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Università degli Studi di Milano Bicocca
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Questo documento presenta una panoramica del diritto internazionale, concentrandosi sui suoi caratteri fondamentali, i soggetti coinvolti (Stati e organizzazioni internazionali), e il mantenimento della pace e la cooperazione internazionale. Si discute della natura, delle fonti e delle funzioni del diritto internazionale, includendo temi come la sovranit degli Stati e il ruolo dell'ONU.
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Diritto internazionale [email protected] 0 INDICE PARTE I – CARATTERI FONDAMENTALI ED EVOLUZIONE STORICA o CAPITOLO I – CARATTERI FONDAMENTALI PARTE II – I SOGGETTI o CAPITOLO III – LO STATO E LE ORGA...
Diritto internazionale [email protected] 0 INDICE PARTE I – CARATTERI FONDAMENTALI ED EVOLUZIONE STORICA o CAPITOLO I – CARATTERI FONDAMENTALI PARTE II – I SOGGETTI o CAPITOLO III – LO STATO E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI o CAPITOLO IV – L’INDIVIDUO PARTE III – MANTENIMANETO DELLA PACE E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE o CAPITOLO V – IL MANTENIMENTO DELLA PACE E L’USO DELLA FORZA o CAPITOLO VI – SVILUPPO ECONOMICO E PROTEZIONE DELL’AMBIENTE 1 PARTE I – CARATTERI FONDAMENTALI ED EVOLUZIONE STORICA (cao.2 no) capitolo 1 CARATTERI FONDAMENTALI § UN ORDINAMENTO CHE REGOLA I RAPPORTI TRA STATI SOVRANI Il diritto internazionale regola i rapporti tra gli Stati. Si tratta di un insieme di norme fatte dagli Stati e aventi come principali destinatari gli Stati Le fonti del diritto internazionale sono: trattati internazionali consuetudine internazionale à principi giuridici generali STATI: enti politico-territoriali che sono sovrani, in quanto non dipendenti da un'autorità superiore. Oltre che soggetti originari, gli Stati sono soggetti necessari dell'ordinamento internazionale. Uno Stato non può sottrarsi alla qualità di titolare di diritti e obblighi previsti da norme di diritto internazionale e, in particolare, ritenersi esonerato dall'adempimento di tali obblighi. Per quanto isolato voglia mantenersi e per quanto si astenga dal concludere trattati, uno Stato rimane pur sempre vincolato da norme generali del diritto internazionale, che valgono per tutti gli Stati, nessuno escluso. Il diritto internazionale regola i RAPPORTI TRA ENTI SOVRANI discendono 2 importanti conseguenze: o Il diritto internazionale è diverso e separato dai vari sistemi di diritto che si sono formati all'interno dei singoli Stati (diritti nazionali o interni) e che riguardano i rapporti tra i vari soggetti che in essi operano (persone fisiche, persone giuridiche, enti pubblici, compreso lo Stato stesso). àil diritto internazionale è uno solo, essendo unica la comunità degli Stati, i diritti nazionali sono molteplici, tanti quanti singoli Stati. o Il diritto internazionale non avrebbe alcuna ragione di esistere se venisse a mancare una pluralità di Stati sovrani e indipendenti l'uno dall'altro àSe esistesse un'unica entità politica a livello mondiale vi sarebbe un unico ordinamento di portata mondiale, senza alcuno spazio per un sistema che regoli le relazioni tra enti sovrani. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) istituita con un trattato (Carta delle Nazioni Unite) a San Francisco nel 1945 NON costituisce un super-stato o una federazione mondiale, ma si tratta di un ente che intende realizzare una cooperazione tra Stati sovrani al fine di MANTENERE LA PACE E LA SICUREZZA INTERNAZIONALI. Le Nazioni Unite si fondano sulla sovrana uguaglianza degli Stati membri e non possono intervenire in questioni che rientrano essenzialmente nella sfera di giurisdizione interna degli Stati sovranità (indipendenza): è sovrano l'ente che non è subordinato alle decisioni prese da altri enti che possano imporgli la loro volontà. In questo senso, gli Stati si trovano in una posizione di reciproca parità (sovrana uguaglianza degli Stati). L'uguaglianza degli Stati, che è una diretta conseguenza della loro sovranità, si traduce nella loro parità sul piano giuridico-formale. È però evidente che, sul piano reale, gli Stati non hanno affatto un peso uguale, ma si contraddistinguono per una serie di differenze, più o meno marcate, d'ordine 2 geografico, politico, militare ed economico: Stati grandi e Stati piccoli, Stati forti e Stati deboli, Stati aggressivi e Stati pacifici, Stati ricchi e Stati poveri, Stati produttori e stati importatori…. § UN ORDINAMENTO PRIMITIVO – LA FUNZIONE NORMATIVA Dal fatto che gli Stati sono sovrani discende la conseguenza che non vi è alcun ente che possa loro imporre norme giuridiche à LEGGE: atto normativo tipico dei diritti interni. Non ha senso nell'ordinamento internazionale, dove non esiste alcun legislatore e, quindi, alcun parlamento e alcuna gazzetta ufficiale. Le norme del diritto internazionale, siano esse scritte (trattati) o non scritte (norme generali e principi), sono poste in essere dagli stessi soggetti (gli Stati) che ne sono i principali destinatari. L’ART. 38 PAR. 1 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (allegato alla Carta delle Nazioni Unite) enuncia quattro categorie di norme che la Corte è tenuta ad applicare per la soluzione delle controversie: 1. I TRATTATI INTERNAZIONALI (vigenti per gli Stati in lite) 2. LE CONSUETUDINI INTERNAZIONALI (come una pratica generale accettata come diritto) 3. I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO 4. LE DECISIONI GIUDIZIARIE E LA DOTTRINA PIU’ QUALIFICATA (come mezzi sussidiari per la determinazione delle norme) § UN ORDINAMENTO PRIMITIVO – LA FUNZIONE GIUDIZIARIA Gli stati hanno istituito con trattati diversi organi giudiziari, composti di giudici indipendenti dagli Stati stessi, che hanno il potere di risolvere una controversia, pronunciando una sentenza avente carattere vincolante per gli Stati in lite. à questi organi hanno avuto modo di decidere in merito a controversie di vario contenuto. Alle corti permanenti si aggiungono le corti arbitrali, che gli Stati occasionalmente istituiscono per risolvere una specifica controversia o categoria di controversie. È di fondamentale importanza che un ORGANO GIUDIZIARIO INTERNAZIONALE, può pronunciare una sentenza sul merito di una controversia soltanto se tutti gli Stati coinvolti hanno manifestato la loro volontà di sottoporre la controversia stessa alla sua giurisdizione à si può portare uno Stato di fronte a un giudice internazionale soltanto se tale Stato ha accettato che quel giudice decida della controversia che lo riguarda. ART.33 della CARTA DELLE NAZIONI UNITE unico obbligo degli Stati è di risolvere le loro controversie con mezzi PACIFICI, di non ricorrere all’uso della forza. § UN ORDINAMENTO PRIMITIVO – LA FUNZIONE ESECUTIVA Non esistono apparati precostituiti che vigilano a che gli Stati osservino le norme di diritto internazionale e che, qualora questo non avvenga, assicurano un'esecuzione forzata degli obblighi non adempiuti. Il meccanismo di mantenimento della pace e della sicurezza internazionali è affidato alla responsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza à presenta limiti di natura politica che ne condizionano l’efficacia. Nessuna decisione sostanziale del Consiglio di Sicurezza può essere presa 3 se vi è un voto contrario di uno dei 5 membri permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti). – rivedere questa parte PARTE II – I SOGGETTI Capitolo 3 LO STATO E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI § NOZIONE DI STATO Si ha Stato, soggetto di diritto internazionale, quando un'autorità indipendente esercita il suo potere di governo in modo normale e stabile (elemento politico) nei confronti di un insieme di individui (elemento sociale) che si trova entro un determinato spazio (elemento territoriale) à 3 elementi fondamentali dello Stato. L'art. 1 della Convenzione sui diritti e doveri degli Stati, ai tre elementi sopra indicati aggiunge un quarto elemento, vale a dire la capacità di entrare in relazione con altri Stati, nonché conseguenza dei primi tre. La parola Stato ha una duplice valenza: o ente geografico-sociale-politicoàSTATO COMUNITA’ o autorità che esercitano il potere all'interno di tale ente e lo rappresentano all'esternoà STATO APPARATO Per il diritto internazionale, lo Stato-comunità è formalmente titolare di diritti e obblighi, ma esso è rappresentato nelle relazioni internazionali dallo Stato-apparato e agisce all'esterno per mezzo di quest'ultimo. § L’ELEMENTO TERRITORIALE L’elemento territoriale è l’ambito spaziale entro il quale si manifesta l'autorità dello Stato attraverso i suoi agenti. Questo elemento identifica lo Stato e lo rende immediatamente riconoscibile nella sua rappresentazione visiva (la parola "Italia" evoca istintivamente l'immagine di una carta geografica, con i suoi confini). Non ha importanza, ai fini della soggettività internazionale, la dimensione del territorio. Al territorio dello Stato si aggiunge una fascia costiera che non può eccedere le dodici miglia marine dalla linea di bassa marea (un miglio marino equivale a 1.852 m), denominata mare territoriale, sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità. Per quanto riguarda la fascia di acque e di fondi marini, denominata zona economica esclusiva (non può eccedere le 200 miglia marine dalla linea di bassa marea), lo Stato costiero può esercitare diritti in materia di sfruttamento delle risorse naturali ivi contenute (biologiche e minerali), mentre gli Stati terzi mantengono il diritto alla libera navigazione. Mentre il mare territoriale è uno spazio che si aggiunge a un territorio costiero, la zona economica esclusiva richiede di essere proclamata dallo Stato interessato. I confini marittimi di uno Stato sono di solito definiti da trattati con gli Stati adiacenti o fronteggianti. Il territorio dello Stato si estende anche allo spazio atmosferico che lo sovrasta e che sovrasta il mare territoriale, oltre che al sottosuolo del territorio e del mare territoriale. 4 Possono essere riconosciuti come Stati solo gli enti costituiti su porzioni di superficie terrestre venute ad esistenza in modo naturale, il che esclude piattaforme artificiali costruite dall’uomo. § L’ELEMENTO SOCIALE L’elemento sociale è dato dagli INDIVIDUI che abitano stabilmente il territorio e che sono legati allo Stato da un particolare insieme di diritti e obblighi (cittadinanza), derivante di solito dalla nascita nel territorio dello Stato (ius soli) o dalla nascita da uno o due genitori cittadini (ius sanguinis) Tale elemento viene a volte indicato con il termine "popolazione" dello Stato. L’esistenza di uno Stato (come fu notato dalla Corte amministrativa di Colonia nel caso del ducato di Sealand), implica l’esistenza di UNA VITA IN COMUNITA’, nel senso di CONDIVISIONE di un DESTINO COMUNEàil proclamato ducato oltre ad essere privo di un territorio, era privo di un popolo nel senso di diritto internazionale, poiché tale vita in comunità era assente e non poteva essere sostuita dall’esercizio di passatempi o dall’esistenza di interessi comuni. Va tenuto conto che il potere di governo dello Stato si esercita nei confronti di tutti gli individui che si trovano entro i limiti del suo territorio, siano essi li in modo stabile oppure occasionale, siano essi cittadini oppure stranieri. Il POPOLO o NAZIONE (se questi termini sono usati per indicare una collettività di individui che presentano caratteri comuni) NON sono di per sé uno Stato. È un dato di fatto che vi sono Stati che comprendono più popoli e nazioni e che, al contrario, vi sono popoli e nazioni che, per vari motivi storici e politici, non hanno potuto costituirsi in Stato. Ciò non toglie che con il processo di decolonizzazione e sulla base di risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazione Unite, il PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI, obbliga gli Stati a consentire che i popoli sottoposti a dominio coloniale o straniero determino liberamente la loro condizione politica. § L’ELEMENTO POLITICO (da rivedere) è dato dal governo, inteso come insieme delle autorità e agenti dello Stato Il governo comprende tutti coloro che esercitano un potere di natura pubblica in nome dello Stato, sia esso un potere legislativo, esecutivo o giudiziario, e che, per questo motivo, si distinguono dagli individui in generale, che rappresentano solo sé stessi. L'esercizio di poteri pubblici deve svolgersi in modo normale e stabile, pur non essendo possibile determinare con precisione quale debba essere l'intensità di tale esercizio e non essendo quindi richiesta la presenza di un agente dello Stato in ogni momento in ogni punto del territorio. Occorre tenere conto delle particolari condizioni geografiche e sociali di una determinata area (ad esempio, le aree poco abitate o difficilmente accessibili) Non sono considerati Stati quei territori dove non si è affermato alcun potere pubblico in modo normale e stabile (territori di nessuno) → impossibilità di applicare le norme internazionali che sono rivolte agli Stati Quest'ultima situazione oggi ricorre sulla Terra soltanto per l'Antartide: al di là delle rivendicazioni avanzate da alcuni Stati, esiste comunque un settore del continente antartico che non è rivendicato da alcuno Stato. 5 Stati falliti: stato incapace di esercitare in maniera effettiva il proprio potere d’imperio su un territorio e sul popolo ivi stanziato. L'atteggiamento della comunità internazionale è solitamente quello di considerare lo Stato in questione come ancora esistente e quindi legittimato a godere delle prerogative della sovranità. Stato apparente (o Stato-fantoccio): ente governato da autorità solo formalmente indipendenti, ma di fatto dominate (sul piano politico e militare) dalle autorità di un altro Stato, che esercitano un decisivo potere di controllo → non è considerato uno Stato Non sono Stati gli enti membri di uno Stato federale o che comunque costituiscono entità territoriali all'interno di uno Stato più ampio. Uno Stato federale attribuisce un livello di autonomia agli enti che lo compongono, ma per il diritto internazionale conta l'ente titolare della competenza a gestire l'insieme delle relazioni internazionali, esercitate dallo Stato federale e non dagli Stati federati Non possono quindi considerarsi soggetti di diritto internazionale gli "Stati" membri degli Stati Uniti d'America Non è uno Stato federale l'Unione Europea, che ha origine (con il nome di Comunità Economica Europea) da un Trattato concluso a Roma nel 1957 da 6 Stati (ora gli Stati membri sono 27) Nell'ambito dell'Unione ora vige un complesso regime di distribuzione di competenze nel settore delle relazioni internazionali: mentre gli Stati membri mantengono alcune competenze, altre sono esercitate dall'Unione e dagli Stati membri in modo congiunto e altre ancora sono esercitate dall'Unione in modo esclusivo. Circa le relazioni esterne, l'Unione Europea definisce e attua una politica estera e di sicurezza comune, che gli Stati membri sono tenuti a sostenere attivamente e senza riserve in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca § IL RICONOSCIMENTO pratica in base alla quale gli Stati preesistenti riconoscono gli Stati di nuova formazione. Tale riconoscimento può risultare da un atto unilaterale dello Stato preesistente contenuto in un trattato tra lo Stato preesistente e lo Stato nuovo Avendo natura politica, il riconoscimento non presenta un carattere costitutivo: non costituisce sul piano giuridico la soggettività internazionale di un nuovo Stato La soggettività internazionale è la conseguenza di un situazione di fatto che si verifica quando un'autorità indipendente esercita il suo potere di governo in modo normale e stabile entro un determinato territorio e nei confronti degli individui che ivi si trovano. Uno Stato è tale a seguito della sua esistenza di fatto, indipendentemente dal numero di riconoscimenti che abbia ottenuto, dal numero di organizzazioni internazionali di cui sia membro e delle relazioni che intrattenga con altri Stati. Non esiste una procedura unitaria di riconoscimento che valga per l'intera comunità internazionale 6 In considerazione della natura politica del riconoscimento, può accadere che un riconoscimento sia prematuro, cioè intervenga prima che le autorità del nuovo Stato abbiano affermato il loro potere in modo normale e stabile, oppure che esso sia tardivo § IL NOME DELLO STATO Lo Stato è di solito conosciuto con: un nome geografico (Italia, Russia, Spagna, ecc.) con un nome geografico-politico (Repubblica Italiana, Federazione Russa, Regno di Spagna, Repubblica Ceca, Stati Uniti d'America, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, ecc.) A volte l'indicazione politica serve a evitare confusioni tra Stati che hanno lo stesso nome geografico (Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo; Repubblica di Corea o Corea del Sud, Repubblica Popolare Democratica di Corea o Corea del Nord). rari sono i nomi a carattere esclusivamente politico (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) Il nome è scelto dallo Stato stesso, che può anche decidere di cambiarlo → ad esempio l’Italia ha assunto tale nome con un decreto del 17 maggio 1861 § I CAMBIAMENTI NELLO STATO àI CAMBIAMENTI DELLA POPOLAZIONE In quanto fenomeno sociale, territoriale e politico, lo Stato è soggetto a cambiamenti nei suoi elementi fondamentali che, a volte, possono incidere sulla sua stessa identità, portando alla formazione di Stati nuovi o all'estinzione di Stati preesistenti I cambiamenti della popolazione Caso estremo: totale scomparsa di una popolazione Nessuna rilevanza hanno invece i cambiamenti degli individui che abitano stabilmente lo Stato, poichè la popolazione è un elemento continuamente mutevole § I CAMBIAMENTI NELLO STATO àI CAMBIAMENTI DEL GOVERNO Il cambiamento delle autorità che esercitano il potere di governo o il cambiamento della forma di governo (ad esempio da monarchia a repubblica come in Italia nel 1946), non comportano un cambiamento dello Stato come soggetto di diritto internazionale Gli impegni assunti in nome di uno Stato rimangono tali, nonostante il mutamento dei governanti che li hanno materialmente assunti. Circa la continuità dei rapporti internazionali, dopo un cambiamento rivoluzionario di governo all'interno di uno Stato, alcuni trattati conclusi dal governo precedente (es. politico-militari) potrebbero estinguersi per mutamento fondamentale delle circostanze 7 § I CAMBIAMENTI NELLO STATO àI CAMBIAMENTI DEL TERRITORIO trasferimento di territorio, unione, dissoluzione, annessione o separazione di Stati Si potrebbe immaginare anche l'estinzione dello Stato per scomparsa totale del suo territorio per gli Stati-isola, qualora il riscaldamento globale portasse a un innalzamento del livello dei mari. → trasferimento territoriale (o cessione territoriale): una porzione di territorio passa da uno Stato a un altro Stato, senza che cambi l'identità dei due Stati coinvolti, che rimangono tali Con un territorio più ampio (lo Stato cessionario), con un territorio più ristretto (lo Stato cedente) → annessione (o incorporazione): uno Stato si accresce del territorio di uno Stato preesistente, che si estingue esempio: a partire dal 1861, la formazione dell'Italia a seguito dell'estensione al Regno di Sardegna, che cambiò nome, dei territori di sei Stati preesistenti → separazione (o secessione o distacco): il territorio di uno Stato, che rimane tale, si riduce di una porzione di territorio che forma uno Stato nuovo esempi: separazione della Grecia dall'Impero Ottomano (1830), del Belgio dai Paesi Bassi (1831), della Norvegia dalla Svezia (1905), dell'Islanda dalla Danimarca (1940) § LA SUCCESSIONE TRA STATI La formazione di uno Stato nuovo può comportare, se si verificano determinate condizioni, la sua successione in diritti e obblighi di cui era titolare lo Stato predecessore. Le norme sulla successione degli Stati, sono state codificate nella Convenzione sulla successione degli Stati rispetto ai trattati (Vienna, 1978) e nella Convenzione sulla successione degli Stati rispetto ai beni dello Stato, agli archivi e ai debiti (Vienna, 1983) L'opera di codificazione in questa materia non sembra avere avuto molto successo, visto lo scarso numero degli Stati che hanno espresso la loro volontà di vincolarsi ai due trattati § I MOVIMENTI INSURREZIONALI Il procedimento formativo di uno Stato nuovo si può realizzare: pacificamente attraverso un conflitto di durata più o meno lunga che vede un movimento insurrezionale lottare contro le autorità di uno Stato → puo essere un conflitto interno o internazionale L'obbiettivo del movimento insurrezionale puo mirare alla formazione di un nuovo Stato, al trasferimento di un territorio da uno Stato a un altro Stato (in questo caso, entrambi muterebbero nel loro territorio) o al cambiamento rivoluzionario del governo di uno Stato (che rimarrebbe tale) Requisiti del movimento insurrezionale: sottoposizione a un comando responsabile effettivo controllo di un territorio per consentire lo svolgimento di operazioni militari continue 8 Questi requisiti distinguono un'insurrezione da situazioni di tensione interna (come i disordini, le sommosse e gli atti isolati di violenza) Un movimento insurrezionale, per il solo fatto che svolge operazioni militari, è destinatario di numerose norme del diritto internazionale umanitario che gli attribuiscono diritti e obblighi nei confronti dello Stato contro cui combatte (e viceversa). § L’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI La formazione di uno Stato può conseguire all'esercizio effettivo di un diritto, quello dei popoli all'autodeterminazione Lo stesso concetto di autodeterminazione viene ripreso nell'art. 55 della Carta, in quanto fondamento delle condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per lo stabilimento di relazioni pacifiche e amichevole tra le nazioni. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si orientò verso un'interpretazione estensiva del principio di autodeterminazione dei popoli. Essa dichiarò che: l'assoggettamento dei popoli a un dominio straniero è contrario a fondamentali diritti umani e alla Carta delle Nazioni Unite i popoli hanno il diritto di determinare liberamente la loro condizione politica situazioni di inadeguatezza politica, economica, sociale o educativa non devono servire come pretesto per ritardare l'indipendenza ogni azione armata o misura repressiva contro i popoli sottoposti a dipendenza doveva cessare c.d. autodeterminazione esterna: conferisce unicamente ad alcune categorie di popoli il diritto di scegliere il proprio status giuridico internazionale (nel senso dell'indipendenza o meno). Solo i popoli che si trovano in una situazione di dominio coloniale o straniero sono titolari di un diritto previsto dall'ordinamento internazionale (quello dell’autodeterminazione) che possono far valere nei confronti dello Stato responsabile di tale dominio, con lo scopo (se decidono in questo senso) di dar vita a un nuovo Stato. c.d. autodeterminazione interna: attribuita a tutti i popoli (non solo a quelli sottoposti a dominio coloniale o straniero), dando loro il diritto di determinare liberamente (senza cioè ingerenze esterne da parte di altri Stati) il proprio regime politico interno (non internazionale) e di perseguire liberamente il loro sviluppo economico, sociale ecc. § I MOVIMENTI DI LIBERAZIONE NAZIONALE § LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI § LE NAZIONI UNITE Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'eredità ideale della Società delle Nazioni passa all'Organizzazione delle Nazioni Unite, istituita con un trattato, chiamato Carta delle Nazioni Unite Sede delle Nazioni Unite è New York 9 Dai 51 membri originari delle Nazioni Unite si è oggi passati a 193 Stati membri, vale a dire tutti gli Stati, tranne che, per motivi diversi, Città del Vaticano, Palestina e Taiwan. L'Italia è stata ammessa alle Nazioni Unite con la risoluzione dell'Assemblea Generale nel 1955. La procedura per l'ammissione di nuovi Stati membri prevede una decisione dell'Assemblea Generale sulla base di una raccomandazione del Consiglio di Sicurezza Con la stessa procedura può essere espulso dalle Nazioni Unite uno Stato che abbia persistentemente violato i principi della Carta (finora mai avvenuta) La Carta prevede anche, con la stessa procedura, la sospensione dalla partecipazione alle Nazioni Unite per uno Stato contro cui il Consiglio di Sicurezza abbia deciso un'azione preventiva o esecutiva (finora mai avvenuta) Le Nazioni Unite sono la sola organizzazione internazionale avente nello stesso tempo una natura politica, per quanto riguarda i suoi obiettivi, e una dimensione mondiale, per quanto riguarda la partecipazione degli Stati all'organizzazione. Alla base delle Nazioni Unite troviamo: l'esperienza dei due conflitti mondiali la necessità di preservare le generazioni successive dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili sofferenze all'umanità Scopo principale: mantenimento della pace e della sicurezza internazionali e la soluzione pacifica delle controversie internazionali A questo si aggiungono altri fini di natura politica, economica e umanitaria, quali: l'affermazione del principio di autodeterminazione dei popoli la cooperazione per la soluzione dei problemi economici la promozione dei diritti umani, che rappresentano importanti presupposti per il mantenimento di buone relazioni tra gli Stati. Le Nazioni Unite non sono un super-Stato e non cancellano la sovranità degli Stati membri Anzi, esse si fondano sulla sovrana uguaglianza degli Stati membri La Carta stessa richiama il concetto di competenza interna (o giurisdizione domestica), che comprende le materie nelle quali l'organizzazione non può intervenire § LE ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Il costante incremento del numero delle organizzazioni internazionali e delle materie oggetto della loro competenza è una manifestazione della generale tendenza degli Stati a intensificare la loro cooperazione e a regolare su base multilaterale le questioni di comune interesse Ad esempio: Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) Organizzazione delle Na-zioni Unite per l'Istruzione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) 10 § LA SOGGETTIVITA’ DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Gli Stati che creano un'organizzazione internazionale non si limitano a redigere norme per regolare la loro reciproca cooperazione, come potrebbero fare con un qualsiasi trattato che stabilisca diritti e obblighi per le parti. Essi concludono un trattato che ha lo specifico obiettivo di costituire un'entità a sé stante, caratterizzata da una propria indipendenza. In quanto soggetti a sè stanti, le organizzazioni internazionali sono dotate di propri organi, ognuno dei quali esercita specifiche competenze Capitolo 4 L’INDIVIDUO § L’INDIVIDUO COME TITOLARE DI DIRITTI OD OBBLIGHI INTERNAZIONALI A partire dalla seconda metà del secolo XX, nell'ordinamento internazionale vengono a formarsi norme che attribuiscono a singoli individui: diritti nei confronti degli Stati (diritti umani) prevedono che singoli individui ricevono sanzioni se responsabili di determinati comportamenti (crimini internazionali) → implicitamente attribuendo obblighi a carico di individui § LA NOZIONE DI DIRITTI UMANI Si fonda sul presupposto che l'individuo non deve essere considerato un mezzo per la realizzazione di finalità dello Stato. Esistono alcuni diritti fondamentali dell'individuo che lo Stato non può sopprimere o violare, ma che è tenuto a riconoscere e a rispettare. Esigere che i diritti umani siano rispettati può, in certi casi, equivalere a mettere in discussione il modo in cui un governo esercita i suoi poteri e la sua stessa legittimità. Dunque, molti Stati fanno il possibile perché il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani siano negati o ritardati. È purtroppo un dato di fatto che vi sono diversi Stati, soprattutto quelli che mantengono il potere in forza di regimi oppressivi, che non hanno alcuna intenzione di favorire l'affermazione e lo sviluppo dei diritti umani L'art.55 della Carta ribadisce che il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, è uno strumento necessario per il conseguimento di rapporti pacifici e amichevoli tra le nazioni. Nei decenni successivi, le Nazioni Unite hanno promosso l'adozione di una serie di strumenti internazionali di varia natura relativi ai diritti umani. All'origine sta la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) dell'Assemblea Generale. 11 Dalla Dichiarazione universale dei diritti umani sono idealmente derivati numerosi trattati aventi una sfera di applicazione mondiale: alcuni riguardano un'ampia categoria di diritti umani → il Patto relativo ai diritti civili e politici e il Patto relativo ai diritti economici, sociali e culturali, detti anche patti delle Nazioni Unite sui diritti umani. altri riguardano specifici diritti umani → la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, la Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e la Convenzione per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata. altri riguardano specifiche categorie di persone → la Convenzione sull'eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione nei confronti della donna, la Convenzione sui diritti del bambino e la Convenzione sui diritti di tutte le persone disabili I MECCANISMI PROCEDURALI Strumenti procedurali che i trattati forniscono all'individuo per ricorrere contro uno Stato presunto responsabile di violazioni Tali strumenti comportano l'istituzione di organi giudiziari e non possono derivare da norme di diritto consuetudinario, ma richiedono di essere previsti da appositi trattati, che producono effetti soltanto per gli Stati parti Doppio livello di protezione dei diritti umani → tutela sia sul piano dei vari diritti interni che sul piano del diritto internazionale Assume un pieno significato soltanto in presenza di adeguati strumenti procedurali I CRIMINI INTERNAZIONALI DELL’INDIVIDUO In questo caso, norme di diritto internazionale, anziché prevedere diritti a vantaggio dell'individuo stabiliscono obblighi di cui egli è gravato sul piano personale. Coloro che sono imputati di condotte considerate di particolare gravità, che ledono la comunità internazionale nel suo insieme e che sono denominate crimini internazionali dell'individuo, possono essere assoggettati a un processo di fronte a un organo giudiziario internazionale e, se riconosciuti colpevoli, sottoposti a una sanzione crimini internazionali dell'individuo → reati di particolare gravità che ledono la comunità internazionale superamento di ostacoli, di diritto o di fatto, posti dai sistemi di diritto interno processare e colpire con sanzioni i responsabili di gravi crimini, anche se uno Stato non è in grado esercitare una repressione e anche se uno Stato ha tollerato o addirittura incoraggiato i crimini stessi. doppio livello di repressione degli illeciti (e conseguentemente, di protezione delle vittime): alla responsabilità penale secondo un diritto interno, che ci può essere ma anche non essere, si aggiunge la responsabilità derivante dal diritto internazionale all'eventuale giudice nazionale, che ci può essere ma anche non essere, si aggiunge un giudice internazionale 12 Nel caso dei crimini internazionali dell'individuo, la responsabilità personale di colui che li ha compiuti si affianca alla responsabilità dello Stato per conto del quale egli abbia agito. Una stessa condotta può pertanto determinare sia un crimine internazionale dell'individuo, sia un illecito internazionale di uno Stato nei confronti di un altro Stato. I crimini internazionali dell'individuo, vanno tenuti distinti dai reati di diritto comune → per la repressione gli Stati possono cooperare concludendo trattati, ma che non configurano specifici crimini internazionali e non prevedono l'istituzione di organi giudiziari internazionali. LA CARTA DEL TRIBUNALE DI NORIMBERGA Un impulso fondamentale all'affermazione della nozione di crimine internazionale dell'individuo si ha con l'Accordo concluso a Londra l'8 agosto 1945 da Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica per il giudizio e la punizione dei principali agenti di Stato tedeschi e membri del partito nazista, nei casi in cui i reati erano di così ampia scala da non avere una collocazione geografica determinata. L'accordo recava in allegato la Carta del Tribunale Militare Internazionale (detto Tribunale di Norimberga), composto di giudici designati dai quattro Stati parte, che rese la sua sentenza il 30 settembre 1946. Con questo trattato per la prima volta si afferma il principio che la violazione di determinati obblighi internazionali comporta una responsabilità non solo per uno Stato, ma soprattutto per i singoli individui. Circa il contenuto dei crimini, al Tribunale di Norimberga era conferito il potere di giudicare e, se colpevoli, punire le persone accusate di aver compiuto atti che rientrano in tre categorie: crimini di guerra Si tratta di violazioni delle norme o delle consuetudini di guerra E’ di solito commesso dal militare, ma se commesso da un privato deve essere collegato ad un evento di guerra esempio: l'uccisione di prigionieri di guerra, la devastazione di città o località abitate non giustificata da necessità militare crimini contro la pace DefinitI con riferimento a comportamenti come la pianificazione, la preparazione, l'inizio o l'attuazione di un'aggressione o di una guerra in violazione di trattati od obblighi internazionali E’ caratteristico dell'uomo politico, che ha il potere di prendere la decisione di fare una guerra non consentita dal diritto internazionale crimini contro l'umanità → uccisione, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione e altri atti disumani commessi contro la popolazione civile, sia prima che durante la guerra Le condotte in questione potrebbero anche configurarsi come crimini di guerra, se tenute in tempo di guerra Hanno carattere illecito anche se tenute contro individui che sono cittadini dello stesso Stato cui appartiene l'individuo responsabile 13 → persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi, contro chiunque esse siano dirette e in qualsiasi momento esse siano operate In questo caso la condotta criminosa lede un individuo non in ragione di quanto egli abbia fatto, ma per la sola circostanza che egli appartenga a un determinato gruppo politico, razziale o religioso, che è il bersaglio principale della condotta stessa. Dopo la sentenza del Tribunale di Norimberga, è stata adottata la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (New York, 1948) genocidio: atti che sono diretti a distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso (si noti, però, la mancanza dell'aggettivo "politico") e che si sostanziano nell'uccisione di membri del gruppo e in comportamenti miranti allo Stesso risultato o nell'imposizione di misure di prevenzione delle nascite o nel trasferimento forzato di bambini da un gruppo all'altro IL PROCESSO DI NORIMBERGA Agli imputati la Carta del Tribunale di Norimberga riconosceva il diritto di essere giudicati con un equo processo (art. 16). La condizione ufficiale degli imputati, fossero essi capi di Stato o alti funzionari, non costituiva né una causa di esonero dalla responsabilità, né un'attenuante della pena (art. 7). Il fatto che gli imputati avessero agito sulla base di un ordine del loro governo o di un loro superiore non li esonerava dalla responsabilità, ma poteva essere considerato come un' attenuante della pena (art. 8). Il Tribunale, con sentenza motivata e definitiva (art. 26), poteva infliggere ai responsabili "la morte o ogni altra pena che esso stabilisse giusta" (art. 27). Il processo si concluse con dodici condanne a morte per impiccagione, quattro condanne alla reclusione, per venti, quindici o dieci anni, e tre assoluzioni. In base alla legge del Consiglio di Controllo Alleato (1945), altri processi per gli stessi crimini, conosciuti come "i processi successivi al processo di Norimberga", si svolsero di fronte a tribunali militari delle quattro potenze che occupavano la Germania. Nel corso del processo di Norimberga furono ampiamente discusse due questioni che presentano grande importanza sul piano generale: l'irretroattività del diritto penale internazionale la giustizia dei vincitori La sentenza respinge il principale argomento difensivo proposto dagli imputati, vale a dire che non vi era alcuna norma di diritto internazionale, vigente al momento in cui i fatti erano stati compiuti, che qualificasse come crimini i fatti loro attribuiti e prevedesse le pene alle quali essi potevano venire condannati. Anche se mancava una specifica norma di diritto internazionale, si trattava di comportamenti vietati dai codici penali nazionali, oltre che da principi generali di diritto penale comuni a tutti gli Stati che sanzionavano l'omicidio e altri gravi reati. Il fatto che il genocidio, per quanto abbia una sua specificità, possa essere anche inteso come la somma di tanti omicidi è messo in luce nella sentenza del 10 aprile 1948 del Tribunale Militare degli Stati Uniti Anche altre considerazioni, fondate sull'aspetto etico della giustizia, portano a escludere l'applicazione del principio di irretroattività della legge penale in un procedimento vertente su fatti di tale gravità e 14 dimensione. Il tema dell'irretroattività del diritto penale manteneva però tutta la sua forza nel caso di crimini contro la pace, per i quali non esistevano specifiche norme penali, né nei diritti interni, né nel diritto internazionale. A questo riguardo, il Tribunale di Norimberga mette in evidenza che esistevano comunque obblighi internazionali per gli Stati, di cui la Germania era parte, che vietava agli Stati di intraprendere una guerra di aggressione. Il Tribunale fa riferimento ai principi generali di giustizia, concludendo che gli imputati dovevano essere necessariamente a conoscenza del carattere illecito del loro comportamento Secondo il Tribunale, il principio di irretroattività del diritto penale non può costituire un limite alla sovranità degli Stati ed è errato asserire che sia ingiusto punire coloro che, in violazione di trattati e impegni, avevano deciso di attaccare gli Stati vicini senza avvertimento, perché in tali circostanze essi non potevano ignorare che stavano compiendo un atto illecito. Sarebbe però ingiusto se il loro atto illecito andasse impunito Ancora più spinoso è il tema della giustizia dei vincitori, che vale soprattutto per i crimini di guerra. La storia dimostra che è facile per uno Stato vincitore condannare i criminali di guerra del nemico, ma che è molto più difficile condannare i propri criminali di guerra, e il processo di Norimberga non sfugge a una simile pratica. Non vi è alcun motivo per ricercare i criminali di guerra soltanto tra coloro che hanno combattuto per gli Stati vinti, né per ritenere che la vittoria costituisca un' automatica assoluzione per i crimini commessi dai vincitori. E’ meglio sottoporre a giudizio e condannare alcuni criminali di guerra, piuttosto che lasciare che tutti rimangano impuniti, non può soddisfare il senso della giustizia e dimostra come il tema della giustizia dei vincitori sia un aspetto cruciale (e tuttora problematico) del sistema di diritto internazionale. esempio: bombardamenti terroristici diretti a massacrare la popolazione civile delle città nemiche e largamente praticati durante la Seconda Guerra Mondiale non solo dalla Germania, ma soprattutto da Regno Unito e Stati Uniti. La Carta del Tribunale di Norimberga consentiva di accusare gli imputati anche per tale tipo di bombardamento, che poteva rientrare nelle caratteristiche sia del crimine di guerra, sia del crimine contro l'umanità. IL PROCESSO DI TOKYO Istituito il 19 gennaio 1946 al fine di processare gli imputati giapponesi di crimini contro la pace, di guerra e contro l'umanità Il Tribunale di Tokyo era composto di undici giudici designati ciascuno degli stati che ne facevano parte (Australia, Canada, Cina, Filippine, Francia, India, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica) Il processo si concluse il 4 novembre 1948 → nessuno degli imputati fu assolto Anche sul processo di Tokyo grava lo spettro della giustizia dei vincitori e dei crimini che non sarebbero mai stati giudicati da alcun tribunale, perché imputabili a esponenti degli Stati vincitori 15 In particolare il bombardamento con armi nucleari di Hiroshima e Nagasaki da parte degli Stati Uniti il processo mancato → non ricevette attuazione una disposizione sui crimini dell'individuo contenuta nel trattato di pace tra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate (Parigi, 1947), che prevedeva l'obbligo dell'Italia di arrestare e di consegnare perché fossero processati coloro che erano accusati di aver compiuto crimini di guerra, crimini contro la pace o crimini contro l'umanità I TRIBUNALI PER L’EX-IUGOSLAVIA E PER IL RUANDA Istituito per il giudizio delle persone responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio dell'ex-Jugoslavia a partire dal 1991 Alle categorie dei crimini di guerra, del genocidio e dei crimini contro l'umanità, lo statuto del Tribunale non affianca la categoria dei crimini contro la pace. La ragione dell'esclusione può essere che stabilire chi avesse provocato il conflitto insorto sul territorio dell'ex-Jugoslavia avrebbe dato luogo a complesse discussioni di carattere politico, senza che fosse strettamente necessario affrontare tale questione, dato che gli stessi individui potevano venire ugualmente imputati di crimini di guerra o di crimini contro l'umanità. Lo statuto presenta considerevoli innovazioni rispetto al precedente del Tribunale di Norimberga per quanto riguarda l'elenco dei crimini contro l'umanità (ad esempio, l'inclusione dello stupro) e la tutela dei diritti dell'imputato e del condannato (ad esempio, il diritto a un giudizio di appello e l'esclusione della pena di morte). Opportune sono anche le norme concernenti la protezione delle vittime e dei testimoni e l'esecuzione delle condanne alla reclusione in Stati terzi che abbiano manifestato la loro disponibilità. Di fronte al Tribunale per l'ex-jugoslavia, avente sede all'Aja, sono stati imputati 161 individui. Di fronte al Tribunale per il Ruanda, avente sede ad Arusha, sono stati imputati 85 individui Poco dopo, di fronte a un'emergenza umanitaria altrettanto grave, il Consiglio di Sicurezza istituì il Tribunale penale internazionale per il giudizio delle persone responsabili di genocidio e di altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commessi nel territorio del Ruanda e dei cittadini ruandesi responsabili di genocidio e altre simili violazioni LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE Organo giudiziario internazionale per svolgere processi relativi ai crimini internazionali dell'individuo, istituito il 17 luglio 1998 Ha sede all'Aja, si compone di diciotto giudici, eletti a scrutinio segreto dall'Assemblea degli Stati parte. Organo indipendente dalla Corte è il Procuratore, eletto a scrutinio segreto dall'Assemblea degli Stati parte a maggioranza assoluta. Lo Statuto della Corte enuncia quattro categorie di crimini rientranti nella giurisdizione della Corte: i crimini di guerra Comprende le gravi violazioni delle norme e delle consuetudini applicabili nei conflitti armati internazionali, le gravi violazioni dell'articolo comune alle quattro Convenzioni di Ginevra applicabile ai 16 conflitti armati di carattere non internazionale e le altre gravi violazioni delle norme e delle consuetudini applicabili nei conflitti armati di carattere non internazionale il crimine di genocidio La definizione riprende quella contenuta nella Convenzione sul genocidio (1948) i crimini contro l'umanità Comportamenti che assumono una gravità tale da offendere il sentimento di umanità e la dignità stessa del genere umano. Lo Statuto elenca undici casi di crimini: l'uccisione, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione, l'imprigionamento, la persecuzione, la tortura, lo stupro o reati di natura sessuale, la sparizione forzata di persone, la segregazione razziale, gli altri atti disumani di carattere simile che causano intenzionalmente gravi sofferenze La condotta specificata deve essere tenuta nell'ambito di un attacco contro una popolazione civile fatto con consapevolezza Così, un atto isolato di tortura non fa del responsabile un criminale contro l'umanità (determina la sua responsabilità penale sul piano del diritto interno applicabile) Altre condotte (terrorismo o traffico su larga scala di sostanze stupefacenti) non hanno trovato una base di consensi sufficiente per venire inserite tra i crimini contro l'umanità elencati nello Statuto della Corte il crimine di aggressione Compiuto da chi pianifica, prepara, inizia o esegue un atto di aggressione che, per carattere, gravità e scala, costituisca una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite, purché si tratti di un individuo che occupi una posizione tale da poter controllare o dirigere l'azione politica o militare dello Stato: la giurisdizione La Corte può esercitare la propria giurisdizione se una situazione nella quale un crimine sembra essere stato commesso è sottoposta al Procuratore da uno Stato parte dello Statuto, dal Consiglio di Sicurezza, oppure se il Procuratore ha aperto un'indagine sulla situazione ed è stato autorizzato a svolgere tale indagine da una Camera preliminare della Corte stessa. La giurisdizione della Corte si basa su delle condizioni, essendo sufficiente che una sola si verifichi: ratione loci: la giurisdizione sussiste se i crimini sono stati commessi sul territorio di uno Stato parte (o a bordo di una nave o aeromobile avente la nazionalità di uno Stato parte) ratione personae: la giurisdizione sussiste se i crimini sono imputati a un individuo che è cittadino di uno Stato parte. ratione temporis: la Corte ha giurisdizione soltanto per i crimini verificatisi dopo l'entrata in vigore del suo Statuto Anche uno Stato non parte allo Statuto può, con una dichiarazione depositata presso il cancelliere della Corte, consentire a che la Corte eserciti la sua giurisdizione riguardo a determinati crimini 17 La giurisdizione della Corte Penale Internazionale ha carattere complementare rispetto alla giurisdizione penale nazionale. Al fine di evitare i concorsi di giurisdizione tra la Corte e gli organi giudiziari nazionali e al fine di scongiurare il rischio che la Corte sia investita di un eccessivo numero di casi, la giurisdizione della Corte si esercita soltanto riguardo ai casi che non siano sottoposti o non siano già stati sottoposti agli organi di uno Stato che abbia giurisdizione, a meno che risulti che tale Stato non abbia la volontà oppure non abbia la capacità di esercitare effettivamente la sua giurisdizione. La prima ipotesi si ha quando in uno Stato non si seguono le regole del giusto processo esempio: se il processo è svolto solo al fine di scagionare l'imputato o se si verificano ritardi ingiustificati o mancano i requisiti di imparzialità o di indipendenza del giudice) La seconda ipotesi si ha quando manca il sistema giudiziario in uno Stato o tale sistema risulta sostanzialmente inidoneo le norme penali applicabili Lo Statuto della Corte fa propri vari principi generali del diritto penale: l'irretroattività in peggio della norma penale la responsabilità penale individuale l'improcedibilità nei confronti di coloro che hanno meno di diciotto anni al momento della commissione di un crimine. Lo Statuto esclude che la qualifica ufficiale dell'imputato, fosse anche quella di capo di Stato, di governo o membro del parlamento, lo esoneri dalla responsabilità per i crimini compiuti o gli garantisca l'immunità dal procedimento → verrebbe sennò vanificata l'idea stessa della responsabilità internazionale dell'individuo. La Corte accerta se l'accusato è innocente o colpevole dei crimini a lui imputati. per i colpevoli: condanna a pena detentiva, che può arrivare fino a 30 anni di reclusione o all'ergastolo, qualora questo sia giustificato dall'estrema gravità del crimine e dalle circostanze soggettive del reo. multa, ordinare la confisca dei proventi del reato, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede. forme di riparazione (restituzione, risarcimento, riabilitazione) a favore delle vittime È stato istituito in proposito un Fondo a beneficio delle vittime. sentenza → impugnabile di fronte alla Camera d'Appello della Corte, su domanda del Procuratore o del condannato, per errore di procedura, errore di fatto, errore di diritto o, nel caso di appello proposto dal condannato, ogni altro motivo che pregiudichi la giustizia o l'affidabilità della procedura o della decisione. I TRIBUNALI PENALI MISTI Sono incaricati dello svolgimento di processi per gravi crimini verificatisi in situazioni di crisi interna. Presentano aspetti internazionali per quanto riguarda la loro composizione e la natura dei crimini che rientrano nella loro giurisdizione 18 Essi mirano ad assicurare la giustizia in situazioni in cui l'ordinario sistema giudiziario nazionale non appare in grado LA GIURISDIZIONE NAZIONALE UNIVERSALE Esercitata nei confronti di coloro che sono accusati di crimini internazionali dell'individuo. nazionale → i processi sono svolti di fronte alle corti giudiziarie di uno Stato determinato universale → riguarda crimini di diritto internazionale ovunque siano essi stati commessi e in assenza di un qualsiasi collegamento sostanziale con lo Stato obiettivo: evitare che crimini molto gravi rimangano impuniti perchè: lo Stato che avrebbe giurisdizione manca della volonta o della capacità di svolgere i relativi processi non si puo svolgere un processo di fronte alla Corte Penale Internazionale per la presenza di una situazione che esclude la sua giurisdizione. PARTE III – MANTENIMENTO DELLA PACE E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE CAPITOLO 5 IL MANTENIMENTO DELLA PACE E L’USO DELLA FORZA § IL DIVIETO DI USO DELLA FORZA NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI Il mantenimento della pace e della sicurezza rappresenta uno degli obiettivi fondamentali della moderna comunità internazionale → art. 1 della Carta delle Nazioni Unite. Nella Carta delle Nazioni Unite, l'obiettivo del mantenimento della pace è strettamente legato all'idea che gli Stati debbano astenersi dal ricorso unilaterale alla forza armata nei rapporti internazionali. In maniera evocativa, il Preambolo della Carta esprime la volontà di evitare alle generazioni future il flagello della guerra, che per ben due volte ha afflitto l’umanità nel corso del XX secolo. Più concretamente l’art. 2 della Carta, che enuncia i PRINCIPI secondo i quali l 'Organizzazione e i suoi Stati membri debbono agire, PROIBISCE a questi ultimi di minacciare o usare la forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato. Ø vieta agli Stati l'uso della forza in senso ampio e tutte le forme di coercizione militare, anche di entità minore alla vera e propria guerra - anche misure poco distanti dalla guerra es. occasionali rappresaglie armate contro un illecito altrui Ø la proibizione non si limita all'uso attuale della forza, ma si estende anche alla "minaccia" - risulterebbe illecito il comportamento di uno Stato che minacci l’uso della forza per ottenere concessioni territoriali da un altro Stato o per costringerlo a tenere o meno una certa condotta politica o economica. Ø proibisce l'uso della forza diretto contro l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di ogni Stato o in ogni altra maniera incompatibile con i fini delle nazioni unite. 19 Ø la guerra e la violenza armata non sono più considerate come uno strumento lecito per la soluzione delle controversie internazionali – gli Stati devono risolvere le loro controversie attraverso mezzi pacifici. Nonostante la formulazione stringente accolta nella Carta delle Nazioni Unite, due ordini di questioni rendono problematica l’applicazione e e l’efficacia sul piano concreto del divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali —> sono solamente due le ECCEZIONI al divieto di uso della forza ammesse nella Carta: o le misure coercitive decise dal Consiglio di Sicurezza (ai sensi del capitolo VII) per mantenere o ristabilire la pace e sicurezza internazionali o il riconoscimento, per lo Stato vittima di un attacco armato, del diritto naturale di legittima difesa: questo diritto è destinato a cessare non appena il Consiglio di Sicurezza abbia adottato efficaci misure per il ristabilimento della pace. Il divieto di uso della forza implica la nullità di qualsiasi trattato con il quale due o più Stati si accordino per usare la forza armata contro un terzo Stato IL CONSIGLIO DI SICUREZZA Le competenze e i poteri del Consiglio di Sicurezza sono disciplinati, in via generale, in alcune disposizioni del capitolo V della Carta delle Nazioni Unite. I poteri spettanti al Consiglio di Sicurezza sono indicati nei capitoli VI, VII, VIII e XII della Carta. L'effettiva applicazione delle norme della Carta relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali è fortemente condizionata da fattori politici. La rinuncia all'uso della forza e lo stabilimento di un sistema di sicurezza collettiva si collegano strettamente alle norme relative alla composizione del Consiglio di Sicurezza In quest'organo ristretto (15 Stati membri) una posizione di supremazia è riservata ai cinque Stati che sostennero il maggiore sforzo bellico contro le potenze dell'Asse durante il secondo conflitto mondiale Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti hanno la qualità di membri permanenti; gli altri 10 Stati membri sono eletti dall'Assemblea Generale per 2 anni Sistema di voto: per questioni procedurali → maggioranza di nove voti su quindici per questioni sostanziali → nella maggioranza dei nove voti affermativi devono necessariamente essere compresi i voti di tutti e cinque i membri permanenti Si tratta del c.d. "diritto di veto" spettante ai membri permanenti, ciascuno dei quali può bloccare, con il solo proprio voto negativo, l'adozione di delibere del Consiglio di Sicurezza su questioni importanti Al di là delle implicazioni politiche complesse, la principale difficoltà di una riforma del Consiglio di Sicurezza è legata a una ragione tecnica → una simile riforma richiede un emendamento del testo degli artt. 23 e 27 della Carta 20 Qualsiasi emendamento della Carta deve essere adottato da due terzi dei membri dell'Assemblea Generale e deve essere ratificato da due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite Tra questi, però, devono essere inclusi tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Questa procedura di emendamento rende difficile, anche se non del tutto impossibile, cambiamenti alle disposizioni della Carta che riguardano la composizione o il sistema di voto in Consiglio di Sicurezza. Nel tentativo di rimediare alle difficoltà di funzionamento del Consiglio di Sicurezza e di una sua riforma, la prassi delle Nazioni Unite si è orientata verso soluzioni alternative, volte a privilegiare i ruolo dell'Assemblea Generale. L’ASSEMBLEA GENERALE a composizione ristretta con competenza specifica a composizione plenaria con competenza generale E’ composta di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e può discutere qualsiasi questione o materia che rientri nell'ambito della Carta delle Nazioni Unite Mentre il Consiglio di Sicurezza può decidere con effetto obbligatorio misure da adottare o azioni da intraprendere, l'Assemblea Generale può per lo più adottare solo raccomandazioni, ovvero atti di carattere non vincolante L'Assemblea può discutere e fare raccomandazioni anche su questioni sul mantenimento della pace e della sicurezza internazionali → nella Carta ci sono delle condizioni per salvaguardare la responsabilità principale del Consiglio di Sicurezza e per evitare casi di concorrenza tra i due organi. delibere: maggioranza dei due terzi quando riguardano "questioni importanti" maggioranza semplice quando riguardano "altre questioni" art. 11 della Carta: qualsiasi questione riguardante il mantenimento della pace per la quale si renda necessaria un "azione" (coercitiva) deve essere rinviata dall'Assemblea al Consiglio. La soluzione pacifica delle controversie e le raccomandazioni del Consiglio di Sicurezza art. 33 della Carta → elenca solo alcuni dei possibili mezzi di soluzione pacifica previsti nel diritto internazionale, secondo la classica ripartizione tra; mezzi diplomatici: contatti diretti tra le parti in lite o sull'eventuale intervento di un terzo mediatore o conciliatore, incaricato di promuovere l'accordo delle parti, ma privo di poteri decisionali mezzi arbitrali o giudiziari: l’intervento di una terza istanza (arbitro o giudice) incaricato dalle parti di decidere con effetto vincolante la loro controversia Vige il principio della libera scelta delle parti circa il mezzo di soluzione a loro più congeniale. Nemmeno il Consiglio di Sicurezza potrà imporre alcuna scelta alle parti a una controversia, ma al più consigliare o raccomandare loro, senza effetto vincolante, il ricorso a un mezzo di soluzione La scelta di limitare al solo potere di raccomandazione l'intervento del Consiglio di Sicurezza nel campo della soluzione delle controversie è del tutto coerente con la sua natura, politica e non giuridica 21 L'azione per il mantenimento della pace e le decisioni del Consiglio di Sicurezza I presupposti per l'intervento del Consiglio di Sicurezza cambiano radicalmente quando, da una controversia che potrebbe mettere in pericolo il mantenimento della pace si passa ad una situazione di emergenza concreta → l'intervento del Consiglio di Sicurezza diventa una vera e propria azione coercitiva svolta attraverso l'adozione delle misure che implicano il ricorso alla forza armata Al Consiglio di Sicurezza è attribuito il potere di decidere le misure appropriate al mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali L'effetto vincolante delle decisioni del Consiglio di Sicurezza è sancito in via generale dall'art. 25 della Carta → gli Stati membri convengono di accettare ed eseguire tali decisioni in conformità con la Carta stessa Particolari poteri decisionali, pur sempre collegati all'esercizio della responsabilità in materia di mantenimento della pace, possono eccezionalmente essere attribuiti al Consiglio di Sicurezza da trattati diversi dalla Carta delle Nazioni Unite. art. 103 della Carta → in caso di conflitto tra obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite e obblighi derivanti da altri trattati, è data prevalenza agli obblighi della Carta: La distinzione tra le nozioni di minaccia alla pace, violazione della pace e atto di aggressione non è chiara, poiché la Carta non fornisce una definizione di queste tre espressioni. Se tutte e tre le categorie sono accomunate dal loro impatto negativo sul mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, è lecito immaginare che tra esse possa esistere un differente grado di intensità e gravità: la violazione della pace e l'aggressione presuppongono un conflitto armato già in atto la minaccia alla pace è una condizione di pericolo reale e impellente, ma non necessariamente delle ostilità in atto Tuttavia queste distinzioni mantengono un valore puramente presuntivo, ben potendo l'organo qualificare come minaccia alla pace o come violazione della pace una fattispecie che, per gravità e intensità, presenta invece tutte le caratteristiche dell'aggressione. violazione della pace → nozione maggiormente "neutra" dal punto di vista dell'attribuzione delle responsabilità per il ricorso illecito della forza armata. aggressione → evoca intuitivamente un attacco armato di uno Stato contro un altro La lista di atti rientranti nella definizione è ampia e arriva a comprendere, oltre ad azioni di diretta natura aggressiva, anche la complicità negli atti di aggressione compiuti da un terzo Stato e l'invio di bande armate irregolari o di mercenari o un sostanziale coinvolgimento in un'azione simile. 22 LA MINACCIA ALLA PACE La nozione di minaccia alla pace non è necessariamente legata a controversie tra diversi Stati, ma copre anche situazioni interne di un singolo Stato che potrebbero avere effetti sul mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Viene quindi superata la classica distinzione tra conflitti armati internazionali (tra Stati) e conflitti armati interni (in uno Stato tra forze governative e movimenti insurrezionali), anche questi ultimi considerati dal Consiglio di Sicurezza come una minaccia alla pace. La minaccia alla pace non va necessariamente identificata con una situazione di uso della forza imminente o in atto, ma può essere integrata da crisi che interessano il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali in ragione delle implicazioni sul piano umanitario, sociale, economico o ecologico. Coerentemente con tali affermazioni di principio, la prassi sviluppata a partire dal 1990 dal Consiglio di Sicurezza ha mostrato la flessibilità della nozione, che è stata applicata a situazioni eterogenee esempio: il collegamento tra la minaccia alla pace e una situazione di crisi umanitaria in cui versava una popolazione civile per gli effetti di un conflitto armato in Somalia esempio: tra gli sviluppi recenti, meritano una menzione le minacce alla pace create da emergenze sanitarie internazionali. La nozione di minaccia alla pace è stata poi impiegata dal Consiglio di Sicurezza per inquadrare fenomeni riconducibili all'uso della forza nelle relazioni internazionali, come il terrorismo o la diffusione illecita delle armi di distruzione di massa. Terrorismo → con questo termine nizialmente si intendevano solo episodi di c.d. "terrorismo di Stato", legati al coinvolgimento di particolari governi in attentati terroristici. In seguito (ad esempio dopo gli l'11 settembre 2001) l'attenzione del Consiglio si è concentrata sul fenomeno del terrorismo globale come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali LE MISURE PROVVISORIE art. 40 della Carta: per prevenire l'aggravamento della situazione e prima di fare le raccomandazioni o decidere le misure previste all'art. 39, il Consiglio di Sicurezza può invitare le parti interessate a conformarsi a quelle misure provisorie che ritenga necessarie o desiderabili. La frase iniziale della disposizione sottolinea la natura cautelare di queste misure, il cui scopo è prevenire l'ulteriore deterioramento di una certa situazione che si presume però (data la collocazione dell'art. 40 all'interno del capitolo VII della Carta) essere già stata qualificata dal Consiglio di Sicurezza come minacciosa per la pace. Le misure provvisorie si distinguono dalle successive misure (art. 41 e 42) per il fatto di essere prive di natura coercitiva e tendenzialmente neutrali (senza pregiudizio dei diritti, pretese e posizione delle parti) 23 Nella prassi del Consiglio di Sicurezza, le misure provvisorie si concretizzano in: richieste di cessate il fuoco ritiro delle truppe alle posizioni precedenti l'inizio di uno scontro armato Queste sono rivolte alle parti coinvolte con esortazioni per l'avvio di negoziati per la soluzione pacifica del conflitto. Le misure provvisorie del Consiglio di Sicurezza hanno portata obbligatoria? Dubbi al riguardo: l'art. 40 prevede che il Consiglio di Sicurezza si limiti a "invitare" le parti interessate ad attuare le misure provvisorie lo stesso art. 40 riserva al Consiglio di Sicurezza la facoltà di prendere in considerazione il mancato adempimento delle misure provvisorie, e con ciò sembra presupporre un loro effetto vincolante L'effetto di raccomandazione e l'effetto obbligatorio possono presentarsi alternativamente, a seconda dell'intento perseguito dall'organo in ciascun caso di specie. LE MISURE NON IMPLICANTI L’USO DELLA FORZA (art. 41) Le misure in questione non presuppongono il ricorso alla forza, circostanza che le distingue dalle misure armate previste dal successivo art. 42 La loro portata è comunque dichiaratamente coercitiva, con la finalità di "dare effetto" alle decisioni del Consiglio di Sicurezza. LE MISURE TIPICHE → misure non armate Sono riconducibili all'art. 41 della Carta: isolare sul piano dei rapporti internazionali lo Stato o gli altri soggetti destinatari e indurli a cessare il comportamento minaccioso per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. misure tipiche previste dall’art.41: misure di embargo economico: si impone agli Stati membri delle Nazioni Unite di interrompere i rapporti commerciali con un certo Stato o altro soggetto specificamente individuato; misure in cui si chiede agli Stati membri di interrompere le loro comunicazioni (principalmente aeree e navali) a destinazione o in provenienza da un certo Stato o entità. Queste misure hanno subito una profonda evoluzione a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Come conseguenza delle pesanti conseguenze economiche e sociali prodotte da queste misure, si è imposto nella prassi del Consiglio di Sicurezza il ricorso alle c.d. sanzioni "intelligenti" o "mirate" Si tratta di misure che intendono colpire, non lo Stato, ma gli individui o i gruppi di individui che sono direttamente responsabili del comportamento minaccioso per la pace e la sicurezza internazionali. Sul piano concreto si traducono nell'obbligo posto a tutti gli Stati di congelare il patrimonio, i beni o le attività economiche e finanziarie riconducibili a certe persone individuate dal Consiglio di Sicurezza, oppure nell'obbligo per tutti gli Stati di impedire alle medesime persone l'accesso e il transito attraverso i rispettivi territori. 24 Inizialmente utilizzate nei confronti dei dirigenti governativi di uno Stato Successivamente il Consiglio di Sicurezza le ha rivolte verso gli appartenenti a gruppi insurrezionali o a organizzazioni private. Le sanzioni intelligenti contro persone fisiche o giuridiche sono oggi divenute la forma più diffusa di misure del Consiglio di Sicurezza non implicanti l'uso della forza Tali sanzioni sollevano delicate questioni sotto il profilo della compatibilità con i parametri di tutela dei diritti umani: La designazione dei destinatari delle sanzioni attraverso le c.d. blacklists: liste nominative redatte e aggiornate da appositi comitati delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza, sulla base di informazioni fornite dagli Stati membri delle Nazioni Unite con una procedura confidenziale, dalla quale rimangono esclusi gli individui interessati. Tale circostanza solleva gravi difficoltà dal punto di vista delle garanzie dell'equo processo Sulla spinta di diverse sentenze di giudici nazionali e internazionali che hanno censurato il sistema delle liste, il Consiglio di Sicurezza ha provveduto a riformare a diverse riprese le procedure di iscrizione e di radiazione dei nomi dalle liste. Tra gli sviluppi più importanti, va segnalato il sistema di controllo del 2009: questo sistema fa capo alla figura di un Mediatore indipendente (Ombudsperson), incaricato di ricevere e istruire i reclami delle persone che si ritengono ingiustamente inserite nelle liste dei soggetti sottoposti alle sanzioni intelligenti e, nel caso, di proporre al Consiglio di Sicurezza la rimozione di un certo nominativo dalle liste stesse. Questi sviluppi provano che, a dispetto dell'ampia discrezionalità assegnata in materia di mantenimento della pace, l'azione del Consiglio di Sicurezza non può essere totalmente sottratta al rispetto delle norme rilevanti del diritto internazionale, in particolare quelle concernenti la tutela dei diritti umani. LE MISURE ATIPICHE → sono caratterizzate da contenuto e finalità differenti, che non sono espressamente previste in nessuna disposizione della Carta e condividono con le misure dell'art. 41 il solo dato dall'assenza di coercizione armata. esempi: risoluzioni nelle quali il Consiglio di Sicurezza ha dichiarato l'illiceità di una certa situazione derivante da violazioni del diritto internazionale (usualmente, un' azione armata o un' occupazione militare di un territorio altrui), chiedendo a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di disconoscerne gli effetti giuridici. creazioni di amministrazioni transitorie delle Nazioni Unite, dotate di poteri normativi, amministrativi e giudiziari funzionali alla gestione di territori usciti da situazioni conflittuali e incaricate di avviare il processo di ristabilimento di autonome strutture di governo locali: azione per la lotta contro il terrorismo globale, contro il traffico illecito e la diffusione di armi di distruzione di massa presso soggetti non-statali (in primo luogo, terroristi) 25 La portata di tali misure, che impongono agli Stati membri obblighi generali ed astratti, è tale da poter configurare l'esercizio da parte del Consiglio di Sicurezza di poteri di natura quasi-normativa. LE MISURE IMPLICANTI L’USO DELLA FORZA E IL PROBLEMA DEL REPERIMENTO DELLE FORZE ARMATE art. 42 della Carta: il Consiglio di Sicurezza, nel caso ritenga inadeguate le misure non armate dell'art. 41, può decidere l'adozione delle misure implicanti l'uso della forza che siano necessarie a mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. l'azione deve presupporre il ricorso a misure armate di carattere coercitivo (forze armate aeree, navali o terrestri) miranti a mantenere o ristabilire la pace e azioni dirette contro uno Stato (o più Stati) o altri soggetti (ad es. gruppi insurrezionali) la cui condotta ponga in pericolo il mantenimento della pace. è il Consiglio di Sicurezza a essere il diretto gestore dell'azione armata, sia nella fase decisionale e di scelta delle misure armate, sia nella fase operativa di esecuzione delle stesse sul piano concreto l'azione del Consiglio deve necessariamente svilupparsi attraverso forze armate provenienti dagli Stati membri, essendo le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza privi di forze militari proprie GESTIONE DELLA FORZA ARMATA → due modalità alternative rispetto all’art.42 che restano distinte e concorrenti tra di loro: c.d. peacekeeping delle Nazioni Unite: operazioni di mantenimento della pace che sono di volta in volta costituite e schierate nel contesto di particolari situazioni conflittuali, con compiti di interposizione tra le parti coinvolte (usato sopratutto nel periodo della guerra fredda) peace-enforcement (imposizione della pace) delle Nazioni Unite: operazioni militari con finalità coercitive, composte di contingenti di Stati membri disponibili a parteciparvi che sono di volta in volta autorizzate dal Consiglio di Sicurezza a usare la forza per imporre il mantenimento o ristabilimento della pace in una particolare situazione Tuttavia, anche questa seconda modalità, che si è consolidata soprattutto dopo il 1990, rappresenta una deviazione rispetto al modello predisposto negli artt. 42 e seguenti della Carta, poiché l'operazione coercitiva armata non è svolta e diretta dal Consiglio di Sicurezza, ma dagli Stati membri che vengono delegati a tal fine. LE OPERAZIONI PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE Le operazioni per il mantenimento della pace delle Nazioni Unite non trovano una base giuridica espressa nelle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite. 26 Si tratta di operazioni create a iniziativa del Consiglio di Sicurezza, il quale ne definisce il mandato e ne controlla la direzione operativa grazie a una catena di comando che passa attraverso il Segretario Generale. Sul piano materiale, le operazioni sono costituite da contingenti militari messi a disposizione dagli Stati membri attraverso accordi negoziati con il Segretario Generale Pur essendo caratterizzate dalla componente militare, le operazioni di mantenimento della pace si configurano come un modello alternativo rispetto all'uso coercitivo della forza previsto all'art. 42 della Carta. UNEF I (United Nations Emergency Force) → considerata la prima vera e propria operazione di mantenimento della pace Eccezionalmente creata dall'Assemblea Generale (1956) nel contesto della crisi relativa al canale di Suez Le operazioni per il mantenimento della pace hanno dei punti in comune: Il consenso delle parti interessate dal dispiegamento dell'operazione l'imparzialità dell'operazione rispetto alle parti coinvolte l'uso circoscritto della forza armata (limitato al solo caso della legittima difesa del personale esposto ad attacco o, come meglio si vedrà, della difesa del mandato dell'operazione) Queste rappresentano le tre caratteristiche fondamentali del peacekeeping delle Nazioni Unite L’USO LIMITATO DELLA FORZA ARMATA Come detto, il ricorso alla forza doveva ritenersi circoscritto alla sola ipotesi eccezionale della legittima difesa del personale militare esposto ad un attacco. Tuttavia, a partire dal 1990 si è assistito ad alcune esperienze di forze di mantenimento della pace che, inizialmente investite di funzioni di assistenza umanitaria alla popolazione civile nel contesto di un conflitto armato, si sono viste attribuire dal Consiglio di Sicurezza compiti di natura coercitiva, strumentali alla difesa del mandato principale dell'operazione. Esempi: UNPROFOR (United Nations Protection Force), incaricata di scoraggiare gli attacchi contro le zone di sicurezza adibite alla protezione della popolazione civile in Bosnia-Erzegovina e di evacuare le forze paramilitari presenti in tali zone UNOSOM II (United Nations Operation in Somalia II), incaricata di disarmare coattivamente e tradurre in giustizia i gruppi armati responsabili di attacchi contro la sicurezza dell'operazione in Somalia Queste esperienze hanno portato al consolidarsi del c.d. peacekeeping "robusto”, espressione con la quale si indicano le operazioni di mantenimento della pace eccezionalmente legittimate a ricorrere alla forza armata per il conseguimento di obiettivi 27 LE AUTORIZZAZIONI ALL’USO DELLA FORZA L'autorizzazione all'uso della forza concessa dal Consiglio di Sicurezza agli Stati rappresenta la seconda modalità di gestione della forza armata sviluppata nell'ambito del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite. La prassi internazionale conferma che l'eventuale esercizio della forza armata da parte di uno Stato entro i confini di un altro Stato possono essere giustificate dal consenso prestato da quest'ultimo. Tale consenso può essere motivato da diverse ragioni, che comprendono lo svolgimento di esercitazioni militari, di operazioni di polizia, di assistenza allo Stato territoriale nel mantenimento dell'ordine e della sicurezza oppure operazioni di salvataggio di cittadini dello Stato interveniente. Il consenso deve essere valido, cioè espresso dall'autorità abilitata a formularlo sul piano internazionale e non viziato da coercizione, mentre l'intervento armato altrui deve mantenersi entro i limiti di quanto consentito. 1950 → attacco armato contro la Corea del Sud dalle truppe della Corea del Nord Nell'occasione il Consiglio di Sicurezza, dopo aver qualificato la situazione come violazione della pace, raccomandò agli Stati membri di fornire assistenza militare alla Corea del Sud per respingere l'attacco armato nordcoreano Su tale base, venne formata una forza militare multinazionale sotto guida statunitense Tale precedente non ebbe però seguiti per l'intero periodo della guerra fredda. Solo nel 1990, a fronte dell'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, il Consiglio di Sicurezza autorizzò gli Stati membri delle Nazioni Unite a "utilizzare tutti i mezzi necessari" per ottenere la liberazione del Kuwait e ristabilire la pace e la sicurezza nell'area del Golfo persico. Successivamente la formula dell'autorizzazione all'uso della forza (ricorso a "tutti i mezzi necessari / tutte le misure necessarie") si è consolidata nella prassi del Consiglio di Sicurezza ed è divenuta il modello di riferimento per le azioni delle Nazioni Unite implicanti il ricorso alla forza armata. schema dell'autorizzazione all'uso della forza: l'iniziale decisione sull'opportunità del ricorso alle armi è riservata al Consiglio di Sicurezza la costituzione dell'operazione militare, il suo comando e la sua gestione ed il suo svolgimento sono delegate (fatte salve alcune forme di controllo più o meno formale da parte del Consiglio) agli Stati membri disponibili a raccogliere l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza (le c.d. coalizioni dei volonterosi) La logica di fondo è che, non potendo il Consiglio disporre direttamente dei mezzi necessari per lo svolgimento delle operazioni armate necessarie al mantenimento della pace (a causa della mancata conclusione degli accordi previsti dall'art. 43), a esso non resterebbe altra alternativa che delegarne lo svolgimento agli Stati membri. 28 Vi sono poi interventi armati autorizzati dal Consiglio di Sicurezza per la realizzazione di finalità marcatamente umanitarie esempio: distribuzione sicura di aiuti umanitari in Somalia esempio: autorizzato il ricorso a tutti i mezzi necessari per la protezione della popolazione civile esposta alla violenza della guerra civile in Libia Affinché tale meccanismo rimanga compatibile con il sistema di sicurezza collettiva previsto nella Carta delle Nazioni Unite è necessario che il Consiglio di Sicurezza conservi una qualche forma di controllo sulle azioni armate da esso autorizzate → indicare nella risoluzione autorizzativa le precise finalità dell'intervento autorizzato e i suoi limiti temporali, rispetto ai quali sarà valutata l'opportunità e l'adeguatezza delle misure adottate dagli Stati beneficiari della delega. L'ambiguità o la vaghezza delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza possono essere all'origine del fenomeno delle autorizzazioni all'uso della forza "implicite": casi in cui gli Stati cercano di dedurre l'autorizzazione all'uso della forza da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza contenenti il solo accertamento dell'esistenza di una minaccia alla pace le ipotesi in cui una copertura del Consiglio di Sicurezza all'uso della forza è collegata a autorizzazioni sì esplicite, ma rilasciate in precedenti risoluzioni Una variante delle autorizzazioni "implicite" è rappresentata dalle autorizzazioni "a posteriori" , che si riscontrano nei casi in cui alcuni Stati cercano di dedurre un avallo a loro interventi armati unilaterali dal fatto che questi non siano stati apertamente condannati dal Consiglio di Sicurezza, oppure siano seguiti da risoluzioni con le quali l'organo prende atto della situazione creata dall'azione militare e cerca di gestirne gli effetti. Effetto giuridico delle autorizzazioni all’uso della forza del Consiglio di Sicurezza: Le misure implicanti l'uso della forza dovrebbero essere l'oggetto di decisioni vincolanti del Consiglio, con la conseguenza che il loro contenuto e la loro attuazione dovrebbero imporsi agli Stati membri. Tale effetto giuridico non è così scontato per il meccanismo dell'autorizzazione, la cui funzione è più quella di rimuovere un ostacolo giuridico ostativo al compimento di una certa azione (il ricorso alla forza armata nei rapporti internazionali), non di obbligare al compimento dell'azione stessa. L'autorizzazione all'uso della forza lascia gli Stati membri delle Nazioni Unite liberi di scegliere se dar seguito o meno alla delega del Consiglio di Sicurezza, tanto che nella prassi si registrano casi di autorizzazioni non seguite da operazioni militari. L'effetto dell'autorizzazione all'uso della forza è stato assimilato a quello tipico (non vincolante) delle raccomandazioni rivolte dagli organi delle Nazioni Unite agli Stati membri. Contenuto delle misure che gli Stati destinatari possono adottare in virtù dell'autorizzazione concessa dal Consiglio di Sicurezza: Le formule "all necessary means / all necessary measures", ricorrenti nelle risoluzioni autorizzative, coprono il ricorso all'uso della forza armata. 29 Anche misure meno invasive (rispetto a operazioni militari attive) possono essere adottate dagli Stati quando risultano strumentali per il raggiungimento degli obiettivi indicati dal Consiglio di Sicurezza. In assenza di indicazioni precise, resta il problema dell'ampia discrezionalità che la formula dell'autorizzazione crea in capo agli Stati nella scelta delle misure più appropriate a ciascun caso di specie. In ogni caso, l'adeguatezza e la liceità delle misure adottate dagli Stati agenti in virtù della delega del Consiglio di Sicurezza andranno valutate secondo i principi di necessità e proporzionalità, a loro volta da misurarsi in relazione agli obiettivi indicati nella risoluzione autorizzativa ed alla luce delle norme applicabili del diritto internazionale umanitario e di tutela dei diritti umani. GLI ACCORDI E LE ORGANIZZAZIONI REGIONALI PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA INTERNAZIONALI Pur mirando a costituire un sistema di sicurezza di portata universale, la Carta delle Nazioni Unite non esclude che nel campo del mantenimento della pace possano operare anche altri accordi o organizzazioni su scala regionale, tra Stati appartenenti a una certa area geografica. esempi: Organizzazione degli Stati Americani (1948) → contiene due capitoli dedicati alla soluzione pacifica delle controversie e alla sicurezza collettiva degli Stati membri Unione Africana (2000) → creazione del Consiglio per la Pace e Sicurezza dell'Unione Africana, con specifiche competenze in materia Unione Europea, → dopo le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona (2007), la politica estera e di sicurezza comune è diventato un settore d'azione prioritario, dotato di una propria architettura politico-istituzionale facente capo alla figura dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Esistono poi organizzazioni regionali costituite a livello sub-regionale, come la Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS), che non operano in via principale per il mantenimento della pace, ma risultano particolarmente attive nella gestione delle relative problematiche. Altre organizzazioni sono formate su una base più geopolitica che strettamente geografica: OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), che a partire dal 1973 servì da sede negoziale privilegiata per i paesi dei blocchi politici occidentale e sovietico Lega degli Stati Arabi (1945), che riunisce gli Stati affiliati al mondo arabo NATO (1949) originariamente concepita come alleanza militare difensiva tra alcuni Stati europei, Stati Uniti e Canada, ma oggi protagonista di interventi ad ampio raggio nel campo del mantenimento della pace capitolo VIII della Carta → coordinamento tra azione universale e azione regionale seguendo la distinzione tra soluzione pacifica delle controversie e azione per il mantenimento della pace, e proponendo per ciascuno dei due momenti un diverso ordine di priorità nei rapporti tra Consiglio di Sicurezza e organismi regionali 30 dimensione della soluzione pacifica delle controversie a carattere locale → la Carta riserva un ruolo prioritario agli accordi e alle organizzazioni regionali art. 52 → gli Stati interessati devono fare ogni sforzo per risolvere pacificamente le controversie a carattere locale attraverso gli accordi o gli organismi regionali di cui siano parte, prima di mandarle al Consiglio di Sicurezza Lo stesso Consiglio di Sicurezza deve incoraggiare la soluzione pacifica delle controversie locali attraverso accordi o enti regionali, deferendo direttamente a essi la questione controversa Ciò non pregiudica comunque il potere di inchiesta del Consiglio di Sicurezza e la facoltà di ogni Stato di portare una controversia all'attenzione del Consiglio o dell'Assemblea Generale azione coercitiva per il mantenimento della pace: L’art. 53 torna ad attribuire priorità al Consiglio di Sicurezza, stabilendo che: l'organo può decidere di utilizzare gli accordi e gli organismi regionali per azioni coercitive svolte sotto la sua direzione nessuna azione coercitiva può essere intrapresa da accordi o enti regionali senza l'autorizzazione del Consiglio La seconda parte dell'art. 53 considera la diversa ipotesi nella quale l'iniziativa di un'azione coercitiva sia autonomamente intrapresa da un'organizzazione regionale: per questa eventualità si rende necessaria l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. "azioni coercitive" → quelle implicanti l'uso della forza armata Allo stesso modo, non richiederebbero la previa autorizzazione del Consiglio le operazioni regionali di mantenimento della pace a base consensuale (analoghe al peacekeeping delle Nazioni Unite) Un problema differente è invece dato dalla circostanza che le azioni coercitive armate intraprese da organizzazioni regionali vengono talora autorizzate dal Consiglio di Sicurezza posteriormente all'inizio e allo svolgimento dell'operazione armata LA LEGITTIMA DIFESA Oltre alle misure armate autorizzate dal Consiglio di Sicurezza, la seconda eccezione al divieto di uso della forza prevista dalla Carta delle Nazioni Unite è la legittima difesa. art. 51 → dispone che la Carta non pregiudica il diritto "naturale" o "innato" di legittima difesa individuale e collettiva nel caso di attacco armato contro uno Stato membro delle Nazioni Unite, finché il Consiglio di Sicurezza non abbia adottato le misure necessarie per mantenere la pace e sicurezza internazionali La legittima difesa, prevista nella disposizione finale del capitolo VII della Carta, rappresenta una clausola di chiusura del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite e una valvola di sicurezza per il malfunzionamento dello stesso E’ posta a garanzia dello Stato che, essendo vittima di un attacco armato, non possa beneficiare del tempestivo intervento del Consiglio di Sicurezza. 31 Per mettere il consiglio di sicurezza nelle condizioni di intervenire tempestivamente, l’art.51 della carta prevede che le misure adottate da uno Stato nell'esercizio del diritto di legittima difesa vadano immediatamente notificate al Consiglio e non possano in alcun modo pregiudicare le prerogative dell'organo di adottare l'azione ritenuta necessaria per mantenere e ristabilire la pace e la sicurezza Accade spesso che gli Stati provvedono a notificare al Consiglio di Sicurezza azioni armate che, in realtà, rispondono in maniera molto approssimativa ai presupposti della legittima difesa. Ad esempio, succede che ciascuno degli Stati coinvolti in una certa crisi implicante l'uso della forza armata giustifichi la rispettiva posizione come azione assunta a titolo di legittima difesa. L'art. 51 precisa che la legittima difesa può essere: individuale: cioè posta in essere direttamente dal singolo Stato oggetto di attacco armato, oppure collettiva: uno o più Stati terzi, diversi da quello direttamente attaccato, intervengano con la forza armata a sostegno della vittima per aiutarlo a respingere l'attacco I requisiti della legittima difesa: necessità, proporzionalità e immediatezza L'art. 51 della Carta si preoccupa principalmente di inquadrare la legittima difesa nel contesto del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite, senza affrontare direttamente il nodo della disciplina sostanziale di tale istituto. Nel qualificare come "naturale" il diritto di legittima difesa spettante agli Stati, l'art. 51 rinvia a fonti esterne alla Carta, ovvero al diritto internazionale consuetudinario. Il punto era rilevato in termini molto precisi dalla Corte Internazionale di Giustizia, che sottolinea tre requisiti essenziali della legittima difesa, cioè: necessità: fa riferimento al fatto che il ricorso alla forza in legittima difesa deve imporsi quale unica via disponibile per far fronte all'attacco armato proporzionalità: indica la relazione che dovrebbe sussistere tra l'intensità della reazione difensiva e le dimensioni dell'attacco armato subito immediatezza: la reazione armata deve presentare una stretta contiguità temporale rispetto all'attacco armato Questo requisito va interpretato con una certa elasticità, tenendo conto della continuità della situazione creata da un attacco armato e del lasso di tempo necessario allo Stato attaccato per organizzare la reazione difensiva Altre difficoltà interpretative legate all'istituto della legittima difesa nascono dalle ambiguità o dalle omissioni del testo dell'art. 51 della Carta. ATTACCO ARMATO: La nozione non è definita dalla Carta Nella sentenza del 27 giugno 1986 sul caso delle Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, la Corte Internazionale di Giustizia ha distinto tra: forme meno gravi es. un mero incidente di frontiera tra le forze armate di due Stati confinanti forme più gravi di violazioni del divieto di uso della forza 32 La Corte ha ritenuto che solo le più gravi possono raggiungere la soglia dell'attacco armato e che sia decisivo il criterio della dimensione e degli effetti dell'operazione armata Dunque forme meno gravi di uso della forza risultando comunque illecite, ma non necessariamente ammontano a un'aggressione o a un attacco armato. Recentemente, gli "attacchi cibernetici" (cyber attacks) cioè attacchi informatici volti a compromettere la funzionalità di infrastrutture essenziali dello Stato, sono stati indicati quali possibili giustificazioni per l'esercizio del diritto di legittima difesa, quando per dimensioni ed effetti essi siano equiparabili ad un attacco armato. DIMENSIONE TEMPORALE della legittima difesa: stabilire quando sorga il diritto dello Stato vittima di reagire a un attacco armato preventiva: uno Stato esposto al pericolo di un attacco armato certo e imminente, ma non ancora iniziato, potrebbe intraprendere un'azione difensiva volta a evitare l'accadimento preclusiva: giustificare la risposta armata dello Stato volta a sventare o scongiurare la semplice minaccia o prospettiva di attacchi armati futuri e potenziali In tempi più recenti, la figura della legittima difesa "preclusiva" è stata ripresa e applicata nel più ampio contesto della lotta contro il terrorismo internazionale, contro gli Stati ritenuti complici o sostenitori di gruppi terroristi oppure sospettati di preparare o possedere arsenali di armi non convenzionali (atomiche, chimiche, batteriologiche, ecc.). La formula classica della legittima difesa, espressa nell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, si trova esposta a continue tensioni, volte ad ampliare le condizioni di applicazione. Esemplare di queste tensioni è il discorso pronunciato dal Presidente russo Putin (2024) per annunciare l'avvio di un'operazione militare speciale contro l'Ucraina. Benché il testo del discorso sia stato notificato al Consiglio di Sicurezza per informare circa “le misure adottate in conformità all'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite nell'esercizio del diritto di legittima difesa", in esso compaiono un insieme di giustificazioni diverse per l'uso della forza contro l'Ucraina, la cui connessione con la figura della legittima difesa risulta piuttosto remota. Il discorso del Presidente russo non fa che riprendere i diversi precedenti della prassi in cui vari Stati hanno tentato di giustificare episodi di ricorso unilaterale alla forza armata mediante autonome categorie concettuali (il diritto di intervento umanitario, il salvataggio di cittadini all'estero) oppure tramite il ricorso alle figure tipiche di esclusione dell'illecito internazionale (il consenso, la rappresaglia o contromisura, l'estremo pericolo e la necessità) Ciò porta a considerare se, accanto ai due casi contemplati dalla Carta delle Nazioni Unite (le misure armate autorizzate dal Consiglio di Sicurezza e la legittima difesa adottata da uno Stato vittima di un attacco armato), siano possibili altre eccezioni al divieto di uso della forza nelle relazioni internazionali, eventualmente previste da norme consuetudinarie esterne alla Carta. 33 Un'eccezione al divieto di uso della forza è ipotizzata con riferimento alla figura del c.d. diritto di intervento umanitario → l'impiego della forza armata sarebbe legittimato dall'esigenza di porre termine a gravi e massicce violazioni dei diritti umani esempi: genocidio, crimini di guerra o crimini contro l'umanità, commesse all'interno di uno Stato RESPONSABILITA’ DI PROTEGGERE → il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato gli Stati ad usare tutti i mezzi necessari per proteggere la popolazione civile esposta ad attacchi Lascia però insoluto un nodo cruciale, che è quello della ammissibilità e liceità di interventi armati intrapresi unilateralmente dagli Stati, a fronte del prodursi di catastrofi umanitarie all'interno di un paese e della contestuale incapacità del Consiglio di Sicurezza di assumere delibere efficaci, a causa della mancanza di coesione tra i suoi membri. Il diritto di intervento armato umanitario fatica però a trovare cittadinanza nell'opinione degli Stati e nelle pronunce della giurisprudenza internazionale. Di conseguenza, risulta a tutt'oggi difficile configurare l'esistenza di un'autonoma norma internazionale non scritta che consenta, in assenza di autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, interventi armati unilaterali effettuati allo scopo di far cessare gravi e massicce violazioni dei diritti umani. IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO La Carta delle Nazioni Unite non si occupa di questioni di diritto internazionale umanitario, ovvero del complesso di norme volte a disciplinare il comportamento degli Stati in tempo di conflitto armato Lo scopo principale della Carta è infatti quello di stabilire regole volte a disciplinare il ricorso alla forza armata nell'interesse collettivo e a rendere eccezionali le ipotesi di utilizzo unilaterale della forza da parte di singoli Stati. Di conseguenza, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la codificazione del diritto internazionale umanitario è proseguita attraverso trattati elaborati al di fuori delle Nazioni Unite, ad iniziativa del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Oggi invece, gli organi delle Nazioni Unite ed il Consiglio di Sicurezza si occupano sempre più frequentemente di questioni riguardanti l'applicazione e il rispetto del diritto internazionale umanitario, sia in termini generali, sia in relazione a specifici conflitti armati. PRIMO PROTOCOLLO ADDIZIONALE: Contiene i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario (1977) protezione della popolazione civile → previsto il principio di distinzione, cioè l'obbligo di distinguere in ogni caso tra la popolazione civile, che non partecipa direttamente alle ostilità, e i combattenti, potendo le operazioni essere dirette soltanto contro obiettivi militari (art. 48). Il Protocollo (art. 52) dà indicazioni su cosa si debba intendere per "obiettivo militare", prevedendo due condizioni che operano in modo cumulativo: l'esistenza di un oggetto che, per vari motivi, dia un contributo effettivo all'azione militare il conseguimento di un vantaggio militare definito (principio di necessità) 34 Sono vietati gli attacchi indiscriminati: non diretti a uno specifico obiettivo militare attuati con metodi di combattimento che non possono distinguere tra un obiettivo militare, persone o beni civili. gli attacchi che causino ai civili danni incidentali eccessivi rispetto al concreto e diretto vantaggio militare previsto (principio di proporzionalità) La protezione garantita ai civili si estende, sia pure con alcune eccezioni, anche ai beni indispensabili per la loro sopravvivenza, essendo vietato affamare i civili o costringerli a sfollare Una disposizione molto dettagliata del Protocollo (art. 57) enuncia una serie di precauzioni che devono essere prese al momento di decidere e di effettuare un attacco (principio di precauzione): coloro che preparano un attacco devono fare tutto quanto sia possibile per accertare che esso abbia per oggetto un obiettivo militare lecito devo