gli uomini, tuttavia ogni uomo ha proprietà anche della propria persona: questo ne comporta l'inviolabilità. Ogni uomo deve anche riconoscere le proprietà che gli altri hanno su loro stessi. Ma come avviene la “suddivisione" della terra che si ha in comune? → attraverso il lavoro: quello che l'individuo rimuove dallo stato di natura, utilizzandolo, è suo. Il limite a questo sta nella CLAUSOLA LOCKIANA: diritto di "utilizzare i prodotti di cui ci si impossessa" ma di "lasciare sufficienti beni in buone condizioni per gli altri" [si applica solamente al caso della terra]. La clausola viene superata con l'invenzione della moneta e dei contratti, inoltre con la possibilità di accumulare beni incorruttibili come oro e argento scompaiono anche le limitazioni. La novità sta nel fatto che tutto ciò avviene senza il consenso di nessuno, ma solo seguendo i dettami della legge di natura (leggi prescritte dalla natura/Dio all'uomo). → PROPRIETA' PRIVATA COME DIRITTO NATURALE. 15 Tuttavia, è necessario per Locke che ci sia una specie di struttura, organizzazione creata artificialmente dagli uomini che garantisca a tutti i diritti naturali. Gli uomini edificano lo Stato per sottrarsi agli inconvenienti dello stato di natura: tale stato, inizialmente pacifico, ad un certo punto si altera e degenera in uno stato di guerra: ciò perché in esso mancano delle leggi positive e un giudice che le faccia rispettare; la figura centrale diventa quella del giudice. Attraverso questo patto, i cittadini cedono allo Stato il diritto di farsi giustizia da soli → rinuncia all'autotutela. Lo Stato deve conservare e promuovere soltanto i diritti fondamentali quali la vita, la libertà e la proprietà privata. Tutto questo, nonostante le limitazioni, non è necessariamente garantito; perciò, Locke pone il diritto di resistenza, noto come appello al Cielo, ovvero a Dio. Non è un diritto temuto perché gli uomini sono predisposti a mutare le costituzioni cui sono abituati se difettose. Infatti, Locke non ci parla di uno stato assoluto, di un mostro biblico, ma di uno stato che deve garantire che questi diritti vengano rispettati e mantenuti perché questi hanno la loro giustificazione proprio nello stato di natura iniziale. Locke considera la regola della maggioranza come il metodo più realistico per governare dato che una volta che si forma la società politica/Stato possono esserci degli individui che non acconsentono al patto e quindi restano in uno stato di natura anarchico. Se si facesse affidamento solo sull'unanimità, lo Stato non durerebbe a lungo. Il governo ha come unico dovere quello di garantire i diritti fondamentali. Qui, il potere legislativo diventa il potere supremo, e il potere esecutivo deve essere separato e subordinato ad esso. Locke potrebbe definirsi uno dei primi teorici dello stato minimo (liberale), lo stato viene chiamato "guardiano notturno", si occupa di proteggere i propri cittadini e di assicurare l'esecuzione dei contratti. I limiti fissati la Locke al potere politico: 1) Non può avere più diritti di quelli che gli vengono trasmessi; le leggi positive devono essere modellate sulle leggi naturali e rifletterle pienamente; 2) Principio di legalità: deve governare attraverso leggi fisse e giudici autorizzati e conosciuti; 3) Non può togliere a nessuno una parte minima della sua proprietà senza il suo consenso; 4) Non può trasferire in altre mani il potere di fare le leggi. HOBBES E LOCKE. Lo stato di natura in Locke è una società che già esiste, ha vita propria e non è caotico, anzi va tutelato: per Hobbes lo stato di natura è caos, per questo va alla ricerca di un ordine. Lettera sulla tolleranza di Locke → implica distinzione tra sfera sociale e sfera politica: lo stato deve limitarsi a tutelare le regole della convivenza tra gli individui (nella sfera familiare, economica, spirituale e culturale lo stato NON deve intervenire) in quanto, per potersi esprimere al meglio, la creatività umana deve essere libera, ci si deve fidare della sua capacità di produrre idee, valori e soluzioni per assicurare un costante miglioramento. CAPITOLO 7 DALL’ILLUMINISMO ALLA RIVOLUZIONE Alla base della nascita dell’Illuminismo c'è il forte desiderio di cominciare a parlare liberamente di argomenti fino ad allora vietati al dibattito pubblico; il termine in sé allude al processo di “illuminazione e liberazione" della ragione umana dalle tenebre e nella superstizione: in letteratura uno dei più grandi esempi è quello dei “Promessi sposi", che per la prima volta narra di gente comune, non sovrani o condottieri, che hanno pregi e difetti ma spesso sono di buon cuore, e che confidano pienamente nell'astrologia e nella fede. L'Illuminismo nasce in Francia, ma diventa presto un movimento transnazionale, cosmopolita e inclusivo: gli illuministi si sentono parte di una Repubblica delle Lettere e protagonisti di scambi continui di idee. Il precursore può essere identificato con Gutenberg, inventore della stampa, che per la prima volta tolse al clero il privilegio di essere gli unici interpreti: inizia a diffondersi la cultura, al quale lo Stato cerca di opporsi attraverso la censura. Inoltre, la scoperta del caffè si mostra rivoluzionaria: dà modo di incontrarsi sempre più spesso per conversare. Da qui nascono i Caffè, veri e propri luoghi di incontro e di scambio tra diversi letterati e uomini di cultura su argomenti che fino ad allora non erano mai stati di dibattito pubblico. Altro centro di sviluppo dell’illuminismo è la Scozia/Inghilterra, che però si trova di fronte ad una forma politica più liberale e lo sviluppo delle classi di mezzo che hanno dato il via alla Rivoluzione Industriale, mentre in Francia si parte dall'assolutismo, dove non c'è tolleranza religiosa. 16 Fondamentale è stata l'istituzione dell’"Enciclopedia” ad opera di Diderot e D'Alembert, ovvero la raccolta di tutto ciò che era conoscibile fino ad allora, un'opera collettiva, che poteva essere di facile consultazione e comprensione, per rendere la cultura più accessibile possibile. Dietro all’Encyclopédie c’è un progetto di politica culturale: cambiare la società francese, divellere l’ancien regime, portando l’attacco sul versante delle conoscenze diffuse. Si trattò di un’iniziativa culturale senza precedenti: pubblicata in 35 volumi fra il 1751 e il 1772, essa incarna lo sforzo titanico di riunire in un sol luogo tutto lo scibile umano, rendendolo navigabile in ragione di una struttura razionale. È un’opera pensata per essere consultata e per risultare di facile fruizione, avendo per obiettivo un miglioramento delle cognizioni a disposizione dell’intera società. Curatori dell’Encyclopédie sono Denis Diderot e Le Rond d’Alembert, ma chiaramente vi contribuirono le maggiori figure dell’epoca a seconda dei settori di analisi. Grande attenzione viene riservata al sapere scientifico, alle scienze fisiche e naturali. Gli illuministi, se da una parte auspicano che siano sempre di più quanti fanno liberamente uso della propria ragione, provano pure a guadagnarsi spazio come consiglieri del principe, come suggeritori di riforme e mutamenti legislativi. Tuttavia, non sempre vicende simili diedero frutti positivi. Gli intellettuali potevano fornire soluzioni utili, proporre idee interessanti, ma rimanevano comunque in una posizione subalterna. Anche sotto questo profilo, un pensatore emblematico dell’Illuminismo francese è stato Francois Marie Arouet, meglio noto come Voltaire (1694 – 1778). Egli è un autore prolifico come pochi: scrisse libri di storia, opuscoli, commedie, romanzi, teatro. Egli possedeva una posizione di straordinaria preminenza fra i pensatori di quel periodo. Sua opera più nota è Le Candide (Candido o L’ottimismo). Nel suo pensiero, l’istanza della libertà di parola si mescola con l’attacco al cristianesimo e, in particolare, alla pretesa di “monopolio” della fede della Chiesa cattolica. Avendo conosciuto la censura, l’esilio e la galera fin da giovanissimo, egli diventò un grande ammiratore dell’Inghilterra, della quale invidiava non tanto il governo rappresentativo, quanto la libertà di stampa e la tolleranza religiosa. Sebbene nemico di ogni dogmatismo, Voltaire non fu mai apertamente ateo: egli proponeva un deismo dai contorni vaghi. Opera di grande importanza è anche il Candido di Voltaire, scritto in seguito ad un forte terremoto che devastò Lisbona, che mise in dubbio la teoria del nostro mondo come il migliore dei 11 mondi possibili dato che bastò una tragedia naturale a sterminare una popolazione e la loro cultura senza distinzione in base al censo o alla fede. Voltaire diventa un grande ammiratore della tolleranza religiosa, della libertà di stampa e del commercio inglese soprattutto, che ha contribuito ad arricchire e rendere liberi i cittadini. Con Holbach si sviluppò una visione atea e materialistica, la superiorità della scienza sulla religione, che gli uomini non fossero naturalmente malvagi, ma resi così da un cattivo governo. In Francia si sviluppano anche i primi fisiocrati, ovvero gli economisti, e cresce l'idea che la ricchezza non sia data dalle cose materiali in sé, ma dal godimento che se ne può trarre. Il mercato deve essere libero in quanto in grado di autoregolarsi, i fisiocrati erano contro il protezionismo siccome capirono che ciò che conta davvero per bilanciare l'economia del paese erano le effettive opportunità date ai cittadini. Grazie a questo, al progresso scientifico e alla sempre più crescente libertà la società si dirigeva verso un importante miglioramento. Per quanto concerne la Francia, essa vive una situazione differente dall’Inghilterra liberale: la società francese è un intreccio di privilegi, andati accrescendosi negli anni dell’assolutismo. Per Immanuel Kant (1724 – 1804), “l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità, il quale è da impuntare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro”. Kant spiega che “il punto culminante del rischiaramento, cioè dell’uscita degli uomini da uno stato di minorità, il quale è da impuntare a loro stessi” riguarda le “cose di religione”. La metafora della luce contenuta nel termine Illuminismo allude a questo processo di “liberazione” della ragione umana. Se qualcosa deve essere “illuminato”, significa, evidentemente, che versa nelle tenebre. Il rischiaramento non doveva solo portare luce laddove regnava la superstizione, ma anche pietà e rispetto dei diritti individuali fra gli uomini di Stato. La denuncia della barbarie della tortura è al centro del più celebre lavoro dell’Illuminismo lombardo: Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (1738 – 1794), nonno di Alessandro Manzoni. 17 Diritti individuali, tolleranza religiosa, apertura alle idee nuove e grande fiducia nel ruolo della ragione umana, che può, in ogni campo, liberarsi dal giogo dei pregiudizi e conquistare una più piena comprensione del mondo: sono queste le aspirazioni che si diffondono nel secolo dei Lumi. L’illuminismo francese L’Illuminismo fu a tutti gli effetti un movimento transnazionale. Esso si fonda su un’idea cosmopolita e inclusiva. Grazie all’invenzione della stampa i libri diventano oggetti relativamente più comuni, di più facile riproduzione e diffusione. Alla diffusione del libro, alla stampa di opuscoli e di riviste, il potere politico cerca di opporsi attraverso la censura. Seconda solo alla stampa, la scoperta del caffè influenza fortemente l’Illuminismo. Caffè e tè cambiano le abitudini delle persone e forniscono un’ottima occasione per trovarsi a conversare. A partire dalla seconda metà del Seicento, i caffè (coffe house) si diffondono dapprima in Inghilterra e poi in tutto il resto d’Europa. Essi diventano il luogo privilegiato dove gli uomini di lettere e di pensiero possono trovarsi a discutere, a trasformare i libri in materia di dibattito, a coltivare l’entusiasmo per riforme e innovazioni sociali. Il rischiaramento coincide allora con questo nuovo fermento degli intellettuali. I maggiori centri d’irradiamento furono Parigi e Edimburgo. Per questo motivo, si distingue spesso fra Illuminismo francese e scozzese. In entrambi i casi parliamo di un movimento che coinvolse non solo filosofi e pensatori politici, ma anche scienziati delle più diverse discipline. Montesquieu Montesquieu è uno dei maggiori pensatori dell'Illuminismo. All'inizio del 1720 inizia a viaggiare in Europa con lo scopo di studiare da vicino gli ordinamenti e i costumi dei vari paesi. Sviluppa ostilità nei confronti della monarchia assoluta di Luigi XIV. Questo gli permette di mettere a confronto la Francia, monarchia assoluta e regno dell'instabilità, con la monarchia costituzionale dell'Inghilterra, un governo temperato, stabile e libero. Scrive le “Lettere Persiane" sottoforma di romanzo epistolare, i cui due protagonisti, due giovani persiani colti che viaggiano per l'Europa e criticano tutte le società che incontrano, soprattutto la monarchia francese del tempo, che aveva abolito la tolleranza religiosa. In seguito, scrive un'opera sulla storia romana: espone la teoria ciclica dei sistemi politici, ovvero che le cause dell'ascesa e della caduta di Roma sono le stesse per tutti gli altri governi (amore per la patria, per il diritto, l'onestà della classe dirigente e la capacità bellica per l'ascesa, e l'ampliamento territoriale smisurato, la corruzione dei costumi e le follie degli imperatori per la caduta). Con “Lo spirito delle leggi” esse vengono analizzate con riferimento alle manifestazioni della vita sociale. Sono 32 libri distinti in 6 parti. Le prime due trattano temi politici come le forme di governo e la monarchia costituzionale fondata sulla divisione dei e poteri e sulla libertà politica del cittadino. La parte terza illustra la “teoria dei climi", l'ambiente e lo spirito generale della nazione. La quarta esamina le leggi che attengono al commercio, alla moneta alla popolazione. La quinta i rapporti tra legge e religione. La sesta studia le origini e la formazione delle leggi. Il concetto di legge deve essere fondato sul principio che ci consente di intendere il diverso, il particolare e il generale. Le leggi sono la manifestazione di un ordine articolato che si fonda sulla natura delle cose. Sono i rapporti necessari derivanti dalla natura delle cose. Le leggi positive sono poste dalla ragione dell’uomo che a differenza del mondo fisico e degli animali è capace di formulare le regole per il suo comportamento. La società è un fatto naturale e l'uomo deve costituirla. Nello stato di natura l'uomo non ha una ragione attiva ma solo la facoltà di ragionare: è dominato dall'istinto di conservazione, consapevole della propria debolezza, dell'avvertenza dei bisogni, del desiderio di comunicare con i suoi simili. 18 Formula la teoria della tripartizione delle forme di governo: la monarchia (che si fonda sull'onore della classe militare), la repubblica (che si fonda sulla virtù civica e sullo spirito pubblico del popolo) e il dispotismo (si basa sul timore e sul servilismo dei sudditi). Dalla politica inglese trasse anche l'idea della separazione dei poteri e del loro reciproco bilanciamento. Tuttavia, questi governi moderati sono fragili sono difficili da preservare. Favorisce la democrazia rappresentativa rispetto a quella diretta, perché applicabile anche in caso di corpo elettorale molto numeroso e non sempre informato riguardo alle questioni pubbliche. Dalla famiglia si generano i gruppi sociali primari: le genti, tribù, villaggi. Il gruppo implica la coordinazione delle attività di più individui per il perseguimento di scopi che non possono essere raggiunti dai singoli. La formazione di gruppi sociali distinti, la necessità di provvedere ai conflitti pongono le premesse da cui scaturiscono i 3 tipi di diritto: 1. diritto delle genti: regola i rapporti tra le diverse società. 2. diritto politico: disciplina i rapporti tra governanti e governati. 3. diritto civile che regola i rapporti tra gli individui. L’illuminismo scozzese In Scozia, si sviluppò la “filosofia del senso comune”, il cui massimo esponente fu Thomas Reid, il quale criticò le idee precedenti circa le modalità con le quali conosciamo il mondo esterno, rifiutando di ridurre gli oggetti reali, esistenti al di fuori della mente, alle loro rappresentazioni mentali. Un autore distante dal razionalismo francese è David Hume, uno dei maggiori esponenti dell’Illuminismo scozzese. Hume riteneva che l’esistenza della realtà fosse indimostrabile (il che non significa che essa non esiste: semplicemente che non è alla nostra portata, perché la mente umana altro non è che un fascio di percezioni) e propose tesi scettiche anche in tema di religione. La sua prima opera, il Trattato sulla natura umana, tenta di dare una fondazione empirica, coerente con il metodo scientifico, alla filosofia. Hume rifiuta di immaginare uno stato di natura o un contratto originario fra persone per spiegare la nascita del governo. Non è possibile derivare preposizione prescrittive da preposizioni descrittive. Si chiede piuttosto come e perché si verifichi l’insorgenza del governo, perché questa istituzione artificiale s’imponga e permanga nella vita degli uomini. Dal suo punto di vista, l’origine del governo strettamente connessa all’origine della proprietà: è necessaria, affinché vengano adempiute alcune leggi fondamentali di giustizia. In particolare, la stabilità del possesso, il trasferimento mediante consenso, l’adempimento delle promesse. La società è necessaria, agli uomini, perché essi traggono grande beneficio dalla cooperazione. Ma perché vi sia la società, è necessario che si adempiano questi principi: nei quali non v’è nulla di naturale, ma sono artificiali ed emergono col tempo, per garantire quelle condizioni di stabilità e libertà utili agli uomini. Egli sosteneva che le regole della nostra morale non sono necessariamente le conclusioni della nostra ragione: riteneva che fossero le nostre passioni, non il calcolo razionale, a nutrire il senso morale degli uomini. Allo stesso modo Hume credeva che le istituzioni libere non fossero necessariamente il frutto di un disegno razionale, di un’attenta calibrazione di interessi e bisogni. Esse sono l’esito di una lunga e complessa catena di interazioni e si fortificano con lo scorrere del tempo. Hume fu anche un economista, di fatto scrisse sul commercio e sulla moneta, ma soprattutto, in un saggio sull’ascesa delle arti e delle scienze, produsse una interessante teoria circa le dimensioni dello Stato. Hume collegò l’estensione territoriale degli Stati a un problema di libertà: “I grandi stati, dove una singola persona abbia una grande influenza, divengono presto assoluti, mentre quelli piccoli si cambiano naturalmente in repubbliche. Un grande Stato si abitua per gradi alla tirannia, perché ciascun atto di violenza è inizialmente perpetrato a danno di una parte del popolo, ed essendo distante dalla maggioranza di esso, non viene notato e non solleva alcuna reazione violenta. […] In un piccolo Stato, ogni atto di oppressione è immediatamente conosciuto da tutti; il mormorio e lo scontento che ne derivano si diffondono facilmente; e l’indignazione raggiunge il suo vertice, perché i sudditi di tali Stati non sono disposti ad ammettere che tra loro e il loro sovrano vi sia una distanza molto grande.” 19 Tanto più è ampia l’estensione territoriale, tanto maggiore è la difficoltà per i cittadini di sorvegliare gli abusi del governo, tanto maggiore dunque è l’incentivo al governo arbitrario, che porta con sé spese pubbliche ingenti e quel culto dello sfarzo così tipico della monarchia e dell’assolutismo. Fra gli illuministi scozzesi vi è poi Adam Ferguson (1723 – 1816), il quale scrisse “Saggio sulla storia della società civile”, un’opera all’interno della quale la storia non viene considerata come lineare o ciclica, quanto più suddivisa in diversi stadi: - Stadio primitivo, nel quale gli strumenti di lavoro e i beni prodotti sono posseduti in comune; - Stadio barbaro, nel quale si ha una distribuzione diseguale della proprietà ed essa non è ancora garantita dalle leggi; - Stadio civile, nel quale la proprietà è giuridicamente tutelata; Ferguson scrisse in forte polemica con Hobbes e Rousseau, egli riteneva illusorio pensare che le istituzioni politiche potessero assomigliare ai progetti perché “le forme della società derivano da una origine oscura e lontana”. “Nella formazione delle istituzioni e nelle misure adottate la massa degli uomini è guidata dalle circostanze in cui si trova e raramente abbandona la propria strada per seguire il progetto di qualche singolo pianificatore”. In ultimo, nessuna costituzione “è stata concepita sulla base di un accordo, nessun governo è stato copiato da un piano”: bisogna evitare di confondere le speculazioni dei filosofi con la realtà della storia, e di attribuire “a un disegno precedente ciò che si conosce solo per esperienza, ciò che nessuna saggezza umana potrebbe mai prevedere”. Verso la Rivoluzione Pur in presenza delle cospicue differenze, i contatti fra Illuminismo francese e Illuminismo scozzese erano frequenti. Basti pensare che lo stesso David Hume fu per tre anni segretario d’ambasciata a Parigi. La differenza principale, poi, si basa semplicemente fra il fatto che i due paesi erano caratterizzati da due società diverse, che quindi recepivano queste idee in evoluzione differentemente. La Francia non era solo una monarchia assoluta, ma anche un Paese rigidamente diviso in ordini: clero, nobiltà e Terzo Stato. Il secondo ordine aveva monopolizzato, attraverso veri e propri privilegi, le cariche pubbliche e vantavano di esenzioni fiscali. Il Terzo Stato, invece, che coincideva con il 98% della popolazione era sprovvisto di privilegi. La Rivoluzione francese del 1789 e la crisi dell’Ancien Régime non coglie alla sprovvista gli uomini politici: “Abbiamo idee in abbondanza “→ il progresso è frutto di una lingua riflessione, che vede protagonisti, molti autori: Voltaire, Montesquieu, Rousseau, ecc. Particolarmente significativo fu un pamphlet che avrà circolazione, Che cos’è il terzo stato? di Emmanuel Joseph Sieyès. Il testo servì a Sieyès per imporre l’idea di necessità di una Assemblea costituente: una Costituzione non poteva infatti essere “data” al popolo, ma doveva essere prodotta dal “potere costituente”, vale a dire dalla nazione, che significa, per il 98%, dal Terzo Stato. Tuttavia, Sieyès non è un egualitario radicale. Desiderava l’eguaglianza di fronte alla legge e la fine di privilegi fiscali, ma ammetteva delle differenze di rango e proprietà (invita non confondere privilegi e ricompense). CAPITOLO 8 JEAN-JACQUES ROUSSEAU: NATURA, SOCIETÀ E COMUNITÀ Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) 1555 PACE DI AUGUSTA: il sovrano doveva imporre all'interno del proprio territorio la propria religione → guerre di religione in Francia (ugonotti e cattolici 1559-72) 1598 EDITTO DI NANTES: monarchia ha permesso pari diritti agli ugonotti, cioè libertà di culto 20 1685 EDITTO DI FONTAINE BLEU: revoca editto di Nantes. Volontà di rivendicazione delle libertà individuali; Rousseau influenza la Rivoluzione francese, può essere definito come padre della tradizione democratica e teorico della democrazia diretta; possiamo definirlo come un illuminista eretico, un contrattualista (atipico perché ci sono 3 stadi - invece che 2), il padre della pedagogia (nell'Emilio spiega il suo pensiero sull'educazione nell'infanzia) OPERE: 1. Discorso sull'origine della disuguaglianza 1755 2. Contratto sociale 1762 (diretto all' ambito limitato della città di Ginevra, perché ci spiega che qualsiasi forma di governo si può avere in territori ampi e poco densamente popolati). 3. Il discorso sulle scienze e sulle arti 1750 4. L’Emilio 1762 DISCORSO SULL 'ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA 1755: partendo dai ragionamenti di Hobbes e Locke, Rousseau deduce che essi abbiano compiuto un errore: hanno guardato alle caratteristiche dell'essere umano che c'erano nel loro tempo (nasce come egoista/nasce con capacità razionali e deduttive) e le hanno proiettate nello stato di natura, dove non potevano esserci (1° stadio DI NATURA, Hobbes e Locke che ne vogliono uscire, mentre Rousseau vuole restarci). Rousseau parte dal mito del buon selvaggio: per lui lo stato di natura coincide con l'essere umano libero, neutro e che conduce una vita semplice ma virtuosa, non ha né coscienza né timore della morte (è INCIVILE, ed è meglio perché possiede un equilibrio uomo- natura che nella civiltà europea manca-dicotomia natura e cultura/artificialità), È l’ingenuità dell'uomo che crea un equilibrio con la natura, ed esso è caratterizzato da due sentimenti interconnessi: l'amor proprio (autoconservazione) e pietas (pietà verso gli altri) che non permette la nascita dell'egoismo. Lo sbaglio sta nel desiderio di migliorare attraverso la ragione. che allontana l'uomo dallo stato di natura causando il peggioramento della specie, e portandolo al 2° stadio di CIVILIZZAZIONE, in cui si sviluppa la capacità di linguaggio, nascono la famiglia, l'agricoltura e la metallurgia). Qui ha origine la disuguaglianza (che nello stato di natura è solo fisica): viene istituita la proprietà privata: attraverso il patto sociale idealizzato da Hobbes e Locke si cede la sovranità a un terzo per tutelare la proprietà privata [causa della guerra (che per Hobbes dipende dall'egoismo, per Locke dal desiderio di vendetta) e che produce di continuo disuguaglianza e causando 2 tipologie di guerre (orizzontale: ricchezza contro ricchezza, povertà contro povertà; verticale: ricchezza contro povertà). Tutto ciò conduce al 3° stadio del PATTO/CONTRATTO SOCIALE secondo Rousseau: ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema selezione della volontà generale, si verifica la cessione della sovranità all'assemblea generale composta dall’io collettivo composto dalle cittadinanze individuali (non si parla di maggioranza ma di unanimità) per uscire dalla civilizzazione che ha portato solo corruzione, anche se non si può tornare indietro allo stato di natura. La sovranità per essere legittima deve essere ceduta attraverso il patto sociale, non può essere divina o ereditaria (dal padre al figlio primogenito), e la cessione del potere non è verso una parte terza, ma la faccio come cittadina a me stessa in quanto decido di far parte della collettività, mi “dono" alla patria e cedo la mia individualità; in questo caso il popolo deve essere autore delle leggi. Questo “io collettivo" è un corpo politico, paragonabile ad un vero e proprio corpo umano costituito dai cittadini stessi che non possono soffrire senza che il dolore raggiunga il potere sovrano, ovvero la testa, mentre le leggi sono il cervello, e la volontà i nervi. Questa unità totale è quello che rende il corpo vivo. C'è piena identità tra chi comanda e chi è comandato; perciò, la volontà generale non fa altro che garantire il bene comune della società. Cosa succede a chi non vuole associarsi al patto sociale? La volontà generale (io collettivo) è sempre retta, ma il giudizio che la guida non è sempre illuminato. I singoli vedono il bene che rifiutano, mentre la collettività vuole il bene che non vede: bisogna costringere i singoli ad adeguare le loro volontà alla loro ragione, e la collettività deve conoscere ciò che vuole (le volontà particolari non esistono di fronte alla volontà generale-sovranità popolare, in quanto ripoterebbero indietro al processo di civilizzazione attraverso la nascita di sentimenti come l'invidia e l'egoismo); [chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale sarà 21 costretto da tutto il corpo, il che significa che lo si forzerà ad essere libero"]; la costrizione avviene grazie alla legge popolare che sanziona. Rousseau ritiene inoltre necessario il recupero delle virtù antiche che si sono perse con la nascita delle società e del progresso tecnico, e per spiegare questo ragionamento pone come esempio le due più importanti polis greche: Atene, che è aperta alle nuove idee e mette prima la cultura (ciò che costituirà il suo declino, perché non c’è equilibrio con la natura), e Sparta che invece è divisa tra persone con virtù guerresche e persone con virtù naturalistiche (agricoltura e coltivazioni). Ad Atene l'uomo civilizzato non conosce amor di patria, virtù civica, ovvero non ha ciò che gli imporrebbe di sacrificarsi per il bene della comunità. Tutti i valori naturali dell'uomo, come l'amicizia e la sincerità non sono compatibili con il progresso della cultura e della scienza, perciò gli uomini di Atene sono destinati ad essere infelici e la società a decadere. Il Discorso sulle scienze e sulle arti: le scienze e le arti ci hanno fatto progredire o hanno corrotto l'essere umano? Per Rousseau lo hanno corrotto, creando la dicotomia essere-apparire: le arti sono come delle ghirlande di fiori che coprono delle catene di ferro e fanno perciò prevalere l'apparire sull'essere, nascondendo la corruzione e i difetti con il bello e l'estetica. Le scienze (che sono alla base dell’illuminismo) vanno di pari passo con le domande sull'origine del mondo e dell'essere umano, creando una nuova conoscenza che fa sì che la si possiede e si è in grado di impararla e produrla si è inclusi nel mondo illuminista, altrimenti si fa parte della classe delle persone escluse da questo mondo, creando disuguaglianza. L'Emilio parla dell'educazione dell'infanzia: nasce il pensiero pedagogico (che influenzerà anche la scuola Montessori). Introduce il concetto di puerocentrismo: bisogna mettere al centro dell'educazione dell'infanzia il bambino, che nasce già con delle sue necessità e una sua visione del mondo; quindi, noi educandolo lo introduciamo nella società civile, corrompiamo l'infanzia, che in realtà è la perfetta rappresentazione dello stato di natura. Un pensatore democratico radicale Se Locke è il padre del liberalismo classico, allo stesso modo Rousseau è il pensatore di riferimento della tradizione democratica radicale del continente. Dal punto di vista storico la sua figura è veramente di confine fra due sensibilità culturali apparentemente inconciliabili: quella illuminista e quella romantica. Se la sua vicenda intellettuale si iscrive nella cultura dei Lumi, egli per molti aspetti è un anticipatore di sensibilità e temi tipici della cultura del Romanticismo. La sua impronta du

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