Diritto Pubblico PDF
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Questo documento presenta un'introduzione al diritto pubblico, affrontando concetti chiave come la sovranità, le norme giuridiche e gli ordinamenti. In particolare, si analizzano le distinzioni tra diritto pubblico e diritto privato e le diverse forme di organizzazione dello Stato. Gli argomenti trattati sono ideali per comprendere i principi di base del diritto pubblico.
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DIRITTO PUBBLICO CAPITOLO 1 – COS’È IL DIRITTO IL DIRITTO COME FENOMENO È frequente il pre-giudizio secondo cui il diritto ha a che fare esclusivamente con il potere e con quello che i giuristi chiamano il potere pubblico. Secondo questa impostazione, lo studio del diritto coincide con l’analisi del...
DIRITTO PUBBLICO CAPITOLO 1 – COS’È IL DIRITTO IL DIRITTO COME FENOMENO È frequente il pre-giudizio secondo cui il diritto ha a che fare esclusivamente con il potere e con quello che i giuristi chiamano il potere pubblico. Secondo questa impostazione, lo studio del diritto coincide con l’analisi delle regole, dei comandi e degli ordini che vengono dallo Stato o da altre autorità dotate di potere. Ma lo Stato è solo uno dei produttori del diritto e, a fianco dell’autorità statale, il diritto e i suoi obblighi spesso nascono da atti dei privati o da istituzioni non statali. IL PUNTO DI PARTENZA: L’ESPERIENZA GIURIDICA Il nostro punto di avvia è quello delle scienze sociali, orientate in maniera empirico-induttiva, che hanno cioè come proprio oggetto le azioni umane, i comportamenti del singolo uomo e degli uomini insieme. Ad un primo livello, la constatazione comune è che i comportamenti degli uomini, essendo normalmente liberi, sono imprevedibili, causali e caotici. C’è però un secondo “strato” dell’esperienza giuridica. Se osserviamo meglio, alcuni comportamenti si ripetono. Esistono cioè delle regolarità, ovvero delle ripetizioni costanti che rendono meno caotico il comportamento. È tra queste regolarità e eccezioni che si colloca il fenomeno del diritto. È UN MONDO DI NORME Uno dei primi risultati dello studio del diritto è renderci consapevoli dell’importanza del “normativo” nella nostra esistenza individuale e sociale; le norme giuridiche non sono che una parte dell’esperienza normativa. Le regole giuridiche attengono alle ragioni dei comportamenti umani prima che ai comportamenti stessi. IL DIRITTO COME UNA PARTICOLARE FORMA DI ORGANIZZAZIONE SOCIALE Il diritto costituisce una delle possibili ragioni per cui un uomo agisce. Innanzitutto il diritto è una forma di organizzazione sociale. Un esempio è la fila di fronte ad un ufficio pubblico. I fattori diversificanti in questo caso sono due: 1. il fatto dell’organizzazione o meglio dell’auto-organizzazione; 2. il fatto dell’osservanza spontanea delle leggi. Le regole giuridiche si distinguono dalle regole morali o religiose o di buona educazione innanzitutto perché esprimono delle forme di organizzazione. Tale punto di vista è stato sviluppato da una corrente di giuristi definiti “istituzionalisti”, secondo i quali il diritto è ordinamento giuridico. Il diritto è un insieme di norme che può esistere e funzionare solo se c’è un gruppo umano organizzato, dotato di una organizzazione incaricata di produrre le regole e di farle rispettare. LA SANZIONE COME ULTERIORE ELEMENTO DI SPECIFICITÀ DEL DIRITTO Inoltre, se il diritto è una forma di organizzazione, va precisato che si tratta di una forma di organizzazione che, a differenza di altre, deve, e non solo può, essere rispettata. È fondamentale che le regole, per essere giuridiche, siano “osservate”, nel senso che: da un lato, le persone spontaneamente le rispettino; dall’altro, vi sia qualcosa che assicuri questo rispetto anche se non ci dovesse essere un’adesione spontanea. Ma in un secondo senso, per così dire “prescrittivo”, la doverosità del diritto sta a significare che esistono procedure ed organizzazioni le quali, in caso di violazione, tendono a garantire comunque il rispetto del sistema giuridico nel suo complesso. Come assicurare il rispetto delle regole giuridiche? Occorre prevedere meccanismi che ne garantiscano il rispetto. Ecco che si sviluppa la considerazione sulla statualità del diritto: la convinzione che soltanto le norme accompagnate da una sanzione coercitiva siano veramente giuridiche. E, visto che in epoca moderna soltanto lo Stato è in grado di porre tali sanzioni, l’idea che il diritto sia un fenomeno essenzialmente statuale. Esistono due modi di concepire il diritto: 1. uno fa riferimento all’idea di ordinamento giuridico, di gruppo sociale organizzato; 2. l’altro fa riferimento allo Stato e alle regole che questo produce. IL DIRITTO TRA POSITIVISMO E GIUSNATURALISMO Ci sono due concezioni del diritto: quella giusnaturalista e quella giuspositivista. Secondo la prima, il diritto ha origini naturali (“Il diritto non va costruito, ma trovato, poiché esiste a priori”). Per la seconda invece, il diritto è costruito dalla società e dall’uomo (“Il diritto è ciò che sta scritto nelle leggi”). Al giorno d’oggi, si è “positivizzato” il diritto naturale (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo...” Art. 2 della Costituzione). Attraverso 1. le Costituzioni rigide; 2. i trattati internazionali sui diritti umani. lOMoARcPSD|506 837 81 Esistono due modi di concepire il diritto: Diritto in senso oggettivo —> Serie di regolazioni e norme che vincolano tutti i soggetti che vivono all’interno di una certa comunità o territorio. Diritto in senso soggettivo —>delle facoltà che il soggetto può vantare nei confronti di tutti gli altri o di alcuni. LA PLURALITÀ DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI Se il diritto è l’organizzazione o l’ordinamento di una società allora ci saranno tanti diritti quante sono le società. Da questa constatazione derivano perlomeno due fondamentali direttive per lo studio del diritto: 1. se una società cambia, inevitabilmente cambiano (o cambieranno) le regole e i principi giuridici che la organizzano: - da un lato, nello stesso spazio cambieranno nel tempo le forme dell’organizzazione giuridica; - dall’altro, nello stesso tempo possiamo veder coesistere ordinamenti giuridici profondamenti differenti a seconda dell’area geografica che consideriamo; 2. lo Stato, quantomeno in senso moderno, solo uno dei possibili ordinamenti giuridici. E questo perché: - abbiamo avuto intere civiltà che non erano organizzate secondo quella particolare forma che si è affermata dalla fine del medioevo sul continente europeo, per poi espandersi nel pianeta, e che chiamiamo “Stato”; - è sempre più evidente che gli ordinamenti giuridici statali debbono fare i conti con altri ordinamenti giuridici la cui forza crescente dev’essere tenuta assolutamente in considerazione. IL DIRITTO PUBBLICO Il termine diritto pubblico presuppone il suo antagonista diritto privato. La differenza tra le due definizioni sta nell’oggetto. Il diritto pubblico è quell’insieme di norme che ha per oggetto l’ordinamento giuridico dello Stato. Un ordinamento giuridico è un gruppo umano caratterizzato dall’avere un’organizzazione e tre sono gli elementi che lo connotano: 1. un gruppo di soggetti plurisoggettività; 2. un apparato organizzativo istituzione; 3. le norme giuridiche normazione. In ogni ordinamento giuridico esistono: - norme sulla soggettività norme che individuano chi sono i suoi membri; - norme sulla plurisoggettività norme che regolano i rapporti tra i soggetti dell’ordinamento giuridico; - norme sulle istituzioni norme sull’organizzazione, che individuano gli organi e disciplinano i loro poteri; - norme sui rapporti tra le istituzioni e la plurisoggettività norme che regolano i rapporti tra l’organizzazione e i soggetti dell’ordinamento; - norme sulla normazione norme che stabiliscono come si producono le norme in questo ordinamento; - norme che regolano i rapporti con altri ordinamenti giuridici. Considerando lo Stato come ordinamento giuridico, al diritto pubblico appartengono cinque di questi sei gruppi di norme. Rimane fuori solo le norme sulla plurisoggettività, esse costituiscono l’oggetto del diritto privato. Tutto il complesso delle norme giuridiche può essere ricondotto a questi due grandi settori: diritto pubblico e diritto privato. Le norme del diritto pubblico e del diritto privato si differenziano per l’oggetto della disciplina. Da ciò un’altra distinzione: rapporti regolati dal diritto pubblico sono sempre diseguali, poiché lo Stato si colloca in una posizione di supremazia; rapporti di diritto privato sono tendenzialmente rapporti paritari: i soggetti privati si collocano in una posizione di parità. Ma non c’è differenza tra diritto pubblico e privato quanto al soggetto produttore delle norme: esse sono sempre riconducibili in qualche modo allo Stato o a soggetti da esso autorizzati. Ci occupiamo del settore del diritto pubblico che è il diritto costituzionale, ovvero l’insieme di norme che sono contenuto nella fonte denominata Costituzione e, in particolare, su quelle relative all’organizzazione dello Stato e alle fonti del diritto. CAPITOLO 2 – LO STATO E LE SUE FORME STATO E SOVRANITÀ: DEFINIZIONI Due definizioni di Stato: 1. quella classica della dottrina italiana di Stato come ordinamento giuridico lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali, esercitane il potere sovrano su un dato territorio, cui sono subordinati in modo necessario i soggetti ad esso appartenenti; 2. definizione vicina alla scienza della politica più che al diritto lo Stato è una particolare forma storica di organizzazione del potere politico nata in Europa tra il XV e il XVII secolo, che si caratterizza perché esercita il monopolio della forza legittima su di un territorio su cui vive una popolazione e che si avvale di propri apparati amministrativi. Nelle due definizioni balzano all’occhio una serie di elementi fondamentali: il territorio; i soggetti che ci vivono popolo; il potere sovrano cui corrisponde il monopolio della forza legittima. Ma ci sono delle differenze. La prima definizione ci dice che lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali: che può perseguire qualsiasi finalità propria del gruppo umano di riferimento e che pertanto si differenzia dagli ordinamenti giuridici a fini particolari, che hanno la cura soltanto di interessi settoriali. La seconda definizione ci dice che lo Stato è una forma di organizzazione del potere politico, cioè di quel tipo di potere sociale che si basa sull’uso della forza per convincere i soggetti a tenere certi comportamenti. E anche che esso non è l’unica forma possibile di organizzazione del potere politico, ma una tra le tante, quella nella quale si realizza il monopolio della forza. E che nasce in un determinato momento storico e in una precisa area geografica. Dei tre elementi quello più qualificante è la sovranità, essa caratterizza lo Stato moderno, designando il peculiare modo di essere del potere statale e distinguendolo da altre, più antiche, forme di organizzazione del potere politico. Per definire la sovranità occorre distinguere un aspetto “esterno” e uno “interno”. Questo implica che ci sono ordinamenti giuridici esterni e ordinamenti giuridici interni allo Stato, rispetto ai quali esso entra in rapporto e afferma la sua sovranità. Gli ordinamenti giuridici esterni allo Stato vengono definiti ordinamenti giuridici extrastatali: gli altri Stati, l’ordinamento internazionale o sovranazionale ai quali fanno riferimento nella Costituzione, gli artt. 10 e 11. Ci sono poi ordinamenti giuridici interni allo Stato, definibili come infrastatali, tra i quali quelli regionali e locali, ai quali si riferisce l’art. 114 Cost., o gli ordinamenti religiosi di cui all’art. 8 Cost., o le “formazioni sociali” delle quali parla l’art. 2 Cost., tra le quali si collocano i sindacati (art. 39 Cost.), i partiti (art. 49 Cost.) e le altre forme di vita associata. sovranità esterna tradizionalmente ricondotta alla nozione di originarietà e di indipendenza. È sovrano quell’ordinamento che non deriva la sua esistenza da un altro e che ha la capacità di escludere ingerenze esterne; sovranità interna riconducibile alla nozione di supremazia. Jean Bodin definiva la sovranità come summa potestas legibus soluta , quindi “ potestà suprema sciolta dalle leggi ”, svincolata dal diritto. La sovranità interna è la capacità di porre comandi giuridici vincolanti nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento. Le due “facce” della sovranità sono ben sintetizzate nell’art. 7 Cost. che si riferisce ai rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica: sostenere che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” significa richiamare l’aspetto esterno (indipendenti) e quello interno (sovrani). Gli sviluppo ai quali siamo di fronte hanno portato a parlare di crisi dello Stato. LE FORME DI STATO Una FORMA DI STATO è l’insieme delle finalità per le quali lo stato esiste. Per Stato liberale di diritto s'intende una forma di Stato che si pone come obiettivo la tutela delle libertà o diritti inviolabili dei cittadini, assicurata dalla legge. (Per nozione moderna di Costituzione:) La Costituzione è un atto giuridico vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento, che serve a garantire i diritti e costituisce il fondamento di tutti i poteri. La Costituzione è un atto del potere costituente. Il potere costituente è un potere “sciolto dal diritto”, potere libero. Secondo la separazione dei poteri le diverse funzioni dello Stato (legislativa, esecutiva e giurisdizionale) devono essere conferite a organi o gruppi di organi diversi. Stato autoritario —> (ad es. Fascismo in Italia) si intende uno Stato in cui la sovranità è esercitata da un partito o da un dittatore. Stato totalitario —> è caratterizzato dal tentativo di controllare la società in tutti gli ambiti di vita, imponendo l'assimilazione di un'ideologia. Stato democratico la sovranità è distribuita tendenzialmente su tutto il popolo. Sulla base di questa definizione, ma con riferimento al territorio, possiamo distinguere: - Stato federale è una forma di Stato in cui la sovranità è distribuita sul territorio, cioè tra due livelli territoriali diversi: la Federazione; i singoli Stati membri. Esso si differenzia dalla Confederazione di Stati, che rappresenta una forma di organizzazione del potere politico diversa dallo Stato, in quanto i suoi componenti restano titolari della sovranità; - Stato unitario Forma di Stato nella quale la sovranità non è distribuita sul territorio, ma spetta a un unico livello di Governo, lo Stato centrale. L’art. 5 Cost. esprime tale forma di Stato. Ciò non esclude che, anche nello Stato unitario, il potere possa essere esercitato secondo modalità che lasciano uno spazio di decisione (autonomia) per enti territoriali infrastatali, esponenziali di comunità locali, cioè di popolazioni insediate su porzioni del territorio. Si parla al riguardo di Stato decentrato. Una particolare sottospecie dello Stato decentrato è costituita dallo Stato regionale, come quello italiano. In tale forma di Stato alle regioni è riconosciuta la potestà legislativa; 2. secondo la prospettiva storica la forma di Stato può essere individuata in relazione ai rapporti che, in un certo momento storico, esistono tra autorità e libertà, tra chi ha il potere e chi è soggetto a quel potere, tra governanti e governati, considerando dunque l’insieme degli obiettivi, delle finalità impresse all’ordinamento statale dalle forze politiche dominanti, fini che di solito sono scritti nelle Costituzioni. EVOLUZIONE STORICA DELLE FORME DI STATO. L’ORDINE GIURIDICO MEDIEVALE Lo Stato moderno nasce tra il XV e il XVII secolo in Europa, in un contesto nel quale il potere era organizzato secondo gli assetti dell’ordinamento che viene definito feudale o patrimoniale. Con l’espressione ordinamento patrimoniale si vuole fare riferimento alla rete di rapporti privatistici che lo reggevano, in cui il popolo e il territorio erano parte del patrimonio personale del re, e all’assenza di distinzione tra diritto pubblico e privato. lOMoARcPSD|506 837 81 Questo ordinamento non aveva i caratteri propri dello Stato, in quanto i regni medievali non erano sovrani, né dal punto di vista della sovranità esterna né di quella interna. Verso l’esterno, essi non riuscivano ad affermare la propria indipendenza, ovvero ad evitare le interferenze dei due grandi poteri esterni, l’Impero e la Chiesa. Sul piano interno gli orientamenti medievali non erano in grado di stabilire la propria supremazia nei confronti della complessa varietà di soggetti che componevano la società feudale. Esisteva una serie di centri produttori di norme giuridiche autonome ai quali il re, benché si facesse chiamare “sovrano”, non riusciva ad imporre un diritto uniforme. Questo fenomeno è definito particolarismo giuridico. Le grandi trasformazioni economico-sociali che stanno alla base della nascita dello Stato modero sono riconducibili allo sviluppo dei commerci e dei trasporti, nonché al rimettersi in moto dell’economia, che aveva mantenuto per molti secoli, dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, un carattere statico. Le nuove esigenze della guerra moderna e la necessità di infrastrutture adeguate per i commerci richiedevano ingenti risorse finanziarie. L’unico sistema per il re fu quello di imporre tributi a tutti i soggetti residenti sul territorio. Lo Stato moderno, dotato di apparati amministrativi e coercitivi, nacque proprio interno al fisco: esso era l’insieme dei funzionari che avevano lo scopo di raggiungere ogni angolo del territorio per cercare di ottenere il pagamento dei tributi. Dinanzi a una trasformazione di tipo economico-sociale fu necessaria una risposta in termini istituzionali: la concentrazione del potere in apparati che facevano capo al re, il quale si trasformò in sovrano assoluto. LO STATO ASSOLUTO Lo Stato assoluto si sviluppò tra il XV e il XVII secolo, declinando con la Rivoluzione francese alla fine del XVIII secolo. Era caratterizzato dalla concentrazione del potere nelle mani del sovrano, legittimato da motivi trascendenti e dinastici, con lo scopo principale di affermare la propria sovranità interna ed esterna. Tuttavia, il monarca non riuscì mai a eliminare completamente il particolarismo giuridico dell’epoca feudale, motivo per cui lo Stato assoluto è anche definito "Stato per ceti", mantenendo strutture sociali feudali. Nella fase finale dello Stato assoluto nacque lo Stato di polizia, tipico dell’assolutismo illuminato del XVIII secolo. Qui il focus passò dalla potenza dello Stato al benessere e alla felicità dei sudditi, con un interventismo più accentuato nei settori sociali. Tuttavia, questo cambiamento non bastò a rispondere alle trasformazioni economiche e sociali causate dalla rivoluzione industriale e dallo sviluppo della borghesia. Questo portò al superamento dello Stato assoluto e alla nascita dello Stato liberale di diritto. LO STATO LIBERALE DI DIRITTO Lo Stato liberale di diritto nacque con la Rivoluzione francese del 1789 e si consolidò nel XIX secolo. Tuttavia, entrò in crisi all'inizio del XX secolo a causa di trasformazioni economiche e sociali, come l'ascesa delle classi lavoratrici. Il termine Stato liberale si riferisce alla finalità dei poteri pubblici: garantire i diritti individuali contro le ingerenze statali. L’espressione Stato di diritto, invece, riguarda gli strumenti adottati per raggiungere tali fini, come il rispetto del principio di legalità, una Costituzione moderna e la separazione dei poteri. Alla base vi era l’idea che l’individuo possedesse diritti naturali che lo Stato doveva tutelare. Lo Stato liberale di diritto sorse grazie alle trasformazioni socio-economiche, guidate dalla borghesia, una nuova classe sociale non nobiliare, proprietaria e imprenditoriale. Questa classe chiedeva: - Libertà economiche per promuovere le proprie iniziative. - Regole certe, uguali per tutti, che lo Stato assoluto non garantiva. - Partecipazione politica attraverso Parlamenti rappresentativi. Le finalità dello Stato liberale si trovano espresse nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, rispecchiando le esigenze borghesi. Lo Stato liberale era uno Stato monoclasse, dove la borghesia era la sola classe politicamente attiva, capace di indirizzarne gli obiettivi. GLI STRUMENTI DELLO STATO LIBERALE DI DIRITTO Il principio di legalità e il ruolo della legge Il principio di legalità prevede che ogni atto dei pubblici poteri debba essere fondato su una norma giuridica previamente adottata. Nello Stato assoluto, il diritto era espressione del sovrano, legittimato in modo trascendente. Nello Stato di diritto, invece, il potere si basa su una legittimazione legale-razionale: i titolari del potere lo esercitano nel rispetto della legge, al centro dell’intero sistema giuridico. La legge, nello Stato liberale di diritto, aveva due caratteristiche fondamentali: 1. Generalità e astrattezza: → Le norme generali si applicano a tutti, senza distinzioni di ceto, riflettendo il principio di uguaglianza. → Le norme astratte sono suscettibili di applicazioni ripetute nel tempo, a differenza delle norme concrete, valide solo in casi specifici. 2. Espressione della volontà generale: La legge era prodotta da un Parlamento rappresentativo, dove almeno una Camera era elettiva. Nella democrazia rappresentativa, la volontà dei cittadini si esprimeva attraverso rappresentanti eletti, escludendo la democrazia diretta per motivi pratici legati al numero elevato di cittadini. La nozione di nazione nello Stato liberale di diritto si basava su una costruzione artificiale sostenuta dal suffragio limitato, che semplificava il contesto sociale riducendo la partecipazione politica a una parte della popolazione. La nozione di Costituzione in senso moderno Collegato al principio di legalità è il secondo istituto tipico dello Stato di diritto, la nozione di Costituzione in senso moderno: un atto giuridico vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento, che serve a garantire i diritti e costituisce il fondamento di tutti i poteri. La Costituzione è un atto del potere costituente. Il potere costituente è il potere che pone la Costituzione, cioè l’atto sul quale si fondano tutti i poteri costituti. Il potere costituente è diverso dai poteri costituti. Per poteri costituti si intendono i poteri che si fondano sulla Costituzione e che, quindi, incontrano i limiti che questa pone loro. In base al principio di legalità la Costituzione non è solo il fondamento di tutti i poteri ma anche di tutti i limiti che questi incontrano. Il potere costituente invece non è limitato dalla Costituzione né da nessun’altra norma giuridica. La Costituzione in senso moderno, come atto del potere costituente, è una norma giuridica vincolante. Nello Stato liberale di diritto la Costituzione si rivelò incapace di vincolare la legge che assunse la posizione di fonte suprema e onnipotente al punto che a volte viene definito “Stato legislativo”. Il principio della separazione dei poteri Il principio di separazione dei poteri, cardine dello Stato liberale di diritto, prevede che le funzioni dello Stato (legislativa, esecutiva e giurisdizionale) siano attribuite a organi distinti, evitando la concentrazione del potere in un unico soggetto, come avveniva nello Stato assoluto. I concetti chiave: Potere: prodotto dell’esercizio di una funzione da parte di un organo. Organo: insieme di uffici pubblici che svolgono attività rilevanti esternamente. Funzione: attività preordinata a un fine. Le tre funzioni pubbliche nello Stato liberale di diritto: 1. Legislativa: predisposizione di norme generali e astratte, attribuita al Parlamento. 2. Esecutiva: applicazione della legge, spettante al re e al suo Governo. 3. Giurisdizionale: applicazione della legge per risolvere controversie, svolta dalla magistratura, che però rimase subordinata al potere esecutivo. L’obiettivo principale era distinguere il potere legislativo, responsabile della creazione delle norme, dagli altri poteri (esecutivo e giurisdizionale), considerati subordinati e incaricati di applicarle. Un ulteriore principio derivante è quello della tipicità degli atti, che associa a ogni atto una forma specifica, capace di produrre effetti giuridici: - Legge (potere legislativo) innovazione dell’ordinamento giuridico. - Atto amministrativo (potere esecutivo): esecutorietà, imponendosi immediatamente ai destinatari. - Sentenza (potere giudiziario): effetto di giudicato, con validità definitiva tra le parti. LA CRISI DELLO STATO LIBERALE DI DIRITTO Lo Stato liberale di diritto entrò in crisi con l’estensione del suffragio e l’allargamento della base sociale, che evidenziarono contraddizioni interne: 1. Diritti limitati: si tutelavano solo le libertà negative, garantite principalmente ai proprietari borghesi maschi, ignorando le disparità sociali. 2. Principio di uguaglianza contraddittorio: proclamato formalmente, ma smentito dalla persistenza di disuguaglianze sociali, favorito dal carattere liberista dello Stato. 3. Sovranità della nazione limitata: lo Stato era uno Stato monoclasse, dominato dalla borghesia, nonostante il richiamo alla volontà generale. 4. Costituzione debole: - Politicamente, il Parlamento non accettava limiti costituzionali, considerandosi unico titolare della sovranità. - Giuridicamente, le Costituzioni liberali erano flessibili e prive di garanzie contro le leggi incostituzionali, modificabili tramite leggi ordinarie. L’ingresso della classe lavoratrice portò allo Stato pluriclasse, caratterizzato da conflitti tra lavoratori e proprietari. Tentativi di integrazione, come la Costituzione di Weimar, fallirono, e il diritto si dimostrò inefficace nel risolvere le tensioni sociali. Con la Prima Guerra Mondiale e la crisi sociale, molte forme di Stato liberale crollarono, dando origine a: - Stati autoritari: recuperavano elementi dello Stato assoluto, come in Italia, dove la flessibilità dello Statuto Albertino permise il passaggio al regime fascista. - Stati totalitari: estremizzavano il controllo autoritario con un’ideologia totalizzante. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la sconfitta dei regimi totalitari, lo Stato liberale evolse in nuove forme: - Stato pluralista: basato su una pluralità di interessi e finalità pubbliche. - Stato democratico, costituzionale, sociale e decentrato: caratterizzato da nuovi strumenti giuridici e obiettivi, tra cui il riconoscimento di diritti sociali e una base sociale allargata. lOMoARcPSD|506 837 81 L’INARRESTABILE ESPANSIONE DELLO STATO CONTEMPORANEO NEL XX SECOLO Lo Stato contemporaneo è quella forma di Stato nella quale la finalità principale perseguita dai pubblici poteri è il mantenimento dell’unità in un contesto pluralista. Per fare ciò, si sottopone il potere delle maggioranze politiche alla Costituzione e si promuove la coesione sociale attraverso il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale. Tale forma di Stato in molti paesi si è sviluppata come una conseguenza dello Stato liberale di diritto che ha adeguato le sue strutture alle nuove esigenze. A partire dalla seconda metà del XX secolo questa forma di Stato ha dimostrato una capacità di attrazione molto forte nei confronti di quasi tutti i paesi del mondo. Essa si propone come la forma di Stato “ideale” a cui tendere: le poche eccezioni nel mondo sono rappresentate dal persistere di forme di Stato socialista a Cuba e in Cina, e di forme di Stato islamico in una parte del mondo musulmano. La diffusione di questa forma di Stato è avvenuta attraverso vari “cicli costituzionali”: un periodo storico caratterizzato dalla produzione di Costituzioni che presentano caratteri simili. Inoltre molte organizzazioni internazionali o sovranazionali chiedono agli Stati membri di adottare questa forma di Stato. LA FORMA DI STATO CONTEMPORANEO: UNO STATO PLURALISTA Con l’espressione Stato pluralista si fa riferimento all’elemento plurisoggettività dell’ordinamento giuridico statale, per evidenziare che esistono, e sono politicamente attivi, soggetti o gruppi di soggetti profondamente diversi tra loro, e che questa loro diversa soggettività è riconosciuta dall’ordinamento. Nello Stato contemporaneo pluralista l’allargamento del suffragio ha fatto sì che la quasi totalità dei soggetti dell’ordinamento sia politicamente attiva e, di conseguenza, che affiorino sul piano politico le differenti istanze di cui sono portatori. La Costituzione italiana esprime il suo carattere pluralista in vari articoli a partire dal fondamentale articolo 2 secondo il quale la personalità dell’uomo si sviluppa nelle “formazioni sociali” delle quali fa parte. Si possono richiamare anche: art. 6 si riconosce il pluralismo linguistico; art. 8 si riconosce il pluralismo religioso; art. 29 sulla famiglia; art. 39 relativo alle organizzazione dei lavoratori; art. 49 sull’associazione in partiti politici. L’esistenza di soggetti così variegati determina nello Stato contemporaneo un problema che non esisteva nello Stato liberale e che esige una risposta dal diritto: quello della convivenza pacifica tra soggetti portatori di interessi diversi e a volte contrapposti. Il problema della convivenza nello Stato liberale era stato risolto alla radice attraverso l’esclusione delle differenze. Nello Stato pluralista il problema della coesistenza dei diversi soggetti del pluralismo viene affrontato attraverso quattro tipi di strumenti: 1. la previsione dei processi decisionali basati sul principio di maggioranza; 2. la sottrazione di alcune decisioni alla sfera delle maggioranze; 3. il perseguimento della coesione sociale per mezzo della promozione dell’uguaglianza sostanziale e del dialogo tra le culture; 4. il riconoscimento dell’autonomia delle comunità locali per le decisioni di interesse locale. SEGUE: UNO STATO DEMOCRATICO Lo Stato democratico è quella forma di Stato nella quale esiste una tendenziale corrispondenza tra governanti e governati. Esiste un complesso di caratteristiche che consentono al popolo di esprimere la sovranità: principio di maggioranza nello Stato democratico si adottano soltanto le decisioni che dispongono di un verificato consenso della maggioranza dei soggetti politicamente attivi; garantito il rispetto delle minoranze; deve essere assicurato alle minoranze la possibilità di diventare, un giorno, maggioranze questa libera competizione implica libere elezioni che a loro volta implicano una serie di garanzie che vanno ben oltre il momento elettorale; le decisioni delle maggioranze vanno adottate ed eseguite sotto il controllo delle minoranze. Da tutto ciò deriva una nuova separazione dei poteri, diversa rispetto a quella dello Stato liberale. Il tipo di separazione dei poteri che più interessa nello Stato democratico è una bipartizione che distingue: - circuito della decisione politica, dove le maggioranze decidono; - circuito delle garanzie, sottratto alle maggioranze Significativo a riguardo è l’art. 1 comma 2 Cost. secondo il quale “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Nel circuito della decisione politica rientrano il potere legislativo e il potere esecutivo. Nel circuito delle garanzie, che attiene ai limiti posti alla sovranità popolare, dei tre poteri dello Stato liberale ritroviamo solo il potere giudiziario, ma vi sono altri poteri oltre ai tre tradizionali. SEGUE: UNO STATO COSTITUZIONALE Con l’espressione Stato costituzionale intendiamo una forma di Stato caratterizzato da una Costituzione rigida. La Costituzione rigida è quella che si pone al vertice del sistema delle fonti. Anche la legge deve rispettare la Costituzione. La Costituzione riesce a prevalere sulla legge grazie alla presenza di due garanzie: 1. giustizia costituzionale un istituto che consente di eliminare le leggi contrarie alla Costituzione; 2. procedimento “aggravato” di revisione costituzionale sono richieste per modificare la Costituzione maggioranze più ampie di quelle che possono approvare una legge. La Costituzione rigida è quindi una Costituzione “garantita”, la cui supremazia è assicurata per mezzo di appositi strumenti giuridici. Il punto di partenza è la constatazione che nello Stato pluralista la volontà generale non c’è più. Il Parlamento non è più il luogo dove si esprime la volontà della nazione ma dove si esprime, attraverso la legge, la volontà della maggioranza. Nello Stato costituzionale la Costituzione è il frutto di un potente costituente che si esprime nella forma pattizia, attraverso un “compromesso costituzionale” tra le diverse componenti della società pluralista. La parola “compromesso” è l’asse portante dello Stato costituzionale. L’alternativa al compromesso, nelle società pluraliste, è la sopraffazione, la violenza, la guerra civile. Le garanzie della rigidità della Costituzione sono: la giustizia costituzionale le Costituzioni rigide istituiscono un sistema di controllo della costituzionalità delle leggi. Esse sottopongono la legge, l’atto del Parlamento, al controllo dei giudici. In questo modo la Costituzione riesce a imporsi sulla legge. Nello Stato costituzionale anche la legge deve trovare fondamento e limiti in una norma previa che è la Costituzione. Lo Stato Costituzionale si basa sulla separazione tra il piano della Costituzione, che è di tutti, e il piano della legge, che è quello dove le maggioranze politiche governano e decidono. Il garante della separazione tra i due piani è la giustizia costituzionale; la revisione costituzionale previsione di procedure per la propria modifica diverse dal procedimento legislativo ordinario. La Costituzione rigida non può essere modificata o derogata dalla legge ma è prevista una procedura specifica che richiede il consenso di maggioranze più ampie. Ciò si collega al carattere pluralista dello Stato costituzionale: essendo la Costituzione rigida frutto di un compromesso tra i soggetti della società pluralista, ance per modificarla è necessario che si ripeta quel compromesso. Lo Stato costituzionale cerca quindi di consentire la convivenza pacifica dei soggetti del pluralismo attraverso la Costituzione rigida, con una sequenza di questo tipo: Costituzione rigida, luogo dove si scrivono i principi comuni le maggioranze politiche che vincono le elezioni devono rispettare questo nucleo di principi se non lo rispettano c’è un giudice per modificare questo nucleo ci vuole un vasto accordo, simile a quello iniziale. SEGUE: UNO STATO SOCIALE Per mantenere unita la società pluralista lo Stato contemporaneo si avvale, accanto alla Costituzione rigida, anche di altri strumenti, in primo luogo della promozione di politiche pubbliche volte a rimuovere le disuguaglianze economico-sociali più evidenti. Lo Stato sociale è quella forma di Stato che ha come fine l’uguaglianza sostanziale. uguaglianza formale tutti i soggetti sono uguali davanti alla legge e debbono essere trattati allo stesso modo. uguaglianza sostanziale (art. 3 comma 2 Cost. punto di partenza Stato sociale) uguaglianza di risultato, consiste nella rimozione delle differenze che ostacolano il raggiungimento dell’uguaglianza formale. Parte dal punto di vista che tutti sono diversi e quindi devono essere trattati in modo ragionevolmente diverso. Riconducibili alla nozione di Stato sociale sono poi gli artt. 29-47 che disciplinano i rapporti sociali ed economici. SEGUE: UNO STATO DECENTRATO, IN PARTICOLARE, LO STATO REGIONALE IN ITALIA La Costituzione italiana del 1948 ha trasformato lo Stato accentrato in uno Stato regionale, per rispondere a differenze geografiche, economiche e richieste di autonomia da alcune aree. - L’art. 5 della Costituzione sancisce l’unità della Repubblica, promuovendo al contempo le autonomie locali. - Il Titolo V della parte II disciplina l’autonomia di comuni, province e regioni, con particolare attenzione alla potestà legislativa delle regioni. Enti locali e regioni: - Enti locali: dispongono di autonomia statutaria e regolamentare, potendo adottare norme secondarie nel rispetto delle leggi statali e regionali. - Regioni: - A statuto speciale: autonomia definita da statuti speciali tramite leggi costituzionali, con maggiore indipendenza legislativa e finanziaria. - A statuto ordinario: autonomia regolata dal Titolo V. Riforme del Titolo V: 1. Legge cost. n. 1 del 1999: attribuisce alle regioni autonomia statuaria, sottraendo gli statuti al controllo parlamentare. 2. Legge cost. n. 3 del 2001: - Elenca le materie di competenza esclusiva dello Stato. - Affida alle regioni le competenze residue. - Attribuisce ai comuni, secondo il principio di sussidiarietà, la priorità nell’esercizio delle funzioni amministrative. - Promuove l’autonomia finanziaria regionale, subordinata al federalismo fiscale. lOMoARcPSD|506 837 81 Difficoltà attuative - Persistono resistenze dello Stato centrale nell’accettare pienamente le riforme. - La Corte costituzionale ha introdotto il principio di leale collaborazione, imponendo il coinvolgimento delle regioni in decisioni statali che interferiscono con le loro competenze. - Le sedi di negoziazione sono la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Regioni-Autonomie Locali (quando coinvolgono comuni e province). Criticità: Le modifiche al Titolo V non hanno delineato uno Stato regionale efficiente, portando a proposte di riforma per: - Semplificare i livelli di governo. - Garantire unità nazionale. CAPITOLO 3 – OLTRE LO STATO: ORDINAMENTI INTERNAZIONALI E SOVRANAZIONALI LA SOVRANITÀ NELLO STATO CONTEMPORANEO E L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE La sovranità, uno degli strumenti fondativi dello Stato, ha subito una profonda trasformazione nel XX secolo, in particolare dal secondo dopoguerra. Si è assistito a una progressiva limitazione della sovranità esterna, che ha portato a una crisi dello Stato e alla necessità di ridefinirne molte caratteristiche. Cause del cambiamento: 1. Progresso tecnico: ha accelerato le comunicazioni, agevolando gli scambi economici e i movimenti delle persone. 2. Guerre devastanti: la tecnologia ha favorito conflitti di vasta portata, rendendo necessaria una regolamentazione internazionale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale: - È emersa l’esigenza di orientare le interazioni internazionali verso la pace e il benessere, superando gli ostacoli posti dal principio tradizionale di sovranità. - Si è compreso che la sovranità assoluta aveva impedito misure preventive contro politiche espansionistiche e discriminatorie. Ordinamento internazionale: - L'ordine internazionale (rapporti tra Stati) esiste da sempre, ma dopo la Seconda Guerra Mondiale si è enormemente sviluppato l’ordinamento internazionale (ordinamento giuridico che regola questi rapporti). - Dopo la Prima Guerra Mondiale, con la Conferenza di Pace di Parigi, è nata la Società delle Nazioni, il prototipo dell’attuale ONU, che si propone di prevenire i conflitti armati e promuovere il benessere. Ruolo dell’ONU: L'ONU rappresenta un nuovo modello di ordine internazionale basato sul diritto internazionale pattizio: - Trattati internazionali creano istituzioni politiche o economiche, vincolando gli Stati verso obiettivi comuni. - Questi strumenti comprimono la sovranità, ma presuppongono che gli Stati siano sovrani nella scelta di aderire. Conclusione: Gli Stati, pur limitando volontariamente la propria sovranità attraverso trattati e accordi internazionali, continuano a esercitare il loro ruolo centrale nell’ordinamento internazionale. LO ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI A CARATTERE MONDIALE Le organizzazioni internazionali si dividono in due categorie: 1. a carattere mondiale a cui tendenzialmente partecipano tutti gli Stati a prescindere dalla loro collocazione geografica ; 2. a carattere regionale delle quali fanno parte Stati che appartengono a una medesima area. Entrambe le categorie sono accomunate dal fatto che si tratta di enti dotati di personalità giuridica, creati dagli Stati stessi tramite accordi di diritto internazionale, i quali ne prevedono, accanto alle funzioni e agli obiettivi, anche gli organi. La più importante organizzazione internazionale a carattere mondiale è senz’altro l’ONU. Nata subito dopo la fine della II Guerra Mondiale dalla volontà di 51 paesi, oggi è composta praticamente da tutti gli Stati indipendenti del mondo. L’ONU è un’organizzazione di tipo politico, il cui compito, secondo il disegno originario, è quello di: mantenere la pace e la sicurezza internazionale; sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni; cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto dei diritti umani. Oggi l’ONU non si occupa più solo di sicurezza, ma di un concetto più ampio di pace, includendo questioni ambientali, promozione di condizioni dignitose di vita e sostegno ai soggetti deboli, grazie a enti come UNICEF, FAO e UNESCO. Struttura dell’ONU: 1. Assemblea Generale: Include tutti gli Stati membri. Discute le linee di indirizzo e approva raccomandazioni. 2. Consiglio di Sicurezza: Composto da 15 Stati: 5 permanenti con diritto di veto e 10 eletti con mandato biennale. È l’organo esecutivo per il mantenimento della pace e sicurezza internazionali. 3. Consiglio Economico e Sociale: → Coordina le attività economiche e sociali dell’ONU e delle sue agenzie. → Composto da 54 Stati membri eletti per tre anni. 4. Segretariato: Gestisce le attività quotidiane dell’ONU. Guidato dal Segretario Generale, rappresenta l’organizzazione nel suo complesso. 5. Corte Internazionale di Giustizia: Composta da 15 giudici eletti, delibera su controversie fra Stati. Diritti umani e giustizia internazionale: - Dopo la Seconda Guerra Mondiale si è sviluppato il concetto di diritto internazionale per la tutela dei diritti umani. - Processi di Norimberga e Tokyo: nonostante alcune critiche, hanno gettato le basi per la creazione di una Corte Penale Internazionale (CPI). - La CPI è operativa dal 2002 con sede all’Aja e giurisdizione su crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio. Organizzazioni economiche e commerciali 1. Fondo Monetario Internazionale (FMI): - Promuove la cooperazione monetaria internazionale e stabilità dei cambi. - Nato dagli accordi di Bretton Woods (1944). 2. Banca Mondiale: - Creata per la ricostruzione postbellica, oggi sostiene i paesi emergenti. 3. Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC/WTO)*: - Istituita nel 1995, regolamenta il commercio internazionale. Struttura: - Conferenza dei Ministri(ogni 2 anni). - Consiglio Generale (vigilanza e risoluzione delle controversie). - Segretariato Generale (gestione amministrativa). Altre organizzazioni internazionali - OCSE: promuove lo sviluppo economico sostenibile, la crescita, l’occupazione e la stabilità finanziaria. - Organizzazioni regionali: nate con obiettivi specifici, si sono evolute per includere Stati di diversi continenti. Conclusione Le organizzazioni internazionali, siano esse globali o regionali, contribuiscono a creare una rete di relazioni tra Stati, limitando la loro autonomia ma favorendo cooperazione e obiettivi comuni. LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI A CARATTERE REGIONALE Le organizzazioni internazionali a carattere regionale riuniscono sotto obiettivi comuni, più o meno ampi e di varia natura Stati che appartengono a una medesima area geografica. Varie organizzazioni istituite per promuovere una maggiore integrazione regionale, specialmente di tipo economico, esistono anche in America latina. Sul modello della Comunità economica europea, il Mercosur è l’organizzazione del mercato comune del Sud America, istituita nel 1991. Il Mercosur ha già raggiunto l’eliminazione dei dazi doganali interni e una tariffa doganale comune verso i paesi terzi. La Caribbean Communitu (CARICOM) a partire dal 1973 consente l’integrazione dei mercati dei paesi caraibici; la Comunità Andina, nata nel 1969 con lo scopo di una progressiva integrazione economica politica dei paesi andini. lOMoARcPSD|506 837 81 Anche nel Sud-Est asiatico è stata fondata, nel 1967, un’organizzazione internazionale con lo scopo di una maggiore integrazione politica e economica tra i paesi aderenti. Si tratta dell’Associazione delle Nazioni del sud-est asiatico (ASEAN). Tra Canada, Stati Uniti e Messico vige invece un trattato di libero scambio commerciale, la NAFTA. Esiste poi un altro modello di organizzazione internazionale regionale, volto ala tutela dei diritti fondamentali: il Consiglio d’Europa, nel cui ambito è stata adottata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Seguendo questo modello, nel 1969 è stata siglata la Convenzione americana sui diritti umani, sulla quale ha giurisdizione la Corte interamericana dei diritti umani, con sede a Costarica. Nel 1986 è entrata in vigore la Certa africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, garantita, dal 2004, dalla Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, con sede ad Arusha (Tanzania). L’UNIONE EUROPEA L'Unione Europea: un'organizzazione sui generis L'Unione Europea (UE) è un'istituzione unica nel panorama mondiale, definita come un ordinamento sovranazionale per la stretta cooperazione tra Stati membri. L'Italia è stata protagonista fin dall'inizio del processo di integrazione europea. Tappe fondamentali dell'integrazione europea - 1951: Trattato della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA). - 1957: Trattati di Roma – Istituzione della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea per l'Energia Atomica (EURATOM). - 1999: Proclamazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, resa vincolante nel 2009 con il Trattato di Lisbona. - 2009: Entrata in vigore del Trattato di Lisbona, suddiviso in: 1. Trattato sull'Unione Europea (TUE): principi e norme fondamentali. 2. Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE): regole di funzionamento degli organi. Attualmente l'UE comprende 28 membri (prima della Brexit) e opera prevalentemente secondo il metodo comunitario (decisioni a maggioranza), mantenendo il metodo intergovernativo (unanimità) per settori come politica estera e sicurezza comune. Principali organi dell'Unione Europea 1. Consiglio Europeo - Riunisce i capi di Stato o di governo. - Stabilisce gli orientamenti e le priorità generali dell’Unione. 2. Consiglio dell'UE - Composto dai ministri degli Stati membri. - Approva leggi e bilancio insieme al Parlamento. 3. Commissione Europea - Composta da un commissario per Stato membro, rappresenta gli interessi generali dell’UE. - Propone e attua la legislazione europea. 4. Parlamento Europeo - Composto da rappresentanti eletti dai cittadini dell’UE. - Approva normative e bilancio insieme al Consiglio dell'UE e controlla le altre istituzioni. 5. Corte di Giustizia dell'Unione Europea - Garantisce l’uniforme applicazione del diritto europeo. - Composta da un giudice per ogni Stato membro e da avvocati generali. 6. Banca Centrale Europea (BCE) - Garantisce la stabilità dei prezzi e la gestione della politica monetaria. 7. Corte dei Conti Europea - Controlla la regolarità dei bilanci dell'UE. Caratteristiche dell’UE L’Unione Europea rappresenta una forma di governo innovativa, dove i rapporti tra le istituzioni generano un equilibrio atipico tra sovranità statale e competenze sovranazionali. IL CONSIGLIO D’EUROPA E LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO Nell’immediato II dopoguerra gli Stati che stavano costruendo la Comunità economica del carbone e dall’acciaio nel frattempo conducevano negoziati per l’istituzione di un’organizzazione a carattere regionale, il Consiglio d’Europa, che avesse lo scopo di attuare un’unione più stretta tra i paesi membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi condivisi e per favorire il progresso economico e sociale mediante, in particolare, il sostegno a un’azione coordinata e comune nel campo economico, sociale, culturale, scientifico, giuridico e amministrativo e la tutela e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Oggi il Consiglio, che ha sede a Strasburgo, è composto da 47 Stati (28 dei quali fanno parte dell’UE). I suoi organi principali sono: Comitato dei ministri rappresenta l’organo decisionale; Assemblea parlamentare riunisce rappresentanti di tutti gli Stati designati dai Parlamenti nazionali; Corte europea dei diritti dell’uomo; Congresso dei poteri locali e regionali ha il compito di garantire una sede privilegiata di confronto tra le regioni e i comuni d’Europa; Commissario per i diritti umani; Segretario generale designato dall’Assemblea parlamentare, è responsabile delle attività del Consiglio d’Europa. Il principale strumento operativo del Consiglio d’Europa è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma nel novembre 1950 ed entrata in vigore nel 1953. La Convenzione è il primo strumento di diritto internazionale che consente, oltre che agli Stati, anche ai singoli individui di fare ricorso contro uno Stato firmatario per violazione dei diritti in essa codificati. Competente a giudicare è la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha la legittimazione a condannare lo Stato responsabile al ripristino della situazione anteriore alla violazione o alla equa soddisfazione se non è possibile rimuovere le conseguenze della violazione. Questa forza coercitiva distingue la Convenzione dalla maggior parte dei trattati i quali, pur impegnando gli Stati, sono generalmente privi di meccanismi sanzionatori compiuti. LA PERMEABILITÀ DEGLI ORDINAMENTI NAZIONALI NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE: ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE I drammi del XX secolo allertarono gli Stati sulla necessità di doversi vigilare vicendevolmente fino ad accettare intromissioni nelle proprie attività interne. Sulla base del principio dell’ingerenza umanitaria, organizzazioni sovranazionali o semplicemente alleanze di Stati sono oggi autorizzate a intervenire militarmente nella sfera di un altro Stato in nome della tutela dei diritti umani. Alla fine del XX secolo la globalizzazione è venuta ad essere l’elemento caratterizzante la perdita di sovranità statale. Esso è definito come l’intensificazione di relazioni economiche e sociali mondiali che collegano tra loro località molto lontane facendo sì che gli eventi locali vengano modellati da eventi che si verificano a migliaia di chilometri e viceversa. Nella sua dimensione più prettamente economica, la globalizzazione descrive l’interconnessione sempre più stretta tra i fattori della produzione su scala mondiale, che si realizza prima di tutto attraverso lo scambio di beni e servizi all’interno di mercati strettamente interconnessi. In risposta alla crescita del potere economico la globalizzazione ha assunto altre sembianze, che possiamo indicare come il suo lato giuridico-politico. È divenuto sempre più rilevante il ruolo di organizzazione internazionali come il FMI, la Banca mondiale, l’ONU… Le esigenze delle nuove relazioni economiche e sociali hanno determinato inevitabilmente soluzioni nuove anche nella prospettiva delle fonti del diritto, come la rinascita della lex mercatoria, la possibilità di scegliere a quale ordinamento sottoporre la regolazione dei propri affari, la possibilità di ricorrere a forme arbitrali di risoluzione delle controversie anziché al giudice ordinario. Anche nell’attività giurisdizionale si assiste a un sempre più frequente richiamo alle fonti di diritto internazionale. L’interazione tra ordinamenti nazionali, sovranazionali e internazionali è sempre più frequente. CAPITOLO 4 – LE FONTI DEL DIRITTO: CONSIDERAZIONI GENERALI LE FONTI NORMATIVE Come si producono le regole giuridiche? Chiamiamo fonti del diritto (o fonti normative) quei “meccanismi” che pongono in essere regole giuridiche. Il diritto, quindi, non solo disciplina i comportamenti o le organizzazioni sociali ma anche i modi di produrre regole giuridiche. È necessario separare: fonti di produzione giuridica pongono in essere nuove regole di comportamento o regole di organizzazione che tutti debbono osservare. È la legge che obbliga tutti a pagare una certa imposta; fonti sulla produzione giuridica meccanismi (organi e procedure) attraverso i quali si producono le fonti di produzione. È la legge che prevede come debba essere approvata quella legge; fonti di cognizione tutti quei supporti, di solito scritti, attraverso i quali si rendono conoscibili le fonti di produzione. Esse non hanno di per sé efficacia o valore normativo ma sono solo strumenti volti a rendere pubblici gli atti normativi in modo che tutti li possano conoscere. Questo settore è tra quelli che più risente dell’evoluzione delle forme di comunicazione. Tra queste un ruolo rilevante per la conoscenza delle fonti normative è la rete Internet. Indubbiamente il testo scritto oggi rappresenta la principale fonte di cognizione, finora il supporto più comune per fissare la scrittura è stata la carta. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI NORMATIVE E SULLA CRISI DELLO STATO COME “MONOPOLISTA” DEL DIRITTO L’avvento, a partire dal XIX secolo, di quel peculiare ordinamento giuridico chiamato Stato ha avuto notevoli conseguenze sul piano delle fonti normative. lOMoARcPSD|506 837 81 Oggi si può parlare di una vera e propria crisi del ruolo dello Stato come “monopolista” della produzione delle regole giuridiche. Oggi le fonti normative sono molteplici. Dai livelli internazionali o sovranazionali ai livelli statali infine ai livelli infrastatali numerosissimi sono i soggetti e le procedure da cui si producono regole giuridiche. IL PROBLEMA DELLE ANTINOMIE E IL SISTEMA DELLE FONTI NORMATIVE Cosa succede quando si verificano delle contraddizioni, delle antinomie? Un sistema giuridico che voglia essere razionale deve evitare ad ogni costo che queste situazioni si verifichino, dal momento che due regole giuridiche dal contenuto contraddittorio renderebbero vano lo scopo del diritto, che è quello di orientare il comportamento delle persone. Cosa fa sì che un insieme di regole giuridiche divenga un vero sistema giuridico, un insieme ordinato di regole giuridiche, una forma di organizzazione sociale? I CRITERI PER RISOLVERE LE ANTINOMIE NORMATIVE I criteri per risolvere le antinomie normative si basano su principi giuridici fondamentali che aiutano a determinare quale norma prevalga quando due regole entrano in conflitto. Ecco un riassunto dei principali criteri: 1. Criterio della gerarchia - Descrizione: Prevale la norma proveniente dalla fonte superiore in caso di conflitto tra fonti. - Spiegazione: Le fonti normative sono organizzate in una gerarchia, in cui una fonte superiore prevale su una inferiore. La violazione di questo principio comporta l'invalidità della fonte inferiore, con effetti erga omnes ed ex tunc (retroattivi). I "rapporti esauriti" (come quelli definitivi per sentenza o per scadenza di termini) non vengono rimessi in discussione. 2. Criterio della competenza: - Descrizione: In caso di conflitto tra norme, prevale quella della fonte competente. - Spiegazione Una fonte superiore assegna a determinate fonti di produzione la competenza esclusiva su alcune materie. Violare questo principio equivale a violare il principio di gerarchia, e comporta l'invalidità dell'atto normativo incompetente. 3. Criterio cronologico: - Descrizione: Prevale la norma più recente in caso di conflitto tra norme dello stesso grado e settore. - Spiegazione: Questo principio si applica quando due norme con contenuti conflittuali sono in vigore contemporaneamente e appartengono allo stesso settore e grado gerarchico. La norma più recente prevale, e il conflitto viene risolto attraverso l'abrogazione (esplicita, tacita o implicita), che limita l'efficacia della norma precedente. La deroga, invece, è un'eccezione alla regola generale e limita l'applicazione della norma più generale senza abrogarla. In generale, questi criteri aiutano a stabilire quale norma debba prevalere, riducendo il rischio di confusione e disordine nell'ordinamento giuridico. CRISI DELL’ORDINE GERERCHICO DEL SISTEMA DELLE FONTI Per lungo tempo l’effettivo super-criterio è stato il principio di gerarchia. Esso ha “funzionato” perfettamente fino a quando la struttura piramidale-gerarchica è stata anche il modulo organizzativo principale della società ed in particolare dello Stato e dell’amministrazione pubblica. Quando questo presupposto ha cominciato a sgretolarsi, è entrato in crisi anche il principio di gerarchia e con esso gran parte della “razionalità” interna del sistema normativo. Il principio di competenza recupera un proprio ruolo centrale anche a scapito del principio gerarchico. L’esempio più clamoroso riguarda la nascita e lo sviluppo dell’Unione Europea. In un sistema delle fonti prevalentemente gerarchico, quando nasce un nuovo ordinamento normativo esso si può trovare in due sole condizioni: 1. il nuovo ordinamento è inseribile nella scala gerarchica esistente; 2. il nuovo ordinamento è esterno, estraneo e non interferente. Oggi però né il principio di gerarchia né quello di competenza riescono effettivamente a spiegare in modo esaustivo la relazione tra il nostro ordinamento nazionale e quello europeo. ATTI E FATTI NORMATIVI In che modo le fonti producono le regole? Se osserviamo il panorama delle fonti, esse possono consistere in atti ovvero in fatti, a seconda che esse siano l’espressione di, ovvero prescindano da, la volontà: fonti atto fonti di produzione del diritto che sono il risultato di procedimenti finalizzati a produrre norme giuridiche. Sono fonti atto gli atti normativi, ovverosia le leggi, i trattati, i decreti, i regolamenti e tutti gli atti che esprimono una manifestazione di volontà, approvati da organi collegiali (Parlamento, Governo) o monocratici (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio) in grado di produrre regole giuridiche; fonti fatto fatti normativi, in cui le regole non nascono dalla volontà espressa di regolare in un certo modo i comportamenti bensì da accadimenti esterni rispetto alla volontà. L’esempio più noto di fatto normativo è la consuetudine o l’uso, in cui la norma giuridica nasce dalla ripetizione costante nel tempo di un determinato comportamento da parte di una generalità di soggetti che lo ritengono obbligatorio sul piano giuridico. Un altro esempio è la convenzione, ossia l’accordo tacito tra soggetti politici sull’applicazione di regole costituzionali. Un dato che caratterizza i sistemi normativi contemporanei è che la gran parte delle norme giuridiche è prodotta da fonti atto, anche se al riguardo vanno distinti: - sistemi giuridici di common law si è sviluppato in Inghilterra, per poi diffondersi in tutti gli ordinamenti di matrice britannica, Stati Uniti compresi. In questo sistema il diritto consuetudinario riveste un ampio spazio accanto a quello di matrice giurisdizionale, costituito dalle pronunce dei giudici, mentre le fonti atto vere e proprie hanno soltanto una funzione derogativa rispetto al complesso di regole derivanti dall’insieme dei precedenti; - sistemi giuridici di civil law sistema giuridico proprio dell’Europa continentale. La maggior parte del diritto è prodotta da fonti atto e ha alla base la codificazione. L’Italia rientra in questa tipologia. Ma qual è il medium attraverso il quale esprimiamo la nostra volontà? Il linguaggio. Tutti gli atti normativi utilizzano il linguaggio, in particolare la scrittura, per esprimere la volontà di produrre certe regole. La maggior parte delle fonti normative sono atti e la maggior parte di questi sono atti scritti; è generalmente un atto formulato per iscritto a produrre una o più norme giuridiche. INTERPRETAZIONE: DISPOSIZIONE E NORMA Sul piano descrittivo si indica con il termine: disposizione atto in senso proprio, la formulazione linguistica che costituisce la fonte (quindi ha senso parlare di disposizioni solo per le norme scritte); norma il significato dell’atto, la regola giuridica che poi utilizzeremo per decidere come comportarci. L’attività che consente di cogliere il significato (norma) di una formulazione normativa (disposizione) si chiama interpretazione giuridica. Ci sono due precisazioni riguardo i rapporti che si instaurano tra norme e disposizioni: il diritto è un fenomeno che presenta moltissime analogie con il linguaggio interpretare un atto normativo consiste nell’analizzare un significante per estrarne i significati; l’interpretazione di una disposizione non è mai un’operazione univoca risente di numerosi fattori, quali il fine, il tempo, lo spazio. NON ESISTE NECESSARIAMENTE UN RAPPORTO BIUNIVOCO TRA DISPOSIZIONE E NORME Spesso si postula l’esistenza di un rapporto biunivoco tra una disposizione e un enunciato normativo. Se c’è un testo di legge ci sarà un solo significato attribuibile e quindi una sola regola giuridica da rispettare. Questa credenza è errata per una serie di ragioni: la prima deriva dalla stessa natura degli enunciati da interpretare ogni disposizione ha sempre un certo grado di indeterminatezza poiché sono possibili diverse attribuzioni di significato; la seconda è esemplificata da un fenomeno estremamente frequente nell’attività interpretativa e che va comunemente sotto il nome di combinato disposto. Può accadere che una sola norma sia prodotta da diverse disposizioni tra loro “combinate”. In questo caso la norma applicabile deriva dall’interpretazione congiunta di più disposizioni. UNA NORMA PUÒ VIVERE PIÙ A LUNGO DI UNA DISPOSIZIONE (E VICEVERSA) Applicando il criterio cronologico, quando due fonti pongono tra loro discipline diverse, va applicata la più recente, la quale abroga la precedente. Il fenomeno dell’abrogazione non produce l’eliminazione della fonte abrogata dall’ordinamento giuridico, bensì ne delimita la sfera di applicazione. È possibile che al momento attuale potremmo trovarci a dover applicare moltissime norme (cioè interpretazioni) estratte da disposizioni che in realtà sono state abrogate. Ma è vero anche il fenomeno opposto: esistono disposizioni formalmente in vigore (non abrogate) ma che non sono più in grado di produrre norme. LE NORME POSSONO ESSERE REGOLE O PRINCIPI Un’ultima distinzione in materia di norme è tra: regole sono norme giuridiche più specifiche, hanno normalmente una portata applicativa più ristretta; principi sono norme giuridiche più generiche, hanno normalmente una portata applicativa più ampia. Da questa distinzione derivano alcune conseguenze: la prima riguarda la soluzione dei conflitti tra regole, ovvero tra principi le regole sono soggette ad applicazione categorica (sì/no). Ne deriva che, se due regole sono in contraddizione tra loro, solo una sarà applicabile. lOMoARcPSD|506 837 81 Per definire quale delle norme debba essere applicata, occorre osservare da quali fonti esse derivano ed utilizzare i criteri di risoluzione delle antinomie. Dinanzi a due o più principi tra loro in conflitto, la situazione è del tutto diversa. Si cercherà di “bilanciare” i due principi, ovvero di applicare entrambi nella misura maggiore possibile, trovando un punto di equilibrio ragionevole; i principi generano le regole proprio per la loro caratteristica di esprimere valori e finalità generali i principi possono essere attuati mediante un processo di specificazione il quale fa sì che da un principio (generale) nascano diverse regole. I principi rappresentano i valori di riferimento del sistema normativo. Essi: o da un lato, sono in grado di orientare l’attività di interpretazione delle regole; o dall’altro, generano le regole concrete. LE NORME POSSONO ESSERE GENERALI O SPECIALI Prendendo in considerazione le norme un’altra distinzione è tra: norme speciali ovvero norme che stanno in un rapporto di species a genus e che pertanto producono l’effetto della deroga e non dell’abrogazione né dell’annullamento; Norme generali. In caso di contrasto tra una norma speciale e una generale l’interprete deve preferire la prima, anche se è anteriore. Il principio di specialità ha un valore solo inter partes quando è disposto da un giudice. IN CONCLUSIONE: L’ORDINAMENTO GIURIDICO, LE DISPOSIZIONI E LE NORME L’ordinamento giuridico è composto da norme e non da disposizioni. I giudici, gli amministratori pubblici, i soggetti privati sono vincolati dal senso dei testi normativi che si trovano ad applicare; da ciò deriva che la comprensione esatta del fenomeno giuridico, e in particolare delle sue regole, dipende sia dalla capacità di individuare esattamente la fonte normativa e la disposizione che ci riguarda o che ci interessa, sia dalla capacità di “estrarne” correttamente il senso, cioè dalla attività interpretativa. CAPITOLO 5 – LE SINGOLE FONTI DEL DIRITTO LA COSTITUZIONE COME FONTE E LE LEGGI COSTITUZIONALI L’approvazione della Costituzione La Costituzione italiana è stata approvata dall’Assemblea costituente, che è stata eletta, con sistema proporzionale, il 2 giugno 1946, nella stessa data nella quale si è svolto anche il referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia. L’Assemblea costituente ha lavorato negli anni 1946-1947, fino all’approvazione, il 22 dicembre 1947, del testo della Costituzione (entrata in vigore l’1 gennaio 1948) e ha avut come protagonisti i partiti politici antifascisti, che si sono accordati su un nucleo di principi comuni, inserendoli nella Costituzione rigida. Tali partiti hanno assimilato le principali idee costituzionali che si stavano affermando sullo scenario internazionale dopo le distruzioni della II Guerra Mondiale. La Costituzione italiano è il frutto di n patto tra le forze antifasciste protagoniste della Resistenza e riconducibili principalmente a tre tradizioni culturali: 1. cattolica Democrazia cristiana; 2. marxista Partito socialista e Partito comunista; 3. liberal-democratica Partito d’azione, Partito liberale, Partito repubblicano. Ciascuna di queste componenti ideali, portatrici di principi e valori, ha dato un contributo al patto costituente che emerge con maggior evidenza in alcuni articoli della Costituzione. Tale accordo è stato reso possibile da quello che la filosofia politica contemporanea chiama “velo di ignoranza”, ossia il fatto che nel momento della rifondazione dell’ordinamento, dopo il regime fascista e la guerra, nessun partito politico poteva sapere se le soluzioni istituzionali prescelte lo avrebbero avvantaggiato o danneggiato. Le forze costituenti lavorarono quindi con lo sguardo rivolto al futuro e nella consapevolezza di stare scrivendo un testo destinato a durare nel tempo, in un’atmosfera che restò protetta dalla dialettica politica contingente la quale, specie a partire dal 1947, fu fortemente influenzata dall’inizio della Guerra Fredda. Leggi costituzionali e di revisione costituzionale Se guardiamo la Costituzione italiana come fonte del diritto dobbiamo prima di tutto osservare che si tratta di una Costituzione rigida, che si pone al vertice del sistema delle fonti. Anche se non esiste un’esplicita clausola di supremazia, la rigidità può essere dedotta facilmente da varie disposizioni. La mera affermazione della supremazia vorrebbe dire ben poco se non esistessero le garanzie della rigidità della Costituzione. Esse sono contenute nel titolo VI della parte II, che reca “Garanzie costituzionali”, ovvero garanzie della rigidità della Costituzione. Tale titolo si articola in due sezioni: 1. La corte costituzionale artt. 134-137; 2. Revisione costituzionale. Leggi costituzionali artt. 139 e 139. La Costituzione stessa prevede nell’art. 138 una procedura speciale ed “aggravata” attraverso la quale viene prodotta una fonte che prende il nome di legge costituzionale. Le leggi costituzionali nel nostro ordinamento possono servire a: modificare il testo della Costituzione in questo caso si chiamano “leggi di revisione costituzionale”; soddisfare le riserve di legge costituzionale disciplinare quelle materie che la Costituzione stessa affida esclusivamente a tali fonti; irrigidire la disciplina di certe materie che, in tal caso, viene sottratta alla disponibilità del legislatore ordinario. In base all’art. 138 Cost. occorre una doppia deliberazione da parte di ciascuna Camera (anziché una come per le leggi ordinarie), e tra le due deliberazioni deve intercorrere un intervallo di tempo (non meno di tre mesi): 1. prima deliberazione segue le regole del procedimento legislativo ordinario (compresa la maggioranza semplice, ovvero dei presenti, per l’approvazione del testo); 2. seconda deliberazione da un lato, non possono essere apportati emendamenti al testo votato in prima deliberazione; dall’altro, è richiesta la maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna camera. Le leggi costituzionali sono da ritenere approvate anche se, nella seconda deliberazione, non hanno raggiunto la maggioranza dei due terzi ma, almeno, la maggioranza assoluta (dei componenti) di ciascuna camera; in questo caso, però, le leggi stesse possono essere poste a referendum popolare se, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda: 1/5 dei membri di una Camera; 500000 elettori; la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla 5 Consigli regionali. maggioranza dei voti validi. All’interno della Carta costituzionale, composta originariamente di 139 articoli e 18 disposizioni transitorie è possibile operare una sorta di distinzione tra “principi supremi” e regole costituzionali “ordinarie”, nel senso che attraverso la revisione costituzionale si può modificare o integrare la Costituzione, ma non in tutte le due previsioni; esistono alcuni principi che sono sottratti alla revisione. Possiamo ritenere che al vertice del nostro sistema delle fonti esista una sorta di “micro-gerarchia” per cui i principi supremi della Costituzione sono sovraordinati rispetto alle altre norme di grado costituzionale, contenute nella Costituzione o in leggi costituzionali. La Costituzione come fonte Parlando di Costituzione come fonte va ricordato il problema della sua efficacia, che si è posto appena la nuova Costituzione repubblicana è entrata in vigore. Esisteva una corrente di interpretazione molto radicata all’interno della magistratura per la quale occorreva distinguere all’interno delle disposizioni della Costituzione tra quelle che ponevano in essere: norme direttamente precettive attraverso la sentenza n. 1/1956 della Corte costituzionale, quest’ultima ha fin da subito chiarito che: - la Costituzione è anch’essa composta di vere e proprie norme giuridiche, in quanto tali, vincolanti immediatamente per tutti i cittadini e i pubblici funzionari; - in un sistema a Costituzione rigida qualsiasi legge o atto avente forza di legge deve rispettare tutte le norme della Costituzione; norme meramente programmatiche moltissimi articoli della Costituzione si limitavano a fissare obiettivi e non vere e proprie regole, con la conseguenza che fino a quando il Parlamento non avesse dato loro concreta attuazione, approvando leggi ordinarie che attuassero i principi costituzionali, esse non erano in grado di innovare l’ordinamento giuridico preesistente. LE FONTI INTERNAZIONALI ED EUROPEE I principi costituzionali sulle fonti internazionali ed europee Il sistema delle fonti italiano non è chiuso rispetto all’esterno, si apre alle fonti provenienti da altri ordinamenti, che lo integrano in coerenza con la visione evolutiva della sovranità esterna che caratterizza lo Stato contemporaneo. Alle condizioni che la Costituzione stabilisce negli artt. 10, 11 e 117, comma 1, possono entrare a far parte dell’ordinamento italiano le fonti del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea. L’art. 10 Cost. si riferisce alle “norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”, stabilendo che l’ordinamento italiano si conforma ad esse. Si tratta delle norme che esprimono le tendenze di fondo del diritto internazionale, per il fatto di godere di generale approvazione, tra le quali si collocano le consuetudini universali e i principi generali del diritto internazionale. Scopo della norma costituzionale è l’esigenza che lo Stato italiano non si estranei rispetto aa tali tendenze ma vi si adegui. Sulla base di tale articolo le norme internazionali generalmente riconosciute operano direttamente nell’ordinamento italiano. Un’eventuale antinomia tra fonti primarie italiane e tali norme si traduce pertanto in un vizio di illegittimità costituzionale che deve essere accertato dalla Corte costituzionale, sulla base dell’art. 134 Cost. Un ruolo centrale circa i rapporti tra l’Italia e gli ordinamenti extrastatuali è svolto dall’art. 11 Cost. Sulla base di questa disposizione, cedendo parte della propria sovranità esterna, l’Italia è entrata a far parte di numerose organizzazioni internazionali, sottoscrivendone i trattati istitutivi. L’art. 11 Cost. è stato completato più di recente dall’art. 117, comma 1 Cost. il quale non si limita a prevedere la possibilità che l’Italia entri a far parte di organizzazioni internazionali ma stabilisce i principi costituzionali relativi al rapporto tra le fonti interne e le fonti internazionali ed europee. Sulla base di questa disposizione le fonti del diritto internazionale e quelle comunitarie sono vincolanti nell’ordinamento italiano. lOMoARcPSD|506 837 81 Il diritto internazionale pattizio Una volta che un trattato internazionale sia stato negoziato e concluso (rientra nelle competenze del Governo), esso deve essere innanzitutto ratificato, cioè approvato dall’organo competente. La ratifica, come prevede l’art. 87 Cost., spetta al Presidente della Repubblica. Per tre categorie di trattati, ai sensi dell’art. 80 Cost. è necessaria una previa autorizzazione del Parlamento, con apposita legge di autorizzazione alla ratifica. Essi sono: trattati di natura politica; trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari; trattati che importano variazioni del territorio o oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Soltanto a seguito della ratifica avverrà la stipulazione del trattato, che consiste nello scambio di ratifiche tra i contraenti. A quel punto, il trattato dovrà essere recepito nel diritto interno, il che avviene perlopiù attraverso l’ordine di esecuzione di solito contenuto nel medesimo atto di ratifica. Una questione per lunghi anni irrisolta in Italia ha riguardato l’efficacia da attribuire alle disposizioni del trattato una volta che siano state recepite attraverso l’ordine di esecuzione o altri atti di diritto interno che hanno dato loro attuazione. I trattati internazionali, a prescindere dalla forma che assumono nel nostro ordinamento, sono vincolanti per le fonti primarie successive, per effetto dell’art. 117, comma 1 Cost. in caso di antinomia tra un trattato ed una fonte primaria successiva si applica il criterio della gerarchia. I trattai si collocano in tal modo in una posizione intermedia tra la legge e la Costituzione: nel giudizio di costituzionalità operano come norme interposte, ovvero come parametri del giudizio, per cui le leggi interne in contrasto con il loro contenuto devono essere dichiarate incostituzionali per violazione indiretta dell’art. 117, comma 1 Cost. Peraltro i trattati devono rispettare la Costituzione. Tra i trattati internazionali stipulati dall’Italia merita di essere ricordata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Le fonti europee L'Unione Europea (UE) è un'organizzazione sovranazionale che ha il potere di creare norme vincolanti non solo per gli Stati membri, ma anche per i soggetti all'interno degli Stati stessi. Le fonti del diritto europeo si suddividono in due categorie principali: **diritto originario (primario) e diritto derivato (secondario). 1. Fonti di diritto originario: Si tratta dei trattati istitutivi delle Comunità europee e delle modifiche che successivamente sono state apportate a questi trattati. Tali trattati possono essere considerati le "costituzioni" dell'UE, da cui derivano le basi fondamentali dell'ordinamento giuridico dell'Unione. 2. Fonti di diritto derivato: Queste fonti derivano direttamente dai trattati e si dividono in: - Regolamenti: Sono vincolanti in tutti i loro elementi e sono caratterizzati dalla generalità e dall'astrattezza. La principale caratteristica del regolamento è la sua diretta applicabilità, cioè una volta approvato, entra in vigore automaticamente e impone obblighi di comportamento a tutti i soggetti degli Stati membri, senza necessità di recepimento da parte degli Stati. - Direttive: Anch'esse vincolanti, ma non hanno una diretta applicabilità. Invece, impongono agli Stati membri un obbligo di risultato, ossia un obiettivo da raggiungere, entro un termine stabilito. Gli Stati devono adottare misure interne per dare attuazione alle direttive, ma possono avere una certa discrezionalità sulla forma e sul contenuto delle leggi che adottano. In alcuni casi, se le direttive sono incondizionate e precise, possono avere effetto diretto e essere applicabili direttamente. - Decisioni: Sono vincolanti come i regolamenti e le direttive, ma sono rivolte a destinatari specifici, quindi non hanno la stessa generalità. Non necessitano di recepimento da parte degli Stati membri. - Raccomandazioni e pareri: Non sono vincolanti. Le raccomandazioni invitano gli Stati a seguire un determinato comportamento, mentre i pareri esprimono il punto di vista dell'UE su una questione. Nel caso in cui sorga un conflitto tra una legge nazionale e una fonte dell'UE, se questa è self-executing (ovvero di immediata applicazione), la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana stabilisce che la norma nazionale incompatibile debba essere disapplicata dai giudici, senza annullarla. La disapplicazione è basata sul principio di competenza, e il fondamento costituzionale di questa prevalenza del diritto europeo è nell'art. 11 della Costituzione italiana, che ammette limitazioni alla sovranità per il rispetto degli obblighi internazionali, come quelli derivanti dal diritto europeo. Tuttavia, se il conflitto riguarda una direttiva non self-executing, la situazione è diversa. Le direttive sono norme che richiedono l'adozione di leggi nazionali per essere applicate, e la Corte costituzionale potrebbe dichiarare incostituzionale una norma interna in contrasto con la direttiva, poiché essa si trova tra il diritto nazionale e i principi costituzionali derivanti dal diritto europeo. Infine, la Corte di giustizia dell'Unione Europea è l'autorità competente per risolvere le questioni interpretative relative al diritto dell'Unione, e i giudici nazionali possono chiedere un rinvio pregiudiziale per ottenere chiarimenti sull'interpretazione delle norme europee durante i procedimenti giuridici nazionali. la decisione della Corte è definitiva. LE FONTI NAZIONALI La crisi della legge Oggi lo spazio normativo è sempre più densamente popolato da fonti diverse di estrazione non nazionale. Nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato contemporaneo muta radicalmente la funzione della legge: essa non è più soltanto un atto normativo generale ed astratto, ma diviene: da un lato, lo strumento privilegiato per la realizzazione dell’indirizzo politico governativo; dall’altro, un mezzo per eliminare quegli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona e la sua partecipazione alla vita dello Stato, in connessione al carattere “sociale” della forma di Stato. La legge ordinaria: natura, contenuto e procedimento Alla legge spetta un posto di assoluto rilievo nell’ampio panorama delle fonti primarie statali. Per legge si intende l’atto normativo, deliberato dalle due Camere del Parlamento in un identico testo, promulgato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, che trova le sue norme sulla produzione negli artt. 70 e seguenti della Costituzione. Tale atto viene definito anche legge formale ordinaria, da cui si distinguono gli atti legislativi che la Costituzione equipara ad essa quanto alla loro “forza”, benché dotati di una forma diversa. Nel momento in cui attribuisce il potere legislativo alle Camere, l’art. 70 Cost., impedisce di istituire altri tipi di fonti aventi forza di legge. Da ciò si è soliti far derivare due principi per comprendere la natura della legge come fonte primaria: 1. principio del numero “chiuso” delle fonti primarie esse sono solo quelle stabilite dalla Costituzione. Per creare nuove fonti che abbiano forza attiva e/o passiva primaria è necessaria una fonte costituzionale; 2. limiti alla legislazione gli unici limiti che valgono per il legislatore sono quelli stabiliti direttamente dalla Costituzione o da fonti ordinate o da queste richiamate. Il contenuto della legge - Nulla dice la Costituzione sul “contenuto” della legge, salvo limitarsi a riservare ad essa la disciplina di alcuna materie attraverso l’istituto denominato riserva di legge. Si ha una riserva di legge quando una norma della Costituzione riserva alla legge la disciplina di una determinata materia escludendo, o ammettendo solo in parte, che essa possa essere oggetto di altre fonti normative. La riserva è interpretata come riserva di fonti primarie. Stringenti sono i vincoli nei casi di riserva rinforzata di legge, nei quali il legislatore deve limitare la sua discrezionalità in attuazione di istituti e limiti specifici già fissati dalle disposizioni costituzionali. Tali riserve rinforzate possono a loro volta essere distinte in due sottotipi: 1. la discrezionalità del legislatore è limitata sotto il profilo del procedimento; 2. casi in cui la discrezionalità del legislatore non riguarda il procedimento ma il contenuto della legge. Un’altra distinzione ormai accettata pacificamente è quella tra: riserva relativa che si ha quando la legge deve intervenire solo a definire gli aspetti generali e qualificanti della disciplina, potendo altri aspetti essere deferiti alla fonte regolamentare del Governo; riserva assoluta dove l’intera materia deve essere disciplinata da fonti primarie. Ci si chiede inoltre se, in base al principio di separazione dei poteri, la legge debba contenere solo norme generali ed astratte e non anche provvedimenti individuali, ovvero comandi suscettibili di una sola applicazione (come nel caso delle leggi provvedimento). Non può essere posto un limite del genere al legislatore e dunque nel nostro sistema costituzionale non vi è un obbligo per cui la legge deve essere generale ed astratta. Anche in questi casi il legislatore deve rispettare il canone della ragionevolezza: le scelte legislative devono essere coerenti, in modo tale da non porsi in contrasto con il principio di uguaglianza. Poche volte la Costituzione affronta il tema dell’oggetto della legge per imporre un certo procedimento di approvazione o per escluderla dalla possibilità di essere sottoposta a referendum abrogativo. Nei tempi più recenti assistiamo altresì alla moltiplicazione di leggi a contenuto “tipizzato”, create da altre leggi. Sempre più numerosi sono i casi di leggi a cadenza “annuale” con contenuto specializzato, istituite da altri interventi legislativi: legge di bilancio unica legge a cadenza annuale espressamente prevista dalla Costituzione all’art. 81; legge di delegazione europea introdotta dalla legge n. 234/2012 in sostituzione della legge comunitaria annuale che era stata introdotta dalla legge n. 86/1989; legge europea introdotta dalla legge n. 234/2012; legge annuale di semplificazione introdotta dalla legge n. 59/1997 allo scopo di realizzare misure di semplificazione normativa e amministrativa a livello nazionale; legge annuale per il mercato e la concorrenza introdotta dalla legge n. 99/2009; legge annuale per le micro, piccole e medie imprese introdotta dalla legge n. 180/2011 volta a definire gli interventi da adottare nell’anno successivo per la tutela e lo sviluppo delle medesime. Il procedimento legislativo - L’art. 70 Cost. prevede che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. L’iter formativo di una legge è molto articolato. In esso si possono distinguere almeno tre fasi: 1. iniziativa l’art. 71 Cost. prevede che l’iniziativa delle leggi spetti anzitutto a: - Governo; - ciascun parlamentare; - altri organi ed enti a cui è conferita dalla Costituzione. lOMoARcPSD|506 837 81 L’ultimo comma di tale articolo riconosce il potere di iniziativa anche al popolo, che la esercita mediante la proposta da parte di almeno 50000 elettori di un progetto redatto in articoli. La Costituzione configura sei tipi di iniziativa equiparandoli sul piano formale, anche se poi nella sostanza le forme quantitativamente preponderanti sono quella governativa e parlamentare. Le ragioni su cui si fonda il maggior successo dell’iniziativa governativa sono semplici. I disegni di legge governativi sono spesso attuazione del programma politico della maggioranza, il programma su cui si fonda il rapporto fiduciario. Sul piano giuridico va ricordato che alcune tipologie di leggi possono essere presentate solo dal Governo (i disegni di legge aventi per oggetto il bilancio e il rendiconto consuntivo, la legge di delegazione europea, la legge europea, i disegni di legge di conversione dei decreti-legge e di regola quelli di ratifica dei trattati internazionali); 2. fase costitutiva: istruttoria e approvazione questa fase è disciplinata dall’art. 72 Cost. Essa attiene all’esame, alla discussione e alla votazione. Obbligatoriamente questa fase deve svolgersi nelle commissioni permanenti che compongono ciascun ramo del Parlamento. Ogni disegno di legge è affidato alla commissione competente per materia. Nell’art. 72 si distinguono almeno tre procedimenti di approvazione delle leggi ordinarie: - procedura normale la commessione opera in sede referente. Essa esaminato e, eventualmente, modificato il progetto, presenta all’Assemblea una relazione in cui propone di accoglierlo o respingerlo. Secondo le disposizioni del regolamento di ciascuna Camera, durane la fase di esame nelle commissioni, queste possono chiedere informazioni al Governo e svolgere un’attività istruttoria e conoscitiva. Diversa da questa funzione, che è propriamente referente, è la funzione consultiva con la quale una commissione rilascia un parere sui profili che rientrano nelle materie di sua competenza. Dopo la fase dell’esame segue la fase della discussione, che si svolge in Assemblea e comprende la discussione articolo per articolo e la discussione finale. A questo punto l’Assemblea discute e delibera sulla legge articolo per articolo (di solito questo momento comprende anche la presentazione degli emendamenti di ciascun articolo). Segue l’approvazione finale del progetto di legge nel suo complesso; - procedura abbreviata per l’approvazione d’urgenza di alcuni disegni di legge. Per effetto dei regolamenti i tempi della discussione e della votazione si riducono drasticamente. Ad esempio per l’approvazione delle leggi di conversione dei decreti-legge, che richiedono di arrivare alla decisione entro i 60 giorni dalla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale; - procedura decentrata la commissione assume il nome “deliberante” o “legislativa” (limitata nell’oggetto dall’art. 72, comma 3 Cost.). È tipico dell’ordinamento italiano. Questa procedura si caratterizza per un diverso ruolo delle commissioni, come prevede il terzo comma dell’art. 72 Cost. Non più solo riferire all’Assemblea ma sostituirsi ad essa nella discussione e nell’approvazione della legge. Il progetto di legge inizia e concluse il suo iter in commissione, dove viene esaminato, discusso e approvato, salvo che il Governo, ovvero una minoranza all’interno dell’Assemblea (1/10 dei componenti) o della commissione (1/5 dei componenti) non chiedano il ritorno al procedimento normale. Per tutti e tre questi casi la Costituzione rinvia ai regolamenti parlamentari per la disciplina specifica. Una quarta forma di sub- procedimento legislativo è stata creata dai regolamenti parlamentari: - procedimento per commissione in sede redigente è disciplinato solo nei regolamenti parlamentari. Esso consiste nell’affidare alle commissioni la redazione del progetto di legge, cioè la sua definitiva formulazione in articoli, riservando però l’approvazione finale alle Assemblee. Per esso valgono le riserve di sopra e il potere di rimettere il procedimento all’Assemblea per volontà del Governo o delle minoranze. Un discorso particolare deve essere fatto per la legge di bilancio. Il procedimento per la sua approvazione ha caratteristiche particolari. Anzitutto per il ruolo delle commissioni. Ad esso partecipano, oltre che la commissione bilancio, anche tutte le altre commissioni permanenti. È impedito che i caratteri della manovra vengano sostanzialmente alterati e che l’approvazione si protragga per lungo tempo, data la scadenza del 31 dicembre entro la quale il bilancio deve essere approvato. Per raggiungere questo obiettivo è prevista l’istituzione della sessione di bilancio che è un periodo nel quale le Camere sono impegnate esclusivamente nella discussione e approvazione delle leggi di bilancio; 3. fase integrativa dell’efficacia e dell’entrata in vigore attiene alla produzione degli effetti normativi e si divide a sua volta in: - promulgazione deve avvenire entro 30 giorni dalla data di approvazione parlamentare, ovvero entro un tempo minore se le Camere deliberano a maggioranza assoluta in questo senso, è disposta dal Presidente della Repubblica (art. 87, comma 5 Cost.). Si tratta di un atto di controllo da parte del Presidente che può anche rifiutarsi di promulgare la legge, esercitando il potere di rinvio, secondo quanto stabilito dall’art. 74 Cost.; - pubblicazione alla promulgazione segue la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Proprio per consentire l’effettiva conoscenza delle leggi, il nostro ordinamento non prevede che esse entrino in vigore immediatamente ma dopo che sia trascorso un periodo di 15 giorni dalla loro pubblicazione (vacatio legis) o un termine diverso disposto dalla legge stessa. Durante questo periodo di tempo, necessario per consentire ai cittadini di venirne a conoscenza, gli effetti della legge sono sospesi. In seguito, il nuovo atto è pienamente obbligatorio. Una volta pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale si presume che la legge sia conosciuta da tutti i cittadini e nessuno può giustificarsi affermando di non averla rispettata per il fatto di non conoscerla. In realtà questo principio non è così assoluto. Il soggetto competente a inserire le leggi nella Gazzetta Ufficiale è il ministro della giustizia. Tutti gli atti normativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale sono inseriti anche nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana: il nostro sistema di pubblicazione delle leggi è infatti anche denominato di doppia pubblicazione o ripubblicazione. Mentre la Gazzetta Ufficiale viene pubblicata tutti i giorni non festivi, la Raccolta Ufficiale viene stampata una volta all’anno. L’inserimento dell’atto normativo nella Raccolta Ufficiale è molto importante perché, in caso di divergenza tra il testo pubblicato sulla Gazzetta e quello pubblicato sulla Raccolta, prevale quest’ultimo. Gli atti del Governo con forza di legge La stessa Costituzione attribuisce il potere legislativo anche al Governo che, sotto il controllo del Parlamento, può emanare due tipi di atti aventi la stessa forza di legge: decreto legislativo e decreto-legge. Questa è un’eccezione al principio di separazione dei poteri. La natura eccezionale del potere legislativo esercitato dal Governo è espressa dagli artt. 76 e 77 Cost. La Camere in questi casi non si spogliano del potere legislativo; con l’adozione dei decreti legislativi o dei decreti-legge il Governo esercita un potere diverso da quello del Parlamento: diverso perché è limitato. Questi provvedimenti sono generalmente indicati con la formula atti aventi forza di legge. Differenza tra decreti legislativi e decreti legge: Un decreto legislativo è un atto normativo avente valore di legge adottato dall'organo costituzionale che ha il potere esecutivo per delega espressa e formale del Parlamento. La delegazione legislativa è una combinazione di due procedimenti distinti: la legge delega e il decreto legislativo. La delega è temporanea, mai permanente. La legge delega deve contenere (art 76): → l’oggetto, ovvero la precisa materia da disciplinare → i principi, ovvero norme generali riconducibili all’oggetto → il termine: la data esatta entro la quale la delega deve essere esercitata. ll decreto legge è un atto normativo di carattere provvisorio dell'ordinamento giuridico italiano avente forza di legge, adottato in casi straordinari dal Governo ai sensi dell'Art. 77 (covid-19). Il Governo è tenuto a trasmettere il decreto-legge alle Camere chiedendone la conversione in legge nello stesso giorno in cui il decreto-legge è emanato. Le Camere si riuniscono entro 5 giorni. La conversione deve avvenire entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Se ciò non avviene il decreto perde efficacia. DPCM=Decreti Presidente del consiglio dei Ministri. - non sono leggi - serie di disposizioni normative; - non è una fonte del diritto; - lo crea il Governo, il Parlamento lo approva, si unisce al decreto legge, ma NON fa parte degli Atti Legislativi. Il referendum abrogativo previsto dall’art 75 è un istituto attraverso il quale il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi direttamente circa “l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge” dello Stato. La fonte di carattere secondario più frequente nel nostro sistema normativo sono i regolamenti governativi con i quali il Governo pone regole di carattere organizzativo oppure provvede a disporre quanto necessario per attuare le leggi del Parlamento. Le fonti secondarie sono a numero aper