Diritto Privato PDF - Concetti Generali
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Università degli Studi di Trieste
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This document provides an overview of general concepts in Italian private law. It discusses the nature of legal norms, how laws are interpreted, and the different areas of private law, including civil law and commercial law. The document also explains the sources of Italian private law, such as the Civil Code.
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CONCETTI GENERALI NORMA GIURIDICA L’ordinato svolgimento della vita sociale, intesa come convivenza di un gruppo di persone, quanto la sua stessa istituzione, sono garantiti da un sistema di regole definito come diritto. Nel linguaggio corrente possiamo vedere questo termine da due punti di vista:...
CONCETTI GENERALI NORMA GIURIDICA L’ordinato svolgimento della vita sociale, intesa come convivenza di un gruppo di persone, quanto la sua stessa istituzione, sono garantiti da un sistema di regole definito come diritto. Nel linguaggio corrente possiamo vedere questo termine da due punti di vista: 1) Diritto in senso oggettivo: insieme di regole vigenti in un determinato settore (es. diritto della navigazione) o Ordinamento. 2) Diritto in senso soggettivo: posizione di vantaggio riconosciuta ad un determinato soggetto, attribuita da una Regola Giuridica (es. diritto di proprietà, di privacy…). Entrambe le accezioni comprendono Regole Giuridiche, ossia regole di rilevanza giuridica e valore legale. Esse appartengono ad un determinato contesto, detto Ordinamento. Per essere ufficiali, tali regole devono essere oggetto di un determinato procedimento, e per appurarne la rilevanza giuridica è necessario risalire alla fonte del diritto che le ha prodotte ( il cui studio è adibito al cosiddetto Diritto Pubblico). Più propriamente le regole giuridiche sono chiamate Norme Giuridiche (contengono una prescrizione, una regola di comportamento “se succede…bisogna fare…”), caratterizzate da: 1) Generalità: La norma giuridica contiene una regola di comportamento rivolta a tutti i consociati dell’ordinamento, ossia ad una moltitudine indefinita di soggetti. 2) Astrattezza: La prescrizione è definita attraverso caratteristiche generiche, descrivendo situazioni-tipo in maniera tale da essere applicata ad ogni casistica corrispondente alle caratteristiche definite in maniera astratta nella norma. La situazione descritta è detta Fattispecie, ed è concreta (riferita al reale evento accaduto) o astratta (riferita all’evento descritto nella norma). Posso quindi applicare la norma se la fattispecie concreta trova riferimento in quella astratta. INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE È molto difficile imbattersi in una Disposizione Normativa il cui testo non sia compatibile con più significati, perciò, prima della sua applicazione, bisogna operare un processo di interpretazione, i cui criteri sono forniti in un testo che precede le disposizioni di ciascun codice, ossia l’insieme delle cosiddette Disposizioni Preliminari. Dunque il testo di ciascuna disposizione può assumere una moltitudine di significati; nel momento in cui viene scelto il significato da applicare, la nuova disposizione prende il nome di Norma Giuridica, a cui tutti i consociato devono sottostare. L’attribuzione del significato deve avvenire: a) Attribuendo un significato compatibile con le parole che formano la disposizione. b) Secondo criteri non arbitrari, e assoggettabili ad un controllo di razionalità. I criteri dell’interpretazione sono diversi: 1) Criterio letterale e logico: Descritto nell’articolo 12, I comma, delle Disposizioni Preliminari: ”Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore.” Dall’articolo si evince che ogni parola che definisce la disposizione ha una gamma di significati da cui non ci si può allontanare (criterio letterale), e che nella scelta del significato bisogna chiedersi quale fosse il risultato pratico inteso dal legislatore e quindi quale fosse la finalità perseguita dalla singola disposizione (la cosiddetta Ratio della norma), (criterio logico). L’interpretazione si dice estensiva quando la norma (risultato dell’interpretazione) ha un campo di applicazione più esteso rispetto al significato letterale della disposizione; si dice invece restrittiva nel caso opposto. 2) Criterio sistematico e analogico: Si evince implicitamente dall’articolo 12, II comma, delle Disposizioni Preliminari: “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.” L’ordinamento giuridico si presenta come un sistema organico: ogni componente assolve un certo compito in funzione del proprio sistema, in quanto il fine perseguito è comune e unitario. Si parla perciò di Istituto Giuridico come insieme di regole che governano un determinato ambito (esempio: istituto del matrimonio). Da ciò si comprende l’idea di criterio di interpretazione sistematico: la scelta del significato da attribuire ad una regola va inserito in un tessuto più ampio, ossia nel complesso di norme a cui essa appartiene. Quando, inoltre, un caso non è regolato da una norma esplicitamente, attraverso l’interpretazione analogica è possibile regolare la controversia. Questa si scompone in: a) Analogia Legis: Non avendo una regola che governa il singolo caso, ricerchiamo un’altra regola analoga: viene elaborata una regola non contenuta esplicitamente traendo ispirazione da una regola analoga, integrando quindi il sistema (esempio: le regole del matrimonio si possono applicare anche al convivente “moro uxorio”). Non si può applicare in caso di regole penali o norme eccezionali. b) Analogia Iuris: Non si riescono a trovare nemmeno casi simili a quello in esame, quindi non esiste una disposizione a cui fare riferimento. Ci si basa perciò sui principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato: questi non sono espressi in norme, ma sono scopi generali sottostanti al sistema (esempio: libertà di iniziativa economica, libertà di matrimonio…). Qualora si fosse impossibilitati ad interpretare una disposizione esiste una clausola che affida al Giudice la definizione del contenuto (esempio: “licenziamento per giusta causa”: il concetto di “giustizia” è una clausola generale il cui significato è rimesso alla discrezione del giudice). 3) Criterio autentico: L’interpretazione si dice autentica quando è lo stesso legislatore a fornire direttamente l’interpretazione. 4) Criterio giudiziale: Il soggetto che interpreta le disposizioni è il Giudice, che fornisce un’interpretazione non vincolante, ossia che può mutare da giudice in giudice. 5) Criterio amministrativo: L’interpretazione delle disposizioni attuata da un organo amministrativo e divulgata mediante circolari. 6) Criterio dottrinale: Proposte di interpretazione che vengono avanzate dagli studiosi del diritto. Tale proposta può avere anche una rilevante influenza sulla decisione del giudice. DIRITTO PRIVATO E SISTEMA DELLE FONTI Un ordinamento giuridico complesso come quello dello Stato comprende un’enorme quantità di regole, per cui evidente è la necessità pratica di dividere questo immenso panorama in settori distinti e ordinati. Distinti per diversità di problemi e soluzioni a cui si riferiscono sono i due rami principali in cui si suddivide il Diritto: 1) Diritto Pubblico: Le sue regole sono dirette a perseguire interessi di carattere generale, appartenenti alla collettività. In tal senso l’interesse del singolo è soppresso da quello della collettività (soggetto pubblico), seguendo un ideale gerarchico. Lo studio del diritto pubblico si scompone in una pluralità di materie: a) Diritto Costituzionale: Ha ad oggetto la fondamentale struttura dell’organizzazione e dei poteri statali, anche in relazione alle libertà garantite ai cittadini e ai soggetti dell’ordinamento. b) Diritto Amministrativo: Regola l’organizzazione amministrativa e i rapporti tra i soggetti e la pubblica amministrazione, quando questa agisce come autorità. c) Diritto Penale: riguarda i comportamenti vietati come reati, puniti con sanzioni chiamate “pene”. d) Diritto Processuale civile e penale: Disciplinano e studiano lo svolgimento dei processi. 2) Diritto Privato: Le sue regole sono deputate a regolare i rapporti tra i singoli (talvolta di interessi confliggenti) o, più in generale, tra enti di carattere privatistico. Poiché si tratta di interessi individuali, i soggetti si pongono su un piano di parità ed autonomia (se un soggetto pubblico si muove come un soggetto privato, esso viene trattato come tale). Lo studio del diritto privato si scompone a sua volta in diversi rami: a) Diritto Civile b) Diritto Commerciale c) Oggetti di studio autonomo sono dei substrati secondari che hanno acquisito nel tempo maggior rilevanza: il Diritto del Lavoro, il Diritto Agrario e il Diritto privato della Navigazione. I blocchi formativi da cui il Diritto Privato trae l’origine delle proprie disposizioni sono chiamati Fonti del Diritto, e sono fondamentalmente: 1) CODICE CIVILE: L’ordinamento italiano rientra fra quelli cosiddetti “ di diritto codificato”. Ciò avvenne nella cosiddetta “ Era della Codificazione” (XIX secolo), quando si vollero riorganizzare le regole vigenti al momento, sostituendo al coacervo disordinato di regole stratificatesi nel tempo (tra diritto Romano, Giustinianeo, della Chiesa…), che non trattavano alla pari ogni soggetto della collettività (particolarismo giuridico), un unico codice ordinato. Il primo modello di codice si ebbe nel 1804 (dopo la rivoluzione francese) con i Codici Napoleonici (divisi in “Code Civil” e “Code de Commerce”), che furono portati in tutte le aree invase. Nel 1811, infatti, fu elaborato un codice civile anche dall’Impero Austriaco, mentre nell’Impero Germanico avvenne alla fine del secolo (il “BGB”). La prima codificazione in Italia ha luogo nel 1865 (dopo la proclamazione del Regno) in un Codice diviso in Codice Civile e Codice di Commercio (rinnovato poi nel 1882). Esso era suddiviso in tre libri, intitolati: “Persone”, “Proprietà” e “Modi d’acquisto della Proprietà”. Con l’influenza delle Guerre Mondiali sorse l’idea di elaborare un nuovo codice, finalmente promulgato con una legge ordinaria nel 1942: il Codice Civile (quello attuale), che prende ispirazione sia dal codice francese sia da quello germanico. Qui furono convogliati entrambe le parti del codice precedente, anche se alcuni profili della materia commerciale ne sono rimasti esterni (non racchiusi in un codice). La pratica commerciale nasce nel Medioevo con le Corporazioni, con l’esigenza di promulgare delle regole che controllino i rapporti commerciali. I rapporti non commerciali (quindi tra privati) non erano regolamentati da tale codice e quindi lo status sociale determinava anche la tutela legale. Successivamente, nei rapporti tra professionista e consumatore, nasce l’esigenza di tutelare anche quest’ultimo (Codice del Consumo). Quando le regole commerciali vengono inglobate nel codice civile finalmente lo status sociale non ha più rilevanza, la regola che prevale, diventando unitaria sarà quella che governava i rapporti di carattere commerciale, abbiamo quindi una commercializzazione del diritto privato. Il Codice attuale è organizzato in sei libri: I) Delle Persone e della Famiglia II) Delle Successioni III) Della Proprietà IV) Delle Obbligazioni V) Del Lavoro (è qui che confluisce gran parte del Diritto Commerciale) VI) Tutela dei Diritti All’interno di ogni libro ci sono ulteriori divisioni in Titoli e Capi. Il Codice Civile è stato emanato con una Legge Ordinaria, e può essere modificato mediante altre leggi ordinarie. Esso, infatti, subisce costantemente dei mutamenti, in quanto destinato a regolare una realtà sociale ed economica in continuo divenire (può addirittura essere sostituito radicalmente). Quando viene mutato solo il testo di alcune norme si parla di Novellazione del codice. Molto spesso l’esigenza di rinnovamenti interessa interi comparti, come è accaduto per il Diritto di Famiglia e in quello Societario. Il rinnovamento in materia privatistica può avvenire anche attraverso le cosiddette Leggi Speciali, che non rientrano nel Codice. 2) COSTITUZIONE: Nasce con l’Assemblea Costituente dopo la II Guerra Mondiale dall’esigenza di ristabilire l’ordine infranto dalle Guerre. Essa contiene anche regole destinate a determinare la fisionomia del regime economico-sociale. Le indicazioni che il Diritto Privato acquisisce si trovano nella prima parte della Costituzione, seguiti da regole su rapporti civili, sociali, economici e politici. Inizialmente si riteneva che tali norme costituzionali non avessero valenza diretta nel Diritto Privato. Il loro ruolo, però, si esplica qui attraverso tre strade: a) A livello interpretativo: l’interpretazione delle regole del Codice Civile deve avvenire alla luce ed in funzione delle indicazioni della Costituzione. b) Nel riferimento ai principi generali dell’ordinamento, i quali sono incarnati, almeno in parte, a livello costituzionale. c) Nell’applicazione diretta della norma costituzionale all’interno del settore privatistico. 3) LEGISLAZIONE SPECIALE: Dagli anni ’70 ad oggi l’Italia ha visto un massiccio incremento quantitativo e qualitativo nelle Leggi Speciali, con il rischio di andare incontro ad una “decodificazione” del Codice Civile. Le Leggi Speciali, infatti, non rientrano in questo Codice, ma sono autonome e rischiano di diventare troppe, disordinate e disorganizzate. Tale rischio ha portato, all’inizio degli anni ‘2000, al fenomeno di riorganizzazione in codici di settore (esempi: di consumo, della privacy, della proprietà industriale, delle assicurazioni private…). 4) Particolare fonte del diritto privato è la cosiddetta LEGISLAZIONE COMUNITARIA: L’insieme dei Trattati istitutivi della Comunità Europea, che prevedono: a) Regolamenti Europei: Direttamente applicabili dagli organismi europei: appena emanati diventano automaticamente parte dell’ordinamento dei componenti. b) Direttive: Gli Stati membri sono vincolati ad attuare le indicazioni delle direttive, che però non diventano automaticamente parte dell’ordinamento. Lo possono diventare attraverso norme di attuazione decise dal legislatore entro una determinata scadenza con una legge speciale. Ulteriori indicazioni riguardo a situazioni giuridiche tutelate dal diritto privato e soprattutto riguardanti i diritti della persona sono inoltre fornite in un documento internazionale, ossia la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Lisbona 2007, tutte le norme del diritto privato non possono porsi in contrasto con le disposizioni presenti in essa) la genesi di questa carta era la Carta di Nizza (adottata nel 2000), ma non era direttamente applicabile, era fondamentalmente una dichiarazione di intenti. 5) USI: Nei paesi in cui non è stato codificato un diritto le consuetudini rappresentano la regolamentazione ufficiale. Negli altri paesi essi hanno valenza di regola giuridica solo se richiamati dalla legge (esempio: la prassi contrattuale, raccolta in Camera di Commercio). Alcune prassi esistono anche a livello internazionale, nei rapporti tra ordinamenti diversi, regolati dalla Lex Mercatoria, di stampo fondamentalmente contrattuale. SOGGETTI DEL DIRITTO Quando osserviamo la realtà sociale ci troviamo di fronte ad una scena animata da diversi protagonisti: i singoli individui e i gruppi come la famiglia, le associazioni, le chiese, i partiti, i sindacati, le organizzazioni economiche, le istituzioni pubbliche. Nell’Ordinamento Giuridico – inteso come un sistema di regole che ordina la vita di un gruppo sociale - questi protagonisti si presentano come portatori di interessi regolati poi da norme giuridiche. All’interno dei rapporti giuridici tra essi, questi protagonisti sono titolari di diritti e di obblighi; per questo motivo sono detti Soggetti di Diritto (sono quindi titolari di rapporti giuridici). È l’ordinamento a decidere quali suoi componenti siano Soggetti di Diritto: esistono infatti entità, come la famiglia, che, non avendo obblighi e diritti, in quanto gruppo non è considerato Soggetto di Diritto dal nostro ordinamento. Si fa notare che non solo il singolo individuo può essere considerato tale, ma lo può essere anche un gruppo di essi (in alcuni codici antichi, come quello Napoleonico, erano considerati soggetti di diritto solo gli individui). Nel Codice non si parla però di individui, ma di Persone, distinte in: 1) Persone Fisiche: (descritte negli articoli dal I al X del I libro): Gli esseri umani, sempre soggetti di diritto. 2) Persone Giuridiche: (descritte negli articoli XI e seguenti del I libro): Sono gruppi di persone a cui viene riconosciuta la soggettività di diritto, ma non tutti questi enti rientrano nella definizione, bensì solo quella sottospecie a cui è riconosciuta l’autonomia patrimoniale perfetta (es. i sindacati hanno una propria soggettività, hanno diritti ed obblighi ma tecnicamente non sono persone giuridiche, non sono associazioni riconosciute). PERSONE FISICHE La qualità di Soggetto di Diritto viene indicata nel concetto di Capacità Giuridica, descritta nell’articolo I del Codice Civile: “ La Capacità Giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge favorisce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”. Essa è l’attitudine del soggetto di essere titolare di diritti e di obblighi e si traduce quindi in soggettività. Quando viene attribuita la capacità giuridica ad un soggetto questo non si vede attribuito anche dei diritti ma si vede riconosciuta una potenzialità ad essere protagonista di una vita giuridica. È una prerogativa costituzionale dell’individuo: si acquista con la nascita e si perde con la morte. Per il principio di uguaglianza descritto nel Codice Civile non esistono, salvo alcune limitazioni (es. il minore non può essere portatore della capacità di matrimonio), persone caratterizzate da Incapacità Giuridica. Nascita: Questa si ha con la separazione di un feto vivo dal corpo materno. Un individuo concepito, ma non ancora nato, non è ancora considerato Persona Fisica e, dunque, nemmeno soggetto di diritto, ma è comunque tutelato e presenta un bagaglio di diritti che si concretizzeranno nel futuro, a partire dalla nascita. Il riconoscimento del figlio da parte del genitore, ad esempio, può avvenire anche prima della nascita (fuori dal matrimonio). L’interruzione volontaria della gravidanza, inoltre, può avvenire solo se in grave conflitto con gli interessi e la salute della madre o se si sono presentate lesioni al feto prima della nascita. Un’ulteriore tutela del nascituro sta nella fecondazione assistita (l’embrione non viene considerato ancora soggetto di diritto) e nella capacità di successione legittima o per testamento. Morte: La Capacità Giuridica si perde con la morte naturale ( a differenza del Code Civil, in cui si parlava anche di “morte civile” nella reclusione di un ergastolano), questa viene accertata dal medico legale una volta trascorso un determinato lasso di tempo dal decesso. Nel caso di un accertamento precoce della morte ( esempio: espianto di organi), questa deve avvenire da parte di un collegio di medici, essa è considerata tale nel momento della cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo (morte cerebrale). In alcuni casi l’accertamento della morte non è possibile, allora ci sono tre casistiche: 1) Dichiarazione di Scomparsa: la si può chiedere al tribunale quando la persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o della sua ultima residenza e non si hanno più sue notizie. Il tribunale allora nomina un curatore che amministri il patrimonio dello scomparso. 2) Dichiarazione di Assenza: Può essere emessa se la scomparsa dura da almeno due anni. Si ha quindi una parziale anticipazione degli effetti della successione; Coloro che dovrebbero essere gli eredi vengono delegati del possesso temporaneo del patrimonio dell’individuo (possono usufruirne), in quanto si va accrescendo l’opinione che lo scomparso sia deceduto. 3) Dichiarazione di Morte Presunta: Essa avviene dopo dieci anni dalla scomparsa ed ha gli stessi effetti della morte naturale: gli eredi diventano ufficialmente tali ed il coniuge può risposarsi. Nel caso in cui l’individuo sia scomparso in operazioni belliche, sciagure, infortuni, incidenti la morte presunta può essere anticipata (bastano 2-3 anni a seconda dei casi). Può accadere che più persone muoiano assieme, ma che non si sappia chi è deceduto prima. Questo può avere forti effetti sulle linee ereditarie e, in generale, effetti giuridici. Per ovviare a tale problema si sfrutta il principio di Commorienza descritto nell’ articolo 4: “Quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un’altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento”. Caratteristiche di identificazione del Soggetto di Diritto: Nome: Composto da Prenome e Cognome. Su quest’ultimo esiste oggi una diatriba sulla possibilità di attribuire al figlio i cognomi di entrambi i genitori. Se il figlio viene riconosciuto fuori dal matrimonio prima dalla madre ed in un secondo momento dal padre allora acquisirà il cognome materno a cui verrà aggiunto poi quello paterno. Mentre con l’acquisizione dello stato di coniuge la moglie aggiunge automaticamente al proprio cognome anche quello del marito. Il prenome viene scelto nella dichiarazione di nascita e deve essere tendenzialmente immutabile per l’articolo 6 del Codice Civile: “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati.” Domicilio: È descritto nell’articolo 43, I comma: “Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.” In alcuni casi è imposto dalla legge e prende il nome di domicilio legale (esempio: i minori hanno domicilio dove risiede la famiglia), in altri casi può essere eletto un “domicilio speciale” per singoli affari e interessi. Residenza: Descritta nell’articolo 43, II comma: “La residenza è nel luogo in cui la persona ha dimora abituale.” Essa è oggetto di pubblicità nei registri anagrafici e può spesso coincidere con il domicilio. Cittadinanza: È l’appartenenza ad un determinato ordinamento. Essa può essere acquisita mediante procedure che dipendono da Stato in Stato. Chi non ha la cittadinanza è detto straniero; a riguardo vige la disposizione preliminare 16 del Codice Civile: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali. Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere.” Dunque lo straniero gode degli stessi diritti di cui godrebbe il cittadino italiano se andasse nel suo Paese. Se lo straniero acquisisce il permesso di soggiorno, può godere del medesimo trattamento del cittadino. Esiste inoltre un’altra serie di regole che riguarda i cittadini comunitari. Qualsiasi soggetto, però, a prescindere dalla reciprocità, gode dei diritti che spettano ad ogni essere umano. Sesso: È ammesso nel nostro ordinamento (dal 1982) il mutamento del sesso, a cui succederà una sentenza che muterà l’identità del soggetto. Recentemente questa sentenza è stata espansa anche a coloro che non hanno eseguito l’operazione chirurgica. Stato Civile: Pubblicità delle vicende che riguardano gli aspetti fondamentali della persona. È un insieme di qualità rese pubbliche nei quattro registri dello Stato Civile: 1) Nascita 2) Matrimonio 3) Morte 4) Cittadinanza Ciò che è documentato nel registro è considerato provato. Qui possono esserci delle annotazioni (esempio: nel registro del matrimonio può comparire la sentenza di divorzio). Capacità di Agire Questo concetto identifica l’attitudine di un soggetto a compiere attività aventi rilevanza giuridica esso può quindi modificare la propria sfera giuridica. Viene concessa se l’individuo è idoneo a provvedere ai propri interessi. Un soggetto può avere una Capacità Naturale di agire o capacità di intendere e di volere ovvero l’attitudine a capire la natura dell’atto e la volontà di compierlo (non dipende dal diritto) ed una Capacità Legale di agire che viene adottata come criterio standard (idoneità a provvedere ai propri interessi, acquisita con la maggiore età). Nell’articolo 2 del Codice Civile viene descritto il criterio di riconoscimento per la Capacità di Agire: “La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa.” Nell’ordinamento la capacità di agire deve comprendere entrambe le capacità sopra indicate. Esistono però ambiti in cui l’ordinamento tiene conto solo della Capacità Naturale: 1) Responsabilità Civile: Nel risarcimento di una danno a seguito di un fatto illecito è considerato responsabile il solo soggetto capace di intendere e di volere nel momento in cui ha commesso il fatto, anche se non maggiorenne. 2) Rappresentanza (articolo 1389:”Quando la rappresentanza è conferita dall’interessato, per la validità del contratto concluso dal rappresentante, basta che questi abbia la capacità di intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto stesso, sempre che sia legalmente capace il rappresentato. In ogni caso, per la validità del contratto concluso dal rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato dal rappresentato”). Basta quindi che il soggetto rappresentante capisca la natura e qualità dell’atto per poter modificare la sfera giuridica altrui. Incapacità di Agire Mentre non esiste un concetto di “incapacità giuridica” in generale, del tutto ammissibile è ipotizzare l’ Incapacità di Agire nelle sue due accezioni: 1) Incapacità legale di agire: non raggiungimento della maggiore età. 2) Incapacità naturale di agire: incapacità di intendere e di volere. Lo Stato tutela i soggetti incapaci rendendone gli atti annullabili. Questa regola si modula diversamente a seconda del tipo di incapacità riscontrata: Atti compiuti dall’incapace legale: Sono annullabili facilmente (possono essere fatti valere solo nell’interesse dell’incapace), in particolare, qualora si parli di un contratto, non è necessario dimostrare che l’altra parte sapesse dell’incapacità legale del soggetto e non occorre dimostrare che l’atto arrechi un pregiudizio al soggetto stesso. Atti compiuti dall’incapace naturale (con capacità legale): In questo caso abbiamo un soggetto legalmente capace ma che mentre compie un atto non ha la capacità naturale; la regola riguarda la possibilità di annullare l’atto, ma con alcuni presupposti: a) Bisogna dimostrare l’incapacità del soggetto; b) Bisogna dimostrare che l’atto arreca pregiudizio al soggetto (danneggia il soggetto); c) Bisogna dimostrare, in caso di un contratto concluso, oltre al pregiudizio, la malafede della parte contraente. Ciò vale solo per gli atti a contenuto patrimoniale, mentre per gli atti cosiddetti “personalissimi” (come il matrimonio) basta dimostrare solo l’incapacità naturale. Lo stato di Incapacità legale è stabilito dalla legge ed è collegato a tre elementi: 1) Età: Tendenzialmente è considerato incapace legale il minore di anni 18, ma esistono delle ipotesi per cui tale capacità è riconosciuta ad età diverse: Leggi speciali prevedono la capacità legale di prestare il proprio lavoro anche sotto i 18 anni. A partire dai 16 anni si possono compiere atti giuridici relativi ad atti derivanti dal proprio ingegno (come invenzioni e brevetti). A partire dai 16 anni è possibile riconoscere un figlio. A partire dai 16 anni si può contrarre il matrimonio previa autorizzazione del tribunale. Si viene in tal caso definiti minore emancipato, e si ottiene un trattamento giuridico speciale. A partire dai 12 anni si può essere interpellati in tutte le vicende riguardanti la sfera familiare (esempio: affidamento). 2) Condizioni di salute: L’attitudine a provvedere ai propri interessi può essere ostacolata da una situazione di salute patologica del soggetto, come: Infermità mentale grave ed abituale. Soggetti ciechi e sordomuti dalla nascita che non hanno ricevuto una determinata educazione. Soggetti alcolizzati o consumatori abituali di sostanze stupefacenti. Prodighi (soggetti che spendono in maniera smodata il proprio patrimonio). Per le infermità e menomazioni fisiche e psichiche l’ordinamento può prendere provvedimenti provvisori. 3) Condotta morale: Soggetto condannato per reati gravi con reclusione non inferiore ai cinque anni. In questo caso da parte dell’ordinamento, più che una tutela, è una punizione. Incapacità Legale di agire Tradizionalmente si distinguevano due tipologie di incapacità che delineavano diverse Figure di Incapace: Incapacità assoluta: Soggetti che non possiedono l’attitudine a compiere alcun tipo di atto. Incapacità relativa: Soggetti dotati di capacità parziale, quindi sovente ritenuti in grado di compiere atti di ordinaria amministrazione. A partire dal 2004, però, è stata attuata una Novellazione nel I libro del Codice Civile che definisce una nuova figura di incapace, mai caratterizzata da incapacità assoluta, e seguita dal nuovo istituto dell’ Amministrazione di sostegno. Ciò in ossequio all’ideale che l’incapacità assoluta non esiste, ma che esistono incapacità caratterizzate da varie gradazioni. A seconda delle caratteristiche si distinguono diversi tipi di incapace: Il Minore: È considerato Incapace Legale salvo alcune eccezioni. In passato era definito come “incapace assoluto”, si tiene però oggi conto che, maturando, il minore acquisisca l’attitudine naturale, detta capacità di discernimento, consente in via interpretativa di riconoscere la validità di due grandi categorie di atti: 1) Atti della vita quotidiana (es. comprare il giornale, andare al cinema..): Secondo la regola questi atti sarebbero annullabili, per rendere validi questi atti gli studiosi del diritto in passato hanno costruito la giustificazione che questi fossero compiuti in quanto il minore esercita una Rappresentanza Tacita (per la rappresentanza basta solo la capacità naturale di agire) per conto dei genitori. Oggi questi atti sono considerati validi in quanto legati alla capacità di discernimento. 2) Atti riguardanti l’esercizio di diritti inviolabili: I diritti inviolabili prevedono che il soggetto eserciti le forme di tutela in relazione ad essi, perciò le attività legate a questi profili derivano dalla capacità di discernimento (consenso al trattamento medico, orientamento religioso…). L’Interdetto Giudiziale: Sono i soggetti considerati incapaci a causa delle loro condizioni di salute (grave infermità mentale, ciechi e sordomuti dalla nascita che non hanno ricevuto un’adeguata educazione). Tale condizione è accertata davanti al giudice. Poiché non sono in grado di compiere sia atti di natura patrimoniale che atti di natura personale, in passato erano considerati “incapaci assoluti”. Con la novellazione del codice si può ora stabilire che siano previsti aspetti di capacità ristretti ad atti di ordinaria amministrazione, seppur, il più delle volte, accompagnati. Queste capacità possono essere revocate se il soggetto guarisce. Tale interdizione giudiziale viene annotata accanto all’atto di nascita del soggetto. L’Interdetto Legale: In questo caso l’interdizione non ha scopo tutelare, ma ha scopo punitivo verso il soggetto. Egli infatti è stato condannato penalmente all’ergastolo o con una pena detentiva superiore a 5 anni. Tale interdizione colpisce solo la capacità di compiere atti di natura patrimoniale, non gli atti di stampo personale. L’Inabilitato: La condizione di questo soggetto ne turba la capacità, rendendolo parzialmente incapace. Interessa soprattutto malati mentali non gravi, ciechi e sordomuti dalla nascita con una bassa educazione, prodighi e consumatori abituali di alcool e droghe. L’inabilitato perde la capacità legale per quanto riguarda atti di straordinaria amministrazione senza curatore (incapacità relativa). Serve dunque la presenza di un curatore, che non sostituisce l’inabilitato, ma lo assiste. Può essere però indicato che alcuni di questi atti siano compiuti senza la presenza del curatore. In questa categoria rientra anche la figura di Minore Emancipato. Beneficiario dell’amministrazione di sostegno: È la nuova figura nata con la novellazione del 2004: soggetto debole (anche solo in maniera temporanea), in condizione di inferiorità che precludono l’attitudine a compiere determinati atti. Solo per tali atti si individua un amministratore di sostegno che provvede a sostituire o solo ad assistere il soggetto, il quale non ne ha la capacità legale. Questa figura nasce per sostituire le due figure dell’interdetto legale e dell’inabilitato, e probabilmente ciò accadrà in futuro, ma per ora queste figure coesistono, seppur con la predilezione per quest’ultima. Nel 2004 questa figura, poiché di stampo radicale, subentrò nel sistema, ma non sostituì le altre. A tutela degli incapaci legali sono stati istituiti alcuni sistemi di protezione: 1) Responsabilità Genitoriale: Fino a poco tempo fa si parlava di Potestà ( e fino al ’75 si parlava di Patria Potestà, in quanto prevaleva la figura del padre), ma quest’espressione è caduta in disuso, anche grazie alla riforma della Filiazione, in quanto fa emergere un’idea di soggezione del figlio ai genitori. La responsabilità genitoriale si esercita di comune accordo tra i genitori, non si esaurisce con la maggiore età del figlio, e prevede determinate posizioni di diritti-doveri: Cura della Persona: I genitori devono mantenere, istruire ed educare i figli, tenendo conto delle loro capacità, dell’inclinazione naturale, delle aspirazioni dei figli, proteggendone la sicurezza, la salute e la morale e sorvegliandoli. Il figlio non è tenuto ad abbandonare il nucleo familiare. Amministrazione dei beni: Il figlio, fino alla maggiore età, non può gestire autonomamente un patrimonio, che verrà amministrato dai genitori. Per gli atti di straordinaria amministrazione è il giudice a valutarne i permessi specifici. Rappresentanza legale: I genitori sostituiscono il figlio nel compimento di tutti gli atti civili. Usufrutto legale dei beni del figlio: consente ai genitori di percepire i frutti dei beni del figlio, i quali sono però destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli (anche diversi dal titolare dei beni). Qualora esista un conflitto tra i genitori il criterio è paritario e ci si rivolge al giudice, che lascerà la decisione al genitore ritenuto più idoneo a perseguire gli interessi del figlio. Se i genitori hanno comportamenti impropri nei confronti dei figli il tribunale dei minori può prendere provvedimenti, come la privazione dell’usufrutto legale, dell’amministrazione dei beni, o, nei casi più estremi, della responsabilità genitoriale. 2) Tutela: Il giudice tutelare nomina il Tutore per interdetti legali o minori privi di genitori (deceduti o senza responsabilità genitoriale), affiancato, affinché intervenga in caso di conflitti di interessi, dal Pro-Tutore. Il tutore dovrà curare la persona e amministrarne i beni, compatibilmente con le direttive del giudice e a titolo gratuito. La figura del giudice sarà più presente, in quanto il tutore ha meno libertà di movimento (i genitori possono interpellare il giudice per amministrazione straordinaria o conflitti). Il tutore è rappresentante legale dell’incapace, ma non lo può sostituire negli atti personalissimi e in atti che può compiere autonomamente. 3) Curatela: È prevista nei confronti dell’inabilitato. Viene nominato un curatore che fornisce assistenza nel compimento degli atti di straordinaria amministrazione e nell’amministrazione del patrimonio. Il curatore non è mai rappresentante legale, e si limita ad assistere, in quanto il soggetto non è completamente incapace. 4) Amministrazione di Sostegno: Racchiude in sé tutela e curatela. Si applica per soggetti “deboli”, che, per effetto di un’infermità, una menomazione fisica o psichica, si vedono impediti nell’occuparsi dei propri interessi, totalmente o parzialmente. Il giudice, dopo aver esaminato il soggetto, definisce quali siano gli atti che saranno devoluti all’Amministratore di Sostegno (che fa da rappresentante legale) e quali necessitano solo di assistenza. Il soggetto è dunque privato della capacità legale solo per alcuni atti, mentre è libero e autonomo per le esigenze di vita quotidiana. DIRITTI DELLA PERSONA Correlato ad ogni persona umana c’è il bagaglio di diritti che prescindono da tutto il resto, poiché vengono assicurati a tutti in quanto persone. La nostra Costituzione è intrisa di un ideale personalistico, secondo cui ciascun soggetto deve realizzare pienamente la sua personalità. Il Codice Civile, benché sia stato novellato nel 1942, mantiene un’impronta ottocentesca, con una visione patrimonialistica del diritto privato (destinato a regolare rapporti di carattere economico). Sono qui infatti pochi i diritti esposti che riguardano la persona, diritti che vengono maggiormente trattati nel diritto pubblico. A partire dagli anni ’70 si avverte l’esigenza di garantire la protezione della persona anche a livello del rapporto di diritto privato (conflitti di carattere individuale su un piano di parità). I principi di base che governano questa materia sono enumerati nella Costituzione, precisamente nella sua prima parte (Principi Fondamentali), attraverso i diritti inviolabili, che non sono attribuiti, ma riconosciuti: Articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Nel nostro ordinamento ci sono due opinioni di fondo sull’attribuzione di questi diritti: Teoria Monistica: Esiste un unico grande diritto generale che comprende tutti i diritti della personalità. Teoria Pluralistica: Esistono molti diritti inviolabili da riconoscere. Questa è la teoria prediletta dal nostro ordinamento. Si ritiene che l’elenco dei diritti riconosciuti nell’articolo 2 della Costituzione sia un elenco aperto, in quanto qualsiasi nuovo diritto vi si può agganciare, con nuove espansioni continue. Le Fonti della tutela dei diritti della personalità sono frammentarie e sparse in diversi ambiti: 1) Costituzione 2) Fonti di rilevanza internazionale, come la Carta di Nizza (2009) per l’Unione Europea 3) Convenzione Europea dei diritti dell’uomo 4) Norme Penali 5) Codice Civile 6) Leggi Speciali I Diritti della Personalità hanno la veste di diritti soggettivi assoluti, in quanto possono essere fatti valere ovunque e non possono essere revocati. Essi sono innati (vengono acquisiti appena la persona nasce), intrasmissibili (si estinguono solo quando si estingue la persona), imprescrittibili (non si perdono se non vengono esercitati) e caratterizzati dal principio di Indisponibilità (il soggetto non può privarsi di questi diritti in maniera totale e definitiva; si può disporre dei diritti altrui, ma in maniera limitata e senza mai interferire con la dignità della stessa). Per questi diritti va privilegiata una tutela di carattere preventivo, che impedisca che una potenzialità lesiva sia posta in essere. La sentenza che tutela il diritto lo reintegra qualora la tutela preventiva non sia riuscita ad impedire la lesione, attraverso un risarcimento, diretto a coprire sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale. Un ulteriore tutela risiede nella pubblicazione della sentenza di condanna, ovvero viene pubblicata la sentenza di colui che ha violato i diritti della personalità altrui. Diritti della Personalità 1) DIRITTO ALLA VITA: È un diritto talmente importante che nella Costituzione viene dato per scontato. La sua esplicitazione sta nella Carta di Nizza. A riguardo viene affrontata una tutela di carattere civile e penale. Questo diritto ha rilevanza pubblicistica e l’indisponibilità è intesa in senso assoluto: non è possibile esercitare controllo sul diritto altrui. Sul piano civilistico c’è tuttora un dibattito: una lesione a questo diritto provoca la morte, e si ammette risarcimento solo per l’intervallo di tempo intercorso tra lesione e decesso, se la vittima muore immediatamente non viene fornito risarcimento. 2) DIRITTO ALLA SALUTE: Ciascuna persona si vede garantito il diritto all’integrità psico-fisica. Ne parla la Costituzione all’articolo 32:”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Questo diritto è stato con il tempo riconosciuto come primario e assoluto, in grado di coprire anche l’ambito dei rapporti privati (dalla metà degli anni ’70). Ha valenza anche sul piano pubblicistico. Quando il diritto alla salute viene aggredito da terzi la lesione è tutelata dal risarcimento del danno biologico. Esso viene tutelato anche a fronte delle determinazioni pregiudizievoli riguardanti atti lesivi che può compiere lo stesso titolare del diritto (per l’articolo 5 del Codice Civile: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.”. È dunque vietato diminuire permanentemente anche la propria integrità psicofisica (in via legislativa sono previste eccezioni, come espianto di organi non vitali o il mutamento del sesso), con atti anche contrari alla legge (esempio: aborto non autorizzato), contrari all’ordine pubblico e contrari al buon costume (esempio: utero in affitto). Tutti i trattamenti subiti devono basarsi sulla regola del Consenso Informato. A tal proposito dall’articolo 32 si evince il concetto di Autodeterminazione, per cui ogni soggetto decide della propria sorte con riguardo all’esercizio di ciascun diritto. Nel corso di questi anni questo concetto sta assumendo anche la caratteristica di diritto alla gestione del proprio corpo, su cui si fonda il diritto della protezione della persona in situazioni come il trattamento medico: se si viene sottoposti ad un trattamento medico senza l’autorizzazione informata, a livello civilistico è stata violata la figura del diritto autonomo all’autodeterminazione (a meno che non si parli di TSO). Ciò ha portato ad un dibattito tuttora esistente, il quanto questo diritto implica anche la possibilità di rifiutare un trattamento medico (dubbio nato da casi come il mantenimento in vita artificialmente). Il trattamento può essere compiuto anche dopo il decesso del soggetto (come l’espianto degli organi), compatibilmente con le sue ultime volontà. Quando un soggetto formula delle indicazioni su possibili situazioni in cui essa non avrà le capacità di decidere su attuazione o rifiuti di trattamenti si parla di Direttive Anticipate, che non hanno ancora valenza giuridica, e le decisioni in merito sono dunque lasciate alla discrezione del medico. Il problema del trattamento biologico non ha trovato soluzione nel nostro Ordinamento. 3) DIRITTO AL NOME: Definito nell’articolo 7 del Codice Civile: “La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni. L’autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali.” Il nome è il mezzo necessario per individuare una persona, e deve dunque essere tutelato. Nell’articolo 9 si estende il medesimo metodo di protezione anche allo pseudonimo, laddove esso abbia acquisito la medesima importanza del nome: “Lo pseudonimo, usato da una persona in modo che abbia acquistato l’importanza del nome, può essere tutelato ai sensi dell’articolo 7.”. La tutela avviene dunque nei casi di: a) Reclamo: Reagisce alla contestazione da parte di un terzo di utilizzare un certo nome (esempio: acquisizione del cognome dai genitori). b) Usurpazione: Reagisce quando il nome viene usato in modo indebito e pregiudizievole da un terzo, che, o se ne appropria, o lo attribuisce ad un soggetto all’interno di un’opera letteraria, teatrale, cinematografica (in maniera però contemperata al diritto di esprimere il proprio pensiero). 4) DIRITTO ALL’IMMAGINE: Inizialmente proteggeva la rappresentazione delle sembianze fisiche del soggetto. Su di essa il diritto è regolato dall’articolo 10 del Codice Civile: “ Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.”. L’articolo si basa fondamentalmente sul consenso di utilizzo della propria immagine, ma esistono casi dove l’interesse del singolo viene sacrificato per l’interesse della collettività, e dove, dunque, il consenso perde valore: a) Notorietà della persona per ufficio pubblico: Un personaggio famoso o che compie un ufficio pubblico può vedere la propria immagine pubblicata anche senza il proprio consenso. b) Caso di giustizia o di polizia: Persone ricercate dalla polizia. c) Interessi e cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico: Esempio: foto della folla in un evento pubblico (concerto, incidente…): la pubblicazione di questa foto non richiede il consenso degli individui nella folla. Queste eccezioni devono però essere sempre prive di scopo di lucro (per il quale è sempre necessario il consenso del soggetto) e non devono essere lesive del decoro e della reputazione. Se il consenso, in questo caso, non viene interpellato, il soggetto va risarcito (la misura del risarcimento è più facile per un soggetto notorio). Legato al discorso dell’immagine è il discorso sull’assunzione (dovuta agli interpreti del diritto) da parte del concetto di “Immagine” di una valenza più ampia, comprendendo il piano morale, sociale ed intellettuale. Nel nostro ordinamento, però, questa estensione non ha avuto luogo ed è tutelata in un diritto autonomo e distinto. 5) DIRITTO ALL’IDENTITÀ PERSONALE: Si fa qui riferimento all’identità morale, intellettuale e sociale. Questo diritto garantisce che la persona si veda riconosciuta la paternità delle proprie azioni e che non si veda riconosciuta la paternità delle azioni che non ha commesso. In Italia nasce all’inizio degli anni ’70 con un caso particolare: una coppia di agricoltori dà il proprio consenso ad essere fotografata per una rivista; quest’immagine fu però usata ai fini propagandistici contro il divorzio. La coppia, in realtà, era favorevole al divorzio, quindi era stata loro disconosciuta l’espressione della propria identità personale. Le notizie di cui si parla in questo diritto non sono notizie disonorevoli, per le quali esiste un diritto distinto. Si discute tuttora su questa sfera di protezione, in quanto questa rischia di collidere con la diffusione dei dati. Per la Legge sul Trattamento dei Dati Personali se una notizia in una banca dati non corrisponde al vero abbiamo il diritto a controllarla e ad ottenerne le rettifiche. Dunque il diritto all’identità personale protegge dalla circolazione di notizie false, benché non disonorevoli. 6) DIRITTO ALL’INTEGRITA’ MORALE: Interviene quando le notizie in circolazione pregiudicano l’onore e la reputazione del soggetto (la protezione è anche a livello penalistico). Le norme reagiscono sia ad atti di Ingiuria (che provocano disonore) e di Diffamazione (che rovinano la reputazione). Ciò che confligge, e che va quindi bilanciato con questo diritto è il Diritto di Cronaca (articolo 21 della Costituzione): se una notizia è lesiva alla reputazione, ma vera, può essere diffusa compatibilmente a determinate condizioni. Il risarcimento in caso di diffamazione è molto esoso, e copre anche danni non patrimoniali (non è ancora stato formalizzato nell’ordinamento). 7) DIRITTO ALLA RISERVATEZZA: Fa riferimento ad un aspetto della personalità che ha avuto evoluzioni nel tempo: il nucleo primigenio riguarda una zona di intimità in cui si ha diritto ad essere lasciati soli, decidendo chi può o non può accedervi. Riguarda anche un’espressione più vasta: il controllo sulle informazioni che ci riguardano, che non necessariamente sono dati intimi. Questo diritto nasce negli anni ’50 con la diffusione delle fotografie. Nel corso del tempo è sorsa la necessità di proteggere la riservatezza anche su un piano più vasto: oggi esistono le banche dati; se non ci fosse una tutela, i nostri dati potrebbero essere utilizzati per scopi lucrativi. Questi possono essere anche aspetti riservati ed intimi (Dati Sensibili). La Riservatezza protegge anche i dati meno intimi, perciò i sistemi che li manipolano sono governati da regole di valenza civilistica. Concetto di Dignità: La Carta di Nizza si apre con l’indicazione che la dignità umana è fondamentale. Il dubbio è se la dignità sia un distinto aspetto della personalità, con un diritto a sé stante. Nel Documento non si parla di diritto alla dignità letteralmente, in quanto la pretesa al suo rispetto non rappresenta un diritto come gli altri, in quanto la dignità è un valore trasversale, comune a tutti gli altri diritti: ogni espressione della persona deve essere commensurata alla luce di questo criterio fondamentale (es. viene violato il diritto alla dignità nel caso di un licenziamento per assenza dal posto di lavoro per morte del figlio; in questo caso il licenziamento viene revocato). PERSONE GIURIDICHE Con il termine “Persona Giuridica” il legislatore si riferisce ad una pluralità di fenomeni, che trovano disciplina in diverse parti del Codice Civile e in altre fonti normative. Le persone giuridiche sono organizzazioni autonome portatrici di interessi di carattere collettivo. Non tutti questi gruppi di individui sono Soggetti di Diritto (non lo è, ad esempio, la famiglia). C’è tra le persone giuridiche e le persone fisiche un’equiparazione a livello formale, che funge da schermo. La pluralità di individui dà vita ad un’organizzazione per perseguire una finalità lecita. La principale classificazione distingue: ENTI PUBBLICI: La Legge stessa si dà determinate strutture per soddisfare gli interessi della collettività, rispetto alla quale il singolo è in posizione di soggezione. È oggetto di studio del Diritto Privato. ENTI PRIVATI: Sono costituiti attraverso l’espressione di volontà dei singoli (non della legge) che persegue scopi ed interessi particolari (anche di carattere pubblico, ma sempre regolati dal Diritto Privato). La possibilità di aggregarsi liberamente senza autorizzazione per fini non illeciti deriva dall’articolo 18 della Costituzione (“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.”). Sono fondamentalmente due le categorie di scopi degli enti privati: 1) Scopo di Lucro: Organizzazioni per ottenere un vantaggio patrimoniale. È regolamentato nel Diritto Commerciale (V libro del Codice Civile). 2) Scopo No-Profit: È oggetto di studio del Diritto Civile (I libro). Sono enti che perseguono scopi ideali, senza trarne profitto economico. Si distinguono in: a) Enti Riconosciuti: Associazioni e Fondazioni. b) Enti Non Riconosciuti: Associazioni non riconosciute e Comitati. È l’ordinamento ad attribuire la Soggettività Giuridica a queste organizzazioni, e lo fa sulla base di tre elementi: Pluralità di Persone Fisiche Presenza di un Patrimonio Scopo da perseguire (istituzionale, che può essere di lucro o ideale) L’ente collettivo si dice dotato di soggettività giuridica quando è un soggetto distinto dai suoi membri. Se è un soggetto dell’ordinamento sarà dotato di: Capacità Giuridica: Definisce il centro autonomo di imputazione di diritti e obblighi. La capacità giuridica non è legata allo scopo dell’ente, perciò diritti e obblighi sono senza limitazioni; tra i diritti troviamo anche il diritto al nome e il diritto alla personalità (non troviamo diritti tipici della persona umana, come il diritto alla salute). Capacità di Agire: L’ente agisce attraverso gli organi che si è dato per funzionare. È l’attitudine del soggetto a modificare la propria sfera giuridica. Ogni organo ha determinate competenza ed ogni atto è imputato al singolo componente. Il Patrimonio è inteso come complesso di rapporti attivi e passivi ed è assoggettato alle vicende giuridiche messe a capo dall’ente stesso. Esso è autonomo, quindi distingue l’ente dalle persone fisiche che lo compongono. L’autonomia patrimoniale può essere di vario grado, a seconda della responsabilità in caso di debiti: Autonomia Patrimoniale Perfetta: L’ente ha un patrimonio del tutto insensibile alle vicende che riguardano il patrimonio dei singoli partecipanti e viceversa. Nel caso di debiti ne risponderà solo l’organizzazione, e non i suoi membri. I creditori possono rivalersi quindi solo sul patrimonio dell’ente. Autonomia Patrimoniale Imperfetta: Il patrimonio è comunque autonomo, quindi distinto da quello dei partecipanti, ma, se non è sufficiente a far fronte ai debiti dell’organizzazione, la regola di responsabilità per debiti coinvolge anche il patrimonio dei partecipanti. Non tutti i soggetti giuridici sono però Persone Giuridiche, caratteristica tipica di enti caratterizzati da un’autonomia patrimoniale perfetta, sia a scopo di lucro che a scopo no-profit. Sono invece soggetti giuridici anche le organizzazioni con autonomia patrimoniale imperfetta. Sui metodi di acquisto della personalità giuridica ci sono due sistemi differenti, a seconda dello scopo: 1) Sistema Normativo: Riservato ad enti con scopo di lucro. Questi acquistano la personalità giuridica semplicemente adottando gli schemi della costituzione di Società di Capitali. Ciò porta automaticamente all’iscrizione nel registro delle imprese, diventando subito persone giuridiche. Per gli enti a scopo di lucro c’è sempre stata un’ottica di favore, con meno controlli, in quanto ritenuti attività profittevoli che non trattengono solo ricchezza, ma che la investono (a differenza degli enti no-profit). 2) Sistema Concessorio: Riservato ad enti no-profit e regolato dall’articolo 12 ( “Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del presidente della Repubblica. Per determinate categorie di enti che esercitano la loro attività nell'ambito della provincia, il Governo può delegare ai prefetti la facoltà di riconoscerli con loro decreto.”). In origine il sistema prevedeva che l’acquisto della personalità giuridica fosse attribuita per concessione del Presidente della Repubblica. Questa regola fu abrogata nel 2000 e sostituita con un sistema di riconoscimento mediante l’iscrizione ad un registro delle persone giuridiche tenuto presso le prefetture (o presso la Regione per enti di carattere locale). Per ottenerla bisogna soddisfare i seguenti requisiti: Scopo possibile e lecito Patrimonio adeguato al perseguimento dello scopo Permane una quota di discrezionalità nel concetto di “adeguatezza” del patrimonio, fortemente alleviata rispetto al passato, in cui i controlli erano qui pervasivi e continui. Oggi i due sistemi sono così simili che si parla di “sistema quasi normativo”. Associazioni Sono organizzazioni di persone attraverso cui una pluralità di persone fisiche perseguono uno scopo comune di carattere non economico, avvalendosi di un patrimonio comune. Si costituiscono attraverso un Contratto Plurilaterale (scelta autonoma di tutti i partecipanti). In generale il contratto è aperto anche a nuovi associati. Per ottenere il riconoscimento, questo contratto deve essere redatto in forma di atto pubblico. Le figure partecipanti sono dette Associati, che hanno il diritto di accedervi o di uscirvi: Accesso di associati: Gli associati originari stabiliscono le regole di accesso di un nuovo membro. Non esiste un diritto del singolo che induca a pretendere l’accoglimento nell’associazione, tranne in alcuni casi particolari (partecipazione passiva a partiti politici). Uscita di associati: Se un associato esce non ha la possibilità di riottenere quanto immesso nel patrimonio, in quanto visto come elargizione a fondo perduto. L’uscita può avvenire: a) Per scelta del singolo: Esercitazione del diritto di recesso: a meno che il soggetto non sia obbligato a restare temporaneamente (ci si può vincolare a restare per un certo periodo), anche se comunque è ammesso il recesso per giusta causa. Non c’è invece alcun vincolo per associazioni che rappresentano ideali (partiti politici, enti religiosi). b) Esclusione del singolo: Può avvenire solo per motivi gravi (mancato pagamento della quota, indennità, venir meno di una condizione posta per appartenere alla società). Le condizioni di appartenenza sono scritte nell’Atto Costitutivo assieme al nome e al patrimonio. Ad esso è legato lo Statuto, ossia l’insieme delle regole (raccolte nelle Tavole della Legge) e lo scopo dell’associazione. Gli organi dell’Associazione sono: 1) Assemblea: Riunisce gli associati, ha il potere legislativo e può essere rappresentata dai delegati. 2) Amministratori: Hanno il potere esecutivo e governano l’ente per perseguire lo scopo sociale alla luce delle indicazioni dell’Assemblea. Nel vecchio sistema la vita dell’assicurazione si sviluppava sotto il controllo della pubblica amministrazione. Addirittura esistevano atti che l’Associazione poteva compiere solo con l’autorizzazione della pubblica amministrazione, come: Acquisto di beni immobili Accettazione di donazioni Accettazione di lasciti testamentali Dal 2000 non è più necessario richiedere tali autorizzazioni. Associazioni non riconosciute Hanno le medesime caratteristiche strutturali delle Associazioni, con la differenza che non hanno richiesto il riconoscimento, dunque non sono considerate persone giuridiche, e perciò non hanno autonomia patrimoniale perfetta. D’altro canto godono della libertà dai controlli pubblici (anche in passato) e dal regime di pubblicità, inoltre non si vedono applicate le regole delle persone giuridiche. Dei debiti che il patrimonio dell’organizzazione non riesce a coprire non rispondono gli associati (che hanno solo l’impegno di versare il contributo di associazione), e nemmeno gli amministratori (che, tra l’altro, poiché non esiste un regime di pubblicità, non sono nemmeno conosciuti), bensì ne risponde la persona che agisce in nome e per conto dell’ente (che può non avere ruolo amministrativo). L’assenza di controlli governativi ha fatto sì che la forma di associazioni non riconosciute abbia conosciuto larghissima diffusione e rilevanza (anche con enti molto importanti come partiti politici e sindacati). In passato al vantaggio di non subire controlli si accostava lo svantaggio di non poter acquisire beni immobili e accettare doni e lasciti testamentali senza autorizzazione. Dal 1985 si rese possibile l’acquisizione dei beni immobili e dal 2000 non fu più necessario richiedere l’autorizzazione per ottenere doni e lasciti testamentali. Fondazioni È l’istituzione creata da uno più fondatori (rimangono estranei all’ente), attraverso un atto pubblico o testamento, i quali destinano un patrimonio per uno scopo socialmente rilevante avente natura culturale, scientifica… Mentre nell’Associazione rimane rilevante la volontà degli associati (accordo tra più persone), nella Fondazione è determinante la sola volontà del fondatore, in quanto nasce con un atto unilaterale, e dunque con il suo patrimonio. Lo scopo può essere modificato solo se diventa impossibile per qualche motivo. L’autorità amministrativa cambierà lo scopo allontanandovisi il meno possibile. L’unico organo presente è il Consiglio di Amministrazione, non c’è dunque il controllo dell’assemblea; questo è però esercitato dall’autorità governativa. Il patrimonio può essere destinato alla costituzione dell’ente o attraverso un atto pubblico o per testamento. L’acquisizione del connotato di Persona Giuridica avviene mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche. Comitati Sono organizzazioni che uniscono un gruppo di persone per raccogliere fondi da impiegare per uno scopo temporaneo. Questo scopo costituisce un vincolo di destinazione, perciò non è modificabile. L’autonomia patrimoniale è imperfetta: alle obbligazioni rispondono personalmente e solidalmente tutti i componenti del comitato. Questo obbligo non esiste per i sottoscrittori (che versano solo i fondi). Nonostante gli schemi normativi siano rimasti improntati all’ideale ottocentesco, oggi si sta lavorando per modificarne la struttura. La lista sopra scritta esaurisce completamente le possibili distinzioni degli enti no-profit, anche se in futuro, probabilmente, questo schema cambierà. TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE Per ogni ordinamento è fondamentale garantire l’attuazione della tutela dei diritti e delle situazioni giuridiche soggettive: i diritti devono essere realizzati sul piano concreto. Un sistema giuridico si avvicina tanto di più all’effettività, quanto più riesce a: Prevenire le liti, rendendo agevole e conveniente la spontanea attuazione delle regole di diritto. Risolvere efficacemente la lite insorta, e assicurare l’attuazione coattiva del risultato, che la regola vuole realizzare. È fatto divieto di autotutelarsi privatamente. Se una posizione giuridica è stata violata bisogna provarlo. Il sistema di tutela dei diritti è regolamentato nel VI libro del Codice Civile. Per ovviare ai problemi dell’incertezza delle situazioni giuridiche vengono forniti strumenti come: 1. Mezzi di Pubblicità 2. Istituti di Prescrizione e Decadenza Pubblicità È l’insieme degli strumenti che il legislatore predispone per rendere un certo fatto o un atto giuridico conoscibile. A seconda delle finalità assume tre forme: 1) Pubblicità Notizia: Nasce per rendere conoscibile sul piano legale un determinato fatto (es. a lato dell’atto di nascita viene annotato se un soggetto è interdetto, inabilitato…). 2) Pubblicità Dichiarativa: L’atto è reso conoscibile, ma anche trascritto per renderlo opponibile nei confronti dei terzi. Se l’atto non è reso pubblico, non è opponibile ai terzi (es. se non viene trascritto un contratto di compravendita immobiliare non si hanno documenti che ne provano l’acquisto, quindi in caso di controversia non si ottiene la tutela). 3) Pubblicità Costitutiva: Condiziona la nascita stessa del diritto. In assenza di questa pubblicità il diritto non esiste nemmeno, in quanto non viene iscritto. Istituti di Prescrizione e Decadenza In alcuni casi, per dare certezza a certi rapporti esiste anche una rilevante incidenza del decorso del tempo. Si rileva all’interno di due istituti: 1) Prescrizione: Regolata dall’articolo 2934 del Codice Civile: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge.” Per esigenza di certezza, si fa estinguere un diritto se questo non viene esercitato per un certo periodo (se, infatti, un soggetto non esercita un diritto, si può pensare che questi non lo eserciterà nemmeno in futuro). Alla base esistono anche altre esigenze (alcune delle quali atte a favorire l’impiego produttivo della ricchezza). L’inerzia del titolare del diritto viene sfavorita rispetto ad altri soggetti che in relazione a tale diritto hanno un obbligo, che viene perciò sciolto. Esistono però diritti imprescrittibili, come i diritti della personalità (diritti indisponibili) o altri diritti indisponibili come il diritto al mantenimento (di carattere patrimoniale) o altri come il diritto di proprietà. I termini di prescrizione sono stabiliti dal legislatore, quindi vale il principio di Inderogabilità: il legislatore ne stabilisce sia i termini che i casi, che non possono essere modificati dai singoli. È possibile rinunciare alla prescrizione: chi aveva un obbligo legato ad un diritto verso un terzo, quando viene prescritto, si vede sciolto tale obbligo, ma può decidere di rinunciare alla prescrizione, accogliendo comunque l’obbligo (es. un creditore non riscuote entro un certo periodo, perciò il credito va in prescrizione; il debitore, che ora non è più tale, può decidere di rinunciare a tale prescrizione, pagando comunque il proprio debito). La rinuncia può avvenire anche in maniera tacita (es. il debito va in prescrizione, ma il debitore chiede una dilazione di pagamento al creditore: ciò implica tacitamente che il debitore vuole ancora pagare il proprio debito, quindi manifesta implicitamente la volontà di rinunciare alla prescrizione). La legittimazione alla rinuncia spetta solo all’interessato, quindi la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il termine della prescrizione inizia da quando il diritto inizia ad essere fatto valere. Ci sono però momenti in cui l’inerzia è giustificata, e perciò è prevista la Sospensione della prescrizione: il tempo di inerzia giustificata blocca temporaneamente il corso di prescrizione. La giustificazione avviene generalmente per: Esistenza di determinati rapporti tra le parti: Per determinati rapporti tra le parti il diritto può non essere esercitato, in quanto incompatibile con il rapporto che si ha con un soggetto (esempio: diritti fra coniugi, tutore e pupillo, persone giuridiche e loro amministratori). Particolare condizione del titolare, che, in certe situazioni, non si trova nella condizione di esercitare un diritto (esempio: incapace legale privo di rappresentante, militare in servizio in tempo di guerra). L’opinione maggioritaria ritiene che queste cause siano tassative, quindi non ammettono analogie. Ulteriore regola riguardante la prescrizione è quella dell’ Interruzione, che avviene quando cessa lo stato di inerzia: quando è esercitato il diritto la prescrizione si interrompe, purché sia notificato un atto con cui si attesta che il diritto è stato esercitato (es. si costituisce in mora il debitore; in tal caso il diritto di credito è esercitato). La prescrizione si può interrompere anche se il titolare dell’obbligo riconosce il diritto al soggetto che ne è titolare. Ogni volta che non sia previsto diversamente si applica il termine ordinario di Dieci Anni. Si parla di Prescrizioni Brevi qualora il termine sia inferiore ai dieci anni (es. fatto illecito con responsabilità civile per cinque anni, fatto illecito verso un sinistro stradale per due anni). Per alcuni diritti è previsto un termine più lungo dei dieci anni: vent’anni per i Diritti Reali Minori (es. servitù di passaggio). Le Prescrizioni Brevi non sono da confondere con le Prescrizioni Presuntive: posizioni regolate dalla legge che possono essere estinte in breve tempo. Questo istituto non opera in termini di prescrizione, ma attraverso la modifica dell’Onere della Prova; decorso il termine il diritto non si estingue ma si presume che si sia estinto (es. se un professionista non esercita la propria professione per tre anni, dopo questo periodo la prestazione è considerata comunque effettuata. Se ciò non è avvenuto bisogna fornire la prova contraria, con mezzi ristretti: potrà dimostrare che la prestazione non è stata eseguita soltanto tramite il giuramento del debitore). 2) Decadenza: Alla base della decadenza sta la necessità obiettiva che l’esercizio del diritto sia compiuto entro un termine perentorio, senza riguardo alle circostanze subiettive che abbiano determinato l’inutile decorso del termine. La differenza con la prescrizione sta nella rigidità del concetto di decadenza, che non tiene conto dei fattori soggettivi, e nel fatto che alla decadenza non si applicano le norme relative all’interruzione e alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti. Può essere evitata esclusivamente compiendo l’atto previsto dalla legge o dal contratto, o tramite il riconoscimento del dovere legato al titolare del diritto. Il periodo di tempo è di regola breve (questo aspetto è quello che differenzia maggiormente la decadenza dalla prescrizione). I termini possono essere stabiliti dalla legge in relazione a diritti di qualsiasi genere (disponibili e indisponibili). Questi termini possono essere stabiliti per via contrattuale, purché questo termine non renda troppo difficile l’esercizio del diritto. Le regole stabilite dalla legge potranno essere derogate (modificate) dalle parti solo per diritti disponibili. PROCESSO CIVILE Nell’ordinamento devono esistere degli strumenti che garantiscono l’esercizio di un diritto, fatto valere verso terzi, talvolta anche in maniera coattiva. Questo non può però avvenire in maniera privata, sotto forma di autotutela. Il titolare del diritto può tutelarsi in via giurisdizionale, attraverso l’apparato giudiziario. Al titolare del diritto spetta l’ Azione in Giudizio, in particolare la situazione giuridica riconosciuta al titolare del diritto è detta Legittimazione ad Agire, che rende possibile esercitare il diritto. Questa è un’Azione, intesa come la possibilità di far valere in giudizio il proprio diritto. Il soggetto che vuole esercitare l’Azione in Giudizio è detto Attore. Il soggetto contro cui l’azione è rivolta è detto Convenuto, verso il quale l’Attore vuole far valere il proprio diritto. Il Convenuto può interrompere l’azione facendo valere dei fatti in modo da far venir meno la pretesa dell’Attore. Il mezzo utilizzato in tal senso è l’Eccezione; inoltre, quando il Convenuto non si limita ad Eccepire, può anche contrapporre una domanda relativa alla medesima situazione, chiamata Domanda Riconvenzionale (esempio: Siano il creditore l’attore e il debitore il convenuto, che ha acquistato un bene presso il creditore con dilazione di pagamento: Il creditore può fare causa al debitore per mancato pagamento, agendo in giudizio, ma il debitore può eccepire che il bene in questione fosse difettoso e può richiedere, in forma di domanda riconvenzionale, di essere risarcito, rigirando così la causa verso il creditore). Nel processo civile operano due principi di base: 1) Iniziativa di Parte: Solo il soggetto interessato può decidere se fare o no un’azione in giudizio, in quanto solo quest’ultimo è legittimato ad agire: nessuno può sostituirvisi. Da questo principio discendono due corollari: a) Divieto di Ultra-Petizione: Il giudice si deve limitare a dare una sentenza che si attinente solo alla domanda, senza procedere oltre (principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per esempio, se chiedo 10000 il giudice non mi può dare 15000). b) Principio Dispositivo: Il giudice deve decidere sulla base delle prove portate dalle parti. Deve basarsi solo su ciò che è stato portato in giudizio. È quindi il titolare del diritto a doversi impegnare per far valere il proprio diritto. 2) Principio del Contraddittorio: Entrambe le parti devono essere messe nella condizione di far valere le loro ragioni. Ciascuna delle parti deve dare prove e controprove, dispiegando l’intera attività processuale. MEZZI DI PROVA Quando nasce una lite, il giudice è investito della domanda di una parte: egli deve concludere il processo con una decisione che dia ragione o dia torto all’attore, cioè che accolga o respinga la domanda. Spetterà alle parti di dimostrare l’esistenza dei fatti che sono determinanti per la soluzione della controversia. La questione è risolta dalla regola dell’Onere della Prova, descritta nell’articolo 2697 del Codice Civile: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.” La regola sulla distribuzione dell’onere della prova non è senza eccezioni. In alcuni casi l’ordinamento giuridico tende a “favorire” un interesse, trasferendo l’onere della prova sull’altra parte, che quindi supporta un maggior rischio: si parla in questo caso di Inversione dell’Onere della Prova. Questa eccezione può essere anche attuata dalle stesse parti (solo per diritti disponibili), rispettando il principio di non rendere troppo difficile l’esercizio di un diritto per una delle parti. I mezzi di prova sono forniti dal legislatore e si dividono in due categorie: 1) Prove Documentali: La prova è affidata ad un mezzo materiale che serve da documento di un fatto o di un atto (uno scritto, una fotografia, una riproduzione meccanica, una registrazione audio o video, un rilievo scientifico di dati). Esse sono precostituite, in quanto ne è possibile la predisposizione ai fini di una futura necessità di prova. 2) Prove Semplici: Non sono precostituite e si formano nel corso della causa. Sono la testimonianza, il giuramento, la confessione resa in giudizio, l’ispezione, la perizia e la presunzione semplice. Le prove sono valutate liberamente dal giudice, tuttavia, in alcuni casi previsti dalla legge, il giudice è vincolato a considerare provati alcuni fatti, dandoli per scontati; si parla in questo caso di Prova Legale. I principali mezzi di prova sono: Atto Pubblico: Documento redatto da un pubblico ufficiale (principalmente un notaio), che ne attribuisce pubblica fede. È una prova legale, per cui si dice che “fa piena prova”: a) Della provenienza del documento; b) Delle dichiarazioni delle parti: si considera provato solo che la dichiarazione è avvenuta, non che la dichiarazione sia vera. c) Di tutti i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. La “pienezza” della prova significa che il giudice è vincolato a riconoscerne la veridicità. L’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso. Scrittura Privata: Non c’è un pubblico ufficiale, ma il documento è redatto e firmato dalla parte (o dalle parti). Questo fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni ivi effettuate. È indispensabile che colui per cui la scrittura è prodotta ne riconosca la provenienza propria. Se tale riconoscimento non avviene bisogna provare per via legale che la firma non è avvenuta. Se entro la prima udienza non si disconosce la sottoscrizione, questa si dà per acclarata. Per ovviare a problemi di riconoscimento si può redigere una scrittura privata autenticata, ossia un documento redatto dalle parti, ma autenticato da un pubblico ufficiale, che si limita a suggellare il documento. Le funzioni della scrittura privata possono essere estese al documento informatico. Un altro problema della scrittura privata può essere l’effettività della data del contratto, che non è mai certa. Questo problema non sussiste se la scrittura è autenticata, o si può risolvere con la registrazione o con la validazione temporale (per vie informatiche) o con mezzi indiretti come il timbro postale o la morte del soggetto. Testimonianza: Consiste nelle dichiarazioni rese al giudice durante un interrogatorio da parte di un testimone che conosce i fatti per via diretta. Per questa prova sono previsti dei limiti, in particolare: a) Un limite ormai superato riguarda i contratti il cui valore non superi le lire 5000. b) Un limite riguarda il documento ove la stipulazione è stata temporanea: la prova per testimone di un patto aggiunto dopo la stipulazione del contratto o contro di esso non è ammessa a meno che le aggiunte non siano eccessive o in maniera documentale. Ci sono poi casi in cui la prova per testimoni è sempre ammessa: Quando c’è un principio di prova per iscritto. Quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di fornire una prova scritta. Quando il contraente smarrisce la prova senza colpa. Presunzioni: Da un fatto noto si pensa di dedurre un fatto ignoto. Si tratta di conseguenze che le leggi o il giudice traggono da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto. Possono essere: 1) Presunzione Semplice: Il giudice ha di fronte dimostrati determinati fatti, da cui può trarre conclusioni non dimostrate. Questa deduzione deve essere fondata su circostanze gravi, precise e concordanti. 2) Presunzione Legale: Il legislatore, dimostrato un certo fatto, considera provato anche un altro fatto ignoto. Può essere: a) Assoluta: Non ammette prova contraria. b) Relativa: Non è sempre possibile dimostrare il contrario della deduzione operata dal legislatore. Confessione: Dichiarazione che la parte fa sulla verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. Può essere: 1) Confessione Giudiziale: Avviene in giudizio e costituisce prova legale. 2) Confessione stra-giudiziale: Non avviene in giudizio, è considerata prova legale se è fatta dall’altra parte o da chi la rappresenta. Se invece è fatta ad un terzo o in testamento è liberamente apprezzabile dal giudice. Giuramento: Quando non si riesce a dimostrare la verità di un fatto una parte viene chiamata a giurare sulla verità o meno di un certo fatto in una forma solenne e impegnativa davanti alla legge. Può essere: 1) Decisivo: Viene deciso sulla base di un certo fatto (elemento centrale su cui giurare). Il giuramento può essere deferito quando una parte chiama l’altra a giurare; se quest’ultima non giura perde la causa. Il giuramento, estrema ratio, è considerato prova legale. Nel caso di falso giuramento, se la sentenza è già stata emessa, quest’ultima non si può revocare, ma ci saranno conseguenze di carattere penale e civilistico (risarcimento del danno). 2) Suppletorio: Integra mezzi di prova che già esistono. DIRITTI REALI E POSSESSO I BENI Nel III libro del Codice Civile non sono presenti soltanto diritti di proprietà, ma anche diritti che regolano i beni in senso giuridico: le loro regole aprono il terzo libro. L’ordinamento si occupa dei beni in quanto ne vengano riconosciute le protezioni. I beni sono definiti nell’articolo 810 del Codice Civile: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”. Nell’articolo si parla di “cose”, aspetti della realtà materiale, entità della realtà fenomenica. Il concetto è inteso nel senso ampio: sono comprese anche le energie a condizione che abbiano valore economico (come l’energia elettrica; non è compresa l’energia eolica). Per essere considerati Beni Giuridici devono avere l’attitudine a formare oggetto di diritti, influenzati dalla scarsità della risorsa. L’attitudine è intesa in senso astratto: anche se su un certo bene non è stato avanzato alcun diritto, esso ha già in sé la possibilità di essere oggetto di diritto; ciò vale anche per le res nullius (esempio: un pesce nel mare è un bene, anche se ancora non è stato pescato). Nel tempo questo concetto si è evoluto: vengono comprese tra i beni anche le Utilità Economiche, che costituiscono oggetto di diritto (esempio: l’opera dell’ingegno è oggetto del diritto d’autore). Esse sono un insieme in continua espansione (esempi: software, radiofrequenze, banche dati). Dunque i beni non sono necessariamente oggetti fisici e materiali. L’articolo 813 fornisce una prospettiva ancora più ampia: “Salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative; le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti”. In tal senso ogni diritto, poiché fa parte di un patrimonio, si può considerare un bene. I beni si distinguono principalmente in due classi: 1) Beni Immobili: Articolo 812: “Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni, e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni.” Per i beni immobili, inoltre, ci sono obblighi di forma: la loro circolazione è sottoposta ad un regime di pubblicità, in particolare quella dichiarativa. 2) Beni Mobili: Sono tutto ciò che non sono i beni immobili. Per essi non è prevista alcuna formalità, né vincolo. Possono dunque circolare liberamente. Tra i beni mobili si identificano alcuni sottoinsiemi rilevanti per la loro autonomia: a) Beni mobili registrati: Benché si tratti di beni mobili hanno una disciplina simile a quella dei beni immobili per quanto riguarda la circolazione e la pubblicità (seppur con registri ad-hoc). Presentano alcune regole esclusive del loro genere. Si dividono in: Autoveicoli, Natanti, Aeromobili. b) Universalità di mobili: Riguarda una pluralità di cose appartenenti alla stessa persona con destinazione unitaria. Singoli elementi che formano un gruppo compatto, che può essere considerato come unico bene con regole proprie (esempio: libri e biblioteca). Nel diritto privato sono rilevanti alcune Relazioni tra cose: L’articolo 817 considera il rapporto di Pertinenza di cosa a cosa: “Sono Pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima.”. Riguarda beni di qualsiasi categoria in tutte le combinazioni tra beni mobili ed immobili (esempi: garage rispetto ad una casa, cornice rispetto ad un quadro, cassetta delle lettere rispetto al condominio). Questa categoria prevede che i rapporti che hanno per oggetto la cosa principale hanno, se non diversamente disposto, come oggetto anche la cosa di pertinenza, che ne seguirà il destino. Tuttavia, si tratta pur sempre di cose distinte, e perciò ciascuna può formare oggetto di diversi atti (esempio: il proprietario del villino può vendere prima il garage e poi la casa). Diverso è il rapporto tra cose che insieme formano una Cosa Composta, la cui identità (integrità) esige la compresenza di tutti gli elementi essenziali, a differenza della pertinenza, che, una volta eliminata, non intacca l’integrità della cosa principale. Altre distinzioni tra le cose si ricavano da regole che riguardano le obbligazioni e i contratti: 1) La prima tassonomia suddivide le cose in Generiche e Specifiche: Cose Generiche: Alle parti non interessa l’identità della cosa, la sua appartenenza ad un genere, definito da certi connotati (tipo, funzione, qualità…) e che sono determinati solo per quantità, numero e misura. Cose Specifiche: Vengono in considerazione per la loro particolare identità: quella determinata cosa. 2) Diversa è la distinzione tra cose Fungibili e Infungibili: Cose Fungibili: Sono le cose sostituibili. Bene fungibile per eccellenza è il denaro, ma lo sono normalmente tutte le cose prodotte in serie. Le cose generiche sono sempre fungibili. Cose Infungibili: Sono le cose non sostituibili, che esistono in un solo esemplare o hanno caratteristiche che non le rendono sostituibili. La cosa specifica, però, non è sempre infungibile. Talvolta la distinzione può dipendere dal modo in cui le parti considerano una cosa: un oggetto di serie può essere considerato non sostituibile per vari motivi (esempio: rappresenta un ricordo). In particolare Il mutuo è un contratto che prevede il prestito di cose fungibili, da restituire nello stesso genere e quantità; mentre un contratto di cose infungibili è il comodato. 3) C’è infine la distinzione tra cose Consumabili e Inconsumabili: Cose Consumabili: La normale utilizzazione della cosa ne implica l’estinzione. Cose Inconsumabili: Cose la cui normale utilizzazione non implica alterazione alcuna, a parte un possibile lento deterioramento. Un esempio di contratto di cose inconsumabili è il Comodato. Una particolare considerazione va ai Beni Fruttiferi, ossia a beni da cui è possibile trarre dei frutti. Questi si distinguono in: Frutti Naturali: Sono quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo (prodotti agricoli, i parti degli animali, prodotti delle miniere…). Seguono il destino della cosa da cui provengono, fino al momento in cui vengono separati dalla cosa stessa. Frutti Civili: Sono il corrispettivo (in denaro, o in altro genere di cose, o in opere) che si ricava da una cosa in cambio del godimento che si cede ad altri (esempio: interessi o canone di locazione). Nella prima parte del terzo libro ci sono anche regole sui beni pubblici: le normative dell’ente pubblico sono peculiare a quelle tra i singoli con alcune differenze. Anche per quanto riguarda i beni pubblici possono comunque essere attivati i mezzi di tutela di proprietà e possesso. Quindi anche gli enti pubblici tutelano i propri beni con mezzi di carattere civilistico. DIRITTI REALI Strettamente correlato allo sfruttamento del bene è la tematica dei Diritti Reali (contrapposti ai Diritti di Credito). Si chiama “reale” in quanto relativo alla “res”: è il diritto di trarre dalla cosa tutte le sue utilità economiche o alcune di esse. I consociati non possono impedire che ciò avvenga. Comprendono: 1) Proprietà: lo sfruttamento di tutte le utilità del bene. 2) Diritti Reali Minori: lo sfruttamento di solo alcune utilità del bene. Si dividono in: Diritti Reali Minori di Godimento: Il soggetto potrà sfruttare solo alcune utilità economiche. Diritti Reali Minori di Garanzia: Garantiscono un diritto di credito con la possibilità da parte del creditore di soddisfarsi in via preferenziale sul valore del bene. I Diritti Reali sono caratterizzati da: Immediatezza: Non prevedono l’ intermediazione di un terzo soggetto. Assolutezza: Il titolare del diritto non può vedersi impedito da terzi l’esercizio del diritto. Chiunque può esercitarlo ed esso segue il destino del bene (prende il nome perciò di Diritto di Seguito). Questa caratteristica contrappone i diritti reali a quelli di credito, che sono invece diritti relativi: un diritto di credito nei confronti di un terzo non può rivalersi su un’altra persona. Se un diritto di credito verte su un bene sarà applicato questo diritto, e non un diritto reale. Tipicità: I Diritti Reali sono a numero chiuso: non è possibile creare diritti reali diversi da quelli previsti dalla legge. Il numero è chiuso per evitare un’eccessiva frantumazione dell’utilità economica del bene e anche perché il diritto reale, essendo assoluto, è opponibile ai terzi, che non possono rispettare un nuovo diritto inventato. DIRITTI DELLA PROPRIETÀ La Proprietà è un diritto soggettivo assoluto che ha rappresentato il modello principale su cui si è basata la figura del diritto soggettivo pensato dai teorici. Esso ne è il prototipo. La sua importanza è sottolineata dal fatto che il suo nome è il titolo del terzo libro. Nel precedente testo del Codice Civile (versione del 1865), oltre al libro sulla Proprietà ce n’era uno anche sui modi d’acquisto relativi ad essa, in ossequio all’ideale ottocentesco. Esso è introdotto nell’articolo 832 del Codice Civile: “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. È possibile dividere idealmente questo articolo in due parti, ciascuna delle quali rappresenta un concetto diverso: 1) “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”: Questa parte trasmette un’idea giusnaturalistica della proprietà, dando la parvenza di poter esercitare un pieno potere sulla propria proprietà. 2) “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”: I poteri non sono in realtà illimitati, ma possono essere esercitati soltanto in relazione ai limiti stabiliti dal legislatore. I due aspetti sono stati nel tempo oggetto di alterne valutazioni. Nell’Ottocento si prediligeva l’ideale trasmesso nella prima parte dell’articolo: una proprietà esclusiva senza la possibilità di ingerenze altrui. Sul piano politico esprimeva questo, mentre sul piano economico garantiva un migliore sfruttamento del bene, senza vincoli legati ai sistemi tradizionali contro cui l’intero secolo si è opposto (primo tra tutti il sistema feudale). Nel tempo il concetto di proprietà si evolve: mentre nello Statuto Albertino si affermava che la proprietà fosse inviolabile, nella Costituzione essa non è più considerata come un diritto della personalità, ma come un diritto di carattere economico, distaccandosi dalla visione liberale, e affermando la funzione sociale della proprietà accostata alla funzione di osservare l’interesse del titolare. In tal senso l’esercizio della proprietà non deve collidere con gli interessi della collettività: non c’è più quindi la prospettiva individualistica ed egoistica della proprietà della prima parte dell’articolo, che viene ora mitigata dalla seconda parte. Le fonti presso cui la Proprietà trae la propria regolamentazione sono principalmente la Costituzione, il Codice Civile e, in via minore, le Leggi Speciali. Nella Costituzione: Articolo 42:”La Proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi d’acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”. La norma giustifica l’imposizione di limiti alla libertà del proprietario sul bene e di obblighi per assicurare la conformità agli interessi della collettività. Ciò si esplica in quella che è definita come funzione sociale del diritto. Nel Codice Civile: Per il diritto di proprietà in quanto tale nel Codice, seppur vi sia dedicato un intero libro, solo pochi articoli ne riguardano l’effettivo contenuto. Tutto il resto è dedicato a “Modi d’acquisto della proprietà”, “Delle azioni a difesa della proprietà” e in gran parte è dedicato, sempre sull’impronta dell’ideale ottocentesco, alla Proprietà Fondiaria, cioè la proprietà del suolo e degli immobili costruiti sul suolo. I principali articoli che la descrivono in generale sono: L’articolo 832: Il contenuto del diritto di proprietà è l’insieme delle facoltà che permettono di godere e disporre della cosa. Per Godimento si intende che il proprietario può ricavare dalla cosa utilità economica senza rinunciare al suo diritto (esempio: abito in un appartamento che concedo in locazione: il godimento è comunque esplicato, o attraverso l’uso diretto del bene o anche attraverso il suo uso indiretto attraverso la riscossione del corrispettivo derivante dal contratto di locazione). Per Potere di Disporre si intende che il proprietario destinare la cosa ad un certo uso o trasformarla; in senso stretto significa che si può vendere, donare, costituire diritti altrui sulla cosa determinandone la sorte giuridica. Questi poteri sono esercitabili in modo Pieno ed Esclusivo. “Pieno” in quanto non ci sono norme che stabiliscono cosa si possa fare, ma solo dei limiti; “Esclusivo” in quanto queste facoltà spettano solo al proprietario, che può escludere ogni altro soggetto dal godimento della cosa e può allontanare ogni ingerenza che collida con il suo interesse. L’articolo 833: “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad alt