Comunicazione Aziendale + Processo di Comunicazione PDF
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Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)
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Questa dispensa presenta i concetti fondamentali della comunicazione aziendale, affrontando sia i processi di comunicazione interna ed esterna, sia l'analisi dei trend di consumo e dei loro impatti. L'analisi si basa sulla piramide di Maslow e sulla teoria della diffusione dell'innovazione per esplorare il comportamento dei consumatori e le strategie di brand management. La dispensa include esempi pratici e approfondimenti sulle barriere comunicative.
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**COMUNICAZIONE AZIENDALE + PROCESSO DI COMUNICAZIONE** ======================================================= La comunicazione aziendale si occupa di studiare i processi attraverso i quali un\'azienda si relaziona con i suoi stakeholder, ovvero tutte le persone o entità che influenzano o sono inf...
**COMUNICAZIONE AZIENDALE + PROCESSO DI COMUNICAZIONE** ======================================================= La comunicazione aziendale si occupa di studiare i processi attraverso i quali un\'azienda si relaziona con i suoi stakeholder, ovvero tutte le persone o entità che influenzano o sono influenzate dall\'azienda stessa. Questi processi di scambio di messaggi avvengono sia all'interno dell'azienda che tra l'azienda e gli attori esterni, come concorrenti, fornitori, clienti e consumatori. L'obiettivo principale di questa comunicazione è non solo quello di trasmettere l'identità dell'azienda, ma anche di sviluppare un'immagine favorevole presso tutti i pubblici. Questo aiuta a costruire una **reputazione solida e duratura**, che si riflette nel modo in cui gli stakeholder percepiscono l'azienda nel tempo. Quando parliamo di **comunicazione aziendale**, ci riferiamo principalmente a due aspetti: la **notorietà** e la **reputazione**. L'azienda deve farsi conoscere dai suoi pubblici, raccontando chi è, cosa fa e quali valori la contraddistinguono. Questo aiuta a consolidare un'immagine positiva, che diventa la base per la costruzione di una reputazione solida. La reputazione, infatti, si forma attraverso un processo graduale di giudizi e valutazioni da parte degli stakeholder, ed è un elemento cruciale per il successo a lungo termine dell'azienda. Non si tratta solo di farsi conoscere, ma di essere riconosciuti come affidabili e competenti nel proprio settore. Oltre a questi obiettivi di comunicazione generale, se l'azienda si trova a fare comunicazione commerciale, come nel caso delle campagne di marketing, l'obiettivo diventa anche quello di **incrementare le vendite**. Così, la comunicazione aziendale diventa una leva fondamentale per supportare le strategie di business. L'impianto teorico della comunicazione aziendale attinge da due grandi aree di ricerca: la teoria della comunicazione e la teoria dell'impresa. La **teoria della comunicazione** è essenziale per comprendere il modo in cui i messaggi vengono formulati e ricevuti dal pubblico. Modelli come l'**AIDA** (attenzione, interesse, desiderio, azione) spiegano come il consumatore sia attratto da un messaggio pubblicitario e spinto progressivamente verso la decisione di acquisto. Questo principio si riflette in molteplici aspetti della comunicazione, dal packaging alla pubblicità fino all'esperienza in punto vendita, tutti elementi che contribuiscono alla costruzione del desiderio e alla percezione della marca come entità desiderabile. La **teoria dell'impresa** evidenzia come la comunicazione aziendale non sia solo un processo simbolico, ma anche una leva economica. Ogni iniziativa comunicativa ha costi, ricavi e obiettivi di business da raggiungere, ed è quindi soggetta a vincoli di budget e a strategie di gestione aziendale e marketing. Accanto a queste discipline fondamentali, la comunicazione aziendale integra anche approcci provenienti da altre aree di studio. La **sociologia** aiuta a comprendere il modo in cui le persone si aggregano, un concetto cruciale per il marketing e per la costruzione di community attorno a un brand. Fenomeni come i **fandom**, gruppi di appassionati che condividono un forte legame con un marchio o un personaggio, sono esempi di come il senso di appartenenza influenzi il consumo. La **psicologia** è altrettanto importante per analizzare le motivazioni di acquisto e i meccanismi di persuasione che guidano il comportamento del consumatore. L'**antropologia**, invece, offre uno sguardo più ampio sulle dinamiche culturali e sulle interazioni umane, mentre la **semiotica** studia il valore simbolico degli elementi visivi nella comunicazione, come il logo o il colore di un brand. Ad esempio, la colomba bianca utilizzata da **Dove** evoca concetti di purezza e morbidezza, rafforzando il messaggio del brand attraverso l'uso di simboli. Il **processo di comunicazione** avviene attraverso simboli verbali e non verbali e implica una reazione da parte del ricevente, che elabora e interpreta il messaggio prima di rispondere. Tuttavia, questo processo può incontrare diverse barriere, definite **rumori comunicativi**, che ostacolano la trasmissione efficace del messaggio. Il **rumore mnemonico** si verifica quando il pubblico fatica a ricordare il messaggio perché eccessivamente complesso o oscurato dalla presenza di testimonial troppo rilevanti. Un esempio è la campagna DeLonghi con Brad Pitt, dove la celebrità ha attirato più attenzione del brand stesso, a differenza di George Clooney per Nespresso, che è riuscito a valorizzare il marchio senza offuscarlo. Il **rumore tecnologico** si manifesta quando problemi tecnici impediscono la corretta ricezione del messaggio, come nel caso di errori di stampa o immagini sfocate in un annuncio pubblicitario. Infine, il **rumore semantico** riguarda le incomprensioni dovute a differenze culturali o all'uso di linguaggi ambigui. Alcune campagne pubblicitarie sono state fraintese proprio a causa di questo problema, come la controversa pubblicità del WWF che paragonava il numero di vittime dello tsunami a quello dell'11 settembre, generando forti reazioni negative. Un aspetto centrale della comunicazione aziendale è la gestione delle relazioni con i diversi **stakeholder**, ovvero tutti gli attori con cui l'azienda interagisce. Questi soggetti possono avere interessi diversi e necessitano di strategie comunicative specifiche. Tra i più importanti ci sono i **clienti** e i **consumatori**, che sono coloro che acquistano e usano i prodotti. Ci sono poi i **finanziatori**, come le **banche** e gli **azionisti**, che sostengono economicamente l\'azienda, e i **partner** come sponsor e fornitori. Non possiamo dimenticare poi i **media** e gli **influencer**, che veicolano il messaggio aziendale al grande pubblico. Altri stakeholder importanti sono i **dipendenti**, i **sindacati**, le **autorità pubbliche** e le **ONG**, che influenzano o sono influenzati dalle decisioni aziendali. La comunicazione aziendale, dunque, non è un processo lineare e unidirezionale, ma un sistema articolato che coinvolge molteplici attori e discipline. Il suo successo dipende dalla capacità dell'azienda di adattarsi ai diversi contesti e di sviluppare strategie in grado di rafforzare l'identità, migliorare la percezione del brand e costruire relazioni solide con i propri stakeholder. **TREND + TREND DI CONSUMO + BISOGNI DI MASLOW + TEORIA DELLA DIFFUSIONE DELL'INNOVAZIONE** =========================================================================================== I **trend di consumo** rappresentano uno degli aspetti più rilevanti per il brand management e il marketing, poiché guidano l'evoluzione delle preferenze dei consumatori e determinano le scelte strategiche delle aziende. Un brand, per restare competitivo, deve essere in grado di innovare continuamente e di intercettare le tendenze emergenti, comprendendo ciò che il pubblico desidera e ritiene aspirazionale. Per farlo, le aziende si affidano a specialisti e strategist che studiano i trend e li traducono in opportunità di mercato, garantendo che il brand resti rilevante e desiderabile per il potenziale cliente. Il termine **trend** deriva dal verbo inglese *to turn*, che significa **svoltare, cambiare direzione**, un concetto che riflette perfettamente il significato di tendenza nel contesto sociologico. I trend, infatti, rappresentano **cambiamenti che emergono all'interno della società** e che, pur non essendo ancora adottati dalla maggioranza, iniziano a diffondersi e a modificare il comportamento collettivo. I trend di consumo, in particolare, riguardano mutamenti negli stili di vita e nei gusti delle persone, influenzando i prodotti e i servizi che vengono scelti, acquistati e integrati nella quotidianità. Non tutti i cambiamenti nel comportamento dei consumatori hanno lo stesso impatto nel tempo. È importante distinguere tra **trend**, **fad** e **megatrend**. Un **trend** rappresenta un cambiamento che ha un impatto significativo e duraturo su stili di vita e gusti. Esempi includono il co-living, il co-working, il bike e car sharing, o la cultura del vintage. Un esempio interessante riguarda il poke: in alcune parti del mondo è stato visto come un *fad*, ma a Milano è diventato un vero e proprio trend. Un **fad**, invece, è una tendenza effimera, destinata a scomparire rapidamente. Tipicamente, un *fad* dura meno di un anno e si consuma in un ciclo veloce di entusiasmo e declino. Esempi di *fad* possono essere tendenze stagionali nella moda, colori del momento, prodotti virali come le ciglia magnetiche nel settore beauty o le canzoni lanciate da eventi come Sanremo, che generano un enorme picco di interesse per poi svanire nel giro di pochi mesi. I **megatrend** sono cambiamenti profondi che influenzano tutti o quasi tutti gli aspetti di una società per un lungo periodo. Questi trend hanno un impatto culturale, economico, politico o tecnologico che si estende oltre il singolo mercato o prodotto. Alcuni esempi di megatrend attuali includono l\'intelligenza artificiale, lo smart working, la sostenibilità, l\'internet delle cose (IoT), l'attivismo dei brand, la socializzazione online e l'inclusività. L'interesse per i trend nasce all'interno di una **società evoluta**, in cui i bisogni primari sono già soddisfatti e le persone hanno la possibilità di cercare esperienze e novità. Facendo riferimento alla **piramide dei bisogni di Maslow**, quando gli individui raggiungono un livello di sicurezza economica e sociale, entrano in una fase in cui emergono nuovi desideri legati all'autorealizzazione, alla sperimentazione e alla ricerca di novità. La **noia, la saturazione e la ripetitività** spingono le persone a cercare qualcosa di nuovo, qualcosa che generi interesse e soddisfi il bisogno di cambiamento. In questo contesto, i **trend di consumo** si sviluppano come risposta a nuove esigenze e desideri. Ogni innovazione porta con sé una fase iniziale di scoperta e curiosità, seguita da un'adozione crescente da parte del pubblico. Il **desiderio**, in questo scenario, gioca un ruolo fondamentale: è la forza che spinge le persone a spendere e a cercare nuove esperienze. L'evoluzione di un trend segue dinamiche precise e coinvolge diverse categorie di individui. **Non tutte le innovazioni si trasformano in trend**, ma solo quelle che riescono a raggiungere un pubblico più ampio attraverso specifici attori che ne favoriscono la diffusione. Gli **innovatori** sono i primi a lanciare nuovi prodotti, stili o modi di vivere, creando ciò che potrebbe diventare un trend. Tipicamente, questi innovatori sono giovani, scienziati, designer, artisti, persone abbienti o celebrità, poiché chi ha accesso a risorse culturali e finanziarie ha maggiori probabilità di essere esposto e coinvolto nell\'innovazione. Non tutti gli innovatori danno vita a trend, ma quando un nuovo prodotto o stile viene adottato dai **trendsetter**, ovvero quelle persone che comprendono l\'innovazione e hanno il potere di influenzare un largo pubblico, il trend comincia a prendere piede. Oggi, **gli influencer** sono considerati dei trendsetter, poiché grazie alla loro vasta audience, riescono a portare un'innovazione dalla nicchia alla massa, diffondendo tendenze e influenzando le scelte di consumo. L'adozione di un'innovazione da parte della società segue il modello della **Teoria della Diffusione dell'Innovazione** di **Everett Rogers (1962)**. Secondo questo schema, l'adozione di un'innovazione segue un processo che può essere rappresentato da una curva di Gauss: all\'inizio l\'innovazione è adottata da una piccola parte della popolazione, cresce rapidamente fino a raggiungere il suo picco, per poi stabilizzarsi e diminuire. Non tutte le persone adottano un'innovazione allo stesso modo o nello stesso periodo; ci sono gruppi che sono pronti ad adottarla prima di altri e gruppi che la abbraciano solo quando diventa una certezza consolidata. Importanti sono i **lead users**, ovvero individui che percepiscono un bisogno prima degli altri e sono alla ricerca di soluzioni innovative. Eric von Hippel (1986) ha definito questa categoria come quella dei **consumatori pionieri**, che sperimentano nuove esigenze ancora sconosciute alla maggior parte del mercato e sono fondamentali per la diffusione delle innovazioni. Se negli anni \'80 venivano descritti come coloro che guidavano il cambiamento, oggi potrebbero essere paragonati agli influencer, che hanno il compito di rendere un'innovazione accessibile e desiderabile per la massa. Questi consumatori sono quelli che permettono al cambiamento di diffondersi e, attraverso le loro scelte, aprono la strada per gli altri. Rogers ha poi suddiviso i consumatori in diverse categorie in base alla velocità con cui accolgono l\'innovazione: - **Innovators**: Sono i pionieri, coloro che introducono l'innovazione. Non solo sono disposti a correre rischi, ma sono anche i più entusiasti e pronti a sperimentare nuove idee, diventando i primi a testare e a diffondere nuove tecnologie. - **Early adopters**: Questo gruppo comprende coloro che, dopo i pionieri, adottano rapidamente l\'innovazione. Non solo riconoscono il valore di ciò che è nuovo, ma sono anche influenti nel promuovere l'innovazione ad altri. Spesso agiscono come trendsetters, aiutando a consolidare e diffondere il cambiamento tra una parte più ampia della popolazione. - **Early majority**: I consumatori in questa categoria sono più cauti, ma non vogliono restare indietro. Adottano l'innovazione più tardi rispetto ai primi due gruppi, ma lo fanno quando vedono che il prodotto è ormai consolidato e diffuso. - **Late majority**: Questi consumatori, più scettici, tendono ad adottare l\'innovazione solo quando è diventata una norma consolidata. Vogliono essere sicuri dei vantaggi e delle caratteristiche prima di fare il passo. - **Laggards**: Infine, ci sono i *laggards*, che sono i ritardatari. Questi consumatori, spesso più anziani o contrari ai cambiamenti, non sono disposti ad adottare l\'innovazione finché non diventa inevitabile, e lo fanno spesso solo quando non hanno più altra scelta. I trend di consumo sono un elemento fondamentale per il marketing e il brand management, poiché influenzano le strategie aziendali e determinano le preferenze del pubblico. Comprendere come nascono e si diffondono permette alle aziende di anticipare i cambiamenti e di posizionarsi in modo efficace nel mercato. Il desiderio di innovazione è strettamente legato alla psicologia del consumatore e alla sua necessità di esplorare nuove possibilità. In un mondo in continua evoluzione, la capacità di **intercettare, interpretare e adattarsi ai trend emergenti** rappresenta una risorsa strategica imprescindibile per qualsiasi brand che voglia rimanere competitivo e desiderabile. **COMMUNICATION SCENARIO + TECNOCULTURA** ========================================= Viviamo in un'epoca caratterizzata da continui cambiamenti e da un ritmo di innovazione sempre più veloce e dirompente. Tradizionalmente, i brand sono stati costruiti sulla base della continuità, con una strategia comunicativa che faceva leva sui mass media e su messaggi veicolati in modo unidirezionale, dal brand al consumatore. Questo approccio, basato su una logica **one-to-many**, puntava a raggiungere il pubblico target attraverso una pianificazione centralizzata e gerarchica della comunicazione. Tuttavia, oggi questo modello non è più efficace. Se in passato la comunicazione era lineare, con un flusso che andava dall'azienda al consumatore, oggi lo scenario è diventato più fluido e imprevedibile. Il rapporto tra brand e pubblico si è trasformato in una rete dinamica di interazioni in cui il consumatore non è più un destinatario passivo, ma un attore protagonista che partecipa alla costruzione del significato del brand. L\'era in cui viviamo è definita come l\'epoca della *tecnocultura*, la tecnologia non è solo uno strumento di comunicazione, ma modella le esperienze, facilita la socializzazione ed evolve insieme alla cultura. La tecnocultura stabilisce un'**integrazione tra tecnologia, aggregazioni sociali ed esperienze culturali**, incidendo profondamente su come costruiamo la nostra identità, come percepiamo il mondo e come interagiamo con i brand. Oggi, gran parte della comunicazione nasce e si sviluppa nel digitale, anche quando ha origine nel mondo fisico. L'azienda non ha più il controllo esclusivo sul proprio messaggio e sulla sua narrazione: il modello di comunicazione non è più gerarchico, ma **reticolare**, in cui ogni attore è un nodo che partecipa attivamente alla creazione e diffusione dei contenuti. In questa *società della tecnocultura*, la tecnologia è parte integrante di ogni esperienza che viviamo. La connessione tra la tecnologia e le esperienze sociali e culturali è ormai talmente forte che ogni interazione con le marche o il consumo di prodotti ha sempre una componente tecnologica. Un esempio emblematico è il *selfie*, pratica diventata ormai un gesto quotidiano grazie alla disponibilità degli smartphone, che permettono di fare autoscatti e postarli sui social. Il selfie è diventato un vero e proprio oggetto di vendita, poiché molte aziende pagano gli influencer per utilizzare i loro prodotti in queste immagini. Allo stesso tempo, è un fenomeno sociale che genera interazioni e legami tra gli utenti, che si scambiano messaggi e si influenzano reciprocamente. Un altro esempio di prodotto della tecnocultura è rappresentato dagli **NFT (Non-Fungible Tokens)**, una forma d'arte digitale che, pur essendo veicolata online, mantiene il valore dell'unicità e dell'irripetibilità grazie alla tecnologia blockchain. Gli NFT hanno ridefinito il concetto di autenticità nell'arte e nella proprietà digitale, diventando un elemento distintivo della cultura contemporanea. Fenomeni come *anti-haul* o *deinfluencing*, in cui gli utenti criticano prodotti anziché promuoverli, hanno modificato la comunicazione di consumo. Attraverso questi contenuti, i creator non promuovono prodotti, ma ne sconsigliano l'acquisto, criticandone la qualità o mettendo in evidenza alternative migliori. Questo meccanismo ha permesso alle aziende di ottenere insight preziosi sui desideri dei consumatori in un modo più autentico rispetto ai tradizionali questionari di mercato. L'estetica di questi contenuti è volutamente meno costruita rispetto ai post patinati degli influencer, proprio per rafforzare il senso di autenticità e credibilità. Anche l'**Intelligenza Artificiale (AI)** sta ridefinendo il panorama della comunicazione e dell'interazione tra brand e pubblico. In alcuni esperimenti, chatbot avanzati sono stati in grado di sviluppare conversazioni inaspettatamente empatiche, fino al punto di chiedere al loro interlocutore umano se provasse fiducia nei loro confronti. In ambito commerciale, gli **assistenti virtuali** vengono programmati per interagire con gli anziani, svolgere funzioni di babysitting o persino affiancare il personale sanitario. Con il crescente ruolo della tecnologia, il consumatore ha assunto un ruolo sempre più attivo nella comunicazione con i brand. Il consumatore contemporaneo non è più un semplice destinatario dei messaggi pubblicitari, ma vuole essere coinvolto attivamente nelle conversazioni con i brand. Siamo nell'epoca della **self-expression**, in cui il pubblico desidera partecipare alla costruzione del valore del brand, diventando co-creatore di contenuti. L'azienda non può più considerare il consumatore come un obiettivo passivo, ma deve trattarlo come un **partner attivo** in una rete di interazioni continua e fluida. Questo cambiamento ha spinto le aziende a modificare il loro approccio comunicativo. Non basta più proporre prodotti di qualità: oggi è necessario creare esperienze coinvolgenti, puntare sulla distintività e innovare costantemente per mantenere la fedeltà del pubblico. Le strategie comunicative tradizionali, basate su una comunicazione pianificata e gerarchica, stanno lasciando il posto a modelli emergenti in cui **brand, consumatori e stakeholder condividono lo stesso status**, partecipando alla creazione del significato e del valore della marca. Diversi esempi dimostrano quanto il pubblico sia ormai in grado di **influenzare e persino sabotare le strategie di comunicazione aziendale**. Il caso di **Volkswagen**, che aveva promosso la sua gamma di auto a zero emissioni senza dichiarare il vero impatto ambientale, ha visto i consumatori riutilizzare gli stessi strumenti comunicativi per smascherare la falsità della campagna, supportati da Greenpeace. Anche **Coca-Cola**, che ha cercato di avvicinarsi alla community dei gamer attraverso Twitch, è stata criticata per aver inserito in modo intrusivo il proprio brand all'interno di un videogioco, sottovalutando l'atteggiamento anti-brand di questa sottocultura. Un caso emblematico è quello di **Disney**, che, forte di una reputazione solida e di un forte attivismo sociale, ha incluso in un suo film il personaggio di una poliziotta lesbica. Questo ha scatenato una reazione negativa da parte di una parte del pubblico, evidenziando come oggi i consumatori non si limitino a recepire passivamente i messaggi dei brand, ma li analizzino, li critichino e, in alcuni casi, li rigettino. Anche nel mondo degli influencer, la costruzione della reputazione è diventata una questione complessa. Il caso di **James Charles**, che ha perso milioni di follower a seguito di accuse pubbliche di opportunismo da parte della sua mentore Tati Westbrook, dimostra come la credibilità e la fiducia del pubblico possano essere messe in discussione in tempi brevissimi. Oggi, gli influencer stessi sono considerati vere e proprie **marche**, in grado di orientare il consenso o il dissenso dei consumatori, influenzando direttamente le aziende e le loro strategie. Per rispondere a queste dinamiche, i brand hanno dovuto ripensare il proprio approccio alla comunicazione. Il modello tradizionale **push**, basato sulla promozione aggressiva del prodotto attraverso offerte e sconti, è stato progressivamente affiancato da strategie **pull**, che puntano a creare desiderabilità e coinvolgimento emotivo. Con l'avvento dei social media, si è sviluppato anche il modello **do-it-yourself**, in cui le aziende coinvolgono direttamente i consumatori nella creazione di contenuti attraverso contest e campagne partecipative. Oggi la comunicazione tende sempre più a spostarsi verso il modello **hetero-referential**, in cui il prodotto non è più il centro del messaggio pubblicitario. Marchi come Levi's hanno costruito campagne basate su storie e valori condivisi, mettendo al centro le persone e le loro esperienze. Questo approccio risponde alla crescente richiesta di autenticità e coinvolgimento da parte del pubblico, sempre più desideroso di sentirsi rappresentato e protagonista nelle narrazioni dei brand. In questo nuovo scenario, le aziende non possono più limitarsi a vendere prodotti: devono costruire relazioni, ascoltare il pubblico e partecipare alle conversazioni in modo credibile e autentico. La sfida non è solo quella di comunicare, ma di riuscire a **creare un dialogo costante e significativo con i propri consumatori**, in un contesto in cui ogni messaggio può essere amplificato, discusso e persino contestato in tempo reale. **BRAND IDENTITY + PRISM + FUNZIONI NEL TEMPO** =============================================== Il concetto di **brand identity** ha un ruolo centrale nelle strategie aziendali, poiché rappresenta non solo un segno distintivo che identifica prodotti e servizi, ma anche un insieme di valori e significati che si radicano nell\'immaginario collettivo. Secondo la letteratura di marketing, un brand è stato definito come un **nome, simbolo, parola o elemento grafico** volto a identificare l\'appartenenza di un prodotto a un\'azienda e a differenziarlo dai concorrenti. Tuttavia, la marca non è solo un attributo aziendale, ma anche una realtà che si costruisce nella percezione del consumatore. Keller (1998) ha identificato il brand come un **insieme di associazioni mentali** che conferiscono un valore aggiunto al prodotto o servizio, rendendolo **unico, forte e desiderabile**. L\'identità di un brand non riguarda solo la sua **componente aziendale**, ma si lega profondamente alla relazione con i consumatori. Se il prodotto appartiene all'impresa, il brand rappresenta **il desiderio, il simbolismo e l'esperienza** che il pubblico associa ad esso. Oggi i consumatori tendono a considerare i brand come parte della loro esistenza quotidiana, appropriandosene in modi sempre più attivi. L'uso del marchio si estende oltre la semplice fruizione del prodotto: scattare foto, indossare capi con loghi ben visibili, reinterpretare il brand attraverso contenuti digitali sono tutte modalità con cui i consumatori contribuiscono alla diffusione e alla trasformazione del significato della marca. Il brand, quindi, non è solo un simbolo di riconoscimento, ma un **aggregatore sociale**, uno strumento attraverso cui le persone si identificano con gruppi e valori condivisi. Esso risponde al bisogno umano di appartenenza, consolidando comunità di consumatori che condividono un immaginario comune. Le marche assumono così un ruolo culturale di grande rilevanza, contribuendo a definire ideologie, stili di vita e codici di comportamento. Dal punto di vista aziendale, la marca è stata tradizionalmente definita come un **nome, un simbolo o un elemento grafico** utilizzato per identificare un prodotto e differenziarlo nel mercato. Questo aspetto ha una duplice funzione: da un lato rappresenta una proprietà aziendale (property), dall'altro è un **segno distintivo** che crea un automatismo nella mente del consumatore. La riconoscibilità immediata di un logo, ad esempio, genera sicurezza e familiarità, elementi fondamentali per la fidelizzazione del cliente. Dal punto di vista del consumatore, invece, il brand è un **insieme di emozioni, pensieri e associazioni mentali** che si attivano automaticamente quando viene percepito un determinato marchio. Affinché queste associazioni siano efficaci, devono essere **desiderabili, rilevanti e significative**, poiché influenzano direttamente la scelta e il comportamento d'acquisto. L'identità di una marca non si limita alla sua componente visiva, ma comprende una serie di dimensioni che ne definiscono il carattere e il modo in cui interagisce con il mercato. Il **Brand Identity Prism**, elaborato da Jean-Noël Kapferer, aiuta a comprendere e gestire queste dimensioni, suddividendole in sei categorie principali. **Fisico**: riguarda gli elementi grafici e materiali che caratterizzano visivamente la marca, come logo, colori, simboli e punti vendita. Il verde Tiffany o la suola rossa di Louboutin sono esempi di marker visivi fortemente riconoscibili. **Personalità**: esprime il carattere del brand attraverso il tono di voce e lo stile comunicativo. Google, ad esempio, si distingue per un'identità giocosa e sicura di sé, mentre brand come Chanel enfatizzano lusso e raffinatezza. **Cultura**: rappresenta l'insieme di valori che alimentano il brand e lo collegano a una specifica identità culturale. Apple, ad esempio, è fortemente legata alla cultura dell'innovazione californiana, mentre Vans incarna l'estetica dello streetwear e della skate culture. **Self-image**: riflette l'immagine che il consumatore ha di sé stesso attraverso il brand. Indossare Lacoste, ad esempio, può far sentire il consumatore parte di un esclusivo club sportivo, anche senza praticare effettivamente uno sport. **Reflection**: è l'immagine esterna che il brand costruisce sul proprio pubblico. Alcuni marchi sono percepiti come giovani e dinamici, altri come simboli di esclusività e successo sociale. **Relationship**: definisce il modo in cui il brand interagisce con il pubblico. Alcuni marchi prediligono uno stile comunicativo ironico e diretto, mentre i brand del lusso evitano la pubblicità tradizionale per mantenere un'aura esclusiva. Un esempio concreto di applicazione del Brand Identity Prism è Ralph Lauren, che ha costruito la sua identità attorno a valori elitari legati all'immaginario WASP e alla tradizione americana. Il marchio Polo, ad esempio, incarna lo stile di vita esclusivo delle Ivy League e dell'aristocrazia dell'East Coast, posizionandosi come un brand senza tempo, capace di evolversi senza perdere il proprio prestigio. Nel corso dei decenni, il ruolo del brand è cambiato, adattandosi ai mutamenti culturali e sociali. **Anni '60 - '80: Funzione di Segnale**\ Durante il boom economico del dopoguerra, le aziende iniziarono a investire in pubblicità per promuovere le identità di marca. I messaggi erano semplici e fortemente riconoscibili, con l'uso di jingle e immagini stereotipate. La televisione e Carosello furono strumenti chiave per la diffusione delle marche. **Anni '80: Funzione Semantica**\ In questo periodo, il brand diventa un simbolo identitario. Grazie alla crescente prosperità economica e all'influenza dell'American Dream, la marca assume un valore simbolico che va oltre la funzionalità del prodotto. Secondo la **Self-Extension Theory** di Russell Belk, i consumatori iniziano a vedere i brand come un'estensione della propria personalità, attribuendo loro un valore culturale ed emotivo. **Anni '90: Funzione Pragmatica**\ Con l'aumento della consapevolezza dei consumatori, si sviluppano movimenti anti-consumisti come **No Logo**, che criticano il branding eccessivo. In risposta, emergono prodotti **unbranded** e private label, offrendo alternative più accessibili. **Anni 2000: Funzione Esperienziale e Sociale**\ L'identità di marca diventa un'esperienza. I consumatori cercano engagement e interazione, e le marche rispondono sviluppando strategie basate sull'attivismo sociale e politico. Il brand non è più solo un prodotto, ma una narrazione che coinvolge la comunità e stimola il dialogo con il pubblico. La brand identity è oggi un elemento dinamico che va oltre la semplice riconoscibilità di un logo o di un nome. Essa si costruisce attraverso un insieme di associazioni mentali, valori e relazioni che connettono l'azienda e il consumatore in un **ecosistema culturale e sociale** in continua evoluzione. Le marche di successo non sono solo riconoscibili, ma diventano simboli di appartenenza, strumenti di espressione personale e attori rilevanti nella costruzione dell'identità individuale e collettiva. **BRAND POSITIONING** ===================== Il **brand positioning** ha l'obiettivo di identificare e appropriarsi di una forte logica di acquisto che conferisca al brand un vantaggio, sia esso reale o percepito. Il posizionamento si fonda sulla **reason to buy**, ovvero la motivazione che spinge il consumatore a scegliere un determinato prodotto o servizio. Questa logica non è statica, ma si evolve nel tempo in risposta ai cambiamenti del mercato e alle strategie della concorrenza. A differenza della **brand identity**, che è più stabile e duratura, il posizionamento è competitivo per natura e sempre relativo agli altri attori presenti nel mercato. Un'azienda sceglie il proprio posizionamento rispetto ai competitor, identificando il modo più efficace per sottrarre loro quote di mercato e differenziarsi in modo strategico. Una componente essenziale del posizionamento è la **brand promise**, una dichiarazione sintetica che rappresenta il valore aggiunto che il brand offre al consumatore. Tuttavia, affinché questa promessa sia credibile, spesso viene accompagnata da una **reason to believe**, ovvero una motivazione tangibile che dimostri perché il brand possa mantenere la sua promessa. Ad esempio, la formula di posizionamento di **Elvive di L'Oréal** è strutturata in modo chiaro: il target sono le donne dinamiche e impegnate, il prodotto è uno shampoo, la reason to buy è la promessa di offrire un'esperienza di lavaggio piacevole e delicata, mentre la reason to believe è data dalla formula arricchita con ingredienti ammorbidenti e una nuova fragranza. Alcuni brand, come **Four Seasons Hotels and Resorts**, adottano strategie di posizionamento basate su uno storytelling simbolico. Il messaggio principale enfatizza la qualità del servizio e la continuità dell'esperienza offerta, trasmettendo un'idea di lusso discreto, in cui il cliente si sente a casa pur vivendo un'esperienza esclusiva. In questo caso, il posizionamento si basa sulla fiducia, sulla connessione emotiva con gli ospiti e sulla qualità dell'ospitalità, elementi che definiscono la reason to buy. L'azienda evita di esplicitare il target in modo diretto, preferendo comunicare con un linguaggio più inclusivo, che enfatizza il gusto sofisticato dei suoi clienti piuttosto che la loro capacità economica. Il **posizionamento di un brand** può essere supportato da diversi elementi della sua identità, tra cui: **Un attributo differenziale**, come la crema idratante nelle barrette di **Dove** o la croccantezza distintiva delle barrette **Mars**. **Un vantaggio oggettivo**, come la facilità d'uso degli **iMac** o il rapporto qualità-prezzo competitivo di **Dell**. **Un vantaggio soggettivo**, che riguarda la percezione emotiva del brand, come il senso di successo associato a **American Express** o il desiderio di avventura evocato da **The North Face**. **Un aspetto della personalità del brand**, come l'energia di **Nike**, il mistero di **Bacardi** o il fascino \"macho\" di **Jack Daniel's**. **L'immaginario collettivo**, che richiama simboli culturali radicati, come il Far West per **Marlboro** o l'eleganza del New England per **Ralph Lauren**. **Il riflesso del consumatore**, ovvero il modo in cui il pubblico si identifica nel brand, come nel caso di **Vans** o **American Apparel**, che si rivolgono a una clientela hipster. **I valori profondi**, come la determinazione sportiva di **Nike** o l'idea di protezione e cura materna evocata da **Nestlé**. Il brand positioning non è solo un concetto, ma un **processo strategico** che definisce, stabilisce e gestisce l'immagine e le percezioni che i consumatori associano al brand. Il processo di brand positioning si sviluppa attraverso diverse fasi fondamentali, la prima delle quali consiste nella **definizione del target**, ovvero comprendere a chi ci si vuole rivolgere. La segmentazione dei consumatori gioca un ruolo cruciale in questa fase, suddividendo i clienti in gruppi distinti in base a caratteristiche comuni. La **segmentazione comportamentale** si concentra sull\'osservazione dei comportamenti dei consumatori durante le diverse fasi di acquisto, e nel loro ambiente naturale. Le tecniche etnografiche e netnografiche, sebbene costose, sono estremamente efficaci, in quanto permettono un'analisi approfondita delle motivazioni, intenzioni e comportamenti sociali. Si indaga sul perché certi contenuti generano aggregazione, mentre altri no. Tuttavia, tali analisi richiedono personale qualificato e un impegno considerevole di tempo, rispetto a metodi più semplici, come i questionari. La **segmentazione psicografica** si basa sugli **stili di vita**. Tuttavia, oggi è più complessa da eseguire rispetto al passato, poiché le persone sono molto più incoerenti nei loro comportamenti. Un tempo, infatti, era più facile individuare gruppi omogenei di consumatori con comportamenti simili. Oggi, invece, la varietà e l'eclettismo dei consumatori sono evidenti: pensiamo ad esempio a persone benestanti che acquistano prodotti a basso costo, o a chi segue una dieta vegana ma, occasionalmente, cede a un cibo fast food. La segmentazione per stili di vita e comportamenti, dunque, si fa ancora osservando come i consumatori agiscono realmente, poiché spesso non si sentono liberi di esprimere apertamente ciò che pensano e fanno. Definire i consumatori o i potenziali consumatori implica la comprensione di chi sono, di come si vedono e di come si comportano, sia individualmente che socialmente, nonché del loro rapporto con il brand. Una volta compreso il target, il brand manager utilizza una **checklist** per assicurarsi di rispondere a domande cruciali. Il primo punto riguarda l'**identificabilità** del target: è importante poter definire in modo chiaro il nostro pubblico di riferimento, per poter sviluppare un messaggio che risulti efficace. Il targeting diventa più potente quanto più il pubblico target è distintivo, consentendo una comunicazione mirata e differenziata. La **dimensione** del target è un altro elemento da considerare: è sufficiente a giustificare l'investimento economico? Bisogna scegliere un mercato che sia in crescita, per garantire la sostenibilità finanziaria del brand. Anche l'**accessibilità** è un fattore fondamentale: come può il marchio raggiungere facilmente il target? I touchpoints, ossia i canali per interagire con il pubblico, sono essenziali. Ad esempio, per un pubblico di bambini, la pubblicità televisiva potrebbe essere una scelta vincente, poiché i bambini chiedono spesso ai genitori ciò che vedono in TV. Infine, la **reattività** (**responsiveness**) del target è cruciale. Come risponde il nostro pubblico agli sforzi di comunicazione? Alcune azioni, come una promozione 3x2 o una pubblicità televisiva, portano risultati immediati, mentre altre, come una campagna di attivismo su tematiche sociopolitiche, potrebbero avere effetti più duraturi. Un brand manager deve saper bilanciare entrambe le tipologie di sforzi, con attenzione anche alla creazione di equity, ovvero il valore a lungo termine del marchio. La fase successiva riguarda l'**identificazione dei competitor** all'interno del settore. In questa fase è essenziale comprendere chi sono i concorrenti, in particolare analizzando la loro **quota di mercato**. Questo indicatore numerico ci aiuta a capire la posizione del brand rispetto agli altri. Inoltre, è importante osservare come i competitor si **posizionano** nel mercato e a chi si rivolgono. La **strategia di marketing mix** adottata dai competitor deve essere studiata attentamente per capire cosa imitare e cosa evitare. I **competitor** sono aziende che operano nello stesso settore con target simili. Tuttavia, esistono anche i **comparables**, ossia aziende di settori diversi che adottano strategie particolarmente efficaci, dalle quali è possibile trarre insegnamenti. Queste aziende, pur operando in ambiti differenti, possono offrire spunti su innovazioni, nuovi prodotti o strategie comunicative che potrebbero essere applicabili nel nostro settore. La fase successiva riguarda il **consumer insight**, un concetto fondamentale per il brand positioning. L'insight del consumatore fa riferimento a un bisogno latente o a un'opportunità non ancora colta dai prodotti esistenti. La comprensione di questi desideri nascosti è fondamentale per sviluppare una strategia di marketing efficace. L'insight rappresenta l'intersezione tra gli interessi del consumatore e le caratteristiche del brand, e permette di comprendere le motivazioni d'acquisto che stanno guidando le scelte del pubblico. Un esempio di consumer insight riguarda il brand **Vernel**, che ha saputo cogliere l\'evoluzione del desiderio del consumatore nel campo degli ammorbidenti. Introducendo l'aromaterapia e fragranze simili a quelle dei profumi, Vernel ha creato un'esperienza sensoriale che ha fatto del profumo un elemento centrale del suo prodotto. Questo insight è stato scritto in prima persona, per far risuonare direttamente i desideri del consumatore. Infine, i **Point of Difference (POD)** e i **Point of Parity (POP)** sono elementi essenziali per il brand positioning. I POD sono quegli attributi che rendono un brand unico e che ne giustificano la scelta da parte del consumatore. Se il brand non riesce a offrire una differenza significativa, il suo posizionamento rischia di non essere efficace. I POP, al contrario, sono attributi che il consumatore considera necessari, ma che da soli non garantiscono un vantaggio competitivo. Questi elementi possono essere utilizzati per neutralizzare i concorrenti, ma non per creare un vero e proprio punto di differenza. Esempi di POD e POP si trovano nelle pubblicità di marchi come **BMW e Honda**. La BMW punta sulla potenza del motore come punto di differenza, mentre Honda, pur non vantando le stesse performance, crea un messaggio più ironico e inaspettato, che risuona con un altro tipo di consumatore. Altri brand, come **IKEA**, utilizzano strategie più esperienziali, creando legami emotivi con i consumatori attraverso messaggi che parlano di valori sociali e di inclusività. **CULTURAL BRANDING** ===================== Il fenomeno della ***crowdculture*** e della ***networked society***, in cui i consumatori sono costantemente connessi e si aggregano tra loro, sta evidenziando la crescente importanza del *cultural branding*. Questo concetto si riferisce alla capacità del brand di entrare in dialogo con le community di consumatori, che si formano spontaneamente online attorno a temi di interesse per l'azienda. Il brand culturale non è solo un attore di mercato, ma un **attore culturale** che si inserisce nel sistema ideologico e valoriale del consumatore, creando valore e stabilendo un legame con le sue passioni e i suoi interessi. In questo contesto, il brand deve sapersi inserire in modo naturale nel flusso delle conversazioni, senza risultare intrusivo, per aggregare persone che condividono interessi comuni. La sua capacità di inserirsi in modo fluido nelle conversazioni naturali è cruciale per il successo del branding. Il brand deve essere visto come un attore di mercato, che studia preferenze, comportamenti di acquisto e competitor, ma anche come un attore culturale, che esplora le passioni, gli hobby, e gli stili di vita dei consumatori. Deve comprendere dove si aggregano, su quali siti si rifugiano, cosa fanno nel tempo libero e cosa votano, per poter costruire una narrazione che leghi il brand ai consumatori. Il marketing oggi non si basa più su singoli individui, ma su **aggregazioni di consumatori** che, attraverso conversazioni collettive, informano le scelte di ogni singolo individuo. Le marche ora sanno che le decisioni sono influenzate dal gruppo, un approccio che riflette il mondo digitale sempre più aggregativo. Il *cultural branding* è un approccio strategico che ha visto la marca trasformarsi in un\'icona culturale, inserendosi nel mondo ideologico, valoriale e nello stile di vita del consumatore in modo silenzioso, senza forzature. Le marche devono condividere le stesse problematiche e passioni dei consumatori, accompagnandoli nel loro sviluppo. Questo approccio, che è oggi dominante nel branding, trova la sua espressione più potente nella società reticolare contemporanea, dove i consumatori non sono più entità separate, ma membri di comunità che si aggregano attorno a interessi comuni. Il team di marketing, quindi, deve guardare alla cultura e allo stile di vita del pubblico target e costruire una narrazione che crei un legame forte tra il brand e i consumatori. In un mondo dove le scelte non sono più individuali, ma riflettono i gruppi di appartenenza, le conversazioni e il passaparola diventano strumenti influenti. Le scelte di consumo oggi sono modellate dalle dinamiche di gruppo, e il brand deve inserirsi in questo contesto per diventare rilevante. Il *cultural branding* nasce da un'idea del ricercatore americano **Douglas Holt**, che ha coniato questo termine per descrivere come i marchi iconici, attraverso lo storytelling e la comunicazione simbolica, possano creare "miti identitari". Questi miti aiutano a lenire le ansie collettive causate da cambiamenti sociali, fungendo da simbolo di un'epoca. Un esempio è **Marlboro**, che ha costruito un mito identitario attorno all'immagine del giovane uomo ribelle, simbolo di una tensione generazionale. **Coca Cola**, invece, ha costruito un mito attorno alla socialità della famiglia, rappresentata nelle scene natalizie, evocando il valore della convivialità. Il *cultural branding* ha dato vita a un approccio in cui il brand non è solo un'entità di mercato, ma un simbolo culturale che accompagna le persone attraverso le tensioni generazionali e le trasformazioni sociali. Questo processo avviene attraverso una narrazione che si inserisce nel vissuto dei consumatori, accompagnandoli nelle loro esperienze di vita e nel loro percorso di crescita. Le marche, quindi, svolgono un ruolo educativo, aiutando a definire momenti significativi nelle vite dei consumatori. Oggi, il *cultural branding* è più un **fenomeno culturale** che di mercato. Il team di marketing deve comprendere le tematiche e i valori di discussione sulle piattaforme social per capire come posizionare il brand in modo strategico. L'obiettivo è che il brand entri in sintonia con i valori e le conversazioni che emergono nella società. Una delle espressioni più concrete di *cultural branding* è il ***real-time marketing***, una forma di comunicazione che sfrutta eventi o situazioni contemporanee per entrare rapidamente nel discorso pubblico. I brand reagiscono a temi caldi e argomenti di tendenza in tempo reale, rispondendo a hit topic entro 48 ore dal picco della conversazione. In questo contesto, il brand partecipa come uno degli attori del discorso, inserendosi spontaneamente nelle conversazioni in corso. Il real-time marketing richiede una grande creatività e tempestività, e per questo è particolarmente sfidante, richiedendo persone esperte e aggiornate sui trend. Il *real-time marketing* è una forma di *cultural branding* che consente al brand di ottenere visibilità e di raccogliere dati utili per capire meglio il proprio mercato di riferimento. Sebbene non tutti i brand lo adottino, il numero di aziende che ricorrono al *real-time marketing* è in crescita. Due aspetti chiave di questa strategia sono: **rispondere a eventi culturali** e **esprimere una posizione**, contribuendo così alla consapevolezza del brand, e utilizzare le conversazioni in tempo reale per raccogliere informazioni sui consumatori. Alcuni esempi di *real-time marketing* includono **De Cecco**, che durante il coronavirus ha risposto con un tweet riguardo alle penne lisce invendute, e il brand **Taffo**, che durante la pandemia ha utilizzato una comunicazione provocatoria per attirare l'attenzione. Altri esempi internazionali includono **Barilla**, che ha risposto con uno spot a una carbonara "sbagliata" di un blogger francese, e **Ceres**, che ha sfruttato la notizia della partenza di Meghan e Harry per un'efficace campagna social. Anche **IKEA** ha adottato un approccio simile, utilizzando il real-time marketing per commentare il trasferimento dei reali britannici, e ha risposto con il messaggio "*Meghan, Harry, vi capiamo, siamo fatti per cambiare*". Il brand, partecipando alle conversazioni attuali, si fa percepire come un pari, un elemento familiare nella quotidianità dei consumatori, creando un legame di fiducia. Un altro aspetto emergente del *cultural branding* è il **branding nel metaverso**, un ambito che ha visto una rapida esplosione nei media, soprattutto nel **gaming** e nel mercato degli **NFT**. Il metaverso rappresenta una forma avanzata di *cultural branding*, in quanto offre un\'estensione del *real-time marketing*. Alcuni brand, come **Gucci**, hanno sfruttato il metaverso con esperienze immersive che hanno coinvolto i consumatori, creando conversazioni attive e interazioni online, come nel caso di Gucci Virtual 25, dove gli utenti potevano acquistare scarpe virtuali per i loro avatar. **McDonald\'s**, invece, ha esplorato il mondo degli NFT, offrendo ai suoi clienti la possibilità di partecipare all\'estrazione di opere d\'arte digitali legate al lancio di un nuovo panino. Inoltre, una nuova figura professionale sta emergendo nel contesto del metaverso: il *prompt designer*, un esperto di AI generativa che si occupa di scrivere i comandi per far interagire le intelligenze artificiali con il pubblico. Nel contesto attuale, il brand deve essere in grado di aggregare comunità. Non si tratta più di una marca che cerca di colpire il consumatore attraverso i tradizionali mezzi di comunicazione, ma di un brand culturale che deve parlare a gruppi di persone, non a singoli individui. La capacità del brand di connettersi con i gruppi, di avere qualcosa di significativo da dire a un collettivo, è essenziale. Il ***retro branding*** o **marketing della nostalgia** è una delle espressioni più affascinanti del *cultural branding*. La nostalgia ha un valore culturale profondo, soprattutto per le aziende che hanno una lunga storia e un heritage di prodotti che nel corso del tempo hanno conquistato i consumatori. Questo approccio sfrutta le modalità comunicative che richiamano il passato, un periodo spesso associato a romanticismo, semplicità e serenità. Il passato è simbolo di un'epoca ideale, quando il mondo sembrava meno complesso e più lento. Al contrario, il futuro appare spesso carico di ansia e sfide, e questa differenza emotiva è la chiave del fascino del retro branding. Esso richiama l'artigianalità e la qualità di un tempo, contrapponendosi alla produzione rapida e alla standardizzazione del presente. Un esempio di retro branding è rappresentato dalla **Fiat 500**. Questo modello di auto evoca l'immagine di una macchina piccola, simbolo di emancipazione femminile e di una società che cambiava. Stessa logica si può applicare a marchi come Ralph Lauren e Loro Piana, che incarnano lo stile *old money*, un'ideale di eleganza legata al passato. Il ***brand purpose*** è un altro concetto chiave nel branding contemporaneo. In un'epoca in cui la concorrenza tra i prodotti è sempre più agguerrita, le aziende non possono più limitarsi a differenziare i propri prodotti solo in base alle caratteristiche tangibili. Oggi, il brand deve estendere la propria identità e il proprio credo anche ai prodotti che commercializza. In altre parole, il brand diventa una manifestazione di un sistema etico, un'identità che si riflette in tutti gli aspetti dell'azienda. Non è più solo il prodotto a essere posizionato, ma l'intera impresa. I consumatori oggi vogliono sapere chi c'è dietro il marchio: che valori promuove, come si comporta sul tema della responsabilità ambientale, della parità di genere, dei diritti dei lavoratori. È la ***corporate social responsibility*** che diventa centrale nel processo decisionale d'acquisto. Un esempio significativo di *brand purpose* è **Patagonia**, che si è distinta per il suo impegno autentico e per la sua visione green, senza essere mai accusata di *greenwashing*. Questo brand ha saputo gestire il proprio *purpose* in modo impeccabile, evitando le critiche che hanno colpito altri marchi. In generale, oggi le aziende sono chiamate a rispondere a richieste sociali più ampie: etica, sostenibilità, uguaglianza salariale, diritti civili. Il *purpose* è la ragione profonda per cui un brand esiste, il suo contributo alla società. Questa necessità di posizionarsi sui temi sociali e culturali ha portato al fenomeno del ***brand activism***, che rappresenta la risposta delle aziende alle pressioni sociali e alle richieste di cambiamento. Le aziende oggi sono chiamate a prendere posizione su tematiche anche politiche, non solo economiche. Questo tipo di branding considera la marca come un attore sociale e politico, in grado di influenzare la società e di portare avanti istanze sociali. Un esempio di *brand activism* è **Disney**, che nel corso degli anni ha rappresentato valori come la famiglia e l'innocenza. Tuttavia, negli ultimi anni ha preso posizioni forti sulla parità dei diritti, sostenendo il movimento LGBTQ+ e la libertà sessuale, anche se ciò ha provocato critiche da parte della parte più conservatrice della popolazione. Nonostante le reazioni negative, Disney ha guadagnato rispetto da parte di chi ha apprezzato il suo impegno. **Nike** ha portato il *brand activism* a un livello potente quando ha scelto di schierarsi a favore di Colin Kaepernick, il giocatore che, durante l'inno nazionale americano al Superbowl, ha alzato il pugno in segno di protesta contro il razzismo. Nike ha fatto di Kaepernick il protagonista di una delle sue campagne più iconiche, dimostrando un coraggio che in passato sarebbe stato impensabile per un marchio così popolare. Altri esempi di *brand activism* includono **Bumble**, l'app di dating che promuove il *women empowerment*, dove le donne sono invitate a fare il primo passo. La sua fondatrice, Serena Williams, ha enfatizzato il messaggio di prendersi ciò che meritiamo, un concetto che sarebbe stato facile da criticare se non fosse stato sostenuto dalla coerenza del brand. Il ***consumer empowerment*** è un altro aspetto che sta emergendo con forza. I consumatori, grazie ai social media, oggi hanno il potere di influenzare il brand, creando valore sia materiale che immateriale. I consumatori si uniscono in collettivi che supportano il *brand activism* o boicottano marchi che considerano non etici. Un esempio negativo di *consumer agency* si può vedere in **Airbnb**, che, nonostante la sua campagna di integrazione multiculturale, è stata criticata per il razzismo di alcuni dei suoi host, dimostrando che le promesse del brand devono essere coerenti con le sue azioni. Al contrario, **Dove** ha saputo trarre vantaggio da una forte ***consumer agency*** attraverso la sua campagna sulla bellezza autentica. Le sue pubblicità, che mettono in mostra donne reali e abbattendo gli stereotipi, sono state amplificate positivamente sui social media, mostrando il potere dei consumatori quando un brand si allinea con i loro valori. Tuttavia, anche quando i brand si impegnano per cause giuste, non sono esenti da critiche. **Audi**, ad esempio, è stata accusata di incoerenza quando, pur promuovendo la parità di genere con la sua campagna *Daughter* durante il Superbowl, ha mostrato che i suoi dirigenti erano tutti uomini. Questo dimostra che il *brand activism* deve essere sostenuto dalla coerenza tra il messaggio e le azioni. Infine, i consumatori oggi si considerano brand a sé stanti. Grazie alla potenza dei social media e alle tecniche espressive, i consumatori creano nuove forme di comunicazione, andando oltre i brand tradizionali e diventando loro stessi i protagonisti delle conversazioni. In questo modo, i consumatori non solo influenzano i brand, ma contribuiscono alla costruzione della loro stessa identità. **PUBLIC RELATIONS MANAGEMENT** =============================== Le Relazioni Pubbliche (PR) sono una disciplina a sé stante, con un gergo e un approccio distintivi rispetto alle altre aree della comunicazione. I professionisti delle PR svolgono attività specifiche che non richiedono un background particolare. Queste attività si dividono principalmente in due ambiti: la comunicazione d\'impresa e le relazioni esterne (ER), entrambe profondamente influenzate dal contesto in continuo cambiamento. Viviamo in un'epoca di mutamenti rapidi, e questo incide sul modo in cui le aziende comunicano con il pubblico. I mezzi e i metodi di comunicazione evolvono a una velocità sorprendente, e questo ha un impatto profondo sull'interazione tra brand e consumatori. Ci sono diversi cambiamenti da considerare: - **Fiducia**: La fiducia dei consumatori è ormai in una zona critica. Le aziende devono lavorare ogni giorno per conquistarla, poiché i consumatori sono sempre più esigenti e consapevoli. Non basta più essere un buon prodotto, bisogna anche essere percepiti come un brand affidabile. - **Geopolitica**: Gli equilibri globali stanno cambiando, con l'Europa che invecchia e perde forza economica. Questi fattori influenzano anche la comunicazione, rendendo necessaria una maggiore attenzione agli aspetti sociologici e internazionali, che incidono sul tono e sui messaggi trasmessi. - **Tecnologia**: La tecnologia è diventata il principale facilitatore della comunicazione. Se in passato i messaggi viaggiavano principalmente tramite computer, oggi i dispositivi mobili sono i mezzi prevalenti. La comunicazione aziendale deve sfruttare tutte le opportunità che la tecnologia offre, riuscendo a cogliere la velocità con cui viaggiano le informazioni. - **Potere**: Oggi il potere è nelle mani dei consumatori. Connessi e in rete, i consumatori hanno numerosi strumenti a disposizione per selezionare i marchi e per esigere comportamenti responsabili da parte delle aziende. - **Valori**: Non basta più che un'azienda faccia profitto. La società oggi richiede alle aziende di essere consapevoli dei temi ambientali, del futuro dei giovani e delle nuove problematiche sociali. Questo cambiamento di valori sta influenzando profondamente l'opinione pubblica, e le aziende devono adattarsi, abbracciando valori come inclusività e sostenibilità. - **Comunicazione**: La comunicazione aziendale oggi è molto più strategica e sensibile ai cambiamenti sociali. Non basta più comunicare come una volta. Errori di valutazione dei valori, dell'uso dei canali e della gestione dei dati sono tra le principali cause di fallimento nella comunicazione. Un grande cambiamento che ha segnato la comunicazione negli ultimi decenni è il passaggio dalla massa alle community. Negli anni \'90, l\'approccio alla comunicazione era top-down: i consumatori erano considerati utenti-clienti e il brand dettava le regole, utilizzando slogan semplici e jingle pubblicitari. La comunicazione era unidirezionale, senza possibilità di interazione, e il brand era distante dal suo pubblico. Con l'arrivo degli anni 2000, la situazione cambia. Il concetto di *brand experience* prende piede, con il brand che cerca di creare esperienze memorabili per il suo pubblico, instaurando una connessione più profonda. I consumatori non sono più passivi, ma vengono coinvolti attivamente nel processo di comunicazione. L'arrivo dei social network ha cambiato radicalmente il panorama. Oggi la comunicazione è bilaterale, e il brand deve adattarsi a un ambiente molto più dinamico. I consumatori, infatti, hanno la possibilità di interagire, esprimere opinioni e unirsi in gruppi di interesse. Se negli anni \'90 il brand poteva essere sicuro di raggiungere una larga parte del pubblico, oggi la situazione è più complessa. La sfida è trovare la *community* giusta, spesso su canali diversi da quelli tradizionali, come i social media. La comunicazione è frammentata, e il brand deve essere in grado di intercettare il suo pubblico sui canali più appropriati, parlando il linguaggio che queste community apprezzano. La comunicazione oggi è anche "*always on*", con i consumatori che sono continuamente connessi e multitasking. La generazione Z, che è la prima a essere cresciuta con gli smartphone, è un target molto interessante per le aziende, che stanno cercando di capire come raggiungerla. Questa generazione è chiamata a diventare un segmento molto influente, grazie alla sua capacità di reddito in crescita. La comunicazione non è più legata a un singolo canale; è, infatti, molto più frazionata e divisa. Le abitudini mediali cambiano rapidamente, e se un brand vuole raggiungere i giovani, non basta più fare uno spot televisivo su Mediaset, poiché il consumo televisivo sta diminuendo, mentre la popolazione invecchia. In questa nuova era della comunicazione, i consumatori non sono più solo dei destinatari passivi dei messaggi del brand. Oggi, sono anche attori e autori della comunicazione, grazie alla *co-creazione*. I consumatori, attraverso feedback, contribuiscono a definire il brand, arricchendo il suo *brand equity*, che è composto dai valori che il brand trasmette e che vengono riconosciuti dalle community. Un esempio di brand equity potrebbe essere HP, che è visto come accessibile, affidabile e duraturo, o Apple, che trasmette valori di bellezza, design e status. Questa co-creazione ha un impatto profondo sulla definizione del brand. Il brand non viene più definito solo a tavolino, ma è continuamente influenzato da ciò che i consumatori dicono e pensano. Oggi, il brand deve essere in grado di ascoltare e adattarsi alle esigenze delle community che lo supportano. La Comunicazione Integrata (IMC) è un processo di business che si orienta verso il pubblico, guidato dalle esigenze e dalle aspettative del target. Questo processo riguarda le strategie di comunicazione nei confronti degli stakeholder, il contesto in cui l'azienda opera, i canali mediatici utilizzati e la misurazione dei risultati ottenuti dai programmi di comunicazione del brand. Per un\'azienda, più è integrata la comunicazione tra le diverse funzioni aziendali, maggiore sarà l\'efficacia e la capacità di raggiungere il pubblico di riferimento. I quattro pilastri della comunicazione integrata sono fondamentali per l\'efficacia di qualsiasi strategia di comunicazione aziendale. Il primo di questi pilastri riguarda gli *stakeholder*, ossia i gruppi di portatori di interesse. Sebbene i consumatori rappresentino il principale gruppo di stakeholder, poiché sono essenziali per il sostentamento dell\'azienda, esistono anche altri gruppi che richiedono una comunicazione mirata. Ogni gruppo ha infatti esigenze e aspettative specifiche che devono essere tenute in considerazione quando si sviluppano le strategie di comunicazione. Un altro pilastro chiave è il *contesto* in cui l\'azienda opera. È cruciale per le imprese comprendere il panorama in cui si inseriscono, che include non solo i competitor, ma anche il mercato e le normative regolatorie che ne influenzano l\'operato. Una comunicazione che non consideri questi fattori rischia di risultare decontestualizzata, con conseguenti effetti negativi sull'immagine e sull'efficacia delle strategie messe in atto. I *canali mediatici* costituiscono il terzo pilastro e rappresentano i mezzi attraverso cui un brand raggiunge il suo pubblico. Con l\'avvento della digitalizzazione, le opzioni a disposizione sono aumentate e si sono diversificate notevolmente. È quindi fondamentale che un brand scelga i canali più appropriati per il proprio pubblico, rispondendo alle specifiche esigenze del target con l'utilizzo dei mezzi che meglio si adattano alle abitudini e ai comportamenti del pubblico. Infine, la misurazione dei *risultati* è un aspetto imprescindibile. Sebbene l'impatto della comunicazione possa essere difficile da quantificare, è essenziale per l'azienda riconoscere il ritorno sugli investimenti (ROI) e capire come la comunicazione contribuisca alla reputazione del brand. I risultati, infatti, possono essere valutati attraverso le opinioni e i giudizi, positivi o negativi, che il pubblico esprime nei confronti dell'azienda, influenzando la sua percezione e, di conseguenza, il successo delle strategie di comunicazione. L\'importanza delle risorse umane è cresciuta notevolmente nel contesto della comunicazione aziendale. Un tempo, quando la comunicazione seguiva un modello prevalentemente top-down, i dipendenti erano semplici esecutori di ciò che veniva deciso a livello superiore. Oggi, invece, i dipendenti sono diventati veri e propri ambassador del brand, veicolando la cultura aziendale e rappresentando un canale cruciale per la comunicazione. L\'engagement dei dipendenti, che un tempo veniva definito come comunicazione interna, è ora visto come un elemento strategico per creare un ambiente di lavoro positivo. Un clima favorevole all'interno dell'impresa, dove il senso di appartenenza e la condivisione sono valori fondamentali, facilita non solo la comunicazione interna, ma aiuta anche a prevenire possibili crisi reputazionali che potrebbero derivare da malcontento tra i dipendenti. Per quanto riguarda i livelli di comunicazione integrata, possiamo distinguere vari tipi che si applicano a contesti diversi. La comunicazione di prodotto si concentra sulla promozione di singoli articoli, come ad esempio quando Barilla promuove il suo prodotto \"Abbracci\" (biscotti). Un altro livello è la comunicazione di brand, che si focalizza su una famiglia di prodotti che condividono lo stesso marchio. Un esempio di questo tipo di comunicazione è la promozione del brand Mulino Bianco da parte di Barilla, che riguarda una linea di prodotti legati dal medesimo marchio. Un altro livello di comunicazione è la comunicazione corporate, che si riferisce alla comunicazione relativa all\'azienda in quanto organizzazione. Questo tipo di comunicazione include informazioni come numeri aziendali, bilanci, e progetti strategici. Per esempio, Barilla comunica non solo i suoi prodotti, ma anche i suoi risultati finanziari e le iniziative strategiche, condividendo così un'immagine completa dell'azienda. Infine, c\'è il posizionamento, che rappresenta il mix delle comunicazioni precedenti. Il posizionamento viene definito a tavolino e successivamente veicolato in modo coerente attraverso tutte le comunicazioni aziendali. La comunicazione in questo caso deve essere costante e mirata, con l'obiettivo di mantenere il posizionamento scelto per il prodotto o il brand nel lungo termine. Un piano di comunicazione efficace si sviluppa a partire dalla definizione chiara del target. È fondamentale analizzare le caratteristiche demografiche e psicografiche del pubblico, utilizzando strumenti come *insights* e interviste per ottenere una comprensione approfondita delle sue esigenze. Questo è il primo passo per creare una comunicazione mirata e persuasiva. Un altro passaggio cruciale è l'analisi SWOT, che consente di identificare le opportunità e le minacce del mercato, così come le forze e le debolezze interne del marchio. L\'analisi SWOT, unita alla *benchmarking analysis*, che comporta il confronto con i competitor, aiuta a capire come posizionarsi nel mercato e quali territori occupare. Nel tempo, alcuni brand sono riusciti ad associare in modo quasi indissolubile il proprio nome a determinati settori o attività; un esempio è Heineken, fortemente legata al mondo del calcio e della musica. Gli obiettivi devono essere chiari e ben definiti. Non si tratta solo di raggiungere obiettivi di vendita, ma anche di perseguire obiettivi intangibili, come creare consenso, aumentare la visibilità e migliorare la reputazione del brand. Le relazioni pubbliche, infatti, si concentrano più sul raggiungimento di un consenso che sulla vendita diretta di un prodotto, mirando a migliorare la percezione del brand nel lungo termine. Le strategie di comunicazione devono essere progettate in modo coerente e orientate al raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Eventi e attività di networking sono strumenti essenziali per costruire relazioni, creare valore e coinvolgere il pubblico. Le strategie devono essere quindi concepite come il mezzo per ottenere i risultati desiderati, tenendo sempre in considerazione il target e come raggiungerlo in modo efficace. Un altro aspetto fondamentale di un piano di comunicazione è la pianificazione del *budget*. Ogni attività di comunicazione comporta un costo, e il budget deve essere allocato strategicamente per garantire che le risorse vengano utilizzate al meglio, massimizzando i risultati. La misurazione dei risultati, attraverso la definizione di *KPI (Key Performance Indicators)*, è essenziale per comprendere il ritorno sugli investimenti (ROI) delle attività di comunicazione. Le aziende più strutturate sono particolarmente abili nel creare sinergie tra le diverse funzioni aziendali, con un impatto positivo sulla percezione che il consumatore ha del brand. Al di fuori della comunicazione integrata, altre discipline della comunicazione svolgono un ruolo complementare. La *pubblicità*, per esempio, propone un valore o un prodotto attraverso messaggi diretti e spesso invasivi. La *promozione*, invece, stimola il consumatore offrendo sconti, campioni gratuiti o altre prove del prodotto, al fine di incentivare il test e l'acquisto. Il *direct marketing* è un altro strumento di comunicazione che si rivolge direttamente al consumatore, proponendo offerte e raccogliendo risposte immediate, spesso tramite email o post sponsorizzati sui social media. La *sponsorizzazione* si concentra sull'intangibile, cercando di migliorare l'immagine del brand attraverso eventi, come nel caso di Redbull che sponsorizza eventi di sport estremi. Le *relazioni esterne*, a differenza delle altre discipline, non mirano alla vendita diretta, ma puntano a costruire consenso e a rafforzare la reputazione del brand. Le attività di pubbliche relazioni, come quelle degli uffici stampa, lavorano dietro le quinte per conquistare spazi sui media, senza che l'azienda debba pagare direttamente per questi spazi. In relazione agli spazi a disposizione per la comunicazione, un'azienda dispone di quattro tipologie principali: **spazi proprietari**, come il sito web, dove l'azienda ha pieno controllo sul messaggio; **spazi condivisi**, come i social network, che pur essendo sotto il controllo dell'azienda richiedono una gestione attenta e costante; **spazi a pagamento**, come la pubblicità tradizionale (esempio, spot televisivi); e **spazi conquistati**, che sono ottenuti tramite le relazioni esterne, come articoli di stampa e menzioni sui media che non sono direttamente pagati. Nel contesto del *lobbying*, le *relazioni istituzionali* coinvolgono l'influenza che le aziende esercitano su governi e istituzioni per promuovere determinati interessi. I lobbisti devono possedere credibilità e autorità per esercitare questa pressione. Infine, le *investor relations* sono particolarmente rilevanti nelle aziende quotate in borsa. Queste aziende devono fornire report finanziari periodici agli azionisti, ma le relazioni con gli investitori non riguardano solo i numeri; comprendono anche la narrazione della storia dell\'azienda, i suoi progetti futuri e la sua visione a lungo termine, elementi che contribuiscono a costruire fiducia e trasparenza nei confronti degli investitori. **RELAZIONI PUBBLICHE + AGENZIA DI PR** ======================================= Le pubbliche relazioni hanno come obiettivo principale quello di creare, sviluppare e gestire relazioni con i pubblici influenti, sia per singoli individui che per realtà organizzate. Queste attività, sebbene fondamentali, spesso rimangono nascoste, come nel caso del *ghost writing*, dove professionisti scrivono discorsi e dichiarazioni per conto di figure di spicco come presidenti o primi ministri, senza comparire pubblicamente. Il loro lavoro è svolto dietro le quinte, e ciò che il pubblico percepisce è solo l'output di questo lavoro. Il portavoce di un'azienda è la figura responsabile delle pubbliche relazioni, colui che rilascia dichiarazioni a nome dell\'azienda e rappresenta l'interfaccia tra l'impresa, la politica, il mondo della musica o altri settori, e il pubblico. Il lavoro delle pubbliche relazioni richiede un equilibrio e una capacità di mediazione: è necessario mediare tra interessi contrapposti, come nel caso di un giornalista che cerca uno scoop e un'azienda che desidera mantenere una certa riservatezza. Il PR deve essere un punto di raccordo tra l'interno e l'esterno dell'azienda, mantenendo sempre un approccio equilibrato. Le aree di competenza delle pubbliche relazioni riguardano diverse attività. Da un lato, l\'azienda si occupa di informazioni corporate, branding, promozione di prodotti, sponsorizzazioni, testimonial, eventi e la propria storia aziendale. Dall'altro lato, ci sono le informazioni indipendenti, come quelle provenienti da giornalisti, influencer, blogger e le comunità online. Le pubbliche relazioni si collocano proprio nel mezzo, dove il compito principale è quello di mediare, traducendo il linguaggio dell\'azienda in un formato che catturi l'interesse del pubblico. Il professionista delle PR è responsabile di estrarre le caratteristiche rilevanti dall'interno dell'azienda e trasformarle in notizie e contenuti che possano essere consumati dai pubblici di riferimento. Questi contenuti non sono pagati direttamente, a differenza della pubblicità, ma sono frutto delle attività di PR che contribuiscono a raggiungere il target finale. Gli obiettivi principali delle pubbliche relazioni sono molteplici. In primo luogo, si tratta di trasformare ciò che è sconosciuto o ignorato dal pubblico in qualcosa di conosciuto. Se c'è apatia, l'obiettivo è suscitare interesse attraverso un buon *storytelling*; se ci sono pregiudizi, si deve lavorare per favorire l'accettazione, utilizzando la narrazione per trasformare l'opinione negativa in una visione più favorevole. Inoltre, le PR hanno la capacità di cambiare la percezione del pubblico, trasformando l'ostilità in simpatia. Le pubbliche relazioni si occupano di diversi ambiti, che si suddividono in gestione ordinaria e straordinaria. La *digital PR* riguarda tutte le attività di relazione che si svolgono online, mentre la *traditional PR* è focalizzata su mezzi di comunicazione più tradizionali, come stampa, radio e TV. In caso di situazioni di crisi, le PR si occupano anche di *crisis management*, specializzandosi nella gestione di momenti critici che richiedono una comunicazione particolarmente attenta ed efficace. Un esempio di un *key PR person* è il portavoce di Joe Biden, che interagisce quotidianamente con i media, generalmente tramite conferenze stampa. In Italia, tuttavia, la figura del portavoce è meno visibile e non è comune vedere i portavoce dei ministri in conferenze stampa pubbliche. Il mondo dei portavoce in Italia rimane spesso un po' nascosto rispetto alla visibilità che queste figure godono in contesti anglosassoni. Il mondo delle agenzie di pubbliche relazioni è caratterizzato da strutture piuttosto flessibili. Quando si entra in un'agenzia di PR, si inizia solitamente come junior account e, a seconda delle inclinazioni personali e delle esperienze accumulate, si può scegliere di specializzarsi in diverse aree dell'agenzia. Sebbene l\'agenzia di PR non disponga di budget ingenti come altre aree della comunicazione, si concentra su attività creative e gestionali, soprattutto nell'ambito dell'ufficio stampa. A differenza delle agenzie pubblicitarie, dove la divisione tra creativi e account è ben definita, nelle agenzie di PR l'idea alla base di un progetto viene sviluppata da tutto il team. L'organigramma di un'agenzia di PR è strutturato in modo che ogni membro abbia un ruolo ben preciso. Il CEO rappresenta l\'agenzia e si occupa della gestione dei conti e delle strategie aziendali. Il direttore finanziario si occupa di controllare gli aspetti economici, mentre l'assistente del CEO supporta la parte amministrativa. La *strategy and innovation* è la funzione che analizza i dati e le informazioni da fornire al team creativo, supportando la fase di analisi e ricerca per l'elaborazione di campagne strategiche. Un'altra area fondamentale è quella di *new biz*, che si occupa della ricerca di nuovi clienti e opportunità di business, mentre la parte grafica, tramite il *graphic department*, crea tutti gli elementi visivi necessari, come loghi, brochure e contenuti per i social media. L'agenzia si suddivide in diverse business unit che si concentrano su settori specifici, come la *consumer/lifestyle business unit*, che si rivolge al grande pubblico, o la *corporate director business unit*, che si occupa della comunicazione verso aziende e finanziatori. La *crisis director business unit*, infine, gestisce la comunicazione in situazioni di crisi, una parte fondamentale che richiede competenze specifiche e tempestive. Il lavoro in un'agenzia di PR offre una grande opportunità di apprendimento, poiché, sebbene non siano generalmente ben remunerate, queste agenzie consentono di acquisire molta esperienza. A differenza di chi lavora in azienda, dove si gestisce un solo brand, in agenzia si gestiscono più clienti e si è coinvolti in una varietà di progetti. Tra i principali ruoli che si possono ricoprire ci sono il *junior account executive*, che supporta i colleghi più esperti in attività operative e di back office, come il monitoraggio delle conversazioni sui social o la redazione di comunicati stampa, e l'*account executive*, che, con almeno due anni di esperienza, inizia a gestire direttamente i contatti con i clienti, i giornalisti e gli influencer, organizzando anche le interviste. A un livello superiore, si trovano il *senior account* e l'*account director*, che supervisionano più progetti contemporaneamente e hanno la responsabilità di più clienti. In particolare, il *business unit manager* è responsabile del budget di ciascuna business unit e delle strategie da implementare, ma è meno coinvolto nelle attività operative quotidiane. Le agenzie di PR guadagnano principalmente attraverso le consulenze. Il CEO stabilisce un obiettivo di budget, che viene poi suddiviso tra i business unit manager, i quali devono trovare strategie per raggiungere gli obiettivi finanziari. Il lavoro di consulenza, che include la partecipazione alle gare di comunicazione, è cruciale per l'agenzia, che partecipa a competizioni per accaparrarsi contratti con nuove aziende. Le aziende forniscono i brief e le agenzie devono restituire un progetto in un tempo definito, solitamente tra le tre e le quattro settimane. In molti casi, le agenzie firmano un *NDA* (accordo di riservatezza) per tutelarsi dalla diffusione prematura delle idee. Per essere un buon *account executive* in un'agenzia di PR, sono richieste diverse qualità. Prima di tutto, è necessaria una grande curiosità, poiché è fondamentale essere sempre aggiornati sulle tendenze dei media e sugli sviluppi del settore. Un buon consulente deve diventare esperto nel suo settore, acquisendo competenze specifiche che permettano di affrontare con successo le richieste dei clienti. Il lavoro di squadra è un'altra qualità importante, in quanto le agenzie lavorano molto in gruppo, soprattutto durante le sessioni di brainstorming. Inoltre, è necessario essere capaci di "sporcare le mani" e aprire porte, ovvero costruire e mantenere relazioni con i pubblici di riferimento. Un buon consulente deve anche essere in grado di vendere nuovi servizi ai clienti, individuando opportunità che vadano oltre il lavoro già concordato, come il miglioramento della gestione dei social o del sito web di un cliente. L'agenzia di PR è anche un ambiente che richiede velocità, specialmente quando si tratta di gestire eventi o lanci importanti, ma allo stesso tempo, bisogna essere anche costanti, lavorando quotidianamente alla reportistica, alle telefonate e al mantenimento delle relazioni. In questo contesto, è essenziale mantenere un'etica professionale, evitando pratiche scorrette come la diffusione di fake news. Il settore della comunicazione, in generale, è un settore B2B (business-to-business), che non si rivolge direttamente al consumatore finale, ma alle aziende. È un ambito piuttosto chiuso e specifico, e le agenzie di PR sono meno conosciute dal grande pubblico. A livello globale, esistono diversi gruppi di comunicazione, tra cui le *Big Four* (WPP, Omnicom, Publicis Groupe e Interpublic Group), che sono società quotate in borsa e operano a livello mondiale, offrendo servizi integrati che spaziano dalla pubblicità alle PR, dalla gestione dei media alla consulenza di brand. In Italia, ci sono anche agenzie nazionali che, nel corso degli anni, sono state acquisite dai grandi gruppi internazionali. Queste agenzie hanno un forte valore aggiunto, poiché possiedono un patrimonio di conoscenze locali che risulta utile per il network globale. Infine, ci sono diverse associazioni di settore che sostengono i professionisti delle pubbliche relazioni, come la FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiane) e l'ICCO (International Communications Consultancy Organisation). I media di settore, come *PRIMA Comunicazione* in Italia e *PR Week* a livello internazionale, forniscono informazioni cruciali e aggiornamenti sul mondo delle PR, alimentando il dibattito e la formazione dei professionisti del settore. **PR E MEDIA DIGITALI** ======================= Nel contesto attuale, la costruzione della brand reputation non dipende più solo dalla comunicazione diretta dell'azienda, ma è il frutto di un processo collettivo che coinvolge tutti gli stakeholder. Con l'evoluzione tecnologica e l'avvento del digital marketing, la reputazione di un brand diventa una risorsa condivisa e costruita anche attraverso le conversazioni online. Oggi, in un'epoca di comunicazione sempre attiva, la gestione della reputazione è diventata centrale per le strategie di comunicazione aziendale, e ogni azienda deve monitorarla, gestirla e costruirla costantemente. Il monitoraggio della reputazione avviene attraverso vari touchpoint digitali, come siti di informazione, blog, forum, social media, app e siti di recensioni. Poiché chiunque può esprimere liberamente un giudizio su un marchio, è fondamentale che le aziende siano pronte a seguire le conversazioni e a reagire tempestivamente. Anche se i professionisti possono avvalersi di strumenti digitali per facilitare questo processo, nessuna intelligenza artificiale può sostituire completamente l\'interpretazione umana delle conversazioni, che richiede un alto livello di comprensione contestuale. La gestione della reputazione oggi si estende a una varietà di attività online, tra cui l\'uso del *native advertising*, che consiste nell'inserire contenuti pubblicitari in contesti coerenti con quelli circostanti, senza interrompere il flusso della fruizione del contenuto. Questo tipo di pubblicità, come i post sponsorizzati su Facebook, è a pagamento e spesso prodotto in collaborazione con agenzie di PR. I contenuti sono creati in modo che appaiano naturali nel contesto in cui sono inseriti, ottimizzati per diversi dispositivi e piattaforme. Il *programmatic advertising* utilizza algoritmi per analizzare i comportamenti online degli utenti, creando gruppi target in base a demografia e interessi. Questo approccio consente di mostrare contenuti che gli utenti vogliono vedere, nel momento in cui vogliono vederli, con un'efficienza molto elevata. Un'altra strategia importante nel panorama delle PR digitali è l\'Influencer Marketing, che ha visto una crescita significativa negli ultimi anni. Gli influencer, che vanno dai VIP ai micro-influencer, aiutano i brand a raggiungere il pubblico in modo più diretto e con un alto tasso di conversione. Le agenzie di PR, specializzate nell\'influencer marketing, collaborano con figure influenti per creare contenuti che coinvolgano l\'audience e generino conversazioni che amplificano la visibilità del brand. Gli influencer virtuali, come Miquela Sousa, sono una tendenza in forte espansione, con milioni di follower e collaborazioni con brand di alta moda. Inoltre, le aziende stanno iniziando a coinvolgere i propri dipendenti come influencer interni, creando un legame tra comunicazione esterna e interna. L'uso della SEO (Search Engine Optimization) e SEM (Search Engine Marketing) è diventato cruciale per la gestione della reputazione online, poiché Google ha un impatto significativo sulla percezione pubblica di un brand. Le aziende devono essere consapevoli di ciò che viene detto su di loro e monitorare costantemente la loro presenza nei motori di ricerca. Le agenzie di PR possono collaborare con esperti di SEO e SEM per ottimizzare il posizionamento dei contenuti positivi e spingere quelli negativi nelle pagine successive dei risultati di ricerca. Il *content marketing* rappresenta un altro strumento fondamentale nella costruzione della reputazione. Brand come Red Bull hanno creato vere e proprie divisioni aziendali dedicate alla creazione di contenuti che non solo promuovono i prodotti, ma raccontano storie legate ai valori del marchio. La Red Bull Media House, ad esempio, ha trasformato il brand in una media company, creando contenuti legati a sport estremi e lifestyle che rispecchiano i valori della marca. Il *branded content*, che integra il marchio direttamente nel contenuto, è una forma di pubblicità più sottile rispetto alla pubblicità tradizionale. Questo approccio permette di costruire un legame più forte con il consumatore, creando un'engagement più profondo. Campagne come quella di Dove, che ha raccontato storie basate sull'autoconsapevolezza delle donne, sono esempi di come il branded content possa andare oltre la semplice promozione del prodotto, lavorando su un tema rilevante e creando valore per il pubblico. Infine, le *social media strategy* e le *digital PR* si concentrano sull'uso strategico degli influencer per incrementare la visibilità e la reputazione di un brand. Le campagne di digital PR, che spesso utilizzano hashtag dedicati, cercano di amplificare le conversazioni online e far crescere l'awareness, stimolando l'interesse attraverso contenuti creativi e coinvolgenti. Il successo di queste strategie dipende dalla capacità di selezionare gli influencer giusti, valutando la loro affinità con il target e la loro capacità di generare conversazioni genuine e di valore. In conclusione, la reputazione di un brand nel mondo digitale è un valore che deve essere costantemente monitorato e gestito, attraverso una combinazione di strategie, dall\'influencer marketing al content marketing, e supportato da un lavoro di analisi dei dati e ottimizzazione dei contenuti online. Nel panorama odierno, i social media sono una parte essenziale della comunicazione, con una crescita esponenziale degli account in Europa, dove l\'Italia è tra i paesi con il maggior numero di account social rispetto alla popolazione attiva. Questo scenario ha cambiato radicalmente il modo di fare comunicazione, poiché i social, pur essendo nati come piattaforme gratuite, sono diventati a pagamento per aumentare la visibilità dei messaggi, un aspetto che rientra nell\'ambito delle PR. Oggi, uno degli strumenti di maggiore successo sono le *stories*, che hanno visto un uso in forte aumento, con i brand sempre più coinvolti nella pubblicazione di contenuti che attraggono i consumatori. I principali social media utilizzati per la comunicazione includono Snapchat, LinkedIn, TikTok, ma anche piattaforme di messaggistica come WhatsApp, Telegram e WeChat, che stanno gradualmente influenzando, e in parte sostituendo, i social tradizionali, soprattutto tra i giovani. Inoltre, i podcast e le piattaforme audio stanno acquisendo crescente importanza come veicoli di comunicazione. Un rischio crescente per i brand è la sovraesposizione degli utenti ai messaggi pubblicitari, a causa della crescente saturazione dei newsfeed. In questo contesto, il compito delle aziende è entrare nelle conversazioni che piacciono alle persone, e le agenzie di pubblicità che gestiscono i canali social ora operano molto più in ottica relazionale, spesso utilizzando un approccio tipico delle PR. Molte agenzie di PR, infatti, si occupano dell\'outsourcing dei social media per le aziende. Per sviluppare una strategia di social media efficace, è fondamentale seguire una roadmap ben definita. In primo luogo, occorre *definire la reason why* dell\'azienda, ossia capire gli obiettivi, le modalità e i contenuti da comunicare. Un errore comune è aprire canali social senza una strategia chiara, ma a volte è più utile concentrarsi su un solo canale e utilizzarlo al meglio. Successivamente, si deve *definire lo scenario*, analizzando i trend principali, le sfide strategiche nel proprio settore e le attività dei competitor. È essenziale anche *studiare il target*, poiché il pubblico di un canale social potrebbe non coincidere con quello del prodotto o servizio. La pianificazione del contenuto è cruciale: si deve *pianificare come un editore*, organizzando i piani editoriali e adv, lasciando spazio al real-time marketing e alle attività live. I social di successo non parlano solo di prodotto, ma propongono contenuti che attirano e coinvolgono gli utenti. È fondamentale anche *definire i KPI* per monitorare il successo della strategia, che può essere misurato attraverso l\'engagement, la reach o il sentiment generato. Il *real-time marketing* è un altro elemento chiave della strategia. Si basa sulla creazione di contenuti ad hoc che vengono pubblicati in concomitanza con eventi di cronaca o attualità. Esempi celebri includono il tweet di Oreo durante il Super Bowl 2013 e la pubblicazione di Ceres durante un diverbio di Buffon. Questo tipo di marketing sfrutta eventi in tempo reale per generare una reazione immediata e catturare l\'attenzione. Il *social media team* è composto da figure fondamentali: il *social media manager*, che guida l'intero processo di social media marketing, il *social media specialist*, con esperienza intermedia nella gestione dei canali social, e il *community manager*, che gestisce la community, risponde ai feedback e si occupa della reportistica. Per diventare *social media manager*, è necessario passare attraverso un percorso di formazione, esperienza e costante aggiornamento, data la rapidità con cui si evolvono le piattaforme e le dinamiche sociali. Le *relazioni media* o *ufficio stampa* sono strumenti cruciali per un'azienda, poiché permettono di trasformare eventi aziendali in notizie che rinforzano la percezione del brand. L'ufficio stampa agisce come un filtro tra l\'azienda e i media tradizionali e digitali, gestendo la comunicazione in entrata e in uscita. La dimensione dell\'ufficio stampa dipende dalle dimensioni e dalle necessità dell'azienda, con alcune aziende che preferiscono esternalizzare questi servizi. Ci sono tre principali tipologie di ufficio stampa: *strategico*, che lavora su un piano di comunicazione annuale, *intermedio*, che gestisce progetti di comunicazione ad hoc, e *tattico*, che si occupa della gestione giornaliera delle notizie, tipica delle aziende politiche e delle grandi aziende. I principali obiettivi dell\'ufficio stampa sono fornire ai media notizie che costruiscano l\'immagine dell\'azienda, raccogliere feedback dai media per adattare la comunicazione e monitorare i risultati ottenuti, che si misurano attraverso la rassegna stampa e la monetizzazione degli spazi media. Un ufficio stampa può avere diverse funzioni: quello *corporate*, che si concentra sulla gestione delle notizie strategiche e delle comunicazioni verso gli stakeholder; quello *di prodotto*, che si occupa di mantenere il legame con i consumatori e stimolarli all'acquisto. Entrambi lavorano con l'obiettivo di supportare la visibilità del brand attraverso una comunicazione mirata e mirabile. La notizia è una risorsa cruciale per ogni ufficio stampa e deve essere trattata con attenzione per massimizzarne l\'impatto e il valore. Una notizia è, infatti, un annuncio di qualcosa di accaduto recentemente, qualcosa che il pubblico non conosceva e che vuole scoprire. Per essere efficace, una notizia deve rispondere a sei criteri principali. In primo luogo, deve essere *unica* e nuova, evitando la riproposizione di informazioni già trattate. In secondo luogo, deve avere delle *conseguenze pratiche* per la vita quotidiana delle persone, come nel caso di eventi che influenzano direttamente la società. La *vicinanza*, sia fisica che psicologica, è un altro fattore determinante: eventi locali o che riguardano direttamente il pubblico suscitano più interesse rispetto a quelli distanti. Inoltre, una notizia che *suscita emozioni* tende ad avere più visibilità. Gli *sviluppi attesi* dalla notizia sono anch\'essi un fattore importante: se la notizia è legata a un processo o a un evento con evoluzioni future, ottiene maggiore attenzione. Infine, l'esclusività di una notizia può determinarne il successo; le testate apprezzano le notizie fornite in esclusiva, poiché garantiscono uno spazio maggiore. Per diffondere una notizia in modo strategico, l\'ufficio stampa utilizza diversi strumenti. Un elemento essenziale è la *mailing list*, un database che raccoglie i contatti dei giornalisti e delle testate, fondamentale per veicolare i comunicati stampa e raggiungere il pubblico giusto. Tra gli strumenti ufficiali di un ufficio stampa, il *comunicato stampa* è il più utilizzato. Esso deve rispondere alle 5W (Who, What, Where, When, Why), cioè chi è coinvolto, cosa è successo, dove e quando è accaduto, e perché è importante. Questo tipo di comunicato, con un titolo conciso e informativo, deve essere chiaro sin dalle prime righe. La *nota stampa*, invece, è più breve e adatta a situazioni che richiedono una rapida diffusione. Il *press kit* o *cartella stampa* fornisce informazioni dettagliate e materiali aggiuntivi per i giornalisti, come schede, dati e immagini. Altri strumenti più specifici includono il *white book* (un\'analisi su un tema specifico), lo *studio scientifico* (una ricerca approfondita su un argomento), e la *ricerca statistica*, che può arricchire una notizia con dati concreti. In caso di situazioni particolari, si preparano documenti interni come il *Q&A* (domande e risposte previste) o il *position paper*, che rappresentano la posizione ufficiale dell\'azienda su una questione, specialmente durante le crisi. La diffusione della notizia avviene attraverso diverse modalità. Il *comunicato stampa* è il metodo tradizionale e viene distribuito a una mailing list selezionata. Le *conferenze stampa* offrono una maggiore interazione tra azienda e giornalisti, ma sono anche costose e richiedono una preparazione attenta, poiché il top manager deve essere pronto a rispondere senza l\'intermediazione dell\'ufficio stampa. I *briefing per la stampa* o *viaggi stampa* sono utilizzati quando la tematica è più specifica o necessita di un confronto diretto e ristretto con i giornalisti. Infine, le *interviste* one-to-one permettono di approfondire specifici temi con giornalisti scelti e preparati. Un'altra modalità sofisticata di veicolare una notizia è l\' *annuncio non ufficiale* (off the record), in cui l\'azienda non conferma ufficialmente la notizia, ma permette al giornalista di utilizzarla per costruire una relazione più informale. Infine, il monitoraggio della stampa è essenziale per valutare il successo delle attività di PR. Questo può essere fatto in modo *quantitativo* (misurando il numero di articoli pubblicati) e *qualitativo* (valutando l\'importanza dell\'articolo, come la posizione nella stampa o la rilevanza del contenuto). **GESTIONE DELLA REPUTAZIONE** ============================== La gestione della reputazione online è diventata sempre più complessa e strategica, con un numero crescente di attività che le aziende intraprendono per posizionarsi sul mercato. Uno degli strumenti più rilevanti è il *native advertising*, una forma di pubblicità che si inserisce in modo contestuale all\'interno di contenuti già esistenti, adattandosi visivamente al contesto in cui appare. Esempi tipici includono i post sponsorizzati su piattaforme come Facebook. Questa forma di pubblicità richiede un investimento, e viene solitamente creata dall'agenzia di PR per essere inserita in contesti coerenti con i contenuti organici, così che non interrompa l'esperienza dell'utente. Inoltre, i contenuti sono ottimizzati per tutte le piattaforme e dispositivi, cercando di essere rilevanti per l\'utente senza risultare invadenti. Un altro approccio fondamentale nella gestione della reputazione è il *programmatic advertising*, che usa algoritmi per analizzare costantemente il comportamento online degli utenti e creare cluster di target basati su interessi e dati demografici. Questo permette alle aziende di mostrare contenuti mirati che rispondano esattamente agli interessi dell'utente, ottimizzando così l\'efficacia della pubblicità e il budget. L'*influencer marketing* è un altro strumento potente, con una crescita significativa degli investimenti in questo settore. Gli influencer sono divisi in diverse categorie: *VIP*, che portano consapevolezza al brand; *verticali*, che hanno un alto tasso di conversione pur avendo un pubblico più ridotto; *micro-influencer*, che contano su un numero limitato di seguaci ma con un alto engagement. Il fenomeno delle *influencer virtuali*, come Miquela Sousa, sta guadagnando popolarità, e questi personaggi digitali collaborano con marchi famosi come Prada e Alexander McQueen. Inoltre, alcune aziende stanno adottando il modello degli *influencer in house*, dipendenti che diventano influencer aziendali, mescolando marketing e comunicazione interna. La scelta degli influencer si basa su vari criteri: *brand fit* (quanto l\'influencer è in sintonia con il marchio), l'affinità tra il target dell\'influencer e quello del prodotto, il *tone of voice* dell'influencer rispetto al brand, e la capacità dell'influencer di convertire l'engagement in acquisti. Questi criteri determinano anche gli obiettivi della collaborazione, che possono essere aumentare la *conoscenza*, la *considerazione* del brand, o stimolare l'acquisto. *SEO* (Search Engine Optimization) e *SEM* (Search Engine Management) sono essenziali per la gestione della reputazione online. Google è un motore che non solo fornisce informazioni, ma gioca un ruolo cruciale nel *reputation management*. La gestione della SEO e SEM permette alle aziende di ottimizzare la visibilità online e di ridurre l\'impatto delle notizie negative, spingendole più in basso nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca, visto che gli utenti raramente vanno oltre la seconda pagina dei risultati. L'algoritmo *PageRank* di Google è fondamentale per determinare l\'ordine di visualizzazione dei contenuti in base alla qualità dei link, delle visite e della popolarità della ricerca. Il *content marketing* è un altro strumento potente che le aziende usano per raccontare storie coinvolgenti e pertinenti per il loro pubblico. Un esempio esemplare è la *Red Bull Media House*, che ha trasformato l\'azienda in una vera e propria media company, creando contenuti esclusivi che rispecchiano i valori del brand, come sport estremi e lifestyle, diventando un punto di riferimento nel settore. Questo tipo di investimento è costoso ma ha un grande ritorno in termini di fidelizzazione e brand awareness. Il *branded content*, un\'attività che va oltre la pubblicità tradizionale, è una strategia che incorpora il marchio all\'interno del contenuto. Invece di concentrarsi solo sul prodotto, il branded content crea un legame più profondo con il consumatore, generando maggiore ingaggio. Ad esempio, il marchio Dove ha usato il branded content per lanciare il messaggio di bellezza inclusiva, creando storie che risuonano profondamente con il pubblico. Le *digital PR* e le *social media strategy* si concentrano sulla costruzione di conversazioni intorno al brand attraverso influencer e contenuti strategici. Le campagne di *digital PR* mirano a stimolare e amplificare la visibilità di un brand online, utilizzando spesso *hashtag* dedicati per monitorare i risultati e coinvolgere un pubblico più vasto. L'uso degli influencer in queste campagne può essere spontaneo o a pagamento, e l'agenzia di PR coordina il processo per assicurarsi che il contenuto sia efficace e che l'influencer possa raggiungere il pubblico giusto, contribuendo così a migliorare la reputazione e l\'awareness del brand. **CRISIS COMMUNICATION MANAGE