Corso di Diritto Internazionale - PDF

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Questo documento descrive il corso di Diritto Internazionale, fornendo una panoramica dei concetti fondamentali del diritto internazionale, dal suo scopo al suo fondamento storico. Include le principali configurazioni e l'evoluzione del diritto nel tempo.

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CORSO DI DIRITTO INTERNAZIONALE prof. Francesco Luigi Gatta periodo 1A e 1B, secondo anno Laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza 01.10.2024 » Che cos’è il diritto internazionale? Esistono diverse scuole di pensiero, 2 principali c...

CORSO DI DIRITTO INTERNAZIONALE prof. Francesco Luigi Gatta periodo 1A e 1B, secondo anno Laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza 01.10.2024 » Che cos’è il diritto internazionale? Esistono diverse scuole di pensiero, 2 principali configurazioni: 1) una concezione prettamente europea, che tende il DI come insieme di regole che disciplinano le relazioni tra soggetti della comunità internazionale (visione stabile e strutturata); 2) una concezione americana, che lo interpreta con una visione più dinamica e flessibile, come un processo in evoluzione dove ci sono norme modificabili dalle forze giuridiche e politiche (continuo ricambio delle regole). Scopo del DI è il mantenimento della pace, del rapporto di coesistenza pacifica tra Stati perché l’idea di fondo è quella che con la pace si possa prosperare e si garantisca un’esistenza ordinata (si cerca di reprimere ogni ostilità tra Stati). Bisogna cercare forme di dialogo tra Stati e popoli, è un codice di comportamento e di linguaggio per trovare soluzioni. » Esiste veramente il diritto internazionale? Il tema è quello dell’efficacia (è in crisi la legalità del DI). Ci sono alcune teorie negazioniste (principalmente americane) secondo le quali il DI esiste ma è più un concetto morale che lo Stato NON è obbligato a seguire, vogliono decostruire che sia un vero e proprio ordinamento con le sue norme. Diversamente, la teoria realista/pragmatica legge il DI calandolo nell’ambito storico e sociale (idea di legalità e di effettività spontanea del DI). In particolare Antonio Cassese, fautore del legal realism, vede una natura anarchica del DI perché si trova in mano agli Stati, dato che sono loro i protagonisti. Si aggiunge una visione giuridico-centrica, che crede sia irrilevante ogni fenomeno che non sia direttamente contemplato dalla regola giuridica, per questo ci sono delle sanzioni sociali per gli Stati che infrangono le regole del DI. » Quando è nato il diritto internazionale? Il Di contemporaneo è diverso dal DI precedente (c’è un precedente storico). Storia del DI inizia secoli e millenni fa, non c’erano però gli Stati, e dato che DI = diritto inter-nationes, si può dire che nasce con la nascita delle Nazioni nel ‘500, con le monarchie assolute (in Italia con il Risorgimento). Alcune teorie, invece, ne portano l’origine fino agli Egizi e ai Greci (nel Mediterraneo). Questi, infatti, stringevano tra città e popoli accordi e alleanze internazionali. Si arriva al diritto romano, nell’impero dell’antica Roma, si può vedere l’origine di una comunità internazionale globale, per il mondo allora conosciuto (sistema ordinato, stessa lingua, stessa moneta…). Nasce proprio a Roma il termine diplomazia, da diplomae, il lasciapassare che portavano con sé gli ambasciatori esperti oratori, inviati a perorare con argomenti politici l’interesse di Roma in altri Stati, per raggiungere i quali avevano bisogno di un permesso → il diplomae per il libero passaggio. Si assume un carattere solenne e rituale della diplomazia per la pax di Roma (come avviene ancora oggi). Dopo l’Impero romano, l’Europa si frammenta in tante entità e si lacera in varie ostilità, nasce lo Stato-Nazione tra il 1400/1500 (Francia, Inghilterra, Spagna…). In questo periodo si sviluppa la diplomazia moderna nell’Italia del Rinascimento (Regni e Signorie), nasce una rete di osservatori e diplomatici nelle spedizioni nelle colonie e nei Paesi stranieri, sopratutto per quanto riguarda la Repubblica di Venezia e il Papato (i Nunzi pontefici). La nascita convenzionale del DI viene configurata nella Pace di Westfalia del 1648, al termine della Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Era una guerra scoppiata tra Stati protestanti e cattolici nel Sacro Romano Impero, poi erano subentrati motivi di egemonia, molta aggressività, alla fine si stipulò un trattato di pace tra i leader europei dell’epoca. Vengono ridisegnati i confini e nasce il concetto di Stato (AUTORITÀ, POPOLO e TERRITORIO). 02.10.2024 Con Westfalia si crea il DI, e su questo modello, tutti gli Stati sono parificati per il mondo di allora (eurocentrismo). Con la nascita degli Stati si assiste al passaggio da verticalità dei rapporti a orizzontalità di questi (tanti Stati con uguale entità sovrana). Scompare la diarchia Papato-Impero, si crea un nuovo ordine, data la pluralità degli Stati (uguaglianza e parità). Si inizia a studiare il DI e si sviluppa un dibattito tra gli studiosi, tra i padri del DI troviamo Ugo Grozio (olandese) e Francisco de Vitoria (spagnolo). Gli Stati iniziano ad espandersi (colonialismo inglese, spagnolo, portoghese…), ma in base a che diritto? Il DI si sviluppa come giustificazione delle conquiste coloniali. Il DI odierno studia questo fenomeno, del DI coloniale e post-coloniale. Si assiste ad una imposizione europea di regole e consuetudini nelle colonie. Il DI offre una giustificazione d tipo RELIGIOSO, GIURIDICO e SCIENTIFICO: I. opera di conversione al cristianesimo (diritto dell’epoca legato alla teologia); II. missione educatrice e civilizzatrice perché l’Europa era all’avanguardia mentre gli altri popoli erano considerati selvaggi, questo portò a condotte violente di sottomissione giustificate da una ragione giuridica di civilizzazione del Nuovo Mondo; III. le altre popolazioni venivano considerate inferiori anche da parte degli studi scientifici (es: Darwin). … Successivamente, nel 1800 vi furono diverse tendenze a rovesciare l’ordine orizzontale con tentativi di prevalere sugli altri Stati (es: egemonia di Napoleone), l’ordine però riesce sempre a resistere. In quest’epoca si tengono moltissimi Congressi, ad esempio il Congresso di Vienna, che punisce la Francia di Napoleone dopo Waterloo, e lo esilia nel 1815 (epoca della Restaurazione). Epoca dei conflitti moderni, guerre sanguinose (vedi unità d’Italia) e proprio in questo contesto nasce il diritto internazionale umanitario, quando nel 1864 nasce la Croce Rossa Internazionale, fondata da Henry Dunant con la Convenzione di Ginevra dopo aver partecipato alla battaglia di Solferino → art. 6, principio di uguaglianza nella guerra, il DI umanitario regola i servizi di cura nell’ambito dei conflitti armati (tutela dei cittadini e dei combattenti). + Congresso di Berlino (protagonista Bismarck) per la spartizione dell’Africa, processo di colonizzazione giustificato sia dal diritto che dalla scienza (teorie sul dibattito del razzismo coloniale e dell’esistenza di razze inferiori) VS Conrad, Cuore di Tenebra, per il caso del Congo Belga di re Leopoldo II. Nel 1900 nascono le prime forme di organizzazioni internazionali, non ancora sofisticate come quelle attuali (ONU, UE…). Cambia il mondo, nuove scoperte, nuove potenze, nuovi trasporti, la modernità → gli Stati capiscono che hanno bisogno di una stabile collaborazione tra loro, ad esempio nascono le Commissioni fluviali in Europa per la navigazione dei grandi fiumi (Danubio, Reno…). C’è bisogni di collaborare anche nelle comunicazioni, è in questo momento che il DI si trasforma, da DI degli Stati diventa DI delle organizzazioni, nasce il DI contemporaneo, dove i soggetti sono diversi. Il ‘900 è il secolo d’oro per il DI come è strutturato oggi, è il momento delle migrazioni (Italia → Sud America) e quindi si sviluppa il diritto d’asilo, ma è anche il momento della mobilità commerciale, prime tracce di globalizzazione. Allo stesso tempo, è il momento dei totalitarismi e dei conflitti mondiali, e della crescita esponenziale della potenza degli USA ed è epoca di rivoluzioni (vedi Rivoluzione Russa). La prima guerra mondiale porterà alla nascita della Società delle Nazioni (1919) il cui obiettivo è la pace globale. La seconda guerra mondiale porterà alla nascita dell’ONU (1945), e si sviluppano e affermano le organizzazioni a livello globale e regionale. Si crea un nuovo ordine, diviso dai due blocchi della Guerra Fredda, da un lato il blocco orientale dell’URSS e dei Paesi satelliti, uniti dal Patto di Varsavia, dall’altro il blocco occidentale con gli Stati Uniti e la NATO. Terzo blocco dei paesi NON allineati, molti di questi nati dopo la decolonizzazione, e sono paesi che ottengono la propria indipendenza tardi, così gli Stati si moltiplicano, ora sono quasi 194 (realtà delicata, vedi questione Palestina, Kosovo…). Gli anni ‘90 sono un decennio fondamentale: - caduta del Muro di Berlino con la quale l’URSS cade e nascono altri paesi (Ungheria, Ucraina…); - affermazione della super-potenza USA; - nuove potenze come India, Cina, Brasile; - attacco alle Torri Gemelle (11/09/2001) dopo il quale gli USA portano avanti la war on terror, la guerra ai terrorismi; - fino ad arrivare ai giorni nostri: aa. neo-imperialismo russo, che aspira a tornare una potenza commerciale (questioni Georgia e Ucraina); bb. primavera araba e conflitti in Libia e Siria; cc. conflitti in Medio Oriente (Israele, Palestina, Libano, Iran); dd. conflitti negli stati africani (guerra in Sudan e Sud-Sudan); ee. crisi dei rifugiati dal Nord Africa e varie crisi umanitarie. Tutto ciò ha portato all’instabilità e alla crisi del DI e dell’ONU (situazione di paralisi davanti alle sfide globali) → utilità o inutilità? Assistiamo a spinte sovraniste e tendenze a chiudersi e ad allontanarsi dal multilateralismo (vedi discorso Trump, 2018), il DI è in crisi per le tendenze all’unilateralismo e per le sempre più frequenti condotte illegittime secondo il DI (attacchi di Israele e Russia) unite alla crescita della violenza dovuta alle nuove tecnologie. 03.10.2024 In tutto questo l’Europa? Ci sono opinioni molto diverse, chi la vede in declino, indietro rispetto alle potenze del mondo, altri che credono sia attiva e potente. Ci sono punti a favore e punti a sfavore: l’UE è uno spazio di pace e stabilità (conflitti al di fuori) MA non sta facendo abbastanza per la pace, inoltre non ha una difesa militare comune e non è una potenza militare ai livelli di Russia, Cina e USA; l’UE è uno spazio di mercato libero e stabile MA non riesce a tenere la competitività con paesi come Cina, Turchia e India; l’UE è divisa in blocchi e questo da instabilità economica, ci sono spaccature interne che si manifestano nei contesti internazionali; l’UE non riesce ad avere una voce comune e condivisa, univoca, anche se è sempre il Iº donatore di aiuti (anche umanitari). L’Unione è in difficoltà, è in una fase di disorientamento, MA l’Unione è una superpotenza NORMATIVA, perché ha l’abilità e i mezzi per imporsi come regolatore globale → tesi americana dell’effetto Bruxelles della prof.ssa Bradford sulla capacità dell’Unione di realizzare regole tali da imporsi a livello globale. CARATTERISTICHE E PECULIARITÀ DELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE Questo ordinamento è un sistema strutturalmente a basso tasso di giuridicità, non è quindi comparabile agli ordinamenti interni. E non potrebbe nemmeno esserlo, perché non c’è un sistema verticale gerarchico, il DI è fatto dagli Stati per gli Stati stessi. Quindi, coloro che creano le regole, sono anche i destinatari di quelle regole, e i poteri sono distribuiti e partecipati da tutti gli Stati, si parla di DECENTRAMENTO in un sistema orizzontale e multilaterale. Infatti, non esiste un Parlamento mondiale (certo c’è l’Assemblea Generale dell’ONU ma non è la stessa cosa, non produce leggi) → Manca chi produce le leggi per tutti, le regole le fanno gli Stati mediante accordi e trattati, oppure se ne occupano le organizzazioni internazionali. Manca anche chi esercita la funzione giudiziale a livello globale, non c’è una giurisdizione obbligatoria (≠ dalla Corte Internazionale di Giustizia) → Come si risolvono le controversie? Ci sono vari mezzi, come gli arbitrati, le Corti e i tribunali ma con giurisdizione NON obbligatoria spesso. Vale lo stesso per la funzione esecutiva, assistiamo all’assenza di un Governo mondiale → Come si garantisce il rispetto delle leggi? Per la reazione alla violazione di norme del DI ci sono diverse contromisure. CLASSIFICAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE (livello astratto) 1. DI pubblico e DI privato: il primo regola i rapporti tra i soggetti della comunità internazionale, che sono gli Stati e le comunità (si distingue in classico, fatto di soli Stati, e contemporaneo, comprendente anche le organizzazioni internazionali) → RAPPORTI INTER-STATALI. Il secondo, invece, riguarda questioni dei privati soggetti, giuridici e fisici, ma anche aziende, enti… La questione deve avere carattere internazionale, si crea quindi la questione per il giudice di capire quale diritto utilizzare → RAPPORTI INTER-INDIVIDUALI; 2. DI di pace e DI dei conflitti, detto anche ius in bello; 3. DI generale (ONU), DI regionale (UE, UA) e diritto interno; → si assiste a una instituzionalizzazione (sempre più specifico): DI umanitario, DI dei diritti umani, DI dell’ambiente, diritto penale internazionale, DI dei rifugiati, diritto commerciale internazionale, diritto dello spazio (questione dei detriti dallo Spazio). FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Questo ordinamento è particolare, è atipico, e orizzontale, dove le funzioni tipiche dello Stato sono in mano agli Stati stessi. C’è un basso tasso di giuridicità, le regole sono create dagli Stati, e dall’Assemblea Generale dell’ONU, ma non crea obblighi. Le fonti derivano dalla volontà e dai bisogni degli Stati, quindi il DI interagisce con il diritto statale dei singoli Stati. Ogni Stato però ha il suo sistema per recepire le norme di DI (es: Italia, fase ascendente e discendente). Le regole del DI non sono molto specifiche o dettagliate, si parla del carattere di sussidiarietà del DI. FONTE = atto o fatto ritenuto dall’ordinamento internazionale suscettibile di produrre posizioni giuridiche (attive e passive) per i soggetti di tale ordinamento. Quali sono queste fonti? → L’art. 38 dello Statuto della CIG (Corte Internazionale di Giustizia, 1945) indica quali sono le norme di DI che la Corte è tenuta ad applicare, le norme di cui la Corte fa uso, nel suo lavoro di giudicare, e queste sono: international conventions (trattati internazionali); international costum (consuetudine internazionale); general principles of law (principi generali del diritto); judicial decision and the teaching (giurisprudenza e dottrina) → non è vera fonte, ma elemento sussidiario, d’aiuto. 08.10.2024 L’art. 38 dello Statuto della CIG va preso come punto di partenza anche se appartiene ad un’epoca distante da noi (ONU fondata dai paesi vincenti, visione eurocentrica di una cultura occidentale e colonialista). Ora la situazione globale è diversa (centro non è più lo Stato), oggi la produzione normativa è complessa. L’art. 38 permette di fare delle distinzioni:  fonti formali (a,b,c) e mezzi sussidiari di accertamento (d);  fonti tipiche (hard law, a,b,c) e fonti materiali/atipiche, che non sono elencate dall’art.38 ma si sono sviluppate nel tempo e nella società (atti, fatti e condotte…) → atti di soft law, cioè atti, documenti, dichiarazioni, prese di posizioni…  DI generale, ovvero dato dalla norma che si applica a TUTTA la società internazionale e DI particolare/pattizio, ovvero quello che si applica a un numero limitato di soggetti, come ad esempio gli accordi bi – laterali;  scritto (prevalente, ovvero i trattati) e NON scritto (consuetudine);  vincolante (hard law) e NON vincolante (soft law);  DI globale/universale e DI regionale (UE). ACCORDO = fonte tipica, scritta, vincolante, di DI particolare. CONSUETUDINE = fonte tipica, non scritta, vincolante, di DI generale. 1. LA CONSUETUDINE Questa è la fonte più antica (1500/1600), e crea regole in base ad un comportamento ripetuto nel tempo → non scritto, si sedimenta, si giuridizza, infatti il trattato non era strumento usato. Queste condotte diventano regole sociali e poi regole giuridiche, ed erano la fonte principale fino al 1900, quando le mappe cambiano (colonizzazione) e nascono le organizzazioni internazionali che scrivono norme. » Nasce nel contesto europeo perché le potenze nel ‘600 erano europee ed esportarono le loro consuetudini nelle colonie per soddisfare le necessità degli stati (navigazione, trasporti e commercio….) Definizione = art. 38, par. 1 dello Statuto della CIG, la consuetudine si considera come la manifestazione di una prassi generale accettata come diritto ed ha 2 elementi: a) il primo di condotta ripetuta, ma che sia considerata come obbligatoria, formato da usus (elemento oggettivo) + b) è doveroso questo obbligo (opinio iuris, elemento soggettivo). La TESI DUALISTA è quella prevalente ≠ da quelle moniste (che credono che valga anche un solo elemento) → alcune ritengono sia prevalente l’elemento soggettivo, altre che sia l’elemento oggettivo. Problemi della consuetudine (questioni politiche → alto grado di incertezza perché non è scritta): - sentenza CIG, del 20/02/1969 (Germania vs Danimarca, Germania vs Paesi Bassi). Limitazione della piattaforma continentale del Mare del Nord. La Corte ha chiarito la teoria dualista e la norma consuetudinaria, con la presenza dei due elementi. La consuetudine è di DI generale quindi vale per tutti gli Stati → elemento oggettivo (durata, estensione e uniformità). 09.10.2024 Il caso della Limitazione della piattaforma continentale viene definito un leading case. Danimarca e Paesi Bassi credevano ci fosse una consuetudine, la Germania no, e la CIG allora arriva alla conclusione che vince la Germania, non c’era una consuetudine. Importante per il ragionamento che va a svolgere la Corte, rispetto alle due componenti della consuetudine, in particolare riguardo all’usus, alla componente oggettiva, vengono definiti dei presupposti: 1. LA DURATA NEL TEMPO, quanto? La CIG ha menzionato l’elemento del tempo nella sentenza del 1969, indicando che NON c’è una durata predeterminata, non è prestabilita, può essere anche a short period of time, quello che conta è che in questa durata di tempo, indipendentemente da quanto lunga, si sia creata una prassi che deve essere estesa e uniforme → la Corte non dà un tempo specifico e predeterminato, andrà deciso caso per caso a seconda del contesto (in questo caso il diritto della navigazione/del mare); → ci sono anche altre teorie, che invece sostengono che serva un tempo consistente, con un processo lento di sedimentazione della norma (tesi del diritto consuetudinario a lenta sedimentazione) e altre che invece credono sia un processo molto breve (tesi di diritto consuetudinario istantaneo) sopratutto per quei settori in continua crescita e sviluppo. 2. L’ESTENSIONE DELLA DIFFUSIONE DELLA PRASSI, quanti e quali Stati servono? In che numero e con che diffusione geografica, la CIG dà risposta sempre nella sentenza del 1969, dove NON viene dato un numero determinato di Stati (la mappa del mondo si stava sgretolando → processo di decolonizzazione), ma indica che serve una pratica statale che sia estensiva e virtualmente uniforme, non si può pretendere che lo facciano TUTTI gli Stati del mondo; → valore numerico e valore geografico, quali Stati? Formalmente, nel DI vale il criterio dell’uguaglianza sovrana tra gli Stati, ogni Stato è uguale rispetto a tutti gli altri, ma in realtà non è così, alcuni Paesi sono più influenti di altri, a livello economico e a livello militare, e causano un effetto di trascinamento da parte di questi colossi. Es: se gli USA si comportano in quel modo, anche gli Stati meno grandi/potenti lo faranno, oppure la Russia si oppone a un determinato evento, i paesi minori la seguiranno e così via. ≠ per le consuetudini regionali/locali, che non riguardano tutti gli stati ma solo una regione, si tratta quindi di DI particolare e non più generale, perché vale solo per gli Stati di quella zona, è un fenomeno molto diffuso nell’America latina → in una zona ristretta è più facile che gli Stati vadano d’accordo e si comportino nello stesso modo, e così creino consuetudine. Es: sentenza 20/11/1950, Colombia vs Perù, uno tra i primi casi, caso dell’Asylum/Haya de la Torre 3. LA RIPETIZIONE OMOGENEA di questa condotta, uniformità della prassi. Evoluzione dell’approccio della Corte, inizialmente molto restrittivo (onere della prova) ma successivamente un orientamento più flessibile in seguito a diverse pronunce, la Corte si dimostra pronta a riconoscere che esiste consuetudine anche se questa non è così coerente e uniforme, perfetta. → in particolare questo si vede nella sentenza 27/06/1986, Nicaragua vs Stati Uniti d’America, caso delle attività militari e paramilitari in Nicaragua. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, ovvero l’opinio iuris, bisogna che per gli Stati sia obbligatoria questa condotta, da cosa si deduce? Come si capisce? Quali sono i comportamenti dello Stato che devono essere valutate per capire la presenza di questo elemento? Non tutti i comportamenti sono necessariamente e strettamente dovuti in base a una regola di diritto, molti comportamenti sono seguiti per considerazioni di «cortesia, convenienza o tradizione» (es. rapporti diplomatici, usi, costumi, etc.). Ci deve essere la credenza di star seguendo un obbligo giuridico (consuetudine ≠ usi, costumi, tradizioni). Quali sono gli elementi indicativi dell’opinio iuris? → specificato nella sentenza CIG, Nicaragua vs Stati Uniti d’America, dove la Corte passa in rassegna una serie di elementi, paragrafi 189 e 190. Comportamenti da cui estrapolare l’elemento soggettivo: - prassi diplomatica (prese di posizioni, dichiarazioni…); - prassi parlamentare (all’interno dello stato come si sono comportati i suoi organi); - prassi giurisprudenziale (gli organi dello stato che cosa hanno detto riguardo a quella norma internazionale); - prassi delle organizzazioni internazionali (il comportamento dello stato nell’organizzazione internazionale). 15.10.2024 Tema della volontà contraria di uno Stato nella formazione e nell’applicazione della norma consuetudinaria. Cosa succede se uno o piu Stati non sono d’accordo con la consuetudine? Come si risolve la questione dal punto di vista del DI? 1. → situazione del persistent objector, cioè lo Stato che in maniera continuata si oppone alla formazione di quella consuetudine, per lo Stato che è sempre stato in disaccordo, si applica oppure no la consuetudine? OBIETTORE PERSISTENTE, lo Stato che si oppone alla consuetudine nel momento della sua formazione, questo Stato può ritenersi non vincolato? Può obiettare la non applicabilità? Il tema è molto dibattuto, si tende a ritenere che questa tesi sia minoritaria, anche quello Stato dovrebbe essere vincolato, perché consuetudine è norma di DI generale. C’è però chi sostiene il contrario, invocando la sentenza CIG del 18/10/1951 sul caso delle peschiere norvegesi: controversia in materia di diritto marittimo e di pesca, Norvegia si era autolimitata delle zone di pesca esclusiva nazionale, ma delle navi britanniche erano entrate in queste zone di pretesa pesca norvegese → controversia, il Regno Unito nega questa limitazione del mare, che sostiene che oltre le 10 miglia sia mare aperto di tutti. La Corte sostiene che la regola delle 10 miglia non abbia l’autorità di regola generale (alcuni Stati lo fanno, e altri no). In ogni caso questa regola sembrerebbe inapplicabile contro la Norvegia per il fatto che la Norvegia si è sempre opposta a ogni tentativo di applicazione di questa regola alle coste norvegesi. Rimane una teoria minoritaria, infatti sono pochissimi i casi in cui sia stata applicata concretamente. 2. → può una consuetudine cadere? Essere cancellata dopo secoli di formazione? Fenomeno della desuetudine, processo inverso e opposto che cancella, sorpassa la consuetudine. 3. → ci si può opporre alla consuetudine mentre questa si forma oppure quando si è già formata → spesso nei paesi in via di sviluppo, che si sono uniti spingendo in modo inverso, contro consuetudini che si erano create quando non erano uno Stato, perché devono applicare consuetudini che loro non hanno creato, che sono di impronta occidentale e dove loro non hanno fatto nulla al riguardo. DESUETUDINE, ovvero il venir meno di una consuetudine provocato da un gruppo esteso e coeso di Stati che manifesta dissenso e negazione (quanti Stati e quanto tempo ci vuole non è determinato). L’opinio iuris viene meno per via di una chiara contestazione collettiva. Se lo Stato si oppone alla regola consuetudinaria, non ne provoca la desuetudine, anzi con il proprio comportamento pone in essere una violazione della norma. Solo qualora l’atto di contestazione sia accompagnato e sorretto da un numero significativo di Stati, così da manifestare un consenso sufficientemente esteso, si potrà avere potenzialmente l’inizio di un fenomeno di desuetudine. Uno Stato potrà eventualmente sottrarsi all’applicazione di una norma consuetudinaria, quando abbia inequivocabilmente manifestato il proprio dissenso sin dall’inizio della fase di formazione della norma stessa (obiettore persistente) MA ci sono opinioni diverse tra gli studiosi. - DIRITTO CONSUETUDINARIO COGENTE (ius cogens) La consuetudine può cambiare, si può modificare (mediante la desuetudine e la resistenza alla consuetudine). → non è immutabile, la consuetudine è una fonte di diritto con carattere evolutivo perché sono gli stati che la creano e la modificano in base alle loro esigenze. Adesso si stanno formando delle consuetudini nel diritto del spazio, mentre nel 1600 si creavano sul diritto del mare, questo perché sono diversi i tempi, è cambiata la società. Inoltre la consuetudine ha carattere cedevole, nel senso che può essere derogato da accordi specifici tra Stati, limitatamente agli Stati parti dell’accordo, si crea una legge speciale, specifica, fatta da quei stati solo per loro e per quel motivo può essere in deroga alla consuetudine generale. Il diritto internazionale cogente però non cambia, non muta, è un diritto solido non modificabile, non cedevole, non derogabile, non può cadere né cambiare. Viene detto anche diritto imperativo, idea sviluppata negli anni ‘60, periodo di grande fermento all’interno del DI (diritti umani, guerra fredda, decolonizzazione). Idea che l’ordinamento internazionale debba fondarsi su un principio gerarchico, con una struttura organizzata e sistematica come avviene negli ordinamenti interno (costituzionalizzazione dell’ordinamento internazionale). Al vertice di questa piramide della gerarchia ci dovrebbero essere dei principi fondamentali, che sono così importanti da non essere modificabili e nemmeno inderogabili. Questi principi sarebbero particolari divieti imperativi a livello globale in materia di tutela dei diritti umani (ad esempio il divieto di tortura, di genocidio, dei crimini di guerra, di deportazioni di popoli, derivanti dalla seconda guerra mondiale), e in materia di tutela dell’ambiente. Ne abbiamo una traccia diretta nella Convenzione di Vienna del 1969, che è un Trattato su come si fanno i trattati, pone regole generali sulla creazione dei diritti internazionali (efficacia, validità, modifica, estinzione...) Una norma di diritto internazionale contraria al diritto cogente cade, secondo gli artt. 53 e 64 di questa Convenzione. Il diritto internazionale cogente crea norme erga omnes, nei confronti di tutti, perché riconosciuta da tutti come obbligatoria, e chiunque la può invocare, nel senso che può denunciare la sua violazione. Tema della CODIFICAZIONE, sopratutto a partire dal secondo dopoguerra, sotto l’impulso dell’ONU è stata portata avanti un’opera di codificazione, ovvero di mettere per iscritto tutto ciò che non lo era. Codificare significa organizzare una serie di norme e poi metterla per iscritto in modo ordinato e chiaro. Anche nel DI questo avviene, tipicamente con la consuetudine perché non è scritta, in modo da garantire miglior certezza e consultabilità del diritto. Nel DI, della codificazione, si possono occupare vari soggetti: gli studiosi, le università (codificazione dottrinale), oppure gli organi internazionali (codificazione in ambito ONU), e infine le Conferenze ad hoc di rappresentanti di Stati appositamente convocate in determinate materie (specializzati ed esperti). La codificazione più importante è quella dell’ONU, si è creata una Commissione di diritto internazionale, organo sussidiario dell’AG, istituita nel 1947. Questa Commissione è formata da 34 giuristi esperti, eletti dall’AG dell’ONU a titolo individuale (non rappresentano il loro Stato). Raccoglie la prassi internazionale, la sintetizza in posizioni giuridiche, ed elabora progetti di articoli (codificazione soft). Questi vengono sottoposti agli Stati e poi all’AG che li converte in convenzioni internazionali (codificazione hard). Si suole distinguere anche tra lavori di codificazione RICOGNITIVI, quindi che non modificano le norme, le scrivono e basta, e lavori di codificazione INNOVATIVI, che quindi sviluppano progressivamente nuove regole. Scopo della codificazione (forte spinta dopo la seconda guerra mondiale) è fare ordine. Codificazione come processo di revisione, critica e riscrittura di norme consuetudinarie → fase dove la codificazione è diventata un preteso per scontrarsi Paesi in via di sviluppo che si oppongono a quei fenomeni di codificazioni che mettono per iscritto consuetudini di stampo occidentale dovute alla colonizzazione, scontro ideologico tra Paesi del Blocco Occidentale, contro quelli del Blocco socialista e quelli del Terzo Mondo. Nel periodo più recente abbiamo un approccio meno ideologico e più funzionale, spesso però non si riesce ad arrivare alla codificazione hard ma si rimane in quella soft. La consuetudine ora si trova in un periodo di crisi dovuto a vari fattori (non più importante come lo era nel 1600), alla quale vengono preferiti i trattati e le organizzazioni internazionali che hanno preso il posto degli Stati. 2. I PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Le norme-principio sono generalissime, si pongono come principi fondamentali dell’ordinamento internazionale che avrebbero una valenza trasversale perché sarebbero espressione dei valori fondanti sui quali l’ordinamento si basa. Non sono fonte scritta, ma sono fonti di applicazione generale. Molti studiosi credono che non siano unna fonte diversa dalla consuetudine ma che siano la stessa cosa. Alcuni esempi di questi principi sono: pacta sunt servanda, il rispetto del principio di sovranità territoriale, la libertà di navigazione in alto mare, l’autodeterminazione dei popoli, il principio di buona fede e il ne bis in idem. Sono fonti molto discusse che spesso vengono messe da parte. Visione tradizionale di marginalizzare questa fonte, che viene vista con sospetto perché troppo vaga e incerta. Al massimo gli viene riconosciuta una funzione sussidiaria e integrativa, di aiuto. Di recente c’è anche chi sostiene che non debbano essere ignorati perché ci sono dei principi generali che sono estremamente rilevanti sopratutto negli ultimi tempi di follia nel diritto internazionale, dove vengono spesso calpestati nonostante la loro importanza. 16.10.2024 I principi generali sono applicabili a tutta la comunità internazionale e si possono applicare a vari ambiti del DI, sopratutto nei Trattati internazionali. Molti assimilano i principi generali alla consuetudine → vedi art. 10 della nostra Costituzione, per una parte della giurisprudenza italiana la tesi sembra questa di assimilare le due fattispecie (molte sentenze di varie Corti italiane che indicano questa considerazione unitaria di principi generali e consuetudine). I principi generali del DI sono sanciti dall’art 38 dello Statuto della CIG (the general principles of law recognized by civil nations), e qui vengono nominati separatamente dalla consuetudine (≠ dalla giurisprudenza italiana). Questi principi avevano più importanza quando nasceva il DI, nel 1600, quando la comunità di stati era ancora rozza, primitiva, erano principi di condotta e di comportamento (pacta sunt servanda, buona fede, diritto alla navigazione → servivano a regolare i rapporti, perché la consuetudine era ancora in via di formazione). Negli ultimi anni i principi generali stanno ritornando, vista la situazione di disordine e di caos in cui si trova la comunità internazionale. Qualche esempio di utilizzo dei principi generali nella giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia: il primo caso in cui la Corte ha fatto riferimento a questi principi generali è la sentenza del 09/04/1969, caso del Canale di Corfù, Regno Unito vs Albania (primo caso in assoluto sottoposto alla Corte); nel parere del 09/07/2004 sulle Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati; sentenza del 20/07/2012 sulle Questioni concernenti l’obbligo di consegnare o giudicare, Belgio vs Senegal. PRINCIPI GENERALI → PRINCIPI SETTORIALI, possiamo dire che esistono, hanno una loro autonomia, ma sono invocati in ambiti determinati (per questo detto settoriali). Ultimamente tribunali e corti ne stanno facendo uso risolvendo controversie tramite l’individuazione ed applicazione di questi principi generali. 3. L’ACCORDO INTERNAZIONALE Questa è la fonte più utilizzata perché è scritta, e quindi dà maggiore garanzia di certezza del diritto, è fonte di DI particolare, e quella di oggi è una società internazionale che si basa sugli accordi internazionali. Consiste in una sorta di contratto che vincola i soggetti che ne sono parte. Si parla di DI particolare perché l’accordo è produttivo di regole giuridiche per i soli Stati parte, gli Stati che l’hanno firmato → inefficacia giuridica per gli Stati terzi. Possiamo definire l’accordo internazionale come un auto-regolamento obbligatorio della condotta di soggetti di diritto internazionale, disciplinato dal diritto internazionale → autoregolazione degli Stati e delle Organizzazioni internazionali per la cosiddetta autonomia del DI. Esistono sia accordi Stato-Stato, sia accordi Stato-Organizzazione, sia accordi Organizzazione- Organizzazione. Sono 4 gli elementi costitutivi dell’accordo: un incontro di volontà; fra soggetti di DI; inteso a produrre effetti giuridicamente validi; regolato dai DI. Si crea il cosiddetto diritto internazionale dei trattati (quella branca del DI che studia la stipulazione degli accordi internazionali). 17.10.2024 Nel DI l’accordo ha come protagonisti gli Stati e dunque la modalità con cui si esprime la volontà dello Stato è particolare. Il primo step sono i negoziati che possono essere anche molto lunghi. Soggettività internazionale → titolarità di diritti e obblighi internazionali e capacità di far valere tali posizioni giuridiche di vantaggio e svantaggio sul piano internazionale. Prima di tutto, gli Stati sono i soggetti internazionali per eccellenza, hanno una cosiddetta «capacità giuridica generale» di concludere trattati (art. 6 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati). E poi anche le Organizzazioni internazionali, la competenza dell’OI va di volta in volta accertata, in ragione della disciplina fornita dal trattato istitutivo dell’organizzazione stessa. L’ACCORDO INTERNAZIONALE deve essere destinato a produrre effetti giuridicamente vincolanti tra le parti: questo vuole affermare il brocardo latino pacta sunt servanda. Volontà delle parti ad acquisire i diritti e consenso delle stesse ad assumere gli obblighi oggetto dell’accordo, e rispettarli in futuro. Interpretazione dell'accordo: esame del contenuto e dello scopo dello strumento (quale emerge dal suo preambolo, dal suo oggetto, dal suo contenuto). - I trattati sono da distinguere dalle intese non giuridiche o il cosiddetto gentleman agreement, prive di valore obbligatorio per le parti (es: Atto finale della Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa, concluso il 1.8.1975 fra i 35 Paesi partecipanti rappresentati dai rispettivi Capi di Stato e di governo, da cui sarebbe sorta una organizzazione internazionale: OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE - Premessa: possiamo fare un’analogia tra contratto – accordo internazionale = incontro tra due (o più) volontà con però la precisazione che si tratta di un incontro privatistico - incontro pubblicistico. Nel diritto interno abbiamo poche regole su come la parte può manifestare il proprio consenso (semplicemente si firma), mentre nell’ordinamento internazionale ci sono regole più elaborate è più complesse per manifestare il consenso dello stato. - Formazione del consenso = Persona (natura privatistica) / Stato (natura pubblicistica). Ordinamento interno = prende atto volontà del privato, regolando con poche norme la formazione ed l’espressione del consenso. Ordinamento internazionale = procedimento regolato dal DI per la formazione della volontà dello Stato. Consenso degli Stati → diritto internazionale, regola l’incontro della volontà di due Stati che regge l’accordo internazionale Volontà dello Stato → diritto interno (di solito di rango costituzionale), regola organi costituzionalmente competenti per impegnare lo Stato sul piano internazionale. Conclusione di un accordo internazionale implica il coinvolgimento e l’interazione di due ordinamenti giuridici distinti: interno degli Stati coinvolti e internazionale. Principio della libertà delle forme (e dei procedimenti seguiti per la stipulazione) → Stati liberi di scegliere come fare accordi » Accordo come «contenitore» delle volontà degli soggetti stipulanti. Non rileva il nome attribuito allo strumento (accordo, Gentlemen agreement, Memorandum of Understanding, dichiarazione congiunta, «Costituzione», etc.). Sono vincolanti ed efficaci anche gli accordi stipulati oralmente o a distanza (es. accordi con scambio di lettere; gli accordi segreti e gli accordi informali contenuti in un comunicato stampa), ma d’altro canto non si può negare che troppa libertà è una arma a doppio taglio, rischia di portare a incertezza e problemi di interpretazione: per questo nel corso del tempo il DI ha sviluppato una sempre maggiore tendenza alla procedimentalizzazione delle varie fasi di stipulazione di un trattato = DI regola forme e procedure per la conclusione di un accordo internazionale. 2 procedimenti tra cui scegliere nell’organizzare il procedimento di stipulazione dei trattati, uno in forma solenne e in forma semplificata. La scelta tra le due modalità ha scarsa rilevanza per il DI, ne ha invece sul piano interno, cioè per il rispetto dei poteri costituzionalmente ripartiti (fra esecutivo e legislativo). Scelta della forma → rilievo fattori politici, diplomatici, contenuti e importanza dell’accordo e sue implicazioni, tendenzialmente: ACCORDO INTERNAZIONALE in forma solenne: Maggiori garanzie, certezza del diritto, partecipazione più ampia (più democratico = i cittadini sanno) e meno rischi nell’applicazione; Ma tempistiche più lunghe (soprattutto il passaggio della ratifica + viviamo in un periodo in cui possono esserci emergenze in cui sarebbe necessario [pandemie, guerre] intervenire subito), procedure complesse; ACCORDO INTERNAZIONALE in forma semplificata: Stipulazione più veloce, tempi minori, carattere politico, Possono però esserci più rischi, più incertezza… 1. PROCEDIMENTO IN FORMA SOLENNE Si suddivide in 5 fasi: 1. Negoziazione; 2. Adozione del testo; 3. Firma; 4. Ratifica; 5. Fase di perfezionamento/conclusione. 1. NEGOZIAZIONE DEL TESTO DEL TRATTATO, non hanno una durata predeterminata = definizione in via di mutuo accomodamento o compromesso delle (future) regole convenzionali. » Chi negozia e manifesta il consenso? Gli organi deputati a rappresentare gli Stati ai fini del negoziato e del procedimento di conclusione → «plenipotenziari» (art. 7 Convenzione di Vienna dei diritti dei trattati) = coloro che hanno pieno poteri (full powers) → persone incaricate ufficialmente dallo stato a trattare in nome e per conto dello Stato, ogni Stato definisce in autonomia gli organi aventi «pieni poteri» (competenza domestica), generalmente i full powers vengono conferiti dal Ministero degli Affari Esteri o dal Capo dello Stato. 2. ADOZIONE DEL TESTO, al termine dei negoziati, si arriva ad un testo che incorpora il contemperamento di interessi raggiunto, e che costituisce il testo del futuro trattato, viene «adottato». L’adozione del testo chiude i negoziati su un testo concordato come definitivo. Adozione del testo avviene: → negli accordi bilaterali per «consenso» dei rappresentanti statali; → negli accordi multilaterali in conferenze multilaterali per maggioranza qualificata (2/3 degli Stati presenti e votanti), salva applicazione di una regola diversa. Nella prassi l’adozione del testo avviene anche per intesa generale («consenso») in assenza di voto. → nelle organizzazioni internazionali il testo dei trattati stipulati fra Stati parte è adottato dall'organo competente dell'organizzazione internazionale, in base alle regole dell'organizzazione. 3. FIRMA DEL TESTO, Con la firma il testo viene «sigillato», «cristallizzato». Procedura solenne: firma ha valore di autenticazione del testo, ne sancisce e garantisce la immodificabilità (salva l'apertura di nuovi negoziati). ! Ma lo Stato si vincola solo con la ratifica ! Dopo l’adozione, il trattato è aperto alla firma → effetto giuridico della firma: un obbligo di buona fede = obbligo dello Stato firmatario a non agire contrariamente all’oggetto e agli obiettivi del trattato (art. 18 CVDT), ma non formalmente vincolato (che si ha solo con la ratifica) » Come si firma concretamente parlando? Art. 12 CVDT - Firma (nome e cognome); - Apposizione delle iniziali alla fine del trattato (c.d. parafatura); - Oppure in alcuni casi ci può essere una firma ad referendum coinvolgendo i cittadini , con conferma successiva (previa approvazione da parte del parlamento nazionale) → ma dipende dal sistema istituzionale di ciascuno stato, es: Svizzera. 4. RATIFICA DEL TRATTATO, è solo con questo passaggio che lo Stato si vincola al rispetto del trattato. La ratifica ( = accettazione o approvazione) del trattato, esprime l'accettazione degli impegni convenzionali da parte dello Stato interessato, così vincolandolo sul piano internazionale (art. 14 CVDT) → e la manifestazione statale della volontà a obbligarsi al trattato. La procedura di ratifica dipende dalle norme di diritto interno di ogni Stato sulla competenza a stipulare trattati internazionali (di solito: messo in mani ai vertici dello Stato → Capo dello Stato con solitamente una preventiva autorizzazione del Parlamento, ratifica l’operato dei plenipotenziari) … origine: in Stati come monarchie assolute, la ratifica la faceva il Re = controllo che il proprio rappresentante avesse agito secondo le istruzioni impartite. → ratum (certo, fermo) + facere = «rendere valido, confermare» … poi: sono ovviamente arrivate le democrazie parlamentari, con un crescente ruolo dei Parlamenti nazionali → oggi c’è un controllo parlamentare sulla politica estera governativa (ratio: dibattito in aula, trasparenza, autorizzazione preventiva). In Italia la ratifica è di competenza del Capo dello Stato (Presidente della Repubblica, su decisione del Governo e previa autorizzazione del Parlamento). → art. 87, co. 8, Cost. « Il Presidente della Repubblica (...) ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra (ce lo dice l'art 80), l’autorizzazione delle Camere » → art. 80 Cost. «Le Camere autorizzano (il Presidente della Repubblica) con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica (1), o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari (2), o importano variazioni del territorio (3) od oneri alle finanze o modificazioni di leggi» Ratio è che procedura è lunga ma garantisce un controllo democratico/parlamentare sull’assunzione di obblighi internazionali dello Stato. 23.10.2024 Passaggio 3 (della firma) è diverso dal passaggio 4 (della ratifica), con la quale lo Stato conferma di volersi obbligare. » Quando un trattato è di natura politica? Requisito molto ampio (art. 80 Cost.). 5. SCAMBIO O DEPOSITO DEGLI STRUMENTI DI RATIFICA, si dice scambio quando l’accordo è bilaterale, deposito quando ci sono più Stati, questo avviene nello Stato che ha ospitato utto (la negoziazione, gli accordi…). Spesso i Trattati prendono il nome della città (di solito la capitale) dello Stato depostitario (es: Trattato di Lisbona, Trattato di Amsterdam e così via). Distinzione tra i trattati internazionali APERTI e CHIUSI, questi sono quelli che sono a numero chiuso, non ammettono altri partecipanti oltre a quelli già presenti (fatto tra 10 Stati e rimmarra a 10 Stati), viceversa i trattati aperti sono aperti alla partecipazione di altri Stati, che magari al momento della stipulazione non contribuiscono o non partecipano, ma in un secondo momento accedono al trattato (accesion). In questo caso si distingue quindi tra gli Stati fondatori/originari, e quelli aderenti (es: area Schengen). → così finisce il processo di creazione del Trattato internazionale. Esitono però anche delle fasi ulteriori successive: fasi che accompgano l’entrata in vigore del trattato. ENTRATA IN VIGORE, il Trattato è vigente e produce i suoi effetti e questo avviene con le ratifiche e lo scambio degli strumenti di ratifica, ovviamente se bisogna aspettare la ratifica di TUTTI gli Stati (diverse per ogni Stato) negli accordi multilaterali diventa complesso. Esiste quindi una regola per cui si stabilisce un numero minimo di ratifiche per l’entratea in vigore dell’accordo. REGISTRAZIONE E PUBBLICAZIONE, fase che chiude tutto, il trattato è vigente ma è regola diffusa del DI quella di registrare il trattato e di pubblicarlo così da renderlo conoscibile per una ratio di traparenza, di certezza del dirittto → per evitare la diplomazia segreta. Questa avveiene presso l’ONU (art. 102 Carta ONU). Queste fasi non sono elementi ssenziali del trattato, ma sono ormai obbligatoria dalla diplomazia. Esitono poi le RISERVE, che sono delle dichiaraizoni con cui gli Stati manifestano di non volere determinate clausole contenute nel testo di un trattato, oppure di accettarle ma con modifiche o secondo una data interpretazione. La ratio è quella di garantire flessibilità e un più ampia partecipazione degli Stati. Le riserve si devono porre ino al momento della ratifica, non oltre. Gli Stati metterannno riserve diverse,però non possono mai mettere, perché incompatibili e invalide, riserve che vanno contro l’oggetto o lo scopo del trattato. Es: l’Italia ha una riserva sulla CEDU, in particolare sul diritto alla libera circolazione dei membri della famiglia reale dei Savoia (l’Italia non voleva che potessero rientrare in Italia). Ci può essere anche una applicazione provvisoria (istituto che può applicarsi mentre si stipula il trattato = come le riserve), perché ci possono essere esigenze di tipo emergenziale storico e sociale → gli Stati possono provvedere a far entrate in vigore il trattato anche se non ancora ratificato da tutti, mediante un altro accordo separato, minore. 24.10.2024 I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE → il principlae soggetto è lo Stato. Problema della soggettività nel DI, cioè la capacità di essere un “soggetto”, essere in grado di agire giuridicamente sul piano internazionale. I soggetti del DI sono 3: gli Stati, le Organizzazioni internazionali e gli individui. Gli Stati sono coloro che hanno “inventato” il diritto internazionale, le Organizzazioni sono sempre più protagoniste nella comunità internazionale e producono diritto, un po’ più delicato invece è il dibattito sugli individui (teoria antica che vede il DI come un diritto solo degli Stati e non anche dei singoli individui → concezione superata, perché l’individuo conta come soggetto attivo sia come soggetto passivo). 1. LO STATO è il protagonista del DI. Si può dire che lo Stato è un entità sovrana di autorità che si esercita su un dterminato territorio e su un determinato popolo. Questa definizione è codificata dalla Convenzione di Montevideo del 1933 sui Diritti e obblighi degli Stati. Quando si parla di Stato si parla in astratto, ma poi si concretizza attraverso i suoi organi, le sue autorità, i suoi poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), e lo Stato lavora attraverso i suoi agenti (il corpo diplomatico, i capi di Stato, le forze dell’ordine… → persone fisiche). Allo Stato è imputabile quella condotta se è posto in essere da autorità dello Stato. Presupposti fattuali della nozione di Stato sono 3: “governo” stabile e indipendente (SOVRANITÁ)→ deve avere la capacità di tenere sotto controllo quella popolazione in quel territorio (criterio della effettività). Agli occhi del DI non importa in che modo quel Governo si sia formato, se democraticamente o in modo violento, importa che ci sia una forma di governo solida, effettiva, credibile, strutturata che sia in grado di esplicrasi di fatto. Al DI non importa nemmeno la forma, può essere una monarchia, una democrazia in tutte le sue sfumature ecc… Nel DI viene proposta una distinzioone tra sovranità interna e sovranità esterna, con la prima si intende il concetto di originarietà della sovranità di quello Stato (come quello Stato è nato e si è proclamato sovrano, autonomo e indipendente) → da ciò deriva il principio di uguaglianza. La sovranità esterna, invece, si tende a distinguerla come la capcaità di agire indipendentemente all’esterno, il saper proiettare la propria sovranità nel piano internazionale → indipendenza dello Stato che è libero di esercitare la sua sovranità come meglio crede. » Quali sono le consueguenze dle principio di sovranità e di questo elemento? Il fatto di vedere se in un caso pratico possa essere contestato che ci sia effettivamente questo aspetto della sovrnaità, in particolare ci sono le ipotesi dei cosidetti “governi in esilio” sprovvisti di effettività perché governi delocalizzati (es: re durante la Rivoluzione francese, insurrezioni militari e il sovrano scappa ecc…) → la sovranità è apparente, non è effettiva. Un altra situazione in cui la sovranità viene messa in discussione è quando gli Stati sono divisi da due forze in gioco, e non è possibile capire qual è la sovranità effettiva, si tratta dei casi di Paesi instabili (es: caso della Libia, Paese indipendete dove la monarchia fu ribaltata da un golpe da parte del colonnello Gheddafi, a sua volta rovesciato nel 2011 da altri movimenti di liberazione nazionale che contrastano il governo → qual è effettivamente lo Stato libico?). Un altro caso dove viene messa in discussione la sovranità è il caso degli Stati “fantoccio” (puppet States), si tratta di governi in fatto controllati da altri Stati in vario modo (militarmente, economicamente, politicamente) e quindi privi di indipendenza ed effettività (es: caso di Cipro del Nord, Stato retto dal governo della Repubblica turco-cipriota del Nord, ma di fatto militarmente controllato dalla Turchia → sentenza 23/03/1995 Corte EDU, caso Loizidou vs Turchia); di una “comunità” stanziata (POPOLAZIONE) → rappresenta la base personale dello Stato, si tratta del gruppo di individui che risiedono stabilmente sul territorio (inizialmente i sudditi delle monarchie). La popolazione può NON coincidere con la cittadinanza nazionale, questo perché la popolazione comprende tutti gli individui che si trovano su quel territorio, non solo i cittadini, ci potrebbero infatti essere delle minoranze, dal punto di vista etnico, religiosoo linguistico. Anche in questo caso vale il principio dell’effettività, al DI non interessa se quella popolazione è omogenea sotto l’aspetto religioso, o linguistico, o entnico e così via (es: la popolazione etiope comprende circa 80 etnie diverse). Questione della cittadinanza, per il DI è cittadino colui che risonde ai requisiti posti dal diritto della cittadinanza italiana (in Italia, art. 1 l. n. 91 del 05/02/1992 → ius soli e ius sanguinis). La cittadinanza identifica un legame di appartenza dell’individuo a uno Stato. Nel DI è un principio fondamentale quello per cui ogni Stato ha la competenza di individuare i propri modi di acquisto e perdita della cittadinanza. Caso particolare della cittadinanza europea, che è ricollegata all’entità dell’Unione europea, che non è uno Stato → requisito per questa cittadinanza è avere la cittadinanza di uno dei 27 Stati membri, quindi le due sono agganciate (es: tutti gli inglesi, dopo la Brexit, non sono più cittadini europei). Si possono avere plurime cittadinanze e doppie cittadinane. Esiste anche nel DI un fenomeno opposto alla cittadinanza, che è quello della apolidia (statelessness), cioè la non appartenenza a nessuno Stato, il non avere nessuna cittadinanza. Esitono moltissimi apolidi, e il DI cerca di contrastare questo fenomeno, in particolare con due Convenzioni ONU, Convention relating to the status of stateless persons (1954) e Convention on the reduction of statelessness (1961). » Come è possibile diventare apolidi? Quando uno Stato muore, o lo Stato si disgrega, il suo popolo perde la cittadinanza, infatti la maggior parte degli apolidi in UE provenivano dall’URSS, che nel momento in cui è caduta non hanno acquisito nessun’altra cittadinanza, e poi i bambini nati da genitori apolidi; su un territorio (TERRITORIO) → circoscrive l’ambito spaziale della sovranità dello Stato e costituisce il limite d’esercizio della giurisdizione penale, civile, esecutiva statale. Se lo Stato sconfina il suo territoria, viola la sovranità territoriale di un altro Stato. Il territorio su cui si esercita la sovranità dello Stato comprende: - il suolo; - lo spazio aereo sovrastante; - il sottosuolo; - la porzione di mare compresa nel mare territoriale (12 miglia dalla linea di bassa marea). Anche per il tema del territorio, vale il principio di effettività, il DI guarda al fatto che esista un territorio effettivo delimitato, non importa quanto grande sia agli occhi del DI (è uno Stato la Cina tanto quanto Città del Vaticano → sono equiparabili dal punto di vista del DI). Inoltre, al DI non interessa nemmeno come quel territorio è stato “acquistatao” (occupazione militare, conquiste e così via). Il teritorio ha una valenza geografica ma anche una valenza politica, branca della geopolitica che studia le modifiche territoriali (si parla di secessione, smembramento, incorporazione, fusione). Esempi sono: il fenomeno della decolonizzazione, che ha triplicato il numero degli Stati; il fenomeno dell’Unione Sovietica, e la nascita di tutti gli Stati dovuta alla sua caduta; l’estinzione della Jugoslavia; la divisione della Repubblica Ceca; il conflitto tra Sudan e Sud- Sudan. Importante è il fenomeno della mobilità teritoriale, quando non è chiaro fin dove arriva il confine dello Stato, es: disputa sui confini tra la Slovenia e la Croazia. 30.10.2024

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